Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||
Titolo: | Commissione cultura - Politiche legislative e attività istituzionale nella XIV legislatura | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 2 Progressivo: 7 | ||
Data: | 22/05/2006 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VII-Cultura, scienza e istruzione |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
Documentazione e ricerche
COMMISSIONE CULTURA
Politiche legislative e attività istituzionale
nella XIV legislatura
N. 2/07
Maggio 2006
Il “dossier di inizio legislatura” si propone di fornire un quadro sintetico delle principali politiche e degli interventi normativi che hanno interessato nella XIV legislatura i settori di competenza delle Commissioni permanenti.
Alla redazione del dossier hanno partecipato il Servizio Commissioni e l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
Dipartimento Cultura
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: CU0001.doc
INDICE
Note di sintesi
Temi di interesse e di intervento ( a cura del Servizio studi) 3
§ Cultura, spettacolo, sport 3
§ Scuola, università e ricerca 6
§ Informazione e comunicazioni 13
Attività della Commissione (a cura del Servizio Commissioni) 17
§ 1. Ambito di competenza 17
§ 2. Analisi dei dati statistici 18
§ 3. Linee di tendenza 19
Principali politiche e interventi legislativi
scuola, università e ricerca
Riparto di competenze 31
§ Istruzione 31
§ Università 33
§ Ricerca 35
La normativa europea 37
§ La disciplina dell’istruzione 37
§ Lo spazio europeo della ricerca 39
Riordino del Ministero dell’Istruzione 43
§ Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca 43
§ Gli organi consultivi 44
Istruzione scolastica 49
§ La delega per il riordino del sistema di istruzione scolastica e formazione professionale (cosiddetta legge Moratti) 49
§ Legge Moratti: i piani di studio 51
§ Tempi di attuazione della legge Moratti 52
§ Le scuole non statali 53
§ Iniziative parlamentari 54
Personale docente della scuola 57
§ Le dotazioni organiche 57
§ Formazione e reclutamento 58
§ I dirigenti scolastici 61
Programmazione del sistema universitario 63
Valutazione del sistema universitario 67
Riforma dell’università 69
§ Gli ordinamenti didattici 69
§ Le università telematiche 72
§ Attività conoscitiva 73
Docenti universitari 75
Diritto allo studio 79
§ Tasse scolastiche e “buono scuola” 79
§ Integrazione scolastica degli alunni con handicap 79
§ Studenti universitari 81
Finanziamento delle università 85
§ Il sistema di finanziamento 85
§ Specifici interventi di finanziamento 87
Alta formazione artistica e musicale 89
Ricerca scientifica e tecnologica 93
§ Il riordino degli enti di ricerca 93
§ Il programma nazionale della ricerca 2005-2007 98
§ Gli interventi di sostegno alla ricerca 99
§ La valutazione della ricerca 101
Cultura, spettacolo e sport
Riparto di competenze 105
§ La tutela e la valorizzazione dei beni culturali 105
§ Il finanziamento dello spettacolo 107
§ Ordinamento sportivo 109
§ Diritto d’autore 109
La normativa europea 111
Deleghe legislative 113
Riordino del Ministero beni culturali 117
Beni e attività culturali 121
Cinema e spettacolo 129
Fondazioni lirico sinfoniche 133
Sport 135
Diritto d'autore 145
Informazione e Comunicazione
Il riassetto del sistema radiotelevisivo 153
§ La “legge Gasparri” e il nuovo assetto della radiotelevisione 153
§ Altri interventi in materia radiotelevisiva 158
Editoria 161
§ Riordino dell'amministrazione e riassetto delle competenze 161
§ Le misure di sostegno all'editoria 161
§ Contributi ai giornali di partito 166
§ Editoria speciale 168
Schede
scuola, università e ricerca
Legge Moratti e provvedimenti attuativi 171
§ La legge n. 53 del 2003 171
§ Le deleghe legislative 171
§ Il Piano programmatico di interventi finanziari 172
§ Le materie demandate a regolamenti di delegificazione 174
§ Il decreto legislativo n. 59/2004 (scuola dell’infanzia e primo ciclo dell’istruzione) 175
§ Il decreto legislativo n. 286/2004 (Servizio nazionale di valutazione) 177
§ Il decreto legislativo n. 76/2005 (Diritto-dovere all'istruzione e alla formazione) 180
§ Il decreto legislativo n. 77/2005 (Alternanza scuola-lavoro) 182
§ Il decreto legislativo n. 226/2005 (secondo ciclo del sistema di istruzione)184
§ Il decreto legislativo n. 227/2005 (formazione dei docenti ai fini dell’accesso all’insegnamento) 190
§ Questioni particolari: tecnologie didattiche, insegnamento delle lingue 193
Scuole non statali 195
§ La legge 62/2000 195
§ La disciplina recente 196
Stato giuridico dei docenti universitari 203
§ L’iter parlamentare 203
§ Il contenuto della legge 205
Ordinamenti didattici universitari 211
§ L’autonomia universitaria 211
§ Il regolamento sull’autonomia didattica degli Atenei 211
§ Le classi delle lauree e delle lauree specialistiche 215
§ Le modifiche degli ordinamenti didattici universitari dopo il DM 270/2004 216
§ Le nuove classi delle lauree 218
§ Riconoscimento dei titoli e delle qualifiche 221
Cultura, spettacolo e sport
Spesa per la cultura 225
Codice dei beni culturali e ambientali 231
§ Premessa 231
§ Le principali disposizioni in materia di beni culturali 233
§ Le principali disposizioni in materia di beni paesaggistici 250
§ Norme speciali per lavori pubblici relativi a beni culturali 257
informazione e comunicazione: il riassetto del sistema radiotelevisivo
Giurisprudenza costituzionale 263
I messaggi del Capo dello Stato 267
§ Il messaggio del Capo dello Stato sul pluralismo dell’informazione 267
§ Il messaggio di rinvio alle Camere sulla legge in materia di riassetto radiotelevisivo 268
I rapporti Stato-regioni 271
§ Le competenze delle regioni 271
La disciplina anticoncentrazione 275
La conversione in tecnica digitale 279
§ Le aree all digital 279
§ La televisione digitale nel contesto europeo 281
La disciplina transitoria 283
Il servizio pubblico radiotelevisivo 289
La tutela dei minori 295
Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)
§ Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa 301
§ Lo stato delle ratifiche del Trattato 303
§ L’allargamento e i Balcani occidentali 305
§ La politica europea di vicinato 310
§ Aiuto ai Paesi terzi 311
§ Prospettive finanziarie dell’UE 2007-2013 313
§ La strategia di Lisbona 315
§ La proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno 317
§ Istruzione e cultura 319
§ Settimo programma quadro per la ricerca 319
§ Istituto europeo di tecnologia (EIT) 320
§ Progetto di biblioteca digitale europea 320
§ Proprietà intellettuale 321
§ Tv senza frontiere 321
Un intervento di riordino legislativo complessivo del settore è stato avviato dalla legge 6 luglio 2002, n. 137 recante delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici (c.d. legge Frattini). In particolare, per quanto qui interessa, la delega ha previsto il riassetto delle materie di competenze del Ministero per i beni e le attività culturali. Si tratta di beni culturali e ambientali; cinematografia; teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; sport; proprietà letteraria e diritto d’autore.
In attuazione della delega, è stato innanzitutto ridefinito il sistema di sostegno pubblico al cinema, mediante il riordino degli strumenti e degli organismi operanti nel settore (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 28). L’intervento finanziario dello Stato si polarizza, essenzialmente, attorno a un fondo di nuova istituzione, il Fondo per la produzione, la distribuzione, l’esercizio e le industrie tecniche, al quale affluiscono le risorse esistenti, in particolare, nel Fondo di intervento, nel Fondo di sostegno e nel Fondo di garanzia, nonché la quota del cinema nell’ambito del Fondo unico dello spettacolo (FUS). Sono stati quindi riordinati il Centro sperimentale di cinematografia (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 32), e l’Istituto nazionale per il dramma antico (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 33).
In materia di beni culturali e ambientali, oltre alla modifica della disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30), si è realizzato un significativo intervento di “riassetto” e “codificazione” delle disposizioni legislative in materia (Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), con l’obiettivo principale di adeguare la normativa alle modifiche introdotte dalla riforma costituzionale agli articoli 117 e 118 della Costituzione. Il Codice - che ha sostituito il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali approvato nella precedente legislatura - ha inoltre perseguito gli ulteriori obiettivi stabiliti dalla legge delega: adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali; miglioramento dell’efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l’ottimizzazione delle risorse assegnate e l’incremento delle entrate; aggiornamento degli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali, anche attraverso la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati.
La legge n. 137 del 2002 ha poi delegato il governo ad adottare decreti legislativi correttivi o modificativi di decreti legislativi già emanati ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. a), della legge n. 59/1997 (c.d. legge Bassanini 1). In attuazione di tale disposizione, nel corso della legislatura il Ministero per i beni e le attività culturali è stato sottoposto ad un intervento di riorganizzazione (d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3) caratterizzato dall’introduzione della struttura dipartimentale, ritenuta più idonea ad assicurare il coordinamento delle competenze del Ministero, rispetto all’assetto organizzativo precedente basato su un’unica figura di coordinamento (Segretario generale); a livello periferico, con l’obiettivo di ottimizzare il rapporto tra le varie strutture e di creare un efficiente punto di riferimento per i rapporti con le istituzioni regionali - anche in considerazione della revisione del titolo V della Costituzione – sono state istituite le Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, gerarchicamente sovraordinate alle esistenti Soprintendenze di settore.
Nel settore dei beni e delle attività culturali sono inoltre particolarmente numerosi i provvedimenti approvati dalla Commissione in sede legislativa e con il concorso di tutti i gruppi, tra i quali si ricordano la nuova disciplina del deposito legale di documenti di interesse culturale, di cui alla legge 15 aprile 2004, n. 106, l’istituzione della Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS, disposta con la legge 16 ottobre 2003, n. 291, la salvaguardia del patrimonio culturale ebraico in Italia, prevista dalla legge 17 agosto 2005, n.175 e le misure per la tutela dei siti italiani inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO (legge 20 febbraio 2006, n. 77), nonché una serie di interventi introdotti la leggi finanziarie e decreti-legge omnibus. In particolare, si ricordano il coinvolgimento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali attraverso lo strumento della concessione in uso (art.1, commi 303-305, della legge finanziaria per il 2005), la disciplina della cosiddetta archeologia preventiva (artt. 2-ter-2- quinquies delD.L. 26 aprile 2005, n. 63 convertito dalla legge 25 giugno 2005, n. 109) e, soprattutto, le procedure per la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili in occasione deiprovvedimenti di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico. Particolare rilevanza ha assunto in tale ambito l’esclusione dell’applicabilità del silenzio assenso agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico (art. 3, comma 6-ter, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80).
Numerose disposizioni, poi, nel corso della legislatura, hanno attribuito finanziamenti specifici per la tutela e valorizzazione di beni e attività culturali. Merita segnalare inoltre che le modalità di allocazione della spesa si sono modificate nel corso della legislatura: la legge finanziaria per il 2005 ha previsto un’autorizzazione di spesa per la realizzazione di interventi rivolti a tutelare l’ambiente e i beni culturali, subordinatamente ad un apposito atto di indirizzo parlamentare che individui gli interventi e gli enti destinatari dei contributi. Ulteriori finanziamenti per gli interventi sopra richiamati sono stati autorizzati dall’art. 2-bis del D.L. n. 7/2005 (convertito dalla legge n. 43/2005) e dall’art. 11-bis del D.L. n. 203/2005 (convertito dalla legge n. 248/2005).
Si ricorda poi che nel corso della legislatura è stato avviato l’esame di numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare per il riordino della disciplina delle attività cinematografiche (AC 1185 e abb.) e dello spettacolo dal vivo (AC 587 e abb.). L’esame delle proposte, tuttavia, non ha prodotto alcun esito: con riguardo alla cinematografia, l’approvazione del decreto legislativo di riordino del settore ha segnato una battuta d’arresto dell’esame dei provvedimenti di iniziativa parlamentare. Relativamente allo spettacolo dal vivo, dopo la discussione generale in Assemblea del testo unificato delle proposte di legge, non si è proceduto all’esame degli articoli sia per l’emergere di difficoltà di carattere finanziario sia per la difficoltà di definire il ruolo delle regioni nella gestione del Fondo unico per lo spettacolo, nonostante i numerosi incontri formali e informali con le regioni svolti nel corso dell’iter.
Gli interventi in materia di fondazioni lirico sinfoniche nel corso della XIV legislatura sono stati principalmente finalizzati a favorire l’ingresso dei privatinelle fondazioni da un lato ed a risolvere la situazione di perdurante crisi economicache ha caratterizzato i bilanci di queste ultime dall’altro[1].
Quanto al diritto d’autore, si segnalano due linee di tendenza: da un lato, si è inteso proseguire il recepimento delle direttive comunitarie, soprattutto con riferimento ad alcuni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, al diritto di seguito ed alla tutela della proprietà intellettuale e della proprietà industriale; dall’altro, sono state adottate misure volte a contrastare la diffusione telematica abusiva di opere dell’ingegno. In tale ambito, le disposizioni introdotte dal DL n. 72 del 2004 (convertito dalla legge n. 128 del 2004) – modificato e integrato dal DL n. 7 del 2005 (convertito dalla legge n. 43 del 2005) – introducono sanzioni, anche di carattere penale, verso quanti immettono abusivamente in un sistema di reti telematiche condivise opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore a scopo di lucro. Al fine di contemperare l’esigenza di tutela del diritto d’autore con la libertà di accesso e diffusione della cultura, la Commissione, nel corso dell’esame del DL n. 72 del 2004 - con un intervento che ha visto coinvolte tutte le forze politiche - ha peraltro salvaguardato la non punibilità dell’uso personale. La norma prevede inoltre che il governo promuova forme di collaborazione tra i rappresentanti delle categorie operanti nel settore in merito alla fruibilità delle opere, anche attraverso la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta.
Con riferimento allo sport, si ricorda in primo luogo il DL 19 agosto 2003, n. 220 (relativo al cosiddetto “caso Catania”), convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280, che ha definito le relazioni tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria, sancendo il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo. Ulteriori misure hanno riguardato la prevenzione dei fenomeni di violenza nelle manifestazioni sportive (D.L. 20 agosto 2001, n. 336, D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, D.L. 17 agosto 2005, n. 162); un intervento in favore della critica situazione finanziaria delle società calcistiche (DL 24 dicembre 2002, n. 282, cosiddetto “spalma debiti”), per consentire alle società sportive di procedere all’ammortamento dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori in dieci rate annuali (successivamente ridotte a cinque, in relazione alla procedura di infrazione avviata dall’Unione europea); una serie di disposizioni agevolative in favore delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche, che hanno contribuito a ridisegnare parzialmente la disciplina fiscale e tributaria delle società operanti in questo settore (articolo 90 della legge finanziaria per il 2003). Con riguardo, poi, alle leggi in materia di sport approvate dalla Commissione Cultura si segnala un significativo intervento relativo alla sicurezza degli sport invernali (legge 24 dicembre 2003, n. 363). Si ricorda, inoltre, l’adozione di alcuni provvedimenti, esaminati dalla Commissione Ambiente, volti a consentire il completamento delle opere necessarie allo svolgimento dei Giochi olimpici invernali Torino 2006. In tema di sport merita segnalare, da ultimo, l’indagine conoscitiva sul calcio professionistico svolta dalla Commissione Cultura per acquisire una visione d’insieme delle dinamiche evolutive del fenomeno calcistico. Il documento conclusivo, condiviso da tutte le forze politiche, in sostanza invita gli organi di autogoverno del calcio ad individuare autonomamente – vale a dire senza interventi legislativi – soluzioni idonee alle questioni emerse e, soprattutto, a promuovere un processo riformatore interno al mondo del calcio.
Nel corso della legislatura si è concluso il processo di riordino avviato nella precedente legislatura (artt.49-51 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300), che aveva previsto l’unificazione in un’unica struttura ministeriale (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) delle funzioni facenti capo ai dicasteri della pubblica istruzione, da un lato, e dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, dall’altro (D.P.R. 11 agosto 2003, n. 319). Il Ministero si articola in 3 strutture dipartimentali con funzioni di coordinamento e indirizzo nei settori della programmazione; dell’istruzione; dell’università, alta formazione artistico musicale e ricerca. Riguardo all’amministrazione periferica, si conferma l’organizzazione fondata sugli uffici scolastici regionali, che si articolano per funzioni e sul territorio in centri servizi amministrativi. Quanto agli organi consultivi, merita segnalare che nel corso della legislatura si è provveduto al riordino del Consiglio universitario nazionale (legge 16 gennaio 2006, n. 18).
Nel settore dell’istruzione e della formazione, la legislatura è stata caratterizzata dall’approvazione della legge 28 marzo 2003, n. 53 (c.d. “legge Moratti”) che ha delineato una disciplina generale della materia rimettendone l’attuazione a decreti legislativi ed ha contestualmente dettato alcune disposizioni immediatamente applicative concernenti l’iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria e la valutazione dei titoli dei docenti scolastici. Le deleghe conferite al governo riguardano in particolare la definizione del sistema educativo di istruzione e formazione articolato in due cicli; la valutazione del sistema educativo; la formazione iniziale dei docenti; l’alternanza scuola-lavoro. in attuazione delle deleghe citate sono stati realizzati il riordino della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione (d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59) ed il riordino del secondo ciclo (d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226); è stato ridefinito il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età (d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76); è stata disciplinata l’alternanza scuola-lavoro come modalità di formazione nel secondo ciclo sia nei licei sia nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale (d.lgs. 15 aprile 2005, n. 77); è stato riordinato il servizio nazionale di valutazione del sistema educativo (d.lgs. 19 novembre 2004, n. 286); sono state modificate la formazione iniziale per l’accesso alla docenza, nonché le relative procedure concorsuali per la copertura del 50 per cento dei posti in organico (d.lgs. 17 ottobre 2005 n. 227).
Con riguardo alle dotazioni organiche del personale della scuola, sono state adottate, soprattutto nell’ambito di leggi finanziarie, una serie di disposizioni sulla consistenza e sull’orario dei docenti, accomunate dalla finalità di conseguire economie di spesa nel settore scolastico (art. 22 della legge finanziaria 2002 e art. 35 della legge finanziaria 2003). Al riguardosi sono svolti numerosi dibattiti presso la VII Commissione Cultura della Camera, in esito ai quali è stata approvata all’unanimità una risoluzione[2] che ha impegnato il governo ad una politica di valorizzazione e qualificazione della scuola pubblica statale, anche attraverso l’ampliamento, per l’anno 2004-2005, del numero delle cattedre e degli insegnanti di sostegno.
Un tentativo di soluzione alla questione delle dotazioni organiche è rappresentato dalla previsione di un piano pluriennale di nomine a tempo indeterminato, relativo al triennio 2005-2008 (art. 1-bis del DL 7 aprile 2004, n. 97, convertito dalla legge 4 giugno 2004, n. 143). In relazione alla mancata adozione del piano in tempo utile per l’avvio dell’anno scolastico 2005-2006 è stata poi autorizzata l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente e A.T.A (amministrativo, tecnico ed ausiliario), rispettivamente nel numero di 35.000 e 5.000 unità (art. 3 del DL 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168).
Quanto alle modalità di reclutamento, allo scopo di risolvere definitivamente la questione dei punteggi attribuiti ai docenti nelle graduatorie permanenti, sono stati modificatii criteri per la determinazione delle medesime, limitatamente all’ultimo scaglione[3] rivedendo a tal fine la Tabella di valutazione dei titoli[4]; in via transitoria, è stato inoltre consentito a varie categorie di precari - aventi requisiti di titoli e di servizio ma sprovvisti di abilitazione - di conseguire il titolo di abilitazione all’insegnamento o di idoneità necessario per l’iscrizione nelle graduatorie permanenti attraverso la frequenza di appositi corsi presso le università e le istituzioni dell’Alta formazione musicale e coreutica (DL 7 aprile 2004, n. 97, convertito dalla legge del 4 giugno 2004, n. 143).
In attuazione dell’articolo 5 della legge Moratti, il d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 227, ha poi affidato la formazione iniziale dei docenti ad appositi corsi di laurea magistrale e corsi accademici di secondo livello istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica. Il decreto ha inoltre ridefinito, sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale docente nelle scuole statali, la procedura per l’accesso al ruolo mediante la preliminare individuazione del numero dei posti da coprire.
Da ultimo, ancora nel settore dell’istruzione, si ricorda l’adeguamento (recato dall’art. 1-bis del DL 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27) della disciplina delle scuole non statali,prevista dal d.lgs n. 297/1994 (Testo unico in materia di istruzione, Parte II, Titolo VIII), alle disposizioni sulla parità scolastica introdotte dalla legge n. 62/2000.In particolare, le diverse tipologie di scuole non statali previste dal citato d.lgs. n. 297/1994 sono ricondotte alle due tipologie individuate dalla legge n. 62/2000 e cioè: scuole paritarie riconosciute e scuole non paritarie. Sono inoltre definite nuove prescrizioni sulle scuole paritarie nonché le caratteristiche delle scuole non paritarie.
Il sistema universitario è stato recentemente oggetto di una ridefinizione ad opera della legge 4 novembre 2005, n. 230 recante nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari.
Le linee principali del provvedimento possono essere così sintetizzate: da un lato, per professori ordinari ed associati, è stata introdotto il conseguimento dell’idoneità scientifica nazionale come requisitonecessario per la partecipazione alle procedure selettive bandite dagli atenei[5]; dall’altro è stato adottato un nuovo sistema di affidamento dell’attività di ricerca attraverso contratti a tempo determinato, ferma restando la validità delle attuali procedure concorsuali per il reclutamento di ricercatori fino al 30 settembre 2013.
Altre disposizioni rilevanti della legge n. 230/2006 sono l’individuazione (o la conferma) di modalità alternative di reclutamento (nomina in ruolo di studiosi di chiara fama, contratti di diritto privato a tempo determinato, attivazione temporanea di posti di docente per lo svolgimento di programmi di ricerca finanziati da soggetti esterni) nonché la previsione di convenzioni con soggetti esterni per progetti ricerca affidati a professori universitari.
Si prevede infine l’eventuale assegnazione di corsi e moduli didattici a ricercatori, assistenti del ruolo ad esaurimento, tecnici laureati che hanno svolto tre anni di insegnamento e professori incaricati stabilizzati, con la contestuale attribuzione del titolo di professore aggregato.
Un intervento significativo nel settore universitario ha poi riguardato il completamento della riforma dei percorsi didattici avviato nella XIII legislatura. Il D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, che ha sostituito il D.M. 3 novembre 1999, n. 509,recante norme sull’autonomia didattica degli atenei, ha peraltro mantenuto l’architettura del sistema stabilita da quest’ultimo decreto, riassumibile nella cosiddetta formula del “3 + 2”. La nuova articolazione dei corsi e dei titoli è pertanto così definita:
· la laurea, triennale, volta a garantire un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, nonché l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali; nell’ambito di tale livello, si ricorda che il D.M. 270/2004 ha introdotto un percorso di base comune per gli studenti del primo anno e la possibilità di prevedere in seguito, nella medesima classe di laurea, oltre ad un percorso metodologico, un percorso professionalizzante (cosiddetto percorso a Y);
· la laurea magistrale,finalizzata ad una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici; il titolo è conseguibile dopo la laurea attraverso l’acquisizione di 120 crediti formativi, e comunque previo accertamento del possesso di specifici requisiti curricolari determinati autonomamente dagli atenei.
Occorre poi ricordare che l’articolo 1-ter del D.L. n. 7 del 2005, convertito dalla legge n. 43 del 2005, ha dettato nuove norme per la programmazione e valutazione del sistema universitario a partire dal 2006. La nuova disciplina prescrive che le università predispongano annualmente (entro il 30 giugno) piani triennali recanti i corsi di studio da attivare, nel rispetto dei requisiti minimi essenziali in termini di risorse strutturali ed umane; il programma di sviluppo della ricerca scientifica; le azioni per il sostegno dei servizi e degli interventi a favore degli studenti; i programmi di internazionalizzazione; il fabbisogno di personale docente e non docente, ivi compreso il ricorso alla mobilità.
Nel corso della XIV legislatura si è inoltre provveduto all’attuazione della legge 21 dicembre 1999, n. 508; tale norma, nella passata legislatura, aveva riordinato l’alta formazione artistica e musicale attribuendo un’autonomia paragonabile a quella delle università (e parimenti fondata sull’art. 33 della Costituzione) agli istituti che ne fanno parte, e cioè: le Accademie di belle arti; l’Accademia nazionale di arte drammatica; gli Istituti superiori per le industrie artistiche; Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati (non statali) e l’Accademia nazionale di danza. L’autonomia di tali strutture rispetto al sistema universitario è assicurata tramite la costituzione presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) di un apposito organismo, il Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica e musicale (CNAM); composizione e modalità di funzionamento di quest’ultimo sono state recentemente definite dal D.M. 16 settembre 2005, n. 236. Nel corso della legislatura sono stati quindi definiti i criteri per l’adozione degli statuti e per l’esercizio dell’autonomia regolamentare (D.P.R. n. 132 del 2003); sono stati inoltre disciplinati gli ordinamenti didattici (basati come nei percorsi universitari sul sistema dei crediti formativi accademici) nonché la tipologia dei titoli di studio, tra i quali si ricordano, per quanto qui interessa, i diplomi accademici di primo e di secondo livello(D.P.R. n. 212 del 2005). Sono state contestualmente dettate norme in materia di titoli rilasciati da istituzioni di alta formazione artistica e musicale, con particolare riferimento al valore legale dei titoli conseguiti secondo l’ordinamento previgente alla riforma degli ordinamenti didattici universitari. (art. 6 del DL 25 settembre 2002, n. 212, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 268).
Con riferimento agli interventi della XIV legislatura nel settore della ricerca, occorre preliminarmente ricordare che l’articolo 1 della citata legge 137/2002, ha conferito al governo una delega per l’emanazione di decreti legislativi, diretti, tra l’altro, a riordinare e razionalizzare gli interventi per la promozione e il sostegno della ricerca scientifica e tecnologica e gli organismi operanti nel settore. In attuazione della legge n. 137 del 2002 sono stati riordinati i seguenti istituti: Consiglio nazionale delle ricerche (C.N.R.), con d.lgs. del 4 giugno 2003, n. 127; Agenzia spaziale italiana (A.S.I.), con d.lgs. 4 giugno 2003, n. 128; Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.), con d.lgs. 4 giugno 2003, n. 138; Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), con d.lgs. 3 settembre 2003, n. 257; Istituto nazionale di ricerca metrologica (I.N.RI.M.), con d.lgs. 21 gennaio 2004, n. 38. Con tali decreti legislativi si è tra l’altro disposto: la confluenza nel CNR, dell’Istituto di diritto agrario internazionale e comparato (IDAIC), dell’Istituto nazionale di ottica applicata (INOA) e dell’Istituto nazionale di fisica della materia (INFM); la trasformazione dell’Istituto papirologico «Girolamo Vitelli» in struttura scientifica dell’Università degli studi di Firenze; la confluenza nell’Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.) degli istituti di radioastronomia, astrofisica spaziale e di fisica dello spazio interplanetario del CNR; la creazione dell’Istituto nazionale di ricerca metrologica, attuata attraverso lo scorporo dal CNR dell’Istituto Colonnetti e la sua fusione con l’Istituto elettrotecnico nazionale “G. Ferraris”. Tali mutamenti sono ormai operativi con l’adozione dei nuovi regolamenti organizzativi dei singoli enti di ricerca.
In applicazione del d.lgs. n. 204 del 1998, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca – sulla base delle Linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo, approvate dal CIPE il 19 aprile 2002 e delle Linee guida per la valutazione della ricerca – ha elaborato il Programma nazionale della ricerca (PNR) per gli anni 2005-2007, che è stato adottato dal CIPE il 18 marzo 2005. Il Programma pone al centro dei suoi interventi i seguenti macro-obiettivi: la qualità della vita (salute, sicurezza, ambiente), la competitività del sistema produttivo, lo sviluppo sostenibile.
Gli interventi volti a sostenere la ricerca hanno riguardato sia finanziamenti ad attività specifiche che misure finalizzate a favorire gli investimenti pubblici e privati nel settore. Quanto ai primi merita segnalare in primo luogo che la legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289) ha istituito, all’articolo 56, un nuovo Fondo per progetti di ricerca di “rilevante valore scientifico, anche con riguardo alla tutela della salute e all’innovazione tecnologica”. Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), ha istituito la fondazione denominata Istituto Italiano di Tecnologia, con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l’alta formazione tecnologica. L’articolo 2 del D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 (convertito dalla legge n. 43 del 31 marzo 2005) ha previsto una garanzia per il rimborso del capitale e degli interessi maturati, nel limite di 60 milioni di euro, dalla Società Sincrotronedi Trieste S.p.a. con la Banca europea degli investimenti per la realizzazione del progetto di laser a elettroni liberi. Alla stessa società viene riconosciuto un contributo ordinario per il funzionamento per un importo di 14 milioni di euro. Da ultimo, la legge finanziaria 2006 (comma 341), allo scopo di promuovere lo sviluppo della ricerca avanzata nel campo delle biotecnologie e nell’ambito degli accordi di cooperazione scientifica con gli Stati Uniti d’America, autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri a costituire una fondazione secondo modalità da quest’ultimo stabilite con proprio decreto.
Per ciò che concerne le agevolazioni fiscali si ricordano innanzitutto alcune misure riguardanti la detassazione degli investimenti in ricerca e sviluppo edelle spese sostenute per stage aziendali destinati a studenti di corsi d’istruzione secondaria o universitaria nonché gli incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero (DL 269/2003). In seguito, la legge finanziaria per il 2005 ha incluso tra le spese per le quali possa valere la deducibilità ai fini dell’IRAP i costi sostenuti dalle imprese per il personale addetto alla ricerca e sviluppo. Si segnala, poi, che la legge finanziaria per il 2006 ha previsto la destinazione di una quota, pari al 5 per mille, dell’imposta sui redditi delle persone fisiche alla ricerca scientifica e all’università, nonché alla ricerca sanitaria, oltre che al volontariato e ad attività sociali. La medesima legge finanziaria ha previsto la totale deducibilità dal reddito delle società (senza alcun limite d’importo) per i fondi trasferiti per il finanziamento della ricerca a favore di atenei, fondazioni universitarie, istituzioni universitarie pubbliche, enti di ricerca pubblici o sottoposti a vigilanza ministeriale, fondazioni e associazioni riconosciute, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica.
Occorre, infine, ricordare che su incarico del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) ha elaborato le Linee guida per la valutazione della ricerca. L’esercizio di valutazione (avviato con il D.M. 16 dicembre 2003) ha una valenza triennale ed è rivolto alla valutazione della produzione scientifica di università ed enti di ricerca, finanziati dal MIUR nel periodo 2001-2003. Il 26 gennaio 2006 il CIVR ha presentato i risultati del primo esercizio nazionale di Valutazione Triennale della Ricerca (VTR) 2001-2003.
Le modifiche alla disciplina degli strumenti di sostegno per la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica intervenute nel corso della legislatura, da un lato hanno ampliato l’ambito di intervento dei due Fondi già esistenti (il Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica–FIT[6] e il Fondo per le agevolazioni alla ricerca–FAR[7]),dall’altro hanno previsto la destinazione ad attività di ricerca e sviluppo delle imprese di una quota pari almeno al 30% delle risorse di un nuovo strumento, il Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca[8].
Si segnala infine che il decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 3, convertito dalla legge 22 febbraio 2006, n. 78, ha recepito la direttiva 98/44/CE in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, ponendo fine ad un contenziosocon le istituzioni dell’Unione europea. La finalità della direttiva, adottata dopo un dibattito decennale, è quella di armonizzare, nella prospettiva della libera circolazione dei brevetti biotecnologici nel mercato unico, la normativa sulla protezione delle invenzioni biotecnologiche, anche in relazione alla crescente importanza che sta assumendo il mercato europeo delle biotecnologie.
Nel corso della XIV legislatura il settore dell’informazione e della comunicazione è stato al centro di un ampio processo di riordino che, sotto la spinta della normativa europea, ha condotto all’approvazione di due provvedimenti finalizzati ad introdurre una normativa “di sistema” nei due ambiti considerati, il primo – disciplinato dal d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche) – relativo al settore delle comunicazioni elettroniche, il secondo – regolamentato dalla legge 3 maggio 2004, n. 112, e poi dal testo unico della radiotelevisione (d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177) – afferente alla radiotelevisione.
La riforma del sistema radiotelevisivo introdotta dalla legge 3 maggio 2004 n. 112 (c.d. “legge Gasparri”) – approvata dopo un complesso iter durato oltre due anni e recante disposizioni per il riassetto del sistema radiotelevisivo e della RAI (concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo), nonché una delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione – ha costituito l’esito di un ampio dibattito nel corso del quale le pronunce della Corte costituzionale sul pluralismo dell’informazione[9] e il messaggio inviato dal Presidente della Repubblica alle Camere sullo stesso profilo, nonché il messaggio di rinvio della legge alle Camere, hanno formato oggetto di particolare attenzione[10].
Da un punto di vista generale, la riforma introdotta nel settore radiotelevisivo dalla legge n. 112 del 2004 intende definire una normativa “di sistema” che tenga conto dell’evoluzione tecnologica e dei mercati, nonché del nuovo quadro regolamentare europeo (direttive sulle “comunicazioni elettroniche”), favorendo il processo di convergenza tecnologica e la conversione dalla trasmissione in tecnica analogica a quella in tecnica digitale, il pluralismo e la concorrenza nel settore, ed altresì ridefinendo il ruolo del servizio pubblico in tale contesto. Si provvede inoltre all’individuazione dei compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo e alla riforma della RAI, con la definizione dei tempi e dei modi di avvio del processo di privatizzazione, la modifica della durata della concessione nonchédella composizione e delle procedure di nomina degli organi della RAI. La legge n. 112 reca inoltre una delega al Governo per l’emanazione di un testo unico delle disposizioni legislative in materia di radiotelevisione (Capo III), con il quale devono anche essere indicati – sulla base di criteri definiti dal disegno di legge medesimo – i princìpi nel rispetto dei quali le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia di emittenza radiotelevisiva in ambito regionale o provinciale. A tale delega è stata data attuazione con il D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (testo unico della radiotelevisione) recante una ricostruzione della disciplina vigente in materia di radiodiffusione ed ispirato ai principi di coordinamento, semplificazione, armonizzazione ed efficacia. Esso completa l’intervento di riordino della materia della comunicazione - ad eccezione della stampa, dello spettacolo e della propaganda elettorale - avviato con l’emanazione del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259) e costituisce insieme a tale codice un unicum normativo, in un’ottica volta a favorire la convergenza. Nel testo unico risultano confluite quasi tutte le disposizioni della legge n. 112 del 2004, pur non risultando nel testo medesimo l’abrogazione dei corrispondenti articoli della legge n. 112[11]
Nell’ambito del settore dell’informazione e della comunicazione si collocano, altresì, interventi specifici che hanno riguardato - nella prima parte della XIV legislatura - misure di sostegno in favore delle imprese editrici: una prima misura agevolativa è stata introdotta dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448(legge finanziaria 2002) che, all’articolo 52, co. 75, ha aumentato la resa forfetaria ai fini della riduzione della base imponibile per l’applicazione dell’IVA: dal 60% la resa è stata elevata al 70 % per i libri ed all’80 % per i giornali quotidiani e periodici; con una serie di decreti legge (ultimo dei quali il D.L. 2 ottobre 2003, n. 271) si è inoltre disposta una proroga - non oltre il 31 dicembre 2004 - del periodo di sperimentazione del prezzo fisso dei libri, di cui all’art. 11 della legge n. 62 del 2001 che, al termine della XIII legislatura, ha riformato la disciplina di settore ed ha introdotto varie iniziative di sostegno all’editoria, tra le quali nuove disposizioni sul prezzo dei libri, finalizzate a regolare la concorrenza in materia. E’ stato poi previsto un credito d’imposta pari al 10% dellaspesasostenuta per l’acquisto della carta a favore delle imprese editrici di quotidiani e periodici e alle imprese editrici di libri iscritte al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) entro un limite di spesa di 95 milioni di euro (art. 4 commi 181-186, legge finanziaria per il 2004, esteso alle spese effettuate nel corso dell’anno 2005 dal comma 484 dell’articolo unico della legge finanziaria 2005).
Un intervento complessivo di riordino del settore è contenuto nel disegno di legge di iniziativa governativa A.C. 4163 recante “Disposizioni in materia di editoria e di diffusione della stampa quotidiana e periodica”, presentato il 16 luglio 2003; tale provvedimento non ha concluso l’iter parlamentare, anche se alcune disposizioni sono poi confluite in successivi provvedimenti legislativi. Il ddl 4163 conteneva una serie di norme volte a modificare o integrare la normativa vigente in materia di condizioni per l’esercizio dell’attività, contributi, contributi previdenziali e credito agevolato. Una prima norma in materia di agevolazioni postali ha trovato sostanziale attuazione nel decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 353. Il decreto-legge ha stabilizzato ed integrato la previgente disciplina in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali, basata sul rimborso a posteriori, da parte dello Stato, alla società Poste italiane S.p.a. della somma delle riduzioni da questa effettuate sulla spedizione di alcuni materiali editoriali.
Altre norme del ddl sono poi confluite nella legge finanziaria 2006; dove i commi da 454 a 465 e il comma 574 dell’articolo unico della legge recano una serie di disposizioni che vanno ad incidere sulla normativa in materia di provvidenze all’editoria. In sintesi i commi citati, prevalentemente mediante modifiche o integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 250 modificano in senso restrittivo i requisiti per l’accesso ai contributi e le modalità di erogazione; estendono la non cumulabilità tra i diversi tipi di contributi; limitano l’aumento su base annua dei costi ammissibili per il calcolo del contributo al tasso programmato di inflazione per l’anno di riferimento dei contributi; rideterminano - in 0,20 euro - il contributo per copia stampata alle imprese editrici di periodiciesercitate da cooperative, fondazioni o enti morali; rifinanziano il credito agevolato e il credito di imposta alle imprese editoriali introdotti dalla 7 marzo 2001, n. 62; istituiscono un’addizionale alle imposte sul reddito in presenza di redditi derivanti da produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico e di incitamento alla violenza.
Un ulteriore intervento di sostegno all’editoria, già previsto dalla legge n. 112 del 2004 e poi confluito nel Testo unico della radiotelevisione, dispone che le amministrazioni pubbliche o gli enti pubblici anche economici debbano destinare a favore dei giornali quotidiani e periodici almeno il 50 per cento delle spese relative all’acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione di massa per fini di comunicazione istituzionale. Tale percentuale ammonta al 60 per cento nella fase di transizione alla trasmissione in tecnica digitale. In materia di limiti di affollamento pubblicitario, il TU conferma inoltre l’esclusione dal computo dei limiti di affollamento per la pubblicità radiotelevisiva degli spot finalizzati alla promozione della lettura.
In materia di contributi ai giornali di partito, si segnala poi che nei primi mesi della XIV legislatura il D.P.R. 7 novembre 2001, n. 460 ha dato attuazione all’articolo 153 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001).
In base a tale norma, le imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici aventi diritto ai contributi ai sensi della disciplina previgente hanno avuto facoltà, entro il 1º dicembre 2001, di costituirsi in società cooperative, il cui oggetto sociale sia costituito esclusivamente dalla edizione di quotidiani o periodici organi di movimenti politici. A tali cooperative sono attribuiti i contributi concessi, ai sensi dell’art. 3, co. 2, della legge n. 250 del 1990, in presenza di determinati requisiti, alle cooperative giornalistiche e ad imprese editrici ad esse equiparate.
Si ricorda, inoltre, che la legge n. 112 del 2004 ha esteso ai canali tematici a diffusione satellitare le norme a favore delle radio di partito previste dalla legge n. 250 del 1990. Tale legge stabilisce che alle imprese radiofoniche, che risultino essere organi di partiti politici rappresentati in almeno un ramo del Parlamento, sia corrisposto un contributo annuo fisso pari al 70 per cento della media dei costi risultanti dai bilanci degli ultimi due esercizi. A tali imprese spettano inoltre le riduzioni tariffarie previste dalla 5 agosto 1981, n. 416.
La VII Commissione, ai sensi dell’articolo 22, comma 1, del Regolamento, e della lettera circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996, ha competenza nelle seguenti materie: a) cultura; b) scienza; c) istruzione, compresa quella universitaria; d) diritto d’autore; e) ricerca scientifica; f) spettacolo; g) sport; h) editoria; i) informazione, compresa quella radiotelevisiva; l) interventi per la salvaguardia dei beni culturali.
La citata circolare del 1996 e la lettera del Presidente della Camera ai Presidenti delle Commissioni permanenti del 16 luglio 2001 hanno poi introdotto le seguenti precisazioni relative a specifiche questioni:
1) mentre la disciplina della docenza universitaria appartiene alla competenza della VII Commissione, la definizione del trattamento economico dei docenti spetta invece alla I Commissione Affari costituzionali;
2) i progetti di legge in materia di restauro e conservazione di immobili costituenti beni culturali appartengono alla competenza della VII Commissione, a meno che non emerga una prevalenza degli aspetti di carattere urbanistico, nel qual caso essi vengono assegnati alla VIII Commissione Ambiente;
3) in relazione al settore radiotelevisivo, ferma restando l’attribuzione alla VII Commissione delle materie dell’editoria e dell’informazione, compresa quella radiotelevisiva, la disciplina dell’assetto del mercato radiotelevisivo e delle comunicazioni rientra nelle competenze della IX Commissione Trasporti.
In relazione alle situazioni in cui più frequentemente emergono profili di competenza di altre Commissioni in materie altrimenti riconducibili agli ambiti di competenza della VII Commissione, merita poi ricordare quanto segue:
1) la XI Commissione Lavoro ha una competenza “trasversale” su tutti i provvedimenti concernenti assunzioni e trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici, ad eccezione del personale non contrattualizzato (tra cui in primo luogo i dirigenti pubblici e, per quanto qui interessa, i docenti universitari), compreso quindi il personale docente e non docente delle istituzioni scolastiche e il personale “precario” in servizio nella scuola e nel settore dei beni culturali; rientrano peraltro nella competenza della VII Commissione gli interventi concernenti prevalentemente la funzionalità e l’organizzazione del sistema scolastico, anche quando essi incidono direttamente sul relativo personale (come i provvedimenti relativi alla definizione del numero delle classi e degli organici delle istituzioni scolastiche);
2) nella materia della ricerca, la competenza della VII Commissione (concernente la ricerca scientifica) incontra il proprio limite in quella della X Commissione Attività produttive in merito alla ricerca applicata; ne consegue che i provvedimenti riguardanti interventi o istituzioni relativi alla ricerca in generale appartengono alla competenza della X Commissione quando i profili concernenti la ricerca applicata siano comunque prevalenti.
Sul piano dell’attività legislativa, appare particolarmente rilevante il numero dei provvedimenti approvati dalla Commissione in sede legislativa, pari a 23, dei quali 21 sono divenuti legge. Tra i provvedimenti approvati in questa sede, in cinque casi il testo base era di iniziativa governativa, negli altri 18 era di iniziativa parlamentare, di cui dieci approvati in prima lettura al Senato e otto alla Camera.
I provvedimenti licenziati per l’Aula in sede referente sono stati 21, di cui 17 sono divenuti legge. Ad essi vanno aggiunti i nove provvedimenti licenziati a Commissioni riunite, di cui sei divenuti legge. I disegni di legge di conversione di decreti-legge approvati ammontano a circa la metà del totale dei provvedimenti conclusi (dieci tra quelli esaminati dalla sola VII Commissione, cinque tra quelli a Commissioni riunite). Per quanto riguarda l’iniziativa, in 14 casi (compresi i dieci decreti-legge) si è trattato di disegni di legge governativi, contro i sette di origine parlamentare (tra cui uno solo proveniente dal Senato).
Merita poi segnalare anche l’elevato numero di procedimenti avviati in sede referente che non sono approdati in Assemblea né sono stati trasferiti in sede legislativa (44, di cui 33 non sono giunti alla fase dell’esame degli emendamenti).
Quanto all’attività svolta in sede consultiva, i pareri resi ad altre Commissioni ai fini dell’esame di provvedimenti in sede referente o legislativa sono stati 230.
Rilevante è stata l’attività della Commissione rivolta all’esame di atti del Governo, comprese le proposte di nomina. La Commissione ha infatti espresso complessivamente 120 pareri al Governo, di cui 77 su schemi di decreto legislativo, di regolamento o di altri atti e 43 su proposte di nomina. In questo ambito vanno anche segnalati i cinque pareri resi al Governo in sede di Commissioni riunite e i nove casi in cui sono stati deliberati rilievi da trasmettere ad altre Commissioni, ai sensi dell’articolo 96-ter, comma 4, del regolamento.
Sul fronte del sindacato ispettivo, le interrogazioni complessivamente svolte in Commissione sono state 239. In questo ambito, particolarmente intensa è stata l’attività in sede di question time, con lo svolgimento di 196 interrogazioni a risposta immediata. La Commissione ha inoltre approvato 26 risoluzioni (il 74 per cento di quelle assegnate).
Infine, significativa è stata l’attività conoscitiva condotta tramite audizioni formali e informali, nell’ambito di indagini conoscitive o al di fuori di esse. Le sedute dedicate ad audizioni ai sensi dell’articolo 143 del regolamento sono state 22 (cui ne vanno aggiunte nove a Commissioni riunite); 22 sono state anche le sedute di audizioni svolte nell’ambito di indagini conoscitive (più 16 a Commissioni riunite); circa 120 quelle di audizioni informali. Quanto alle indagini conoscitive, va precisato che la Commissione ne ha deliberate sette, quattro autonomamente e tre in congiunta con altre Commissioni. Merita sottolineare che l’attività conoscitiva si è svolta per lo più in stretta connessione con l’esame di provvedimenti legislativi o di atti del Governo: cinque delle indagini conoscitive avviate dalla Commissione (comprese quelle a Commissioni riunite) sono state deliberate nell’ambito dell’istruttoria legislativa ai sensi dell’articolo 79 del regolamento, e solo una decina delle 120 sedute di audizioni informali si è svolta al di fuori dell’esame di provvedimenti legislativi o schemi di atti normativi.
Come si è visto, le competenze della Commissione Cultura si incentrano sul settore della scuola, dell’università e della ricerca e su quello dei beni e delle attività culturali (al quale possono essere ricondotte le materie dello spettacolo e dello sport e, in modo diverso, dato il particolare intreccio delle competenze in materia, dell’informazione e dell’editoria). Dato il carattere variegato delle competenze della Commissione, è inevitabile che le politiche legislative perseguite nel corso della XIV legislatura presentino caratteristiche differenziate nei settori sopra individuati e nei comparti in cui essi si articolano. Ciononostante, è possibile individuare alcune linee di tendenza comuni:
1) la legislazione si è incentrata su alcuni grandi provvedimenti di riforma di interi settori o di loro parti significative (per estensione o per rilievo politico), che hanno caratterizzato in modo rilevante le politiche pubbliche di competenza della Commissione; si è trattato di interventi per lo più di iniziativa governativa (le leggi di riordino della scuola e sui professori universitari, la legge di riassetto del sistema radiotelevisivo, il Codice dei beni culturali e del paesaggio), accompagnati da un intenso confronto parlamentare e da approfondite attività conoscitive;
2) accanto ad essi, si sono avuti molteplici interventi settoriali o di manutenzione legislativa, veicolati da provvedimenti legislativi ad hoc (per lo più di impatto specifico e approvati in sede legislativa, e quindi ampiamente condivisi) o da provvedimenti plurisettoriali (in particolare, decreti-legge e leggi finanziarie);
3) meno numerosi sono stati gli interventi di riforma di comparti specifici nell’ambito dei diversi settori per lo più di iniziativa parlamentare (non riconducibili né ai grandi interventi di riforma, né ai provvedimenti di manutenzione legislativa (si pensi ad esempio ai provvedimenti sugli organi collegiali della scuola o sull’editoria e la stampa quotidiana e periodica). Solo alcuni di essi, anche quando è stato possibile raggiungere un certo accordo tra i gruppi, sono giunti ad essere licenziati per l’Assemblea, nonostante l’impegno e l’attenzione dedicati dalla Commissione, anche attraverso un dibattito talora anche molto ampio e articolato. La prevalenza dell’iniziativa governativa è stata rafforzata dalla perdurante incidenza della legislazione delegata, che ha veicolato una parte significativa degli interventi realizzati in materia di scuola, università e ricerca e beni culturali e spettacolo.
Queste tendenze appaiono abbastanza chiaramente da un’analisi dell’andamento delle iniziative legislative affrontate in materia di istruzione. In questo campo, l’intervento più significativo è costituito dalla riforma della scuola avviata con la legge 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), che la Commissione ha iniziato a esaminare nel novembre del 2002, per giungere ad esprimere i propri ultimi pareri sui relativi decreti legislativi di attuazione quasi tre anni dopo, nell’ottobre del 2005. Quello della riforma della scuola è stato sicuramente il processo più complesso e discusso della legislatura, realizzato tramite un procedimento articolato, in cui alla legge delega del 2003 hanno fatto seguito sei decreti legislativi attuativi, che hanno ridisciplinato anche nel dettaglio i cicli dell’istruzione scolastica e dell’istruzione e formazione professionale (scuola dell’infanzia, primaria e secondaria) e tutti gli aspetti ad essi connessi (il sistema di valutazione delle istituzioni scolastiche, il diritto-dovere all’istruzione, l’alternanza scuola-lavoro, la formazione degli insegnanti). In relazione al riordino della scuola secondaria, merita segnalare anche i riflessi del riassetto delle competenze legislative tra Stato e regioni conseguente al nuovo Titolo V della Costituzione, in particolare con l’attribuzione alle regioni delle competenze in materia di istruzione e formazione professionale.
In materia di istruzione hanno avuto minore incidenza, rispetto a quanto avviene in altri settori di competenza della Commissione, gli interventi isolati o episodici contenuti in provvedimenti plurisettoriali o in leggi ad hoc. Peraltro, un’eccezione significativa è rappresentata dalle questioni attinenti al personale scolastico, sotto il profilo sia delle procedure di reclutamento sia delle dotazioni organiche, che sono state affrontate principalmente nell’ambito delle manovre finanziarie e in provvedimenti di urgenza.
Non sono invece giunti all’esame dell’Assemblea le altre iniziative di riordino di ambiti normativi o comparti specifici, che pure la Commissione ha avviato talora fin dall’inizio della legislatura e cui è stata dedicata un’attività significativa: in questo senso, si possono ricordare i progetti di legge volti al riordino degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche (A.C. n. 1186 e abbinati, il cui esame è iniziato nel dicembre 2001 e si è protratto, fra alterne vicende, fino al 2005), all’introduzione di nuove norme in materia di parità scolastica (A.C. n. 2113, avviato nel luglio del 2002) e allo stato giuridico degli insegnanti della scuola (A.C. n. 4091 e 4095, avviati nel luglio del 2003).
Parzialmente analogo è il caso dell’università e della ricerca. Anche in questo campo si segnala in primo luogo un significativo intervento di riforma, sia pure non altrettanto esteso come quello condotto nel settore dell’istruzione, oggetto di un intenso confronto politico e realizzato tramite il conferimento di una delega al Governo, seguito dall’attuazione tramite decreto legislativo. Con la legge 4 novembre 2005, n. 230, sono state dettate nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari ed è stata conferita una delega per il riordino del reclutamento dei professori universitari, poi attuata tramite un apposito decreto legislativo, il cui esame da parte della Commissione si è concluso dopo lo scioglimento delle Camere. In questo caso, particolarmente complesso e articolato è stato soprattutto l’esame parlamentare del disegno di legge governativo e delle proposte di legge di iniziativa parlamentare ad esso abbinate, di cui la Commissione aveva iniziato ad occuparsi anche prima della presentazione dello stesso disegno di legge, fin dal giugno del 2002.
Altri interventi significativi, realizzati peraltro tramite decreti legislativi emanati in attuazione di una delega per il generale riordino delle pubbliche amministrazioni, hanno riguardato gli enti di ricerca nazionali, tra cui in primo luogo il Centro nazionale delle ricerche (CNR), l’Agenzia spaziale italiana (ASI) e l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA) (decreti legislativi 4 giugno 2003, n. 127, 4 giugno 2003, n. 128, e 3 settembre 2003, n. 257). Su questi provvedimenti la Commissione è intervenuta con la deliberazione di rilievi alla Commissione parlamentare per la riforma amministrativa, competente in via primaria per l’espressione del parere al Governo.
Non sono poi mancati gli interventi realizzati nell’ambito delle manovre finanziarie (che hanno assunto particolare rilievo in relazione al confronto sulla quantificazione delle risorse finanziarie da destinare all’università e alla ricerca) e quelli settoriali e di “manutenzione legislativa”, contenuti sia in diversi decreti-legge, sia in provvedimenti, di oggetto per lo più fortemente specifico, approvati dalla Commissione in sede legislativa. In questo campo si possono peraltro segnalare almeno un paio di interventi di più ampio impatto legislativo, uno di iniziativa governativa (il riordino del Consiglio universitario nazionale, disposto con la legge 16 gennaio 2006, n. 18), l’altro di iniziativa parlamentare (la regolarizzazione delle iscrizioni ai corsi di diploma universitario e di laurea, prevista dalla legge 19 novembre 2004, n. 288).
Nell’ambito di questa materia, infine, va segnalato che le misure concernenti l’alta formazione artistica, musicale e coreutica si sono incentrate sull’attuazione, tramite regolamenti su cui la Commissione è stata chiamata a rendere il proprio parere, della legge n. 508 del 1999, approvata nella precedente legislatura.
Anche in materia di beni e attività culturali si può registrare un importante intervento di riordino legislativo, costituito dall’emanazione del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), che ha provveduto a una complessiva revisione della disciplina della tutela e valorizzazione dei beni culturali, anche alla luce del nuovo riparto di competenze tra Stato e regioni disposto dal nuovo Titolo V della Costituzione. In questo caso, la norma di delega sulla cui base è stato poi adottato il Codice è stata introdotta con un provvedimento esaminato in via primaria da altra Commissione (la Commissione Affari costituzionali, trattandosi della legge 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici), e i lavori della VII Commissione si sono quindi limitati all’espressione del parere – preceduta peraltro dallo svolgimento di una significativa attività conoscitiva – sullo schema di decreto, cui ha fatto poi seguito l’esame di un decreto correttivo adottato verso la fine della legislatura.
Un’altra iniziativa significativa è stata condotta con riferimento al riordino della disciplina delle attività cinematografiche, realizzato con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, adottato in attuazione della medesima delega conferita dalla legge n. 137 del 2002. Anche in questo caso la Commissione è giunta all’espressione del proprio parere dopo lo svolgimento di una significativa attività conoscitiva. Quanto al riordino della disciplina dello spettacolo dal vivo, che avrebbe dovuto essere complementare rispetto a quello sul cinema, la Commissione ha esaminato per più di tre anni le numerose proposte di legge in materia, tutte di iniziativa parlamentare, giungendo nell’ottobre del 2005 a licenziare un testo unificato per l’Assemblea, ove peraltro si è svolta la sola discussione generale.
Nel settore dei beni e delle attività culturali, oltre alla evidenziata incidenza della legislazione delegata, sono particolarmente numerosi, da una parte i provvedimenti approvati dalla Commissione in sede legislativa, per lo più su iniziativa parlamentare e con il concorso di tutti i gruppi, dall’altra le misure introdotte in provvedimenti plurisettoriali, per lo più su iniziativa governativa, su cui più intenso è stato il confronto. In sede legislativa sono stati approvati numerosi interventi molto specifici, ma non sono mancati provvedimenti di più ampio respiro (si pensi ad esempio alla nuova disciplina del deposito legale di documenti di interesse culturale, di cui alla legge 15 aprile 2004, n. 106, o all’istituzione della Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS, chiamata a svolgere un importante ruolo di sostegno finanziario agli interventi e alle attività in questo campo, disposta con la legge 16 ottobre 2003, n. 291). Quanto agli interventi introdotti in provvedimenti plurisettoriali, si possono in particolare ricordare quelli concernenti i nuovi strumenti di coinvolgimento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali e, soprattutto, le procedure per la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili, spesso strettamente connessi con i diversi provvedimenti di snellimento della gestione del patrimonio immobiliare pubblico e in materia di irregolarità edilizie.
Infine, per quanto riguarda in particolare la materia dello spettacolo, merita sottolineare le difficoltà emerse nel definire compiutamente l’ambito dei rapporti tra Stato e regioni secondo quanto disposto dall’articolo 117 della Costituzione: in proposito, si possono ricordare i diversi decreti-leggi intervenuti per evitare il blocco delle sovvenzioni pubbliche nel settore, in attesa di una generale disciplina di riordino che non è ancora stata definita – è il caso della materia dello spettacolo dal vivo, nel cui esame la questione del ruolo da assegnare alle regioni nelle gestione del Fondo unico per lo spettacolo ha assunto un rilievo primario – ovvero, quando lo è stata, ha dovuto essere successivamente corretta, per adeguarla ai principi costituzionali – è il caso della cinematografia, in cui il citato decreto legislativo n. 28 del 2004 è stato dichiarato parzialmente incostituzionale, e quindi successivamente modificato con un apposito decreto-legge (successivamente decaduto, ma i cui effetti sono stati fatti salvi dalla legge 15 novembre 2005, n. 239). Va peraltro segnalato che, sia pure alla conclusione di un percorso complesso e accidentato, si è infine giunti alla definizione di una normativa sul rapporto tra Stato e regioni in questa materia che sembra aver realizzato un sostanziale accordo tra i soggetti interessati, tramite un opportuno coinvolgimento degli organismi di coordinamento tra Stato, regioni ed enti locali.
Tendenze non dissimili da quelle fin qui illustrate sono emerse, sia pure con gradazioni differenziate, nei residui campi di competenza della Commissione.
Per quanto riguarda il settore dello sport, appare particolarmente accentuata la tendenza alla frammentazione degli interventi legislativi. I provvedimenti di maggior rilievo in questo campo sono per lo più transitati per canali diversi da quello dell’ordinario esame in sede referente da parte della Commissione (in cui peraltro essa ha comunque svolto talora un ruolo significativo): decreti-legge, esaminati a Commissioni riunite o solo in sede consultiva, come per le misure contro la violenza negli stadi (decreti-legge n. 336 del 2001, n. 28 del 2003, n. 115 del 2005 e n. 162 del 2005) e i cosiddetti decreti “salva campionati” o “salva calcio” (n. 282 del 2002 e n. 220 del 2003); manovre finanziarie (in primo luogo, gli interventi per le associazioni e le società sportive dilettantistiche, di cui all’articolo 90 della legge finanziaria per il 2003); legislazione delegata (l’intervento sul CONI realizzato con il decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 81).
Non si possono poi trascurare i numerosi provvedimenti di interesse più settoriale, ma comunque rilevanti, approvati dalla Commissione in modo unanime, per lo più in sede legislativa, come l’istituzione del Museo dello sport (legge 28 novembre 2001, n. 428), quella dell’assegno “Giulio Onesti” per gli sportivi in difficoltà (legge 15 aprile 2003, n. 86), le misure a favore della pratica sportiva dei disabili (legge 15 luglio 2003, n. 189); né l’approvazione, dopo un approfondito esame, svolto anche con un’apposita indagine conoscitiva, di una significativa iniziativa di riordino settoriale, relativo alla sicurezza degli sport invernali (legge 24 dicembre 2003, n. 363). Tuttavia, è stata talora lamentata la mancanza di un punto di sintesi delle varie esigenze, un intervento organico che andasse oltre le emergenze del momento, soprattutto in riferimento alle problematiche determinate in questi anni dall’imponente crescita della rilevanza economica e sociale del fenomeno calcistico.
Va peraltro sottolineato che la difficoltà di un intervento legislativo in questo campo è accresciuta dall’esigenza di salvaguardare la sfera di autonomia dell’ordinamento sportivo. In questo contesto ha quindi assunto un particolare rilievo l’ampia e approfondita indagine conoscitiva sul calcio professionistico svolta dalla Commissione tra il marzo e il luglio del 2004, che ha condotto all’approvazione di un documento conclusivo ampiamente condiviso, in cui venivano indicate alcune possibili strade per affrontare in modo organico le difficoltà del mondo del calcio, e ad una discussione pubblica, in occasione del convegno organizzato per la presentazione del documento conclusivo, che è stata l’occasione per un confronto con tutti i soggetti interessati. È significativo che il documento conclusivo, pur individuando misure specifiche e incisive ritenute opportune e urgenti, si sia incentrato principalmente su una serie di “suggerimenti” ai soggetti esponenziali del mondo dello sport e del calcio (CONI, FIGC, Lega calcio).
Se per quanto riguarda lo sport è risultata più evidente che in altri settori la tendenza alla frammentazione degli interventi legislativi, e sono quindi essenzialmente mancati grandi provvedimenti di riforma di settore, in materia di informazione e editoria si assiste a una tendenza inversa. In questo campo, il maggiore peso specifico lo ha infatti assunto l’intervento di riassetto del sistema radiotelevisivo (la legge 3 maggio 2004, n. 112), che – pur essendo incentrato principalmente sul tema degli assetti di mercato in questo campo – ha avuto un impatto anche sui temi di più stretta competenza della Commissione (l’informazione, i profili culturali e sociali della programmazione televisiva, compreso il tema della tutela dei minori, i riflessi sugli altri media). L’esame del provvedimento, condotto a Commissioni riunite con la IX Commissione Trasporti, è stato caratterizzato da un’ampia attività conoscitiva e ha impegnato il Parlamento dall’ottobre del 2002 all’aprile del 2004 (con un ulteriore passaggio, costituito dall’esame del decreto legislativo recante il Testo unico della radiotelevisione, nel luglio del 2005).
In questo campo, sono poco numerosi gli altri provvedimenti rilevanti divenuti legge, sono per lo più transitati nell’ambito delle manovre finanziarie (come il credito di imposta per l’acquisto della carta da parte delle imprese editoriali, istituito dall’articolo 4, commi 181-186, della legge finanziaria per il 2004 e rinnovato dalla finanziaria successiva, e i correttivi alle provvidenze all’editoria introdotti con i commi 454-465 e 574 della finanziaria 2006). Non hanno invece avuto esito, nonostante l’attenzione ad essi dedicata dalla Commissione, i provvedimenti di riforma settoriale messi in cantiere nel corso della legislatura: in questo senso, vanno segnalati le proposte di legge (di iniziativa parlamentare) volte alla promozione del libro e della lettura (A.C. nn. 3084 e 3525) e, soprattutto, il disegno di legge governativo volto a una generale revisione delle disposizioni in materia di editoria e di diffusione della stampa quotidiana e periodica (A.C. n. 4163), che non è mai giunto alla fase di votazione degli emendamenti in Commissione, e i cui contenuti sono transitati solo in parte nel citato intervento della finanziaria 2006 (e, per quel che concerne le agevolazioni postali, nel decreto-legge n. 353 del 2003).
Infine, merita ricordare gli interventi condotti nella connessa materia della tutela del diritto d’autore. In questo campo, un intervento di ampio respiro si è avuto prima con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68, che ha sottoposto a una generale rivisitazione la disciplina recata dalla legge n. 633 del 1941, poi con il decreto legislativo 13 febbraio 2006, n. 118 (sul diritto d’autore nelle successive vendite delle opere d’arte). In entrambi i casi si è trattato di provvedimenti di attuazione di direttive comunitarie, su cui la Commissione ha espresso un parere al Governo. Un ulteriore intervento rilevante è stato poi realizzato con il decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2004, n. 128, con particolare riferimento alle misure di contrasto alla diffusione telematica abusiva di opere dell'ingegno (la cosiddetta “pirateria informatica”).
Per quanto concerne le disposizioni costituzionali rilevanti in materia scolastica occorre fare riferimento innanzitutto all’articolo 33, secondo comma, Cost., secondo il quale “la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Quanto al riparto di competenze, il secondo comma dell’articolo 117, Cost., rimette alla competenza esclusiva statale la disciplina delle “norme generali sull’istruzione” (lett. n)) e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (lett. m)); il terzo comma del medesimo articolo 117 rimette alla competenza concorrente Stato-Regioni la materia “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”. L’art. 116, terzo comma, infine, prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in materia scolastica possano essere attribuite ad altre regioni con legge dello Stato, approvata a maggioranza assoluta, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata.
Il principale dato interpretativo ricavabile dal suddetto quadro costituzionale sembra essere la necessità che in materia scolastica intervengano, allo stesso tempo e ciascuna all’interno di un proprio ambito di competenza, diverse fonti (legge statale, legge regionale, norme delle singole istituzioni scolastiche), salvo il caso in cui la disciplina possa ritenersi interamente riconducibile alla categoria (i cui confini paiono difficilmente determinabili) delle “norme generali”, nel qual caso si incardinerebbe la potestà esclusiva statale.
Nel corso della legislatura, alcune sentenze della Corte costituzionale hanno provveduto a precisare le competenze di ciascuno dei soggetti coinvolti.
In particolare, con la sentenza 18 dicembre 2003-13 gennaio 2004, n. 13, la Corte ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del comma 3, dell’articolo 22, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002), nella parte in cui non prevede che la competenza del dirigente preposto all'Ufficio scolastico regionale venga meno quando le Regioni, nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione, con legge, attribuiscano a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche. In tale sentenza, la Corte, pur riconoscendo l’illegittimità della disposizione impugnata, “congela” peraltro gli effetti della sua pronuncia, fino al momento della predisposizione da parte delle Regioni degli apparati amministrativi deputati all’esercizio delle funzioni in questione, in difetto dei quali una pronuncia di incostituzionalità ad effetto immediato avrebbe finito – secondo la Corte - per determinare una situazione di incostituzionalità ancora più grave (e cioè una paralisi nel funzionamento del sistema di istruzione pubblica), con conseguente pregiudizio al diritto allo studio.
Tale interpretazione è poi confermata nella sentenza n. 34 del 2005, in cui la Corte ribadisce che, proprio alla luce del fatto che già la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all’art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, è da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita; pertanto il settore della programmazione scolastica è da ascriversi all’esercizio della competenza legislativa concorrente della Regione in materia di istruzione.
Nella successiva sentenza n. 37 del 2005, la Corte provvede a delimitare gli ambiti di autonomia delle istituzioni scolastiche, la quale, “non può in ogni caso risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare”.
Nella sentenza n. 423 del 2004 la Corte ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge n. 350 del 2003 che, nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali, hanno destinato specifiche risorse ad interventi in materia di istruzione e di ricerca, in quanto lesive dell’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni e, dunque, no conformi al nuovo modello di finanza regionale delineato dall’art. 119 della Costituzione. La Corte ha quindi stabilito che “il venir meno del vincolo di scopo comporta che le suddette somme dovranno confluire nei bilanci regionali in maniera indistinta e potranno, pertanto, essere impiegate dalle Regioni stesse secondo autonome scelte di politica sociale” (vedi anche la sentenza n. 308 del 2004 in materia di prestiti fiduciari agli studenti)
In materia di diritto allo studio, la Corte si è espressa sulla legittimità della legge 10 marzo 2000, n. 62, in materia di parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione, adottata nel previgente riparto di competenze tra Stato e Regioni, riconoscendo che tale legge ha dettato un principio, valido per tutte le scuole inserite in detto sistema di istruzione, volto a rendere effettivo il diritto allo studio anche per gli alunni iscritti alle scuole paritarie ed è quindi idonea a porre un vincolo all’esercizio delle competenze regionali (sentenza n. 33 del 2005).
Nella successiva sentenza n. 407 del 2005, la Corte ha poi censurato la disposizione di una legge della Provincia autonoma di Trento che consentiva al personale insegnante temporaneo di svolgere altre attività lavorative senza alcuna limitazione di oggetto, perché in contrasto con la norma statale (articolo 508 del d.lgs. n. 297 del 1994) che consente al personale docente unicamente l'esercizio della libera professione, previa autorizzazione del dirigente scolastico.
Di particolare rilievo, anche se non direttamente connessa al riparto delle competenze, è infine la sentenza n. 322 del 2005, in cui la Corte afferma la possibilità dell’esistenza di una diversa disciplina nel trattamento del personale docente rispetto al personale dirigente e al personale ATA, sulla base della considerazione che “le indicate tipologie di personale versano in una situazione di stato giuridico che non ne consente l'assimilazione in una unica categoria”.
Giova, da ultimo, ricordare che le modifiche previste dalla legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005[12] comportano l’inserimento, tra le materie di esclusiva competenza regionale, dell’organizzazione scolastica e della gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche.
La materia universitaria non è espressamente contemplata dal nuovo art. 117 Cost. Tale materia può essere ricondotta, peraltro, alla materia “norme generali sull’istruzione”, che l’art. 117, secondo comma, lett. n)) della Costituzione demanda alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Occorre considerare, inoltre, che la potestà legislativa statale in materia universitaria può trovare fondamento nell’art. 33 Cost., che riconosce alle università “il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti da leggi dello Stato”.
A tale disposto ha dato attuazione la legge 9 maggio 1989, n. 168[13] (istitutiva del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica), che definisce (art. 6) i profili dell’autonomia, nonché i contenuti essenziali e le modalità di emanazione degli statuti (art. 16), la cui deliberazione è affidata al Senato accademico integrato. Tale articolo ha espressamente escluso lo stato giuridico del personale dalla sfera dell’autonomia statutaria, che rimane riservatoalla normativa statale.
In proposito merita segnalare che nel corso della XIV legislatura il D.L. 7 febbraio 2002, n. 8 (convertito dalla legge 4 aprile 2002, n. 56) ha definito (articolo 4)in modo puntuale i confini dell’autonomia statutaria delle università. La disposizione, in particolare:
· riconduce all’autonomia statutaria degli atenei la disciplina dell’elettorato attivo alle cariche accademiche e della composizione degli organi collegiali;
· stabilisce che l’elettorato passivo per la carica di direttore di dipartimento venga esteso, nel caso di indisponibilità di professori di ruolo di prima fascia, ai professori di seconda fascia.
La disposizione è intervenuta in un contesto contrassegnato da un prolungato e diffuso contenzioso in sede di giustizia amministrativa, incentrato essenzialmente sulla questione della titolarità delle competenze normative in ordine alla disciplina della composizione degli organi universitari e dell’elettorato attivo e passivo. In particolare, mentre molte università avevano adottato, nel corso del tempo, statuti recanti norme relative anche a tali profili, la giurisprudenza amministrativa era ripetutamente intervenuta con censure di illegittimità, evidenziando che tali materie, in quanto attinenti allo stato giuridico del personale, restavano riservate alla competenza normativa statale, non rientrando, quindi, nell’ambito dell’autonomia statutaria delle università.
Con riferimento all’autonomia universitaria, merita segnalare che nel corso dell’esame parlamentare della legge 4 novembre 2005, n. 230 sullo stato giuridico e il reclutamento dei docenti universitari si è sviluppato un ampio dibattito - che ha visto coinvolta anche la Commissione Affari costituzionali in sede di espressione del parere alla Commissione Cultura - in merito alle modalità ed ai limiti entro cui il Ministrodell'istruzione, dell'università e della ricerca può esercitare il proprio potere di indirizzo nei confronti delle università affinché esso si svolga nell’ambito della riserva di legge di cui all'articolo 33, ultimo comma, della Costituzione sopra citata.
Su tale questione si era già espressa la Corte costituzionale (sentenza n. 383 del 1998) nel senso che l'autonomia universitaria, ad avviso della Corte, può essere limitata esclusivamente da fonti di rango legislativo ovvero, qualora intervengano atti di natura secondaria, previa predeterminazione dei criteri generali da parte della fonte di rango primario; tali criteri, secondo la Corte, possono rinvenirsi anche con riferimento all'ordinamento nel suo insieme e non devono essere quindi contenuti nella disposizione specifica istitutiva del potere dell'amministrazione.
Sulla questione dell’autonomia universitaria la Corte è nuovamente intervenuta, in merito ad un diverso profilo, con la sentenza n 102 del 2006, che ha dichiarato l’illegittimità di un comma della legge regionale della Campania n. 13 del 2004 nella parte in cui prevede l’istituzione di scuole di eccellenza e master da parte della regione. La Corte, richiamando l’articolo 33 della Costituzione, riafferma la competenza delle università a definire, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, i propri ordinamenti - che ovviamente ricomprendono le scelte relative all'istituzione dei singoli corsi - e dichiara la norma impugnata lesiva della competenza attribuita all'autonomia universitaria.
Si ricorda che prima della riforma del Titolo V della Costituzione, l’art. 117 non assegnava per la ricerca alcun ruolo alle regioni (né in tal senso sono intervenute la legge 15 marzo 1997, n. 59 o il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112), ad eccezione del settore della ricerca applicata, (art. 1 della legge 16 giugno 1998, n. 191, che ha modificato l’art. 1, comma 6, della legge n. 59 del 1997). La materia “ricerca”, è stata poi inclusa dall’art. 117, terzo comma, Cost., tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente. La legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005 non prevede modifiche rispetto a tale nuovo assetto.
In tale ambito, la Corte ha affermato il divieto che leggi regionali possano modificare leggi statali contenenti principi fondamentali in materia di ricerca, con ciò riducendo la libertà della ricerca scientifica (sentenza n. 166 del 2004).
Nella sentenza n. 423 del 2004 la Corte ha poi delineato l’attuale configurazione del riparto di competenze tra Stato e regioni in materia di ricerca scientifica, riconoscendo innanzitutto che essa possa presentare un interesse regionale in tutte quelle ipotesi in cui la regione intenda dotarsi di mezzi tecnico-scientifici allo scopo specifico di un migliore espletamento delle proprie funzioni.
La ricerca scientifica deve essere comunque considerata, secondo la Corte, non solo una “materia”, ma anche un “valore” costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della Costituzione) ed in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati (cfr. sentenze numeri 259 del 2004 e 407 del 2002). Conseguentemente, la Corte ritiene l’intervento statale ammissibile in relazione alla disciplina delle “istituzioni di alta cultura, università ed accademie”, che hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 33, sesto comma, Cost.) nonché in relazione ad attività di ricerca scientifica strumentale connessa a funzioni statali, allo scopo di assicurarne un migliore espletamento (cfr. sentenza n. 569 del 2000).
A tali competenze si aggiunge la possibilità per lo stato di fissare i principi fondamentali, ma anche di attribuire con legge funzioni amministrative a livello centrale, per esigenze di carattere unitario, e regolarne al tempo stesso l’esercizio, nel rispetto dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (sentenze numeri 6 del 2004 e 303 del 2003). Tale interpretazione è stata poi confermata nella sentenza n. 31 del 2005.
La disciplina dell’istruzione e della formazione professionale non rientra fra le materie in cui, in base ai Trattati, l’Unione europea ha competenza normativa. Peraltro gli articoli 149 e 150 del Trattato che istituisce la Comunità europea attribuiscono all’Unione una competenza generale per la deliberazione di indirizzi ed azioni incentivanti in materia di istruzione e formazione professionale, escludendo esplicitamente “qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.”
L’art. 149 prevede il contributo della Comunità allo sviluppo di un’istruzione di qualità, sostenendo e integrando l’azione degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nel rispetto della loro diversità culturale e linguistica.
L’art. 150 del Trattato prevede l’attuazione di una politica di formazione professionale che rafforzi ed integri le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi quanto al contenuto e all’organizzazione della formazione professionale.
In tale contesto, i Ministri dell'istruzione superiore dei Paesi europei – anche di Paesi che non partecipano all’Unione europea – si sono impegnati nella realizzazione di uno spazio europeo dell'istruzione superiore, integrato con quello della ricerca. Il progetto è stato avviato nel giugno 1999, quando i Ministri dell'istruzione superiore di 29 Paesi europei hanno sottoscritto a Bolognala prima dichiarazione congiunta per la costruzione di uno "spazio europeo dell'istruzione superiore", da attuarsi entro il 2010. Il cosiddetto "Processo di Bologna" non si propone l'armonizzazione dei sistemi di istruzione europei, ma persegue il mantenimento della loro specificità all'interno di una cornice comune; esso ha come obiettivo la realizzazione di un sistema universitario fondato su due cicli di studio, di primo e secondo livello, sul trasferimento dei crediti didattici, sulla mobilità dei docenti e degli studenti, su titoli di semplice leggibilità e immediata comparabilità e sulla valutazione della qualità. Dopo il primo incontro a Bologna nel 1999, i Ministri si sono riuniti a Praga nel 2001, a Berlino nel 2003 e a Bergen nel 2005. Il prossimo incontro si terrà a Londra nel 2007. Attualmente aderiscono al processo di Bologna 45 Paesi europei.
Il Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000, fissando obiettivo di far divenire l’Europa l’economia più competitiva e dinamica del mondo, ha rilevato poi l’esigenza di sfruttare tempestivamente le opportunità offerte dalla nuova economia e in particolare da Internet. L’accordo di Lisbona ha inoltre posto le basi fondamentali per il rilancio dei sistemi di istruzione e formazione indicando alcune priorità: sviluppare l’apprendimento durante tutto l’arco della vita, con particolare attenzione alle fasce più deboli; aumentare gli investimenti pro capite in risorse umane; elevare il livello di istruzione per tutti i giovani ed offrire un’ampia gamma di opportunità formative; definire nuove competenze di base; aumentare la mobilità, anche tramite incentivi appropriati; migliorare l’occupabilità dei giovani, attraverso sistemi di alternanza diffusi, nonché degli adulti, con il sostegno alla formazione continua.
In tale ambito il Consiglio europeo, nella riunione del 5-6 maggio 2003, ha indicato alcuni parametri di riferimento per l’istruzione e la formazione da conseguire entro il 2010. Tra questi figurano: la riduzione degli abbandoni scolastici entro la media del 10%; il completamento del ciclo di istruzione secondaria superiore dall’85% della popolazione giovanile; lo sviluppo dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita
Un quadro generale dello stato attuale dell’istruzione a livello europeo è contenuto nel documento “Uno sguardo all’educazione: Indicatori OCSE – Edizione 2005”, che reca una serie di indicatori comparabili e aggiornati sulle prestazioni dei sistemi d’istruzione dei 30 paesi membri.
Nel contesto sopra delineato è intervenuto il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa[14], il quale definisce (articolo I-3) tra i propri obiettivi il progresso scientifico e tecnologico, il rispetto della diversità culturale e linguistica, la salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio culturale, la tutela dei diritti dei minori. Tra le disposizioni di applicazione generale, l’articolo III-117 - di nuova introduzione - prevede che, nella definizione e nell'attuazione delle proprie politiche, l'Unione tenga conto delle esigenze connesse alla promozione di un livello occupazionale e di una protezione sociale adeguati, della lotta contro l’esclusione sociale, di un livello elevato di istruzione, di formazione e di tutela della salute umana.
Si ricorda, infine, che con Decisione 253/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio è stato istituito “Socrates”, un programma d'azione comunitario, con la finalità di sviluppare un'istruzione di qualità mediante azioni realizzate in cooperazione tra gli Stati membri: mobilità di studenti e docenti all’interno dell’UE; organizzazione di progetti comuni; costituzione di reti europee, predisposizione di studi e analisi comparative. Il programma copre l’arco temporale 1° gennaio 2000 - 31 dicembre 2006 e si articola in otto progetti[15], la cui realizzazione è affidata in ogni paese ad un‘Agenzia nazionale (art.5 della Decisione 253/2000) con finanziamenti in parte erogati dall’UE.
Le azioni di sostegno alla ricerca e sviluppo in ambito comunitario trovano fondamento nel Trattato CE (articoli 163-173), ove sono finalizzate alla crescita della competitività sul piano internazionale. Lo strumento di tali azioni è costituito dal “Programma quadro pluriennale di ricerca e sviluppo tecnologico” (strumento adottato a partire dal 1984) che fissa periodicamente gli obiettivi scientifici e tecnologici da realizzare, indica le linee generali delle azioni volte al conseguimento di tali obiettivi, stabilisce l’importo della partecipazione finanziaria comunitaria. Da ultimo, con Decisione 27 giugno 2002 del Parlamento e del Consiglio (1513/2002/CE) è stato approvato il VI Programma quadro (2002-2006), nell’ambito del quale sono state selezionate sette priorità di ricerca:
· genomica e biotecnologia della salute;
· tecnologie della società dell’informazione;
· nanotecnologie, materiali intelligenti, nuovi processi di produzione;
· aeronautica e spazio;
· sicurezza alimentare e rischi per la salute;
· sviluppo sostenibile e cambiamento globale;
· cittadini e governance nella società europea della conoscenza.
Il programma dispone di una dotazione finanziaria di 16.270 milioni di euro destinati alla realizzazione di progetti (presentati da università, istituti di ricerca, piccole e grandi imprese) che abbiano comunque la caratteristica di coinvolgere più partner di Paesi diversi.
In precedenza, il 18 gennaio 2000 la Commissione europea ha adottato la comunicazione "Verso uno spazio europeo della ricerca", come perno centrale della futura azione comunitaria in questo settore, il cui scopo è contribuire a migliorare il quadro globale della ricerca in Europa.
Il Consiglio europeo di Lisbona ha poi fissato per la Comunità l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo entro il 2010, mentre il Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002 ha individuato come obiettivo il raggiungimento della soglia del 3 per cento del PIL per la spesa in ricerca e sviluppo da parte dell’Unione europea entro il 2010, prevedendo che i due terzi delle risorse da investire in ricerca (pari al 2 per cento del PIL) debbano provenire dal settore privato.
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (articolo III-248), ha quindi introdotto la costituzione di uno spazio europeo della ricerca nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente al fine di rafforzare le sue basi scientifiche e tecnologiche. Ai sensi del Trattato, l'azione dell'Unione mira inoltre a favorire lo sviluppo della sua competitività, inclusa quella della sua industria, e a promuovere le azioni di ricerca ritenute necessarie ai sensi di altri capi della Costituzione. A tale scopo, l'Unione incoraggia le imprese, i centri di ricerca e le università nei loro sforzi di ricerca e di sviluppo tecnologico di alta qualità.
Lo Spazio europeo della ricerca si caratterizza, fra l’altro, per il collegamento in rete dei centri d’eccellenza europei attraverso la creazione di centri virtuali, nonché l’impiego di innovativi mezzi di comunicazione interattivi. Ulteriori elementi sono dati dall’adozione di un approccio comune con riferimento alle esigenze e modalità di finanziamento delle grandi infrastrutture di ricerca in Europa, nonché da un maggior coordinamento nell’attuazione dei programmi di ricerca nazionali ed europei e da un rafforzamento delle relazioni fra i diversi organismi di cooperazione europea.
Inoltre, lo Spazio europeo della ricerca intende promuovere investimenti nel settore attraverso il rafforzamento del settore privato, che presuppone un’efficace protezione della proprietà intellettuale, nonché interventi che favoriscano la creazione di imprese e l’investimento in capitale di rischio. Per quanto concerne le risorse umane, si punta ad accrescere la mobilità dei ricercatori, a realizzare una dimensione europea nelle carriere scientifiche, a sensibilizzare i giovani al fine di stimolarne l’interesse per la ricerca e per le materie scientifiche.
In tale contesto, la Commissione europea ha adottato, l’11 marzo 2005, una raccomandazione (2005/251/CE)riguardante la Carta europea del ricercatore e un Codice di condotta per la loro assunzione.
Il documento parte dal principio che i datori di lavoro o i finanziatori dei ricercatori debbano garantire il rispetto dei requisiti della normativa nazionale pertinente e fornisce agli Stati membri e ai ricercatori uno strumento per intraprendere, su base volontaria, nuove azioni per il miglioramento e il consolidamento delle prospettive professionali dei ricercatori nell’Unione europea e per la creazione di un mercato del lavoro aperto. La raccomandazione intende definire i modi e gli strumenti per contribuire allo sviluppo di un mercato europeo del lavoro attrattivo, aperto e sostenibile per i ricercatori, in cui le condizioni di base consentano di assumere e trattenere ricercatori di elevata qualità in ambienti veramente favorevoli alle prestazioni e alla produttività.
Gli Stati membri devono impegnarsi ad offrire ai ricercatori dei sistemi di sviluppo di carriera sostenibili in tutte le fasi della carriera, indipendentemente dalla loro situazione contrattuale e dal percorso professionale scelto nella R&S, e adoperarsi affinché i ricercatori vengano trattati come professionisti e considerati parte integrante delle istituzioni in cui lavorano.
Il rispetto della Carta consente di garantire che la natura dei rapporti tra i soggetti interessati favorisca esiti positivi per quanto riguarda la produzione, il trasferimento, la condivisione e la diffusione delle conoscenze e dello sviluppo tecnologico, e sia propizia allo sviluppo professionale dei ricercatori.
Per quanto qui interessa, si segnala, con riferimento al reclutamento, che i datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le prestazioni dei ricercatori non risentano dell’instabilità dei contratti di lavoro e dovrebbero pertanto impegnarsi a migliorare la stabilità delle condizioni di lavoro dei ricercatori.
Con riferimento alla didattica, la Carta afferma che l’insegnamento è un mezzo essenziale per strutturare e diffondere le conoscenze e dovrebbe pertanto essere considerato un’opzione valida nel percorso professionale dei ricercatori. I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero accertarsi che i compiti d’insegnamento siano adeguatamente remunerati, siano presi in considerazione nei sistemi di valutazione e che il tempo dedicato dai membri più esperti del personale addetto alla formazione dei ricercatori nella fase iniziale di carriera sia considerato come tempo dedicato ad attività di insegnamento. Si dovrebbe offrire una formazione adeguata per le attività di insegnamento e di mentoring nell’ambito dello sviluppo professionale dei ricercatori.
Infine, relativamente al sistema di valutazione, la Carta raccomanda che i datori di lavoro e/o i finanziatori adottino per tutti i ricercatori, ivi compresi i ricercatori di comprovata esperienza, dei sistemi di valutazione che consentano ad un comitato indipendente di valutare periodicamente e in modo trasparente le loro prestazioni professionali, tenendo in debito conto la creatività complessiva nella ricerca e i risultati ottenuti, ossia le pubblicazioni, i brevetti, la gestione della ricerca, le attività di insegnamento e le conferenze, le attività di supervisione e di mentoring, le collaborazioni nazionali o internazionali, i compiti amministrativi, le attività di sensibilizzazione del pubblico e la mobilità. Tali aspetti dovrebbero essere considerati anche per lo sviluppo della carriera.
Il Codice di condotta mira a favorire il reclutamento, ad individuare procedure più semplici e trasparenti ed a proporre diversi criteri di selezione: il merito non deve essere misurato solo sulla base del numero delle pubblicazioni ma prendendo in considerazione un numero più ampio di criteri, come l’insegnamento, la capacità di coordinare un gruppo di ricerca, il lavoro di gruppo, la capacità di trasferire le conoscenze, le attività manageriali.
Nel corso della legislatura il DPR 11 agosto 2003, n.319 (Regolamento di organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) ha portato a compimento il processo di riordino organizzativo avviato nella precedente legislatura dal d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che agli articoli 49-51 ha previsto l’unificazione in un’unica struttura ministeriale (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) delle funzioni facenti capo ai dicasteri della pubblica istruzione, da un lato, e dell’università e delle ricerca scientifica e tecnologica, dall’altro. Il DPR ha sostitutito il precedente regolamento di organizzazione del Ministero (D.P.R. 6 novembre 2000, n. 347) che viene contestualmente abrogato.
Per quanto concerne l’amministrazione centrale, il provvedimento individua 3 dipartimenti con funzioni di coordinamento e di indirizzo delle strutture di livello dirigenziale generale:
a) Dipartimento per la programmazione ministeriale e per la gestione ministeriale del bilancio, delle risorse umane e dell'informazione, articolato nei seguenti uffici di livello dirigenziale generale:
1. direzione generale studi e programmazione sui sistemi dell'istruzione, dell'università, della ricerca e dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica;
2. direzione generale per la politica finanziaria e per il bilancio;
3. direzione generale per le risorse umane del Ministero, acquisti e affari generali;
4. direzione generale per la comunicazione;
5. direzione generale per i sistemi informativi.
b) Dipartimento per l'istruzione, che si articola nei seguenti uffici di livello dirigenziale generale:
1. direzione generale per gli ordinamenti scolastici;
2. direzione generale per lo studente;
3. direzione generale per l'istruzione post-secondaria e per i rapporti con i sistemi formativi delle regioni e degli enti locali;
4. direzione generale per il personale della scuola;
5. direzione generale per gli affari internazionali dell'istruzione scolastica.
c) Dipartimento per l'università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca, che comprende i seguenti uffici di livello dirigenziale generale:
1. direzione generale per l'università;
2. direzione generale per lo studente e il diritto allo studio;
3. direzione generale per l'alta formazione artistica, musicale e coreutica;
4. direzione generale per le strategie e lo sviluppo dell'internazionalizzazione della ricerca scientifica e tecnologica;
5. direzione generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca.
Per quanto concerne l’amministrazione periferica, il provvedimento conferma l’attuale organizzazione fondata sugli uffici scolastici regionali (di livello dirigenziale generale), che costituiscono un autonomo centro di responsabilità amministrativa, al quale sono assegnate tutte le funzioni già spettanti agli uffici periferici dell'amministrazione della pubblica istruzione, fatte salve le competenze riconosciute alle istituzioni scolastiche autonome a norma delle disposizioni vigenti. Gli uffici scolastici regionali si articolano per funzioni e sul territorio; a tale fine operano a livello provinciale e/o subprovinciale, i centri servizi amministrativi.
Si segnala che tale articolazione dell’amministrazione periferica, secondo quanto emerso in sede di approvazione del prescritto parere parlamentare (Commissione Cultura, 6 novembre 2002), avrebbe carattere transitorio, dal momento che la struttura organizzativa dovrebbe essere riconsiderata alla luce del nuovo assetto del sistema della pubblica istruzione conseguente alla riforma del titolo V della Costituzione.
Per quanto riguarda il settore dell’istruzione, si ricorda che nel corso della XIIl legislatura il d.lgs. 30 giugno 1999, n. 233[16], (adottato ai sensi dell’art. 21 della legge 59/1997, cosidetta ”Bassanini 1”) ha riordinato gli organi collegiali della scuola a livello nazionale e territoriale, riaffermandone la funzione consultiva e di supporto tecnico all'azione dell'amministrazione centrale e periferica, ma riducendo il numero dei componenti. In sostituzione delle strutture già esistenti (Consiglio nazionale della pubblica istruzione, Consigli scolastici provinciali e Consigli scolastici distrettuali) disciplinate dagli artt.16-25 del d.lgs.16 aprile 1994, n.297[17], il d.lgs. 233/1999 ha istituito, a livello centrale, il Consiglio superiore della pubblica istruzione; a livello regionale, i Consigli regionali dell'istruzione; a livello territoriale, i Consigli scolastici locali.La costituzione e l’insediamento di tali organismi, per i quali l’art. 8 del d.lgs. 233/1999 aveva indicato il termine del 1° settembre 2001 (poi prorogato al 31 dicembre 2002[18]), non sono tuttavia avvenuti; ai sensi del medesimo d.lgs. continuano pertanto ad operare gli organi collegiali previsti dal T.U. dell’istruzione. Va ricordato inoltre che per un ulteriore riordino delle strutture sopra citate nel corso della XIV legislatura è stata conferita una nuova delega i cui termini sono scaduti senza che si pervenisse all’adozione di un provvedimento. La legge 6 luglio 2002, n.137[19], infatti, ha delegato il Governo all’adozione di decreti legislativi modificativi o correttivi dei provvedimenti già emanati in materia di organi collegiali di livello nazionale e periferico (art. 7), confermando principi e criteri direttivi indicati dall’art. 21 della legge 59/1997. Il termine per l’esercizio della delega, fissato al 23 gennaio 2004, è stato successivamente prorogato al 29 luglio 2005[20].
Per quanto attiene il settore dell’università, nel corso della legislatura si è provveduto, con la legge16 gennaio 2006, n. 18, al riordino del Consiglio universitario nazionale (CUN).
Com’è noto, l’assetto del CUN era stato delineato dall’articolo 17, comma 102, della legge 15 maggio 1997, n. 127[21], che ha ridefinito il ruolo dell’organo consultivo in relazione al processo di attuazione dell’autonomia universitaria, sviluppatosi con la legislazione intervenuta a partire dalla legge 9 maggio 1989, n.168; quest’ultima ha riconosciuto alle università l’autonomia statutaria, finanziaria e contabile in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione.
In particolare, la legge n. 127 del 1997 ha configurato il CUN quale organo di rappresentanza delle università, attribuendogli competenze consultive e propositive in materia di reclutamento; di definizione dei settori scientifico-disciplinari; di programmazione universitaria nazionale; nonché per quanto concerne la individuazione dei criteri di ripartizione del fondo di riequilibrio del sistema universitario
Il Consiglio, insediato nel dicembre 1997, è stato più volte prorogato; da ultimo la legge di riordino ha previsto che l’’attuale Consiglio resti in carica fino all'insediamento del nuovo organismo delineato dal provvedimento.
Ai sensi della legge n. 18 del 2006, il CUN è l’organo di rappresentanza del sistema universitario. Quanto alla sua composizione, viene ribadita la presenza maggioritaria del corpo docente (un massimo di 14 membri sul totale di 30), eletto in rappresentanza di aree di settori scientifico-disciplinari stabilite dal Ministero. Il presidente è eletto fra i professori ordinari.
È confermato il numero dei rappresentanti degli studenti, pari ad otto, eletti dal Consiglio nazionale degli studenti (CNSU) all’interno dei propri componenti.
Fra le novità del testo, vi è poi la riduzione da quattro a tre del numero dei rappresentanti eletti dal personale tecnico-amministrativo e, al contempo, l’introduzione di un rappresentante dei dirigenti amministrativi designato dal Convegno permanente dei dirigenti amministrativi, volta a dar voce anche alle componenti organizzative e gestionali delle università nonché di un membro designato, tra i propri componenti, dal Coordinamento nazionale delle Conferenze dei presidi di facoltà.
È altresì confermata la presenza di tre membri in rappresentanza della CRUI, mentre è innovativa la previsione che essi non siano eletti, bensì solo designati tra i propri componenti.
Viene consentita l’eleggibilità per un secondo mandato del candidato. Si segnala inoltre che qualora il singolo componente perda o modifichi lo stato di docenza ovvero non faccia più parte della categoria rappresentata si deve provvedere alla sua immediata sostituzione.
Il provvedimento rilegifica alcune norme in materia di elettorato attivo e passivo, nonché di svolgimento delle elezioni del CUN, confermando solo in parte quanto stabilito dal decreto ministeriale n. 278 del 1997[22]. La novità principale è costituita dalla previsione che, nonostante la durata quadriennale della carica di componente del CUN, si tengano elezioni per il rinnovo parziale con cadenza biennale.
Le competenze del CUN restano sostanzialmente invariate; si segnala che è stata reintrodotta la competenza, soppressa dalla legge n. 210 del 1998, ad esprimere un parere obbligatorio (non vincolante) di legittimità sugli atti delle commissioni giudicatrici nelle procedure concorsuali nonché sulle procedure riguardanti la conferma in ruolo[23].
L'articolo 3 della legge - che innova parzialmente le disposizioni contenute al comma 9 dell'articolo 10 della legge n. 341 del 1990[24] - dispone che l’intervento disciplinare nei confronti della docenza continui ad essere effettuato, a livello nazionale, da un Collegio di disciplina eletto dal CUN tra i suoi membri docenti il quale, nella sua azione, deve ispirarsi al principio del contraddittorio.
Infine, è previsto che le elezioni per il rinnovo del CUN siano indette entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame ed è introdotto un meccanismo volto ad assicurare continuità all’attività del CUN, diversificando la durata del primo mandato (sei anni anziché quattro) per la metà dei componenti eletti in rappresentanza delle aree scientifico disciplinari.
Interventi di minore portata hanno riguardato il Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), istituito con DPR 2 dicembre 1997, n. 491, quale l’organo consultivo di rappresentanza degli studenti iscritti ai corsi di diploma, di laurea, di specializzazione e di dottorato.
Ai sensi del regolamento istitutivo, il CNSU era composto da trenta membri: ventotto eletti dagli studenti iscritti ai corsi di diploma e di laurea e alle scuole dirette a fini speciali, e due membri eletti, rispettivamente, dagli iscritti ai corsi di specializzazione e dagli iscritti ai corsi di dottorato di ricerca.
Nel corso della legislatura, l’art. 3-bis del DL n. 105 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 170 del 2003, ha prorogato il CNSU allora in carica fino al 31 dicembre 2003, in considerazione degli adempimenti connessi alla riforma dei percorsi universitari. A seguito delle elezioni, indette con Ordinanza ministeriale 31 luglio 2003, l’attuale Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari è stato costituito con DM 30 aprile 2004; il mandato dei componenti sarebbe venuto a scadenza il 30 aprile 2006; recentemente tuttavia l’art.16 del DL 30 dicembre 2005, n. 273, convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, ha confermato, fino al 30 aprile 2007, i componenti del Consiglio nazionale degli studenti universitari.
Si ricorda infine che legge n. 508 del 21 dicembre 1999[25], recante riforma dell’alta formazione artistico musicale, ha istituito (art. 3) il Consiglio Nazionale per l’Alta formazione artistica e musicale con funzioni consultive e propositive a garanzia dell’autonomia del settore anche rispetto al sistema universitario.
In sede di prima applicazione, la legge ha affidato le competenze del CNAM ad un organismo composto da rappresentanti delle istituzioni artistico musicali, del ministero dell’istruzione università e ricerca e del CUN demandando ad un Decreto ministeriale, da emanare previo parere parlamentare, la definizione della composizione e delle modalità di elezione e di funzionamento del Consiglio. A tale adempimento ha provveduto il D.M. 16 settembre 2005, n. 236; ai sensi di quest’ultimo il CNAM é composto da trentaquattro membri, di cui ventisei eletti in rappresentanza del personale docente e non docente e degli studenti, sei designati dal Ministro e due dal CUN. I componenti sono nominati con decreto del Ministro, durano in carica tre anni e non possono essere riconfermati.
Per quanto riguarda il sistema di istruzione e formazione, la legislatura è stata caratterizzata dall’approvazione della legge 28 marzo 2003, n. 53 (cd “legge Moratti”), che ha dettato una disciplina generale in materia di istruzione, la cui attuazione è rimessa a decreti legislativi; il provvedimento reca inoltre alcune disposizioni immediatamente applicative, concernenti l’iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria e la valutazione dei titoli dei docenti scolastici. Le deleghe conferite al governo riguardano in particolare la definizione del sistema educativo d’istruzione e formazione, articolato in due cicli; la valutazione del sistema educativo; la formazione iniziale dei docenti; l’alternanza scuola-lavoro. In attuazione delle deleghe sopra descritte sono stati adottati i seguenti decreti legislativi (v. scheda Legge Moratti e provvedimenti attuativi):
d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, recante "Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53"; esso disciplina la scuola dell’infanzia, non obbligatoria e di durata triennale, aperta ai bambini che compiono 3 anni di età nell’anno scolastico di riferimento. Il primo ciclo di istruzione dura otto anni, articolati in cinque di scuola primaria e tre di scuola secondaria di primo grado; tale ciclo si conclude con un esame di Stato;
d.lgs. 19 novembre 2004, n. 286, recante "Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, nonché riordino dell'omonimo istituto, a norma degli articoli 1 e 3 della L. 28 marzo 2003, n. 53"; il decreto definisce il Servizio nazionale del sistema di istruzione e formazione con l'obiettivo di valutare l'efficienza e l'efficacia del sistema di istruzione e di istruzione e formazione professionale. Si stabilisce inoltre che al perseguimento degli obiettivi del Servizio nazionale concorrono l'Istituto nazionale di valutazione, come riordinato dal decreto stesso, e le istituzioni scolastiche e formative;
d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76, recante "Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, a norma dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della L. 28 marzo 2003, n. 53"; tale decreto ha ridefinito l'obbligo scolastico di cui all'articolo 34 della Costituzione, nonché l'obbligo formativo, introdotto dall'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni, come diritto all'istruzione e formazione e correlativo dovere. In particolare, il comma 3 dell’articolo 1 prevede che a tutti sia assicurato il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età;
d.lgs. 15 aprile 2005, n. 77, recante "Definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro, a norma dell'articolo 4 della L. 28 marzo 2003, n. 53”; il decreto definisce l’alternanza scuola-lavoro quale modalità di realizzazione della formazione del secondo ciclo nei licei e nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, volta ad assicurare ai giovani l’acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro. La responsabilità del percorso è espressamente attribuita all’istituzione scolastica o formativa. I percorsi in alternanza possono essere svolti anche per una sola parte del periodo formativo; è inoltre ribadito che il diritto-dovere può essere espletato anche attraverso l’apprendistato;
d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, recante "Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della L. 28 marzo 2003, n. 53"; il secondo ciclo di istruzione è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale; il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico, delle scienze umane; i licei artistico, economico e tecnologico si articolano in indirizzi per corrispondere ai diversi fabbisogni formativi; il sistema dell'istruzione e della formazione professionale - la cui competenza è regionale - realizza profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione. E’ assicurata la possibilità di cambiare indirizzo all'interno del sistema dei licei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell'istruzione e della formazione professionale;
d.lgs. 17 ottobre 2005 n. 227, recante "Definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell'accesso all'insegnamento, a norma dell'articolo 5 della L. 28 marzo 2003, n. 53". Il decreto ridisciplina la formazione iniziale, che si svolge presso corsi di laurea magistrale e corsi accademici di secondo livello istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica (AFAM), con numero programmato e sulla base dei posti da coprire. Ai fini dell’accesso ai ruoli i laureati e i diplomati abilitati sono iscritti, sulla base del voto conseguito nell'esame di Stato abilitante, in un apposito Albo regionale Il d.lgs. prefigura poi una nuova procedura concorsuale per la copertura del 50 per cento dei posti in organico, bandita con cadenza almeno triennale secondo le esigenze della programmazione, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.
Con riguardo al finanziamento della legge n. 53 del 2003, si ricorda che l’art. 1, comma 3, della legge 53/2003 prescriveva che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca adottasse un piano programmatico di interventi finanziari, da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei Ministri, previa intesa con la Conferenza unificata. L’art. 7, comma 6, stabiliva, inoltre, che all’attuazione del Piano si provvedesse attraverso stanziamenti iscritti annualmente nelle leggi finanziarie.
Il Piano programmatico è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri in data 12 settembre 2003; su di esso non ha tuttavia espresso il prescritto parere la Conferenza unificata Stato regioni autonomie locali. Il documento valuta l’importo dei finanziamenti necessari per il quinquennio 2004-2008 in 8.320 milioni di euro e stime che; oltre alle somme già iscritte in bilancio ed ammontanti per lo stesso periodo a 4.283 milioni di euro, dovrebbero essere destinati all’attuazione della legge ulteriori 4.037 milioni di euro.
Le leggi finanziarie degli anni successivi hanno poi autorizzato appositi stanziamenti per la realizzazione del Piano: 90 milioni di euro a decorrere dall’anno 2004 (L 350/2003 art.3, comma 92); 110 milioni di euro a decorrere dal 2005 (L.311/2004 art.1, comma 130); 44 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008 (legge 266/2005 art. 1, comma 578).
Per completare il quadro dei finanziamenti, si ricorda che leDirettive ministeriali di riparto del Fondo per l’offerta formativa gli anni dal 2003 al 2006[26] hanno indicato, tra gli obiettivi prioritari da conseguire l’attuazione della riforma degli ordinamenti scolastici (nonché la formazione dei docenti e l’espansione dell’offerta formativa) destinando a tali fini appositi stanziamenti[27].
Si ricorda che l’art 7, co.1, lettera a), della legge n. 53 del 2003 prevede che alla definizione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità interni nell'organizzazione delle discipline si provveda mediante regolamenti di delegificazione da definire, ai sensi e dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
In proposito, il d.lgs. n. 59 del 2004, con riferimento alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo d’istruzione, prevede, in via transitoria, in attesa dell'emanazione del relativo regolamento governativo (articoli 12, 13 e 14) le indicazioni nazionali.
In particolare, sono definite le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati delle attività educative della scuola dell’infanzia (Allegato A);della scuola primaria (Allegato B); della scuola secondaria di I grado (Allegato C); nonché il profilo educativo culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (Allegato D).
Riguardo al secondo ciclo, il d.lgs. n. 226 del 2005 provvede direttamente a individuare il profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione (Allegati A e B) nonché a definire le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati dei percorsi liceali e dei rispettivi indirizzi (allegato C). Partendo dalla premessa della pari dignità dei diversi percorsi di istruzione, sono elencati gli obiettivi generali del processo formativo, gli obiettivi specifici di apprendimento, gli obiettivi formativi e le caratteristiche del portfolio delle competenze[28]. Si specifica inoltre (Allegato C, sezione ”vincoli e risorse”) che i piani di studio personalizzati saranno realizzati all’interno del Piano dell’offerta formativa di ogni istituzione scolastica, predisposto “tenendo conto dei vincoli e delle risorse esplicitati dalla normativa vigente” ed in particolare dai contenuti del decreto legislativo sul secondo ciclo.
Per l’attuazione della legge n. 53 del 2003 sono stati previsti termini differenziati.
In particolare, la riforma della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado sono state avviate gradualmente, a decorrere dall’anno scolastico 2004-2005 (artt. 13 e 14 d.lgs. 59/2004).
Si ricorda, poi, che la legge n. 53 del 2003 ha stabilito che - a regime - possono essere iscritti alla scuola dell'infanzia le bambine e i bambini che compiono i tre anni di età entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento (art. 2, comma 1, lett. e)) e che la disciplina degli anticipi fosse applicata - in via sperimentale e compatibilmente con le risorse finanziarie dei comuni per gli anni scolastici fino al 2005-2006 - ai bambini che avessero compiuto tre anni di età entro il 28 febbraio (art. 7, comma 4). Tale norma transitoria è stata prorogata all'anno scolastico 2006-2007 dall’articolo 6 del DL 30 dicembre 2005, n.273, convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
Quanto alla riforma del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione, gli articoli 25 e 26 del d.lgs. n. 266 del 2005 ne stabiliscono la decorrenza dall’anno scolastico 2007/2008, subordinatamente alla definizione delle tabelle di confluenza dei percorsi previgenti e dei relativi titoli. A tale adempimento si è provveduto con due decreti ministeriali di pari data (28 dicembre 2005) che hanno determinato, rispettivamente, le Tabelle di confluenza dei percorsi e dei titoli relativi al secondo ciclo con quelli dell’ordinamento previgente nonché la quota oraria nazionale obbligatoria riservata alla realizzazione del nucleo fondamentale dei piani di studio; quest’ultima è pari all’80% del monte ore annuale delle singole attività e discipline obbligatorie, mentre il restante 20% è riservato all’autonomia delle istituzioni scolastiche, nell’ambito degli indirizzi definiti dalle regioni.
L’articolo 1-bis del DL 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27, ha adeguato la disciplina delle scuole non statali recata dal D.Lgs 297/1994 (Testo unico in materia di istruzione, Parte II, Titolo VIII) alle disposizioni sulla parità scolastica introdotte dalla legge 62/2000; pertanto le diverse tipologie di scuole non statali previste dal citato d.lgs. sono ricondotte alle duetipologie individuate dalla legge 62/2000 e cioè: scuole paritarie riconosciute e scuole non paritarie (v. scheda Scuole non statali).
L’articolo reca inoltre nuove prescrizioni sulle scuole paritarie, prevedendo, tra l’altro, che la frequenza delle medesime costituisca assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione, di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n.76 e che la parità sia riconosciuta con provvedimento del dirigente dell’ufficio scolastico regionale (invece che dal ministero come disposto dalla citata legge , n. 62 del 2000).
Sono poi qualificate come non paritarie le scuole che svolgono un’attività organizzata di insegnamento ed hanno determinate caratteristiche;esse saranno incluse in apposito elenco e non rilasceranno comunque titoli di studio aventi valore legale.
L'art.1-sexies del medesimo DL n. 250 del 2005 ha trasformato in fondazioni gli istituti di educazione femminile denominati Conservatori della Toscana (disciplinati a suo tempo dal R.D. 23 dicembre 1929, n. 239[29])
Si ricorda che la VII Commissione Cultura ha svolto un ampio dibattito in merito alla riforma degli organi collegiali della scuola (ora disciplinati dagli articoli 5-15 del D.Lgs.297/1994[30]), in occasione dell’esame della proposta di legge A.C. 774 e abb. recante Norme concernenti il governo delle istituzioni scolastiche, il cui testo unificato è stato approvato 15 dicembre 2004. La pdl reca una disciplina complessiva in materia di organi collegiali della scuola e relative competenze; essa menziona il dirigente scolastico, il consiglio della scuola, il collegio dei docenti, gli organi di valutazione collegiale degli alunni, negli organi di autovalutazione dell'attività di istituto, il comitato per la valutazione del servizio dei docenti.
Nel corso della legislatura la Commissione è stata inoltre impegnata nell’esame di varie proposte di riforma dello stato giuridico dei docenti scolastici (AA.CC. 4091, 4095 e 4759). Esse si ponevano l’obiettivo di procedere al rinnovamento dello stato giuridico degli insegnanti della scuola e, in particolare, di introdurre un'articolazione della carriera docente. Era prevista l’istituzione di organismi tecnici rappresentativi della funzione docente (a livello nazionale e regionale) nonché l’istituzione di un albo nazionale dei docenti, suddiviso in sezioni regionali. Si disponeva infine l’abolizione delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) nelle istituzioni scolastiche.
Sul merito del testo si è svolto un ampio dibattito, soprattutto con riferimento al rispetto delle prerogative sindacali e dei vigenti strumenti contrattuali in materia nonché alla possibilità di prevedere per i docenti un’area di contrattazione autonoma.
Alcune pdl di iniziativa parlamentare hanno avuto per oggetto il diritto allo studio e la parità scolastica (Atti Camera n. 495,736, 965, 2113). Il testo base (adottato il 3 marzo 2005) intendeva definire i princìpi fondamentali in materia di diritto allo studio e libertà di scelta del percorso educativo. In particolare il testo attribuiva alla Repubblica il compito di tutelare le iniziative di istruzione e di educazione promosse da enti o associazioni pubblici e privati che corrispondessero agli ordinamenti generali dell’istruzione, secondo i principi dell’art. 33 della Costituzione. In tale ambito si indicavano gli interventi necessari alla realizzazione del diritto allo studio (misure per favorire l’accesso degli studenti ai sussidi didattici; borse di studio per i capaci e meritevoli privi di mezzi; buoni-scuola per la copertura dei costi di iscrizione a scuole paritarie).
L’articolo 22, commi 1-6,della legge 28 dicembre 2001, n.448 (legge finanziaria per il 2002) hadettato una serie di disposizioni relative alle dotazioni e prestazioni orarie del personale docente, accomunate dalla finalità di conseguire economie di spesa nel settore scolastico. In tal modo si intendeva ottenere una riduzione del personale docente (rispetto alle 771.433 unità impiegate nell’anno scolastico 2001-2002) pari a 33.847 unità nella progressione del triennio di riferimento. La norma ha inoltre stabilito i criteri e parametri di carattere generale per la definizione delle dotazioni organiche:
· piena valorizzazione dell’autonomia e migliore qualificazione dei servizi scolastici;
· numero degli alunni iscritti, nonché caratteristiche e consistenza oraria dei curricoli obbligatori;
· rispetto di criteri e priorità connessi alle caratteristiche territoriali, alle condizioni di funzionamento delle singole istituzioni ed agli interventi di sostegno per gli alunni in particolari situazioni, con specifica attenzione alle aree delle zone montane e delle isole minori.
Si prescrive inoltre che la distribuzione degli insegnanti di sostegno all’handicap sia correlata alla effettiva presenza di alunni iscritti portatori di handicap nelle singole istituzioni scolastiche.
Un’ulteriore misura di contenimento del personale docente è stata poi introdotta dall’art. 35, della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003); quest’ultimo ha previsto che le cattedre costituite con orario inferiore all'orario obbligatorio d'insegnamento dei docenti fossero ricondotte a 18 ore settimanali, anche mediante l'individuazione di moduli organizzativi diversi da quelli previsti dai decreti costitutivi delle cattedre.
Su tale questionesi sono svolti numerosi dibattiti presso la VII Commissione Cultura della Camera, in esito ai quali è stata approvata all'unanimità una risoluzione[31] che ha impegnato il governo ad attuare una politica di valorizzazione e qualificazione della scuola pubblica statale, anche adottando iniziative volte all'ampliamento, per l’anno 2004-2005, del numero delle cattedre e degli insegnanti di sostegno.
La legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005) ha poi stabilito, al comma 127 dell’articolo 1, che per l’anno scolastico 2005-2006 la consistenza numerica dell’organico di diritto fosse pari a quella determinata per l’anno 2004-2005. Il successivo comma 128 dell’articolo 1 ha peraltro attribuito l’insegnamento della lingua straniera nella scuola primaria ai docenti della classe ovvero a docenti inclusi nell’organico di istituto in possesso dei requisiti, con l’obiettivo di recuperare per l'insegnamento sul posto comune almeno 7.100 docenti (all’epoca impegnati esclusivamente nella didattica della lingua).
Nel frattempo l’articolo 1-bis del DL 7 aprile 2004, n. 97, convertito con modificazioni dalla legge del 4 giugno 2004, n. 143, ha previsto l’adozione - entro il 31 gennaio 2005 - di un piano pluriennale di nomine a tempo indeterminato, per il triennio 2005-2008.
Non essendo stato definito il suddetto piano in tempo utile per l’inizio dell’anno scolastico 2005-2006, l’articolo 3 del DL 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, ha autorizzato assunzioni a tempo indeterminato di personale docente nonché di personale A.T.A (amministrativo, tecnico ed ausiliario), rispettivamente nel numero di 35.000 e 5.000 unità.
Ai sensi del DL citato, l’assunzione dei docenti sarebbe avvenuta secondo le modalità dettate dall’articolo 399 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297[32]. Quest’ultimo prevede che l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria abbia luogo, per il 50 per cento dei posti mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti.
In attuazione di tale disposizione è intervenuto il DM n. 61 dell’8 luglio 2005. Al decreto sono allegate alcune tabelle analitiche che evidenziano, per ciascuna provincia, la ripartizione - rispettivamente, per la scuola dell'infanzia, per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo e secondo grado - del numero massimo di assunzioni da effettuare, nonché la ripartizione dei posti assegnati a ciascun profilo professionale del personale A.T.A..
Con riferimento alla formazione ed al reclutamento del personale docente, nel corso della legislatura sono stati adottati, da un lato, provvedimenti volti a ridefinire i criteri di formazione delle graduatorie ed a consentire ad alcune categorie di “precari” il conseguimento dell’abilitazione, dall’altro - in attuazione della delega recata dalla cosiddetta “legge Moratti”- con d.lgs. n. 227 del 2005 è stata ridisciplinata la formazione iniziale dei docenti, finora affidata a corsi di laurea per la scuola primaria ed a scuole di specializzazione per le scuole secondarie. Il d.lgs. citato ha altresì modificato la vigente procedura concorsuale (per titoli ed esami) per la copertura del 50 per cento dei posti di ruolo[33].
In particolare, il DL 7 aprile 2004, n. 97, convertito con modificazioni dalla legge del 4 giugno 2004, n. 143, ha modificato i criteri per la determinazione delle graduatorie permanenti, limitatamente all’ultimo scaglione, rivedendo la Tabella di valutazione dei titoli (al riguardo, l’art. 8-nonies del DL 28 aprile 2004 n. 136 convertito dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, ha poi dettato alcune norme di interpretazione autentica, mentre l’articolo 1-novies del DL 31 gennaio 2005, n. 7ha introdotto ulteriori modifiche alla tabella).Il DL n. 97 del 2004 contiene poi alcune disposizioni transitorie, finalizzate a consentire a varie categorie di precari - aventi requisiti di titoli e di servizio ma sprovvisti di abilitazione - di conseguire il titolo di abilitazione all’insegnamento o di idoneità necessario per l'iscrizione nelle graduatorie permanenti attraverso la frequenza di appositi corsi presso le università e le istituzioni dell’Alta formazione musicale e coreutica (AFAM). E’ inoltre stabilito che dall'anno scolastico 2005-2006 l’aggiornamento e le integrazioni delle graduatorie permanenti avvenga con cadenza biennale e la permanenza in queste ultime sia subordinata alla richiesta dell’interessato.
Il provvedimento, in linea generale, intendeva porre rimedio - nelle more dell’attuazione del nuovo sistema di formazione iniziale e reclutamento di cui alla delega recata dll’articolo 5 della legge n. 53 del 2003 (legge Moratti) - ad una situazione di incertezza sulla collocazione nelle graduatorie permanenti di cui all’articolo 401 del TU in materia di istruzione, derivante da un vasto e diffuso contenzioso determinatosi relativamente ai criteri di valutazione, adottati dall’amministrazione, dei titoli in possesso del personale interessato.
In proposito, si ricorda che già il DL 3 luglio 255 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge 333 del 2001, aveva dettato norme di interpretazione autentica delle disposizioni dell’art. 2 della legge n. 124 del 1999; quest’ultima, nella precedente legislatura, aveva definito la disciplina transitoria per la prima integrazione delle graduatorie permanenti che, ai sensi dell'art. 1 della stessa legge, hanno sostituito il concorso per soli titoli previsto, per il reclutamento del 50% del personale da assumere annualmente, dal previgente testo dell'art. 401 del d.lgs. n. 297/1994.
Il decreto-legge, in particolare, ha disposto l'articolazione delle categorie di docenti da includere in graduatoria per "scaglioni" graduati a seconda dei requisiti posseduti e del momento in cui essi sono stati perfezionati, esplicitando a livello primario le modalità per la prima integrazione della graduatoria individuate dal regolamento di attuazione della legge, approvato con D.M. n. 123/2000, e oggetto di censure di legittimità da parte di numerose sentenze di tribunali amministrativi di primo grado. In sostanza, all'interpretazione autentica fornita dal comma 1, consegue la riarticolazione delle graduatorie già disciplinate dall'art. 2 del D.M. n. 123/2000 su tre gruppi così individuati:
§ graduatorie di base: sono quelle costituite, ai sensi dell'art. 401 del testo unico, dai docenti già inseriti nelle graduatorie dei soppressi concorsi per soli titoli;
§ primo scaglione: è costituito dai docenti che alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 1999 era già in possesso dei requisiti per partecipare ai soppressi concorsi per soli titoli;
§ secondo scaglione: è costituito dai docenti che abbiano superato le prove di un precedente concorso per titoli ed esami anche a soli fini abilitativi (come i precedenti) e siano inseriti, alla data di entrata in vigore della legge n. 124/1999, in una graduatoria per l'assunzione del personale non di ruolo. Nel secondo scaglione sono iscritti anche coloro che conseguono l’abilitazione al termine del corso svolto dalle scuole di specializzazione per l’insegnamento nelle scuole secondarie (SSIS).
Al fine di accogliere le rimostranze dei docenti precari, con il DM 40 del 2003, sono stati attribuiti 18 punti ai docenti “precari”. Il predetto decreto ministeriale è stato annullato dal TAR Lazio che ha dichiarato illegittimo il bonus (18 punti) attribuito ai docenti abilitati con procedure concorsuali diverse dai corsi di specializzazione SSIS ed ha rilevato la necessità di una previsione legislativa finalizzata alla valutazione per l'inserimento nelle graduatorie permanenti di elementi che non erano contemplati ai fini della valutazione. Il Consiglio di Stato ha poi confermato la sentenza del TAR (sentenza n. 8499 del 16 dicembre 2003).
Quanto alla disciplina relativa alla formazione degli insegnanti ai fini dell’accesso all’insegnamento, essa è stata ridefinita, come si è detto, dal d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 227, adottato ai sensi dell’art. 5 della legge 53/2003 (v. scheda Legge Moratti e provvedimenti attuativi). Il d.lgs. prefigura una nuova procedura concorsuale per la coperturadel 50 per cento dei posti in organico. La nuova procedura è bandita con cadenza almeno triennale secondo le esigenze della programmazione, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.
La formazione iniziale dei docenti viene affidata a corsi di laurea magistrale e corsi accademici di secondo livello, entrambi a numero programmato - istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica (AFAM) a partire dall’anno accademico 2006-2007. L’individuazione delle classi dei corsi sopra citati, ed i criteri per la definizione del numero programmato sono demandati, rispettivamente, a uno o più decreti del Ministro dell’istruzione e ad un DPCM recante programmazione triennale del fabbisogno di personale docente nelle scuole statali.
La laurea magistrale e il diploma di secondo livello rilasciato dalle istituzioni di alta formazione si conseguono, contemporaneamente all’abilitazione all’insegnamento, previa positiva valutazione del tirocinio, con la discussione della tesi e il superamento di un esame di stato.
Si ricorda, infine, che la legge 18 luglio 2003, n.186, recante norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, ha perseguito l’obiettivo del superamento della condizione di precariato degli insegnanti della religione cattolica, attraverso l'attribuzione dello stato giuridico del personale docente di ruolo dello Stato e la regolarizzazione, con apposite procedure concorsuali, delle modalità di reclutamento. Successivamente, l’articolo 1-ter del DL 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27, ha specificato alcuni aspetti economici connessi all’inquadramento in ruolo degli insegnanti di religione cattolica.
Nel corso della legislatura sono state adottate alcune disposizioni in materia di concorsi per dirigenti scolastici; in particolare l’art. 8-bisdel DL 28 maggio 2004, n. 136, convertito dalla legge 27 luglio 2004, n.186, ha esteso alle procedure concorsuali le riserve di posti a favore dei disabili (legge 68/1999); è stata poi prevista(art. 1-sexies del DL 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43) l’indizione di un corso concorso riservato per i titolari di un incarico di presidenza annuale entro il 2005/2006 ed è stata disposta una sanatoria(art. 1-octies dello stesso DL) per gli idonei al concorso riservato già espletato, a suo tempo ammessi con riserva in assenza dei prescritti requisiti di servizio.
Dalle graduatorie di tale corso concorso, così rideterminate, si è disposto di attingere, fino al loro esaurimento (art 3-bis del DL 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168) per la copertura di posti vacanti all’inizio dell’anno scolastico 2006-2007.
Si ricorda in proposito che il reclutamento dei dirigenti scolastici è stato disciplinato, nella passata legislatura, dall’art. 29 delD.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165[34], il quale ha previsto a tal fine un corso concorso articolato in una selezione per titoli, in un concorso di ammissione, in un periodo di formazione e in un esame finale. Al corso concorso è ammesso il personale docente ed educativo delle istituzioni statali che abbia prestato servizio di ruolo per sette anni; per il primo corso concorso è stata altresì disposta una riserva del 50 per cento di posti a favore di coloro che avessero esercitato per almeno un triennio le funzioni di preside incaricato (cosiddetti triennalisti)[35], previo superamento di uno speciale esame di ammissione. Ulteriori disposizioni per tale procedura riservata sono state poi dettate dall’art. 22, commi 8-10, della legge finanziaria 2002[36], che ha previsto tra l’altro un’indizione a sé stante per il concorso riservato. Quest’ultimo è stato bandito con il citato Decreto dirigenziale del 17 dicembre 2002[37], emanato a seguito dell’autorizzazione all’avvio delle procedure concorsuali per la copertura di 1500 posti disposta con D.P.R. 21 ottobre 2002[38].
Sul reclutamento della dirigenza scolastica sono poi intervenute altre disposizioni, prevedendo che gli incarichi annuali non siano più assegnati (art. 29, co 5, del D.Lgs 165/2001) dopo l'approvazione delle graduatorie dei vincitori del primo corso concorso (ordinario) per dirigenti e che nel frattempo (art. 22, comma 11, della legge finanziaria 2002[39]) siano utilizzate prioritariamente le graduatorie dei candidati, già titolari di incarico di presidenza per tre anni, ammessi al corso concorso riservato per dirigente scolastico[40].
Con DPR 3 luglio 2004 è stata autorizzata l’assunzione di 1500 dirigenti scolastici nonché l’indizione del primo corso concorso ordinario per il reclutamento di altri 1.500 dirigenti scolastici, avvenuta con Decreto dirigenziale del 22 novembre 2004.
L’articolo 1-ter del DL 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge n. 43 del 2005, ha dettato nuove norme per la programmazione e valutazione del sistema universitario a partire dal 2006, procedendo ad una rilegificazione della materia contenuta nel DPR 27 gennaio 1998, n. 25[41], che è stato in parte abrogato.
Ai sensi del DPR n. 25 del 1998, la programmazione si articolava in tre fasi: la determinazione degli obiettivi del sistema universitario nel triennio, con relativa finalizzazione delle risorse finanziarie, la formulazione di proposte da parte delle singole università o di altri soggetti pubblici o privati, l’individuazione con successivo decreto ministeriale delle iniziative da realizzare nel triennio, degli strumenti da attivare e dei criteri di ripartizione delle risorse tra gli atenei. In quest’ultimo decreto doveva tra l’altro prevedersi l’istituzione, la soppressione o la trasformazione di università, nuove facoltà o corsi.
In applicazione di tale procedura, nel corso della legislatura, il DM 3 settembre 2003 ha determinato, da ultimo, gli obiettivi del sistema universitario per il triennio 2004-2006, individuando le seguenti finalità: razionalizzazione, qualificazione e riduzione degli squilibri del sistema universitario; riduzione degli abbandoni e dei tempi per il conseguimento del titolo di studio; potenziamento della rete dell’alta formazione; sviluppo del processo di internazionalizzazione; con DM 5 agosto 2004, n. 262, sono state quindi assegnate le risorse finanziarie relative al triennio. Merita segnalare che l’art.14 di tale ultimo decreto ha stanziato 2.748.500 di euro per il 2005 e 3.748.500 di euro per il 2006 per incentivare le immatricolazioni e le lauree triennali in scienze e tecnologie chimiche;scienze e tecnologie fisiche; scienze matematiche[42].
La nuova disciplina introdotta dal DL n. 7 del 2005 prescrive che le università predispongano annualmente (entro il 30 giugno) piani triennali recanti:
• i corsi di studio da attivare, nel rispetto dei requisiti minimi essenziali in termini di risorse strutturali ed umane, nonché quelli da sopprimere;
• il programma di sviluppo della ricerca scientifica;
• le azioni per il sostegno ed il potenziamento dei servizi e degli interventi a favore degli studenti;
• i programmi di internazionalizzazione;
• il fabbisogno di personale docente e non docente a tempo determinato e indeterminato, ivi compreso il ricorso alla mobilità.
In ordine alla programmazione si dispone inoltre i che programmi siano conformi a linee di indirizzo definite con decreto del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, sentiti la Conferenza dei rettori delle università italiane, il Consiglio universitario nazionale e il Consiglio nazionale degli studenti universitari e che le università tengano conto delle entrate acquisibili autonomamente.
I programmi predisposti dalle università, ad eccezione del profilo relativo al fabbisogno di personale, sono sottoposti alla valutazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e periodicamente monitorati sulla base di parametri indicati dal Ministro con il supporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, e previo parere della Conferenza dei rettori delle università italiane. Sui risultati della valutazione il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca riferisce al Parlamento al termine di ciascun triennio. Dei programmi delle università si tiene conto nella ripartizione del fondo per il finanziamento ordinario delle università.
Con riferimento alla programmazione universitaria, occorre inoltre ricordare che nel corso della XIV legislatura è stata istituita, presso il MIUR, l’Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati (DL 9 maggio 2003, n. 105 convertito dalla legge 11 luglio 2003, n. 170, cui si è data attuazione con DM 30 aprile 2004, n. 9), con le seguenti finalità:
a) valutare l'efficacia e l'efficienza dei processi formativi attraverso il monitoraggio delle carriere degli iscritti ai corsi di studio;
b) promuovere la mobilità nazionale e internazionale degli studenti agevolando le procedure connesse ai riconoscimenti dei crediti formativi acquisiti;
c) fornire elementi di orientamento alle scelte attraverso un quadro informativo sugli esiti occupazionali dei laureati e sui fabbisogni formativi del sistema produttivo e dei servizi;
d) individuare idonei interventi di incentivazione per sollecitare la domanda e lo sviluppo di servizi agli studenti, avendo come riferimento specifiche esigenze disciplinari e territoriali, nonché le diverse tipologie di studenti in ragione del loro impegno temporale negli studi;
e) supportare i processi di accreditamento dell'offerta formativa del sistema nazionale delle istituzioni universitarie;
f) monitorare e sostenere le esperienze formative in àmbito lavorativo degli studenti iscritti, anche ai fini del riconoscimento dei periodi di alternanza studio-lavoro come crediti formativi.
Al fine di raccogliere in un unico contesto tutte le informazioni relative ai corsi di laurea attivati nelle università italiane è stata inoltre istituita la Banca dati dell’offerta formativa, come strumento utile agli studenti per orientarsi nella scelta del corso di studio. Il DM 27 gennaio 2005 ha, da ultimo, dettato le modalità operative della banca dati nonché le modalità per la verifica del possesso dei requisiti minimi da parte dei corsi di studio inseriti nella stessa; tale verifica è condotta con riferimento all’utenza sostenibile, intesa come il numero di studenti del primo anno al quale le università possono garantire le dotazioni indispensabili ai fini dello svolgimento adeguato delle attività formative per la durata normale degli studi.
Riguardo alla valutazione del sistema universitario, si ricorda che con DM 28 luglio 2004 il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha approvato il nuovo Modello di Valutazione del Sistema Universitario predisposto dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNSVU) ai fini della ripartizione di una quota del fondo per il finanziamento ordinario delle università ed ha deciso di applicarlo sperimentalmente per la durata di un triennio a decorrere dall’esercizio finanziario 2004.
Il CNSVU è previsto dall'articolo 2 della legge 19 ottobre 1999, n. 370. Il funzionamento del Comitato è stato disciplinato con DM 4 aprile 2000, n. 178; si tratta di un organo istituzionale del MIUR con il compito, tra l’altro, di fissare i criteri generali per la valutazione delle attività delle università; predisporre una relazione annuale sulla valutazione del sistema universitario; promuovere la sperimentazione e la diffusione di metodologie e pratiche di valutazione; determinare la natura delle informazioni e dei dati che i nuclei di valutazione degli atenei sono tenuti a comunicare; attuare un programma annuale di valutazioni esterne delle università o di singole strutture didattiche.
Il Comitato è un organo indipendente che interagisce autonomamente con le università e il Ministero, dispone di una segreteria tecnico-amministrativa, di un apposito capitolo di spesa nel bilancio del Ministero e può affidare a gruppi di esperti, enti o società specializzate lo svolgimento di ricerche e studi.
Da ultimo, il CNSVU ha presentato il Sesto rapporto annuale sullo stato del sistema universitario il 7 settembre 2005. In tale rapporto l’attenzione si è concentrata sulla domanda e l’offerta di formazione universitaria nonché sulla dotazione di risorse del sistema e sui relativi impieghi.
Nel corso della legislatura sono state presentate alcune proposte legislative volte all’introduzione di un nuovo sistema di valutazione delle università: innanzitutto, nel corsodell’iter parlamentare del ddl di riforma dello stato giuridico dei docenti universitari (ora legge n. 230 del 2005) la Commissione Cultura della Camera aveva introdotto un sistema di valutazione – con l'istituzione di un’Agenzia nazionale di valutazione – ai fini dell’accesso dei professori al livello superiore, secondo procedure e criteri indicati in un apposito regolamento emanato da ciascun ateneo, sulla base di principi generali stabiliti con un decreto del MIUR. A tal fine, si sarebbe istituita, presso le facoltà, una commissione con lo scopo di valutare l'attività didattica, di ricerca e organizzativa di ciascun professore, nonché l'eventuale attività di partecipazione agli organi di governo dell'ateneo. Tale articolo, votato con il sostegno dell’opposizione, è stato poi soppresso nel corso dell’esame in Aula, anche in considerazione del parere negativo della Commissione Bilancio che aveva rilevato possibili nuovi o maggiori oneri non adeguatamente quantificati né coperti.
Successivamente, il ddl finanziaria per il 2006 (AS 3616) aveva previsto, all’articolo 62, l’istituzione del Consiglio nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca per l’espletamento dei compiti sinora affidati al Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario ed al Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca. L’articolo citato prevedeva che il Consiglio si componesse di 15 membri - anche stranieri - qualificati nel campo della valutazione e provenienti da diversi ambiti metodologici, nominati con DPCM su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Ad un decreto del Ministro, non avente valore regolamentare, era demandata la disciplina del funzionamento dell’organismo. L’articolo è stato peraltro stralciato dal testo del ddl finanziaria ed è divenuto ddl A.S. 3613-quinquies “Disposizioni concernenti il sistema nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca scientifica”.
Nel corso della XIV legislatura si è dato seguito alla riforma degli ordinamenti didattici già avviata nella legislatura precedente; in particolare il DM 22 ottobre 2004, n. 270, ha sostituito il DM 3 novembre 1999, n. 509,(Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei), senza peraltro compromettere l’architettura di sistema riassumibile nella formula del cosiddetto “3 + 2”.
Il DM n. 509 del 1999 aveva dato attuazione all’articolo 17, co. 95,della legge 15 maggio 1997, n. 127, il quale aveva posto le basi della riforma degli ordinamenti didattici (v. scheda Ordinamenti didattici universitari) e della tipologia dei corsi, riconoscendo ai singoli atenei l’autonomia nella definizione dei percorsi formativi, secondo criteri generali definiti con uno o più decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica (ora MIUR), sentiti il Consiglio universitario nazionale e le Commissioni parlamentari competenti. La riforma intendeva, tra l’altro, avvicinare il sistema italiano di istruzione superiore al modello europeo delineato dalle dichiarazioni europee della Sorbona e di Bologna[43]. Tali accordi si proponevano di costruire, entro il primo decennio del 2000, uno spazio europeo dell'istruzione superiore, articolato essenzialmente su due cicli o livelli principali di studio (cosiddetto 3+2) e finalizzato a realizzare la mobilità internazionale degli studenti e la libera circolazione dei professionisti attraverso il riconoscimento internazionale dei titoli di studio.
Il regolamento definisce i punti cardine della riforma dettando i criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari e determinando la nuova articolazione dei corsi e dei titoli di studio:
Sono inoltre previsti i seguenti titoli di studio:
I corsi di studio dello stesso livello, comunque denominati dagli atenei, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative sono raggruppati in classi di appartenenza. I titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale, e sono corredati (innovazione introdotta dal DM n. 270/2004) dal supplemento di diploma (di laurea) contenente le indicazioni relative al curriculum di ciascuno studente. E’ inoltre prevista la possibilità, ai soli fini dell'accesso a specifiche posizioni funzionali del pubblico impiego, di dichiarare equipollenze fra titoli accademici dello stesso livello afferenti a più classi.
L’istituzione dei corsi di studio è rimessa ai regolamenti didattici di ateneo - i cui contenuti principali sono indicati dal decreto - ed alle disposizioni vigenti sulla programmazione del sistema universitario, subordinatamente al rispetto di requisiti strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti dei corsi determinati con decreto del Ministro, previa relazione favorevole del Nucleo di valutazione dell’università. Viene inoltre introdotto l’obbligo di inserire i nuovi corsi nella banca dati dell’offerta formativa del Ministero, sulla base di criteri stabiliti con apposito decreto ministeriale.
In relazione alla riforma dei criteri generali per gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea disposta con il DM n. 270/2004, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha istituito con DM 11 ottobre 2004 una serie di Tavoli tecnici (composti dai presidenti delle conferenze dei presidi delle facoltà interessate e dai presidenti degli ordini professionali) per la revisione delle classi delle lauree e della lauree specialistiche ora “magistrali”; nonché per l’elaborazione di modifiche ed aggiornamenti degli obiettivi e delle attività formative qualificanti dei corsi di studio (secondo quanto previsto, in particolare dall’art.10 del DM n. 270/2004).
Si ricorda che nella scorsa legislatura, con D.M. 4 agosto 2000 sono state determinate in 42 le classi delle lauree universitarie (di primo livello) di durata triennale; il D.M. 28 novembre 2000 ha quindi determinato in 104 le classi di appartenenza dei corsi di laurea specialistica (ora magistrale). Il riordino dei percorsi universitari è stato completato definitivamente nel 2001 con la definizione di 4 classi di corsi di laurea e 4 classi di laurea specialistica (ora “magistrale) per le professioni sanitarie[44] nonché delle classi delle lauree per il settore delle scienze della difesa e della sicurezza[45]
Gli schemi di quattro decreti ministeriali recanti revisioni delle classi sopra citate sono stati trasmessi alle Camere nel febbraio 2006 e, dopo l’espressione del parere da parte delle commissioni parlamentari competenti, sono attualmente in corso di emanazione; tali decreti hanno per oggetto rispettivamente:
• definizione delle classi di laurea (il cui numero è rideterminato in 44);
• definizione delle classi di laurea magistrale (il cui numero è rideterminato in 94);
• definizione delle classi delle lauree magistrali sanitarie.
• definizione delle classi di laurea in scienze criminologiche e della sicurezza e di laurea magistrale in scienze criminologiche applicate all’investigazione e alla sicurezza.
L’avvio dei nuovi percorsi - i cui ordinamenti didattici saranno disciplinati dai regolamenti didattici di ateneo - è previsto a partire dall’anno accademico 2006/2007 e non oltre l’anno accademico 2007/2008. Sull’eventuale avvio dei corsi a partire dall’anno accademico 2006/2007, la CRUI ha espresso alcune perplessità soprattutto con riferimento ai tempi necessari per l’inserimento dei nuovi ordinamenti nella banca dati dell’offerta formativa.
Si ricorda peraltro che una prima attuazione alle innovazioni introdotte dal DM 270/2004 (art.6, comma 3) è stata la definizione di una classe di laurea magistrale a ciclo unico per le professioni legali (DM 25 novembre 2005[46]).
Un'altra importante modifica ai percorsi universitari discende dalla nuova disciplina della formazione iniziale degli insegnanti recata dal D.Lgs. 227/2005[47], emanato ai sensi dell’articolo 5 della legge 28 marzo 2003, n. 53: Il D.Lgs dispone infatti (articolo 2) che la formazione iniziale si svolga presso appositi corsi di laurea magistrale[48] e corsi accademici di secondo livello istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica (AFAM[49]).
Si ricorda, infine, che il DM 5 maggio 2004 ha equiparato i diplomi di laurea (DL) secondo il vecchio ordinamento alle nuove classi delle lauree specialistiche (LS), ora magistrali (LM), ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici.
L’articolo 26, comma 5 della legge n. 289/2002 (finanziaria per il 2003) ha rimesso ad un decreto del Ministro dell'istruzione università e ricerca, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie la definizione dei criteri e delle procedure per l’accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni autorizzate al rilascio dei relativi titoli accademici. La norma indicava altresì i requisiti necessari (possesso di adeguate risorse ed attrezzature tecnologiche) e specificava che non vi dovessero essere oneri per lo Stato.
Il DM 17 aprile 2003 ha poi specificato i requisiti e la procedura per l’accreditamento di corsi di studio a distanza (attivati da università statali e non) nonché delle “Università telematiche” (denominazione introdotta dallo stesso DM). Il DM prevede tra l’altro che:
· il decreto ministeriale di accreditamento approvi contestualmente lo statuto (in caso di università telematiche);
· i corsi di studio siano disciplinati secondo gli ordinamenti didattici vigenti ed i titoli rilasciati abbiano valore legale;
· docenti e ricercatori a tempo indeterminato siano reclutati secondo le modalità di cui alla legge 210/1998[50];
· le Università telematiche debbano dotarsi di un Nucleo di valutazione interna (art.1 commi 1 e 2 della legge 370/1999 richiamata sopra) e siano sottoposte alle norme vigenti per la valutazione del sistema universitario[51].
Il DL 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, ha quindi incluso anche le università telematiche tra i soggetti beneficiari dei contributi a favore delle università non statali (art.4), il cui ammontare è stabilito annualmente con la tabella C della legge finanziaria.
Il DM 15 aprile 2005 ha poi adeguato il DM 17 aprile 2003 alla normativa recata dal D.L. n. 7 del 2005, prevedendo, tra l’altro, il parere motivato del CNSVU in ordine alle istanze per l'accreditamento dei corsi di studio a distanza, formulate nel rispetto delle linee generali di indirizzo del MIUR previsti dal citato decreto-legge.
La 7a Commissione Istruzione del Senato ha approvato il 6 ottobre 2004, all’unanimità, una risoluzione in merito all’affare assegnato su questioni afferenti il sistema universitario italiano (Doc. XIV/23, Senato, Risoluzione sistema universitario italiano approvata dalla 7° Commissione il 6 ottobre 2004 )
Punto di partenza della discussione in Commissione è stata la condivisione da parte di tutte le forze politiche della criticità della situazione di fatto del sistema universitario e della necessità di un intervento legislativo che abbia carattere complessivo e sistematico.
Altro punto condiviso è quello relativo alla garanzia della funzione pubblica dell’istruzione universitaria che, ad avviso della Commissione, implica potenziamento delle università statali all’interno di un sistema complessivo che veda l’intervento di istituzioni universitarie non statali e favorisca un’intensa sinergia tra pubblico e privato, comprendendo in questo anche le organizzazioni del mondo produttivo, specie in ambito di potenziamento della ricerca, ma altresì di modernizzazione dei processi di formazione culturale e professionale.
In tale direzione, la risoluzione conclusiva approvata dalla Commissione ribadisce il valore dell’autonomia universitaria, intesa non solo in senso normativo ma anche gestionale. Essa assegna poi molta importanza a interventi sulle forme e i criteri del governo del sistema, la cosiddetta “governance”, sulle forme e i criteri della valutazione delle parti del sistema e del sistema nel suo insieme, sulla riconsiderazione e il potenziamento del diritto allo studio, fino a configurare un vero e proprio Statuto degli studenti.
Con riferimento al reclutamento ed allo stato giuridico dei docenti, un significativo intervento di riforma, oggetto di una forte contrapposizione politica è stato realizzato tramite il conferimento di una delega al governo. Con la legge 4 novembre 2005, n. 230, sono state dettate nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari ed è stata conferita una delega al governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari, poi attuata tramite un apposito decreto legislativo, il cui esame da parte della Commissione si è concluso dopo lo scioglimento delle Camere (v. scheda Stato giuridico docenti)
L’esame parlamentare del disegno di legge governativo e delle numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare ad esso abbinate, tra cui merita in particolare ricordare le proposte volte all’istituzione della terza fascia dei docenti universitari, si è concluso con la posizione della questione di fiducia da parte del governo su un emendamento interamente sostitutivo del testo.
Il provvedimento definisce innanzitutto i principi generali del sistema universitario - che coniuga attività didattica e attività di ricerca e si ispira ai principi di autonomia universitaria e responsabilità - nel quadro degli indirizzi fissati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Sono quindi dettati i diritti ed i doveri dei professori universitari, i cui corsi di insegnamento si svolgono nel rispetto della programmazione universitaria .
Per quanto riguarda il reclutamento dei docenti, la delega stabilisce in maniera dettagliata principi e criteri direttivi:
§ sono previste procedure finalizzate al conseguimento dell’idoneità scientifica nazionale – di durata non superiore a quattro anni – bandite annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per ciascuna fascia (ordinari e associati) e per settori scientifico-disciplinari;
§ il numero dei soggetti che possono conseguire tale idoneità è pari al fabbisogno delle università, incrementato di una quota non superiore al 40 per cento; l’idoneità non comporta diritto all’accesso alla docenza;
§ i giudizi idoneativi si svolgono presso le università, che sostengono anche gli oneri relativi alle commissioni di valutazione;
Merita peraltro segnalare che la legge contiene disposizioni transitorie relative al personale in servizio, che prevedono riserve di posti a favore di alcune categorie. In particolare, nei giudizi per professore ordinario, una quota pari al 25 per cento aggiuntiva è riservata ai professori associati con un’anzianità di servizio non inferiore a quindici anni, maturata nel settore scientifico-disciplinare di riferimento; è inoltre stabilito che, nelle prime due tornate, l’incremento del numero di soggetti che possono conseguire l’idoneità scientifica rispetto al fabbisogno è pari al 100 per cento; nelle prime quattro tornate dei giudizi per i professori associati è riservata una quota del 15 per cento aggiuntiva ai professori incaricati stabilizzati, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai ricercatori confermati che abbiano svolto almeno tre anni di insegnamento nei corsi di studio universitari. Una ulteriore quota dell’1 per cento è riservata ai tecnici laureati in possesso di determinati requisiti; inoltre, in tali tornate l’incremento del numero di soggetti che possono conseguire l’idoneità scientifica rispetto al fabbisogno è pari al 100 per cento.
Sono quindi fatte salve le procedure di valutazione comparative già bandite alla data di entrata in vigore del decreto di attuazione della legge, mentre i canditati in possesso dell’idoneità la conservano per cinque anni dal conseguimento.
Sono altresì stabilite nuove procedure di reclutamento dei ricercatori mediante contratti di lavoro a tempo determinato. Anche in tale ambito è prevista una norma transitoria che consente la copertura dei posti di ricercatore a tempo indeterminato - mediante le procedure concorsuali previste dalla legge 3 luglio 1998, n. 210[52] - fino al 30 settembre 2013, per i quali si dispone la valutazione di alcuni titoli preferenziali (dottorato di ricerca, assegni e contratti di ricerca, borse post-dottorato).
La legge introduce - o conferma - inoltre alcune modalità alternative di reclutamento per docenti e ricercatori:
§ chiamata diretta di studiosi stranieri o italiani impiegati all’estero ovvero chiamata di studiosi di chiara fama;
§ incarichi di insegnamento gratuiti o retribuiti, anche pluriennali, sulla base di procedure disciplinate dai regolamenti universitari che assicurino la valutazione comparativa dei candidati;
§ istituzione temporanea, per periodi non superiori a sei anni, sulla base di convenzioni con imprese o fondazioni finalizzate a specifici programmi di ricerca e con oneri finanziari a carico dei medesimi soggetti, di posti di professore straordinario;
§ rapporti di lavoro subordinato tramite contratti di diritto privato a tempo determinato di durata triennale rinnovabili per una durata complessiva di sei anni, sulla base di procedure disciplinate dai regolamenti universitari che assicurino la valutazione comparativa dei candidati.
Ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati che hanno svolto tre anni di insegnamento nonché ai professori incaricati stabilizzati è attribuito il titolo di professore aggregato, qualora ad essi siano affidati corsi e moduli curriculari e solo per il periodo di durata degli stessi; ai medesimi possono essere altresì affidati compiti di tutorato e di didattica integrativa.
Il provvedimento introduce inoltre forme di convenzionamento con imprese o fondazioni, con oneri finanziari posti a carico delle medesime, per realizzare programmi di ricerca affidati a professori universitari, con la possibilità di prevedere compensi aggiuntivi per questi ultimi.
Non viene eliminata, com’era invece previsto nel testo presentato dal governo, la distinzione tra tempo pieno e tempo definito. Ai professori a tempo pieno è attribuita una eventuale retribuzione aggiuntiva in relazione agli impegni ulteriori di attività di ricerca, didattica e gestionale, oggetto di specifico incarico, nonché in relazione ai risultati conseguiti.
In attuazione della legge n. 230/2005 è stato emanato, dopo il prescritto parere parlamentare, il d.lgs. 6 aprile 2006, n. 164, recante Riordino della disciplina sul reclutamento dei professori universitari. Il provvedimento, ricalcando sostanzialmente quanto previsto dalla legge delega,disciplina l’idoneità scientifica nazionale, la cui durata è stabilita in quattro anni. Le procedure concorsuali sono bandite, entro il 30 giugno di ciascun anno, con decreto del Ministro per ciascun settore e distintamente per le fasce dei professori ordinari e associati e sono volte ad accertare il possesso della piena maturità scientifica per la fascia dei professori ordinari e della maturità scientifica per la fascia dei professori associati. E’ ribadito che l’idoneità non comporta il diritto all’accesso al ruolo dei professori universitari.
Con riferimento allo stato giuridico ed al trattamento economico del personale universitario, si segnalano inoltre i seguenti provvedimenti:
§ la legge 24 maggio 2002, n. 103, in materia di docenti di scuole e università straniere operanti in Italia, autorizza l’ingresso in Italia, anche in deroga alle quote massime dei flussi definite annualmente ai sensi della normativa vigente, dei docenti con contratto di lavoro presso le istituzioni scolastiche straniere nonché dei docenti con contratto di lavoro o di collaborazione coordinata e continuativa presso le filiazioni in Italia di università o istituti superiori di insegnamento a livello universitario stranieri, subordinatamente al possesso di determinati requisiti;
§ nell’ambito degli interventi che nel corso della legislatura hanno previsto il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato per il pubblico impiego, ai fini del contenimento della spesa pubblica, le deroghe relative, per l’anno 2004, ai ricercatori di università ed enti ricerca nonché la possibilità per le università, gli enti di ricerca di effettuare assunzioni nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa annua lorda a regime pari a 280 milioni di euro (art. 3, commi 53-56, legge 24 dicembre 2003, n. 350, legge finanziaria per il 2004);
§ il DL 14 gennaio 2004, n. 2, convertito dalla legge 5 marzo 2004, n. 63 equipara (art. 1) il trattamento economico degli ex lettori di madre lingua straniera, oggi collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, presso talune Università (Basilicata, Milano, Palermo, Pisa, Roma “la Sapienza” e Napoli “l’Orientale”) a quello dei ricercatori universitari confermati a tempo definito. Tale equiparazione è disposta ai soli fini del trattamento economico, escludendo l’esercizio di qualsiasi funzione docente. Con questo provvedimento l’Italia ha inteso dare esecuzione alla sentenza del 26 giugno 2001 della Corte di Giustizia europea in materia di principi sulla libera circolazione dei lavoratori e sulla parità di trattamento sanciti dal Trattato istitutivo della Comunità europea. Il provvedimento dichiara, inoltre, l’equipollenza tra titoli di laurea e laurea specialistica conseguiti nell'area delle materie giuridiche presso istituzioni universitarie di carattere internazionale operanti in Italia che siano riconosciute di particolare rilevanza scientifica sul piano internazionaleed icorrispondenti titoli accademici delle università italiane;
§ l'articolo 5 del DL 7 aprile 2004, n. 97, (convertito dalla legge 4 giugno 2004, n. 143)ha neutralizzato per l’anno 2004, in attesa di una riforma organica del sistema di programmazione, valutazione e finanziamento delle università, gli effetti relativi agli incrementi retributivi derivanti, a partire dall’anno 2002, dagli adeguamenti per il personale non contrattualizzato[53] (docenti e ricercatori) e dall’applicazione dei C.C.N.L. del personale tecnico e amministrativo, ai fini della determinazione del limite del 90 per cento previsto dall’articolo 51, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, quale livello massimo di spesa per il personale sul totale dei trasferimenti statali disposti annualmente attraverso il fondo di finanziamento ordinario. Tale norma è stata da ultimo prorogata al 31 dicembre 2006 dal DL 30 dicembre 2005, n. 273, convertito dalla legge 51/2006 (articolo 8);
§ la legge 30 dicembre 2004, n. 311, (legge finanziaria 2005) ha poi previsto (art. 1, comma 105) che, a decorrere dall'anno 2005, le università adottino programmi triennali del fabbisogno di personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, a tempo determinato e indeterminato, tenuto conto delle risorse a tal fine stanziate nei rispettivi bilanci previa valutazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai fini della coerenza economica;
§ il DL. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla 31 marzo 2005, n. 43, oltre a contenere le modalità per la trasmissione dei citati programmi relativi al fabbisogno triennale di personale, ha incrementato la misura degli stipendi dei ricercatori fino al 70 per cento di quello degli associati dopo un anno di servizio ed ha limitato ad un solo idoneo per ogni posto bandito la proposta della commissione giudicatrice nelle procedure di valutazione comparativa per posti di professore ordinario e associato (art.1).
L'art. 28 del d.lgs. n. 226 del 2005, emanato ai sensi della legge n. 53 del 2003 (cosiddetta “Legge Moratti”) e recante le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione,ha recentemente disposto, a partire dall'anno scolastico 2006/2007, la gratuità dell’istruzione impartita nei primi tre anni degli istituti di istruzione secondaria superiore e dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale; relativamente ai percorsi citati non sono previste pertanto tasse di iscrizione e frequenza, mentre per gli anni successivi continua ad applicarsi l’eventuale esonero in base ai limiti di reddito.
Un contributo particolare alle famiglie (c.d. “buono scuola”) è stato poi previsto per la frequenza delle scuole paritarie: la legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002, articolo 2, comma 7) ha infatti autorizzato a tal fine la spesa di 30 milioni di euro, per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2003 al 2005. L’individuazione di un limite di reddito per l’accesso al beneficio, introdotta dalla legge finanziaria 2004 (legge n 350 del 2003, art. 3, comma 94), è stata abrogata dal DL n. 35 del 2005 convertito dalla legge n 80 del 2005 (art 14, comma 8-bis).
Va ricordato infine che la legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003, art. 3, comma111) ha finalizzato una quota del Fondo per le politiche sociali (per l’importo massimo di 100 milioni di euro negli esercizi 2004-2006) all’erogazione del “buono scuola”; la norma è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza n.423 del 2004 in quanto lesiva dell’autonomia finanziaria delle regioni.
Nel corso della legislatura la riforma del sistema dell’istruzione scolastica e professionale, delineata della legge delega28 marzo 2003, n. 53 (cosidetta “Legge Moratti”) e dai successivi provvedimenti di attuazione, ha confermato sostanzialmente la disciplina vigente in materia di integrazione scolastica, recata da alcuni articoli della legge quadro sull’handicap (legge n. 104 del 1992), poi confluiti nel cosiddetto “Testo unico dell’istruzione” (d.lgs.. 16 aprile 1994, n. 297). Strumenti principali di tale integrazione, oltre alla fornitura degli ausili tecnici necessari, sono: un progetto educativo individualizzato, il supporto di insegnanti specializzati (cosiddetti “insegnanti di sostegno”); la limitazione del numero di alunni nelle classi che ospitano alunni diversamente abili.
In particolare, la legge 53/2003 indica tra i criteri direttivi dei decreti di attuazione (art. 2) l’adozione di misure di integrazione delle persone con handicap.
Il d.lgs. n. 59 del 2004, recante disciplina della scuola dell'infanzia e del primo ciclo dell'istruzione (comprendente la scuola primaria e secondaria di I grado), indica tra le finalità della scuola primaria (art. 5) la valorizzazione delle “diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilità” e fa proprie, più in generale, le prescrizioni della legge quadro sull’handicap (art. 19).
La Circolare ministeriale 3 dicembre 2004 n. 85, recante prime indicazioni per la valutazione e la certificazione delle competenze nella scuola primaria e nella scuola secondaria di I grado, specifica (punto d)) che per la valutazione degli alunni disabili continuano ad applicarsi le norme previste dall'articolo 318 del d.lgs. 297/1994 - Testo Unico dell’istruzione[54].
Il d.lgs. n.226 del 2005, recante definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione fa esplicitamente salvi gli interventi previsti dalla legge quadro sull’ handicap (art. 31) e successive modificazioni
Il d.lgs. n. 76 del 2005, concernente la definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, dispone (art. 1) che l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo[55] sono ridefiniti per una durata minima di12 anni - o almeno fino al conseguimento di una qualifica almeno triennale entro il 18mo anno di età - e precisa che tale diritto si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione o nell’apprendistato, specifica (art. 1, comma7) che la Repubblica individua interventi adeguati per l’integrazione delle persone con handicap nel sistema educativo e formativo.
Il D. Lgs.77/2005 recante definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro da realizzare nel secondo ciclo dell’istruzione (ai sensi dell’art. 4 della legge 53/2003)[56], prescrive (art. 4, comma 5) l’individuazione di percorsi lavorativi dimensionati per i disabili e fa riferimento (art. 6, comma 3) alle modalità particolari per la valutazione e la certificazione delle competenze acquisite previste dalla citata legge legge quadro sull’handicap.
Alcune disposizioni innovative in materia di accertamento dell’handicap sono state introdotte nell’ambito di misure volte alla razionalizzazione della rete scolastica ed al contenimento della spesa per i docenti di sostegno: la legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003, art. 35, co.7) ha infatti ridefinito la modalità per la valutazione dell’handicap, affidandola ad una verifica collegiale delle ASL (anziché all’esame dello specialista della patologia denunciata ovvero dello psicologo in servizio presso le aziende sanitarie); contestualmente la norma ha attribuito l'attivazione dei posti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni (uno a 138, ai sensi dell'art. 40 della legge n. 449 del 1997) al dirigente dell’ufficio scolastico regionale, anziché al dirigente scolastico.
Per la determinazione dei nuovi criteri la norma rinviava ad apposito DPCM. Il provvedimento in questione, il cui schema è stato esaminato dalle commissioni parlamentari nell’ottobre 2005, non risulta ancora emanato; esso peraltro ribadisce la collegialità dell’accertamento e fa riferimento, per l’indicazione della patologia, alle classificazioni adottate dall’Organizzazione mondiale della sanità; viene specificato inoltre che l’istituzione di posti di sostegno in deroga sarà autorizzata solo in situazioni di particolare gravità attestate dal verbale medico.
Si ricorda, infine, che la legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003, art. 3, commi 116 e 117) aveva destinato all’integrazione scolastica 40 milioni di euro, costituenti una partedelle risorse aggiuntive attribuite al Fondo nazionale delle politiche sociali per il 2004. La Corte Costituzionale (sentenza n. 423 del 2004) ha tuttavia ritenuto non compatibile con il nuovo titolo V della Costituzione il vincolo di destinazione del Fondo per finalità rientranti nelle competenze regionali concernenti i "servizi sociali" e l'"istruzione".
Si ricorda preliminarmente che la disciplina del diritto allo studio universitario fa capo, essenzialmente, alla legge n. 390 del 1991[57]; l’articolo 4 di quest’ultima ha rimesso ad un DPCM a cadenza triennale (da adottare sentito il CUN e la Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari) la definizione di criteri per la determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti nonché delle procedure di selezione ai fini dell'accesso ai servizi ed alle agevolazioni non destinate alla generalità degli studenti.
Nel corso della legislatura, il DL 25 settembre 2002, n. 212 convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 268 ha autorizzato (articolo 4, comma 2), a decorrere dal 2002, la spesa di 10 milioni di euro, per consentire il pagamento delle borse di studio agli studenti iscritti presso le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti, al fine di assicurare l’uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari. Ulteriori interventi hanno riguardato il potenziamento dell’orientamento, del tutorato e del diritto allo studio tramite la promozione delle attività svolte da associazioni e cooperative studentesche e collegi universitari legalmente riconosciuti nonché (articolo 7, comma 1) l’attribuzione ad una commissione istituita presso il MIUR (e non più presso la conferenza Stato-regioni) della competenza per l’esame dei progetti volti alla realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari previsti dalla legge 14 novembre 2000, n. 338.
Una misura legislativa adottata nel 2003 presenta alcuni profili di interesse con riferimento al diritto allo studio: il DL 9 maggio 2003, n. 105, convertito dalla legge 11 luglio 2003, n. 170, ha infatti inteso potenziare la mobilità studentesca internazionale, incrementare le borse di studio per lauree specialistiche e scuole di specializzazione, potenziare i servizi di tutorato, l’erogazione di assegni di ricerca, la valorizzazione del dottorato. A tal fine il DL ha costituito il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (art.1) modificando denominazione e finalità del fondo già allocato nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e destinato all’incentivazione dell’impegno didattico dei professori e dei ricercatori ed agli assegni di ricerca (ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge n. 370/1999). Il Fondo è ripartito tra gli atenei in base a criteri e modalità definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane ed il Consiglio nazionale degli studenti universitari.
La legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004, art. 4, commi da 99 a 103) ha poi previsto la concessione di prestiti fiduciari agli studenti capaci e meritevoli istituendo e finanziando con 10 milioni di euro per il 2004 un Fondo per la costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti concessi da banche ed altri intermediari finanziari. La gestione del Fondo è stata affidata a Sviluppo Italia Spa, sulla base di criteri stabiliti dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente Stato-regioni. La norma ha abrogato contestualmente la disciplina dei cosiddetti “prestiti d’onore”, recata dalla legge n. 390 del 1990. La Corte costituzionale, con sentenza n. 308 del 2004, ha tuttavia dichiarato illegittima sia la procedura di ripartizione sopra citata, per il mancato coinvolgimento delle regioni, sia l’abrogazione della normativa precedente prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina. Un nuovo intervento legislativo (art. 6, comma 7 del DL n. 35 del 2005, convertito dalla legge n. 80 del 2005) ha pertanto disposto l’intesa dei due ministeri interessati con la Conferenza Stato-regioni. Il relativo decreto è stato emanato il 3 novembre 2005.
La legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria 2006, art. 1, commi 554-556) ha infine istituito, e finanziato con 25 milioni di euro per il 2006, un Fondo per le spese sostenute dalle famiglie per le esigenze abitative degli studenti universitari; per la ripartizione del Fondo tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, la norma fa rinvio ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi previa intesa con la Conferenza Stato-regioni.
Con riguardo più generale allo sviluppo dell’utilizzo di strumenti informatici, va inoltre ricordato il DL 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, che ha finalità analoghe alle misure già adottate dalle ultime leggi finanziarie per diffondere l’uso del computer tra i giovani, le famiglie e (progetti “PC ai giovani”,”PC alle famiglie”), il personale docente e non docente delle scuole ed università statali e non[58]. Il DL citato ha finanziato (articolo 2-bis) con 15 milioni di euro per il 2005 la realizzazione di reti di connettività senza fili nelle università e l’acquisto di personal computer da parte degli studenti esonerati da tasse e contributi universitari.
Il sistema di finanziamento delle università, è stato complessivamente riformato dall’art. 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 537[59], in base al quale il finanziamento viene a ripartirsi in tre distinti fondi, identificati in rapporto agli oggetti e non alle categorie della spesa (come in precedenza) ed imputati ciascuno a un corrispondente capitolo dello stato di previsione dell’allora Ministero dell'università e della ricerca scientifica. I fondi sono:
a) Fondo per il finanziamento ordinario delle università, che comprende anche le spese per il personale docente e non docente e per la ricerca scientifica universitaria, nonché quelle per la manutenzione ordinaria[60];
b) Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche, che comprende la quota a carico del bilancio statale per la realizzazione di investimenti;
c) Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, che comprende le risorse destinate al finanziamento di specifiche iniziative, attività e progetti, ivi comprese le nuove iniziative didattiche.
Il Fondo per il finanziamento ordinario si compone di due quote: una quota base, da ripartire fra le università proporzionalmente ai trasferimenti e alle spese sostenute direttamente dallo Stato nell'esercizio precedente; una quota di riequilibrio, da ripartire secondo criteri definiti con decreto ministeriale (sentiti il Consiglio Universitario Nazionale e la Conferenza permanente dei rettori), in relazione a standard deicosti di produzione per studente ed a finalità di riqualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni degli atenei e delle condizioni ambientali e strutturali in cui essi operano. L’ammontare del fondo è determinato annualmente dalla tabella C della legge finanziaria[61].
Per ciò che concerne il Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche, si ricorda che l’articolo 46 della legge finanziaria 2002 (legge n. 448/2001) ha disposto l’istituzione, nello stato di previsione della spesa di ciascun Ministero, di un fondo per gli investimenti per ogni comparto omogeneo di spesa. Nello stato di previsione del MIUR sono stati istituiti due distinti fondi per gli investimenti: il Fondo università e ricerca e il Fondo per l'edilizia universitaria.
Le risorse relative al Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche confluiscono quindi nel Fondo investimenti edilizia universitaria. I Ministri competenti devono presentare al Parlamento, per l’acquisizione del parere una relazione nella quale siano individuate le destinazioni delle disponibilità di ciascun fondo[62].
Il procedimento di riparto delle risorse del Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, così come previsto dal D.P.R. 25/1998[63] si articolava in tre fasi:
§ determinazione degli obiettivi del sistema universitario nel triennio, con relativa finalizzazione delle risorse finanziarie, tramite un decreto ministeriale adottato previo parere del C.U.N., della Conferenza dei rettori delle università italiane, del Consiglio nazionale degli studenti universitari e delle Commissioni parlamentari competenti;
§ formulazione di proposte da parte delle singole università o di altri soggetti pubblici o privati sulle quali esprimono parere i comitati regionali di coordinamento, mentre il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario predispone una propria relazione tecnica, con riguardo alla disponibilità di mezzi ed alla coerenza con gli obiettivi della programmazione;
§ individuazione con decreto ministeriale – sulla base degli obiettivi, delle proposte, dei pareri e della relazione di cui sopra – delle iniziative da realizzare nel triennio, degli strumenti da attivare e dei criteri di ripartizione delle risorse tra gli atenei.
Per quanto riguarda il triennio 2004-2006, la determinazione degli obiettivi del sistema universitario ha costituito l’oggetto del D.M. 3 settembre 2003; la ripartizione delle risorse, l’oggetto del successivo D.M. 5 agosto 2004.
L’articolo 1-ter del D.L. 7/2005, ha abrogato gran parte delle norme recate dal D.P.R. 25/1998, (vedi capitolo Programmazionedel sistema universitario) disciplinando nel contempo la programmazione triennale delle singole università, programmazione che assume rilevanza in sede di ripartizione del fondo per il finanziamento ordinario delle università.
Non risulta abrogata la norma (articolo 2, comma 7) del D.P.R. 25/1997 che dispone l’utilizzo prioritario per l'attuazione della programmazione del sistema universitario delle quote annue determinate per la predetta finalità dalla legge finanziaria; non appare però chiaro quale sarà in futuro la procedura di assegnazione di tali somme, che ammontano - ai sensi della tabella C della legge finanziaria 2006 - a 122 milioni di euro per ciascuna annualità dal 2006 al 2008.
Si ricorda infine che il DL 25 settembre 2002, n. 212 convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 268 (articolo 4, comma 1), al fine di attribuire alle università le risorse finanziarie per sanare situazioni debitorie, derivanti dalla corresponsione di classi e scatti stipendiali al personale docente e ricercatore, ha autorizzato la spesa complessiva di 375 milioni di euro, da erogare in cinque rate annuali costanti a decorrere dall'anno 2002; istituendo a tal fine, nell'àmbito dello stato di previsione del MIUR un fondo da ripartire tra le università sulla base di parametri definiti con decreto ministeriale.
Nel corso della legislatura, l’Università “Carlo Bo” di Urbino, università non statale legalmente riconosciuta, finanziata in base alla legge n. 243 del 1991, è stata destinataria dei seguenti ulteriori finanziamenti:
§ la legge 29 dicembre 2003, n.376, (articolo 1) ha autorizzata la spesa di 2.500.000 euro per ciascuno degli anni 2003, 2004 e 2005 per la realizzazione di opere edilizie presso l'Università di Urbino;
§ l’articolo 1 del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, ha assegnato all’Università “Carlo Bo” di Urbino un contributo straordinario di 15 milioni di euro per l'anno 2005 e altrettanti per l'anno 2006, prevedendo che il Consiglio di amministrazione, integrato da due esperti di elevata qualificazione amministrativo-contabile nominati dal Ministro, definisca un piano programmatico per il risanamento economico-finanziario dell'università.
L’articolo 1, comma 278, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005) ha stanziato - a decorrere dall'anno 2005 - un contributo di 2 milioni di euro per il potenziamento delle attività svolte dalla Scuola di Ateneo per la formazione europea Jean Monnet (Seconda Università degli studi di Napoli), e ne ha disposto contestualmente la costituzione in facoltà. Successivamente, l’articolo 11-quaterdecies, comma 3, del DL 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha autorizzato la spesa di 1,5 milioni di euro a favore della facoltà Jean Monnet.
La legge 23 dicembre 2005, n. 266, (legge finanziaria 2006) ha stanziato (articolo 1, comma 135), per la valorizzazione delle attività di ricerca avanzata, alta formazione, interscambio culturale e scientifico tra istituzioni universitarie di alta formazione europea ed internazionale e applicazione dei risultati acquisiti dai consorzi interuniversitari, 1,5 milioni di euro a decorrere dal 2006 per il Consorzio interuniversitario di studi avanzati di Roma e il Consorzio interuniversitario denominato “Istituto italiano di scienze umane” di Firenze.
La legge 23 ottobre 2003, n.287, ha stanziato 10 milioni di euro per l’anno 2003 per le celebrazioni del VII centenario dell'Università degli studi di Roma «La Sapienza».
La legge 5 novembre 2004, n.274 ha autorizzato contributo straordinario di euro 5.550.000 per le celebrazioni del VI centenario della fondazione dell'Università degli studi di Torino, destinando almeno il 65 per cento del contributo alla spesa per investimenti.
Nel corso della XIV legislatura si è provveduto all’attuazione della legge 21 dicembre 1999, n. 508; tale norma, nella passata legislatura, aveva riordinato il settoreattribuendo un'autonomia paragonabile a quella delle università (e parimenti fondata sull'art. 33 della Costituzione) agli istituti che ne fanno parte, e cioè: le Accademie di belle arti; l'Accademia nazionale di arte drammatica; gli Istituti superiori per le industrie artistiche; Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati (non statali) e l'Accademia nazionale di danza.
Punto cardine del provvedimento è il riconoscimento di un livello equiparato a quello universitario (benché da esso distinto) agli studi condotti nelle accademie e nei conservatori attraverso la creazione di un “sistema di alta formazione e specializzazione artistica e musicale”, la cui strutture hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti fissati da leggi, conformemente a quanto disposto per le università. In questo quadro si prevede la graduale trasformazione dei Conservatori di musica, dell’Accademia nazionale di danza e degli istituti musicali pareggiati in Istituti superiori di studi musicali e coreutici.
L'autonomia degli studi artistici e musicali rispetto al sistema universitario è mantenuta tramite la costituzione presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) di un apposito organismo, il Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale –CNAM.
Il DL 25 settembre 2002, n. 212, convertito dalla legge di 22 novembre 2002, n. 268, (articolo 6) ha poi modificato l’articolo 4 della citata legge n. 508 del 1999 riconoscendo il valore legale dei titoli conseguiti secondo l’ordinamento previgente alla riforma degli ordinamenti didattici universitari.
Il provvedimento, riconducendo la materia ai principi generali stabiliti dalla riforma degli ordinamenti didattici (e, in particolare, al sistema dei crediti e debiti formativi), stabilisce (fermo restando il requisito del possesso del diploma d’istruzione secondaria superiore), che ai fini dell’accesso all’insegnamento e ai corsi di specializzazione non vi siano distinzioni tra titoli rilasciati sulla base del precedente ordinamento; che i titoli diano accesso ai corsi di diploma accademico di secondo livello, nonché ai corsi di laurea specialistica (2 anni) e ai master di primo livello presso le università; che i titoli siano equiparati alle nuove lauree (3 anni) e lauree specialistiche (2 anni) previste dalla riforma degli ordinamenti didattici ai fini dell’accesso ai pubblici concorsi. Quanto ai diplomi conseguiti al termine di corsi di didattica della musica, il DL prevede che tali diplomi, anche se rilasciati prima dell’entrata in vigore della legge n. 508/1999, abbiano valore abilitante per l’insegnamento dell’educazione musicale nella scuola e costituiscano titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti di insegnamento nelle scuole secondarie, purché il titolare sia in possesso del diploma di scuola secondaria superiore e del diploma di conservatorio. Viene infine sancita l’applicazione delle disposizioni sopra descritte alle Accademie di belle arti legalmente riconosciute e agli Istituti musicali pareggiati, limitatamente, peraltro, ai titoli rilasciati al termine di corsi autorizzati in sede di pareggiamento o di legale riconoscimento.
Il concreto riordino dell’alta formazione artistico musicale, ai sensi della legge 508/1999, è demandato a regolamenti di delegificazione (ex art. 17, co. 2, L. 400/1988), finalizzati alla definizione dei requisiti di qualificazione didattico-scientifica ed artistica delle istituzioni (anche con riguardo al personale docente); dei requisiti di idoneità delle sedi; dei criteri per la definizione degli ordinamenti didattici dei corsi e la programmazione degli accessi; dei principi per l’adozione degli statuti e per l’esercizio dell’autonomia regolamentare nonché per la programmazione e il riequilibrio dell’offerta didattica. Ai fini dell’attuazione della legge sono stati emanati i seguenti provvedimenti:
§ il D.P.R. 28 febbraio 2003, n. 132, ha indicato i criteri per l’adozione degli statuti e per l’esercizio dell’autonomia regolamentare; quanto agli statuti, essi devono disciplinare l’istituzione, l’organizzazione e il funzionamento delle strutture e dei relativi organi; lo svolgimento dell’attività didattica, di ricerca e di produzione; le modalità e i criteri di valutazione dell’attività degli istituti; la realizzazione di interventi per il diritto allo studio; modalità e procedure per la stipula di intese programmatiche e convenzioni; la rappresentanza degli studenti; l’individuazione dell’organo competente per i procedimenti disciplinari. Riguardo all’autonomia regolamentare, oltre ai regolamenti didattico, di amministrazione, di finanza, di contabilità (ai quali si aggiungono il regolamento degli studenti e il regolamento di organizzazione degli uffici) le istituzioni possono adottare, in conformità con la normativa vigente e lo statuto, altri regolamenti di carattere organizzativo e funzionale;
§ il DPR 8 luglio 2005, n. 212,,ha poi disciplinato gli ordinamenti didattici (basati come nei percorsi universitari sul sistema dei crediti formativi accademici[64]) nonché la tipologia dei titoli di studio, tra i quali si ricordano, per quanto qui interessa, i diplomi accademici di primo e di secondo livello[65]. L’offerta formativa delle istituzioni è articolata in scuole nel rispetto della tradizione propria delle Accademie e dei Conservatori; con decreto del Ministro, sentito il CNAM, sono individuati gli obiettivi formativi qualificanti delle scuole e le correlate attività formative. Le scuole sono poi ricomprese in dipartimenti, tenuto conto dell’omogeneità degli obiettivi formativi qualificanti. Nell’ambito di ciascuna scuola le Istituzioni attivano corsi di studio con indirizzi diversificati. Il Ministro individua con proprio decreto il 60% dei crediti formativi necessari per ciascun corso conseguiti nelle specifiche attività formative previste dalla norma stessa (formazione di base; attività formative caratterizzanti; preparazione della prova finale; attività formative volte ad acquisire conoscenze linguistiche, nonché abilità informatiche e telematiche, relazionali, o comunque utili per l'inserimento nel mondo del lavoro, come tirocini formativi e di orientamento), mentre il numero dei crediti riservati ad attività autonomamente scelte dallo studente è fissato tra il 5 ed il 15%;
§ il D.M. 16 settembre 2005, n. 236 ha infine disciplinato la composizione del Consiglio Nazionale per l’Alta formazione artistica e musicale (CNAM), le modalità di nomina e di elezione dei componenti, il funzionamento del Consiglio stesso e l’elezione di propri rappresentanti in seno al Consiglio universitario nazionale (CUN). In particolare, è previsto che il CNAM sia composto da trentaquattro membri, di cui ventisei eletti in rappresentanza del personale docente e non docente e degli studenti, sei designati dal Ministro e due dal CUN. I componenti sono nominati con decreto del Ministro, durano in carica tre anni e non possono essere riconfermati.
Altri provvedimenti in materia di alta formazione artistica e musicale hanno riguardato, da una parte, il personale delle istituzioni e, dall’altra, gli interventi in materia di edilizia.
Quanto al personale, si ricordano, in particolare:
§ l’articolo 3, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004) che, nel quadro delle disposizioni di contenimento della spesa per il personale, ha consentito alle Accademie di belle arti, all'Accademia nazionale di danza, all'Accademia nazionale di arte drammatica, agli Istituti superiori per le industrie artistiche nonché ai Conservatori di musica di procedere a nuove assunzioni, subordinatamente all’applicazione della procedura autorizzatoria (di cui all’art. 39 co. 3-bis della legge 449/1997);
§ la legge 30 dicembre 2004, n. 311, (legge finanziaria 2005), che ha escluso (articolo 1, comma 94) le istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale dalla rideterminazione dell’organico della pubblica amministrazione - in modo tale che ne consegua una riduzione non inferiore al 5% della spesa complessiva riferita all’organico di ciascuna amministrazione – introdotta dal comma 93 del medesimo articolo 1;
§ la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che ha escluso (articolo 1, comma 187) le istituzioni di alta formazione artistica e musicale dall’obbligo di utilizzare personale a tempo determinato, a decorrere dal 2006, nel limite del 60% della spesa sostenuta, per tali finalità, nell’anno 2003.
§ il DL 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27, (articolo 1-quater), che ha autorizzato le AFAM all’assunzione di 716 unità di personale con contratti di lavoro a tempo indeterminato, per il profilo professionale di coadiutore e di 200 unità di personale tecnico ed amministrativo, appartenente agli altri profili professionali.
Quanto agli interventi in materia di edilizia, si ricordano, in particolare:
§ il DL 25 settembre 2002, n. 212, convertito dalla legge di 22 novembre 2002, n. 268, che ha autorizzato (articolo 4, comma 3) la spesa di 1 milione di euro per interventi indifferibili nel settore dell’edilizia a favore delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale;
§ la legge 30 dicembre 2004, n.311, (legge finanziaria 2005), che autorizza per le istituzioni dell’alta formazione artistica e musicale la spesa di 10 milioni di euro a decorrere dal 2005 (articolo 1, comma 131) per l’acquisizione di attrezzature didattiche e strumentali e per interventi di edilizia.
Merita, infine, segnalare l’articolo 1-quater del DL 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge n. 43 del 31 marzo 2005, che autorizza l’erogazione di un contributo di 1,5 milioni di euro per l’anno 2007 alle Accademie di belle arti non statali, finanziate in misura prevalente dagli enti locali al fine di favorire l’adeguamento ai nuovi ordinamenti didattici definiti in base alla legge n. 508 del 1999. Il decreto prevede, inoltre, (articolo 1-quinquies) l’accorpamento, a decorrere dall’anno accademico 2005-2006, dell’Istituto musicale pareggiato di Ceglie Messapico (Brindisi) al Conservatorio statale di musica di Lecce come sezione staccata.
Con riferimento agli interventi della XIV legislatura, occorre preliminarmente ricordare che l’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137[66], ha conferito al governo una delega per l’emanazione di decreti legislativi, diretti, tra l’altro, a riordinare e razionalizzare gli interventi per la promozione e il sostegno della ricerca scientifica e tecnologica e gli organismi operanti nel settore. Tale legge ha riaperto i termini di alcune deleghe per la riforma dell’amministrazione centrale e degli enti pubblici nazionali contenute nell’art.11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (“legge Bassanini 1”).
Com’è noto, la delega legislativa recata dalla legge 59/1997 ha avviato un complesso processo di riordino del sistema nazionale della ricerca scientifica e tecnologica. Le principali direttrici della riforma sono, in estrema sintesi, così individuabili:
§ la realizzazione di un sistema di governo della ricerca;
§ il riordino degli enti pubblici di ricerca;
§ il potenziamento dell'efficacia degli interventi a sostegno della ricerca industriale.
Il primo tra i decreti emanati, il D.Lgs. 204/1998[67], ha definito i momenti di programmazione e coordinamento, il riordino degli organi consultivi, gli strumenti e le procedure per la valutazione della ricerca, ed ha avviato un processo di coordinamento dei flussi finanziari.
Principale strumento di programmazione e coordinamento è il Programma nazionale della ricerca (PNR), di durata triennale ma aggiornato annualmente, elaborato sulla base del Documento di programmazione economica e finanziaria (DPEF) ed approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) che si avvale di una Commissione permanente per la ricerca, costituita al suo interno e coordinata dal ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica (MURST)[68].
E' stato istituito presso il Ministero un Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR), con il compito di indicare i criteri generali per le attività di valutazione dei risultati della ricerca e di promuovere la sperimentazione, l'applicazione e la diffusione di metodologie, tecniche e pratiche di valutazione, anche in collaborazione con le competenti strutture all'interno delle amministrazioni interessate.
Il D.Lgs. 204/1998 ha introdotto nuovi strumenti di coordinamento delle risorse finanziarie quali il Fondo integrativo speciale per la ricerca (FISR) - risorsa aggiuntiva da destinare a specifici interventi di particolare rilevanza strategica - e l'accorpamento in unico Fondo ordinario dei flussi finanziari diretti agli enti di ricerca finanziati dal MURST[69]. A tali strumenti vanno aggiunti, per quanto concerne la ricerca industriale (riordinata dal D.Lgs. 297/1999), il Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) istituito presso il MURST e il Fondo per l'innovazione tecnologica (FIT), istituito dalla L. 46/1982[70] e gestito dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato. Sulle modifiche intervenute nel corso della XIV legislatura nelle normativa relativa al FAR e al FIT v. il capitolo Sostegno e alla ricerca e all’innovazione nel dossier relativo alla commissione Attività produttive) Va inoltre menzionato il Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB), istituito nello stato di previsione del MURST dall'art. 104 della legge finanziaria 2001.
Secondo quanto emerge dalle linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo, emanate il 13 marzo 2002 e adottate dal CIPE il 19 aprile 2002, il riordino degli enti di ricerca è volto a utilizzare il patrimonio di conoscenze e di esperienze detenuto dagli enti di ricerca per soddisfare le esigenze di sviluppo del sistema socio-economico. In particolare si intende focalizzare la missione degli enti su obiettivi di medio-lungo periodo e di dimensione e complessità tali da richiedere una forte concentrazione di risorse nonché assicurare un equilibrio tra l'obiettivo di generare ricadute nel sistema economico, attraverso una maggiore capacità di interagire con il mondo produttivo, e quello di assicurare spazi adeguati per la irrinunciabile attività di ricerca libera.
In attuazione della legge n. 137 del 2002 e sulla base delle linee guida sopra citate sono stati emanati i seguenti decreti legislativi:
- d.lgs. del 4 giugno 2003, n. 127, recante Riordino del Consiglio nazionale delle ricerche (C.N.R.);
- d.lgs. 4 giugno 2003, n. 128, recante Riordino dell'Agenzia spaziale italiana (A.S.I.) (vedi scheda del dipartimento Attività produttive);
- d.lgs. 4 giugno 2003, n. 138, recante Riordino dell’Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.)
- d.lgs. 3 settembre 2003, n.257 recante Riordino della disciplina dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente ( ENEA) (vedi scheda del dipartimento Attività produttive);
- d.lgs. 21 gennaio 2004, n. 38, recante Istituzione dell'Istituto nazionale di ricerca metrologica (I.N.RI.M.)".
Con i decreti legislativi emanati si è tra l’altro disposto:
§ la confluenza nel CNR, dell’Istituto di diritto agrario internazionale e comparato (IDAIC), dell’Istituto nazionale di ottica applicata (INOA) e dell’Istituto nazionale di fisica della materia (INFM);
§ la trasformazione dell’Istituto papirologico «Girolamo Vitelli» in struttura scientifica dell’Università degli studi di Firenze;
§ la confluenza nell'Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.) degli istituti di radioastronomia, astrofisica spaziale e di fisica dello spazio interplanetario del CNR;
§ la creazione dell'Istituto nazionale di ricerca metrologica, attuata attraverso lo scorporo dal CNR dell'Istituto Colonnetti e la sua fusione con l'Istituto elettrotecnico nazionale “G. Ferraris”.
Tali mutamenti sono ormai operativi con l’adozione dei nuovi regolamenti organizzativi dei singoli enti di ricerca.
Con riferimento al Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), si ricorda che il d.lgs. del 4 giugno 2003, n. 127, ha definito il CNR “ente pubblico nazionale con il compito di promuovere, svolgere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e delle loro applicazioni per lo sviluppo scientifico, tecnologico, economico e sociale del paese”. La principale novità è rappresentata dall’articolazione delle attività del C.N.R. in macro aree di ricerca che rappresentano la base sulla quale sono costituiti i dipartimenti.
Organi del CNR sono il presidente, il consiglio di amministrazione, il consiglio scientifico generale e il collegio dei revisori. E’ inoltre previsto un comitato di valutazione che opera, in deroga a quanto previsto dal decreto legislativo 204/98 e diversamente dalla normativa in vigore, sulla base di criteri definiti non dal CIVR, bensì dal Ministro dell’istruzione, dell'università e della ricerca, previo parere del CIVR stesso.
L’articolazione della struttura organizzativa comprende il direttore generale, la rete scientifica (costituita dai dipartimenti, dal collegio dei direttori di dipartimento e dagli istituti) e i servizi amministrativi centrali.
I dipartimenti, che costituiscono una delle principali innovazioni del provvedimento, sono le unità organizzative corrispondenti alle macro aree di ricerca sopra citate con compiti di programmazione, coordinamento e controllo. Ai dipartimenti afferiscono gli Istituti, raggruppati secondo affinità disciplinari e tematiche. Il direttore di dipartimento è nominato dal presidente su delibera del consiglio di amministrazione. Presso ciascun dipartimento è costituito un consiglio scientifico di dipartimento.
Il consiglio dei direttori di dipartimento, di nuova istituzione, è costituito dal presidente dell’ente, dal direttore generale e dai direttori dei singoli dipartimenti, ed ha compiti di supporto del consiglio di amministrazione e del comitato di valutazione.
Gli istituti sono le unità organizzative responsabili dell’attività di ricerca dell’ente. Gli istituti, la loro afferenza ai dipartimenti, la loro dislocazione sul territorio e la loro articolazione organizzativa sono definiti con il regolamento di organizzazione e funzionamento dell’ente.
Si segnalano, inoltre, le seguenti ulteriori innovazioni:
§ è introdotto un piano annuale di dettaglio accanto alla programmazione triennale;
§ tra le entrate dell’ente figurano anche le risorse provenienti da contratti stipulati per la fornitura di servizi e dalle royalties relative alla cessione di brevetti o di know-how;
§ è incrementata la possibilità di effettuare una chiamata diretta di ricercatori italiani e stranieri;
§ la mobilità con le università è estesa anche al personale di ricerca degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico .
S ricorda inoltre che alcuni provvedimenti di riordino, anche parziale, di enti di ricerca sono stati inseriti all’interno di decreti legge. E’ stata in questo modo disposta: la trasformazione dell’Istituto nazionale per la ricerca scientifica e tecnologica sulla montagna in Istituto nazionale della montagna (DL 25 ottobre 2002, n. 236, convertito con modificazioni dalla legge 284/2002); una nuova disciplina per la nomina del consiglio direttivo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia –INGV (DL 31 gennaio 2005, n. 7, convertito con modificazioni dalla legge 43/2005); il riordino dell’Istituto italiano di studi germanici -IISG, finalizzato alla sua trasformazione in ente pubblico di ricerca nazionale, a carattere non strumentale (DL 5 dicembre 2005, n. 250, convertito con modificazioni dalla legge 27/2006).
Si ricorda che gli enti di ricerca oggetti di riordino sopra menzionati, con l’eccezione dell’ENEA, ricevono il loro contributo ordinario a valere sul fondo ordinario degli enti di ricerca previsto dal D.Lgs 204/1998. L'ammontare del Fondo è determinato in tabella C della legge finanziaria e ripartito tra gli enti interessati con decreto ministeriale, emanato previo parere delle Commissioni parlamentari competenti; l’ultima legge finanziaria ha stanziato la somma di 1.630 milioni di euro.
Si segnale infine che la legge 23 ottobre 2003, n.293, Norme sull'Istituto di studi politici «S. Pio V» a previsto l’erogazione di un contributo annuo di 1,5 milioni di euro a favore dell’istituto e la sua qualificazione come ente di ricerca a carattere non strumentale, pur mantenendo la natura privatistica.
Quanto allo stato di attuazione del d.lgs. 5 giugno 1998, n. 204, si segnala che il Senato ha svolto al riguardo un’indagine conoscitiva, che ha poi riguardato in generale la politica nel settore della ricerca, il cui documento conclusivo (doc. XVII, n. 26) è stato approvato – dalle sole forze di maggioranza - dalla 7° Commissione Istruzione l’8 febbraio 2006. L’analoga indagine conoscitiva sui soggetti pubblici operanti nel settore della ricerca deliberata dalla VII Commissione Cultura della Camera dei deputati in data 11 dicembre 2002 non ha avuto seguito.
Dopo aver riconosciuto la centralità del settore, la Commissione, nelle considerazioni conclusive, suggerisce l’accrescimento della quota del bilancio comunitario destinata alla ricerca, pari al 4 per cento, anche attraverso una riduzione e razionalizzazione delle risorse attualmente destinate ad altri comparti.
A livello nazionale, la Commissione - oltre a delineare un quadro sulle criticità del settore e sulle iniziative a favore della ricerca realizzate nella XIV legislatura - sollecita lo sviluppo dell’economia della conoscenza, fondata su ricerca e innovazione, nell’ottica di accrescere la competitività del Paese, mediante i seguenti interventi:
§ attuazione delle linee delineate nel PNR;
§ potenziamento e stabilità dei finanziamenti pubblici, sia diretti (in particolare nei settori di base) sia indiretti (al fine di stimolare gli investimenti privati);
§ definizione di un sistema fiscale particolarmente agevolativo per le imprese che investono o assumono personale qualificato;
§ interventi strutturali volti a realizzare un ambiente favorevole all’innovazione attraverso il rafforzamento del sistema di formazione, la valorizzazione delle risorse umane e il potenziamento delle reti scientifiche.
Per ciò che concerne il personale degli enti di ricerca si ricorda che il comma 125 dell’articolo unico della legge finanziaria 2005 (legge 311/2004) ha recato una modifica all’articolo 40, comma 2, terzo periodo, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165[71], che aveva istituito un’area contrattuale autonoma per i professionisti degli enti pubblici, già appartenenti alla X qualifica funzionale, e per ricercatori e ai tecnologi degli enti di ricerca. Questo personale costituiva un’area contrattuale unitamente alla dirigenza, ma in specifica separata sezione, nel rispetto della distinzione di ruolo e funzioni. Con la modifica apportata i ricercatori e i tecnologi degli enti di ricerca sono stati riportati – come prima dell’entrata in vigore del citato terzo periodo (art. 40, comma 2, D.Lgs. 165/2001) – nell’area contrattuale di comparto per gli enti di cui all’art. 70, comma 4, del D.Lgs. 165 del 2001.
In applicazione del richiamato decreto legislativo n. 204 del 1998, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca – sulla base delle Linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo, approvate dal CIPE il 19 aprile 2002 e delle Linee guida per la valutazione della ricerca – ha elaborato il Programma nazionale della ricerca (PNR) per gli anni 2005-2007, che è stato adottato dal CIPE il 18 marzo 2005.
Il Programma detta gli indirizzi e delle proposte operative inerenti i quattro assi per la ricerca (sostegno delle attività di ricerca di base del sistema scientifico italiano mirate all’avanzamento della conoscenza, sostegno della ricerca di base orientata allo sviluppo di tecnologie chiave abilitanti a carattere multisettoriale, potenziamento delle attività di ricerca industriale, promozione delle capacità di innovazione nei processi e nei prodotti da parte del sistema delle piccole e medie imprese), ponendo al centro dei suoi interventi i seguenti macro-obiettivi: la qualità della vita (salute, sicurezza, ambiente), la competitività del sistema produttivo, lo sviluppo sostenibile. A sostegno di tale strategia, il PNR indica il lancio dei seguenti grandi programmi strategici:
1) salute dell'uomo;
2) rilancio dell'industria farmaceutica;
3) nuove applicazioni dell'industria biomedicale;
4) sistemi avanzati di manifattura;
5) potenziamento e sviluppo dell'industria motoristica
6) cantieristica, aeronautica, elicotteristica ;
7) materiali avanzati per applicazioni strutturali;
8) sistemi di telecomunicazione innovativi a larga banda;
9) valorizzazione dei prodotti tipici dell'agroalimentare e sicurezza alimentare;
10) trasporti e logistica avanzata
11) ICT e componentistica elettronica;
12) risparmio energetico e microgenerazione distribuita.
I programmi strategici sono concepiti come un insieme integrato di azioni di ricerca di base, di ricerca industriale, di sviluppo precompetitivo, di formazione di capitale umano di eccellenza, e devono comprendere azioni che prevedano la partecipazione congiunta e sistematica di imprese, università, enti pubblici di ricerca, e di altri soggetti pubblici e privati attivo nella ricerca e nell'innovazione.
Con DM 18 luglio 2005 il MIUR ha invitato alla presentazione di idee progettuali relativamente ai grandi programmi strategici, previsti dal PNR 2005-2007, da finanziarsi tramite l’utilizzo dell FIRB, del FAR e del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca[72]; in data 9 febbraio 2006 è stata comunicata l’ammissione alla fase finale di finanziamento di 196 grandi progetti raggruppati nelle 12 aree strategiche previste dal PNR
Gli interventi volti a sostenere la ricerca hanno riguardato sia finanziamenti ad attività specifiche che misure finalizzate a favorire gli investimenti pubblici e privati nel settore.
Riguardo ai primi merita segnalare in primo luogo che la legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n.289) ha istituito, all’articolo 56, un nuovo Fondo per progetti di ricerca di “rilevante valore scientifico, anche con riguardo alla tutela della salute e all’innovazione tecnologica”, con una dotazione finanziaria di 225 milioni di euro per l'anno 2003 e di 100 milioni di euro per l'anno 2004, 92,8 milioni di euro per l'anno 2005, 97,9 milioni di euro per l'anno 2006 e 100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007. Viene assicurato in via prioritaria il finanziamento dei progetti presentati da soggetti che abbiano ottenuto, negli anni precedenti, un eccellente risultato nell'utilizzo e nella capacità di spesa delle risorse comunitarie assegnate e delle risorse finanziarie provenienti dai programmi quadro di ricerca dell'Unione europea o dai Fondi strutturali[73].
Il DL 30 settembre 2003, n. 269 (convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), ha istituito la fondazione denominata Istituto Italiano di Tecnologia, con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l’alta formazione tecnologica. A tal fine la fondazione può instaurare rapporti con organismi omologhi in Italia e favorire l'apporto di ricercatori italiani e stranieri operanti presso istituti esteri di eccellenza. A favore dell’istituto, è stata autorizzata una spesa di 50 milioni di euro per il 2004 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2005 al 2014[74].
Tra gli interventi finanziari a favore della ricerca merita inoltre segnalare la previsione di una garanzia per il rimborso del capitale e degli interessi maturati, nel limite di 60 milioni di euro, dalla Società Sincrotronedi Trieste S.p.a. con la Banca europea degli investimenti per la realizzazione del progetto di laser a elettroni liberi, garanzia recata dall’articolo 2 del DL 31 gennaio 2005, n. 7 (convertito dalla legge n. 43 del 31 marzo 2005) sulla base di un protocollo d’intesa sottoscritto con la BEI dal Governo italiano, al fine di utilizzare finanziamenti rimborsabili a lungo termine. Alla stessa società viene riconosciuto un contributo ordinario per il funzionamento per un importo di 14 milioni di euro.
Il decreto-legge 35/2005[75](art. 6, commi 1-4), è intervenuto sulFondo rotativo per il sostegno alle imprese (vedi scheda Fondo rotativo di sostegno, del Dipartimento Attività produttive) istituito dalla legge finanziaria per il 2005 (legge 311/04, comma 354 dell’art.1) presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti spa, con una dotazione iniziale di 6 miliardi di euro finanziata con le risorse del risparmio postale. La norma ha, tra le altre cose, mutato la denominazione in “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca”, in quanto una quota - pari ad almeno il 30 per cento della dotazione finanziaria del fondo medesimo - è stata destinata al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppodelle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica.
Da ultimo, la legge Finanziaria 2006 (comma 341), allo scopo di promuovere lo sviluppo della ricerca avanzata nel campo delle biotecnologie e nell'ambito degli accordi di cooperazione scientifica con gli Stati Uniti d'America, autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri a costituire una fondazione secondo modalità da quest’ultimo stabilite con proprio decreto La copertura dell’onere finanziario è effettuata tramite riduzione della dotazione del Fondo per le aree sottoutilizzate, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze dall’articolo 61 della legge finanziaria 2003[76], per l’ammontare di 30 milioni di euro per l’anno 2006, 60 milioni di euro per gli anni 2007 e 2008, e 180 milioni di euro per l’anno 2009. Con riguardo alla copertura finanziaria vengono richiamate le previsioni della Delibera CIPE n. 35 del 27 maggio 2005[77]
Per ciò che concerne le agevolazioni fiscali si ricorda innanzitutto che il già citato DL. 269/2003 ha introdotto alcune misure riguardanti la detassazione degli investimenti in ricerca e sviluppo edelle spese sostenute per stage aziendali destinati a studenti di corsi d’istruzione secondaria o universitaria ed ha previsto incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero. In particolare, si stabilisce che, per i rientri che avvengono fino alla fine dell’anno 2008, i redditi di lavoro dipendente o autonomo dei medesimi ricercatori sono, per tre annualità, imponibili per il 10% del loro ammontare, ai fini delle imposte dirette, e non concorrono alla formazione del valore della produzione netta, ai fini dell’IRAP.
In seguito, la legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004) ha incluso tra le spese per le quali possa valere la deducibilità ai fini dell’IRAP i costi sostenuti dalle imprese per il personale addetto alla ricerca e sviluppo.
Si segnala, poi, che la legge finanziaria per il 2006 ha previsto la destinazione di una quota, pari al 5 per mille, dell’imposta sui redditi delle persone fisiche alla ricerca scientifica e all’università, nonché alla ricerca sanitaria, oltre che al volontariato e ad attività sociali. Il DPCM 20 gennaio 2006 ha quindi definito le modalità di attuazione della norma.
La medesima legge finanziaria ha inoltre previsto al comma 353- parzialmente riformulando quanto già disposto dal DL 35/2005 che aveva apportato modifiche al testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) - la totale deducibilità dal reddito delle società (senza alcun limite d’importo) per i fondi trasferiti per il finanziamento della ricerca a favore di atenei, fondazioni universitarie, istituzioni universitarie pubbliche, enti di ricerca pubblici o sottoposti a vigilanza ministeriale, fondazioni e associazioni riconosciute, aventi per oggetto statutario losvolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica.
Su incarico del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) ha elaborato le Linee guida per la valutazione della ricerca con i seguenti obiettivi:
• suggerire regole e procedure di riferimento per la valutazione del Sistema Nazionale della Ricerca;
• migliorare il collegamento istituzionale tra risultati della valutazione e allocazione delle risorse;
• avviare procedure sistematiche di raffronto tra le strutture;
• favorire la diffusione dei risultati della ricerca;
• assicurare trasparenza al processo di valutazione.
L’esercizio di valutazione, avviato con il DM 16 dicembre 2003, ha una valenza triennale ed è rivolto alla valutazione della produzione scientifica di università ed enti di ricerca, finanziati dal MIUR nel periodo 2001-2003. Il 26 gennaio 2006 il CIVR ha presentato i risultati del primo esercizio nazionale di Valutazione Triennale della Ricerca (VTR) 2001-2003.
In base all’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica italiana tutela il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della nazione.
L’articolo 117, secondo comma, lett. s), del nuovo Titolo V della Costituzione ha annoverato la “tutela dei beni culturali”tra le materie di competenza esclusiva dello Stato (prevedendo, altresì, la possibilità di attivare, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost.), mentre l’art. 117, terzo comma, Cost., ha incluso la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”tra le materie di legislazione concorrente. Inoltre, l’art. 118, terzo comma, Cost., ha devoluto alla legge statale il compito di disciplinare “forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali” tra Stato e regioni. La legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005[78] non prevede modifiche rispetto a questa ripartizione.
Con riferimento alla giurisprudenza costituzionale in tema di riparto delle competenze sopra delineate tra Stato e regioni, occorre innanzitutto segnalare alcune sentenze riguardanti in generale lo sviluppo della cultura (sent. n. 478 del 2002 e 307 del 2004). A tale riguardo la Corte ha affermato che essa corrisponde a finalità di interesse generale, “il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione) anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e regioni di cui all’art. 117 della Costituzione”; in tal senso la Corte si pone in linea con la giurisprudenza precedente alla riforma costituzionale (sentenze nn. 276 del 1991, 348 del 1990, 829 e 562 del 1988).
Ai fini del discrimine delle competenze, ma anche del loro intreccio nella disciplina dei beni culturali, la Corte ha tratto elementi di valutazione in una prima fase, oltre che dal Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), dal d.lgs. n. 112 del 1998[79], che aveva ridefinito sul piano amministrativo - prima della riforma costituzionale - la distribuzione delle competenze tra Stato, regioni, province e comuni; il Testo unico riservava all’amministrazione centrale la tutela dei beni culturali e ambientali; attribuiva, secondo il “principio di sussidiarietà”, una concorrenza tra lo Stato e le autonomie territoriali nell’attività di conservazione e gestione di musei o altri beni culturali statali; demandava la valorizzazione dei beni culturali e la promozione delle attività culturali allo Stato, alle regioni e agli enti locali, ciascuno nel proprio ambito ed in regime di cooperazione[80]. In proposito la Corte ha ribadito l’efficacia di tali disposizioni “non solo perché è individuabile una linea di continuità tra la legislazione degli anni 1997-98, sul conferimento di funzioni alle autonomie locali, e la legge costituzionale n. 3 del 2001, ma soprattutto perché è riferibile a materie-attività, come, nel caso di specie, la tutela, la gestione o anche la valorizzazione di beni culturali, il cui attuale significato è sostanzialmente corrispondente con quello assunto al momento della loro originaria definizione legislativa” (sent. n. 94 del 2003, n. 9 e 26 del 2004). Quanto al merito, la Corte ha rilevato che la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, nelle normative anteriori all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, sono state considerate attività strettamente connesse ed a volte sovrapponibili. Così l’art. 148 del d. lgs. n. 112 del 1998 annovera, tra le attività costituenti tutela quella diretta “a conservare i beni culturali e ambientali”, mentre include tra quelle in cui si sostanzia la valorizzazione quella diretta a “migliorare le condizioni di conservazione dei beni culturali e ambientali”. La gestione, poi, nella definizione che ne dà il medesimo articolo, è funzionale sia alla tutela sia alla valorizzazione.
Nella sentenza n. 9 del 2004 la Corte individua una definizione delle due funzioni: la tutela è “diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la tutela è quella del riconoscere il bene culturale come tale”; la valorizzazione “è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest’ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione ed ai modi di questa”.
In tale contesto la Corte riconduce la riserva di competenza statale sulla tutela dei beni culturali “ anche alla peculiarità del patrimonio storico-artistico italiano, formato in grandissima parte da opere nate nel corso di oltre venticinque secoli nel territorio italiano e che delle vicende storiche del nostro Paese sono espressione e testimonianza. Essi vanno considerati nel loro complesso come un tutt’uno, anche a prescindere dal valore del singolo bene isolatamente considerato.”
Successivamente all’adozione del Codice dei beni culturali e paesaggistici di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 232 del 2005, ha quindi richiamato - ai fini del citato riparto di competenze - le disposizioni ivi contenute: tale testo legislativo, secondo la Corte, ribadisce l’esigenza dell’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano non soltanto lo Stato, ma anche le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, comma 3). Nelle materie in esame la Corte ribadisce quindi la coesistenza di competenze normative, confermata peraltro dalla previsione dell’articolo 118, terzo comma, della Costituzione, ai sensi della quale nella materia dei beni culturali la legge statale preveda forme di intesa e coordinamento tra Stato e Regioni.
Merita segnalare, inoltre, riguardo ad interventi specifici di carattere finanziario recati da leggi statali in materia di beni e attività culturali, che la Corte ha più volte, nel corso della legislatura, dichiarato illegittime norme statali che attribuivano finanziamenti a destinazione vincolata in materie la cui disciplina spetti alle Regioni perché non rientranti in ipotesi di competenza esclusiva dello Stato (sent. n. 160 del 2005), ritenendo che le funzioni attribuite alle regioni comprendano anche la possibilità di erogazione di contributi finanziari a categorie di soggetti pubblici o privati, dal momento che, in numerose materie di competenza regionale, le politiche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione.
Tale orientamento ha di fatto influenzato l’attività della Commissione nel settore dei beni e delle attività culturali limitando gli interventi economici – più frequenti nelle passate legislature – a favore di determinati soggetti ed incentivando al contrario l’adozione di quegli strumenti, previsti anche nel Codice dei beni culturali, volti a promuovere la collaborazione tra Stato, regioni ed autonomie locali nel settore della valorizzazione di beni e attività culturali, quali, in particolare, i consorzi, le intese istituzionali e gli accordi di programma[81].
La riforma costituzionale - secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale (sentenza n. 255 del 2004) - ha attribuito la materia dello spettacolo alla competenza concorrente tra Stato e regioni, nell’ambito della promozione e organizzazione di attività culturali.
Nella sentenza n. 255 del 2004, la Corte ha infatti riconosciuto che la materia concernente la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”, affidata alla legislazione concorrente di Stato e regioni, pur non menzionandole espressamente, ricomprende senza dubbio nella sua seconda parte, nell’ambito delle più ampie attività culturali, anche le azioni di sostegno degli spettacoli. Tale interpretazione è stata poi confermata nella sentenza n. 285 del 2005.
Detta collocazione rileva ai fini della definizione dei criteri e delle modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo nonché delle aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo previsto dalla legge 30 aprile 1985, n. 163[82]; la cui disciplina ha subito, nel corso della legislatura, un adeguamento alle prescrizioni costituzionali.
In particolare, nelle more della ridefinizione normativa degli àmbiti di competenza dello Stato e delle regioni ai sensi del nuovo art. 117 Cost., il DL 18 febbraio 2003, n. 24 (convertito con modificazioni dalla legge 82/2003), ha affidato a decreti del Ministro per i beni e le attivitàculturali non aventi natura regolamentare la determinazione, con cadenza annuale, delle modalità di erogazione dei contributi allo spettacolo, previsti dalla legge 30 aprile 1985, n. 163 nonché le aliquote di riparto del FUS tra i diversi settori. Tale decreto è stato oggetto della citata pronuncia della Corte costituzionale n. 255 del 2004 che, pur confermando la legittimità della norma in quanto introdotta in via transitoria, segnalava tuttavia l’esigenza di prevedere opportuni strumenti di collaborazione con il sistema delle autonomie regionali.
La disciplina transitoria è stata poi confermata per l’anno 2005[83] dal DL 30 dicembre 2004 n. 314 (convertito dalla legge 1 marzo 2005, n. 26). Alla sistemazione definitiva della materia ha quindi provveduto la legge 15 novembre 2005, n. 239, che, in linea con quanto previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 255 del 2004, ha introdotto l’intesa con la Conferenza unificata nella procedura di adozione dei decreti ministeriali concernenti i criteri e le modalità di erogazione dei contributi del FUS alle attività dello spettacolo previsti dal DL n. 24 del 2003 ed ha eliminato la cadenza annuale per l’adozione dei citati decreti.
La legge 15 novembre 2005, n. 239, ha consentito inoltre di dare seguito ad un’altra sentenza della Corte in materia di coinvolgimento delle regioni nei procedimenti relativi alla materia dello spettacolo. In particolare, con sentenza n. 285 del 2005, la Corte costituzionale si è pronunciata sul d.lgs. n. 28 del 2004 di riordino del cinema, dichiarando l’illegittimità costituzionale di varie disposizioni del decreto nella parte in cui non si prevedeva il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni ai fini del raggiungimento della previa intesa o dell'acquisizione del previo parere nelle procedure di adozione dei decreti ministeriali. Su tale materia è intervenuto il DL n. 164 del 2005, successivamente ritirato dal Governo, al fine di conformare il procedimento di finanziamento dei progetti filmici di interesse culturale previsto dal d.lgs. n. 28 del 2004 ai principi sanciti dalla sentenza della Corte costituzionale. La legge n. 239 del 2005 ha quindi provveduto a salvaguardare gli atti e gli effetti prodottisi dal decreto-legge non convertito.
La materia “ordinamento sportivo”, rientra, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente, con la conseguenza che all’intervento normativo statale è consentita unicamente la fissazione di principi, mentre l’adozione di disposizioni attuative e di dettaglio è riservata alle regioni. Giova, inoltre, ricordare che le modifiche previste dalla legge di riforma costituzionale approvata in via definitiva il 16 novembre 2005[84] comportano l’inserimento - all'articolo 117 della Costituzione - tra le materie di competenza statale, dell’ordinamento sportivo nazionale, mentre tra le materie di legislazione concorrente è incluso l’ordinamento sportivo regionale.
Si ricorda, infine, che la disciplina del diritto d’autore è riconducibile alla materia “opere dell’ingegno” che l’art.117, secondo comma, Cost., rimette alla competenza legislativa esclusiva statale.
La materia culturale, non espressamente oggetto di una politica particolare dell’Unione europea, è stata introdotta con l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, il 1° novembre 1993. Ai sensi dell’articolo 3 del Trattato che istituisce la Comunità europea, essa ha l'obiettivo di partecipare "allo sviluppo delle culture dei diversi Stati membri”.
Due altri articoli del Trattato fanno riferimento alla cultura. Il primo costituisce la base giuridica per l’adozione di azioni culturali diversificate (articolo 151); il secondo (articolo 87), nell’ambito della disciplina degli aiuti di Stato, prende in considerazione i sussidi finalizzati alla promozione di attività culturali.
Secondo quanto previsto dall’articolo 151, l’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune; favorisce la collaborazione fra gli operatori culturali dei diversi Stati membri ovvero completa le loro iniziative, ma non impone l’armonizzazione delle politiche culturali.
L’articolo 87, con riferimento agli indirizzi da perseguire in materia di concorrenza, pur definendo in via generale incompatibili con il mercato comune gli aiuti di Stato nella misura in cui incidano sugli scambi tra i Paesi membri, include tra le possibili deroghe “gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio” a condizione che non alterino il regime degli scambi e della concorrenza.
Occorre infine ricordare che, pur essendo in linea di massima vietate le restrizioni quantitative alle importazioni ed alle esportazioni, sono autorizzate limitazioni giustificate dall’esigenza di proteggere il patrimonio artistico‚ storico o archeologico nazionale (articoli 28-30 del Trattato).
La politica dell’Unione europea nel settore culturale si traduce in azioni concrete; in particolare (con Decisione 508/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 febbraio 2000) è stato istituito uno strumento unico di finanziamento e programmazione della cooperazione culturale, denominato programma "Cultura 2000". Il progetto, inizialmente varato per l’arco temporale 2000-2004, è stato poi prorogato fino al 31 dicembre 2006 (Decisione n. 626/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004).
Il programma si propone di promuovere lo sviluppo e la valorizzazione di uno spazio culturale europeo mediante il sostegno alla cooperazione tra autori, artisti e operatori culturali; esso persegue le finalità di favorire il dialogo e la conoscenza reciproca della cultura e della storia dei popoli europei; salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale comune; promuovere la creatività, la diffusione transnazionale della cultura e la circolazione degli artisti e delle opere; migliorare l'accesso e la partecipazione alla cultura del maggior numero di cittadini europei, in particolare dei giovani e delle fasce sociali più svantaggiate; valorizzare il ruolo della cultura quale fattore di sviluppo socioeconomico; agevolare il dialogo e lo scambio con i Paesi terzi.
Si ricorda inoltre che il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa[85]ha introdotto una norma (articolo I-3) con cui l’Unione si prefigge di rispettare le diversità culturali e linguistiche (la cosiddetta “eccezione culturale”) e vigilare sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo specie nel caso di accordi (nel settore degli scambi di servizi culturali e audiovisivi) suscettibili di compromettere la diversità culturale e linguistica dei Paesi membri .
Riguardo alle politiche culturali, Il Trattato conferma gli indirizzi del Trattato CE sia per quanto attiene l’incoraggiamento della cooperazione tra Stati membri ed il sostegno alle azioni per lo sviluppo della diffusione della cultura e della storia dei popoli sia per quanto attiene gli indirizzi in materia di aiuti di Stato.
Si ricorda infine che il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa ha introdotto all’art. III-282, una norma di sostegno allo sport, i cui profili europei sono promossi dall’Unione tenendo conto della specificità del settore, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale e educativa. In tal senso l'azione dell'Unione promuove l'imparzialità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e protegge l'integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei giovani.
Nel settore dei beni e delle attività culturali si deve innanzitutto registrare un importante intervento di riordino legislativo, costituito dalla delega per la riforma dell'organizzazione del governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici. La legge 6 luglio 2002, n. 137, (articolo 10) ha delegato il governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle materie di competenze del Ministero per i beni e le attività culturali. Si tratta in particolare di:beni culturali e ambientali (settore per il quale è previsto un intervento di codificazione); cinematografia; teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; sport; proprietà letteraria e diritto d'autore.
In attuazione della delega sono stati emanati i seguenti provvedimenti:
§ con riferimento alla cinematografia, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 28, recante riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche (v. capitolo Cinema e spettacolo); il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 32, recante modifiche alla disciplina del Centro sperimentale di cinematografia;
§ in materia di spettacolo dal vivo, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 33, recante modifiche alla disciplina dell’Istituto nazionale per il dramma antico;
§ in materia di beni culturali e ambientali, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (vedi scheda Codice dei beni culturali e ambientali), il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, recante modifiche alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali (v. capitolo La riforma della “legge Merloni” nel dossier relativo alla Commissione Ambiente).
La delega, una volta scaduta, è stata poi riproposta dalla legge n. 186 del 2004 (legge di conversione del DL n. 136/2004, art. 2 comma 3) con il nuovo termine del 29 luglio 2005, prorogato di dodici mesi (29 luglio 2006) dalla legge n. 168 del 2005 (legge di conversione del DL n. 115/2005). Tale ultima delega riguarda il riassetto delle disposizioni legislative vigenti in materia di teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; sport; proprietà letteraria e diritto d’autore (sono pertanto esclusi, rispetto alla legge 137/2002, i settori - cinematografia e beni culturali ed ambientali - già interessati da interventi legislativi).
La norma di delega (art. 10 della legge 137/2002) definisce alcuni principi e criteri direttivi a valenza generale, cioè applicabili a tutte le materie interessate dal riordino, consistenti nell’adeguamento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, alla normativa comunitaria ed agli accordi internazionali; nel miglioramento dell'efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l'ottimizzazione delle risorse assegnate e l'incremento delle entrate; nella chiara indicazione delle politiche pubbliche di settore, anche ai fini di una significativa e trasparente impostazione del bilancio; nello snellimento e abbreviazione dei procedimenti; nell’adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche.
Sono dettati, poi, alcuni principi e criteri direttivi riferiti a ciascuna delle specifiche materie oggetto della delega.
Per quanto concerne i beni culturali:
· aggiornamento degli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali, nonché riorganizzazione dei servizi offerti, anche attraverso la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati;
· adeguamento della disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, prevedendo - tra l’altro - la modifica delle soglie per il ricorso alle procedure di individuazione del contraente (al fine di consentire la partecipazione di imprese artigiane di comprovata specializzazione);
· ridefinizione delle modalità di costituzione e funzionamento degli organismi consultivi nelle procedure per la concessione di contributi in favore di enti ed istituti culturali, al fine di realizzare la separazione fra amministrazione e politica e con particolare attenzione ai profili di incompatibilità;
· individuazione delle forme di collaborazione, in sede procedimentale, tra le amministrazioni per i beni e le attività culturali e della difesa, per la realizzazione di opere destinate alla difesa militare.
Per quanto concerne la cinematografia, il teatro, la musica, la danza e altre forme di spettacolo dal vivo:
· razionalizzazione degli organismi consultivi e delle relative funzioni, anche mediante soppressione, accorpamento e riduzione del numero e dei componenti;
· snellimento delle procedure di liquidazione dei contributi e ridefinizione delle modalità di costituzione e funzionamento degli organismi che individuano i destinatari di contributi e la quantificazione degli stessi;
· adeguamento dell'assetto organizzativo degli organismi e degli enti di settore;
· revisione del sistema dei controlli sull'impiego delle risorse assegnate e sugli effetti prodotti dagli interventi.
Per quanto concerne lo sport:
· armonizzazione della legislazione ai princìpi generali a cui si ispirano gli Stati dell'Unione europea in materia di doping;
· riordino dell'Istituto per il credito sportivo, assicurando negli organi anche la rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali;
· previsione di strumenti di finanziamento anche a soggetti privati.
Per quanto concerne la proprietà letteraria e il diritto d’autore:
· riordino anche nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi indicati all'articolo 14, comma 1, lettera b), della legge 15 marzo 1997, n. 59[86], la Società italiana degli autori ed editori (SIAE), il cui statuto dovrà assicurare un'adeguata presenza degli autori, degli editori e degli altri soggetti creativi negli organi dell'ente e la massima trasparenza nella ripartizione dei proventi derivanti dall'esazione dei diritti d'autore tra gli aventi diritto;
· armonizzazione della legislazione relativa alla produzione e diffusione di contenuti digitali e multimediali e di software ai princìpi generali a cui si ispira l'Unione europea in materia di diritto d'autore e diritti connessi.
Con riferimento alle procedure di adozione dei decreti legislativi, si ricorda che essi sono emanati, sentita la Conferenza unificata, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, da rendere entro 60 giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi. Alla scadenza di tale termine i decreti possono comunque essere emanati. Si segnala che il DL 24/2003[87] ha eliminato da tale procedura il parere del Consiglio di Stato.
La norma di delega prevede infine che disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi possano essere adottate entro quattro anni[88] dalla loro entrata in vigore, nel rispetto degli stessi principi e con le medesime procedure.
In attuazione di tale ultima disposizione, sono stati emanati due decreti recanti disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, rispettivamente in relazione ai beni culturali (d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156) ed al paesaggio (d.lgs. 24 marzo 2006 n. 157).
Da ultimo si ricorda che la citata legge 27 luglio 2004, n. 186, (art. 2 comma 1)ha rideterminato i termini per l’esercizio di numerose deleghe legislative e conferito nuove deleghe in varie materie, riprendendo il contenuto di deleghe precedenti: si tratta principalmente, ma non esclusivamente, di quelle recate dalla L. 137/2002 sull’organizzazione del Governo e di enti pubblici, e dalla legge di semplificazione 2001 (L. 229/2003)[89]. Le nuove deleghe, per quanto qui interessa, concernono:
§ l’ordinamento del Ministero per i beni e le attività culturali (D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59);
§ la disciplina delle fondazioni “La Biennale di Venezia” (D.Lgs. 29 gennaio 1998, n. 19, Trasformazione dell'ente pubblico “La Biennale di Venezia” in persona giuridica privata denominata “Fondazione La Biennale di Venezia” , a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della L. 15 marzo 1997, n. 59) e “La Triennale di Milano” D.Lgs. 20 luglio 1999, n. 273 Trasformazione in fondazione dell'ente autonomo “La Triennale di Milano”, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59);
Per l’adozione di tali decreti vengono richiamati procedure e criteri direttivi di cui all’art. 1, commi 2 e 3, della legge 6 luglio 2002, n. 137.
l termine per l’esercizio delle deleghe è tuttavia spirato: esso, originariamente fissato al 29 luglio 2005, era stato prorogato al 31 dicembre 2005 dall’art. 9 del DL 9 novembre 2004, n. 266 (convertito con modificazioni dalla legge 27 dicembre 2004, n. 306).
Si ricorda in proposito che i tre decreti legislativi citati sopra, destinatari dell’intervento integrativo o correttivo, sono stati adottati ai sensi del già richiamato art. 11 della L. 59/1997. Due di essi (il d.lgs. 368/1998 relativo al ministero e il d.lgs. 19/1998-relativo alla Biennale di Venezia) sono stati in seguito oggetto di modifiche sulla base della delega recata dal citato art. 1 della L. 137/2002 (tali modifiche sono state rispettivamente adottate con d.lgs. 3/2004 –v. capitolo Riordino del Ministero beni culturali - e d.lgs.1/2004).
In particolare il d.lgs.1/2004 [90]ha trasformato la società di cultura “Biennale di Venezia”, già persona giuridica privata, in fondazione. Secondo la relazione del governo allo schema di decreto legislativo trasmesso alle Camere per il parere (novembre 2003), il provvedimento intende definire più compiutamente la natura giuridica dell’organismo; incentivare varie forme di apporto economico dei soggetti privati; rafforzare i poteri del consiglio di amministrazione al fine di migliorare la gestione delle attività che, come è noto, consistono nella promozione delle nuove tendenze artistiche e nell’organizzazione di manifestazioni internazionali nelle arti contemporanee (arte architettura cinema danza musica teatro).
Nel corso della legislatura il Ministero per i beni e le attività culturali è stato sottoposto ad un intervento di riorganizzazione disposto dalla legge 6 luglio 2002, n. 137,(c.d. legge Frattini), che ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi correttivi o modificativi di decreti legislativi già emanati ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. a), della legge n.59/1997 (c.d. legge Bassanini 1). In particolare, il d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 ha modificato la struttura del Ministero per i beni e le attività culturali, come definita dal d.lgs. n. 368/1998 e dal d.lgs. n. 300/1999, adottati, per l’appunto, ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. a), della suddetta legge n. 59/1997. In particolare, il d.lgs. 368/1998 ha attribuito al nuovo Ministero le seguenti competenze:
· tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali;
· promozione delle attività culturali con particolare riferimento al settore dello spettacolo;
· promozione del libro, della lettura e delle attività editoriali di elevato valore culturale;
· promozione della cultura urbanistica e architettonica;
· studio, ricerca, alta formazione nei settori di competenza, anche mediante sostegno alle attività degli istituti culturali;
· diffusione dell’arte e della cultura italiana all’estero, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e fatte salve le attribuzioni di questo;
· vigilanza sul C.O.N.I. e sull’Istituto per il credito sportivo.
Il D.Lgs. 303/1999[91] ha poi trasferito ad esso anche le funzioni in materia di diritto d’autore, disciplina della proprietà letteraria e promozione delle attività culturali già esercitate dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (nonché le relative risorse).
Il citato d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 ha introdotto la struttura dipartimentale, ritenuta più idonea ad assicurare il coordinamento delle molteplici e peculiari competenze del Ministero, rispetto all’assetto organizzativo precedente basato su un’unica figura di coordinamento (Segretario generale), che è stata pertanto soppressa, ed ha inoltre istituito gli uffici dirigenziali generali territoriali, gerarchicamente sovraordinati alle esistenti Soprintendenze di settore, con l’obiettivo di ottimizzare il rapporto tra le varie strutture e di creare un efficiente punto di riferimento per i rapporti con le istituzioni regionali, anche in considerazione della revisione del titolo V della Costituzione.
Il successivo DPR 8 giugno 2004, n.173, recante il regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ha quindi operato l’adeguamento dell’articolazione del Ministero (Amministrazione centrale, gli organi consultivi centrali e Amministrazione periferica) alle nuove disposizioni recate dal d.lgs. n. 3 del 2004 ed ha pertanto sostituito il precedente regolamento di organizzazione di cui al DPR 29 dicembre 2000, n. 441[92].
L’Amministrazione centrale si articola in quattro dipartimenti.
In particolare, il Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici cura la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, promuove la qualità architettonica ed urbanistica e l’arte contemporanea e si articola, a livello centrale, nei seguenti uffici dirigenziali di livello generale:
a) Direzione generale per i beni archeologici;
b) Direzione generale per i beni architettonici e paesaggistici;
c) Direzione generale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico;
d) Direzione generale per l’architettura e l’arte contemporanee.
Tale Dipartimento è inoltre articolato, a livello territoriale, in uffici di livello dirigenziale generale (denominati Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici).
Il Dipartimento per i beni archivistici e librari cura la tutela e la valorizzazione del patrimonio archivistico e librario e si articola nei seguenti uffici dirigenziali di livello generale:
a) Direzione generale per gli archivi;
b) Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali.
Il Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione promuove la ricerca finalizzata agli interventi di tutela dei beni culturali, cura la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale, definisce gli indirizzi in materia di gestione delle risorse finanziarie, umane e strumentali dell’amministrazione e si articola nei seguenti uffici dirigenziali di livello generale:
a) Direzione generale per gli affari generali, il bilancio, le risorse umane e la formazione;
b) Direzione generale per l’innovazione tecnologica e la promozione.
Il Dipartimento per lo spettacolo e lo sport svolge funzioni e compiti in materia di attività teatrali, musicali, cinematografiche, di danza, circensi e delle altre espressioni della cultura e dell’arte aventi carattere di spettacolo nonché in materia di attività sportive agonistiche ed amatoriali e di impiantistica sportiva; si articola nei seguenti uffici dirigenziali di livello generale:
a) Direzione generale per il cinema;
b) Direzione generale per lo spettacolo dal vivo.
E’ inoltre disciplinatala Conferenza dei capi dei dipartimenti e dei dirigenti preposti agli uffici centrali di livello dirigenziale generale compresi nei dipartimenti, che esamina le questioni attinenti al coordinamento generale dell'attività del Ministero e formula al Ministro stesso proposte per l'emanazione di indirizzi e direttive volti ad assicurare il raccordo operativo fra i dipartimenti e lo svolgimento coordinato delle relative funzioni.
Per quanto riguarda gli organi consultivi centrali, il regolamento istituiscee disciplina, perseguendo finalità di snellimento, composizione e compiti del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, organo tecnico scientifico di consulenza del Ministro (composto da 17 membri) nonché dei seguenti altri organi consultivi (ciascuno composto da 5 membri) :
- Comitato tecnico-scientifico per i beni archeologici;
- Comitato tecnico-scientifico per i beni architettonici e paesaggistici;
- Comitato tecnico-scientifico per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico;
- Comitato tecnico-scientifico per gli archivi;
- Comitato tecnico-scientifico per i beni librari e gli istituti culturali;
- Comitato tecnico-scientifico per l’architettura e l’arte contemporanee[93].
L’Amministrazione periferica, infine, si articola nei seguenti organi:
- le direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, articolazioni territoriali di livello dirigenziale generale del Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici, con il compito di curare i rapporti del Ministero con le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione. In tale ambito sono inoltre istituiti i Comitati regionali di coordinamento, organi consultivi intersettoriali;
- le soprintendenze per i beni architettonici e per il paesaggio;
- le soprintendenze per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico;
- le soprintendenze per i beni archeologici;
- le soprintendenze archivistiche;
- gli archivi di Stato, le biblioteche statali;
- i musei e gli altri istituti dotati di autonomia.
Con riguardo al personale del ministero si ricorda che la legge 311/2004 (legge finanziaria 2005) ha esteso (art. 1 commi 95-97) al triennio 2005-2007 cosidetto “blocco del turn over” cioè il divieto alle amministrazioni statali di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato; disposizioni di analogo tenore erano contenute nelle leggi finanziarie precedenti con ambito di applicazione limitato ad un anno.
Merita segnalare inoltre che, con una serie di proroghe disposte dalle leggi finanziarie (da ultimo art. 1, comma 237, legge 266/2005), è stata autorizzata di anno in anno la prosecuzione dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati dal Ministero per i beni e le attività culturali per specifiche finalità quali la ricostruzione post-sismica ed il prolungamento degli orari di apertura di musei, aree archeologiche, archivi e biblioteche[94]. Tali contratti verranno pertanto a scadere il 31 dicembre 2006.
La medesima legge finanziaria 2006 (art. 1, comma 247, legge 266/2005) ha poi autorizzato l’espletamento di procedure concorsuali volte alla stabilizzazione di un numero complessivo di 7000 precari operanti presso vari ministeri, tra i quali appunto il ministero per i beni e le attività culturali.
Infine, ancora la legge finanziaria 2006 (art. 1, comma 596), ha disposto la trasformazione in contratti di lavoro a tempo determinato, nel limite di 95 unità, dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati nell’anno 2005 dal Ministero per i beni e le attività culturali con soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili (ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81[95]).
In attuazione della delega per il riassetto e la codificazione nel settore dei beni culturali di cui all’art.10 della legge n.137 del 2002, sono stati emanati il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, recante modifiche alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali (recentemente confluito nel Codice dei contratti pubblici[96] e contestualmente abrogato).
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha sostituito il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) che, nella precedente legislatura, avevaraccolto e riordinato la legislazione esistente in materia (vedi scheda Codice dei beni culturali e ambientali).
Disposizioni integrative e correttive al Codice sono state poi adottate con i d.lgs 24 marzo 2006, n. 156, relativamente ai beni culturali e n.157 relativamente al paesaggio.
Tale intervento di “riassetto” e “codificazione” delle disposizioni legislative in materia di beni culturali (secondo i termini utilizzati dalla legge delega n. 137 del 2002), si poneva innanzitutto l’obiettivo di adeguare le norme in esame alle modifiche introdotte dalla riforma costituzionale agli articoli 117 e 118 della Costituzione. Gli altri principi e criteri direttivi della delega prevedevano, in particolare, l’adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali; il miglioramento dell'efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l'ottimizzazione delle risorse assegnate e l'incremento delle entrate; l’aggiornamento degli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali, anche attraverso la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati.
Per quanto concerne l’adeguamento all’articolo 117 Cost., si segnala, innanzitutto, l’intera parte prima del Codice (articoli 1-9), recante le disposizioni generali volte a definire l’assetto generale delle competenze dello Stato e delle Regioni in materia di tutela e di valorizzazione.
La tutela del patrimonio culturale - di esclusiva competenza statale - è definita come l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a garantire l’individuazione, la conoscenza, la protezione e la conservazione del patrimonio culturale, nonché a conformare e regolare diritti e comportamenti ad esso inerenti.
La valorizzazione del patrimonio culturale - attribuita alla competenza concorrente tra Stato e regioni - consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuoverne la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno agli interventi di conservazione. Tale funzione è vista in rapporto di subordinazione alla tutela, dovendo essere attuata in forme coerenti con essa e comunque tali da non pregiudicarne le esigenze (art. 6). Il Codice prevede, inoltre, che venga favorita la partecipazione di soggetti privati alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Direttamente finalizzata a sviluppare la distinzione tra attività di tutela e valorizzazione introdotta all’articolo 117 Cost. appare l’articolazione della seconda parte del codice, concernente i beni culturali, in due distinti titoli, dedicati, rispettivamente, alla tutela (titolo I) e alla valorizzazione (titolo II). All’interno di quest’ultima, in particolare, numerose disposizioni prevedono il riconoscimento alle regioni di funzioni e poteri in materia di fruizione e, soprattutto, valorizzazione (ad esempio, il riconoscimento alle regioni della possibilità di esercitare la prelazione per l’acquisto di beni culturali a titolo oneroso ovvero l’espropriazione di questi ultimi; l’attribuzione congiunta al Ministero e alle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, della vigilanza sul rispetto dei diritti d’uso e godimento dei beni culturali; la nuova disciplina della destinazione dei proventi dei biglietti di ingresso nei luoghi della cultura).
In materia di riparto di competenze tra Stato e regioni in materia di beni culturali, nel corso della legislatura la Corte costituzionale ha avuto modo di intervenire più volte (v. capitolo Riparto di competenze). Si segnala, in particolare, dopo l’adozione del Codice dei beni culturali e paesaggistici, la sentenza n. 232 del 2005, nella quale la Corte ha richiamato - ai fini del citato riparto di competenze - le disposizioni ivi contenute: tale testo legislativo, secondo la Corte, ribadisce l’esigenza dell’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano non soltanto lo Stato, ma anche le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, comma 3). Nelle materie in esame la Corte ribadisce quindi la coesistenza di competenze normative, confermata peraltro dalla previsione dell’articolo 118, terzo comma della Costituzione, ai sensi della quale nella materia dei beni culturali la legge statale prevede forme di intesa e coordinamento tra Stato e Regioni.
In relazione a tale questione si ricorda che il Senato ha svolto un’indagine conoscitiva sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, il cui documento conclusivo (doc. XVII, n. 25) è stato approvato, con l’astensione delle forze di opposizione, dalla 7° Commissione Istruzione il 1° febbraio 2006. In tema di riparto di competenze fra tutela e valorizzazione la Commissione ritiene che il Codice risponda solo in parte alla necessità di un'effettiva integrazione delle due funzioni ed auspica il superamento di tale modello. Riguardo alle novità introdotte dal Codice in tema di sussidiarietà verticale, la Commissione ha rilevato come la disciplina del settore sia ancora in fase di evoluzione e potrà essere valutata solo dopo che le autonomie territoriali avranno esercitato le competenze loro attribuite dal Titolo V della Costituzione. Con riferimento al coinvolgimento di soggetti privati nel settore dei beni culturali, la Commissione ha espresso apprezzamento per le novità introdotte dal Codice, sottolineando peraltro l’esigenza che, a fronte della maggiore apertura nei confronti degli istituti privatistici, siano rafforzate le funzioni di controllo e valutazione sull'efficacia di tali modelli. Segnalando l’opportunità di misure volte a rendere più appetibili ai privati gli investimenti nel settore, la Commissione conclude ricordando che le esperienze internazionali escludono la possibilità di considerare l’apporto privato sostitutivo di quello pubblico. Al contrario, occorre che il finanziamento statale sia certo e programmato nel tempo, al fine di garantire l'indispensabile programmazione a livello locale e contemporaneamente di attirare il finanziamento privato che affluisce solo dove sono certi e dinamici gli stanziamenti pubblici.
Nel settore dei beni e delle attività culturali sono inoltre particolarmente numerosi, da una parte i provvedimenti approvati dalla Commissione in sede legislativa, per lo più su iniziativa parlamentare e con il concorso di tutti i gruppi, dall’altra gli interventi introdotti in provvedimenti plurisettoriali (leggi finanziarie e decreti-legge omnibus), di iniziativa sostanzialmente governativa, su cui si sono registrati spesso vivaci contrasti.
Nel primo caso si tratta di provvedimenti per lo più fortemente settoriali – ma talora politicamente assai significativi dei quali si dà conto di seguito.
L’istituzione a Ferraradel Museo della Shoah (legge 17 aprile 2003, n. 91), gestito da apposita fondazione, con il compito di raccogliere ed esporre testimonianze sulla Shoah e sulla deportazione degli ebrei italiani; di promuovere attività didattiche e manifestazioni sulla pace tra i popoli; di organizzare premi per libri, persone o enti che contribuiscono alla conoscenza della Shoah. Per la realizzazione del museo sono stati successivamente stanziati 15 milioni di euro per l'anno 2005 (legge 10 ottobre 2005, n. 208) e 250 mila euro per il 2006 (art. 1-novies del DL 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27).
L’istituzione della Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo – ARCUS (legge 16 ottobre 2003, n. 291), chiamata a svolgere un ruolo di promozione e sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di interventi per la conservazione e la tutela dei beni culturali nonché di iniziative a favore delle attività culturali e dello spettacolo. A tal fine la legge ha stabilito che per l’esercizio delle proprie funzioni la società possa, nei limiti delle quote già preordinate come limiti d’impegno, contrarre mutui a valere sulle risorse da individuare ai sensi dell’ art. 60, co. 4, della legge finanziaria 2003, che ha riservato il 3% (successivamente elevato al 5%) degli stanziamenti per le infrastrutture alla spesa per la tutela e per gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali (Vedi scheda: Spesa per la cultura).
La nuova disciplina del deposito legale di documenti di interesse culturale, approvata con la legge 15 aprile 2004, n. 106, che prevede il deposito obbligatorio dei documenti destinati all'uso pubblico e fruibili mediante la lettura, l'ascolto e la visione, qualunque sia il processo tecnico di produzione, di edizione o di diffusione, ivi compresi i documenti fruibili da parte di portatori di handicap. Il provvedimento finalizza il deposito alla costituzione dell’archivio nazionale e regionale della produzione editoriale ed alla realizzazione di servizi bibliografici; definisce quindi soggetti e categorie di documenti destinatari dell’obbligo, includendo tra questi ultimi i film iscritti nel pubblico registro della cinematografia tenuto dalla Società italiana autori ed editori (SIAE), nonché i documenti diffusi su supporto informatico.
La commemorazione della figura di Giacomo Matteotti (legge 2 ottobre 2004, n. 255), attraverso l’assegnazione al comune di Fratta Polesine- anche per la realizzazione di una apposita «casa-museo» - di 700.000 euro per l'anno 2004. Inoltre, per la commemorazione dell'ottantesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti è concesso un ulteriore contributo di 50.000 euro per l'anno 2004 agli enti Fondazione Pietro Nenni e Fondazione Giacomo Matteotti per manifestazioni e iniziative culturali.
La salvaguardia del patrimonio culturale ebraico in Italia, prevista dalla legge 17 agosto 2005, n.175. La legge autorizza la spesa di un milione di euro per il 2005 e di due milioni di euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007 per interventi di restauro sul patrimonio culturale, architettonico, artistico e archivistico ebraico in Italia, questi ultimi saranno definiti annualmente con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, previo parere dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane. Tali interventi potranno essere direttamente effettuati dalla stessa Unione o da soggetti ed istituzioni proprietari, possessori o detentori dei beni, ai quali le risorse saranno assegnate secondo le procedure per l’erogazione di contributi previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).
Le misure per la tutela dei siti italiani inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO (legge 20 febbraio 2006, n. 77), riconosciuti quali punte di eccellenza del patrimonio culturale e paesaggistico italiano, in linea con i principi della Convenzione internazionale sulla protezione del patrimonio culturale e ambientale mondiale. Sono previsti interventi per la gestione dei siti e la costituzione di un rapporto tra flussi turistici e servizi culturali; individuando in appositi piani di gestione lo strumento per assicurare adeguata tutela ai siti stessi. Nell’ambito di tali piani sono definite le priorità, le azioni esperibili per reperire risorse pubbliche e private nonché possibili collegamenti con altri strumenti.
Le iniziative volte a favorire lo sviluppo della cultura della pace (legge 24 febbraio 2006, n. 103) attraverso il conferimento alla città di Rovereto del titolo di "Città della pace" e la promozione di apposite attività culturali e di studio affidate anche all'Istituto di scienze per la pace, appositamente costituito.
Quanto agli interventi introdotti in provvedimenti plurisettoriali (leggi finanziarie e decreti-legge omnibus), si possono ricordare gli interventi concernenti i nuovi strumenti di coinvolgimento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali (art.1, commi 303-305, della legge 30 dicembre 2004, n.311, legge finanziaria per il 2005), la disciplina della cosiddetta archeologia preventiva (art.2-ter, 2-quater, 2-quinques delDL 26 aprile 2005, n. 63 convertito dalla legge 25 giugno 2005, n. 109[97]) e, soprattutto, le procedure per la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili, spesso strettamente connesse con i diversi provvedimenti di dismissione della gestione del patrimonio immobiliare pubblico e in materia di irregolarità edilizie(art. 27 del DL 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326)
In particolare l’art. 27 del DL n. 269/2003 ha introdotto la procedura per la verifica della sussistenza dell’interesse culturale nei beni del patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico per escludere dall’ambito di applicazione delle disposizioni di tutela (all’epoca recate dal T.U dei beni culturali e ambientali, ora sostituito dal Codice) i beni immobili che le soprintendenze regionali giudichino privi di tale interesse, anche in vista della loro successiva sdemanializzazione. Particolare rilevanza ha poi assunto - con riferimento al procedimento di verifica - l’intervento recato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80)che ha riscritto l’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241[98], relativo al silenzio assenso, escludendo l’applicabilità di tale meccanismo, tra l’altro, agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico.
Numerose disposizioni, poi, nel corso della legislatura, hanno assegnato finanziamenti specifici per la tutela e valorizzazione di beni e attività culturali, tra queste si ricordano in particolare, la legge 8 novembre 2002, n. 264, e la citata legge 16 ottobre 2003, n. 291. Merita segnalare tuttavia che le modalità di allocazione della spesa si sono modificate nel corso della legislatura; infatti la legge finanziaria per il 2005 (art.1, commi 28-29, L.311/2004) ha previsto un’autorizzazione di spesa per interventi di tutela dell’ambiente e dei beni culturali subordinatamente ad un apposito atto di indirizzo parlamentareche individuasse gli interventi e gli enti destinatari dei contributi. Ulteriori finanziamenti sono stati poi autorizzati dal D.L. n. 7/2005 (convertito dalla legge n. 43/2005) e dal D.L. n. 203/2005 (convertito dalla legge n. 248/2005). (vedi scheda: Spesa per la cultura).
Nel corso della legislatura si è inoltre provveduto all’attuazione del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419[99], che aveva previsto l’adozione - relativamente ad una serie di enti con finalità culturali indicati in apposita tabella - di una delle seguenti misure di razionalizzazione: privatizzazione; trasformazione in strutture scientifiche universitarie; fusione o unificazione enti dello stesso settore. La scadenza per tali adempimenti, originariamente fissata al 1°gennaio 2002, è stata più volte prorogata e da ultimo fissata al 31 dicembre 2006[100]. A seguito dell’adozione di numerosi provvedimenti attuativi[101] restano da riordinare la Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”e l’Ente nazionale della cinofilia italiana.
Merita inoltre segnalare che Il D.L. 19 novembre 2004, n. 277[102], recante Interventi straordinari per il riordino e il risanamento economico dell'Ente Ordine Mauriziano di Torino ha affidato ad apposita fondazione (art. 2) la gestione dei beni del patrimonio sabaudo appartenenti all’ente ospedaliero (la Palazzina di caccia di Stupinigi, con le relative pertinenze mobiliari - ivi compresi biblioteca, archivi storici, giardino - i complessi monastici di S. Antonio di Ranverso e dell’Abbazia di Staffarla).
Si ricordano, infine, due proposte di legge in quota all’opposizione che non hanno concluso il proprio iter nel corso della legislatura.
La proposta recante Norme per l’attuazione dell’articolo 117 della Costituzione in materia di beni culturali e paesaggistici (AC 4263) nasce dall’esigenza di adeguare la legislazione in materia di tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali e, conseguentemente, la struttura organizzativa del relativo Ministero alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.
Sono innanzitutto enunciati i principi generali e l’ambito di applicazione della legge. In particolare, l’articolo 3 contiene la definizione delle attività di tutela, valorizzazione e promozione. Il Capo II ripartisce le funzioni e definisce i criteri del concorso fra Stato, regioni ed enti locali, con una elencazione delle materie riservate allo Stato - cui sono attribuiti “poteri cautelari e di surroga rispetto alle funzioni amministrative di tutela e di valorizzazione” - nonché dei compiti affidati alle regioni, alle province ed ai comuni. La pdl prevede inoltre la definizione di principi e livelli essenziali per la formazione e del reclutamento del personale impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nonché la costituzione di elenchi nazionali suddivisi per professione. E’ infine delineata una riorganizzazione dell’amministrazione centrale e periferica del Ministero ed è attribuita autonomia scientifica, gestionale e finanziaria alle istituzioni museali statali.
La proposta recante Misure di sostegno alle iniziative e alle attività culturali promosse dalle donne (AC 5515) - nel testo base adottato dalla Commissione Cultura il 13 dicembre 2005 - detta princìpi fondamentali in materia di incentivazione e sostegno delle iniziative ed attività culturali concernenti le donne o da queste ultime promosse, riservando a tali attività una quota dei contributi ordinari concessi dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali territoriali ad istituzioni culturali.
In attuazione della delega conferita dalla legge n. 137 del 2002, art. 10, (v. capitolo: Deleghe legislative), con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, è stato realizzato un intervento complessivo di riordino della disciplina delle attività cinematografiche.
Il d.lgs. n. 28 del 2004 ha dettato una nuova disciplina organica in materia di cinematografia, rinviando, per molti aspetti, a regolamenti ministeriali di attuazione. Il provvedimento, in particolare, ha definito un nuovo sistema di sostegno pubblico al cinema, riordinando gli strumenti e gli organismi operanti nel settore.
L’intervento finanziario dello Stato si polarizza, essenzialmente, attorno a un fondo di nuova istituzione, il Fondo per la produzione, la distribuzione, l’esercizio e le industrie tecniche, al quale affluiscono le risorse esistenti, in particolare, nel Fondo di intervento, nel Fondo di sostegno e nel Fondo di garanzia, nonché la quota del cinema nell’ambito del Fondo unico dello spettacolo (FUS). La gestione di tale Fondo è rimessa, in via transitoria, alla BNL (Sezione per il credito cinematografico). Il termine per la gestione transitoria da parte della BNL è stato da ultimo prorogato fino al 30 giugno 2006 dall’art.10 del DL 30 dicembre 2005, n. 273 (convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51).
Le valutazioni ai fini dell’ammissione ai contributi sono rimesse alla Commissione per la cinematografia, suddivisa in due sottocommissioni - la sottocommissione per il riconoscimento dell'interesse culturale (che valuta i progetti di opere filmiche) e la sottocommissione per la promozione e per i film d'essai (che valuta le opere realizzate) - e composta da esperti individuati dal MBAC, che ha assorbito le funzioni svolte dalla Commissione consultiva per il cinema, dalla Commissione per il credito cinematografico e dalla Commissione lungometraggi, cortometraggi e film per ragazzi (conseguentemente soppresse). Con riguardo alla composizione dell’organismo, in adesione agli orientamenti della Corte costituzionale (sentenza 285 del 2005), l’art 5-bis del DL 5 dicembre 2005, n. 250 (convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27) ha recentemente previsto che la Conferenza Stato-regioni indichi un terzo dei membri (scelta originariamente rimessa per intero al Ministro per i beni e le attività culturali).
Gli strumenti di intervento trovano sostanziale corrispondenza in quelli previgenti, peraltro con alcune significative differenze di fondo:
la riduzione della quota massima di costo del film finanziabile dallo Stato;
l’introduzione di parametri automatici di valutazione, al fine di ridurre gli elementi di discrezionalità;
una nuova disciplina per la dichiarazione di film di interesse culturale, rimessa alla sola Commissione per la cinematografia;
la previsione della possibilità di utilizzare marchi e prodotti all’interno dei film nel caso di dichiarata partecipazione delle ditte produttrici ai costi di produzione dei film (cosiddetto product placement).
Il provvedimento ha introdotto, infine, elementi di novità nei settori della promozione delle attività cinematografiche e dell’esercizio cinematografico, riconoscendo un importante ruolo di pianificazione alla Consulta territoriale per le attività cinematografiche (organo di nuova istituzione composto di 12 membri, di cui 3 promananti dalle regioni e 3 dagli enti locali) e devolvendo alle regioni la disciplina relativa all’apertura delle sale cinematografiche.
Sempre in attuazione della delega prevista dalla legge 137/2002, con il d.lgs. 22 gennaio 2004, n.32[103], la “Scuola nazionale di cinema” è stata trasformata nella nuova “Fondazione Centro sperimentale di cinematografia”, prevedendone un’articolata definizione dell’attività. Sono state distinte le due principali aree di attività della Fondazione, consistenti nella formazione delle professionalità cinematografiche e nella conservazione del patrimonio culturale cinematografico attraverso il deposito obbligatorio dei film di lungo e corto metraggio di produzione e coproduzione italiana. Le due aree sono gestite, rispettivamente, dalla Scuola nazionale di cinema” e dalla “Cineteca nazionale”, che divengono, in tal modo, due settori della Fondazione.
Il decreto legge 10 gennaio 2006, 4 (articolo 18) convertito dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, è intervenuto sulla disciplina relativa alla acquisizione, da parte dello Stato, della quota di diritti di utilizzazione e sfruttamento dei film finanziati ai sensi del d.lgs. n. 28 del 2004, nel caso di mancata restituzione della quota finanziata dallo Stato. A tal fine la gestione di tali diritti, nonché di quelli relativi ai film già finanziati ai sensi della normativa precedente, è affidata a Cinecittà Holding SpA con procedure oggetto di una specifica convenzione tra il Ministero e detta società.
Con riferimento a Cinecittà Holding Spa, si ricorda che l’art. 5-bis del DL 118/1993[104] ha trasformato l’Ente Autonomo di Gestione per il Cinema (istituito nel 1957 come ente a partecipazione statale per coordinare l’intervento pubblico nel settore della cinematografia) in società per azioni, denominata Ente Cinema S.p.A., ed assegnato[105] la titolarità della partecipazione societaria dello Stato al Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (ora Ministro dell’economia e delle finanze) nonché l’esercizio dei diritti dell’azionista al Ministro per i beni e le attività culturali. Dal 30 marzo 1998, a seguito di una deliberazione dell’assemblea societaria, l’Ente cinema ha assunto il nome di Cinecittà Holding SpA; che si configura come società di diritto privato che persegue fini eminentemente pubblici, sulla base di direttive impartite dal Ministro per i beni e le attività culturali. Alla Holding fanno capo una serie di società partecipate che essa coordina: in particolare la Holding detiene la totalità delle azioni dell’Istituto Luce S.p.A. (preposto alla produzione ed alla distribuzione di opere cinematografiche)
Merita poi segnalare che nel corso della legislatura è stato avviato l’esame di numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare per il riordino della disciplina delle attività cinematografiche (AC 1185 e abb.) e della disciplina dello spettacolo dal vivo (AC 587 e abb.). L’esame di queste ultime, tuttavia, non ha prodotto alcune esito: con riguardo alla cinematografia, l’approvazione del decreto legislativo di riordino del settore ha segnato una battuta d’arresto dell’iter dei provvedimenti di iniziativa parlamentare. Relativamente allo spettacolo dal vivo, dopo la discussione generale in Assemblea, non si è avviato l’ esame degli articoli sia per l’emergere di difficoltà di carattere finanziario sia per la difficoltà di definire il ruolo delle regioni nella gestione del Fondo unico per lo spettacolo, nonostante i numerosi incontri formali e informali con le regioni svolti nel corso dell’iter.
In sintesi, si ricorda che le proposte di legge di riforma delle attività cinematografiche investono differenti aspetti del settore. In particolare, mentre la pdl 2956 (Rositani) detta una disciplina organica dell’intera materia, ponendosi come normativa-quadro di riforma generale, con specifica attenzione al sostegno pubblico, le rimanenti proposte riguardano profili più specifici, quali la circolazione delle opere cinematografiche (pdl 1185 – Grignaffini), nell’ambito della quale sono previste norme volte ad evitare la formazione di posizioni dominanti nei settori della distribuzione e dell’esercizio; il doppiaggio (pdl 1206 e 1207 - Volontè), con l’istituzione dell’ordine dei doppiatori cinematografici e dell’Accademia nazionale del doppiaggio; la revisione dei film (pdl 1229 – Pecoraro Scanio) ed agevolazioni fiscali - cd. tax shelter -(pdl 1879 – Landi di Chiavenna).
Il testo unificato in materia di spettacolo dal vivo - che rappresenta la sintesi di un elevato numero di proposte di legge di tutte le forze politiche - reca un’organica disciplina del settore, con particolare riferimento ai principi fondamentali della materia ed alla ripartizione delle competenze tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali; sono poi individuati i principi concernenti i singoli settori (musica, teatro, danza, circhi, spettacolo viaggiante, artisti di strada e spettacolo popolare) nonché vari tipi di interventi per la valorizzazione e lo sviluppo dello spettacolo dal vivo. E’ inoltre prevista una delega al governo per il riordino della disciplina relativa alle fondazioni lirico-sinfoniche ed ai teatri stabili ad iniziativa pubblica nonché una delega per la razionalizzazione della disciplina fiscale e previdenziale relativa allo spettacolo dal vivo ed agli artisti e ad altri interventi per lo spettacolo dal vivo.
In proposto si ricorda che la 7° Commissione Istruzione del Senato, in data 2 marzo 2004, ha deliberato un'indagine conoscitiva sui problemi dello spettacolo, volta - secondo quanto affermato dal Presidente della Commissione nella medesima seduta del 2 marzo - “all’adozione di provvedimenti diretti ad affrontare le gravi difficoltà in cui versano molti dei soggetti operanti nel mondo dello spettacolo, come del resto è chiaramente emerso con riferimento agli enti lirici trasformati in fondazioni nel corso delle audizioni svolte in Ufficio di Presidenza lo scorso giovedì 26 febbraio”. Nel corso delle numerose audizioni svolte, è stata da più parti sollecitata l'approvazione di una legge quadro finalizzata a porre le basi per una programmazione duratura nel tempo e a dare certezze agli operatori del settore. L’indagine, peraltro, non ha portato all’approvazione di un documento conclusivo.
Si ricorda, infine, che in attuazione della delega prevista dalla legge 137/2002 è stato emanato, in materia di spettacolo dal vivo, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 33, recante modifiche alla disciplina dell’Istituto nazionale per il dramma antico, e che la direttiva del Presidente del consiglio dei ministri 13 maggio 2004 ha indetto la «Giornata nazionale della musica popolare» per la terza domenica di maggio di ogni anno.
Com’è noto, le fondazioni lirico-sinfoniche - disciplinate dalla legge n. 800 del 1967, che ha dichiarato il “rilevante interesse generale” dell’attività lirica e concertistica “in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale delle collettività nazionali” ed ha attribuito agli enti autonomi lirici e alle istituzioni concertistiche assimilate la personalità giuridica di diritto pubblico, sottoponendoli alla vigilanza del Ministero del turismo e dello spettacolo - sono state trasformate, nel corso della XIII legislatura (d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367), in fondazioni di diritto privato, al fine di eliminare rigidità organizzative connesse alla natura pubblica dei soggetti e di creare disponibilità di risorse private in aggiunta al finanziamento statale, costituito principalmente dal Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 163/1985.
Gli interventi in materia nel corso della XIV legislatura sono stati volti principalmente a favorire l’ingresso dei privati nelle fondazioni da un lato ed a risolvere la situazione di perdurante crisi economica che ha caratterizzato la vita delle fondazioni in questi ultimi anni dall’altro.
In particolare, il decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, (convertito dalla legge 21 maggio 2004, n. 128), al fine di favorire l’ingresso dei privati nelle fondazioni, ha ridotto dal 12 all'8% la quota di minima di partecipazione patrimoniale per poter nominare un membro del consiglio di amministrazione (art. 2 comma 3-bis). Il DL ha inoltre modificato i criteri per il riparto della quota del FUS degli enti lirici ed ha abolito il vincolo del 12% minimo di partecipazione di soggetti privati alle fondazioni liriche per accedere all’aumento dei contributi statali (art. 2 D.L. 345/2000).
Sulla materia è poi intervenuto poi il DL 31 gennaio 2005, n. 7 (convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43), che ha modificato la disciplina vigente attraverso vari interventi volti ad ottimizzare la gestione ed a favorire il contenimento dei costi per gli allestimenti e per il personale (art.3-ter); a tal fine il DL ha disposto il coordinamento tra le fondazioni[106], dettato norme in materia di contrattazione nazionale e integrativa, limitato le assunzioni per il triennio 2005-2007, novellato alcuni articoli del D.Lgs.367/1996).
La legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) ha introdotto il divieto, per le fondazioni lirico-sinfoniche - per gli anni 2006 e 2007 - di assunzioni a tempo indeterminato e di utilizzo di personale a tempo determinato in misura superiore al 20% dell’organico funzionale.
Il DL 30 dicembre 2005, n. 273, (convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51) ha poi apportato alcune modifiche alla disciplina delle fondazioni lirico sinfoniche, prevedendo (art.39-vicies sexies) che i membri dei consigli di amministrazione (il cui numero era fissato in sette, compreso il presidente) possano essere aumentati fino a nove. L'art. 29 del DL 10 gennaio 2006, n. 4 (convertito con modificazioni dalla legge 9 marzo 2006, n. 80) ha inoltre previsto che, qualora i consigli di amministrazione siano composti da nove membri, all'autorità di Governo in materia di spettacolo siano attribuiti almeno due rappresentanti.
Il DL 5 dicembre 2005, n. 250 (convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27), ha contemporaneamente modificato la composizione del Consiglio d’amministrazione di Santa Cecilia (art.1-decies), elevando da 9 a 13 il numero dei relativi membri e portando da 3 a 5 i membri eletti dal corpo accademico (di conseguenza passano da due a quattro i membri la cui nomina è disciplinata per statuto)
In materia di fondazioni lirico sinfoniche occorre inoltre ricordare che in aggiunta alle 13 fondazioni lirico sinfoniche derivanti dalla trasformazione degli enti di cui all’art. 6 della citata legge 800/1967 è stata costituita con legge 11 novembre 2003, n. 310, la Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatro di Bari, sottoposta - con alcune deroghe esplicitamente previste riguardanti, in particolare, la composizione del Consiglio di amministrazione della Fondazionee il termine per l’ingresso di privati nella Fondazione - alla normativa vigente in materia di fondazioni liriche. Con DM 6 aprile 2004 è stato poi approvato lo statuto della Fondazione.
La legge, come modificata dalD.L. 22 marzo 2004, n. 72, prevede inoltre che a decorrere dall'anno 2008, la Fondazione concorra al riparto ordinario delle risorse assegnate al settore delle fondazioni lirico-sinfoniche (Fondo unico dello spettacolo). In via transitoria, per l'anno 2004, e per i successivi tre anni, alla Fondazione Teatro Petruzzelli di Bari è assegnato un contributo a valere sulle risorse provenienti dal gioco del lotto secondo le modalità definite dall’articolo 3, comma 83, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Per ciò che concerne interventi a favore di singole istituzioni, con la legge 8 novembre 2002, n. 264, e con la legge finanziaria 2004 (articolo 4, co. 162) è stato previsto un finanziamento a sostegno dell’attività del teatro «Carlo Felice» di Genova per 2,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2002, 2003, 2004 e quindi di 2,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2004; la legge 14 aprile 2004, n. 98 ha invece recato interventi (1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006) a sostegno dell'attività dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia.
Nel settore dello sport, appare particolarmente accentuata la tendenza alla frammentazione degli interventi legislativi - contenuti per lo più in decreti-legge o leggi finanziarie - che hanno riguardato diversi profili: la prevenzione dei fenomeni di violenza nelle manifestazioni sportive, le misure antidoping, il riordino del CONI e dell’Istituto per il credito sportivo, la disciplina delle società sportive nonché alcune misure di sostegno a specifiche attività sportive ovvero ad eventi di particolare rilievo.
Le misure contro la violenza negli stadi sono recate da quattro decreti-legge: DL 20 agosto 2001, n. 336, DL 24 febbraio 2003, n. 28, DL 30 giugno 2005, n. 115, DL 17 agosto 2005, n. 162; (v. capitolo Violenza negli stadi)
Riguardo al doping, merita segnalare che all’inizio della legislatura è stato adottato il Regolamento concernente l'organizzazione ed il funzionamento della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (DM 31 ottobre 2001, n.440), in attuazione della legge n. 376 del 14 dicembre 2000 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping) che, nella passata legislatura, ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di doping, prevedendo, tra l’altro, sanzioni penali a carico di chi somministra i farmaci, dei dirigenti delle società sportive ed anche dell'atleta. La legge ha inoltre ampliati i controlli per contrastare l’utilizzo di sostanze dopanti ed ha previsto, a tal fine, la costituzione di una Commissione presso il Ministero della sanità. Il regolamento riproduce alcune disposizioni contenute nella legge, disciplinando in maniera più dettagliata competenze, organizzazione e funzionamento della Commissione.
In materia di sport professionistico, la cui disciplina generale è contenuta nella legge 23 marzo 1981, n. 91, recante “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, si segnala un intervento in favore della critica situazione finanziaria delle società calcistiche. Il decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, recante “Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità”, (cosiddetto “spalmadebiti”), - attraverso l’introduzione dell’articolo 18-bis nella legge n. 91 del 1981 - ha consentito alle società sportive di iscrivere in bilancio, tra le componenti attive quali oneri pluriennali da ammortizzare, le svalutazioni dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, consentendo di procedere all'ammortamento di tale svalutazione in dieci rate annuali di pari importo. Tale norma, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione UE (che ha ritenuto che la disposizione potesse essere considerata una forma di "aiuto di Stato" e contenere regole contabili incompatibili con i princìpi contabili adottati dall'Unione europea) è stata poi abrogata dall’articolo 6 del DL 30 giugno 2005, n. 115, che ha previsto un sostanziale dimezzamento del periodo in cui può essere applicata la norma(cinque annualità invece di dieci, sempre a partire dal 2002) e la non incidenza dell’ammortamento sulla posizione fiscale delle società interessate, dando seguito al compromesso raggiunto tra la Commissione europea e il Governo italiano.
Il DL 19 agosto 2003, n. 220, recante “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”, convertito dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280 (relativo al cosiddetto “caso Catania”) ha definito le relazioni tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria, sancendo il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato internazionale olimpico (CIO); tale autonomia trova un limite unicamente a fronte di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale. Per quanto concerne i rapporti tra giurisdizione sportiva e statale in materie non riservate alla giurisdizione esclusiva sportiva, viene previsto, in via generale, l’obbligo di previo esperimento dei relativi ricorsi presso gli organi di giustizia sportiva. Solo una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva, le questioni potranno essere sollevate innanzi al giudice ordinario, per quanto concerne i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, o al TAR del Lazio, competente in via esclusiva in primo grado e chiamato ad operare secondo modalità accelerate di definizione del giudizio, per ogni altra controversia che abbia ad oggetto atti del CONI o delle federazioni sportive.
Per ciò che concerne il CONI, si ricorda che in primo luogo l’articolo 8 del DL 8 luglio 2002, n. 138 (convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 178) ha provveduto alla creazione di una società per azioni, denominata CONI Servizi spa, a totale partecipazione pubblica (le azioni sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze), chiamata a supportare l’insieme delle attività del Comitato olimpico. In particolare, si è previsto che i rapporti tra il CONI (ente pubblico) e la CONI Servizi vengano disciplinati da un contratto di servizio annuale e che il personale alle dipendenze del CONI venga trasferito alle dipendenze della CONI Servizi, la quale succede in tutti i rapporti attivi e passivi, compresi i rapporti di finanziamento con le banche, nonché nella titolarità dei beni facenti capo all’ente pubblico.
Il DL ha inoltre unificato le competenze in materia di giochi, con il trasferimento dell’organizzazione di tutti i giochi (in regime di concessione) all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Il CONI mantiene i rapporti con le federazioni e acquista la rappresentanza nel Comitato generale per i giochi, che coadiuva il Ministro nella formulazione degli indirizzi strategici per il settore dei giochi, delle scommesse e dei concorsi pronostici.
Successivamente il d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15[107] - in attuazione della delega prevista dalla legge 6 luglio 2002 n. 137 per l’adozione di uno o più decreti legislativi correttivi di decreti legislativi già emanati ai sensi della legge n.59/1997 (c.d. “legge Bassanini 1”) - ha modificato e integrato le disposizioni del precedente d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, sul riordino del CONI. Gli interventi del provvedimento si sono concentrati principalmente sulla durata dell’incarico degli organi, la composizione del consiglio nazionale e gli statuti delle federazioni sportive. Il nuovo statuto del CONI è stato approvato con DM 23 giugno 2004.
Nel corso della legislatura il CONI è stato in un primo momento beneficiario di interventi straordinari di finanziamento, determinati dalla drastica riduzione delle entrate derivanti dai concorsi pronostici; si ricorda in particolare il contributo di 103,2 milioni di euro per il 2002 per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali e il potenziamento dell’attività sportiva (art.16-sexies del DL n. 452 del 2001[108]) nonché il contributo di 130 milioni di euro per il 2004, a titolo di apporto al capitale sociale della CONI servizi spa (legge finanziaria per il 2004, art. 4, co. 232).
In seguito la legge finanziaria per il 2005 (art.1 co.281-282) ha modificato le modalità di finanziamento destinando al CONI, a partire dal 1° gennaio 2005, una quota parte (da stabilire) delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai concorsi pronostici su base sportiva, da scommesse, lotto ed enalotto, bingo, apparecchi da divertimento ed intrattenimento, lotterie. In via transitoria, per il quadriennio 2005-2008, è attribuito al CONI un contributo di 450 milioni di euro annui, comprensivi del contributo straordinario previsto per i Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 e per i Giochi di Pechino 2008.
L’articolo 10 della citata legge 6 luglio 2002 n. 137 ha inoltre delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle materie di competenze del Ministero per i beni e le attività culturali, tra cui lo sport. Tra i criteri relativi allo sport era ricompresso, tra l’altro, quello di riordinare i compiti dell'Istituto per il credito sportivo[109], assicurando negli organi anche la rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali; alla scadenza della delega tale aspetto è però rimasto inattuato. La delega è stata riproposta dalla legge n. 186 del 2004 (legge di conversione del DL n. 136/2004) e quindi prorogata di dodici mesi dalla legge n. 168 del 2005 (legge di conversione del DL n. 115/2005); il termine viene così a scadere il 29 luglio 2006.
Un parziale riordino di tale Istituto è stato poi introdotto dalla legge finanziaria per il 2004 (articolo 4, co. 14, L 350/2003). In particolare la norma ne amplia i compiti, non più limitati al finanziamento dell’impiantistica sportiva, ma estesi al credito a favore delle attività sportive e culturali. Compiti da attuarsi come banca di diritto pubblico, ai sensi dell'articolo 151 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385[110]. L’approvazione dello nuovo statuto, che tiene conto dei nuovi compiti ed assicura la rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali negli organi dell’Istituto è avvenuta con DM 4 agosto 2005. La legge finanziaria per il 2004 prevede inoltre la concessione di contributi per interessi sui mutui e prestiti per le finalità istituzionali, attraverso le disponibilità di un fondo speciale costituito presso l'Istituto, alimentato principalmente con il versamento da parte dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato del contributo del 2,45% della posta dei concorsi pronostici spettante all'Istituto per il credito sportivo, ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di cui al D.M. n. 179 del 2003.
Si segnala, peraltro, che la legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, co. 41) ha rideterminato in 450 milioni di euro la quota del fondo patrimoniale dell’Istituto del credito sportivo da restituirsi allo Stato, stabilita in una cifra sensibilmente più contenuta da un precedente decreto del ministero dell’economia, riducendo quindi in maniera considerevole i fondi necessari ad assicurare la prosecuzione delle attività dell’istituto.
Oltre al citato intervento per il credito sportivo, numerosi sono gli interventi a favore dello sport nell’ambito di manovre finanziare, con un susseguirsi alquanto disorganico di disposizioni modificative o integrative di norme precedenti.
L’articolo 90 della legge finanziaria per il 2003 harecato una serie di disposizioni relative alle società e alle associazioni sportive dilettantistiche contribuendo a ridisegnare parzialmente la disciplina fiscale e tributaria delle società operanti in questo settore.
È stata riconosciuta la specificità delle società sportive dilettantistiche e si è previsto che esse possano assumere una delle seguenti forme: associazione sportiva priva di personalità giuridica; associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato; società sportiva di capitali o cooperativa senza fini di lucro.
La norma prevede inoltre una serie di agevolazioni fiscali alle società ed alle associazioni sportive dilettantistiche, la cui fruizione è stata subordinata, dall’art. 7 del DL n. 136 del 28 maggio 2004[111], al possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI, inteso quest'ultimo quale garante dell’unicità dell’ordinamento sportivo nazionale.
Il medesimo articolo 90 disciplina poi la costituzione e il funzionamento di un Fondo di garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all’ampliamento, all’attrezzatura, al miglioramento o all’acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l’acquisizione delle relative aree, da parte di società o associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica. Il Fondo è istituito presso l’Istituto per il credito sportivo, che lo gestisce e lo amministra a titolo gratuito. Sono quindi previste norme concernenti la gestione e l’utilizzo degli impianti sportivi, nell’intento di favorire l’accesso e la disponibilità di strutture per l’attività delle società e associazioni sportive dilettantistiche, anche con riferimento agli impianti degli enti locali e alle attrezzature sportive scolastiche.
L’articolo 51 della medesima legge finanziaria per il 2003 ha previsto inoltre che, a decorrere dal 1° luglio 2003, gli sportivi dilettanti, tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva, siano soggetti all’obbligo assicurativo[112].
La legge finanziaria per il 2004 ha stanziato (articolo 4, comma 204) un milione di euro per l’anno 2004 a favore degli enti di promozione sportiva, per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali e il finanziamento dei programmi relativi allo sport sociale (la Corte costituzionale, con sentenza 16-29 dicembre 2004, n. 424, ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma in quanto interventi finanziari diretti in materia di competenza non esclusiva dello Stato ledono l’autonomia regionale) nonché interventi per favorire l’inserimento di giovani atleti nelle società sportive (articolo 4, commi 196 e da 200 a 203).
In proposito si ricorda che, allo scopo di favorire l’utilizzo di giovani atleti italiani nello sport, la legge n.189/2002[113] (c.d. legge “Bossi-Fini sull’immigrazione”) ha previsto un limite massimo annuale di ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività a titolo professionistico o comunque retribuita[114]. Il procedimento delineato si articola in due fasi: 1) determinazione del numero massimo di ingressi annuali con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del CONI, sentiti il Ministro dell'interno ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali; 2) ripartizione degli ingressi tra le federazioni sportive nazionali con delibera del CONI (sottoposta all'approvazione del Ministro per i beni e le attività culturali) che stabilisce anche i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica, tenendo conto dell’esigenza di assicurare tutela ai vivai giovanili.
La legge finanziaria per il 2005 (art.1 co.530-534)prevede misure di favore delle società sportive dilettantistiche in materia di pubblicità ai fini dell'applicazione dell'imposta sugli spettacoli. È inoltre autorizzato un finanziamento per il 2005, a sostegno delle squadre di calcio femminile di serie A, A2 e B che abbiano anche squadre giovanili
Con riguardo, infine, alle leggi in materia di sport approvate dalla Commissione Cultura si segnala l’approvazione, dopo un lungo e approfondito esame, svolto anche tramite una apposita indagine conoscitiva, di almeno un significativo intervento di riordino settoriale, relativo alla sicurezza degli sport invernali (legge 24 dicembre 2003, n. 363). Il provvedimento disciplina innanzitutto la sicurezza delle piste e degli impianti. A questo fine si prevede una serie di obblighi a carico dei gestori delle aree sciabili, consistenti, in particolare, nella messa in sicurezza delle piste e nella prestazione di un servizio di pronto soccorso, nella stipula di una polizza assicurativa ai fini della responsabilità civile verso terzi, nella divulgazione all’utenza delle informazioni relative alla classificazione delle piste, alla segnaletica e alle norme di comportamento degli sciatori. Si prevede, quindi, la definizione, da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di una classificazione e di una segnaletica uniformi delle piste (adottata con D.M. 20 dicembre 2005), nonché la realizzazione di apposite campagne informative pubbliche, anche nelle scuole. Con riguardo al comportamento degli sciatori, è fatto obbligo ai minori di 14 anni di utilizzare il casco e si introducono una serie di norme di diligenza e prudenza nella pratica dello sci. Infine, la legge stanzia un finanziamento per la messa in sicurezza delle piste, nonché per le economie turistiche delle zone colpite da eccezionale siccità invernale, anche al fine della copertura dei costi per la costruzione e la gestione di impianti di innevamento artificiale.
La Commissione ha poi approvato, all’unanimità, numerosi provvedimenti politicamente rilevanti, per lo più in sede legislativa, come l’istituzione del Museo dello sport, disposta dalla legge 28 novembre 2001, n. 428; quella dell’assegno “Giulio Onesti” per gli sportivi in difficoltà, di cui alla legge 15 aprile 2003, n. 86, cui si è data attuazione con il Decreto del Ministero per i beni e le attività culturali 5 settembre 2003, n.282; le misure a favore della pratica sportiva dei disabili, previste dalla legge 15 luglio 2003, n. 189.
La legge n. 189 del 2003 recante Norme per la promozione della pratica dello sport da parte delle persone disabili ha promosso la pratica sportiva di base e agonistica dei disabili attraverso tre interventi:
· la concessione un contributo straordinario di 500.000 euro per ciascuno degli anni 2003, 2004 e 2005 alla Federazione italiana sport disabili (FISD);
· l’individuazione delle attività della Federazione[115] (FISD) quale Comitato italiano paralimpico (C.I.P), per l'organizzazione e la gestione delle attività sportive dei disabili in armonia, per l'attività paralimpica, con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato internazionale paralimpico;
· l’attribuzione al CONI dei compiti di promozione della pratica sportiva dei disabili nonché della disciplina della partecipazione di atleti disabili a giochi paralimpici di concerto il Comitato italiano paralimpico.
In attuazione della legge 189/2003, il DPCM 8 aprile 2004, ha indicato i compiti della FIDS “quale Comitato Italiano Paralimpico”, consistenti riassuntivamente nell’organizzazione e la preparazione atletica della rappresentanza nazionale ai giochi paralimpici (in armonia con gli indirizzi emanati dall'International Parolympic Committee) e nella promozione della pratica sportiva per disabili in ogni fascia di età e di popolazione, nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali. Ai fini di cui sopra gli organi della FISD sono anche organi del CIP e le attività richiamate si svolgono sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali, acquisito il parere del CONI.
Il decreto ministeriale di approvazione dello statuto (adottato in data 15 dicembre 2004), in considerazione delle perplessità espresse dagli organismi interessati in ordine ai profili problematici derivanti dalla non chiara disciplina dei rapporti tra le due strutture (FISD e CIP) delineata dalla legge 189/2003, ha disposto la ridenominazione della Federazione in Comitato Italiano Paralimpico.
Il comma 580 della legge finanziaria 2006 assegna un contributo di 500 mila euro, per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008, al Comitato italiano paralimpico per la promozione della pratica sportiva di base e agonistica. Tale finanziamento si pone in continuità con il contributo assegnato alla Federazione italiana sport disabili per il triennio 2003-2005 (Legge 189/2003) dal momento che le due strutture sono attualmente unificate.
Nel corso della XIV legislatura sono state poi emanati una serie di provvedimenti volti a consentire l’ultimazione delle opere necessarie al regolare svolgimento dei Giochi olimpici invernali «Torino 2006».(vedi capitolo Giochi olimpici di Torino).
Si ricorda in particolare - anche se la proposta è stata esaminata in sede referente dalla Commissione attività produttive - la legge 17 agosto 2005, n.167 recante Misure per la tutela del simbolo olimpico in relazione allo svolgimento dei Giochi invernali «Torino 2006». La legge introduce una disciplina speciale di carattere transitorio, derogatoria della normativa vigente in tema di marchi e segni distintivi, finalizzata alla tutela della proprietà intellettuale olimpica, al fine di salvaguardare l'esclusività del marchio e dei segni distintivi olimpici e prevenirne ogni forma di sfruttamento illecito ed abuso commerciale, in adempimento a quanto prescritto dal Comitato olimpico internazionale (CIO), quale condizione per l'assegnazione dei Giochi olimpici invernali 2006 a Torino.
Con riferimento ai giochi olimpici, si segnala poi il DL 31 gennaio 2005, n. 7 (convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43) che ha disposto la costituzione di una società a capitale interamente pubblico controllata da Sviluppo Italia S.p.A., finalizzata ad un più efficace inserimento nel contesto territoriale delle attività svolte dal Comitato organizzatore dei Giochi olimpici (c.d. TOROC)
In tema di sport si segnala infine l’indagine conoscitiva sul calcio professionistico deliberata dalla Commissione Cultura della Camera dei deputati il 4 marzo 2004, nell’intento di acquisire una visione d'insieme delle dinamiche evolutive del fenomeno calcistico, con riferimento, in particolare, ai seguenti aspetti: organizzazione delle attività, sistema di finanziamento e ulteriori problematiche attinenti le società professionistiche, anche in riferimento alle questioni relative alla commercializzazione e all'utilizzo dei diritti televisivi; valorizzazione dell'attività sportiva giovanile e delle attività sociali connesse al calcio dilettantistico; modalità di intervento per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di violenza all'interno e all'esterno degli stadi, con particolare riferimento a misure alternative a quelle di ordine pubblico; connessioni tra le attività della Federazione italiana giuoco calcio (FIGC) e quelle del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).
Al termine dei propri lavori, la Commissione ha approvato un documento conclusivo condiviso da tutte le forze politiche, che in sostanza contiene un invito agli organi di autogoverno del calcio ad individuare autonomamente – vale a dire senza interventi legislativi – soluzioni idonee alle questioni emerse e, soprattutto, a promuovere un processo riformatore interno al mondo del calcio. In quella occasione, la Commissione, nell’intento di offrire un contributo all’individuazione di soluzioni strutturali, e non limitate a fronteggiare l’emergenza, per i problemi del mondo del calcio, ha espresso alcuni suggerimenti:
a) una revisione del sistema di mutualità tra le società professionistiche finalizzata all’individuazione delle specifiche “missioni” dei diversi campionati di categoria;
b) il potenziamento del sistema dei controlli sull’andamento finanziario delle società, con l’introduzione di penalizzazioni in termini di punti in classifica e la creazione di un organo di controllo autorevole e autonomo;
c) la promozione di nuove modalità di utilizzo e valorizzazione degli stadi, da cui si possono attendere rilevanti benefici su una pluralità di piani, da quello economico – con l’incremento e la diversificazione delle entrate delle società – a quello della sicurezza – con una loro più ampia responsabilizzazione su questo piano.
Tale impostazione spiega probabilmente almeno in parte, accanto ad altre ragioni di carattere temporale e, evidentemente, anche politico, perché successivamente all’indagine non si sia proceduto alla promozione di concreti interventi legislativi, e non abbia avuto effettivo seguito il progetto di legge sulla revisione della normativa dei diritti televisivi dei campionati di calcio (A.C. n. 5221 Ronchi) che, con il decreto legge 30 gennaio 1999, n. 15, a seguito di una pronuncia dell’Antitrust in tal senso, aveva attribuito i diritti di trasmissione televisiva in forma codificata alle singole squadre di calcio di serie A e B[116].
Tra i provvedimenti non conclusi dalla Commissione, merita segnalare inoltre la pld recante Disposizioni per favorire il volontariato nei grandi eventi sportivi - sottoscritta anche da deputati dell’opposizione - volta a disciplinare la partecipazione volontaria allo svolgimento di grandi eventi sportivi, attraverso la costituzione di una apposita divisione organizzativa all’interno dell’ente organizzatore dell’evento, la quale redige un “piano di gestione dei volontari”, contenente l’indicazione dei settori di attività e gli elenchi dei volontari. Il piano è inviato alle regioni ovvero alle province autonome competenti nonché alla direzione regionale del lavoro territorialmente competente.
Si ricorda, infine, che la Direttiva del Presidente del consiglio dei ministri 27 novembre 2003 ha istituito la “Giornata nazionale dello sport” (che cade la prima domenica di giugno).
Occorre preliminarmente ricordare che la disciplina del diritto d’autore è riconducibile alla materia “opere dell’ingegno” che l’art.117, secondo comma, Cost., rimette alla competenza legislativa esclusiva statale.
Si ricorda poi che l’articolo 10 della legge 6 luglio 2002 n. 137ha delegato il governo, tra l’altro, al riassetto delle disposizioni legislative vigenti in materia di proprietà letteraria e diritto d’autore. Tale delega è stata poi riproposta dalla legge 27 luglio 2004, n. 186 (legge di conversione del DL n. 136/2004); il termine della delega è stato successivamente prorogato dalla legge n. 168 del 2005 (legge di conversione del D.L. n. 115/2005), e viene così a scadere il 29 luglio 2006. I principi e criteri direttivi della delega sono:
- riordinare la Società italiana degli autori ed editori (SIAE), il cui statuto dovrà assicurare un'adeguata presenza degli autori, degli editori e degli altri soggetti creativi negli organi dell'ente e la massima trasparenza nella ripartizione dei proventi derivanti dall'esazione dei diritti d'autore tra gli aventi diritto;
- armonizzare la legislazione relativa alla produzione e diffusione di contenuti digitali e multimediali e di software ai princìpi generali a cui si ispira l'Unione europea in materia di diritto d'autore e diritti connessi.
Gli interventi della XIV legislatura in materia di diritto d’autore sono stati caratterizzati da due linee di tendenza: da una parte si è proseguita l’opera, già avviata nelle precedenti legislature, di dare attuazione a direttive comunitarie in tale settore, dall’altra sono state introdotte norme volte a contrastare la diffusione telematica abusiva di opere dell’ingegno.
Con riferimento all’attuazione della normativa europea, occorre preliminarmente ricordare che la normativa del diritto d’autore è dettata dal codice civile, che disciplina nel titolo IX del libro V i diritti derivanti dalle creazioni intellettuali (artt. 2575 e ss.). La relativa disciplina di dettaglio è quasi interamente contenuta nella relativa legge speciale 22 aprile 1941, n. 633[117] e successive modificazioni, che, all’art. 1 considera oggetto di tutela ”le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”. Il secondo comma dell’articolo citato, aggiunto dal D.Lgs. n. 518/1992, che ha recepito la direttiva 91/250/CEE, estende la protezione della legge anche ai programmi per elaboratore elettronico.
Nel corso degli anni ’90, tale disciplina è stata fortemente influenzata da una serie di direttive comunitarie[118], cui si è data attuazione intervenendo sulla medesima legge 633/1941 per precisare i diritti degli autori, soprattutto attualizzandone il contenuto e rafforzando la protezione anche in relazione alle nuove forme di comunicazione. E’ stato disciplinato l'intero campo della produzione e della diffusione delle opere dell'ingegno, partendo da quella più tradizionale del libro, per arrivare poi alle cassette musicali, ai CD, alle cassette video, ai supporti informatici utilizzabili nel computer di casa o quelli che consentono la comunicazione in rete Internet. Il diritto esclusivo di diffusione ha infatti per oggetto non solo i classici strumenti del telegrafo, telefono, radio e televisione, ma anche tutte le forme di pubblicazione via cavo o in forma codificata.
In tale ambito, merita segnalare che il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa[119] ha introdotto una tutela esplicita della proprietà intellettuale (art.II-77). Inoltre, l’art. III-154 consente restrizioni all'importazione‚ all'esportazione e al transito giustificate da motivi di protezione del patrimonio artistico‚ storico o archeologico nazionale‚ o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Infine, l’art. III-176 prevede che la legge europea stabilisca le misure per la creazione di titoli europei al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale nell'Unione e per l'istituzione di regimi di autorizzazione, di coordinamento e di controllo centralizzati a livello di Unione.
In tale quadro, il d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, ha proceduto alla revisione della normativa di tutela del diritto d’autore in adempimento alla Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, mirante all’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi allo sviluppo della società dell’informazione.
Il provvedimento recava, per lo più, modifiche ed integrazioni alla legge 633/1941, molte delle quali di carattere formale o con finalità di coordinamento normativo interno. Le innovazioni più rilevanti hanno interessato: l’oggetto del diritto d’autore, con la precisazione che esso comprende qualsiasi tipo di riproduzione, anche indiretta, temporanea o parziale; il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, con la specificazione che esso include anche la messa a disposizione via internet; il diritto di distribuzione, con il chiarimento che questo non si esaurisce nella Comunità europea se non nel caso di prima vendita effettuata con il consenso del titolare del diritto.
Il d.lgs. ha introdotto inoltre nuove disposizioni sulle misure tecnologiche di protezione e sulle informazioni elettroniche sul regime di protezione dei diritti, cui corrispondono nuove ipotesi di reato, ed ha determinato in via transitoria l’ammontare dell’equo compenso (sui supporti vergini e sugli apparecchi di registrazione) dovuto per la c.d. “copia privata”.
Contemporaneamente il d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, ha recepito la direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico ed all’attività dei providers,.
Il d.lsg. 13 febbraio 2006, n. 118, ha poi dato attuazione alla direttiva 2001/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, relativa al diritto dell’autore di un’opera d’arte sulle successive vendite dell’originale (cosiddetto diritto di seguito), pur mantenendo l’impianto originario della disciplina vigente (già recata dagli artt.144-155 della legge n. 633/1941). In particolare, viene ribadito il diritto degli autori delle opere d’arte e dei manoscritti ad un compenso sul prezzo di ogni vendita successiva alla prima e si estende la durata di tale diritto a settanta anni dopo la morte, in conformità quanto previsto per il diritto d’autore. Tra le opere protette sono inclusi i quadri, i collages, i dipinti, i disegni, le incisioni, le stampe, le litografie, le sculture, gli arazzi, le ceramiche, le opere in vetro e le fotografie nonché gli originali dei manoscritti. Le funzioni di vigilanza e controllo vengono attribuite alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed alla SIAE.
In materia di tutela delle opere dell’ingegno, merita poi segnalare l’emanazione del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (v. capitolo Codice della proprietà industriale, nel dossier relativo alla Commissione Attività produttive) - in attuazione dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante delega al governo per il riassetto delle disposizioni sulla proprietà industriale. Il Codice pone una disciplina specifica a tutela della “proprietà industriale”, intesa come comprensiva di marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali.
E’ stato inoltre adottato di recente il D.lgs 16 marzo 2006, n.140, che - attraverso modifiche alla legge 633/1941, nonché al citato d.lgs. 30/2005 - dà attuazione alla delega recata dalla legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004) in materia di rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004).
La direttiva traspone, a livello comunitario, le norme processuali contenute nell'accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), stipulato nel 1994 alla conclusione dell'Uruguay Round e riguardante, oltre al diritto d'autore, marchi, indicazioni geografiche, disegni industriali, topografie di prodotti a semiconduttori, protezioni di informazioni segrete[120]. Scopo principale della direttiva è quello di armonizzare le normative nazionali relative agli strumenti per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, garantendo l'equiparazione dei titolari di questi ultimi nell'Unione europea e rafforzando i provvedimenti adottati contro i contravventori. Essa riguarda le violazioni di tutti i diritti di proprietà intellettuale (diritto d'autore e proprietà industriale) che sono stati armonizzati in seno all'Unione europea da precedenti direttive.
Sempre in materia di diritto d’autore sono state inoltre approvate, come si è detto, norme volte a contrastare la diffusione telematica abusiva di opere dell’ingegno.
In particolare, le disposizioni introdotte dall’art. 1 del DL n. 72 del 2004 (convertito dalla legge n. 128 del 2004) – successivamente modificato e integrato dall’art.3 del DL n. 7 del 2005 (convertito dalla legge n. 43 del 2005) - mirano – attraverso modifiche all’art.171-ter della legge 633/1941 - a contrastare i comportamenti di quanti immettono abusivamente in un sistema di reti telematiche opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore a scopo di lucro; in tale ambito, il decreto legge ha attribuito al Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno il compito di raccogliere le segnalazioni di interesse in tale settore ed ha introdotto l’obbligo, per i prestatori di servizi della società dell'informazione, di comunicare alle autorità di polizia le informazioni in proprio possesso utili all'individuazione dei gestori dei siti e degli autori delle condotte segnalate nonché di porre in essere tutte le misure dirette ad impedire l'accesso ai contenuti dei siti ovvero a rimuovere i contenuti medesimi.
Al fine di contemperare l’esigenza di tutela del diritto d’autore con quella della libertà di accesso e diffusione della cultura, la Commissione - in occasione dell’approvazione della legge di conversione del DL n. 72 del 2004 e con un intervento che ha visto coinvolte tutte le forze politiche - ha salvaguardato la non punibilità dell'uso personale[121].
L’art. 3 del DL 7/2005 prevede inoltre che il governo promuova forme di collaborazione tra i rappresentanti delle categorie operanti nel settore, anche con riferimento alle modalità tecniche per l’informazione degli utenti circa il regime di fruibilità delle opere e attraverso la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta. Questi ultimi, trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri unitamente ad ogni informazione utile alla loro applicazione, sono resi accessibili per via telematica.
In proposito si segnala che i ministri dell’Innovazione, per i Beni e le attività culturali e delle Comunicazioni hanno firmato il 2 marzo 2005 con gli operatori interessati il cosiddetto "patto di Sanremo" che recepisce i contenuti della "Linee guida per l'adozione di codici di condotta e azioni per la diffusione dei contenuti digitali nell'era di internet". Tali Linee guida sono state elaborate dalla Commissione interministeriale sui contenuti digitali nell’era di Internet (istituita dai citati Ministri con Decreto interministeriale del 23 luglio 2004) allo scopo di creare un ambiente digitale "sicuro" che incoraggi i titolari dei contenuti a mettere a disposizione il maggior numero possibile di opere attraenti per il consumatore, destinate all'uso e allo scambio da parte degli utenti.
Infine, a titolo di misura perequativa volta a remunerare i titolari dei diritti d’autore, si è esteso alle memorie video nonché agli apparecchi destinati alla masterizzazione di supporti DVD e CD il compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi previsto all'articolo 71-septies della 633/1941[122].
Al fine dichiarato di realizzare un più efficace coordinamento, anche a livello internazionale, delle funzioni di contrasto delle attività illecite lesive della proprietà intellettuale, il DL 26 aprile 2005, n. 63, (convertito dalla legge 25 giugno 2005, n. 109) ha infine affiancato la Presidenza del Consiglio al Ministero per i Beni e le Attività culturali in alcune funzioni attinenti la tutela del diritto d’autore. Si tratta, in particolare, dei compiti in materia di proprietà letteraria, diritto d'autore e vigilanza sulla Società italiana autori ed editori (SIAE) previsti dall’articolo 6, comma 3, lettera a), del D.P.R. 173/2004 (Regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali).
La riforma del sistema radiotelevisivo introdotta dalla legge 112/2004 (c.d. “legge Gasparri”) – approvata dopo un complesso iter durato oltre due anni e recante disposizioni per il riassetto del sistema radiotelevisivo e della RAI (concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo), nonché una delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione – ha costituito l’esito di un ampio dibattito nel corso del quale le pronunce della Corte costituzionale sul pluralismo dell’informazione[123] (v. scheda Sistema radiotelevisivo – Giursprudenza costituzionale, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti) e il messaggio inviato dal Presidente della Repubblica alle Camere sullo stesso profilo, nonché il messaggio di rinvio della legge alle Camere (v. scheda Sistema radiotelevisivo – I messaggi del Capo dello Stato), hanno formato oggetto di particolare attenzione[124].
Da un punto di vista generale, la riforma introdotta nel settore radiotelevisivo dalla legge n. 112 del 2004 intende definire una normativa “di sistema” che tenga conto dell’evoluzione tecnologica e dei mercati, nonché del nuovo quadro regolamentare europeo dettato dalle direttive sulle “comunicazioni elettroniche” (v. capitolo Le comunicazioni elettroniche, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti), favorendo il processo di convergenza tecnologica e la conversione dalla trasmissione in tecnica analogica a quella in tecnica digitale, il pluralismo e la concorrenza nel settore, ed altresì ridefinendo il ruolo del servizio pubblico in tale contesto.
Di seguito sono analizzate le principali aree di intervento della legge.
La legge, al Capo I, reca la ridefinizione dei principi generali efondamentali del sistema radiotelevisivo anche al fine dell’esercizio da parte delle regioni della potestà legislativa concorrente in materia di “ordinamento della comunicazione”, prevista dal nuovo articolo 117, terzo comma, Cost. (v. scheda Sistema radiotelevisivo – I rapporti Stato-regioni). Nell’ambito del Capo I, sono stati poi inseriti articoli che riguardano una disciplina, anche di carattere puntuale, in materia di emittenza locale, di diffusioni interconnesse, nonché una disciplina relativa alla tutela dei minori nella programmazione televisiva, prevedendoin particolare il divieto di impiego di minori di 14 anni per messaggi pubblicitari e spot, ed il recepimento a livello legislativo del codice di autoregolamentazione “TV e minori.”
Il divieto di impiego dei minori di anni 14 nella pubblicità televisiva è stato poi soppresso dalla legge 38/2006[125], che ha, inoltre, integrato sul punto la legge n. 112 del 2004 introducendo il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Commissione parlamentare per l’infanzia nella procedura di adozione del regolamento volto a disciplinare l’impiego dei predetti minori nei programmi radiotelevisivi (v. scheda Sistema radiotelevisivo – La tutela dei minori).
La disciplina anticoncentrazione, oggetto di un ampio ed articolato dibattito in sede parlamentare, individua limiti al cumulo dei programmi ed alla raccolta delle risorse, questi ultimi calcolati innovativamente in rapporto ai ricavi dei settori che compongono il “sistema integrato delle comunicazioni” (SIC, ossia settore economico che comprende la stampa quotidiana e periodica, l’editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet, radio e televisione, cinema, pubblicità esterna, iniziative di comunicazione di prodotti e servizi e sponsorizzazioni) (v. scheda Sistema radiotelevisivo – La disciplina anticoncentrazione). In particolare, la legge prevede che:
§ un medesimo fornitore di contenuti, anche attraverso società controllate o collegate, non possa essere titolare di autorizzazioni che consentano di diffondere più del 20% del totale dei programmi (rispettivamente, televisivi o radiofonici), irradiabili su frequenze terrestri in ambito nazionale, mediante le reti previste dal piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale[126];
§ il limite alla raccolta delle risorse del sistema integrato delle comunicazioni sia individuato nel 20% dei ricavi complessivi del “sistema integrato delle comunicazioni”;
§ gli organismi di telecomunicazioni i cui ricavi nel mercato dei servizi di telecomunicazioni siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di quel mercato non possano conseguire ricavi superiori al 10% dei ricavi del settore integrato delle comunicazioni;
§ sia fatto divieto ai soggetti esercenti attività televisiva nazionale attraverso più di una rete di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani[127], nonché di partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani, fino al 31 dicembre 2010.
La nuova disciplina anticoncentrazione riconosce poi all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni compiti di regolazione e di verifica relativi alla individuazione del mercato rilevante ed alla formazione di posizioni dominanti[128] nel sistema integrato delle comunicazioni e nei mercati che lo compongono, ed affida alla stessa il potere di adottare provvedimenti “deconcentrativi” nel caso in cui dall’accertamento emergano casi di violazione dei limiti imposti dalla legge.
In materia di posizioni dominanti e di sviluppo del digitale terrestre sono intervenute diverse delibere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche al fine della attuazione della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 112 del 2004.
Circa il riassetto della RAI (v. scheda Il servizio pubblico radiotelevisivo), la legge prevede in sintesi:
§ la definizione dei compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo, affidato mediante concessione;
§ il finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo, introducendo l’obbligo per la società concessionaria di destinare i ricavi derivanti dal gettito del canone ai soli oneri sostenuti per la fornitura del servizio pubblico, prevedendo, a tale scopo, la tenuta di una contabilità separata, soggetta al controllo di una società di revisione in posizione di indipendenza;
§ la verifica del corretto svolgimento dei compiti affidati, dalla legge e dal contratto di servizio, alla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, che compete all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, cui vengono attribuiti nuovi poteri di indagine e sanzionatori;
§ l’organizzazione e l’amministrazione della società RAI, con la modifica della composizione e della procedura di nomina dei membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, nonché della procedura di nomina del presidente, prevedendo meccanismi di tutela delle minoranze[129];
§ il processo di “privatizzazione” della RAI, che prevede la fusione per incorporazione della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa nella società RAI-Holding Spa (con il completamento della fusione per incorporazione entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge) e l’avvio del processo di privatizzazione, attraverso una o più offerte pubbliche di acquisto (OPA), entro quattro mesi dalla data di completamento della fusione per incorporazione[130].
La legge 112/2004 individua un’articolata disciplina transitoria relativa alla fase del passaggio dalla tecnica analogica a quella digitale terrestre (v. scheda Sistema radiotelevisivo – La disciplina transitoria), sino alla definitiva cessazione delle trasmissioni analogiche (c.d. switch off)[131] (v. scheda Sistema radiotelevisivo – La conversione in tecnica digitale)
La disciplina transitoria prevede, in primo luogo, che, fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale, in possesso dei requisiti previsti dalla disciplina vigente per ottenere l’autorizzazione alla sperimentazione, possono effettuare tale sperimentazione – anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica – fino alla completa conversione delle reti; la sperimentazione può essere effettuata sugli impianti legittimamente operanti in tecnica analogica e i medesimi soggetti possono altresì richiedere le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre.
L’articolo 25 della legge - i cui effetti sono stati in parte anticipati dal DL 352 del 2003[132] – ha disciplinato le modalità per accelerare ed agevolare la conversione alla trasmissione in tecnica digitale. In particolare, la disposizione ha previsto:
§ l’attivazione, a decorrere dal 31 dicembre 2003, di reti televisive digitali terrestri, con un’offerta di programmi in chiaro accessibili mediante decoder o ricevitori digitali;
§ in capo alla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, l’obbligo di realizzare almeno due blocchi di diffusione su frequenze terrestri con una copertura del territorio nazionale che raggiunga il 50% della popolazione dal 1º gennaio 2004, ed il 70%entro il 1º gennaio 2005, nonché di individuare uno o più bacini di diffusione, di norma coincidenti con uno o più comuni situati in aree con difficoltà di ricezione del segnale analogico, nei quali avviare entro il 1º gennaio 2005 la completa conversione alla tecnica digitale;
§ in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di verificare – entro il 30 aprile 2004 – l’effettivo sviluppo del digitale terrestre e la rispondenza di tale sviluppo ai tempi e alle modalità previste dalla legge, nonché il compito di adottare provvedimenti deconcentrativi nel caso di verifica dell’assenza delle condizioni previste per l’ampliamento del pluralismo.
L’Autorità ha provveduto a tali adempimenti, presentando la relazione prevista entro i termini stabiliti (DOC XXVII, n. 14). Con tale relazione si è dato contodell’accertamento positivo relativo alle condizioni poste dalla legge, segnalando, al contempo, le azioni positive ancora necessarie affinché “l’avvio promettente della televisione digitale terrestre si tramuti in un reale cambiamento del grado di concorrenzialità del mercato televisivo ed in un effettivo ampliamento del pluralismo culturale, politico ed informativo”.
La legge ha delegatoil Governo all’emanazione di un testo unico delle disposizioni legislative in materia di radiotelevisione, con il quale avrebbero dovuto anche essere indicati – sulla base di criteri definiti dalla legge medesima – i princìpi nel rispetto dei quali le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia di emittenza radiotelevisiva in ambito regionale o provinciale.
A tale delega è stata data attuazione con il d.lgs. 177/2005 (testo unico della radiotelevisione) recante una ricostruzione della disciplina vigente in materia di radiodiffusione ed ispirato ai principi di coordinamento, semplificazione, armonizzazione ed efficacia. Nel testo unico sono confluite quasi tutte le disposizioni della legge 112/2004, pur non risultando nel testo medesimo l’abrogazione dei corrispondenti articoli della legge n. 112[133].
Esso completa l’intervento di riordino della materia della comunicazione - ad eccezione della stampa, dello spettacolo e della propaganda elettorale - avviato con l’emanazione del codice delle comunicazioni elettroniche e intende costituire insieme a tale codice un unicum normativo, in un’ottica volta a favorire la convergenza.
Circa il rapporto tra i due atti, occorre sottolineare che l’articolo 53 del testo unico sancisce la “specialità” – rispetto alla normativa generale dettata dal codice delle comunicazioni elettroniche - della disciplina delle reti di radiodiffusione sonora e televisiva. Infatti, la disposizione stabilisce che - in considerazione degli obiettivi di tutela del pluralismo e degli altri obiettivi di interesse generale perseguiti - le norme del testo unico in materia di reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi radiotelevisivi prevalgono sulle norme dettate dal codice delle comunicazioni elettroniche: tale prevalenza risultava già sostanzialmente stabilita dall’articolo 2, comma 3, del codice, che viene, peraltro, espressamente richiamato dall’articolo 53 del testo unico.
In tema di pluralismo appare opportuno segnalare la legge 6 novembre 2003[134], n. 313, che ha modificato la legge 22 febbraio 2000, n. 28, in materia di parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica, introducendo alcune disposizioni per l'attuazione del principio del pluralismo nella programmazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali. In attuazione della legge è stato poi emanato il codice di autoregolamentazione in materia di attuazione del principio del pluralismo, sottoscritto dalle organizzazioni rappresentative delle emittenti radiofoniche e televisive locali, approvato con decreto del Ministero delle comunicazioni 8 aprile 2004. (v. scheda Elezioni – Campagna elettorale e finanziamenti, nel dossier relativo alla Commissione affari costituzionali).
Per ciò che concerne la trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari, il comma 7, articolo 4, della legge finanziaria per il 2004 ha autorizzato una spesa pari a 8,5 milioni di euro per gli anni 2004, 2005 e 2006 per la proroga della convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e il Centro di produzione Spa, titolare dell’emittente Radio radicale, avente ad oggetto tali trasmissioni, al fine di garantire la continuità del servizio. La disposizione ha previsto l’avvio della sperimentazione di ulteriori servizi multimediali, trasmissioni audio e video su Internet della totalità delle sedute d’aula di entrambi i rami del Parlamento, pubblicazione su Internet delle sedute audio e video in differita con indicizzazione per intervento e consultazione archivio audio e video.
La disposizione riproduce una norma di analogo contenuto a quella prevista per il triennio precedente dall’articolo 145, comma 20 della finanziaria per il 2001.
Si segnala inoltre l’approvazione della legge 6 aprile 2005, n. 49, recante Modifiche all’articolo 7 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, in materia di messaggi pubblicitari ingannevoli diffusi attraverso mezzi di comunicazione. Tale norma, attraverso modifiche al d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 recante la disciplina vigente in materia, ha rafforzato le forme di tutela nei confronti della pubblicità ingannevole e comparativa diffusa attraverso i mezzi di comunicazione, al fine di agevolare l’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato volta a perseguire i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli operatori commerciali.
Il D.Lgs. 30 luglio 1999 n. 300[135], come modificato dall'art. 6 del D.L. 12 giugno 2001, n. 217[136], che ha istituito il Ministero delle comunicazioni - cui sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di poste, telecomunicazioni, reti multimediali, informatica, telematica, radiodiffusione sonora e televisiva, tecnologie innovative applicate al settore delle comunicazioni - non ha modificato le competenze in materia di stampa ed editoria, che restano quindi assegnate al del Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Ai sensi dell’articolo 20 del DPCM 23 luglio 2002[137] il Dipartimento per l'informazione e l'editoria opera nell'area funzionale della Presidenza del Consiglio relativa al coordinamento delle attività di comunicazione istituzionale e delle politiche relative all'editoria e ai prodotti editoriali. Il Dipartimento, in particolare, svolge compiti in materia di attività di informazione, pubblicità e documentazione istituzionale. Esso cura altresì gli affari relativi all'editoria e alla stampa, con particolare riferimento al coordinamento delle politiche per il sostegno all'editoria e ai prodotti editoriali ed al coordinamento delle politiche di sviluppo e innovazione del mercato editoriale.
La prima parte della XIV legislatura è stata caratterizzata da interventi specifici che hanno riguardato principalmente misure di sostegno in favore delle imprese editrici.
Una prima misura agevolativa è stata introdotta dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002) che, all’articolo 52, co. 75, ha aumentato, al 70 % per i libri e all’80 % per i giornali quotidiani e periodici, la resa forfetaria ai fini della riduzione della base imponibile per l’applicazione dell’IVA.
Dal primo dicembre 2005 è diventata definitiva - dopo che con una serie di decreti legge (ultimo dei quali il D.L. 2 ottobre 2003, n.271[138])si era disposta una proroga del periodo di sperimentazione - la disciplina del prezzo fisso dei libri, introdotta della legge n. 62/2001[139].
Si ricorda che la legge n. 62/2001 - approvata al termine della XIII legislatura - ha riformato la disciplina di settore[140] ed ha introdotto varie iniziative di sostegno del settore editoriale. In particolare, l’articolo 11 ha previsto che ogni editore o importatore di libri stabilisca un prezzo di vendita al pubblico, che è tenuto a indicare su ciascuna copia; il prezzo effettivo di vendita al consumatore finale non può contemplare sconti superiori al 15% del prezzo così fissato, fatte salve alcune ipotesi i cui lo sconto massimo può raggiungere il 20% (libri venduti in occasione di manifestazioni fieristiche; libri destinati a particolari categorie di consumatori quali ONLUS; scuole, centri di formazione, istituzioni educative ed università; istituti scientifici e di ricerca; libri venduti per corrispondenza.
In proposito, si ricorda che non hanno avuto esito le proposte di legge (di iniziativa parlamentare) volte alla promozione del libro e della lettura (A.C. nn. 3084 e 3525); non si è inoltre conclusa l’indagine conoscitiva sulla promozione del libro e della lettura deliberata dalla Commissione Cultura il 26 febbraio 2003, nell'ambito dell'esame in sede referente delle citate proposte di legge.
Un’ulteriore intervento, recato dalla legge 350/2003, articolo 4 commi 181-186 (legge finanziaria per il 2004), ha previsto un credito d’imposta pari al 10% dellaspesasostenuta per l'acquisto della carta a favore delle imprese editrici di quotidiani e periodici e alle imprese editrici di libri iscritte al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC), demandando le modalità di riconoscimento di tale agevolazione, entro un limite di spesa di 95 milioni di euro,ad un successivo DPCM; previsione che ha trovato realizzazione con l’adozione del DPCM 318/2004 di natura regolamentare[141]. Tale misura è stata poi estesa - con il medesimo limite di spesa pari a 95 milioni di euro - alle spese effettuate nel corso dell’anno 2005 dal comma 484 dell’articolo unico della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005). Si ricorda infine che l'efficacia delle disposizioni in esame era subordinata all'autorizzazione - successivamente concessa - delle autorità europee competenti in materia.
Un intervento complessivo di riordino del settore è contenuto nel disegno di legge di iniziativa governativa AC 4163 recante “Disposizioni in materia di editoria e di diffusione della stampa quotidiana e periodica”, presentato il 16 luglio 2003; tale provvedimento non ha concluso l’iter parlamentare, anche se alcune disposizioni sono poi confluite in successivi provvedimenti legislativi.
Il ddl 4163 conteneva una serie di norme volte a modificare o integrare la normativa vigente in materia di condizioni per l’esercizio dell’attività, contributi, contributi previdenziali e credito agevolato. L’intervento si ispirava ad alcune direttive principali: definizione di una disciplina per la responsabilità dei siti editoriali su Internet;introduzione di una serie di disposizioni a sostegno del settore;abolizione del regime transitorio nelle agevolazioni postali e la contestuale individuazione di una nuova disciplina per le tariffe postali agevolate;liberalizzazione della disciplina di vendita dei prodotti editoriali al di fuori delle edicole[142];disposizioni in materia di proprietà delle imprese editrici e di pubblicità obbligatoria degli enti pubblici.
Una prima norma, in materia di agevolazioni postali, ha trovato sostanziale attuazione nel decreto-legge 24 dicembre 2003, n.353 (Disposizioni urgenti in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali)[143].
Il decreto-legge ha stabilizzato ed integrato la previgente disciplina in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali, basata sul rimborso a posteriori, da parte dello Stato, alla società Poste italiane S.p.a. della somma delle riduzioni da questa effettuate sulla spedizione di alcuni materiali editoriali. In tal modo il provvedimento, anche sulla base della presa d’atto di una liberalizzazione solo parziale del settore postale, ha superato l’introduzione del meccanismo di contribuzione diretta alle imprese editrici, prevista dall’articolo 41 della legge 448/1998, ma mai entrata in vigore a seguito delle proroghe disposte da successive disposizioni legislative.
Tra i beneficiari delle agevolazioni sono stati inclusi le associazioni ed organizzazioni senza fini di lucro, le associazioni le cui pubblicazioni periodiche abbiano avuto riconosciuto il carattere politico dai gruppi parlamentari di riferimento nonche', relativamente ai bollettini dei propri organi direttivi, gli ordini professionali, i sindacati, le associazioni professionali di categoria e le associazioni d'arma e combattentistiche[144].
Le tariffe agevolate sono determinate, con decreto del Ministro delle comunicazioni, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il decreto-legge ha tra l’altro introdotto la previsione di un decreto del Ministro delle comunicazioni per determinate le procedure di monitoraggio dell'andamento degli oneri ai fini del rispetto del limite di spesa[145].
Alcune altre norme del ddl sono poi confluite nella legge finanziaria 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 266); dove i commi da 454 a 465 e il comma 574 dell’articolo unico della legge recano una serie di disposizioni che vanno ad incidere sulla normativa in materia di provvidenze all’editoria[146].
In sintesi la norma, prevalentemente mediante modifiche o integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 250[147]
- modifica in senso restrittivo i requisiti per l’accesso ai contributi, elevando da tre a cinque anni il requisito temporale per accedere ai contributi per le imprese costituite dopo il 31 dicembre 2004; riducendo la platea delle cooperative alle sole cooperative composte esclusivamente da giornalisti professionisti, pubblicisti o poligrafici; ammettendo ai contributi destinati alle imprese la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro solo quelle che abbiano già maturato il diritto entro il 31 dicembre 2005;
- modifica le modalità di erogazione, attraverso l’eliminazione dell’anticipazione sui contributi; l’introduzione, ai fini del calcolo, di un limite del 10 per cento per i costi per le collaborazioni, anche giornalistiche, e di un tetto al contributo per i periodici editi da cooperative giornalistiche; la rideterminazione - in 0,20 euro - del contributo per copia stampata alle imprese editrici di periodiciesercitate da cooperative, fondazioni o enti morali;
- estende la non cumulabilità tra i diversi tipi di contributi e prevedeche qualora siano presentate più domande da parte di imprese tra loro collegate, tutte le imprese interessate decadano dal diritto di accedere ai contributi.
- limita l’aumento su base annua dei costi ammissibili per il calcolo del contributo al tasso programmato di inflazione per l’anno di riferimento dei contributi.
- introduce la decadenza dal diritto a percepire le provvidenze indicate dalla citata legge n. 250/1990 nonché dalle leggi, n. 223/1990 e n. 112/2004[148] - riguardanti i programmi informativi trasmessi delle TV locali e via satellite - per le imprese che non inviano la documentazione nei termini stabiliti;
- rifinanzia il credito agevolato e il credito di imposta alle imprese editoriali introdotti dalla 7 marzo 2001, n. 62[149];
- incrementa il contributo all'editoria speciale periodica per non vedenti.
- istituisce, infine, un’addizionale alle imposte sul reddito in presenza di redditi derivanti da produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico e di incitamento alla violenza.
Un ulteriore intervento indiretto di sostegno all’editoria, già previsto dalla legge n. 112 del 2004 e poi confluito nel Testo unico della radiotelevisione, dispone che le amministrazioni pubbliche o gli enti pubblici anche economici debbano destinare a favore dei giornali quotidiani e periodici, almeno il 50 per cento delle spese relative all’acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione di massa per fini di comunicazione istituzionale. Tale percentuale ammonta al 60 per cento nella fase di transizione alla trasmissione in tecnica digitale. Ai fini dell'attuazione di tale disposizione i soggetti coinvolti nominano un responsabile del procedimento che, in caso di mancata osservanza delle disposizioni stesse, è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa.
In materia di limiti di affollamento pubblicitario, il TU conferma inoltre l’esclusione dal computo dei limiti di affollamento per la pubblicità radiotelevisiva degli spot finalizzati alla promozione della lettura (art. 38).
Si segnala, infine, per completezza d’informazione che, nei primi mesi della XIV legislatura, il DPR 7 novembre 2001, n.460[150]ha dato attuazione all’articolo 153 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) in materia di contributi ai giornali di partito.
L’articolo 153, al co. 2, dispone che la normativa in oggetto si applichi esclusivamente alle imprese editrici di quotidiani e periodici – anche telematici – che, oltre che attraverso esplicita menzione riportata in testata, risultino essere organi o giornali di forze politiche che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o rappresentanze nel Parlamento europeo, o siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute, avendo almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento italiano nell’anno di riferimento dei contributi. Inoltre, l’articolo modifica i requisiti per l’accesso ai contributi rispetto alle disposizioni previste dall’art. 3, co. 10, L. 250/1990:
§ se la forza politica è espressione di una minoranza linguistica riconosciuta è sufficiente, quale “riscontro parlamentare”, la presenza di un solo deputato o senatore;
§ il “riscontro parlamentare” della forza politica a livello europeo non consiste più nella presenza del corrispondente gruppo parlamentare, bensì di “rappresentanze” nel Parlamento europeo;
§ sono ammessi al contributo anche i quotidiani o periodici telematici.
Il richiamo operato dal co. 2 dell’art. 153 a questa nuova categoria (richiamo che ovviamente allarga la platea dei possibili beneficiari) è integrato, al co. 3, da alcune precisazioni: tali quotidiani o periodici devono comunque essere registrati presso i tribunali; i contributi in oggetto non sono cumulabili con altre forme di contribuzione pubblica; non potendosi, per le testate telematiche, parlare di tiratura, l’entità del contributo è calcolata con modalità proprie: essa è pari al 50% dei costi del bilancio d’esercizio dell’impresa editrice, certificati ai sensi di legge e riferiti alla testata.
In base al co. 4 del più volte citato art. 153 della L. 388/2000, le imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici aventi diritto ai contributi ai sensi della disciplina previgente hanno avuto facoltà, entro il 1º dicembre 2001, di costituirsi in società cooperative, il cui oggetto sociale sia costituito esclusivamente dalla edizione di quotidiani o periodici organi di movimenti politici. A tali cooperative sono attribuiti i contributi concessi, ai sensi dell’art. 3, co. 2, della L. 250/1990, in presenza di determinati requisiti, alle cooperative giornalistiche e ad imprese editrici ad esse equiparate[151].
Infine, secondo quanto dispone il co. 5 dell’art. 153, L. 388/2000, le imprese costituitesi in società cooperative, per accedere ai predetti contributi, devono, fermi restando i requisiti già previsti dalla normativa vigente, aver sottoposto l’intero bilancio di esercizio al quale si riferiscono i contributi alla certificazione di una società di revisione scelta tra quelle di cui all’elenco apposito previsto dalla CONSOB; avere una diffusione formalmente certificata pari ad almeno il 25 per cento della tiratura complessiva per le testate nazionali ed almeno il 40 per cento per quelle locali (la norma intende per diffusione l’insieme delle vendite e degli abbonamenti, e per testata locale quella di cui almeno l’80 per cento della diffusione complessiva è concentrata in una sola regione); prevedere nel proprio statuto il divieto di distribuzione degli utili nell’esercizio di riscossione dei contributi e nei cinque esercizi successivi.
Si ricorda, inoltre, che la legge n. 250 del 1990[152] - riprendendo nella sostanza una norma già prevista dalla legge n. 67 del 1987[153] - prevede che le imprese radiofoniche che risultino essere organi di partiti politici rappresentati in almeno un ramo del Parlamento, che abbiano registrato la testata giornalistica trasmessa presso il competente tribunale, che trasmettano quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari per non meno del 50 per cento delle ore di trasmissione comprese tra le ore 7 e le ore 20 e che non siano editori o controllino, direttamente o indirettamente, organi di informazione di partiti politici, sia corrisposto un contributo annuo fisso pari al 70 per cento della media dei costi risultanti dai bilanci degli ultimi due esercizi. A tali imprese spettano inoltre le riduzioni tariffarie previste dalla 5 agosto 1981, n. 416.
In proposito si segnala che la legge n. 112 del 2004 sul riassetto del sistema radiotelevisivo (cd. Legge Gasparri) ha esteso le norme a favore delle radio di partito ai canali tematici a diffusione satellitare.
Un primo intervento in materia di editoria speciale è stato realizzato con la legge 13 novembre 2002, n. 260, che ha elevato il contributo statale favore della Biblioteca italiana per ciechi «Regina Margherita» di Monza a 4 milioni di euro annui[154]. Una successiva proposta (AC 4868) volta ad elevare il contributo a 6 milioni di euro, abbinata nel corso dell’esame in seder referente ad una proposta (AC 4530) finalizzata alla concessione di un contributo al Servizio del libro parlato per i ciechi d’Italia ‘Robert Hollman’ e al Centro internazionale del libro parlato di Feltre non ha concluso il proprio iter parlamentare.
Successivamente, la legge 16 ottobre 2003, n.291[155] ha previsto, in materia di editoria, l’istituzione, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, di un Fondo in favore dell’editoria per ipovedenti e non vedenti, con un dotazione di 4,5 milioni di euro nel triennio 2003-2005, finalizzato alla concessione di contributi per l’adeguamento delle strutture delle case editrici che svolgono in particolare attività di stampa di testi in caratteri idonei alla lettura degli ipovedenti[156].
Si ricorda, infine, che la legge finanziaria per il 2006 fissa, al comma 462, in un milione di euro annui il contributo per l'editoria speciale periodica per non vedenti, previsto dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 542[157]
La legge n. 53/2003[158], recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, ha delineato una nuova articolazione del sistema dell’istruzione, ridefinendo tra l’altro i percorsi scolastici, il diritto dovere all’istruzione, le modalità di valutazione degli alunni, la formazione iniziale dei docenti ed introducendo l’alternanza scuola lavoro.
La legge in particolare:
§ reca la disciplina generale in materia di istruzione, facendo ampio ricorso allo strumento della delegazione legislativa;
§ contiene disposizioni immediatamente prescrittive riconducibili principalmente alla possibilità di iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia ed al primo ciclo dell’istruzione a partire dall’anno scolastico 2003/2004 (art.7, commi 4 e 5), nonché al percorso formativo dei docenti (art.5, comma 3);
§ prevede l’adozione di un Piano programmatico di interventi finanziari per la realizzazione delle finalità della legge, disponendo in ordine alla copertura degli oneri (art.1, comma 3 e art.7, commi 4-9);
§ prevede l’adozione di una disciplina regolamentare di delegificazione (art..7, co.1 e 2).
L’art. 1, comma 1, della legge ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi recanti “definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale”.
Ai sensi degli artt. 2, 3 e 5 della legge sono oggetto della delega di cui all’art. 1, comma 1, le materie elencate di seguito:
· la definizione del sistema educativo di istruzione e formazione (art. 2) articolato nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale; al riguardo, viene indicata tra i criteri di delega l’esigenza di assicurare a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età;
· l’adozione di norme generali sulla valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e degli apprendimenti degli studenti (art. 3);
· la formazione iniziale dei docenti della scuola dell’infanzia, del primo ciclo e del secondo ciclo (art. 5), di pari dignità per tutti i docenti, da realizzarsi in corsi di laurea magistrale ed il conseguimento, con l’esame finale di laurea, dell’abilitazione ad uno o più insegnamenti.
L’art. 4 della legge 53/2003 reca una seconda delega legislativa avente per oggetto l’alternanza scuola-lavoro, vale a dire la possibilità di svolgere l'intera formazione dai 15 ai 18 anni, attraverso l'alternanza di periodi di studio e di lavoro, sotto la responsabilità dell'istituzione scolastica o formativa.
Le disposizioni sopra sintetizzate vanno lette in raccordo con le modalità di finanziamento della riforma delineate dalla legge stessa.
L’art. 1, comma 3, della legge 53/2003 prescriveva che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca adottasse, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, un piano programmatico di interventi finanziari, da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei Ministri, previa intesa con la Conferenza unificata, finalizzato al perseguimento di vari obiettivi[159].
L’art.7, comma 6, stabiliva, inoltre, che all’attuazione del Piano si provvedesse attraverso finanziamenti da iscrivere annualmente nelle leggi finanziarie, tenendo conto dei vincoli di finanza pubblica e delle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico finanziaria (DPEF).
Il Piano programmatico sopra citato è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri in data 12 settembre 2003, ma non ha ottenuto l’espressione del prescritto parere da parte della Conferenza unificata[160]. Il Piano richiama e specifica gli obiettivi già individuati dalla legge e stima l’importo complessivo dei finanziamenti necessari per il quinquennio 2004-2008 in 8.320 milioni di euro. Secondo quanto affermato nel documento, oltre alle somme già iscritte in bilancio ed ammontanti per lo stesso periodo a 4.283 milioni di euro, dovrebbero essere destinati all’attuazione della legge ulteriori 4.037 milioni di euro.
L’art.3, comma 92, della legge finanziaria 2004 (L. 350/2003) ha poi autorizzato la spesa complessiva di 90 milioni di euro a decorrere dall’anno 2004 per l'attuazione delcitato piano programmatico; un ulteriore finanziamento di 110 milioni di euro a decorrere dal 2005 è stato autorizzato dall’art. 1, comma 130, della legge finanziaria 2005 (legge 30 dicembre 2004 n. 311)[161]; infine la legge finanziaria 2006 (art.1, co. 578, della legge n. 266 del 2005) ha stanziato 44 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008.
Va ricordato, per completare il quadro dei finanziamenti, che le Direttive ministeriali di riparto del Fondo per l’offerta formativa gli anni 2003-2006[162]hanno indicato, tra gli obiettivi prioritari da conseguire attraverso il Fondo, l’attuazione della riforma degli ordinamenti scolastici (nonché la formazione dei docenti e l’espansione dell’offerta formativa); a tali finalità sono stati riservati 136,16 milioni di euro per il 2003, 126 milioni di euro per il 2004 e 135,7 milioni di euro per il 2005 (punto 1, lettere da a) ad e) delle tre direttive). Tra gli obiettivi prioritari per il 2004 (direttiva 60/2004 -punto1 lettera h)) figurano inoltre gli interventi da realizzare in collaborazione con le regioni e gli enti locali negli ambiti dell’alternanza scuola-lavoro e dell’offerta sperimentale di istruzione e formazione professionale secondo quanto stabilito dall’Accordo quadro del 19 giugno 2003[163] (punto 1 lettera h)); a tali finalità sono destinati rispettivamente 10 milioni di euro e 22,7 milioni di euro. Analogamente nella direttiva n. 56/2005 (punto 1 lettera h)) la realizzazione dell’alternanza scuola lavoro, anche nell’ottica della riforma degli ordinamenti scolastici, figura tra gli obiettivi prioritari e viene finanziata con 10 milioni di euro. Lo schema di direttiva relativo al riparto 2006, in corso di emanazione dopo l’espressione del parere parlamentare, riserva 111 milioni di euro alla riforma del secondo ciclo e 30 milioni a favore degli interventi per la realizzazione dell’alternanza scuola lavoro.
L’art 7, co.1 e 2 prevede l’adozione di una disciplina regolamentare di delegificazione da definire, ai sensie dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Ai regolamenti sono demandate:
§ l’individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale;
§ le modalità di valutazione dei crediti scolastici;
§ la definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli professionali conseguiti in esito ai percorsi formativi, nonché per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici.
Il 19 febbraio 2004 è stato emanato il decreto legislativo. n. 59 recante Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53, corredato da quattro allegatirecanti rispettivamente: Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati delleattività educative della scuola dell’infanzia (Allegato A);della scuola primaria (Allegato B); della scuola secondaria di I grado (Allegato C); nonché Profilo educativo culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (Allegato D)[164].
Il capo I (artt. 1-3) disciplina la scuola dell’infanzia,aperta ai bambini che compiono 3 anni di età nell’anno scolastico di riferimento;essa non è obbligatoria ed ha durata triennale. Per tale ordine di scuola vengono indicate le finalità e definito l’orario annuale (da un minimo di 875 ore ad un massimo di 1700) mentre si rinvia a successivi D.Lgs., emanati secondo le procedure della legge 53/2003, per la generalizzazione dell’offerta formativa.
Il capo II (art. 4) del D.Lgs. delinea il percorso del primo ciclo di istruzione della durata di otto anni, articolati in cinque di scuola primaria e tre di scuola secondaria di primo grado; tale ciclo si conclude con un esame di Stato.
ll capo III (artt. 5-8) e il capo IV (artt. 9-11) recano, rispettivamente, norme in materia di scuola primaria (articolata in un primo anno finalizzato al raggiungimento di “strumentalità didattiche” di base ed in due periodi didattici biennali) e di scuola secondaria di primo grado.
Al primo anno della scuola primaria sono iscritti i bambini e le bambine che compiono i sei anni entro il 31 agosto dell’anno di riferimento; possono inoltre essere iscritti i bambini e le bambine che compiono i sei anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento. L’orario annuale è fissato in 891 ore (escluso il tempo mensa), comprensivo della quota riservata alle regioni e alle istituzioni scolastiche autonome, nonché all’insegnamento della religione cattolica (curricolo obbligatorio), con possibilità per le istituzioni scolastiche di organizzare, nell’ambito del Piano dell’offerta formativa (POF)[165], tenendo conto delle prevalentirichieste della famiglie, attività e insegnamenti per ulteriori 99 ore annue (escluso il tempo mensa) la cui frequenza è opzionale e gratuita. Per tale ordine di scuola viene individuata la figura di un docente con funzioni di tutorato degli alunni e coordinamento delle attività didattiche (art.7); vengono altresì dettati criteri generali per la valutazione degli alunni (art.8).
Per la scuola secondaria di I grado, vengono individuate le finalità (art.9) ed indicato l’orario annuale delle attività educative e didattiche (art.10): 891 ore[166] (escluso il tempo mensa), comprensive della quota riservata alle regioni e alle istituzioni scolastiche autonome, nonché all’insegnamento della religione cattolica (curricolo obbligatorio), con possibilità per le istituzioni scolastiche di organizzare, analogamente a quanto disposto la scuola primaria, nell’ambito del POF attività per ulteriori 198 ore annue (escluso il tempo mensa) opzionali e gratuite, eventualmente affidate ad esperti con contratti di prestazione d’opera. Anche in quest’ordine di scuola è prevista la figura di un docente tutor (art.10); si forniscono inoltre in indicazioni per la valutazione degli alunni (art.11) prescrivendo tra l’altro, ai fini della validità dell’anno, la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato, salvo deroghe autorizzate dall’istituzione scolastica.
Il capo V (artt. 12-19), del D.Lgs. infine, reca norme transitorie, disposizioni finanziarie ed abrogazioni.
Con riguardo a tale ultimo capo si segnala che viene disciplinata l’attuazionegraduale delle norme sull’iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia ed alla scuola primaria; e che nelle more dell’adozione dei regolamenti governativi di delegificazione recanti indicazioni del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale (ai sensi dell’art. 7, commi 1 e 2, della legge 53/2003) viene disposta l’adozione degli assetti pedagogico didattici definiti dai quattro allegati al decreto legislativo (art.14, comma 2).
Per quanto attiene le disposizioni finanziarie il D.Lgs. (art.18) fa riferimento all’art. 7 comma 5 della legge 53/2003 che stanziava per le iscrizioni anticipate al primo anno della scuola dell’infanzia della scuola primaria statali 12.731 migliaia di euro per l'anno 2003, 45.829 migliaia di euro per l'anno 2004 e 66.198 migliaia di euro a decorrere dall'anno 2005.
Per completare il quadro organizzativo dei nuovi percorsi sono state emanate numerose circolari; si segnala in particolare la Circolare ministeriale 3 dicembre 2004 n. 85 recante indicazioni per la valutazione degli alunni e per la certificazione delle competenze nella scuola primaria e nella scuola secondaria di I grado. Il provvedimento tiene conto delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 59/2004, in particolare dei piani di studio personalizzati (allegati B e C, facenti parte integrante del decreto medesimo) che sostituiscono i vecchi programmi della scuola elementare e che implicano nuovi criteri per la valutazione dei risultati e la comunicazione alle famiglie.
La disciplina recata dal d.lgs.59/2004 è stata recentemente modificata dal D.Lgs n. 226 del 2005[167] ( recante norme sul secondo ciclo ) esso infatti con la finalità di perfezionare il raccordo tra il primo e il secondo ciclo è intervenuto in particolare sulle disposizioni relative alla scuola secondaria di primo grado (capo IV, articoli 23-26).
Sono previste norme sui corsi ad indirizzo musicale (articolo 23), sulla diffusione della cultura musicale, mediante attivazione di laboratori musicali da parte dei conservatori e degli istituti musicali pareggiati (articolo 24), sull’insegnamento dell'inglese e della seconda lingua comunitaria nonché della tecnologia (articolo 25),sull’insegnamento delle scienze (articolo 26), si dispone correlativamente la modifica di alcune indicazioni riportate negli allegati D, E ed F del d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59.
In particolare, l’art. 25 del d.lgs. n. 226/2005 ha incrementato l’orario annuale obbligatorio della scuola secondaria di primo grado di 66 ore (da 891 a 957), metà delle quali destinate all’inglese e metà alla tecnologia, ha inoltre consentito agli studenti di tale ordine di scuola, su richiesta delle famiglie, di utilizzare per l'apprendimento della lingua inglese anche il monte ore dedicato alla seconda lingua comunitaria. Viene contestualmente ridotto di 66 ore (da 198 a 132) il monte ore riservato alla scelta facoltativa degli studenti.
Il 19 novembre 2004 è stato emanato il decreto legislativo n. 286, recante Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, nonche' riordino dell'omonimo istituto, a norma degli articoli 1 e 3 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
Il Servizio nazionale del sistema di istruzione e formazione è istituito (articolo 1) con l'obiettivo di valutare l'efficienza e l'efficacia del sistema di istruzione e di istruzione e formazione professionale; in relazione a quest’ultima si specifica che la valutazione concerne esclusivamente i livelli essenziali di prestazione[168] e viene effettuata tenendo conto degli altri soggetti istituzionali operanti a livello nazionale. Si stabilisce inoltre che al perseguimento degli obiettivi del Servizio nazionale concorrono l'Istituto nazionale di valutazione, come riordinato dal decreto stesso, e le istituzioni scolastiche e formative. A tal fine le istituzioni scolastiche e gli enti locali provvedono a garantire l’interoperabilità fra i propri sistemi informativi per agevolare lo scambio di dati; si dispone inoltre l’istituzione di un Comitato tecnico presso il ministero al fine di assicurare il raccordo tra attività e servizi di valutazione, ferma restando l'autonomia dell'Istituto nazionale di valutazione e dei servizi di valutazione di competenza regionale.
E’ previsto il riordino dell'INVALSI[169] (articolo 2), cui viene attribuita la nuova denominazione di "Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e di formazione" e conferito lo status di ente di ricerca; sono confermate la personalità giuridica di diritto pubblico e l'autonomia amministrativa, contabile, patrimoniale, regolamentare e finanziaria.
L'ente è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ne determina le priorità strategiche per la programmazione delle attività con propria direttiva[170] relativamente al sistema dell’istruzione, ovvero con linee guida definite d’intesa con la Conferenza Unificata, relativamente al sistema dell’istruzione e formazione professionale. Al Ministro viene affidata inoltre l’emanazione di specifiche direttive connesse agli obiettivi generali delle politiche educative nazionali.
I compiti dell'Istituto (articolo 3) comprendono, oltre ad alcuni di quelli già indicati dal decreto legislativo n. 258 del 1999, un insieme di nuove attribuzioni.
In particolare l’ente:
- effettua verifiche sulle conoscenze e le abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa; per la formazione professionale le verifiche riguardano solo i livelli essenziali di prestazione e sono effettuate tenuto conto degli altri soggetti istituzionali che già operano a livello nazionale nel settore;
- predispone le prove a carattere nazionale previste per l'esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione e provvede alla loro gestione;
- svolge attività di ricerca e assume iniziative per assicurare la partecipazione italiana a progetti di ricerca europea e internazionale in campo valutativo;
- studia le cause dell'insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle tipologie dell'offerta formativa;
- svolge attività di supporto e assistenza tecnica all'amministrazione scolastica, alle regioni, agli enti territoriali e alle istituzioni scolastiche e formative per la realizzazione di iniziative di valutazione;
- svolge attività di formazione del personale docente e dirigente della scuola in relazione ai processi di valutazione delle istituzioni scolastiche.
Si prescrive inoltre che l’ente relazioni al Ministro dell’istruzione università e ricerca sugli esiti delle attività svolte e che quest’ultimo presenti con cadenza triennale una relazione al Parlamento sugli esiti della valutazione.
Sono quindi definiti (artt 4-8) gli organi dell'Istituto (presidente; comitato direttivo; collegio dei revisori dei conti) e le loro attribuzioni, le funzioni e le modalità di scelta del direttore generale, nonché la potestà regolamentare interna dell'Istituto (articolo 9). Gli articoli da 10 a 12 definiscono la dotazione organica del personale[171] e le modalità ed i limiti per l’utilizzazione di personale comandato e per il conferimento di incarichi ad esperti di alta qualificazione.
Agli oneri finanziari derivanti dall’attuazione del provvedimento (computati in 7,3 milioni di euro per il 2004 e 10,4 milioni a decorrere dal 2005) si provvede (articolo 15) con quota parte del citato stanziamento di 90 milioni di euro autorizzato dall’art. 3 comma 92 della legge 350/2003 (legge finanziaria 2004)[172] per la realizzazione del Piano programmatico degli interventi finanziari previsto dalla legge Moratti; ferma restando la dotazione finanziaria già assegnata all’INVALSI (art.15, comma 2).
Si ricorda in proposito che l’istituto riceveva annualmente un finanziamento a valere sui contributi del Ministero dell’istruzione, dell’università per enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi: per gli anni 2004 e 2005 è stata erogata la somma di 540.870 euro mentre il piano di riparto per il 2006 (in corso emanazione dopo il prescritto parere parlamentare) non reca stanziamenti a favore dell’istituto[173].
Il 15 aprile 2005 è stato emanato il decreto legislativo n. 76 recante Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione a norma dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 53/2003.
Il decreto legislativodefinisce il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione; a tal fine l’obbligo scolastico è ridefinito e ampliato per una durata minima di 12 anni o, comunque, fino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, ivi comprese le scuole paritarie, anche attraverso l’apprendistato[174].
E’ prevista la possibilità di assolvere al diritto-dovere anche privatamente, come stabilito dall’articolo 111 del TU sull’istruzione con riferimento all’obbligo scolastico. La fruizione del diritto, di cui si ribadisce la connotazione di dovere sociale, esteso anche ai minori stranieri, è gratuita. E’ inoltre garantita l’integrazione delle persone in situazione di handicap, mentre si stabilisce che l’attuazione del diritto-dovere avvenga con gradualità, come di seguito specificato.
Il diritto-dovere ha inizio con l’iscrizione alla prima classe della scuola primaria (articolo 2) e prosegue nel sistema dei licei o della istruzione e formazione professionale. Per favorire un’adeguata scelta dei percorsi educativi del secondo ciclo, le scuole secondarie di primo grado organizzano iniziative di orientamento[175] sulla base dei percorsi personalizzati di ciascun allievo. Le istituzioni del secondo ciclo realizzano profili educativi, culturali e professionali secondo livelli essenziali di prestazione ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali valevoli su tutto il territorio nazionale. All’attuazione del diritto-dovere concorrono, oltre alle istituzioni scolastiche e formative, le famiglie e coloro che assumono con il contratto di apprendistato, con particolare riferimento al tutore aziendale[176].
A tal fine l’articolo 3 disciplina il funzionamento del sistema nazionale delle anagrafi degli studenti che opera il trattamento dei dati sui percorsi scolastici, formativi e in apprendistato dei singoli studenti e assicura l’integrazione dell’anagrafe con le anagrafi territoriali nonché il coordinamento con i servizi per l’impiego[177] in materia di orientamento, informazione e tutorato.
Previa intesa con la Conferenza unificata è prevista l’adozione da parte del MIUR, di concerto con il Ministero del lavoro, delle linee guida per la realizzazione dei piani di intervento sulle attività di orientamento, recupero degli abbandoni e contenimento della dispersione scolastica (articolo 4).
Responsabili dell’adempimento del diritto-dovere sono i genitori (articolo 5), mentre alla vigilanza sono preposti il comune, il dirigente dell’istituzione scolastica o il responsabile dell’istituzione formativa, la provincia, i soggetti che assumono con contratto di apprendistato, nonché il tutore aziendale e i soggetti competenti allo svolgimento delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. A tali soggetti si applicano, in caso di mancato adempimento, le sanzioni previste dalle norme vigenti per il mancato assolvimento dell’obbligo scolastico.
Fino alla completa attuazione del diritto-dovere (articolo 6), è previsto che a partire dall’anno scolastico 2005/2006 la gratuità delle tasse copra i primi due anni del secondo ciclo. Le risorse relative all’attuazione del diritto-dovere all’istruzione e formazione nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale sono attribuite alle regioni con apposito accordo in Conferenza unificata, tenendo anche conto dell’incremento alle iscrizioni.
E’ prevista (articolo 7) un monitoraggio annuale sullo stato di attuazione del decreto da parte dell’ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), dell’INDIRE (Istituto nazionale di documentazione per l’ innovazione e la ricerca educativa) e dell’INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e di formazione), i risultati di tale attività sono comunicati alla Conferenza unificata, mentre il Ministro presenta una relazione triennale al Parlamento.
Il 15 aprile 2005 è stato emanato il decreto legislativo n. 77 recante Definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro in attuazione dell’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
Il decreto legislativo definisce (articolo 1) l’alternanza scuola-lavoro quale modalità di realizzazione della formazione del secondo ciclo sia nei licei sia nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, volta ad assicurare ai giovani l’acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro. La responsabilità del percorso è espressamente attribuita all’istituzione scolastica o formativa. I percorsi in alternanza - dalla cui applicazione sono escluse le scuole militari - possono essere svolti anche per una sola parte del periodo formativo; è inoltre ribadito che il diritto-dovere può essere espletato anche attraverso l’apprendistato[178].
Riprendendo la formulazione della legge delega, l’articolo 1 individua nella convenzione lo strumento con cui l’istituzione scolastica o formativa realizza i percorsi dell’alternanza, che comunque non costituiscono rapporto individuale di lavoro. E’ inoltre previsto che alla realizzazione dell’alternanza siano destinate risorse specifiche da parte delle istituzioni scolastiche e formative[179].
La modalità di apprendimento in alternanza persegue le seguenti finalità (articolo 2): attuazione di modalità di apprendimento flessibile; arricchimento della formazione con competenze spendibili nel mondo del lavoro; valorizzazione delle vocazioni individuali; rafforzamento dell’interazione tra le istituzioni scolastiche e formative, il mondo del lavoro e il territorio.
La realizzazione dei percorsi in alternanza avviene (articolo 3) attraverso la stipula, da parte delle istituzioni scolastiche o formative, di una convenzione a titolo gratuito con i soggetti disponibili ad accogliere i giovani nelle proprie strutture. I criteri generali cui le convenzioni devono fare riferimento - insieme con le risorse finanziarie, i requisiti dei soggetti interessati nonché il modello di certificazione per la spendibilità a livello nazionale delle competenze e per il riconoscimento dei crediti - sono definiti con decreto del MIUR, previa intesa con la Conferenza unificata e sulla base delle indicazioni di un apposito “Comitato per il monitoraggio e la valutazione dell'alternanza scuola-lavoro”[180].
Con riferimento all’organizzazione didattica, l’articolo 4 articola i percorsi dell’alternanza in periodi di formazione in aula e in periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro, che le istituzioni scolastiche e formative progettano e attuano nell’ambito delle citate convenzioni. Tali esperienze, svolte anche in periodi diversi dal calendario delle lezioni, fanno parte integrante dei percorsi formativi personalizzati e sono organizzate, oltre che secondo criteri di gradualità, tenendo conto degli obiettivi formativi delle istituzioni di riferimento. In tale ambito, è prevista una norma specifica per i soggetti disabili, per i quali tali esperienze devono promuovere l’autonomia e l’inserimento nel mondo del lavoro. I percorsi in alternanza sono definiti e programmatiall'interno delcitato Piano dell'offerta formativa e sono proposti alle famiglie e agli studenti in tempi e con modalità idonei a garantirne la piena fruizione.
La funzione tutoriale, preordinata alla promozione delle competenze degli studenti e al raccordo tra l’istituzione, il mondo del lavoro e il territorio è svolta da due figure: il docente tutor interno all’istituzione scolastica (designato in base alla disponibilità all’incarico ed ai titoli posseduti) e il tutor esterno (articolo 5). In particolare, in attuazione della legge delega (art. 4, comma 2 ) è previsto che i compiti svolti dal tutor interno siano riconosciuti nel quadro della valorizzazione della professionalità del personale docente, e che vi siano interventi di formazione in servizio, anche congiunta, destinati al docente tutor interno ed al tutor esterno.
La valutazione, la certificazione ed il riconoscimento dei crediti sono attribuiti all’istituzione scolastica (articolo 6) e si concludono con il rilascio di una certificazione supplementare relativa alle competenze acquisite nei periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro.
E’ inoltre consentito, secondo quanto stabilito dalla legge delega, di realizzare percorsi integrati tra le istituzioni scolastiche e le istituzioni del sistema dell’istruzione e formazione professionale.
Le risorse destinate alla realizzazione degli interventi previsti dal decreto (articolo 9) - per un importo di 10 milioni di euro per l’anno 2005 e 30 milioni di euro a decorrere dall’anno 2006 - sono individuate a valere sul citato Fondo dell’offerta formativa. Nell’ambito di tali importi viene autorizzata la spesa per il funzionamento del Comitato. Alla realizzazione di tali interventi concorrono altresì le risorse - nella percentuale stabilita nella programmazione regionale - previste dall’articolo 68 della legge 144/1999[181]. Il coordinamento delle competenze dei soggetti interessati e lo svolgimento di attività di interesse comune è realizzato attraverso accordi da stipulare in sede di Conferenza unificata (articolo 10)[182].
Il 17 ottobre 2005 è stato emanato il decreto legislativo n. 226 recante le norme generali ed i livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, adottato ai sensi degli artt. 1 e 7 della legge 53/2003.
Il secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione (capo I, articolo 1) è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale, per il quale lo Stato garantisce i livelli essenziali delle prestazioni. Si afferma, tra l’altro, la pari dignità dei due percorsi nonché la possibilità di cambiare scelta (tra i vari tipi di liceo, tra gli indirizzi dei licei o anche appunto tra i due sistemi di istruzione).
Per la definizione delle corrispondenze e modalità di riconoscimento dei i crediti acquisiti nei due percorsi si fa rinvio ad accordi da adottare in sede di conferenza Stato-Regioni, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, poi recepiti con decreto del Presidente della Repubblica.Nel testo definitivo del d.lgs., si dispone comunque che i titoli e le qualifiche a carattere professionalizzante siano di competenza delle regioni e province autonome; siano rilasciati esclusivamente dalle istituzioni scolastiche e formative del sistema d'istruzione e formazione professionale ed abbiano valenza nazionale. La continuità dei percorsi di istruzione e formazione professionale con quelli previsti dalla normativa previgente è realizzata tramite accordi da adottare in sede di Conferenza Unificata.
E’ inoltre previsto l’eventuale svolgimento in un'unica sede di entrambi i percorsi (istruzione nel sistema dei licei e formazione professionale) ed il raccordo in un centro polivalente, denominato "Campus" o polo formativo sulla base di apposite convenzioni che assicurino una rappresentanza delle associazioni imprenditoriali del settore di riferimento e degli enti locali, senza tuttavia comportare maggiori oneri per la finanza pubblica.
I percorsi liceali (capo II, articoli 2-14) hanno finalità comuni, riassumibili nella comprensione della realtà contemporanea, nell’acquisizione di capacità progettuali e conoscenze specifiche; in particolare i licei ad indirizzi sviluppano le capacità scientifiche e professionali coerenti con il settore di riferimento. La durata dei licei è quinquennale (art. 2) e si articola in due periodi biennali e in un quinto anno finalizzato all'acquisizione delle abilità caratterizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi (definito all'allegato B al decreto legislativo), secondo le indicazioni nazionali (di cui agli allegati C, C/1, C/2, C/3, C/4, C/5, C/6, C/7, e C/8).
Nell’ambito dell’ultimo anno, in raccordo con università, istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica[183] e strutture di formazione tecnica superiore (IFTS)[184], sono stabilite le modalità di approfondimento delle conoscenze necessarie per proseguire gli studi o inserirsi nel mondo del lavoro. L'approfondimento può essere realizzato anche nell'àmbito dei percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, nonché attraverso l'attivazione di iniziative studio –lavoro.
A conclusione del percorso è previsto un esame di Stato - necessario per l'accesso all'università ed agli istituti di alta formazione artistico musicale[185] -in esito a quest’ultimo si consegue il titolo di diploma liceale con specifica del liceo e dell’eventuale indirizzo.
Il sistema dei licei comprende otto licei, tre dei quali, a partire dal secondo biennio sono articolati in indirizzi (di seguito indicati in carattere corsivo):
· liceo artistico: arti figurative; architettura, design, ambiente; audiovisivo, multimedia, scenografia;
· liceo classico;
· liceo economico: economico-aziendale; economico-istituzionale;
· liceo linguistico;
· liceo musicale e coreutico;
· liceo scientifico;
· liceo tecnologico: meccanico e meccatronico; elettrico ed elettronico; informatico e comunicazione; chimico e materiali; produzioni biologiche e biotecnologie alimentari; costruzioni, ambiente e territorio; logistica e trasporti; tecnologie tessili e dell'abbigliamento;
· liceo delle scienze umane.
Nei licei economico e tecnologico è garantita la presenza di una consistente area di discipline e attività tecnico-professionali, tale da assicurare il perseguimento degli obiettivi inerenti alla specificità dei licei medesimi.
L'orario annuale delle lezioni (art. 3), comprensivo della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome ed all’insegnamento della religione cattolica, è articolato in attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti; attività e insegnamenti obbligatori di indirizzo; attività e insegnamenti obbligatori a scelta dello studente; attività e insegnamenti facoltativi. Questi ultimi, analogamente a quanto disposto per la scuola primaria e secondaria dal D.lgs.59/2004 (artt. 7 e 10) saranno organizzati dalle istituzioni scolastiche e proposti nel piano dell’offerta formativa (articolo 3, comma 2); la scelta sarà facoltativa e opzionale per gli studenti, la frequenza sarà gratuita, ma obbligatoria una volta effettuata la scelta (all’atto dell’iscrizione)[186].
Durante il quinto anno (art. 3, co. 3), nell’ambito delle attività ed insegnamenti obbligatori a scelta dello studente, saranno organizzati approfondimenti disciplinari coerenti con la personalizzazione dei percorsi e con le vocazioni manifestate per il proseguimento degli studi; sarà inoltre attivato in tutti i licei l’insegnamento in lingua inglese di una delle discipline non linguistiche comprese nell’orario obbligatorio o nell’orario obbligatorio a scelta dello studente; per il liceo linguistico tale insegnamento decorre già dal quarto anno.
L’articolazione dei percorsi liceali è poi specificata negli articoli da 4 a 11. Per ciascuno di essi, sono definite le finalità specifiche, gli indirizzi, le eventuali attività di laboratorio, l’orario annuale delle attività e degli insegnamenti obbligatori e facoltativi.
Alle attività educative e didattiche del sistema liceale si prevede di fare fronte con la dotazione di personale docente assegnato all'istituto (art. 12); nei casi in cui sia richiesta una professionalità non riconducibile ad ambiti disciplinari per i quali è prevista l'abilitazione all'insegnamento, gli istituti stipulano, nei limiti delle risorse iscritte in bilancio, contratti di diritto privato con esperti, in possesso di adeguati requisiti tecnico-professionali, sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro.
Si ricorda in proposito che tale modalità di reclutamento, prevista anche nel citato D.lgs. 59/2004, è connessa all’autonomia organizzativa e finanziaria delle istituzioni scolastiche ed in tale otticaera stataautorizzata per le discipline non curricolari dall’art. 40 (comma 1) della legge 449/1997[187].
Analogamente a quanto previsto per la scuola primaria e secondaria (artt. 7 e 10 del d.lgs. 59/2004) anche nei licei (art. 12, comma 2 ) un ruolo fondamentale è affidato ad un docente, in possesso di specifica formazione, che svolge funzioni di orientamento e tutorato degli studenti; cura le relazioni con le famiglie e la documentazione del percorso formativo (cosiddetto tutor). Viene inoltre prescritta (anche in questo caso riproponendo i contenuti del D.lgs. 59/2004, agli artt. 8 e 11) la permanenza dei docenti nella sede di titolarità almeno per il tempo corrispondente ad un periodo didattico.
Con riguardo alla valutazione degli alunni (art. 13) si dispone che, oltre alle valutazioni periodiche e annuali, una valutazione specifica al termine di ciascun biennio dia luogo all’ammissione dello studente al terzo ed al quinto anno; essa sarà subordinata al raggiungimento di tutti gli obiettivi di istruzione e di formazione e terrà conto anche del comportamento.
La valutazione positiva conseguita in esito allo scrutinio finale del quinto anno costituisce ammissione all’esame di Stato. Apposite commissioni costituite e funzionanti presso le istituzioni scolastiche, secondo criteri determinati con decreto del ministro, valuteranno le conoscenze dei ragazzi che, dopo aver completato con esito positivo il primo ciclo ed abbandonato gli studi, chiedono di rientrare nel percorso liceale. L’esame di Stato (art. 14) si svolge su prove (anche laboratoriali per i licei ad indirizzo) organizzate dalle commissioni d’esame e su prove a carattere nazionale, predisposte e gestite dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione.
Per i candidati esterni si rinvia alle disposizioni vigenti, in particolare all’art. 3 del DPR 323/1998[188] che disciplina le modalità per l’ammissione all’esame degli esterni e per l’eventuale sottoposizione ad una prova preliminare. Si prevede invece una modifica alle norme in vigore (art. 2, comma 4 della legge 425/1997[189]) per quanto attiene le relative commissioni esaminatrici; in particolare si dispone che possano essere costituite commissioni apposite solo presso gli istituti statali e non anche, come ora avviene, presso le scuole paritarie.
Il capo III (articolo 15-22) del D.Lgs. detta i livelli essenziali (LEP) per i percorsi di istruzione e formazione professionale che le regioni devono assicurare nell’esercizio delle loro competenze legislative, con particolare riferimento all’offerta formativa, all’orario minimo annuale, ai requisiti dei docenti, alla valutazione e certificazione delle competenze, alle strutture ed ai servizi delle istituzioni formative. I livelli essenziali costituiscono requisiti per l'accreditamento e l'attribuzione dell'autonomia alle istituzioni formative delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
I titoli e le qualifiche rilasciate a conclusione dei percorsi di istruzione e formazione professionale di durata almeno quadriennale, costituiscono titolo per l'accesso all'istruzione e formazione tecnica superiore; essi consentono inoltre di sostenere l'esame di Stato, utile anche ai fini degli accessi all'università e all'alta formazione, previa frequenza di apposito corso annuale. Le qualifiche professionali conseguite attraverso l'apprendistato di cui all'articolo 48 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 costituiscono crediti formativi per il proseguimento nei percorsi del secondo ciclo.
Il d.lgs. reca inoltre (capo IV, articoli 23-26) alcune disposizioni per il raccordo tra il primo e il secondo ciclo. Sono previste norme sui corsi ad indirizzo musicale (articolo 23), sulla diffusione della cultura musicale mediante attivazione di laboratori musicali da parte dei conservatori e degli istituti musicali pareggiati (articolo 24), sull’insegnamento dell'inglese e della seconda lingua comunitaria nonché della tecnologia (articolo 25),sull’insegnamento delle scienze (articolo 26), anche attraverso la modifica di alcune disposizioni del d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, riportate agli allegati D, E ed F.
Sono infine dettate alcune norme transitorie e finali:
· l’avvio dei nuovi percorsi liceali è subordinato alla definizione delle tabelle di confluenza dei percorsi di istruzione secondaria superiore previsti dall’ordinamento previgente nei percorsi liceali - ai fini della programmazione della rete scolastica prevista dal d.lgs. 112 del 1998[190] - e delle tabelle di corrispondenza dei titoli di studio in uscita dei predetti percorsi nonché all’incremento, fino al 20 per cento, della quota dei piani di studio rimessa alle istituzioni scolastiche. A tale adempimento si è provveduto con due decreti ministeriali di pari data (28 dicembre 2005) che hanno determinato, rispettivamente, le Tabelle di confluenza dei percorsi e dei titoli relativi al secondo ciclo con quelli dell’ordinamento previgente nonché la quota oraria nazionale obbligatoria riservata alla realizzazione del nucleo fondamentale dei piani di studio;
· l’avvio dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale è subordinato all’individuazione, con accordi in Conferenza Stato-regioni, dei profili delle figure di differente livello, degli standard minimi formativi relativi alle competenze di base nonché degli standard minimi relativi alle strutture delle istituzioni formative e dei relativi servizi;
· il passaggio al nuovo ordinamento decorre dall’anno scolastico e formativo 2007/2008;
· fino alla definizione dei predetti passaggi propedeutici non si promuovono sperimentazioni del nuovo ordinamento nelle scuole, ferma restando l'autonomia scolastica;
· sono assegnate alle regioni le risorse previste dal d.lgs. n. 76 del 2005 per l’assolvimento del diritto dovere nei percorsi di istruzione e formazione professionale;
· la definizione dei tempi e delle modalità per il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie per l’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti alle regioni e agli enti locali è rimessa a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di accordi da concludere in sede di Conferenza unificata,
L’onere finanziario del provvedimento (articolo 30) è valutato in 44,9 milioni di euro per l'anno 2006 e di 43 milioni a decorrere dall'anno 2007; vi si provvede con quota parte della spesa autorizzata dall'articolo 1, comma 130, della legge finanziaria 2005.
Sono, infine (articolo 31), fatte salve le disposizioni vigenti per gli alunni con handicap[191].
L’articolato del D.Lgs. è corredato da sette Allegati, concernenti rispettivamente:
· le finalità comuni al percorso di istruzione ed al percorso di formazione professionale; gli obiettivi comuni ai percorsi liceali e quelli specifici degli otto licei; i piani di studio dei licei e dei rispettivi indirizzi (Allegati A, B, C);
· il monte ore ed i livelli di apprendimento finali riferiti alle lingue straniere (lingua inglese, seconda lingua comunitaria, inglese come seconda lingua comunitaria-Allegati D, e D bis ed E), nonché alcune modifiche agli obiettivi già indicati nel D.Lgs. 59/2004 disposte per un più adeguato raccordo con le prescrizioni relative al secondo ciclo;
· modifiche agli obiettivi indicati nel D.Lgs. 59/2004 per l’apprendimento delle scienze (scuola secondaria di primo grado) anche in questo caso per raccordare i percorsi con quanto previsto per i licei ( Allegato F).
Il 17 ottobre 2005 è stato emanato il decreto legislativo n. 227 recante definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell’accesso all’insegnamento, adottato ai sensi dell’art. 5 della legge 53/2003.
Vengono innanzitutto indicate le finalità della formazione iniziale e permanente dei docenti (articolo 1); in particolare, si riconoscono il ruolo che i docenti svolgono nel processo educativo e di apprendimento, nonché la centralità della formazione, che sostiene e qualifica la funzione docente e la indirizza verso il raggiungimento di obiettivi formativi da sottoporre a verifiche e valutazioni oggettive.
Il d.lgs. prefigura poi (art. 1, comma 5) una nuova procedura concorsuale per la copertura del 50 per cento dei posti in organico; quest’ultima, ai sensi dell’articolo 399, comma 1, del d.lgs. 297 del 1994, è attualmente effettuata attraverso un concorso per titoli ed esami, mentre il restante 50 per cento viene coperto utilizzando le graduatorie permanenti. La nuova procedura è bandita con cadenza almeno triennale secondo le esigenze della programmazione, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche (comma 6).
Viene quindi disciplinata la formazione iniziale (articolo 2), che si svolgerà presso corsi di laurea magistrale e corsi accademici di secondo livello istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica (A.F.A.M.).
L’individuazione delle classi dei corsi di laurea magistrale, del profilo formativo e professionale del docente, delle attività didattiche e di tirocinio, nonché dei relativi crediti è demandata a uno o più decreti il Ministro dell’istruzione[192]. Analoghi decreti determinano i percorsi formativi di secondo livello da attivare presso le istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica. I corsi sono istituiti sulla base di criteri, procedure e requisiti minimi strutturali stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione.
Con riguardo ai profili finanziari, il medesimo articolo 2 esclude (commi 8-10) il determinarsi di oneri aggiuntivi, in quanto i corsi verranno finanziati con i proventi delle tasse corrisposte dagli iscritti (in misura stabilita con decreto del Ministro); alle esigenze connesse alla riconversione delle attuali strutture, si provvederà invece con i finanziamenti già previsti nel DM 5 agosto 2004, n.262[193], che ha ripartito le risorse finanziarie per la programmazione del sistema universitario relativa al triennio 2004-2006 assegnando (art.13) alla formazione degli insegnanti - proprio con riferimento ai corsi di laurea previsti dall’art. 5 della legge 53/2003 - 10,5 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari 2005 e 2006. Infine, per lo svolgimento dei compiti di supervisione del tirocinio, le università potranno utilizzare personale docente in servizio presso istituzioni scolastiche, nel limite di 25.822 euro, secondo quanto previsto dall’articolo 1, commi 4 e 5, della legge 3 agosto 1998, n.315[194].
I nuovi corsi di formazione sono a numero programmato[195] (articolo 3). Con decreto del Presidente del consiglio dei ministri – che costituisce autorizzazione a bandire il concorso - è determinato il numero dei posti da coprire nelle scuole statali mediante concorso[196], sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale docente nelle scuole statali[197], effettuata tramite stime previsionali del numero degli alunni, anche disabili, del turn-over dei docenti e del numero dei posti disponibili a livello nazionale, rilevati su base regionale.
La ripartizione regionale dei posti per l’accesso ai corsi è poi disposta con decreti del Ministro, computando un numero di posti pari a quelli da coprire (rispettivamente nelle scuole statali e nelle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica) di ciascuna regione, maggiorato del 30%.
L'ammissione ai corsi è disposta dagli atenei e dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, nei limiti dei posti assegnati, previo superamento di apposite prove selettive indette, per ciascuna regione, dal Ministero dell'istruzione. Le prove selettive di ammissione sono volte ad accertare il possesso dei requisiti minimi curriculari e l'adeguatezza della preparazione dei candidati, secondo modalità e contenuti stabiliti con decreto a livello nazionale.
La laurea magistrale e il diploma di secondo livello si conseguono, contemporaneamente all’abilitazione all’insegnamento, previa positiva valutazione del tirocinio, con la discussione della tesi e il superamento di un esame di stato. Le modalità delle prove ed i criteri di nomina delle commissioni d’esame sono definite con decreto del Ministero dell’istruzione. La laurea e il diploma abilitano all'insegnamento nella scuola dell'infanzia, nella scuola primaria o, nella scuola secondaria di primo grado e nel secondo ciclo (articolo 4).
Ai fini dell’accesso ai ruoli è previsto che i laureati e i diplomati abilitati siano iscritti, sulla base del voto conseguito nell'esame di Stato abilitante, in un apposito Albo regionale, tenuto presso gli uffici scolastici regionali e distinto per la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e, per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, per ciascuna classe di abilitazione (articolo 5).
L'ufficio scolastico regionale assegna i docenti abilitati alle istituzioni scolastiche tenendo conto delle esigenze espresse dalle scuole stesse; i docenti svolgono un anno di applicazione con un contratto di inserimento formativo al lavoro,stipulato dal dirigente scolastico, sotto la supervisione di un tutor designato dal collegio dei docenti (articolo 6). Compiuto l'anno di applicazione, il docente abilitato discute una relazione sulle esperienze e le attività svolte, il percorso si conclude con la formulazione di un giudizio e l'attribuzione di un punteggio.
Al fine di organizzare e monitorare le attività di tutorato nonchè lo svolgimento delle prove d’accesso ai corsi di laurea magistrale abilitanti all’insegnamento è prevista la creazione (articolo 7), da parte degli atenei, di un’apposita struttura denominata “Centro di ateneo o di interateneo per la formazione degli insegnanti”. L’istituzione e l’organizzazione di analoghe strutture sono previste anche nell’ambito delle Accademie e dei Conservatori. Viene inoltre prevista (articolo 8) la costituzione e la gestione, da parte dei Centri di servizio di ateneo o d’interateneo e delle Accademie di belle arti e dei Conservatori di musica, di Centri di eccellenza per l’organizzazione delle attività per la formazione permanente degli insegnanti, sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro dell’istruzione. Tale iniziativa viene finanziata a decorrere dal 2006 con un milione di euro a valere sul Fondo per l’offerta formativa di cui alla citata legge 440/1997.
E’, infine, previsto (articolo 9) che i percorsi di formazione abbiano inizio con l’anno accademico 2006-2007. I requisiti e le modalità essenziali della formazione iniziale ed il profilo culturale e professionale dei docenti dei percorsi del sistema di istruzione e formazione professionale concorrono alla determinazione dei livelli essenziali di prestazione di cui all’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione; a tali fini il Ministro dell’istruzione con proprio decreto determina gli insegnamenti afferenti alle aree disciplinari ed ai settori professionali per i quali sono definiti gli standard formativi minimi di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c), della legge n.53/2003.
La legge n. 53 del 2003 dedica poi particolare attenzione allo sviluppo delle conoscenze e delle competenze relative alle tecnologie multimediali e informatiche. Tali finalità sono presenti sia nelle Indicazioni nazionali per i piani di studio delle attività educative della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado che nel Profilo educativo culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione allegati al d.lgs. n. 59 del 2004. Si dispone per esempio che, al termine del primo ciclo di istruzione[198], lo studente sappia comunicare anche attraverso internet; sia in grado si risolvere problemi “anche attraverso strumenti informatici”, di selezionare siti internet e utilizzare motori di ricerca.
Con riguardo al secondo ciclo del percorso di istruzione e di formazione, l’art.1 del d.lgs.226/2005 fa esplicito riferimento allo sviluppo di abilità e capacità nell’uso di nuove tecnologie e nel profilo educativo dello studente in esito al (allegato A al d.lgs.226/2005), con riferimento agli strumenti culturali da conseguire si cita l’utilizzazione di codici diversi da quello verbale (includendovi web e ipertesti) nonché l’uso di strumenti informatici per ricercare ed elaborare le informazioni.
Per quanto attiene l’insegnamento delle lingue straniere, si ricorda che la legge n. 53 del 2003 ha previsto (art 2 co.1 lettera f)) nella scuola primaria l’alfabetizzazione in almeno una delle lingue dell’Unione europea (confermando per tale profilo la disciplina già introdotta dall’art. 10 della legge 148/1990) ed ha introdotto nella scuola secondaria di primo grado l’insegnamento di una seconda lingua comunitaria. Il d.lgs. n. 59 del 2004, innovando rispetto al dettato della legge, ha previsto nella scuola primaria l’alfabetizzazione nella lingua inglese (art .5), mentre per la scuola secondaria di primo grado (art. 9) ha confermato il disposto della legge prevedendo l’insegnamento di una seconda lingua comunitaria.
L’art. 25 del d.lgs. n. 226 del 2005 ha poi incrementato l’orario annuale obbligatorio della scuola secondaria di primo grado di 66 ore, la metà delle quali destinate all’inglese, ha inoltre consentito agli studenti di tale ordine di scuola, su richiesta delle famiglie, di utilizzare per l'apprendimento della lingua inglese anche il monte ore dedicato alla seconda lingua comunitaria.
Con riguardo al secondo ciclo di istruzione e formazione il d. lgs.226/2005 (art. 1 co. 5) prescrive tra l’altro la padronanza di una seconda lingua europea oltre l’italiano e l’inglese; in particolare poi (art. 3 co. 3) si prevede che nel quinto anno dei percorsi liceali l’insegnamento di una disciplina non linguistica sia impartito in lingua inglese (tale prescrizione nel liceo linguistico, di cui all’art. 7 del d.lgs., decorre dal primo anno del secondo biennio).
Com'è noto, la Costituzione (art. 33) sancisce il diritto dei privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. Essa affida inoltre alla legge ordinaria il compito di fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, assicurando ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali.
Nel corso della XIII legislatura la legge 10 marzo 2000 n. 62[199];ha inteso dareattuazione all’art. 33 della Costituzione disciplinando la “parità scolastica” nell'ambito di un sistema nazionale di istruzione pubblico-privato.
Ai sensi della legge citata, le scuole private e quelle degli enti locali sono, a domanda, riconosciute come scuole paritarie ed abilitate al rilascio di titoli di studio aventi valore legale a condizione che:
· accolgano chiunque, accettando il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni con handicap o in condizioni di svantaggio;
· abbiano bilanci pubblici, locali, arredi e attrezzature idonee, organi interni improntati alla partecipazione democratica, insegnanti forniti del titolo di abilitazione all'insegnamento e assunti nel rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro;
Si ricorda che la Corte costituzionale, nella sentenza 33 del 2005 ha considerato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla regione Lombardia, nei confronti di alcune disposizioni (anche finanziarie) della legge sulla parità scolastica. In particolare, la Corte ha ritenuto che la definizione dei requisiti che le scuole debbono possedere per ottenere il riconoscimento della parità (art. 1 comma 4 della legge) rientra nell’ambito delle norme generali sull’istruzione ed è quindi esercizio della potestà legislativa statale.
La L. 62/2000 non prevede finanziamenti a sostegno delle scuole paritarie, né diretti né sotto forma di contributi alle famiglie che scelgano tali scuole; tuttavia, essa reca disposizioni per il diritto allo studio nella forma:
· di un piano straordinario di finanziamento delle regioni (250 miliardi di lire-pari a 129,1 milioni di euro- per il 2000 e 300 mld.-pari a 154,9 milioni di euro- annui dal 2001) a sostegno della spesa delle famiglie per l'istruzione, mediante l'assegnazione di borse di studio di pari importo (non differenziate, dunque, in base alla spesa sostenuta) per gli alunni delle scuole statali e paritarie;
· di un incremento degli stanziamenti annui previsti in bilancio a favore delle scuole elementari parificate (60 mld.-pari a 31 milioni di euro) e delle scuole materne non statali (280 mld. Pari a 144,6 milioni di euro);
Nel corso della XIV legislatura è stato poi previsto per la frequenza delle scuole paritarie un contributo particolare alle famiglie (c.d. “buono scuola”): la legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002, articolo 2, comma 7) ha infatti autorizzato a tal fine la spesa di 30 milioni di euro, per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2003 al 2005. L’individuazione di un limite di reddito per l’accesso al beneficio, introdotta dalla legge finanziaria 2004 (legge n 350 del 2003, art. 3, comma 94), è stata abrogata dal DL n. 35 del 2005 convertito dalla legge n 80 del 2005 (art 14, comma 8-bis).
Va ricordato infine che la legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003) ha finalizzato una quota del Fondo per le politiche sociali (per l’importo massimo di 100 milioni di euro negli esercizi 2004-2006) all’erogazione del “buono scuola”; la norma è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza n.423 del 2004 in quanto lesiva dell’autonomia finanziaria delle regioni (v. Capitolo Diritto allo studio)
La legge 62/2000 prevedeva inoltre (art. 1, co. 7) che alle scuole non statali non interessate al riconoscimento della parità si applicassero le disposizioni del T.U. dell’istruzione[200] (Parte II, titolo VIII) e che, dopo un triennio dall’entrata in vigore del provedimento, il Ministro presentasse al Parlamento una relazione sull’attuazione[201] e proponesse il definitivo superamento delle disposizioni del T.U. con un proprio decreto, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Recentemente l’articolo 1-bis, introdotto dal Governo al Senato, nel ddl di conversione del DL 5 dicembre 2005, n. 250 (convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27) ha inteso dare attuazione alle prescrizioni sopra sintetizzate.
Con riguardo all’adozione di una norma di rango primario attuare l’art.1 comma 7 della legge 62/2000, il sottosegretario Siliquini illustrando l’emendamento governativo al citato DL[202], ha ricordato che il Governo, aveva predisposto un regolamento di delegificazione[203] (ex art.17, co.2 della legge 400/1988) in ordine al quale il Consiglio di Stato aveva espresso perplessità sotto il profilo dello strumento normativo adottato; il ricorso ad una norma di rango legislativo con carattere di urgenza si sarebbe reso pertanto necessario per non prolungare l’applicazione di norme antecedenti alla citata legge n. 62.
L’articolo, 1-bis, delDL 250/2005, interviene sulla disciplina delle scuole non statali recata nella Parte II, Titolo VIII artt. 331-366 del D.Lgs 297/1994 (Testo unico in materia di istruzione), ove si regolamentano le scuole materne non statali autorizzate al funzionamento, le scuole elementari parificate e le scuole secondarie legalmente riconosciute o pareggiate[204]; in particolare le diverse tipologie di scuole previste dal T.U. vengono ricondotte alle due categorie individuate dalla legge 62/2000 e cioè: scuole paritarie riconosciute e scuole non paritarie.
L’articolo citato reca inoltre nuove prescrizioni sulle scuole paritarie; definisce le caratteristiche delle scuole non paritarie e procede alla contestuale abrogazione, o viceversa alla precisazione del campo di applicazione, di alcune norme del T.U.
Si riepilogano di seguito le tre diverse forme di equiparazione delle scuole private a quelle pubbliche previste nel titolo VIII, capi I-III,- della parte II del T.U.- ora in parte abrogato, come già segnalato sopra.
§ La parificazione(artt. 344-347 del T.U.): istituto limitato alle scuole elementari[205], caratterizzato dal riconoscimento ad ogni effetto legale dell’attività di istruzione privata. Per ottenere tale riconoscimento le scuole, che devono necessariamente essere gestite da enti o associazioni, devono stipulare una convenzione con il provveditore agli studi ed hanno l’obbligo di adottare programmi ed orari analoghi a quelli delle scuole statali;
§ Il riconoscimento legale(art. 355 del T.U.): provvedimento amministrativo con il quale il Ministero della pubblica istruzione (ora Ministero dell’Istruzione, università e ricerca - MIUR) attribuisce validità a studi ed esami sostenuti nella scuola secondaria non statale. Il riconoscimento è subordinato ad alcuni requisiti: idoneità della sede, adeguamento dei programmi di insegnamento a quelli delle scuole statali, possesso, da parte degli alunni, dei titoli di studio legali per le classi che frequentano e, da parte dei docenti, dei titoli necessari per l’insegnamento nelle scuole statali. Sono stabiliti (art. 359 del T.U.) i provvedimenti sanzionatori (sospensione o revoca del riconoscimento) da parte del direttore generale competente;e viene affidato ai provveditori agli studi[206] o al MIUR. il compito di vigilare anche tramite ispezioni, sulla permanenza dei requisiti richiesti per il riconoscimento;
§ Il pareggiamento(art. 356 del T.U.): istituto limitato a scuole secondarie tenute da enti pubblici o enti ecclesiastici, rappresenta la forma più perfetta di equiparazione alla scuola pubblica. Per ottenere il pareggiamento, oltre ai requisiti previsti per il riconoscimento legale, sono prescritte ulteriori condizioni relative al numero e il tipo di cattedre (devono essere uguali a quello delle corrispondenti scuole statali), nonché alla nomina, requisiti e trattamento economico dei docenti .
Il comma 1 dell’articolo 1 bis del dl 250/2005 in commento dispone, come già detto, che le scuole non statali di cui alla parte II, titolo VIII, capi I, II e III del d.lgs. 297/1994, siano ricondotte alle due tipologie di scuole paritarie riconosciute ai sensi della 62/2000 e scuole non paritarie.
Vengono poi dettate (commi 2 e 3) ulteriori disposizioni sulle scuole paritarie;in particolare si prevede che:
· la frequenza di queste ultime costituisca assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione, come disciplinato dal recente decreto legislativo 15 aprile 2005, n.76[207];
· il riconoscimento della parità-previo accertamento dei requisiti- sia effettuato con provvedimento del dirigente dell’ufficio scolastico regionale (anziché del ministero, come disponeva l’art.1, comma 6, della legge 62/2000);
· il riconoscimento decorra dall’anno scolastico successivo alla richiesta e sia subordinato - nel caso di istituzione di prime classi - al completamento del corso degli studi;
· le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento della parità siano definite con regolamento ministeriale, adottato ai sensi dell’articolo 17, co. 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
· le scuole paritarie non possano svolgere esami di idoneità per alunni frequentanti scuole non paritarie che dipendano dallo stesso gestore o da altro con cui il gestore abbia comunanza d’interessi.
Viene quindi identificatala nuova categoria delle scuole non paritarie e se ne disciplina il funzionamento.
Sono qualificate come non paritarie (comma 4) le scuole che svolgono un’attività organizzata di insegnamento ed hanno le seguenti caratteristiche:
· un progetto educativo ed un’ offerta formativa conformi ai principi della Costituzione ed all’ordinamento scolastico, finalizzati ad obiettivi apprendimento correlati al conseguimento di titoli di studio (fanno eccezione- come precisa il comma successivo- le scuole materne);
· la disponibilità di locali, arredi e attrezzature conformi alle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza dei locali scolastici;
· l’impiego di personale docente e di un coordinatore forniti di adeguati titoli professionali, nonché di idoneo personale tecnico e amministrativo;
· gli alunni frequentanti, in età non inferiore a quella prevista nelle scuole statali o paritarie in relazione al titolo di studio da conseguire.
Le scuole non paritarie ottemperanti alle condizioni sopra elencate (comma 5) sono incluse in apposito elenco affisso all’albo dell’ufficio scolastico regionale che è preposto alla vigilanza sulla sussistenza e sulla permanenza delle condizioni stesse. Tali adempimenti vengono disciplinati con regolamento ministeriale, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 400/1988[208].
Si esclude comunque che le scuole non paritarie rilascino titoli di studio aventi valore legale e si prescrive -nella denominazione- la chiara indicazione del carattere di scuola non paritaria..
Alle sedi ed attività d’insegnamento prive delle caratteristiche sopra elencate, quindi non rientranti nella tipologia di “scuola non paritaria”, si vieta di assumere la denominazione di “scuola”; si esclude inoltre che sia possibile assolvere in tali strutture il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione.
Viene contestualmente (comma 6) disciplinata la fase transitoria escludendo - dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del DL 250/2005 - il rilascio di nuove autorizzazioni, riconoscimenti legali o pareggiamenti, ma consentendo il completamento dei corsi già attivati sulla base di provvedimenti adottati ai sensi degli articoli 344, 355, 356 e 357 del d.lgs. 297/1994).
Si prevede inoltre la risoluzione delle convenzioni in corso con le scuole parificate non paritarie al termine dell’anno scolastico in cui si completano i corsi programmati dalle convenzioni stesse e la riduzione progressiva dei contributi statali (previsti dalle predette convenzioni) in ragione delle classi e degli alunni effettivamente frequentanti.
Si dispone peraltro che con regolamento governativo (come previsto attualmente dall’art. 345 del T.U.) siano disciplinate le modalità per la stipula delle nuove convenzioni con le scuole primarie paritarie che ne facciano richiesta, nonché i criteri per la determinazione dell'importo del contributo ed i requisiti prescritti per i gestori e per i docenti.
Con riguardo alle convenzioni si assicura prioritariamente alle scuole primarie a suo tempo parificate - divenute paritarie ai sensi della legge 62/2000- un contributo non inferiore a quello già corrisposto ai sensi delle vecchie convenzioni di parifica.
In proposito si ricorda che la sentenza della Corte costituzionale n. 423 del 2004 ha ribadito la competenza regionale delle funzioni amministrative relative ai contributi alle scuole non statali già prevista dall’articolo 138, comma 1, lettera e) del d.lgs. 112 del 1998. In tale ambito non spetta pertanto allo Stato la potestà regolamentare né sono ammessi finanziamenti caratterizzati da vincoli di destinazione.
Viene infine ( comma 7)disposta l’ abrogazione delle disposizioni contenute nella Parte II, Titolo VIII, Capi I, II e III del TU (artt.331-366), ad eccezione di alcune disposizioni che continuano ad applicarsi alle scuole paritarie.
In particolare esse attengono a:
· cittadini dell’Unione europea gestori o insegnanti nelle scuole materne private (art 336), nelle scuole primarie (art. 342, comma 2),
· sussidi alle scuole materne non statali (articoli 339- 342);
· convenzioni con scuole elementari –ora primarie-(articolo 345 T.U.);
· salvaguardia delle competenze delle regioni a statuto ordinario e speciale e delle province autonome (art. 352, comma 6);
· requisiti dei soggetti gestori dei corsi di scuola secondaria di primo grado ed oneri a loro carico (art. 353 e 358, comma 5);
· scuole dipendenti da autorità ecclesiastiche; corsi e titoli nei licei linguistici (artt. 362 e 363).
Restano inoltre vigenti gli articoli relativi a:
· scuole ed istituti stranieri in Italia (art.366l);
· servizio prestato dai docenti e dirigenti, già di ruolo nelle scuole pareggiate, assunti con rapporto a tempo indeterminato nelle scuole statali (art. 360, comma 6);
· requisito del prescritto titolo di studio per i docenti delle scuole materne che chiedano la parità (art. 334).
Infine, i requisiti prescritti per il soggetto gestore (articolo 353) sono applicati anche alle scuole non paritarie.
Sono abrogati altresì, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame, gli articoli 156-159 e 161 del R.D. 1297/1928[209], relativi alle cosidette scuole “a sgravio”, scuole elementari gestite direttamente da un ente, che, sulla base di alcuni requisiti (gratuità, idoneità delle sedi, titoli professionali dei docenti), riceve un contributo dallo Stato o dal Comune previo stipula di apposita convenzione. L’articolo 160 del citato R.D., relativo alle modalità di disdetta delle convenzione, continua ad applicarsi nei confronti delle scuole primarie paritarie.
Viene infine soppresso il più volte citato articolo 1, comma 7, secondo periodo, della legge 62/2000; recante prescrizione di un provvedimento (nella forma di decreto del ministro) che realizzasse il definitivo superamento delle disposizioni del T.U. sulle scuole non statali.
L’articolo reca infine (comma 8) una clausola di invarianza di spesa.
Si ricorda, per completezza di informazione, che le disposizioni recate dall’articolo 1-bis del DL 250/2005 sono state oggetto di vivace dibattito parlamentare; con riferimento a tale articolo è stata inoltre presentata sul ddl di conversione del DL una questione pregiudiziale[210], a firma dell’on. Grignaffini ed altri.
La questione pregiudiziale adduceva le seguenti motivazioni:
· l’1-bis, introdotto dal Senato nel provvedimento, reca norme di dettaglio sulle modalità di erogazione dei contributi alle scuole paritarie in contrasto con l'articolo 117, terzo e sesto comma, della Costituzione poiché, come confermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 423 del 29 dicembre 2004, le funzioni amministrative relative ai contributi alle scuole non statali rientrano nell'ambito della competenza regionale, essendo riconducibili alla materia dell'istruzione attribuita alla competenza legislativa concorrente e dunque spettando allo Stato soltanto la disciplina delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni;
· lo stesso articolo 1-bis, ai commi 4 e 5, nel dettare le disposizioni relative alle scuole non paritarie viene meno al principio della «presa d'atto» in vigore per le scuole secondarie private, già richiamato a suo tempo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 36 del 4 giugno 1958, interpretativa dell'articolo 33 della Costituzione;
· il comma 6 dell’art.1-bis prevede che le scuole elementari parificate possano avere un trattamento economico superiore all'attuale, con conseguente incremento dei finanziamenti statali, senza disporre alcuna copertura finanziaria, in contrasto con l'articolo 81, quarto comma, della Costituzione;
· nell’articolo 1-bis non sono menzionati i doveri nei confronti dell'utenza, si trasforma così il contributo per l'assolvimento di un servizio a determinate condizioni in un finanziamento diretto, in quanto tale ancora in contrasto con l'articolo 33 della Costituzione.
Nella seduta del 31 gennaio 2006 si è svolto nell’Assemblea della Camera dei deputati il dibattito sulla questione pregiudiziale che è stata poi respinta.
Reclutamento e stato giuridico dei docenti e dei ricercatori sono stati oggetto di un significativo intervento di riforma che è stato materia di forte contrapposizione politica. Con la legge 4 novembre 2005, n. 230[211], sono state dettate nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari ed è stata conferita una delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari, a quest’ultima si è data attuazione tramite apposito decreto legislativo, il cui esame da parte della Commissione si è concluso dopo lo scioglimento delle Camere. Particolarmente complesso e articolato è stato soprattutto l’esame parlamentare del disegno di legge governativo e delle proposte di legge di iniziativa parlamentare ad esso abbinate.
Si ricorda che il provvedimento ha avviato il proprio iter alla Camera dei deputati. Il testo su cui la Commissione Cultura ha incentrato la discussione è quello del disegno di legge, di iniziativa governativa, presentato alle Camere nel febbraio 2004, ed esaminato dalla Commissione a partire dal successivo mese di marzo. La Commissione, peraltro, aveva già da due anni avviato la discussione sull’argomento, esaminando le numerose proposte di legge, presentate da tutti i gruppi parlamentari, di riordino generale della materia o recanti interventi puntuali su questioni più specifiche, tra cui merita in particolare ricordare le numerose proposte volte all’istituzione della terza fascia dei docenti universitari, quelle relative all’inquadramento di alcune categorie di personale (tecnici laureati, professori universitari incaricati, assistenti, ricercatori e medici contrattisti), nonché quelle riguardanti il pensionamento dei professori straordinari.
Le linee principali del disegno di legge governativo possono essere così sintetizzate:
- introduzione dell’idoneità scientifica nazionale, in sostituzione del sistema di reclutamento attuale, previsto dalla legge 3 luglio 1998, n. 210[212], che aveva affidato alle università la competenza ad espletare le procedure concorsuali;
- messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori ed introduzione di un nuovo sistema di reclutamento attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa di durata quinquennale, rinnovabili fino ad un massimo di dieci anni;
- individuazione di modalità alternative di reclutamento (nomina in ruolo di studiosi di chiara fama, contratti di diritto privato a tempo determinato, istituzione temporanea di posti di professori nell’ambito di specifici programmi di ricerca sulla base di convenzioni con soggetti pubblici o privati);
- attivazione di forme di convenzionamento per realizzare programmi di ricerca affidati a professori universitari;
- eliminatazione della distinzione tra tempo pieno e tempo definito e compatibilità del rapporto di lavoro con lo svolgimento di attività professionali, di consulenza e con l’esercizio di incarichi retribuiti;
- previsione di una parte variabile del trattamento economico, legata agli ulteriori impegni di ricerca, didattica ed attività gestionale nonché ai risultati conseguiti.
Successivamente all’avvio dell’esame in aula nel febbraio 2005, su richiesta della Commissione Cultura, l’Assemblea ha deliberato in data 8 marzo 2005 il rinvio in Commissione del provvedimento al fine di un ulteriore approfondimento dello stesso. In data 9 marzo 2005 la Commissione Cultura ha ripreso l’esame adottando un testo base comprendente anche le modifiche al disegno di legge recate dagli emendamenti formalmente presentati dalla Commissione, o su cui la Commissione stessa ha espresso parere favorevole, in pendenza della discussione in Assemblea, nel corso dell'esame, svolto ai sensi dell'articolo 86, comma 3, del regolamento.
Successivamente all’adozione del nuovo testo base sono state approvate dalla Commissione di merito numerose proposte emendative che, presentavano - secondo quanto riferito dal relatore nella illustrazione del testo in aula - taluni profili problematici sotto l’aspetto della loro coerenza complessiva e della esaustività della disciplina da esse recata. Il provvedimento è stato infine approvato dall'Aula il 15 giugno con significativi emendamenti rispetto al testo votato in Commissione.
L’esame al Senato è iniziato in 7° Commissione il 22 giugno 2005. La 7a Commissione tuttavia non ha potuto concludere i propri lavori, nonostante vi abbia dedicato numerose sedute e sia stato svolto un intenso programma di audizioni, perché al momento in cui la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari ha calendarizzato il provvedimento per la discussione in Assemblea la Commissione bilancio non aveva ancora espresso il parere sul testo del disegno di legge e sugli emendamenti. La discussione in Aula è iniziata il 22 settembre ed il 28 settembre il governo ha posto la fiducia su un emendamento interamente sostitutivo del testo. La fiducia è stata quindi accordata dal Senato il 29 settembre.Il testo è stato quindi approvato in via definitiva alla Camera il 25 ottobre 2005.
In conseguenza della posizione della questione di fiducia da parte del governo, il provvedimento nella sua versione definitiva si compone di un unico articolo, composto da 25 commi.
La legge n. 230 del 2005 definisce inannzitutto (commi 1-4) i principi generali del sistema universitario, che coniuga attività didattica e attività di ricerca e si ispira ai principi di autonomia universitaria e responsabilità, nel quadro degli indirizzi fissati con decreto del Ministrodell'istruzione, dell'università e della ricerca. Sono quindi dettati i diritti ed i doveri dei professori universitari, i cui corsi di insegnamento si svolgono nel rispetto della programmazione universitaria prevista dall’articolo 1-ter del DL 31 gennaio 2005, n. 7[213],convertito in legge, con modificazioni dalla legge 31 marzo 2005 , n. 43.
L’articolo 1-ter del citato D.L. 7/2005 ha recentemente ridisciplinato la programmazione del sistema universitario, fissando la decorrenza delle nuove norme dall’anno 2006. In particolare si dispone che le università predispongano annualmente (entro il 30 giugno) piani triennali recanti indicazioni sui corsi di studio da attivare o sopprimere; sui programmi di sviluppo della ricerca scientifica; sugli interventi a favore degli studenti; sui progetti di internazionalizzazione; sul fabbisogno di personale docente e non docente.
Il governo è delegato (commi 5-6) ad emanare nuove norme in materia di reclutamento dei docenti universitari, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
· è prevista l’introduzione di procedure finalizzate al conseguimento dell’idoneità scientifica nazionale – di durata non superiore a quattro anni – bandite annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per ciascuna fascia (ordinari e associati) e per settori scientifico-disciplinari;
· il numero dei soggetti che possono conseguire tale idoneità è pari al fabbisogno delle università, incrementato di una quota non superiore al 40 per cento; in proposito il nuovo testo ha chiarito che l’idoneità non comporta diritto all’accesso alla docenza;
· i giudizi idoneativi si svolgono pressole università, che sostengono anche gli oneri relativi alle commissioni di valutazione;
· sono stabilite riserve di posti a favore di alcune categorie:
Ø nei giudizi per professore ordinario, una quota pari al 25 per cento aggiuntiva è riservata ai professori associati con un’anzianità di servizio non inferiore a quindici anni, maturata nel settore scientifico-disciplinare di riferimento; si è inoltre stabilito che, nelle prime due tornate, l’incremento del numero di soggetti che possono conseguire l’idoneità scientifica rispetto al fabbisogno è pari al 100 per cento;
Ø nelle prime quattro tornate dei giudizi per i professori associati è riservata una quota del 15 per cento aggiuntiva ai professori incaricati stabilizzati, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai ricercatori confermati che abbiano svolto almeno tre anni di insegnamento nei corsi di studio universitari. Una ulteriore quota dell’1 per cento è riservata ai tecnici laureati già ammessi con riserva alla terza tornata dei giudizi di idoneità per l’accesso al ruolo dei professori associati bandita ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n.382, e non valutati dalle commissioni esaminatrici; inoltre, in tali tornate l’incremento del numero di soggetti che possono conseguire l’idoneità scientifica rispetto al fabbisogno è pari al 100 per cento.
In tale ambito, sono comunque fatte salve le procedure di valutazione comparative già bandite alla data di entrata in vigore del decreto di attuazione della legge[214], mentre i canditati in possesso dell’idoneità la conservano per cinque anni dal conseguimento (comma 6).
La copertura dei posti da parte delle università mediante chiamata degli idonei avviene nel rispetto del limite del 90 per cento dei trasferimenti statali sul fondo per il finanziamento ordinario[215] e sulla base dei programmi triennali del fabbisogno di personale docente[216].
Sono stabilite nuove procedure di reclutamento dei ricercatori mediante contratti di lavoro a tempo determinato, anche se le procedure concorsuali previste legge 3 luglio 1998, n. 210[217]continuano ad applicarsi per la copertura dei posti di ricercatore fino al 30 settembre 2013. (comma 7); in tale ambito si dispone inoltre la valutazione di alcuni titoli preferenziali (dottorato di ricerca, assegni e contratti di ricerca, borse post-dottorato).
Con riferimento allo stato giuridico dei professori e ricercatori universitari (commi da 8 a 22) si prevede che le università disciplinino con proprio regolamento le procedure di copertura dei posti di professore ordinario e associato mediante modalità che assicurino la valutazione comparativa dei candidati.
Sono quindi definite alcune modalità alternative di reclutamento:
§ chiamata diretta di studiosi stranieri o italiani impiegati all’estero con idoneità accademica di pari livello (fino al 10% dei posti di professore ordinario e associato) ovvero chiamata di studiosi di chiara fama, subordinatamente al nulla osta del MIUR (comma 9);
§ incarichi di insegnamento gratuiti o retribuiti, anche pluriennali, sulla base di procedure disciplinate dai regolamenti universitari che assicurino la valutazione comparativa dei candidati, nei corsi di studio di cui all’articolo 3 del DM 22 ottobre 2004, n. 270[218], a soggetti italiani e stranieri, ad esclusione del personale tecnico amministrativo delle università, in possesso di adeguati requisiti scientifici e professionali e a soggetti incaricati all’interno di strutture universitarie che abbiano svolto adeguata attività di ricerca debitamente documentata, sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro, sentiti la CRUI e il CUN (comma 10);
§ istituzione temporanea, per periodi non superiori a sei anni, sulla base di convenzioni con imprese o fondazioni finalizzate a specifici programmi di ricerca e con oneri finanziari a carico dei medesimi soggetti, di posti di professore straordinario da coprire mediante conferimento di incarichi della durata massima di tre anni, rinnovabili sulla base di una nuova convenzione, a coloro che hanno conseguito l’idoneità per la fascia dei professori ordinari, ovvero a soggetti in possesso di elevata qualificazione scientifica e professionale (comma 12 );
§ rapporti di lavoro subordinato tramite contratti di diritto privato a tempo determinato di durata triennale rinnovabili per una durata complessiva di sei anni, sulla base di procedure disciplinate dai regolamenti universitari che assicurino la valutazione comparativa dei candidati (comma 14);il trattamento economico di tali contratti è rapportato a quello degli attuali ricercatori confermati (comma 14); tali contratti non sono cumulabili con gli assegni di ricerca.
Ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati che hanno svolto tre anni di insegnamento nonché ai professori incaricati stabilizzati è attribuito il titolo di professore aggregato, qualora ad essi siano affidati corsi e moduli curriculari e solo per il periodo di durata degli stessi; ai medesimi possono essere altresì affidati compiti di tutorato e di didattica integrativa (comma 11).
Il provvedimento introduce inoltre (comma 13) forme di convenzionamento con imprese o fondazioni, con oneri finanziari posti a carico delle medesime, per realizzare programmi di ricerca affidati a professori universitari, con la possibilità di prevedere compensi aggiuntivi per questi ultimi.
Il trattamento economico dei professori universitari è articolato secondo il regime prescelto a tempo pieno (con un minimo di 350 ore annuali di didattica, di cui 120 di didattica frontale) ovvero a tempo definito (250 ore annuali di didattica, di cui 80 di didattica frontale). Ai professori a tempo pieno è attribuita una eventuale retribuzione aggiuntiva in relazione agli impegni ulteriori di attività di ricerca, didattica e gestionale, oggetto di specifico incarico, nonché in relazione ai risultati conseguiti, secondo i criteri definiti con decreto del Ministro, sentiti il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per la funzione pubblica (comma 16).
Il collocamento a riposo è stabilito, per i soli professori nominati ai sensi del ddl in esame, al termine dell’anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età e viene abolito il collocamento fuori ruolo per limiti di età.
Il provvedimento reca inoltre alcune norme specifiche a tutela dei professori di materie cliniche e del personale medico universitario: riconoscimento delle funzioni assistenziali, inscindibili da quelle di insegnamento e di ricerca, mantenimento dei trattamenti economici aggiuntivi previsti dalle disposizioni vigenti, mantenimento delle funzioni assistenziali e primariali fino al settantesimo anno di età (commi 2, 16 e 18).
La definizione delle modalità per favorire l’ingresso in Italia dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea chiamati a ricoprire posti di professore è rimessaad un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, adottato di concerto con i Ministri dell’interno, degli affari esteri e del lavoro e delle politiche sociali (comma 21).
In attuazione di tal legge è stato emanato il d.lgs. 6 aprile 2006, n. 164, recante Riordino della disciplina sul reclutamento dei professori universitari.
Il provvedimento, ricalcando sostanzialmente quanto previsto dalla legge delega,disciplina l’idoneità scientifica nazionale, la cui durata è stabilita in quattro anni. Le procedure concorsuali sono bandite, entro il 30 giugno di ciascun anno, con decreto del Ministro per ciascun settore e distintamente per le fasce dei professori ordinari e associati e sono volte ad accertare il possesso della piena maturità scientifica per la fascia dei professori ordinari e della maturità scientifica per la fascia dei professori associati. E’ ribadito che l’idoneità non comporta il diritto all’accesso al ruolo dei professori universitari.
Il numero massimo di soggetti che in ciascuna tornata possono conseguire l’idoneità scientifica nazionale per ciascuna fascia e per ciascun settore è, conformemente ai principi stabiliti dalla norma di delega, pari al numero di posti da coprire indicato dalle università - entro il 31 marzo di ogni anno - incrementato di una quota non superiore al quaranta per cento, definita dal Ministro nel bando di concorso, previa consultazione della CRUI e del CUN.
Ai fini della formazione delle commissioni di valutazione, è prevista la costituzione, per ciascun settore e per ciascuna fascia, di una lista di commissari nazionali, scelti mediante elezioni indette con decreto del Ministro. L’elettorato attivo e passivo è attribuito al corpo docente appartenente al settore per cui si procede. Le commissioni sono composte da cinque componenti sorteggiati secondo modalità telematiche dalle corrispondenti liste di commissari nazionali. I componenti delle commissioni della prima tornata di giudizi sono esclusi dal sorteggio per la seconda tornata di giudizi del biennio.
Le università sono individuate quali sedi in cui si svolgono le procedure per il conseguimento dell’idoneità scientifica; a tal fine il Ministero definisce, su proposta della CRUI, una lista di università aventi strutture idonee, che viene aggiornata ogni tre anni. Dei relativi oneri, posti a carico degli atenei ove si espletano i giudizi idoneativi, si tiene conto nella ripartizione del fondo di finanziamento ordinario.
I lavori delle commissioni devono essere conclusi entro sei mesi dalla pubblicazione del decreto di nomina (prorogabili, per una sola volta, di due mesi). Per la valutazione comparativa dei candidati, oltre ad un riferimento a parametri riconosciuti in ambito nazionale ed internazionale, sono elencati alcuni criteri specifici: (l’originalità e innovatività della produzione scientifica; l’apporto individuale del candidato; la direzione e il coordinamento di gruppi di ricerca; la congruenza dell’attività del candidato con le discipline ricomprese nel settore di riferimento; la rilevanza scientifica della collocazione editoriale delle pubblicazioni; la continuità temporale della produzione scientifica; l’entità e le caratteristiche degli impegni didattici assolti; l’entità e le caratteristiche delle attività svolte in campo clinico-assistenziale e in ogni altro ambito professionale e di lavoro in cui le connesse esperienze e competenze siano esplicitamente richieste o comunque integrino il profilo complessivo del candidato).
Conformemente a quanto previsto dalla norma di delega viene posto un limite di ammissibilità ai giudizi per coloro che non hanno conseguito l’idoneità nelle precedenti tre procedure.
La disciplina delle procedure selettive per la copertura dei posti di professore ordinario e associato, per le quali deve comunque essere assicurata la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti, è rimessa ai regolamenti universitari. Sono inoltre rimesse ai regolamenti universitari le procedure per la chiamata diretta di studiosi stranieri, o italiani impegnati all'estero ovvero di studiosi di chiara fama, nonché per i trasferimenti e per le chiamate degli idonei ai sensi della normativa previgente.
Sono, infine, recepite, senza sostanziali modifiche, le disposizioni transitorie già previste dalla legge delega riguardanti riserve di posti a favore di alcune categorie.
Il principio di autonomia universitaria è stato fissato dall’art. 33 della Costituzione, ove è stabilito che “le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dal leggi dello Stato”. A tale disposto ha dato attuazione la legge 9 maggio 1989, n. 168[219] (istitutiva del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica), che definisce (art. 6) i profili dell’autonomia, nonché i contenuti essenziali e le modalità di emanazione degli statuti (art. 16), la cui deliberazione è affidata al Senato accademico integrato. Tale articolo ha espressamente escluso lo stato giuridico del personale dalla sfera dell’autonomia statutaria, che rimane riservatoalla normativa statale.
L'art. 17, co. 95, della L. 127/1997 (così detta “Bassanini 2”[220]) ha demandato ad uno o più decreti del ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica[221] (previo concerto degli altri ministri interessati, se richiesto dalla normativa vigente) la definizionedi nuove tipologie dei titoli di studio universitari in sostituzione o in aggiunta a quelli esistenti (L. 341/1990, art. 1: diploma universitario, diploma di laurea, diploma di specializzazione[222]); il loro accorpamento per aree omogenee nonché l'indicazione della durata e dell'eventuale serialità dei corsi e degli obiettivi formativi qualificanti. La stessa norma ha affidato poi ai regolamenti didattici di ateneo la concreta definizione dei percorsi universitari, entro margini di autonomia delimitati dai citati provvedimenti ministeriali. Con ciò si sono poste le basi per una radicale riforma degli ordinamenti didattici universitari, riconoscendo ai singoli atenei l'autonomia nella definizione dei percorsi formativi
Tra gli scopi della riforma vi era quello di avvicinare il sistema italiano di istruzione superiore al modello europeo delineato dalle dichiarazioni europee della Sorbona e di Bologna[223]. Tali accordi si proponevano di costruire, entro il primo decennio del 2000, uno spazio europeo dell'istruzione superiore, articolato essenzialmente su due cicli o livelli principali di studio, finalizzato a realizzare la mobilità internazionale degli studenti e la libera circolazione dei professionisti ed a favorire il riconoscimento internazionale dei titoli di studio.
In attuazione di tale norma è stato adottato il regolamento approvato con D.M. 509/1999[224], recante norme sull’autonomia didattica degli atenei, recentementesostituito dalD.M. 270/2004: quest’ultimo ha l’obiettivo[225] di “correggere talune anomalie” e di “conferire al sistema maggiore funzionalità e flessibilità”, “senza compromettere l’architettura di sistema riassumibile nella formula del cosiddetto “3 + 2”.
Il regolamento definisce i punti cardine della riforma dettando i criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari e determinando la nuova articolazione dei corsi e dei titoli di studio in conformità con gli standard condivisi dai Paesi dell’Unione europea:
- la laurea, triennale, finalizzata ad assicurare allo studente un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, nonché l'acquisizione di specifiche conoscenze professionali; nell’ambito della medesima classe di laurea, il DM 270/2004 ha introdotto un percorso di base comune per gli studenti del primo anno di ciascuna classe delle lauree cui farà seguito un percorso metodologico o in alternativa professionalizzante, finalizzato all’inserimento nel mondo del lavoro ed all’esercizio delle attività professionali regolamentate;
- la laurea magistrale finalizzata ad una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici; il titolo è conseguibile dopo la laurea (o il diploma universitario triennale) attraverso l’acquisizione di 120 crediti formativi, e comunque previo accertamento del possesso di specifici requisiti curricolari determinati autonomamente dagli atenei (art.6 del DM 270/2004);
- la specializzazione, nei soli casi in cui la prevedano specifiche disposizioni legislative o in applicazione di direttive dell'Unione europea;
- il dottorato di ricerca, già riordinato ad opera dell'art. 4 della L. 210/1998 e del regolamento attuativo[226], che hanno accentuato l'autonomia degli atenei nell'istituzione dei corsi (attivabili anche in convenzione con qualificati soggetti pubblici e privati) e sostituito al taglio prevalentemente accademico che caratterizzava il titolo un orientamento verso la “ricerca di alta qualificazione”, da svolgere anche in ambito non universitario[227];
- il master universitario, annuale di I e II livello, interamente affidato all'autonomia degli atenei, caratterizzato dall'offerta di formazione aggiuntiva e di aggiornamento professionale.
Lo stesso provvedimento (Dm 509/1999, ora sostituito dal DM 270/2004), al fine di consentire una maggior mobilità internazionale degli studenti, ha definito il concetto di crediti formativi universitari (art.5). Essi misurano l’impegno complessivo richiesto allo studente, comprensivo dello studio individuale ma anche della partecipazione alle lezioni, alle esercitazioni, a tirocini e ad attività di orientamento. A ciascun credito corrispondono di norma 25 ore di lavoro[228]. Il lavoro di un anno corrisponde convenzionalmente a 60 crediti. Per conseguire la laurea occorrono 180 crediti; per la laurea magistrale, come già segnalato, 120.
Il regolamento, adottato con D.M. 509/1999 ora sostituito dal DM 270/2004, detta peraltro i soli criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari, e rinvia(art.10):
· a successivi decreti ministeriali[229], la prescrizione di indicazioni più puntuali (vedi infra) sugli ordinamenti didattici dei corsi di laurea e di laurea magistrale;
· ai regolamenti didattici degli atenei, emanati nel rispetto delle previsioni e dei vincoli dei decreti sopra citati, la concreta determinazione degli ordinamenti didattici e dell’organizzazione generale dell’attività didattica (art.10).
Ai sensi del DM 270/2004, che ha modificato per questo specifico profilo il DM 509/1999, i decreti ministeriali individuano per ogni classe di corsi di laurea, gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili (afferenti a uno o più ambiti disciplinari e a loro volta distinte in attività di base e caratterizzanti la classe) e determinano il numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici di ateneo dovranno riservare a tali attività: il vincolo per i corsi di laurea è costituito dal 50 per cento dei crediti relativi ad attività formative di base e caratterizzanti (art. 10, comma 2, del DM 270); per i corsi di laurea magistrale dal 40 per cento dei crediti relativi ad attività caratterizzanti la classe (art. 10, comma 4, del DM 270)[230].
Unitamente alle due tipologie sopra citate i corsi di studio dovranno prevedere:
· attività formative autonomamente scelte dallo studente, comunque coerenti con il progetto formativo;
· attività formative in uno o più ambiti disciplinari affini o integrativi a quelli di base e caratterizzanti;
· attività relative alla preparazione della prova finale per il conseguimento del titolo di studio e, con riferimento alla laurea, alla verifica della conoscenza di almeno una lingua straniera oltre l'italiano;
· attività formative volte ad acquisire ulteriori conoscenze linguistiche, abilità informatiche e telematiche, relazionali, volte ad agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta del settore lavorativo di riferimento tra cui, in particolare, i tirocini formativi e di orientamento di cui al D.M. 25 marzo 1998, n. 142, del Ministero del lavoro o eventualmente stages e ai tirocini formativi presso imprese, amministrazioni pubbliche, enti pubblici o, ordini e collegi professionali, sulla base di apposite convenzioni.
I corsi di studio dello stesso livello, comunque denominati dagli atenei, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative sono raggruppati in classi di appartenenza. I titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale, e sono corredati (innovazione introdotta dal DM 270/2004) dal supplemento di diploma (di laurea) contenente le indicazioni relative al curriculum di ciascuno studente[231]. E’ inoltre prevista la possibilità, ai soli fini dell'accesso a specifiche posizioni funzionali del pubblico impiego, di dichiarare equipollenze fra titoli accademici dello stesso livello afferenti a più classi (art. 4 ).
L’istituzione dei corsi di studio è rimessa (come già segnalato) ai regolamenti didattici di ateneo – i cui contenuti principali sono indicati dal decreto - ed alle disposizioni vigenti sulla programmazione del sistema universitario, subordinatamente al rispetto di requisiti strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti dei corsi determinati con decreto del Ministro, previa relazione favorevole del Nucleo di valutazione dell’università. Viene inoltre introdotto l’obbligo di inserire i nuovi corsi nella banca dati dell’offerta formativa del Ministero, sulla base di criteri stabiliti con apposito decreto ministeriale.
In attuazione al DM 509/1999, con successivi decreti ministeriali sono state individuate le classi dei corsi di laurea e di laurea specialistica ora ridefiniti a seguito delle modifiche introdotte dal DM 270/2004.
Con D.M. 4 agosto 2000 sono state determinate in 42 le classi delle lauree universitarie (di primo livello) di durata triennale[232]; per ciascuna sono elencati, in altrettanti allegati al provvedimento, gli obiettivi formativi qualificanti e gli ambiti disciplinari entro i quali vanno individuate le attività formative indispensabili.
Con D.M. 28 novembre 2000 sono poi state determinate in 104 le classi di appartenenza alle quali devono afferire i corsi di laurea specialistica (ora laurea magistrale) caratterizzati dagli stessi obiettivi formativi (conoscenze/abilità da conseguire) e conseguentemente da identiche attività formative indispensabili. Anche in questo caso vengono specificati obiettivi formativi qualificanti ed ambiti disciplinari entro i quali vanno individuate le suddette attività.
All’interno della cornice sopra descritta i regolamenti di ateneo possono stabilire articolazione e denominazione del corso di laurea, da realizzarsi in una facoltà o con il concorso di più facoltà; il titolo rilasciato alla conclusione degli studi indicherà la classe di appartenenza e la specifica denominazione del corso.
Il D.M. 28 novembre 2000 dispone infatti (art. 2) che i corsi di laurea specialistica possano realizzarsi con il concorso di più facoltà; fa riferimento alla collaborazione di più atenei, presumibilmente anche stranieri (richiamando l’art.3, co. 9, del D.M. 509/1999); per i corsi di laurea (art. 2 del DM 4 agosto 2000), sembra prevista invece solo l’eventuale collaborazione di varie facoltà della stessa università.
Con Decreti del ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica del 2 aprile 2001, il primo dei quali adottato di concerto con il ministro della sanità, sono stati definite le classi dei corsi di laurea e di laurea specialistica (ora “magistrale”) per le professioni sanitarie.
Si tratta in particolare di quattro classi delle lauree ed altrettante classi delle lauree specialistiche:
1 professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica;
2 professioni sanitarie della riabilitazione;
3 professioni sanitarie tecniche;
4 professioni sanitarie della prevenzione.
Ai sensi dei due DM citati, i corsi sono attivati dalle Facoltà di medicina e la formazione si svolge presso le aziende ospedaliere, aziende ospedaliero-universitarie, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, altre strutture del Servizio sanitario ed istituzioni private accreditate (a norma del DM 24 settembre 1997[233]).
Il D.M. 12 aprile 2001, risultante dal concerto del ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica con il ministro della difesa, ha poi individuato una classe di laurea ed una di laurea specialistica per il settore delle scienze della difesa e della sicurezza, finalizzati alla formazione di ufficiali delle forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
Per la definizione degli ordinamenti didattici dei corsi gli atenei, nel rispetto delle prescrizioni recate dal DM in materia di obiettivi ed attività formative, attiveranno apposite convenzioni con Accademie ed istituti militari di istruzione superiore..
Come già accennato sopra, in relazione alla riforma dei criteri generali per gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea disposta con il DM 270/2004, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha istituito con DM 11 ottobre 2004 una serie di Tavoli tecnici (composti dai presidenti delle conferenze dei presidi delle facoltà interessate e dai presidenti degli ordini professionali) per la revisione delle classi delle lauree e della lauree specialistiche ora “magistrali”; nonché per l’elaborazione di modifiche ed aggiornamenti degli obiettivi e delle attività formative qualificanti dei corsi di studio (secondo quanto previsto, in particolare dall’art.10 del DM270/2004).
Una prima attuazione alle innovazioni introdotte dal DM 270/2004 è stata la definizione di una classe di laurea magistrale a ciclo unico per le professioni legali (Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca Decreto 25 novembre 2005[234]).
Il DM 270/2004 ha previsto infatti (articolo 6, comma 3) una deroga al modello 3+2 per i corsi di studio finalizzati all’accesso alle professioni legali, per i quali è possibile istituire una classe di laurea magistrale con percorso unitario, fermo restando il periodo formativo iniziale comune[235].
In attuazione di tale disposizione, il citato decreto 25 novembre 2005 ha istituito la classe delle lauree magistrali in giurisprudenza, con un percorso unitario quadriennale, successivo all’anno di base, indirizzato alle competenze proprie delle professioni legali[236].
Un'altra importante modifica ai percorsi universitari discende dalla nuova disciplina della formazione iniziale degli insegnanti recata dal D.Lgs. 227/2005[237], emanato ai sensi dell’articolo 5 della legge 28 marzo 2003, n. 53: Il D.Lgs dispone infatti (articolo 2) che la formazione iniziale, si svolga presso appositi corsi di laurea magistrale[238] e corsi accademici di secondo livello istituiti, rispettivamente, dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica (A.F.A.M[239]).
Il provvedimento demanda ad uno o più decreti il Ministro dell’istruzione[240] l’individuazione delle classi dei corsi di laurea magistrale, del profilo formativo e professionale del docente, delle attività didattiche e di tirocinio, nonché dei relativi crediti.Analoghi decreti determineranno i percorsi formativi di secondo livello da attivare presso le istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica.
I corsi saranno poi istituiti dalle università e dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica sulla base di criteri, procedure e requisiti minimi strutturali stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione.
Infine, la Commissione Cultura, il 1° marzo 2006, ha espresso parere favorevole sugli schemi di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, recanti:
· la definizione delle classi di laurea;
· la definizione delle classi di laurea magistrale, precedentemente denominata laurea specialistica;
· la definizione delle classi delle lauree magistrali sanitarie;
· la definizione delle classi di laurea in scienze criminologiche e della sicurezza e di laurea magistrale in scienze criminologiche applicate all’investigazione e alla sicurezza.
I provvedimenti in corso di emanazione prevedono l’avvio dei nuovi corsi - i cui ordinamenti didattici sono disciplinati dai regolamenti didattici di ateneo - è partire dall’anno accademico 2006/2007 e non oltre l’anno accademico 2007/2008.
Tra le innovazioni introdotte dagli schemi di DM trasmessi alle Camere per il parere si segnala l’integrale riconoscimento dei crediti acquisiti dagli studenti in caso di trasferimento di questi ultimi da un corso di laurea ad un altro afferenti la medesima classe.
Al fine di evitare la parcellizzazione dei crediti, si stabilisce inoltre che le università garantiscano a ciascun insegnamento un congruo numero di crediti formativi e che per ciascun anno sia previsto un numero di esami non superiore a dieci a ognuno dei quali sono attribuiti almeno sei crediti.
E’ riconosciuta inoltre alle università la facoltà di attribuire fino a sessanta crediti formativi per le conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché per altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello postsecondario alla cui progettazione e realizzazione l'università abbia concorso (secondo quanto già previsto dall’articolo 5, comma 7 del DM n. 270/2004).
Entrambi i provvedimenti contengono una norma transitoria che consente la conclusione dei corsi di studio e il rilascio dei relativi titoli secondo gli ordinamenti didattici previgenti nonché la facoltà, per gli studenti iscritti a detti corsi, di optare per i corsi di laurea afferenti alle nuove classi.
L’allegato allo schema di decreto recante la definizione delle classi di laurea contiene la numerazione e la denominazione di 44 classi di laurea (a differenza delle 41 classi definite dal precedente DM 4 agosto 2000), per ciascuna delle quali sono indicate, oltre agli obiettivi formativi qualificanti, le attività formative indispensabili (di base e caratterizzanti).
Si segnala che il DM del 2000 (in attuazione a quanto disposto dal DM 509/1999) individuava le attività formative, suddividendole in sei tipologie: le prime tre attinenti alla formazione di base, alla formazione caratterizzante e agli ambiti disciplinari affini o integrativi; le altre tre aventi carattere di complementarietà.
Per ciascuna classe di corsi è determinato il numero minimo di crediti che gli ordinamenti devono riservare alle sole attività formative di base e caratterizzanti in misura non superiore al cinquanta per cento dei crediti necessari per conseguire il titolo di studio (secondo quanto stabilito dall’articolo 10, comma 2 del DM n. 270/2004, che ha ridotto il numero dei crediti vincolabili a livello nazionale con il DM in commento)[241].
Le classi di laurea sono rimaste sostanzialmente invariate. Si segnalano in particolare le seguenti modifiche:
· non è più presente la classe L 31 - Scienze giuridiche, in considerazione dell’istituzione di una classe delle lauree magistrali in giurisprudenza con un percorso unitario quadriennale (LMG/01, ai sensi del DM 25 novembre 2005);
· la classe L 4 - Disciplina dell’architettura, dell’ingegneria civile e del disegno industriale è stata divisa in tre classi: L 4 - Disegno industriale, L 17 - Scienze dell’architettura e L 23 - Scienze e tecniche dell’edilizia;
· la classe L 20 - Scienze e tecnologie agrarie, agroalimentari e forestali è divisa in due classi: L 25 - Scienze e tecnologie agrarie e forestali e L 26 – Scienze e tecnologie alimentari;
· accanto alla classe L 24 - Scienze psicologiche (ex L 34), è stata istituita la classe L 43 - Tecniche psicologiche.
L’allegato allo schema di decreto recante la definizione delle classi di laurea magistrale contiene la numerazione e la denominazione di 94 classi di laurea (a differenza delle 104 classi definite dal precedente DM 28 novembre 2000), per ciascuna delle quali sono indicate, oltre agli obiettivi formativi qualificanti, solo le attività formative caratterizzanti.
Per ciascuna classe di corsi è determinato il numero minimo di crediti che gli ordinamenti riservano a queste ultime in misura non superiore al quaranta per cento dei crediti necessari per conseguire il titolo di studio (secondo quanto stabilito dall’articolo 10, comma 4 del DM n. 270/2004, che anche per le lauree magistrali ha ridotto il numero dei crediti vincolabili a livello nazionale con il DM in commento).
Le classi di laurea sono rimaste sostanzialmente invariate. Si segnalano in particolare le seguenti modifiche:
· nella classe LM 11 – Conservazione e restauro dei beni culturali sono confluite le classi 11/S Conservazione dei beni scientifici e della civiltà industriale e 12/S Conservazione e restauro del patrimonio storico-artistico;
· nella classe LM 14 – Filologia moderna sembra essere confluita anche la classe 40/S – Lingua e cultura italiana;
· sono state espunte la classe 22/S – Giurisprudenza e la 102/S Teorie e tecniche della normazione e dell’informazione giuridica, in considerazione dell’istituzione di una classe delle lauree magistrali in giurisprudenza con un percorso unitario quadriennale (LMG/01, ai sensi del DM 25 novembre 2005);
· sono state istituite le classi LM 24 – Ingegneria dei sistemi edilizi e LM – 26 Ingegneria della sicurezza;
· la classe LM 38 – Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione internazionale e la classe LM 94 – Traduzione specialistica e interpretariato hanno sostituito le classi 39/S – Interpretariato di conferenza e 104/S Traduzione letteraria e traduzione tecnico-scientifica;
· è istituita la classe LM 66 – Sicurezza informatica;
· le classi relative alla filosofia (17/S e 18/S) sono confluite nell’unica classe LM 78;
· le classi relative alle scienze storiche (93/S, 94/S,97/Se 98/S) sono confluite in un’unica classe LM 84 – Scienze storiche;
· è istituita la classe LM 93 – Teorie e metodologie dell’e-learning e della media education.
Lo schema di decreto ministeriale recante disciplina degli gli ordinamenti dei corsi di studio delle classi delle lauree magistrali sanitarie prevede l’avvio dei nuovi corsi - i cui ordinamenti didattici sono disciplinati dai regolamenti didattici di ateneo[242] a partire dall’anno accademico 2007/2008 (a differenza degli altri due schemi di decreto, non è previsto un avvio fin dall’anno accademico 2006/2007).
Al riguardo si segnala che la legge n. 43 del 1° febbraio 2006 ha recentemente riformato le professioni sanitarie. Tale provvedimento, in particolare, prefigura nuovi percorsi formativi, che andranno a sostituire (o a modificare) quelli attualmente disciplinati dai decreti del ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica del 2 aprile 2001).
Il provvedimento dispone che i corsi delle lauree magistrali sanitarie – ed in particolare quelli finalizzati alla formazione delle figure nell’ambito dell’educazione professionale (classe 2/M) e della prevenzione nell’ambiente dei di lavoro (classe 4/M) - siano istituiti e attivati dalle facoltà di Medicina e Chirurgia, anche con il concorso di altre facoltà, sulla base dei regolamenti didattici di ateneo che ne disciplinano il funzionamento.
Analogamente a quanto già previsto dal DM 2 aprile 2001, la formazione avviene nelle Aziende ospedaliero-universitarie o ospedaliere, negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico ovvero presso altre strutture del Servizio sanitario nazionale e istituzioni private accreditate, mediante la stipula di appositi protocolli di intesa tra le regioni e università.
I regolamenti didattici dei corsi di studio determinano l’elenco degli insegnamenti e delle altre attività formative secondo quanto stabilito dall’articolo 12, comma 2 del più volte citato DM n. 270/2004 ed individuano i requisiti curricolari per l’ammissione a ciascun corso, mentre le modalità di verifica della preparazione dei candidati ai fini dell’ammissione ai corsi sono determinate dai regolamenti didattici di ateneo. Il regolamenti didattici di ateneo stabiliscono, inoltre, il numero dei crediti da assegnare agli ambiti disciplinari per i quali quest’ultimo non sia specificato nell’allegato allo schema di decreto.
L’allegato allo schema di decreto contiene la numerazione e la denominazione di 4 classi di laurea magistrale (sostanzialmente corrispondenti alle classi già previste dal DM del 2001), per ciascuna delle quali sono indicate, oltre agli obiettivi formativi qualificanti, le attività formative caratterizzanti.
Infine, lo schema di decreto ministeriale relativo alle classi di laurea in scienze criminologiche e della sicurezza e di laurea magistrale in scienze criminologiche applicate all’investigazione e alla sicurezza istituisce i due percorsi sopra citati finalizzandoli alla formazione degli esperti in criminologia applicata all’investigazione nonché degli appartenenti alla Polizia di Stato, alla Polizia penitenziaria, al Corpo forestale dello Stato.
Il D.L. n. 107 del 2002, convertito dalla legge n. 234 del 2002, hadettato disposizioni per l’accesso a talune professioni, adeguando in particolare, a fronte del processo di attuazione della riforma degli ordinamenti didattici universitari, le modalità di svolgimento degli esami di Stato per l’accesso a talune professioni regolamentate (dottore agronomo e dottore forestale, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, ingegnere e psicologo), nonché l’iscrizione ai relativi albi al percorso di studi universitari effettivamente svolto, a garanzia dei possessori di titoli universitari conseguiti anteriormente alla riforma degli ordinamenti didattici.
La legge n. 25 gennaio 2006, n. 29, (legge comunitaria 2005) ha poi introdotto alcune norme in materia di riconoscimento dei titoli e delle qualifiche professionali. E’ previsto il recepimento della recente direttiva 2005/36 sulle qualifiche professionali, che consolida in un unico testo e semplifica le direttive settoriali relative a varie professioni, le direttive relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali, la direttiva 1999/42/CE che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche. In particolare la norma dispone che, se l'esercizio delle attività elencate negli allegati è subordinato al possesso di determinate competenze, ogni Stato membro riconosce come prova sufficiente di queste ultime l’esercizio dell’attività considerata in qualunque altro Stato dell’Unione europea.
La legge comunitaria attribuisce inoltre (articolo 12) all’ente promotore di qualunque tipo di procedimento, che richieda per l’accesso titoli di studio o lavorativi, l’onere di valutare la corrispondenza tra i titoli necessari e quelli acquisiti dagli interessati in altri Stati dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo o nella confederazione Elvetica. Viene infine disciplinato (articolo 13) il riconoscimento dei titoli di studio di istruzione di primo e di secondo grado conseguiti da cittadini comunitari o di Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo o della Confederazione Elvetica, dettando la procedura per la dichiarazione di equipollenza di un titolo di studio conseguito nelle scuole straniere corrispondenti alle scuole italiane elementare e media o istituti italiani di istruzione secondaria superiore o di istruzione professionale.
Nel corso della XIV legislatura gli stanziamenti attribuiti al Ministero per i beni e le attività culturali con le leggi di bilancio si sono mantenuti costanti, in una cifra compresa tra i 2,1 e i 2,2 miliardi di euro, fino al 2005, per poi subire una sensibile riduzione (340,7 milioni di euro, pari al 15,5%) con l’ultima legge di bilancio.
In particolare l’ultima legge finanziaria ha sensibilmente ridotto l’ammontare del FUS (Fondo unico per lo spettacolo) che, con una dotazione di 377,3 milioni di euro, ha subito una riduzione di 87,3 milioni di euro rispetto al 2005 e di 122,7 milioni di euro rispetto al 2004, e del Fondo unico investimenti[243], passato da 316,6 a 188,7 milioni di euro, con un decremento quindi di quasi 128 milioni di euro.
Accanto a tale riduzione del bilancio del Ministero occorre evidenziare una diversa allocazione della spesa che ha riguardato anche le norme e le procedure con cui si è provveduto alle singole autorizzazioni di spesa.
In tal senso, un primo intervento ha riguardato la modalità di finanziamento degli interventi culturali - che sono stati qualificati come investimenti (mediante il legame con gli stanziamenti per le infrastrutture) - attraverso l’istituzione di una società per azioni volta al sostegno e alla promozione tecnica e finanziaria nei settori dei beni e delle attività culturali, dello spettacolo, del cinema e dello sport).
L’art. 2 della legge 291 del 2003 (sostituendo l’art.10 delle legge n. 352 del 1997[244], con cui era stata istituita la SIBEC[245]), ha autorizzato il Ministro per i beni e le attività culturali alla costituzione di una società per azioni, denominata “Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo” (ARCUS Spa), preposta alla promozione ed al sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di interventi per la conservazione e la tutela dei beni culturali nonché di iniziative a favore delle attività culturali e dello spettacolo. L’articolo citato ha dettato inoltre disposizioni relative alla costituenda società; in particolare, per quanto qui interessa, ha stabilito che per l’esercizio delle proprie funzioni la società potesse, nei limiti delle quote già preordinate come limiti d’impegno, contrarre mutui a valere sulle risorse da individuare ai sensi dell’art. 60, co. 4, della legge finanziaria 2003, che ha riservato il 3 per cento degli stanziamenti per le infrastrutture (elevato al 5 per cento dal DL n. 7 del 2005) alla spesa per la tutela e per gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali, secondo modalità e criteri da definire mediante norme regolamentari[246].
Nelle more dell’approvazione di tali norme attuative, il D.L. 72/2004 ha demandato ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per i beni e le attività culturali, l’individuazione dei limiti di impegno fissati dalla legge n.166/2002[247] per gli esercizi finanziari 2003 e 2004 sui quali effettuare il computo della quota del 3%[248]. Il DL n. 72/2004 ha inoltre demandato ad decreto del Ministro per i beni e le attività culturali di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la definzione di un programma degli interventi eventualmente comprensivo di iniziative a favore delle attività culturali e dello spettacolo, mentre l’individuazione dei criteri e delle modalità per la realizzazione dei medesimi è affidata ad una convenzione da stipulare tra la ARCUS ed i Ministeri per i beni e le attività culturali e delle infrastrutture e dei trasporti. Il Programma degli interventi per gli anni 2005 e 2006 è stato approvato con il decreto interministeriale 20 luglio 2005. Nello stesso programma si legge che le quote dei limiti di impegno da destinare alla spesa per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali “sono determinate in 5,444 milioni di euro per l’anno 2005 ed in 7,235 milioni di euro per il 2006” e che “il totale attivabile per gli anni 2005 e 2006 è stimabile, pertanto, in 140,478 milioni di euro”. Le modalità di applicazione sopra descritte sono state quindi prorogate per l’anno 2005 dal DL 31 gennaio 2005, n. 7 e per l'anno 2006 dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273.
Riguardo alle disposizioni recanti finanziamenti specifici per la tutela e valorizzazione di beni e attività culturali, si segnala che nella prima parte della legislatura tali finanziamenti sono stati disposti con provvedimenti di carattere legislativo:
Ø la legge 8 novembre 2002, n. 264 ha stanziato complessivamente 14,5 milioni di euro per il 2002 e 16,6 per il 2003 e 2004 a favore di interventi per i beni e le attività culturali e lo sport (finanziamento a sostegno di teatri, musei, monumenti, archivi, chiese, , finanziamento dei campionati mondiali di ciclocross ed altre attività culturali, interventi in favore delle ville palladiane e delle ville venete, censimento dei beni archeologici sommersi nei fondali marini, contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi);
Ø la citata legge 16 ottobre 2003, n. 291 (che ha istituito ARCUS) ha previsto un’autorizzazione di spesa di 53,2 mil. di euro per il 2003, 48,7 euro per il 2004 e 51,6 per il 2005 per interventi nel settore dei beni e delle attività culturali (realizzazione e manutenzione di musei, interventi su archivi e biblioteche pubbliche nonché a favore delle ville vesuviane e delle ville venete, restauro e manutenzione di centri storici, mura, singoli palazzi, chiese, teatri);
Ø alcune leggi hanno riguardato gli interventi a favore di Genova capitale europea della cultura 2004 (legge 28 dicembre 2001, n. 448, legge 1 agosto 2002, n. 166, legge 8 novembre 2002, n. 264 legge 27 dicembre 2002, n. 289, DL 30 dicembre 2005, n. 273, convertito con legge 23 febbraio 2006, n. 51);
Ø la legge 30 dicembre 2004, n. 311 ha autorizzato la spesa di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 per le celebrazioni di Cristoforo Colombo curate dall’apposito Comitato nazionale istituito presso la Presidenza del Consiglio;
Ø la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) ha istituito un fondo per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali nello stato di previsione del Ministero e le attività dei beni culturali ed ha attribuito contributi pluriennali per investimenti infrastrutturali a favore di interventi per il restauro e la sicurezza di musei, archivi e biblioteche di interesse storico, artistico e culturale per un importo di 4 milioni di euro per quindici anni, nonché degli interventi di restauro della Domus Aurea;
Ø il D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, (convertito dalla legge n. 51/2006) ha previsto (Art. 39 vicies- septies)interventi per il patrimonio culturale da realizzarsi attraverso il reperimento delle seguenti risorse: riutilizzazione delle somme assegnate alla soprintendenza di Pompei e non impegnate da destinare a interventi su beni culturali immediatamente cantierabili; riassegnazione di somme dello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali, destinate ad investimenti e non impegnate, all’attuazione di interventi sul patrimonio e sui musei “immediatamente cantierabili;
Ø il D.L 10 gennaio 2006, n.4 aveva stanziato 10 milioni di euro per il “Centro per la documentazione e valorizzazione delle arti contemporanee”. Tale misura è stata poi soppressa alla Camera in sede di conversione (legge 9 marzo 2006, n.80) ma è in seguito confluita nel DL 6 marzo 2006 n 68, convertito dalla legge 24 marzo 2006, n. 127 (art. 4).
Si ricorda che la legge 237/1999 ha istituito in Roma il Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee, con il compito di raccogliere, conservare, valorizzare ed esporre le testimonianze materiali della cultura visiva internazionale; a tal fine il Centro è destinato ad ospitare il Museo dell’architettura del Novecento ed il Museo delle arti contemporanee. La stessa norma ha stanziato 20 miliardi (pari a 10,3 milioni di euro) per attività di progettazione e 85 miliardi (pari a 43,9 milioni di euro) per la ristrutturazione edilizia del complesso sede del Centro (che dal 2003 ha assunto la denominazione di MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo)[249]. Recentemente il decreto del ministro dell'economia e delle finanze 8 luglio 2005[250] ha assegnato al ministero per i beni culturali e le attività culturali, per l’esercizio 2005, un finanziamento di 5 milioni di euro destinato al Centro.
Nel corso della legislatura tale modalità di allocazione della spesa si è in parte modificata. La legge finanziaria per il 2005 ha infatti previsto (art.1, commi 28 e 29, L.311/2004) un’autorizzazione di spesa - 201,5 milioni di euro per il 2005, 176,5 milioni per il 2006 e 170,5 milioni per il 2007 - per la realizzazione di interventi rivolti a tutelare l’ambiente e i beni culturali, subordinatamente all’individuazione degli interventi e degli enti destinatari dei contributi con apposito atto di indirizzo parlamentare e successivo decreto del Ministro dell’economia e finanze.
Ulteriori finanziamenti per gli interventi sopra richiamati sono stati autorizzati dall’articolo 2-bis del D.L. n. 7/2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 43/2005), che ha autorizzato la spesa di 65 milioni per l'anno 2004, di 10,230 milioni per l'anno 2005, di 23,755 milioni per l'anno 2006 e di 2,6 milioni per l'anno 2007, dall’articolo 11-bis del D.L. n. 203/2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2005), che ha autorizzato la spesa di 222 milioni di euro per l’anno 2005 e dal comma 575 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2006 (legge n. 266/2005), che ha autorizzato la spesa di 5 milioni di euro per l’anno 2006.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004 n 42), emanatoin attuazione della delega prevista dall’articolo 10 dellalegge 6 luglio 2003, n. 137, ha sostituito il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (d.lgs. 29 ottobre 1999, n.490) che, nella precedente legislatura, avevaraccolto e riordinato la legislazione esistente in materia.
Disposizioni integrative e correttive al Codice sono state poi adottate con D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 156, relativamente ai beni culturali e D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 157 relativamente al paesaggio.
L’intervento di “riassetto” e “codificazione” delle disposizioni legislative (secondo i termini utilizzati dalla legge delega n. 137 del 2002), si poneva innanzitutto l’obiettivo di adeguare le norme alle modifiche introdotte dalla riforma costituzionale agli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Gli altri principi e criteri direttivi della delega prevedevano, in particolare:
§ l’adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali;
§ il miglioramento dell'efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l'ottimizzazione delle risorse assegnate e l'incremento delle entrate; la chiara indicazione delle politiche pubbliche di settore, anche ai fini di una significativa e trasparente impostazione del bilancio; lo snellimento e l’abbreviazione dei procedimenti; l’adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche;
§ l’aggiornamento degli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali, anche attraverso la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati, senza determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata, nè l'abrogazione degli strumenti attuali e, comunque, conformandosi al puntuale rispetto degli accordi internazionali, soprattutto in materia di circolazione dei beni culturali;
§ la riorganizzazione dei servizi offerti anche attraverso la concessione a soggetti diversi dallo Stato mediante la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati;
§ l’adeguamento della disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, modificando le soglie per il ricorso alle diverse procedure di individuazione del contraente in maniera da consentire anche la partecipazione di imprese artigiane di comprovata specializzazione ed esperienza, ridefinendo i livelli di progettazione necessari per l'affidamento dei lavori, definendo i criteri di aggiudicazione e prevedendo la possibilità di varianti oltre i limiti percentuali ordinariamente previsti, in relazione alle caratteristiche oggettive e alle esigenze di tutela e conservazione dei beni;
§ la ridefinizione delle modalità di costituzione e funzionamento degli organismi consultivi che intervengono nelle procedure per la concessione di contributi e agevolazioni in favore di enti ed istituti culturali, al fine di una precisa definizione delle responsabilità degli organi tecnici, secondo princìpi di separazione fra amministrazione e politica e con particolare attenzione ai profili di incompatibilità;
§ l’individuazione di forme di collaborazione, in sede procedimentale, tra le amministrazioni per i beni e le attività culturali e della difesa, per la realizzazione di opere destinate alla difesa militare.
Per quanto concerne l’adeguamento all’articolo 117 Cost., si segnala, innanzitutto, l’intera parte prima del Codice (articoli 1-9), recante le disposizioni generali volte a definire l’assetto generale delle competenze dello Stato e delle Regioni in materia di tutela e di valorizzazione. Parimenti, direttamente finalizzata a sviluppare la distinzione tra attività di tutela e valorizzazione introdotta all’articolo 117 Cost. appare l’articolazione della seconda parte del codice, concernente i beni culturali, in due distinti titoli, dedicati, rispettivamente, alla tutela (titolo I) e alla valorizzazione (titolo II). All’interno di quest’ultima, in particolare, numerose disposizioni prevedono il riconoscimento alle regioni di funzioni e poteri in materia di fruizione e, soprattutto, valorizzazione dei beni culturali (ad esempio, il riconoscimento alle regioni della possibilità di esercitare la prelazione per l’acquisto di beni culturali a titolo oneroso ovvero l’espropriazione di beni culturali; l’attribuzione congiunta al Ministero e alle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, della vigilanza sul rispetto dei diritti d’uso e godimento dei beni culturali; la nuova disciplina della destinazione dei proventi dei biglietti di ingresso nei luoghi della cultura).
Si dà conto di seguito dei contenuti del Codice (d.lgs. 42/2004) evidenziando le modifiche introdotte dai citati d.lgs. n.156/2006, relativamente alla disciplina dei beni culturali, e n.157/2006, relativamente al paesaggio.
Le principali integrazioni al Codice, per quanto attiene i beni culturali, riguardano gli articoli 10 (relativo ai beni oggetto di tutela), 12 (Verifica dell’interesse culturale), 29 (Conservazione), 112 (Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica),115 (Forme di gestione) e 182 (disposizioni transitorie), quest’ultimo con particolare riferimento alla disciplina transitoria sulla formazione dei restauratori[251].
Il Codice prevede innanzitutto, in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, che la Repubblica tuteli e valorizzi il patrimonio culturale, in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione, ai fini della preservazione della memoria della comunità nazionale e del suo territorio nonché della promozione dello sviluppo e della cultura (articolo 1). E’ compito dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, dei comuni e degli altri soggetti pubblici assicurare il rispetto delle esigenze di tutela e di valorizzazione del patrimonio medesimo, mentre, in considerazione della funzione sociale dei beni culturali i privati, se proprietari, possessori o detentori di tali beni, siano tenuti a garantirne la conservazione.
Il patrimonio culturale (articolo 2) è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici; oltre alle categorie di beni espressamente individuate nel provvedimento (artt. 10 e 11 per i beni culturali e art. 134 per i beni paesaggistici) possano essere individuati come beni culturali o paesaggistici, con legge o in base alla legge, anche altri beni (che, tuttavia, devono caratterizzarsi “quali testimonianze aventi valore di civiltà” per essere annoverati tra i beni culturali).
La tutela del patrimonio culturale è definita (articolo 3) come l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a garantire l’individuazione, la conoscenza, la protezione e la conservazione del patrimonio culturale, nonché a conformare e regolare i diritti e i comportamenti ad esso inerenti.
Al fine di garantire l'esercizio unitario della tutela, le funzioni a essa relativa sono attribuite al Ministero, che può esercitarle direttamente o conferirne l'esercizio alle regioni (articolo 4); queste ultime e gli altri enti pubblici territoriali cooperano con il Ministero nell’esercizio delle funzioni di tutela; alle regioni sono inoltre conferite le funzioni di tutela su manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato, fatta eccezione per i poteri di revisione delle “notifiche” dell’interesse culturale già adottate con provvedimento In base a specifici accordi o intese, e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, alle regioni sono conferite funzioni di tutela anche su altri materiali (carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo) non appartenenti allo Stato (articolo 5, comma 3). Resta fermo comunque la potestà di indirizzo e vigilanza nonché il potere sostitutivo dello Stato.
La valorizzazione del patrimonio culturale (ai sensi degli articoli 6 e 7) consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività volte a promuovere la conoscenza e la fruizione pubblica del patrimonio culturale con il fine ultimo dello sviluppo della cultura (si esclude pertanto la redditività economica). La valorizzazione comprende anche la promozione ed il sostegno agli interventi di conservazione ed è posta in rapporto di subordinazione alla tutela, dovendo essere attuata in forme coerenti con essa e comunque tali da non pregiudicarne le esigenze. Si favorisce, inoltre, la partecipazione di soggetti privati alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Si fa presente che i principî fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale sono fissati, in modo specifico, dagli articoli da 111 a 121. Ai sensi dell'articolo 112 (modificato dal d.lgs.156/2006), in particolare, lo stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento e l’armonizzazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici, attraverso accordi volti a “definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi”.
Il Codice fissa inoltre (articolo 9) i principi in materia di rapporti con gli enti ecclesiastici o con autorità di altre confessioni religiose nel caso, non infrequente, di compresenza in uno stesso bene, mobile o immobile, di valenze non soltanto culturali ma anche cultuali. Per i beni indicati come "beni culturali di interesse religioso", si prevede un regime speciale caratterizzato dalla soggezione alle leggi dello Stato italiano, ma sulla base di disposizioni concordate fra le parti.
La parte seconda del Codice (articoli 10-130) è dedicata ai beni culturali ed articolata in tre titoli aventi ad oggetto la tutela (artt. 10-100), la fruizione e la valorizzazione (artt. 101-127), nonché norme transitorie e finali (art. 128-130).
Il titolo I (articoli 10-100), concernente la tutela, mantiene sostanzialmente fermo l’impianto del TU del 1999, sia per quanto riguarda la distinzione tra beni culturali sottoposti in via generale alle norme in materia di tutela e beni culturali oggetto di specifiche disposizioni di tutela, sia per quanto riguarda la dichiarazione di interesse culturale dei beni appartenenti a privati, non senza provvedere, tuttavia, ad introdurre al suo interno alcune importanti novità.
Per quanto concerne l’oggetto della tutela (Capo I), dal combinato disposto degli articoli 10-16 si desume che i beni possono essere distinti in tre gruppi.
Un primo gruppo comprende i beni culturali, appartenenti a soggetti pubblici, per i quali l’interesse culturale è ritenuto sussistere ex se. Si tratta, ad esempio, di raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, archivi, raccolte librarie[252] (articolo 10, co. 2).
Un secondo gruppo comprende i beni di cui all’art. 10, co. 1, ossia i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e ad altri enti, pubblici, nonché a persone giuridiche private senza scopo di lucro, per i quali trova applicazione la disciplina dell’articolo 12. Tale norma prevede che i beni in questione vengano assoggettati ad uno specifico procedimento di verifica, ferma restando, medio tempore, la loro sottoposizione alla disciplina di tutela (anche cautelare e preventiva: art. 28). L’articolo 12 riproduce, in larga misura, i contenuti dell’articolo 27 del DL n. 269/2003[253].
Si ricorda che quest’ultimo aveva introdotto una procedura per la verifica della sussistenza dell’interesse culturale nei beni del patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico allo scopo di escludere dall’ambito di applicazione del T.U dei beni culturali e ambientali[254] (ora sostituito dal Codice) i beni che le soprintendenze regionali giudicassero privi di tale interesse, anche ai fini della loro successiva sdemanializzazione.Il D.M. 6 febbraio 2004[255] ha poi stabilito i criteri e le modalità per la predisposizione e la trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive dei beni oggetto di verifica. La procedura appena descritta, connessa alla necessità accelerare le operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico è stata poi sostituita dal citato articolo 12 del Codice.
Quest’ultimoha previsto, infatti, che i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e ad altri enti, pubblici, nonché a persone giuridiche private senza scopo di lucro vengano assoggettati - d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono - ad uno specifico procedimento di verifica. Per i beni immobili dello Stato, la richiesta è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive, sulla base di criteri stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa, anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Tali criteri sono stati definiti con D.M. 28 febbraio 2005[256] il quale, disciplinando la materia a regime, ha modificato il citato D.M. 6 febbraio 2004, eliminando la procedura del silenzio-assenso ivi prevista. Qualora, infatti, la pronuncia del Ministero non intervenga entro 120 giorni, i richiedenti potranno rivolgersi al TAR perché ingiunga all'amministrazione di provvedere e, in mancanza, nomini un commissario ad acta che assuma la richiesta determinazione[257].
Si ricorda, peraltro, che l’articolo 3, comma 6-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35[258]riscrivendo l’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241[259], relativo al silenzio assenso, ha escluso l’applicabilità di tale meccanismo, tra l’altro, agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico.
Il testo dell’art. 12 del Codice, come modificato dal d.Lgs.156/2006, non prevede pertanto il meccanismo del silenzio assenso (in conformità al citato articolo 3, comma 6-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35[260]) ed indica in 120 giorni dalla richiesta il termine per la conclusione del procedimento di verifica; vengono contestualmente abrogati (art. 184 del Codice) i commi dall’1 al 12 dell’articolo 27 del DL. 269/2003[261].
Un terzo gruppo di beni culturali indicati dall’art.10 (comma 3) del Codice comprende i beni, appartenenti in primo luogo a privati, per i quali la tutelabilità è subordinata all’accertamento dell’interesse culturale mediante il procedimento di dichiarazione (c.d. “vincolo”) disciplinato dagli artt. 13-16.
Un importante elemento di novità, in proposito, è stato rappresentato dall’introduzione, nel testo del Codice adottato nel 2004, di una forma di giustiziabilità in sede amministrativa, in quanto si riconosce la possibilità di ricorso avverso la decisione del ministro per motivi di legittimità o di merito (art.16); il recente intervento correttivo, di cui al D.Lgs.156/2006, ha poi consentito il ricorso anche avverso il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica dell’interesse culturale ex articolo 12[262].
I beni indicati dall’art.10 comma 3 comprendono: cose immobili e mobili di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico; archivi e documenti privati nonché raccolte librarie di interesse storico/culturale particolarmente importante; le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse con riferimento alla storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico.
Il d.lgs.156/2006 ha inteso ampliare la definizione delle collezioni o serie di oggetti rientranti nei beni culturali (comma 3, lett. e)), includendovi quelle che abbiano particolare rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica.
Le categorie di beni (pubblici e privati) che possono avere interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico sono poi ulteriormente specificate dall’art. 10, comma 4, con la precisazione che l’interesse è connesso al valore storico artistico e al carattere di pregio o rarità (sinteticamente si tratta di: cose di interesse per paleontologia e preistoria; cose di interesse numismatico; manoscritti, incunaboli, libri, stampe e incisioni; carte geografiche e spartiti ; foto, pellicole cinematografiche e supporti audiovisivi; ville, i parchi e i giardini, piazze e altri spazi urbani; siti minerari; le navi; architettura rurali.
Merita segnalare che il d.lgs. 156/2006 ha introdotto una specificazione relativa alle “cose di interesse numismatico”; nel senso che quest’ultimo sia da rinvenire nel “carattere di rarità o di pregio, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione”.
Sulla questione era già intervenuto il D.L. 26 aprile 2005, n. 63[263],il cui articolo 2-decies aveva escluso alcune categorie di monete, ritenute di limitato valore, dalle prescrizioni recate dal Codice per i beni di particolare interesse storico-archeologico in caso di alienazione, commercio ed esportazione dal territorio dell’Unione Europea. Successivamente, il D.L. 17 agosto 2005, n. 164, recante disposizioni urgenti in materia di attività cinematografiche (non convertito), aveva inteso - secondo la relazione governativa - individuare più precisamente le cose numismatiche oggetto di tutela riformulando la definizione dell’interesse culturale di queste ultime (recata appunto dall’art.10 del Codice) e ribadire la competenza delle soprintendenze in ordine alla valutazione tecnico discrezionale dell’interesse stesso. L’integrazione ora apportata dal d.lgs 156 /2006 relativamente alle cose di interesse numismatico in sostanza riformula le modifiche introdotte dai DL 63/2005 e 164/2005 (quest’ultimo, come si è detto, non convertito)[264];si dispone altresì l’abrogazione dell'articolo 2-decies del DL 63/2005.
Il Codice, inoltre, innovando rispetto al precedente Testo unico dei beni culturali, reca:
· l’introduzione tra le categorie speciali di beni culturali, soggetti a specifiche, disposizioni di tutela (art. 11), di opere di architettura contemporanea di particolare valore artistico[265], di opere autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre 50 anni (per le quali si introduce una limitata forma di tutela, delineata all’articolo 64, e cioè l’obbligo per il venditore di rilasciare attestati di autenticità e provenienza[266]) e delle vestigia della Grande guerra[267];
· l’espressa menzione, tra i beni oggetto di tutela, delle pellicole cinematografiche e i supporti audiovisivi rari o di pregio, delle matrici delle incisioni e delle pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico e storico (come già segnalato nell’esposizione dell’art. 10, co. 4);
Viene, altresì, ribadita l'esigenza di assicurare la catalogazione nazionale dei beni culturali, cui concorrono il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali (articolo 17). E' quindi previsto che anche le regioni curino la catalogazione dei beni culturali loro appartenenti, facendo peraltro affluire i relativi dati al catalogo nazionale nelle sue distinte articolazioni[268].
Seguono norme in materia di vigilanza e ispezione (Capo II, articoli 18 e 19), rientranti nelle competenze statali, protezione e conservazione dei beni culturali (Capo III, articoli da 20 a 52), circolazione dei beni culturali in ambito nazionale (Capo IV, articoli da 53 a 64).
Con riguardo alle misure di protezione, gli articoli 20 e 21 regolano gli interventi sui beni culturali, distinguendo fra gli interventi vietati in assoluto e quelli soggetti ad autorizzazione.
Sono vietati (art. 20) distruzione, danneggiamento, l’uso non compatibile con il carattere storico artistico dei beni culturali nonché lo smembramento di archivi pubblici e privati vincolati (la precisazione relativa alla “dichiarazione di interesse” è introdotta dal D.Lgs.156/2006).
Sono subordinati ad autorizzazione del Ministero (art. 21) a demolizione di beni culturali, il loro spostamento, lo smembramento delle collezioni, lo scarto dei documenti di archivi e biblioteche pubblici o privati qualora“dichiarati di interesse culturale” .E’ altresì vietato il trasferimento ad altre persone giuridiche di archivi pubblici o privati qualora“dichiarati di interesse culturale”. Inoltre è subordinata ad autorizzazione del soprintendente l'esecuzione e lavori di qualunque genere sui beni culturali[269].
Il procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia è descritto dal successivo art. 22, che nella versione integrata dal D.Lgs.156/2006 abolisce il riferimento al principio del silenzio assenso e prevede ricorso giurisdizionale avverso il silenzio dell’amministrazione (art. 22, comma 4)e .
Gli articoli 23-28 dettano norme in materia di edilizia e lavori.
L’art. 28 contiene disposizioni innovative, rispetto al corrispondente articolo del precedente TU (D.Lgs 490 /1999) in materia di misure cautelari e preventive.
Oltre a ribadire in capo al Ministero il potere di veto o di sospensione di interventi eseguiti senza l’autorizzazione o in difformità da essa, viene infatti introdotto l’istituto dei saggi archeologici preventivi in occasione della realizzazione di opere pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, anche se non ancora vincolate, assegnandoal soprintendente il potere di richiederne l’effettuazione a spese del committente dell’opera pubblica[270].
Gli artt. 29- 44 recano misure di conservazione.
L’articolo 29 definisce il concetto di conservazione del patrimonio culturale, che viene attuata mediante una programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro[271].e dispone che gli interventi relativi siano affidati in via esclusiva a soggetti qualificati (restauratori di beni culturali ).
L’articolo introduce inoltre una disciplina generale in materia di formazione professionale dei restauratori.
Si prevede in particolare che:
· i profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori addetti ad attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici siano definiti regolamenti ministeriali (decreti del Ministro adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400), d’intesa con la Conferenza Stato regioni (art.29, co 7)
· i criteri ed i livelli di qualità cui si adegua l’insegnamento del restauro siano definiti regolamento ministeriale (decreti del Ministro adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400), previo parere della Conferenza Stato- regioni (art. 29, co 8);
· l’insegnamento del restauro sia impartito nelle alle scuole di alta formazione e di studio istituite ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368[272], nonchè in centri istituiti da soggetti pubblici e privati accreditati secondo modalità e sulla base di requisiti minimi definiti con regolamenti ministeriali (ex art. 17, comma 3, della legge 400/1988) previo parere della Conferenza Stato- regioni (art. 29, co. 9);.
· la formazione dei collaboratori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione sia assicurata da soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa regionale, secondo criteri e livelli di qualità definiti con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni[273] (art.29, co.10).
L’art. 29 del Codice è stato modificato dal d.lgs 156/2006;quest’ultimo:
· ha abolito il parere della Conferenza stato regioni nella definizione dei regolamenti ministeriali relativi ai profili di competenza dei restauratori e altri operatori nonché dei requisiti dei centri di formazione (art.29 commi 8 e 9);
· ha introdotto la previsione della disciplina regolamentare delle modalità di rilascio dei titoli al termine del corso formativo per la figura professionale del restauratore conservatore di beni culturali, sancendo al contempo il valore abilitante ed il carattere di esame di Stato della prova finale nonché l’equiparazione del titolo alle lauree universitarie di secondo livello;
· ha specificato (nel comma 9-bis) l’ambito temporale di applicazione della disciplina, nel senso che fino all’entrata in vigore dei decreti attuativi prescritti dall’art. 29 valgono le disposizioni transitorie dettate dall’articolo 182(contestualmente sostituito).
In particolare, i nuovi commi 1 e 1-bis dell’articolo 182 estendono i requisiti utili al conseguimento della qualifica di restauratore di beni culturali, quest’ultima è riconosciuta automaticamente ai diplomati presso scuole di restauro (di cui all’art. 9 del D.Lgs.368/1998) - purché già iscritti prima dell’entrata in vigore del Codice (1 maggio 2004) - ovvero a quanti, prima dell’entrata in vigore del DM al 24 ottobre 2001[274], avessero posseduto titoli di studio specifici integrati o sostituiti da un periodo adeguato di pratica professionale.
In alternativa la qualifica sarà acquisita previo superamento di una prova di idoneità (secondo modalità stabilite con decreto del Ministro da emanarsi di concerto con il Ministro dell’istruzione entro il 30 ottobre 2006) da altre categorie di diplomati anteriormente all’entrata in vigore del Codice (presso Accademie di belle arti, presso scuole di restauro statali o regionali di durata almeno biennale, titolari di laurea specialistica in conservazione e restauro) ovvero a quanti attestino un periodo quadriennale di pratica professionale anteriore all’entrata in vigore del DM al 24 ottobre 2001.
Il comma 1-ter detta norme sulla certificazione dei requisiti mentre il comma 1-quaterprevede presso il Ministero l’istituzione di un elenco, reso accessibile a tutti gli interessati.
Il comma 1-quinquies individua i requisiti utili al conseguimento della qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali (laurea triennale in tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali; diploma in restauro presso le accademie di belle arti con insegnamento almeno triennale; diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a tre anni; pratica professionale certificata svolta prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420).
Il comma 2
del nuovo art.182, in deroga a quanto previsto dall’articolo 29, comma 11, ed
in attesa della emanazione dei decreti di cui ai commi 8 e 9 del medesimo
articolo, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca di concerto con il Ministro, autorizza
la Fondazione “Centro per la
conservazione ed il restauro dei beni culturali
Gl articoli da 30 a 43 del Codice distinguono fra interventi conservativi volontari e interventi conservativi imposti, dettando in particolare una specifica procedura di esecuzione per questi ultimi, comprensiva degli oneri a carico del proprietario e della disciplina degli eventuali contributi ministeriali.
Sono incluse tra le misure conservative le disposizioni relative agli obblighi di versamento agli archivi di Stato dei documenti conservati da amministrazioni statali e quelle relative agli archivi di organi costituzionali (artt 41 e 42[275]).
L’articolo 44 consente ai privati di affidare in comodato a istituti pubblici, per un periodo minimo di 5 anni (tacitamente prorogabile) e con il consenso del Ministero, raccolte, collezioni o altri beni mobili di particolare importanza, al fine di permetterne la fruizione da parte della collettività. Ciò subordinatamente al fatto che l’onere per le spese di custodia, conservazione e assicurazione non sia eccessivo per l‘amministrazione.
I successivi articoli da 45 a 52 disciplinano, introducendo alcune significative novità, altre forme di protezione dei beni culturali, quali:
· le misure di tutela indiretta, attraverso la prescrizione di distanze e misure atte a preservare l'integrità dei beni immobili, la loro prospettiva e le relative condizioni di ambiente e di decoro; viene disciplinato in particolare il procedimento per l’imposizione delle prescrizioni prevedendo la facoltà di ricorso amministravo (artt. 44-47);
· l'autorizzazione al prestito per mostre od esposizioni, con la introduzione dell’assicurazione obbligatoria dei beni di cui si chiede il prestito (art. 48);
· il divieto di collocare cartelli o manifesti pubblicitari sugli edifici e nelle aree tutelati come beni culturali, salvo autorizzazione del sovrintendente quando non ne derivi danno all'aspetto, al decoro e alla pubblica fruizione; in tale ambito, inoltre, è stata disciplinato anche l’utilizzo a scopo pubblicitario dei ponteggi allestiti per interventi su edifici storici o in aree di interesse storico artistico (art. 49);
· Il divieto di distacco di affreschi, fregi, lapidi ecc. senza preventiva autorizzazione (art.50)
· la tutela degli studi d'artista (art. 51);
· l'adeguamento della disciplina del commercio nelle aree aventi valore archeologico, storico ed artistico, rimettendo agli enti locali (anziché al soprintendente come disponeva il T.U.) la potestà di vietare o sottoporre a condizioni particolari l'esercizio stesso, previo parere della soprintendenza competente (art. 52).
Gli articoli da 53 a 57 definiscono una nuova disciplina dell’alienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica o di persone giuridiche private senza scopo di lucro. In primo luogo, il Codice ha introdotto il concetto di demanio culturale, al quale vengono ricondotti le tipologie di beni indicate all’art. 822 del Codice civile[276] (art.53). Il provvedimento distingue, in linea generale, tra due categorie di beni: quelli in ogni caso inalienabili e quelli alienabili a determinate condizioni, tra i quali possono rientrare anche beni compresi nel demanio culturale (artt. 54-55). L’alienazione dei beni - appartenenti o meno al demanio culturale (art. 55) è comunque subordinata al rilascio di un’autorizzazione ministeriale recante prescrizioni volte ad assicurarne la tutela, nonché a seguito della modifica introdotta dal d.lgs.156/2006, la fruizione e la valorizzazione.
Gli artt. da 60 a 62 disciplinano l’istituto dell’ acquisto in via di prelazione da parte del ministero o di altri enti pubblici.
Gli artt. 63-64 dispongono in merito al commercio dei beni culturali indicati nell’allegato A al d.lgs, per i quali vengono recate particolari prescrizioni.
In particolare vige obbligo di notifica alla Soprintendenza dell’esercizio di commercio di tali categorie di beni o di documenti di interesse storico; sono previsti di appositi registri delle operazioni commerciali nonché consegna all’acquirente di attestati di autenticità. Questa categoria di beni è soggetta a licenza in caso di esportazione permanente o temporanea dall’Unione europea e può essere oggetto di procedura di restituzione in caso di esportazione illegale (art. 74 e 75 del Codice).
Con riferimento alla circolazione dei beni culturali in ambito internazionale (Capo V, articoli da 65 a 87) nel Codice si conferma l’adeguamento alla normativa comunitaria[277] già confluita a suo tempo nel precedente testo unico (d.lgs. 490/1999); viene inoltre reintrodotto l’istituto dell’uscita temporanea dei beni culturali dal territorio nazionale, fermo restando l’obbligo per il privato di fornire idonea garanzia, tramite polizza assicurativa anche fidejussoria, in ordine al rientro del bene allo scadere del termine (art. 71).
L’art. 87 fa rinvio alla Convenzione dell’UNIDROIT sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati[278] (ed alle relative norme di ratifica) per la restituzione dei beni ivi indicati.
Nelle norme relative alla tutela rientrano, infine, le disposizioni concernenti i ritrovamenti, le scoperte e l’espropriazione dei beni culturali (Capi VI e VII, articoli da 88 a 100).
Gli articoli da 88 a 93 disciplinano l’attività di ricerca ed il ritrovamento fortuito di beni culturali.
L’attività di ricerca archeologica è affidata al ministero ed eventualmente assegnata in concessione; essa può essere supportata da procedimenti di occupazione temporanea o espropriazione.
La scoperta fortuita va denunciata entro 24 ore al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza; essa comporta l’obbligo di conservazione del bene ritrovato ed implica la corresponsione di un premio calcolato dal Ministero in ragione del valore del ritrovamento.
L’art. 94sottopone il patrimonio culturale subacqueo (con riferimento alla zona estesa dodici miglia marine a partire dal limite esterno del mare territoriale )alla tutela prescritta nella Convenzione dell’UNESCO del 2 novembre 2001 sulla protezione del patrimonio culturale sommerso(in attesa della approvazione della legge di ratifica)
Si segnalano, al riguardo, gli artt. da 95 a 100 che disciplinano l’espropriazione dei beni culturali. In particolare, l’art. 95 prevede che i beni culturali possano essere “espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini del godimento pubblico dei beni medesimi”. Gli artt. 96 e 97 fanno riferimento ad espropri da aree o edifici per meglio tutelare o restaurare monumenti o per eseguire ricerche archeologiche. Ai sensi dell’art. 98 la dichiarazione di pubblica utilità è fatta con decreto del Ministero o provvedimento della regione a questi comunicato. L’art. 99 specifica, invece, che “l’indennità consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe in una libera contrattazione di compravendita all'interno dello Stato)
Il titolo II (articoli 101-127) è dedicato alla fruizione (capo I) e alla valorizzazione (capo II) dei beni culturali.
Il Capo I (articoli 101-110), concernente la fruizione, detta norme di carattere generale sulle competenze in materia, definendo il ruolo delle regioni, nonché disposizioni specifiche sulla fruizione dei beni pubblici e privati nonché sull’uso induividuale dei beni culturali.
In particolare:
· l'articolo 101 reca una puntuale definizione dei singoli luoghi della cultura (museo, biblioteca, archivio, area archeologica, parco archeologico, complesso monumentale), evidenziandone la destinazione alla pubblica fruizione;
· l’articolo 102 precisa che la fruizione dei luoghi appartenenti alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali è assicurata nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal codice ed in conformità con la legislazione regionale;
· l'articolo 103 sancisce che l'accesso ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il comma 2 estende tuttavia alle biblioteche e agli archivi pubblici la gratuità dell'accesso per fini di lettura, studio e ricerca. Esso sancisce, altresì, la parità di trattamento fra i cittadini dell'Unione europea in materia di accesso agevolato;
· l'articolo 104 detta le modalità di fruizione dei beni di proprietà privata;
· gli articoli da 106 a 110 disciplinano l’uso individuale dei beni culturali regolamentando tra l’altro la riproduzione ed i relativi canoni di concessione.
L’articolo 106 prevede che il lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possano concedere l’uso dei beni culturali, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Ai sensi del comma 2, la determinazione del canone e l’adozione del provvedimento di concessione in uso -per i beni in consegna al ministerospettano al soprintendente-.
La norma, in parte già contenuta nella c.d. legge Ronchey[279] e ripresa dall’articolo 114 del T.U. dei beni culturali e ambientali (D.Lgs. n. 490/1999) - che vi ha introdotto l’esigenza di salvaguardare la destinazione culturale del bene - è stata ampliata dal Codice nel senso di attribuire tale facoltà, oltre che allo Stato, anche alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali. Il d.lgs 156/2006 ha poi introdotto un controllo di tipo autorizzatorioanalogo a quello previsto dall’articolo 57 sull’alienabilità dei beni culturali (vale a dire, che siano garantite la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo).
Si ricorda che l’art.1, commi303-305, della legge 30 dicembre 2004, n.311[280], ha previsto che i beni culturali immobili dello Stato, delle regioni e degli enti locali, possono essere dati in concessione a soggetti privati che effettuano interventi di restauro e conservazione, dietro pagamento di un canone dal quale sono detratte le spese sostenute per il restauro. Il concessionario è obbligato a rendere fruibile il bene da parte del pubblico con le modalità stabiliti nell’atto di concessione. I beni culturali che possono formare oggetto delle concessioni sono individuati con decreto del MBAC (non emanato) su proposta del Direttore regionale competente.
La valorizzazione dei beni culturali (Capo II, articoli 111-121) può essere ad iniziativa pubblica o privata. Quella pubblica (art.111) consiste nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, nonché nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali. Essa si conforma ai principi relativi alla libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione. Quella privata è riconosciuta come attività socialmente utile a fini di solidarietà sociale, con la conseguente possibilità di fruire del sostegno pubblico.
Il testo dell’articolo 112 del Codice (relativo alla valorizzazione dei beni di appartenenzapubblica)è stato sensibilmente modificato dal d.lgs.156/2006 al fine di accogliere i pareri della Conferenza unificata e della 7° Commissione del Senato (come chiarisce la relazione di accompagnamento al testo definitivo del d.lgs.).
Per i beni di appartenenza pubblica, l'articolo 112 del Codice individuava negli accordi di programma lo strumento ordinario per lo svolgimento coordinato, armonico e integrato della valorizzazione ed affidava alla legislazione regionale (in adesione a quanto previsto dall’art. 117 comma 3 della costituzione) la disciplina relativa. Si consentiva inoltre la partecipazione agli accordi di soggetti privati nonché il coinvolgimento di beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati. Era prevista infine la stipula di convenzioni con le associazioni culturali o di volontariato
L’art. 112, riformulato dal d.lgs.156/2006, prevede che le norme regionali possano disciplinare non solo le attività ma anche le funzioni di valorizzazione, il cui esercizio può essere trasferito, in base al principio di sussidiarietà, anche ad altri enti territoriali.
Ai fini della valorizzazione, il nuovo articolo 112 individua due distinti strumenti: da un lato conferma la possibilità di accordi di programma tra Stato, regioni e autonomie locali (comma 4) - autorizzandone la stipulazione anche a livello sub regionale ed in rapporto ad “ambiti territoriali definiti” - dall’altro consente la costituzione di appositi soggetti giuridici. Entrambi gli strumenti mirano all’elaborazione dei piani strategici di valorizzazione e sviluppo culturale (comma 5), nei quali possono essere coinvolti infrastrutture e servizi produttivi, allo scopo di coniugare sviluppo culturale e sviluppo economico (la relazione governativa fa riferimento in proposito al collegamento con i servizi per la ricettività ed il tempo libero, con settori tradizionali quali artigianato, attività agricole, etc).
D’accordo con le regioni, viene infine affidata alla normazione secondaria la definizione delle modalità con cui il Ministero costituisce o partecipa alla costituzione dei soggetti giuridici incaricati della pianificazione strategica della valorizzazione (comma 7); inoltre si dettano le condizioni per la partecipazione dei privati e degli enti senza fini di lucro ai medesimi soggetti giuridici (comma 8).
Infine (comma 9) si prevede la possibilità di accordi interistituzionali destinati a regolare la costituzione di servizi strumentali comuni per la fruizione e valorizzazione di beni culturali, subordinatamente all’inesistenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L'articolo 113 prevede forme di sostegno pubblico alle attività di valorizzazione di beni culturali privati, in rapporto alla rilevanza dei beni stessi. Sono stabiliti livelli minimi uniformi di valorizzazione che i soggetti responsabili della gestione delle attività e dei servizi pubblici sono tenuti ad assicurare al fine di fornire una ospitalità standard ai visitatori (articolo 114).
L’articolo 115 del Codice disciplina le forme di gestione dei beni culturali di appartenenza pubblica. La gestionedelle attività di valorizzazione di tali beni può essere diretta - vale a dire svolta attraverso strutture organizzative interne alle Amministrazioni dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile - o indiretta, mediante concessione ad altri soggetti, previa valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti[281].
Il testo dell’articolo è stato quasi interamente riformulato dal d.lgs.156/2006 – tenendo conto dei pareri espressi dalla Conferenza unificata nonché dalle competenti Commissioni dei due rami del Parlamento – soprattutto con riferimento alla necessità di chiarire, in tema di gestione indiretta, la possibilità che le attività gestionali strumentali alla valorizzazione possano presentare rilievo economico e quindi essere affidate in concessione ad imprese commerciali in senso proprio (comma 3). E’ stata quindi individuata una sola forma di gestione indiretta delle attività di valorizzazione: quella dell’affidamento in concessione a terzi (che nella precedente versione dell’articolo si affiancava all’affidamento diretto a istituzioni fondazioni ed enti costituiti o partecipati dall’amministrazione pubblica proprietaria dei beni).
Viene conseguentemente abrogato l’articolo 10 del D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368[282], che dava facoltà al Ministero per i beni e le attività culturali di costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società, ai fini della gestione dei servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale. L’articolo citato prescriveva tuttavia che, in caso di estinzione o di scioglimento delle future persone giuridiche di diritto privato, i beni culturali conferiti in uso dal ministero tornassero nella disponibilità ministerialel[283].
Al fine di separare in maniera esplicita il momento delle scelte strategiche (di competenza delle amministrazioni pubbliche interessate) da quello esecutivo (in gestione diretta o affidato al concessionario), si prescrive che la definizione degli obiettivi programmatici da perseguire mediante l’affidamento in gestione diretta o indiretta preceda il procedimento di valutazione comparativa delle due soluzioni (comma 4).
Il comma 5 introduce, inoltre, nel contratto di servizio da stipulare con i concessionari delle attività di valorizzazione, i contenuti del progetto di valorizzazione e i relativi tempi di attuazione nonché i livelli qualitativi delle attività e dei servizi e le professionalità degli addetti.
La vigilanza sul rapporto concessorio è esercitata dalle amministrazioni cui i beni pertengono anche qualora la concessione si affidata a soggetti costituiti ai sensi dell’articolo 112, comma 5; in caso di grave inadempimento del contratto di servizio, esse possano richiedere la risoluzione del rapporto concessorio e la cessazione, senza indennizzo, degli effetti del conferimento in uso dei beni (comma 6).
L’articolo 116 disciplina la tutela dei beni culturali conferiti o concessi in uso, prevedendo che essi siano a tutti gli effetti assoggettati al regime giuridico loro proprio. E’ prevista la totale separazione tra il ruolo istituzionale spettante all’autorità di tutela e le cariche gestionali dei soggetti gestori.
I servizi aggiuntivi (servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico), la cui gestione è attuata nelle forme previste dall’articolo 115, sono elencati nel successivo articolo 117.
Questi ultimi comprendono:
• il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali;
• i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario;
• la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali;
• la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni;
• i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;
• i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;
• l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.
Gli articoli 118 e 119 dispongono, rispettivamente, la promozione di attività di studio e ricerca, e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole.
Gli articoli 120 e 121 introducono (rispetto al precedente Testo unico dei beni culturali) due novità di grande rilievo tese a favorire l’afflusso di risorse private al settore dei beni culturali.
L'articolo 120 prevede una particolare forma di sponsorizzazione: si consente ai privati che versano contributi -in beni o servizi- per la realizzazione di iniziative di tutela o valorizzazione di beni culturali, di associare all’iniziativa medesima il nome, il marchio o l’immagine dell’attività, in forme, compatibili con la particolare natura dei beni, da definire nel contratto di sponsorizzazione.
L'articolo 121 prevede la stipula di protocolli d'intesa tra il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, con le fondazioni bancarie che statutariamente perseguano scopi di utilità sociale nel settore dell'arte e dei beni culturali, al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione e, quindi, garantire l'equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe a disposizione.
Gli articoli da 122 a 127 disciplinano la consultazione dei documenti conservati negli archivi di Stato e negli archivi storici delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico (compresi i documenti riservati); la consultazione degli archivi correnti dei medesimi enti nonché le modalità di accesso ad archivi privati.
Sono infine dettate dagli articoli 128-130 norme transitorie e finali.
La disciplina sopra sintetizzata ( Parte seconda del Codice, relativa come già segnalato ai beni culturali) è corredata da un apparato di sanzioni connesse alle figure di illecito amministrativo (articoli da 160 a 166) o penale relative ai beni culturali (artt. 169-180).
Le disposizioni contenute nella parte terza del decreto n. 42/2004, - intitolata ai beni paesaggistici – come modificata dal d.lgs. n. 157/2006[284], hanno riprodotto, innovandole, le norme del titolo II del T.U. di cui al d.lgs. n. 490 del 1999.
Le principali linee innovative, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagnava il provvedimento, sarebbero riferibili, oltre che all’esigenza di tener conto della riforma del titolo V, alla firma – avvenuta a Firenze il 20 ottobre 2000 - della Convenzione europea del paesaggio[285] – recentemente ratificata da parte dell’Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 14 - e dall’Accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio[286], concluso il 19 aprile 2001.
Sullo schema di decreto la Conferenza unificata ha espresso un parere negativo, contestando quasi la legittimità costituzionale di un intervento statale con questi contenuti.
La VIII Commissione della Camera dei deputati ha esaminato lo schema di decreto (Atto Governo 595) nelle sedute del 1°, 2, 8 e 15 febbraio 2006, concludendo con un parere favorevole con poche osservazioni.
L’art. 131 ha introdotto la definizione di paesaggio (mutuandola dall’art. 1 della Convenzione europea del paesaggio), inteso, alla luce delle modifiche recate dal decreto n. 157, come “parti di territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”.
Importanti modifiche definitorie sono state apportate, da parte del d.lgs. n. 157, anche all’art. 5 relativo alle forme di cooperazione delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale.
In particolare, attraverso una novella al comma 6, è stato precisato che le funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici sono esercitate dallo Stato e dalle regioni, secondo le disposizioni di cui alla parte terza del codice, e non semplicemente “conferite” alle regioni, come prevedeva il testo originario.
Secondo la relazione illustrativa che accompagnava lo schema di decreto, il nuovo testo non contraddirebbe né i principi costituzionali – e in particolare il principio di sussidiarietà affermato dall’art. 118 (in quanto appare pacifico che lo Stato eserciti funzioni amministrative in materia attraverso una amministrazione centrale dedicata, articolata, fra l’altro, anche a livello territoriale), né l’assetto consolidato delle competenze, come legislativamente definito (artt. 148 e seguenti del decreto legislativo n. 112 del 1998).
Un’ulteriore modifica, relativa all’art. 6 ha chiarito i contenuti della definizione di valorizzazione del patrimonio culturale - intesa come promozione della conoscenza e assicurazione delle migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione del patrimonio – estendendola ai beni paesaggistici.
Con l’art. 134 sono stati specificati quali sono i beni paesaggistici, riprendendo la disposizione contenuta nell’art. 138 del T.U. del 1999 ed integrandola con l’indicazione degli immobili e delle aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dal piano paesaggistico.
Una innovazione rispetto alle previsioni del T.U. del 1999 è poi costituita dalla reviviscenza[287] – operata dal comma 2 - di una disposizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 1497 del 1939, secondo cui le limitazioni alle facoltà di disposizione e di godimento conseguenti al riconoscimento di beni paesaggistici non danno titolo a indennizzo.
L’art. 136 ha provveduto all’individuazione dei beni e delle aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico, riprendendo l’elencazione contenuta nell’art. 139 del T.U. del 1999 ed integrandola con l’inserimento, tra i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale (indicati nella lettera c) dell’art. 136), anche le zone di interesse archeologico, (aggiunte dal decreto n. 157[288]).
L’individuazione dei beni suddetti avviene in seguito ad un complesso procedimento (disciplinato negli artt. 137-141) che termina con la dichiarazione di notevole interesse pubblico, emanata dalla regione, sulla base delle proposte formulate da apposite Commissioni regionali (la cui istituzione è disciplinata dall’art. 137).
L’art. 142 ha individuato le aree tutelate per legge per il loro interesse paesaggistico, riprendendo le disposizioni dell’art. 146 del T.U. del 1999.
Rispetto al testo originario del codice, con l’emanazione del d.lgs. n. 157/2006 è stata soppressa la specificazione secondo cui la tutela operava fino all’approvazione del piano paesaggistico[289].
L’ambito e le finalità della pianificazione del paesaggio sono stati indicati nell’art. 135, che ha ripreso il dettato dell’art. 2 dell’accordo del 19 aprile 2001 estendendo (e qui risiede, secondo la relazione illustrativa, il carattere innovativo della disposizione) l’attività pianificatoria all’intero territorio regionale.
Si ricorda, infatti, che l’art. 149 del T.U. del 1999 prevedeva l’obbligo per le regioni di sottoporre a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale, mediante la redazione di piani territoriali paesistici o di piani urbanistico-territoriali, il territorio includente i beni ambientali tutelati per legge, mentre per le località indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 139 (corrispondente all’art. 136 del nuovo codice) e dichiarate di notevole interesse pubblico, tale pianificazione è facoltativa.
Rispetto alla formulazione originaria, il comma 1 dell’art. 135 come novellato dal decreto n. 157, esplicita[290] il concorso dello Stato, assieme alle regioni, alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio, aggiungendo anche la finalità della conoscenza del paesaggio stesso. A tal fine, i piani paesaggistici vengono approvati dalla regioni, “anche in collaborazione con lo Stato”.
I principi direttivi, gli obiettivi e i contenuti del piano paesaggistico (tale riferimento riguarda sia il piano paesaggistico in senso stretto che il piano urbanistico-territoriale) sono poi disciplinati dall’art. 135 e dall’art. 143.
Rispetto alla formulazione originaria, nel nuovo art. 143 è stato soppresso il riferimento agli “obiettivi di qualità paesaggistica” contemplati dal previgente comma 2[291].
Le principali modifiche recate dal decreto n. 157 riguardano tuttavia i commi 3 e 4 dell’art. 143.
Il comma 3 prevede, infatti, che le regioni possano elaborare congiuntamente con i due Ministeri (beni culturali ed ambiente) i piani paesaggistici previa stipula di specifiche intese.
Sostanzialmente, la competenza alla pianificazione rimane attribuita alle Regioni, mentre viene – in modo più puntuale – disciplinata l’ipotesi (sostanzialmente già prevista nella formulazione originaria del codice) di una preventiva collaborazione fra Regioni e Ministeri nella fase genetica del piano.
Il comma 4 introduce la previsione secondo la quale, qualora il piano venga approvato a seguito dell'accordo di cui al comma 3, nel procedimento autorizzatorio di cui agli artt. 146 e 147, il parere del soprintendente è obbligatorio, ma non vincolante[292].
L’esigenza del coordinamento tra strumenti diversi viene poi contemperata con il successivo art. 145 che, oltre a confermare la competenza (già prevista dal comma 1 dell’art. 150 del d.lgs. n. 490/1999) del Ministero ad individuare le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, ha introdotto un comma che dispone l’inserimento, nei piani paesaggistici, di “misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico”.
Rispetto alle norme previgenti, quindi, la disciplina recata dal codice prefigura una situazione in cui non sarà sufficiente la semplice conformazione delle previsioni di uno strumento a quelle dell’altro, ma piuttosto un coordinamento fra i due differenti strumenti ed una vera e propria integrazione reciproca.
Di più, in base al disposto del comma 3, i piani paesaggistici acquistano un valore preminente rispetto ad altri strumenti.
L’art. 144 ha recepito il contenuto dell’art. 6 dell’accordo del 19 aprile 2001 al fine di assicurare, nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici:
§ la concertazione istituzionale;
§ la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi, individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349;
§ ampie forme di pubblicità.
Le disposizioni del capo IV, relative al controllo e alla gestione dei beni soggetti a tutela hanno previsto 2 tipi di autorizzazione (analogamente a quanto previsto dal T.U. del 1999):
§ quella ordinaria, disciplinata dall’art. 146;
§ quella relativa ad opere da eseguirsi da parte di amministrazioni dello Stato, regolata dall’art. 147 (che ha sostituito la procedura autorizzativa speciale prevista dal comma 1 dell’art. 156 del T.U. del 1999, con la valutazione espressa in sede di conferenza di servizi[293]), a cui si aggiunge l’autorizzazione “in via transitoria” (prevista all’art. 159).
Per quanto riguarda il caso ordinario, l’art. 146 prevede una procedura autorizzatoria che non si caratterizza più, rispetto al precedente testo unico del 1999, per il potere di annullamento del Ministero (che viene eliminato e sostituito dalla possibilità per i soggetti interessati di impugnazione innanzi al T.A.R. o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), quanto per la previsione di fasi istruttorie successive volte – come si leggeva nella relazione illustrativa – “ad indirizzare le amministrazioni verso una corretta valutazione … (e) garantire il rilascio di autorizzazioni congruamente motivate”.
Nell’ambito di questa procedura viene reso obbligatorio il parere di speciali Commissioni locali per il paesaggio istituite dall’art. 148.
Il decreto n. 157 ha poi introdotto un comma 3 all’art. 146 volto a disciplinare l’eventuale delega agli enti locali, da parte delle regioni, per l’esercizio della funzione autorizzatoria paesaggistica.
Si segnala, inoltre, per il carattere innovativo che riveste, la disposizione recata dal comma 9 sempre dell’art. 146, secondo cui l’autorizzazione costituisce atto autonomo e presupposto dei titoli legittimanti gli interventi edilizi, per cui i lavori non possono iniziare in difetto di essa.
Si ricorda infatti che le disposizioni previgenti prevedevano il rilascio congiunto dell’autorizzazione (in seguito annullabile dal Ministero) e del titolo edilizio.
Tale norma veniva motivata nella relazione illustrativa al fine di “risolvere l’annosa questione della commistione fra urbanistica e tutela del paesaggio determinatasi dal confluire delle due competenze in capo ai comuni subdelegati dalle regioni”.
L’art. 146, comma 14, ha previsto la costituzione, presso ogni amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione - a fini di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa - di un elenco delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate, aggiornato almeno ogni 15 giorni e liberamente consultabile, con i relativi dati sintetici.
Una rilevante novità introdotta dal Codice è rappresentata dal comma 12 dell’art. 146 (introdotto dal d.lgs. n. 157/2006), che è finalizzato a consentire l’autorizzazione in sanatoria successiva alla realizzazione, anche parziale, soltanto per i “piccoli” abusi di cui ai successivi commi 4 e 5 dell’art. 167 (anch’essi introdotti dal d.lgs. n. 157, in conseguenza della citata modifica).
La relazione illustrativa allo schema, poi divenuto il d.lgs. n. 157, motiva l’introduzione di tale “eccezione” da un lato, con la richiesta delle stesse regioni e, dall’altro in quanto “imposta per la sopravvenienza della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (cd. delega ambientale) che, ai commi 36 e ss. dell'articolo unico, ha apportato modifiche al sistema delle sanzioni in campo paesaggistico, sia amministrative che penali, reintroducendo, sia pur limitatamente ai "piccoli" abusi, la sanabilità ex post (v. capitolo Il condono paesaggistico nel dossier relativo alla Commissione Ambiente).
Tra le sanzioni l’art. 167 ha previsto l’ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria, nel caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza e l’art. 181 norme per le opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa.
Una rilevante modifica introdotta nel codice per opera del d.lgs. n. 157/206 riguarda il comma 1 dell’art. 167 ove viene eliminata, rispetto al testo originario del Codice, una delle due sanzioni che potevano essere comminate, in alternativa, dall’amministrazione preposta alla gestione del vincolo, vale a dire quella pecuniaria e, mantenuta, invece solo quella demolitoria della rimessione in pristino a spese del trasgressore.
La finalità della disposizione, come tra l’altro sottolineato nella relazione illustrativa, è volta ad una più penetrante tutela del paesaggio, in quanto tutti gli abusi vengono puniti con la demolizione e si è, inoltre, “introdotta una soluzione che elimina l'ambigua formula dell'articolo 167, comma 1, ereditata dall'articolo 15 della legge n. 1497 del 1939, che ammetteva la «scelta» dell'amministrazione, preposta alla gestione del vincolo tra sanzione pecuniaria e sanzione demolitoria (formula la cui ambiguità aveva «legittimato» l'invenzione pretoria dell'autorizzazione postuma in sanatoria), e la si è sostituita con la perentoria affermazione, di reale tutela del paesaggio, per cui tutti gli abusi sono puniti con la demolizione (in quanto sanzione ripristinatoria di tutela del bene protetto, al di là del suo contenuto afflittivo)”. A temperare la severità di tale regola generale si è però affiancata l’eccezione della sanabilità, previa valutazione dell'amministrazione competente, dei soli «piccoli abusi» che non comportino aggiunte di superfici o di volumi e abbiano, quindi, un impatto meno rilevante sul paesaggio.
L’art. 156, comma 1, ha previsto la verifica di conformità e l’eventuale successivo adeguamento alle norme dell’art. 143 - entro il 1° maggio 2008 -, per i piani adottati dalle regioni sulla base delle previsioni dell’art. 149 del precedente T.U. del 1999 (d.lgs. n. 490).
Lo stesso comma incarica il Ministero di provvedere in via sostitutiva qualora decorra inutilmente il termine sopraindicato.
Ai fini delle citate verifiche ed adeguamenti i commi successivi prevedono che il Ministero provveda alla stipula di:
§ una convenzione con le regioni (sulla base di uno schema generale predisposto dal Ministero, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni), volta a stabilire “le metodologie e le procedure di ricognizione, analisi, censimento e catalogazione degli immobili e delle aree oggetto di tutela, ivi comprese le tecniche per la loro rappresentazione cartografica e le caratteristiche atte ad assicurare la interoperabilità dei sistemi informativi” (comma 2);
§ intese con le medesime regioni per disciplinare lo svolgimento congiunto della verifica e dell'adeguamento dei piani paesaggistici (comma 3).
Lo stesso comma 3 dispone che “nell'intesa è stabilito il termine entro il quale devono essere completati la verifica e l'adeguamento, nonché il termine entro il quale la regione approva il piano adeguato” e che “il contenuto del piano adeguato forma oggetto di accordo preliminare tra il Ministero e la regione”.
Si segnala, inoltre, che l’art. 158 ha previsto l’emanazione non più di un regolamento statale ma di apposite disposizioni regionali di attuazione del decreto.
Tale modifica si era resa necessaria alla luce del nuovo titolo V della Costituzione, che esclude la competenza regolamentare statale per tutte le materie che non rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello stesso Stato (art. 117, sesto comma).
L’art. 159 disciplina il procedimento di autorizzazione in via transitoria, che viene previsto fino al 1° maggio 2008 o, se anteriore, all'approvazione o all'adeguamento dei piani paesaggistici.
Si segnala, infine, che il decreto legislativo n. 157/2006 ha introdotto tre nuovi commi all’art. 182 (commi da 3-bis a 3-quater) recanti disposizioni transitorie necessarie in seguito alle modifiche introdotte nel testo soprattutto all’art. 146, comma 12 e all’art. 167.
In particolare il comma 3-bis dell’art. 182 è finalizzato a disciplinare la sorte di numerosi procedimenti di autorizzazione in sanatoria, la cui domanda è stata presentata entro il 30 aprile 2004, pendenti alla data del 12 maggio 2006[294] o definiti con determinazione di improcedibilità della domanda per il sopravvenuto divieto, senza pronuncia nel merito della compatibilità paesaggistica dell'intervento.
La relazione illustrativa allo schema di decreto, poi divenuto il d.lgs. n. 157/2006, sottolinea, al riguardo, che si è ammessa una sorta di "ultrattività" sostanziale del vecchio regime pretorio ammissivo (senza limiti) di tale sanabilità e, anche per ragioni di tutela dell'affidamento del cittadino, tenuto conto anche del confuso intreccio normativo venutosi a creare per la sopravvenienza della norma del dicembre 2004 (legge n. 308 del 2004), si è ammessa la possibilità che i procedimenti relativi alle domande di autorizzazione paesaggistica in sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 e ancora pendenti possano essere definiti nel merito.
Il successivo comma 3-ter, invece, mira a chiarire l’efficacia anche amministrativa delle domande di condono paesaggistico presentate entro il 30 gennaio 2005 (comma 3-ter)[295].
Tale comma dispone, infatti, che le previsioni recate dal comma 3-bis vadano applicate anche alle domande di sanatoria presentate nei termini ai sensi dell'articolo 1, commi 37 e 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, ferma restando la quantificazione della sanzione pecuniaria ivi stabilita. Il parere della soprintendenza di cui all'articolo 1, comma 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, si intende vincolante.
In attuazione della delega per il riassetto e la codificazione nel settore dei beni culturali di cui all’art.10 della legge n.137 del 2002, oltre al Codice dei beni culturali e del paesaggio, è stato emanato il d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, recante modifiche alla disciplina degli appalti di lavori pubblici relativi ai beni culturali (vedi scheda La riforma della “legge Merloni” nel dossier relativo al dipartimento Ambiente).
In relazione alla prioritaria esigenza di tutela dei beni rientrati nel patrimonio storico e artistico della nazione, il d. lgs. reca disposizioni in deroga alla normativa in materia di appalti, richiamando l’articolo 9 ed il riparto di competenze dettato dal titolo V della Costituzione.
tale disciplina speciale si applica (art.1 del d.lgs) all’esecuzione di scavi archeologici nonché ai lavori pubblici concernenti i beni mobili ed immobili, interventi su elementi architettonici e superfici decorate di beni del patrimonio culturale sottoposti a tutela; vengono regolamentati in particolare: i contratti di sponsorizzazione, gli appalti misti[296], i requisiti qualificazione dei soggetti esecutori, le modalità di progettazione e direzione dei lavori, i criteri per l’aggiudicazione, il ricorso a trattativa privata, l’ammissibilità delle varianti.
Le modifiche rispetto alla normativa sugli di appalti tengono conto della specificità dei beni oggetto di lavori e seguono le linee di intervento indicate nella norma di delega[297]:
§ revisione delle soglie per il ricorso alle procedure di individuazione del contraente al fine di consentire la partecipazione di imprese artigiane particolarmente specializzate;
§ ridefinizione (rispetto alla disciplina generale) dei livelli di progettazione necessari per l'affidamento dei lavori nonché dei i criteri per l’aggiudicazione;
§ revisione dei limiti previsti per l’ammissibilità di varianti in corso d’opera.
I contenuti del d.lgs. sono recentemente confluiti nel Codice dei contratti pubblici adottato con d. lgs. n. 163 del 2006[298];in quest’ultimo è stata trasfusa anche la disciplina della cosiddetta archeologia preventiva (introdotta dagli artt. da 2- ter a 2- quinques del D.L. 63/2005).
Si ricorda in proposito che il D.L. 26 aprile 2005, n. 63 (convertito con modif. dalla legge 25 giugno 2005, n. 109) ha specificato le misure di protezione già recate dall’art. 28 comma 4 del Codice dei beni culturali per la realizzazione di opere pubbliche in aree di interesse archeologico; in particolare gli articoli da 2-ter a 2-quinquies del DL (ora artt. 94 e 95 del Codice dei Contratti pubblici) prescrivono alle stazioni appaltanti l’obbligo di trasmettere al Soprintendente territorialmente competente la copia del progetto preliminare dell’intervento, corredato dagli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, e disciplinano le fasi, i responsabili ed i possibili esiti del successivo procedimento di verifica preventiva dell'interesse archeologico.
informazione e
comunicazione: il riassetto del
sistema radiotelevisivo
La vasta giurisprudenza costituzionale in materia di radiotelediffusione è stata mossa dalla costante e primaria preoccupazione di assicurare, in tale settore, l'effettiva garanzia del valore fondamentale del pluralismo che trova il suo fondamento nell’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero.
La giurisprudenza sviluppatasi in materia di pluralismo e di imparzialità dell'informazione – nell’ambito della quale un passaggio fondamentale è costituito dalla sentenza n. 826 del 1988[299] - ha trovato la sua sintesi nella sentenza n. 420 del 1994, nella quale la Corte ha richiamato il vincolo, imposto dalla Costituzione al legislatore, di assicurare il pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero, e di garantire, in tal modo, il fondamentale diritto del cittadino all'informazione[300]. Con tale sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 4, della legge 223/1990[301] (cd. legge Mammì), nella parte in cui prevedeva che le concessioni in ambito nazionale riguardanti la radiodiffusione televisiva rilasciate (o riconducibili) ad un medesimo soggetto non potessero superare il 25 per cento del numero di reti nazionali previste dal piano di assegnazione e comunque il numero di tre[302]. L’inadeguatezza di tale limite è stata valutata anche in considerazione del fatto che la disposizione prevedeva un limite meno rigoroso rispetto a quello del 20% stabilito dall’articolo 3, comma 1 della legge 67/1987[303] per l’editoria, nonché in considerazione della non illimitatezza delle frequenze, e della particolare forza di penetrazione dello strumento televisivo, che contribuisce a differenziarlo dalla carta stampata. In tale occasione la Corte ha anche precisato, nel rinviare al legislatore la scelta della definizione concreta dei limiti anticoncentrazione, l’inammissibilità di un limite percentuale pari ad 1/4 delle reti complessivamente disponibili (ovvero ad 1/3 di tutte le reti private in ambito nazionale).
Nella stessa occasione la Corte ha precisato che la dichiarazione di incostituzionalità non determinava un vuoto di disciplina, proprio per evitare un arretramento verso la mancanza di alcun limite alla titolarità di plurime concessioni, rimanendo pertanto efficace, “nel periodo di transizione - e limitatamente a tale periodo – la provvisoria legittimazione dei concessionari già assentiti …a proseguire nell’attività di trasmissione con gli impianti censiti”[304].
I principi enunciati dalla sentenza n. 420 del 1994 hanno avuto conferma nella sentenza n. 155 del 2002 della stessa Corte la quale, richiamando i punti essenziali delle precedenti decisioni, ha ribadito l'imperativo costituzionale, secondo cui il diritto di informazione, garantito dall'articolo 21 della Costituzione, deve essere «qualificato e caratterizzato, tra l'altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata». Tale sentenza pone in rilievo che la sola presenza dell'emittenza privata (cosiddetto pluralismo «esterno») non è sufficiente a garantire la completezza e l'obiettività della comunicazione politica, ove non concorrano ulteriori misure «sostanzialmente ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche» (cosiddetto pluralismo «interno»)[305].
Da ultimo, va segnalato che in relazione alle disposizioni della legge n. 249/1997 che stabilivano sostanzialmente le modalità per la determinazione della fine del periodo transitorio (v. art. 3 commi 6 e 7 della legge n. 249/97[306], che richiamano i limiti alla titolarità delle reti di cui all’art. 2, comma 6 della medesima legge) è stata sollevata questione di legittimità costituzionale - per supposta violazione degli artt. 3, 21, 41 e 136 della Costituzione[307] - decisa con la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002: con tale sentenza è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale – rispetto agli artt. 3 e 21 Cost. - dell’articolo 3, comma 7, della legge 249 nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003[308] entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso art. 3 devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo[309]. In relazione a tale data, la Corte ha precisato che essa “offre margini temporali all’intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui all’art. 3, comma 7, della legge n. 249 del 1997”.
Peraltro, la stessa sentenza della Corte – nella parte della motivazione – ha fatto presente che “la sorte del censurato comma 7 si riflette evidentemente sulle collegate previsioni di termine” di cui ai commi 9 e 11 del medesimo art. 3, riguardanti rispettivamente la realizzazione da parte della RAI della terza rete senza pubblicità e la disattivazione della rete eccedente che trasmette in forma codificata, c.d. televisione a pagamento”.
L’avvio dell’esame parlamentare delle proposte di legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo – poi confluito nell’approvazione della legge n. 112 del 2004 (v. capitolo Il riassetto del sistema radiotelevisivo) è stato preceduto[310] dal messaggio del Presidente della Repubblica – ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione - in materia di pluralismo e libertà di informazione, trasmesso alle Camere il 23 luglio 2002[311] (DOC I, n. 2).
Il messaggio ricorda come la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisca strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta, e, nel richiamare l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia (v. scheda Sistema radiotelevisivo – Giurisprudenza costituzionale), sottolinea come il “pluralismo esterno” non sia sufficiente a garantire la completezza e l’obiettività della comunicazione politica, ove non concorrano ulteriori misure “sostanzialmente ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche (cd. “pluralismo interno”). Il messaggio evidenzia, inoltre, come i principi del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione abbiano trovato organico sviluppo nel pacchetto di direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche (v. capitolo Le comunicazioni elettroniche, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti), in sintonia con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. scheda Carta dei diritti fondamentali dell’UE, nel dossier relativo alla Commissione affari comunitari). Si sottolinea, poi, la rilevanza del processo di evoluzione tecnologica, destinato a produrre un ampliamento delle occasioni di mercato che di per sé costituiscono un freno alla costituzione o al rafforzamento di posizioni dominanti; peraltro, il messaggio precisa che il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione non possono essere conseguenza automatica del progresso tecnologico, essendo a tal fine necessarie nuove politiche pubbliche.
In tale contesto (prospettiva della nuova realtà tecnologica, nuovo quadro normativo europeo, indicazioni della Corte costituzionale) nasce – secondo quanto indicato nel messaggio del Capo dello Stato - la necessità di una legge di sistema, che riservi particolare attenzione al ruolo centrale del servizio pubblico[312], alla tutela dei minori, alla definizione dei principi fondamentali per l’attivazione della potestà concorrente delle regioni ai sensi della riforma dell’art. 117 della Costituzione (v. scheda Sistema radiotelevisivo – I rapporti Stato – regioni), essendo lo Stato chiamato a svolgere la sua funzione essenziale di salvaguardia dell’unità della nazione. Il messaggio sottolinea altresì come, nell’elaborare la legge di sistema, si debba tener presente che “il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni, sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza e della opposizione”. Anche a tal fine, si suggerisce di estendere la vigilanza del Parlamento, in coordinamento con l’Autorità di garanzia, all’intero circuito mediatico, pubblico e privato, allo scopo di rendere omogeneo ed uniforme il principio della “par condicio”.
In conclusione, il messaggio individua – riassumendo le considerazioni formulate - alcuni obiettivi essenziali :
§ specificazione normativa – nel nuovo contesto tecnologico – dei principi e della giurisprudenza costituzionale;
§ attuazione delle pacchetto di direttive sulle comunicazioni elettroniche;
§ definizione del quadro normativo per l’attivazione della competenza concorrente delle regioni;
§ garanzia, attraverso il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione, dei diritti fondamentali dell’opposizione e delle minoranze.
A seguito di un complesso iter che ha visto l’approvazione, con due letture da parte di entrambe le Camere, del testo unificato (AC 310 e abb.-D) recante norme in materia di assetto del sistema radiotelevisivo, il testo è stato rinviato dal Presidente della Repubblica alle Camere, con messaggio motivato, a norma dell’art. 74 della Costituzione, in data 15 dicembre 2003.
Il messaggio di rinvio, dopo una breve ricostruzione dell’iter seguito dal testo unificato, nonché dei principali contenuti della sentenza della Corte costituzionale 20 novembre 2002, n. 466 (v. infra), intervenuta nel corso dell’iter, si sofferma principalmente sulle seguenti questioni:
§ cessazione del regime transitorio previsto dalla legge n. 249/97 e rapporto con la giurisprudenza costituzionale, con particolare riferimento alla sentenza 466/2002, il cui dispositivo stabilisce la necessaria fissazione di un termine certo e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, per la definitiva cessazione del “regime transitorio” (con gli effetti previsti dalla normativa vigente per le emittenti eccedenti i limiti “antitrust”, vale a dire, la trasmissione dei programmi irradiati da tali emittenti esclusivamente via satellite o via cavo, nonché la realizzazione da parte della RAI della terza rete senza pubblicità) (v. scheda Sistema radiotelevisivo – Giurisprudenza costituzionale). Il messaggio fa direttamente riferimento, a tal proposito, alla disciplina transitoria per la conversione dalla tecnica analogica alla tecnica digitale del sistema televisivo prevista dall’articolo 25 dell’AC 310 e abb.-D, richiamando in particolare i commi 1, 2 e 3 dell’articolo, che definivano i termini e le modalità per verificare l’ampliamento dell’offerta di programmi e del pluralismo (v. scheda Sistema radiotelevisivo – La disciplina transitoria);
§ concentrazione dei mezzi finanziari ed assunzione del sistema integrato delle comunicazioni (SIC) come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori della comunicazione, nonchè idoneità del limite del 20% calcolato su tale base (in considerazione delle sue dimensioni), ad evitare la formazione di posizioni dominanti[313]. Il messaggio fa direttamente riferimento, a tal proposito, all’articolo 15, comma 2, dell’AC 310 e abb. – D, che individuava il tetto del 20% del SIC, a sua volta strettamente correlato al comma 3, laddove venivano specificamente individuati i ricavi da considerare per il calcolo di tale quota (v. scheda Sistema radiotelevisivo – La disciplina anticoncentrazione);
§ questione del rapporto tra operatori della radiotelevisione e operatori della carta stampata nella raccolta pubblicitaria, riguardo alla necessità di evitare che gli operatori della radiotelevisione inaridiscano “una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, recando grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela”[314] e, in definitiva, della libertà di stampa costituzionalmente garantita;
§ necessità di espungere dal testo i riferimenti al decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198[315], del quale la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, con la sentenza n. 303 del 2003 (v. scheda Legge obiettivo – Giurisprudenza costituzionale, nel dossier, relativo alla Commissione Ambiente)
Il nuovo assetto costituzionale delineato dalla modifica del Titolo V della Costituzione ha attribuito la materia “ordinamento della comunicazione” alla competenza legislativa concorrente Stato-regioni. Nell’esame dell’articolazione dei rapporti Stato-regioni in tale materia occorre comunque considerare il profilo del pluralismo dell’informazione e più in generale della libertà di manifestazione del pensiero di cui all’articolo 21 della Costituzione (vedi capitolo L’ordinamento della comunicazione, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti).
Per quanto concerne il rapporto tra competenze statali e competenze regionali in materia di informazione, occorre evidenziare che, a seguito della modifica del Titolo V, la Corte costituzionale non ha mutato gli orientamenti già affermati in numerose sentenze antecedenti la riforma del Titolo V[316] ed ha anzi riaffermato il principio secondo cui l’informazione sarebbe riconducibile non tanto ad una materia, quanto ad una “condizione per l’attuazione dei principi propri dello Stato democratico”; in tale ambito, tutti i soggetti o organi rappresentativi investiti di competenze di natura politica non possono, ad avviso della Corte, risultare estranei all’impiego dei mezzi di comunicazione di massa (sentenza n. 312 del 2003[317]). La Corte suggerisce quindi l’opportunità di seguire una “logica concertativa” nella definizione della disciplina della comunicazione.
Nella sentenza n. 318 del 2003 in materia di radiocomunicazioni la Corte ritorna sul “principio della leale cooperazione”, attraverso il quale sono efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le posizioni costituzionalmente rilevanti.
I principi cui le regioni debbono conformarsi nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di emittenza radiotelevisiva in ambito regionale o provinciale sono stati precisati dall’articolo 16, comma 1, della legge 3 maggio 2004, n. 112, che ha delegato il Governo ad adottare il testo unico delle disposizioni legislative in materia di radiotelevisione, nel rispetto della Costituzione, delle norme di diritto internazionale vigenti nell'ordinamento interno e degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Si tratta innanzitutto dei principi fondamentali contenuti nel Capo I della legge 112/2004 (vale a dire, la garanzia del pluralismo, la tutela della libertà di espressione, l’obiettività, l’imparzialità e la completezza dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze, la salvaguardia del patrimonio culturale, artistico ed ambientale, il rispetto della dignità umana, della salute, dello sviluppo fisico, psichico e morale dei minori) nonché di altri principi espressamente elencati dall’articolo 16 (rispetto degli accordi internazionali, della normativa dell'Unione europea e di quella nazionale, rispetto dei princìpi di non discriminazione, proporzionalità e obiettività, nonché rispetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela della salute, di tutela del territorio, dell'ambiente e del paesaggio e delle bellezze naturali).
Tali principi sono stati integralmente riprodotti nel Testo unico sulla radiotelevisione (d. lgs 177/2005: cfr. articolo 12, che richiama in via generale le competenze delle regioni). Nel definire i compiti di pubblico servizio in ambito regionale e provinciale, il Testo unico richiama (articolo 46, commi 1 e 2) i principi di cui alle lett. e) ed f) della norma di delega[318], inserendo peraltro una precisazione in ordine al rispetto - da parte delle leggi regionali - delle disposizioni sanzionatorie relative alla tutela dell’utente, contenute nel testo unico.
Alla competenza legislativa regionale è ricondotta la definizione degli specifici compiti di pubblico servizio che la società concessionaria è tenuta ad adempiere nell’orario e nella rete di programmazione destinati alla diffusione di contenuti in ambito regionale o, per le province autonome di Trento e di Bolzano, in ambito provinciale; a tal fine, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano è data la possibilità di stipulare, previa intesa con il Ministero delle comunicazioni, specifici contratti di servizio con la società concessionaria del servizio pubblico generale di radiodiffusione (articolo 46).
Con riferimento alle competenze amministrative, si ricorda che alle regioni e alle province è attribuito, rispettivamente, il rilascio dell’autorizzazione per la fornitura di contenuti televisivi e dati destinati alla diffusione in tecnica digitale su frequenze terrestri in ambito regionale o provinciale (articolo 18).
Sono, infine, previsti specifici compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo concernentila diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d’Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia; l’articolazione della società concessionaria in una o più sedi nazionali e in sedi in ciascuna regione e, per la regione Trentino-Alto Adige, nelle province autonome di Trento e di Bolzano; la valorizzazione e il potenziamento dei centri di produzione decentrati (articolo 45, lett. p), q) ed r)).
Merita, infine, segnalare che la legge n. 112 del 2004 (articolo 13) e il Testo unico della radiotelevisione (articolo 13) hanno confermato l’articolazione su base territoriale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che svolge le proprie competenze in materia radiotelevisiva attraverso i Comitati regionali per le comunicazioni (CORECOM), organi funzionali dell’Autorità.
Si ricorda che l’art. 1, comma 13, della legge n. 249 del 1997, ha previsto, “riconoscendo le esigenze di decentramento sul territorio al fine di assicurare le necessarie funzioni di governo, di garanzia e di controllo in tema di comunicazione” i Comitati regionali per le comunicazioni, da istituirsi con legge regionale entro sei mesi dall’insediamento dell’Autorità, ai quali sono altresì attribuite le competenze in precedenza svolte dai comitati regionali radiotelevisivi”[319].
Alla disciplina a tutela della concorrenza e del mercato, anche per gli aspetti che involgono il pluralismo dell’informazione, è dedicato il Capo II della legge n. 112 del 2004, sostanzialmente confluito nel Titolo VI del testo unico della radiotelevisione (d.lgs. 177/2005).
L’articolo 14 della legge assegna all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni compiti di verifica[320] relativi alla individuazione del mercato rilevante, conformemente ai principi previsti dalla direttiva 2002/21/CE in materia di comunicazioni elettroniche (v. scheda Comunicazioni elettroniche – La concorrenza nei mercati rilevanti, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti), nonchè alla formazione di posizioni dominanti[321] nel sistema integrato delle comunicazioni e nei mercati che lo compongono, tenendo conto di un complesso di parametri[322]; nel caso in cui dall’accertamento emergano casi di violazione dei limiti imposti dalla legge, l’Autorità può operare con i poteri conferiti dalla legge 249/97, adottando anche provvedimenti “deconcentrativi”[323].
L’articolo 15 reca una nuova disciplina antitrust, con la individuazione dei limiti al cumulo dei programmi e dei limiti al cumulo delle risorse, questi ultimi calcolati in rapporto ai ricavi relativi ai settori che compongono il “sistema integrato delle comunicazioni”, definito dall’articolo 2 della legge n. 112 del 2004 come “il settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di INTERNET; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni”[324]. L’articolo contempla inoltre alcune disposizioni puntuali relative ai limiti di affollamento pubblicitario previsti dalla L. 223/1990[325].
Per quanto concerne la disciplina dei nuovi limiti antitrust, si ricorda in particolare che:
§ un medesimo fornitore di contenuti non può essere titolare di autorizzazioni che consentano di diffondere più del 20% del totale dei programmi (rispettivamente, televisivi o radiofonici), irradiabili su frequenze terrestri in ambito nazionale, mediante le reti previste dal piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale[326].
Quanto al “fornitore di contenuti”, la lettera d) dell’articolo 2, comma 1, del testo unico della radiotelevisione – in cui risulta confluito l’identica lettera d) dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 112 del 2004 (vedi infra) –identifica il fornitore di contenuti nel soggetto che ha la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi televisivi o radiofonici e dei relativi programmi-dati destinati alla diffusione anche ad accesso condizionato su frequenze terrestri in tecnica digitale, via cavo o via satellite o con ogni altro mezzo di comunicazione elettronica e che è legittimato a svolgere le attività commerciali ed editoriali connesse alla diffusione delle immagini o dei suoni e dei relativi dati. La successiva lettera h) dello stesso comma 1 dell’articolo 2 del testo unico definisce “fornitore di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato”[327] il soggetto che “fornisce, attraverso l'operatore di rete, servizi al pubblico di accesso condizionato, compresa la pay per view, mediante distribuzione agli utenti di chiavi numeriche per l'abilitazione alla visione dei programmi, alla fatturazione dei servizi ed eventualmente alla fornitura di apparati, ovvero che fornisce servizi della società dell'informazione ovvero fornisce una guida elettronica ai programmi”[328];
§ il limite alla raccolta delle risorse del sistema integrato delle comunicazioni è individuato nel 20% dei ricavi complessivi del “sistema integrato delle comunicazioni”: pertanto, un soggetto iscritto nel registro degli operatori di comunicazione non può conseguire ricavi superiori a tale percentuale.
Il comma 3 dell’art. 15 individua le tipologie di ricavi da considerare ai fini del calcolo della percentuale. Tale comma, nel testo che era stato rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica (AC 310 e abb.– D) (DOC. I, n. 5), considerava i ricavi derivanti dal canone (testualmente, dal finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo al netto dei diritti dell’erario), da pubblicità nazionale e locale, da sponsorizzazioni, da televendite, dagli investimenti di enti o imprese finalizzate alla promozione dei propri prodotti o servizi, da convenzioni con soggetti pubblici, da provvidenze pubbliche, da offerte televisive a pagamento, da vendite di beni, servizi e abbonamenti relativi ai settori del sistema integrato delle comunicazioni come definito dal testo oggetto di rinvio. A seguito delle modifiche apportate successivamente nell’iter parlamentare, i ricavi sono ora individuati come “quelli derivanti dal finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo al netto dei diritti dell’erario, da pubblicità nazionale e locale anche in forma diretta, da televendite, da sponsorizzazioni, da attività di diffusione del prodotto realizzata al punto vendita con esclusione di azioni sui prezzi, da convenzioni con soggetti pubblici a carattere continuativo e da provvidenze pubbliche erogate direttamente ai soggetti indicati dall’art. 2, comma 1, lettera g), da offerte televisive a pagamento, dagli abbonamenti e dalla vendita di quotidiani e periodici inclusi i prodotti librari e fonografici commercializzati in allegato, nonché dalle agenzie di stampa a carattere nazionale, dall’editoria elettronica e annuaristica anche per il tramite di INTERNET e dalla utilizzazione delle opere cinematografiche nelle diverse forme di fruizione del pubblico”. Si tratta di modifiche risultate conseguenti al rinvio del testo approvato dalle due Camere. Il messaggio portava, infatti, all’attenzione del Parlamento la questione della disciplina antitrust, in particolare in rapporto alla possibile concentrazione delle risorse finanziarie in capo ad alcuni operatori. Tale rischio veniva posto in connessione con la scelta di assumere il sistema integrato delle comunicazioni (SIC) - individuato dall’A.C. 310 e abb.-D come sistema formato da imprese radiotelevisive, imprese dell’editoria anche elettronica, operatori pubblicitari, discografici, produttori e distributori cinematografici - come base di riferimento per il calcolo del limite delle risorse dei singoli operatori della comunicazione; infatti, il messaggio rilevava che, “a causa della sua dimensione” (del SIC), si poteva consentire a chi detenesse “il 20%, di disporre di strumenti di comunicazioni in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti” Il messaggio faceva direttamente riferimento, a tal proposito, all’articolo 15, comma 2, del testo oggetto di rinvio che individuava il tetto del 20% dei ricavi complessivi del SIC; disposizione che andava letta in combinato disposto con il successivo comma 3, relativo alla specifica individuazione dei ricavi che compongono il “paniere” sul quale va calcolato il “tetto” indicato;
§ gli organismi di telecomunicazioni i cui ricavi nel mercato dei servizi di telecomunicazioni siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di quel mercato non possono conseguire ricavi superiori al 10% dei ricavi del settore integrato delle comunicazioni;
§ è fatto divieto ai soggetti esercenti attività televisiva nazionale attraverso più di una rete di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani[329], nonché di partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani, fino al 31 dicembre 2010.
In materia di posizioni dominanti e di sviluppo del digitale terrestre sono intervenute diverse delibere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, anche al fine della attuazione della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 112 del 2004.[330]
L’articolo 19 del DL 273/2005[331] - modificando il comma 5 dell’articolo 2-bis del DL 5/2001[332] - è intervenuto sul termine di scadenza per la completa conversione del sistema televisivo su frequenze terrestri dalla tecnica analogica alla tecnica digitale (c.d. switch off).
A seguito della modifica introdotta, il termine originario del 31 dicembre 2006 è stato prorogato al 31 dicembre 2008 (testualmente: “entro l’anno 2008”).
La modifica è nata dall’esigenza di coerenzacon quanto stabilito nelle due comunicazioni della Commissione europea (del 24 maggio e del 29 settembre 2005) sulla fase di transizione (switch-over), nonché nelle conclusioni approvate dal Consiglio dell’Unione europea il 1º dicembre 2005, secondo le quali alcuni Stati membri prevedevano di completare la migrazione dalla trasmissione radiotelevisiva analogica terrestre a quella digitale entro il 2012, mentre altri (fra cui l’Italia) vi sarebbero giunti a livello regionale o nazionale prima del 2008( vedi infra).
L’articolo 19 del DL 273/2005 inserisce poi nel citato comma 5 dell’articolo 2-bis, una nuova disposizione a norma della quale - al fine della completa conversione del sistema televisivo su frequenze terrestri dalla tecnica analogica alla tecnica digitale – sono individuate aree all digital nelle quali si possa accelerare la completa conversione.
Nell’ottica di un approccio allo switch off su base regionale e allo scopo di affrontare la complessità della transizione prendendo come riferimento territori con caratteristiche di isolamento geografico, in data 16 aprile 2005 sono stati sottoscritti – al fine della definitiva transizione alla televisione digitale terrestre nel territorio delle regioni autonome Valle d'Aosta e Sardegna - protocolli d’intesa dal Ministero delle comunicazioni, dalle predette regioni e dall'Associazione DGTVi (Associazione italiana per lo sviluppo del Digitale Televisivo Terrestre), con cui le parti si sono impegnate a mettere in atto tutte le attività necessarie per rendere possibile già entro il 31 gennaio 2006 la transizione al digitale terrestre nelle aree principali delle due regioni. Nei protocolli venivano individuate due fasi della transizione: entro il 31 gennaio 2006[333] per i capoluoghi di provincia ed entro il 31 luglio 2006 per l’intera regione.
Il decreto ministeriale 1° settembre 2005 – proprio al fine di conseguire l’obiettivo sopra indicato (definitiva transizione delle trasmissioni televisive su frequenze terrestri dalla tecnologia analogica a quella digitale già entro il 31 gennaio 2006) – aveva riservato una quota dello stanziamento di cui all'art. 1, comma 211, della legge 30 dicembre 2004, n. 311[334], in relazione alle erogazioni effettuate alla data del decreto, per i contributi finalizzati all’acquisto o al noleggio, anche con possibilità finale di acquisto, di apparecchi idonei a consentire la ricezione in chiaro e senza alcun costo per l'utente e per il fornitore di contenuti dei segnali televisivi in tecnica digitale terrestre (T-DVB/C-DVB) e la conseguente interattività, in favore di abbonati al servizio di radiodiffusione delle regioni Sardegna e Valle d'Aosta, in regola con il pagamento del canone di abbonamento per l'anno in corso.
Il decreto ministeriale 2 settembre 2005 ha poi riconosciuto agli abbonati al servizio di radiodiffusione televisiva, in regola con il pagamento del canone di abbonamento, delle regioni autonome della Sardegna e della Valle d'Aosta, un contributo di 20 euro per l'acquisto od il noleggio di un apparecchio idoneo a consentire la ricezione, in chiaro e senza alcun costo per l'utente e per il fornitore di contenuti, di segnali televisivi in tecnica digitale e una elevata interattività da remoto[335].
Da ultimo, il comma 572 dell’articolo 1 della legge 266/2005 (legge finanziaria per il 2006) è intervenuto sulle aree all digital, prevedendo, per l’anno 2006 un contributo nei confronti degli abbonati al servizio di radiodiffusione delle aree all digital di Sardegna e Valle d’Aosta e di quattro ulteriori aree all digital da individuare con decreto del Ministro delle comunicazioni, nonché degli abbonati che dimostrino di essere titolari di abitazione nelle medesime aree attraverso il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili, in regola per l’anno in corso con il pagamento del relativo canone di abbonamento, che non abbiano beneficiato del contributo previsto dall’articolo 4, comma 1, della legge finanziaria per il 2004, e dall’articolo 1, comma 211, della legge finanziaria per il 2005, che acquistino o noleggino un apparato idoneo a consentire la ricezione, in chiaro e senza alcun costo per l’utente e per il fornitore di contenuti, di segnali televisivi in tecnica digitale. Il contributo pari a 90 euro per i casi di acquisto o noleggio effettuati dal 1º al 31 dicembre 2005 e di 70 euro per quelli effettuati dal 1º gennaio 2006 è riconosciuto a condizione che sia garantita la fruizione diretta e senza restrizione dei contenuti e servizi in chiaro e che siano fornite prestazioni di interattività, anche da remoto, attraverso interfacce di programmi (API) aperte e riconosciute tali, conformi alle norme pubblicate nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), nonché a condizione che il canale di interazione, attivato su linea telefonica analogica commutata, sia supportato da un modem abilitato a sostenere, per tale tipo di accesso, la classe di velocità V90/V92, fino a 56 Kbits ovvero una velocità almeno equivalente per le altre tecnologie trasmissive di collegamento alle reti pubbliche di telecomunicazioni. Ai titolari di alberghi, strutture ricettive, campeggi ed esercizi pubblici situati nelle aree all digital, il contributo è riconosciuto per ogni apparecchio televisivo messo a disposizione del pubblico. La concessione del contributo è disposta entro il limite di 10 milioni di euro.
La promozione della televisione digitale costituisce uno dei settori di intervento previsti dalla strategia di Lisbona, essendo considerata uno strumento efficace ai fini dell’accesso generalizzato di tutti i cittadini ai nuovi servizi e applicazioni della società dell’informazione.
Il 24 maggio 2005 la Commissione ha adottato una comunicazione relativa all’accelerazione della transizione dalla radiodiffusione analogica a quella digitale delle emissioni televisive (COM(2005)204).
Nel documento la Commissione auspica che tale transizione possa consolidarsi per il 2010 ed essere definitivamente completata su tutto il territorio dell’Unione europea entro il 2012.
Il 29 settembre 2005 la Commissione ha adottato una comunicazione concernente “Priorità della politica dell'UE in materia di spettro radio per il passaggio al digitale nel contesto della prossima Conferenza regionale delle radiocomunicazioni dell'UIT del 2006 (RRC-06)” (COM(2005)461). La comunicazione intende contribuire agli obiettivi dell'iniziativa i-2010, avviata in relazione all'agenda di Lisbona, e sottolinea l'importanza di disporre dello spettro radio per stimolare l'innovazione nelle tecnologie dell’informazione e di gestire tale risorsa con maggiore flessibilità per utilizzarla in maniera più efficiente.
I due documenti sono stati trasmessi al Parlamento europeo e al Consiglio, che li ha esaminati congiuntamente il 1° dicembre 2005. Il Consiglio, in particolare, ha invitato gli Stati membri a completare il passaggio al digitale, nella misura del possibile, entro il 2012, e a pubblicare, ove non l’avessero ancora fatto, entro il 2006, le loro proposte di migrazione; ha poi invitato la Commissione a tenere aggiornate sul sito Internet le informazioni sui piani nazionali, e a sostenere lo sviluppo di distribuzioni nuove e innovative nonché le tecnologie senza filo attraverso i programmi UE di ricerca e sviluppo tecnologico.
Il Capo V della legge 112 /2004 - sostanzialmente confluito nel Titolo III, Capo IV, del testo unico della radiotelevisione, di cui al d. lgs. 177/2005 – individua il regime giuridico da applicare nella fase del passaggio dalla tecnica analogica a quella digitale sino alla definitiva cessazione delle trasmissioni analogiche (v. scheda Sistema radiotelevisivo – La conversione in tecnica digitale)[336]
Nell’ambito del Capo V, l’articolo 22 assegna all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di definire il programma di attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze (radiofoniche e televisive) in tecnica digitale.
L’articolo 23 reca un’articolata disciplina relativa alla “fase transitoria”, volta all’avvio delle trasmissioni televisive in tecnica digitale, prevedendo in particolare che fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale, in possesso dei requisiti previsti dalla disciplina vigente per ottenere l’autorizzazione alla sperimentazione, possano effettuarla – anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica – fino alla completa conversione delle reti; tale sperimentazione può essere effettuata sugli impianti legittimamente operanti in tecnica analogica; i medesimi soggetti possono altresì richiedere le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre [337].
A tale proposito, occorre ricordare come la disposizione preveda che:
- la licenza di operatore di rete televisiva può essere rilasciata, su domanda, ai soggetti che esercitano legittimamente l’attività in virtù del titolo concessorio o “per il generale assentimento di cui al comma 1”, qualora dimostrino di aver raggiunto una copertura non inferiore al 50 per cento della popolazione o del bacino locale;
- tutte le frequenze destinate al servizio di radiodiffusione concorrono promiscuamente allo svolgimento dell’attività trasmissiva in tecnica analogica ed in tecnica digitale, e pertanto sono abrogate le norme vigenti che riservano tre canali alla sola sperimentazione digitale.
L’articolo 24 prevede una specifica disciplina per l’avvio delle trasmissioni radiofoniche in tecnica digitale, dettando princìpi e criteri direttivi per un successivo regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed autorizzando il Ministro delle comunicazioni a stabilire un programma con cui sono individuate specifiche misure di sostegno.
L’articolo 25 disciplina le modalità per accelerare ed agevolare la conversione alla trasmissione in tecnica digitale. Nell’ambito di tale disciplina, si ricorda in particolare quanto segue:
§ è stata prevista l’attivazione, a decorrere dal 31 dicembre 2003, di reti televisive digitali terrestri, con un’offerta di programmi in chiaro accessibili mediante decoder o ricevitori digitali (comma 1);
§ in capo alla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo è stato posto l’obbligo di realizzare almeno due blocchi di diffusione su frequenze terrestri con una copertura del territorio nazionale che raggiunga il 50% della popolazione dal 1º gennaio 2004, ed il 70%entro il 1º gennaio 2005, nonché di individuare uno o più bacini di diffusione, di norma coincidenti con uno o più comuni situati in aree con difficoltà di ricezione del segnale analogico, nei quali avviare entro il 1º gennaio 2005 la completa conversione alla tecnica digitale[338] (comma 2);
§ all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è stato attribuito il compito di verificare l’effettivo sviluppo del digitale terrestre e della rispondenza di tale sviluppo ai tempi e alle modalità previste dalla legge (comma 3). In particolare, l’Autorità è stata chiamata ad effettuare un esame dell’offerta complessiva dei programmi televisivi digitali terrestri, entro il 30 aprile 2004, allo scopo di accertare:
a) la quota di popolazione raggiunta dalle reti digitali terrestri (che non doveva essere inferiore al 50%, come già accennato);
b) la presenza sul mercato nazionale di decoder a prezzi accessibili;
c) l’effettiva offerta al pubblico sulle reti digitali anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche.
L’Autorità era tenuta ad inviare, entro trenta giorni dalla data di completamento della verifica, una relazione al Governo e al Parlamento in merito all’accertamento effettuato (comma 4). Nel caso in cui, a seguito di tale accertamento, l’Autorità avesse verificato l’assenza delle condizioni previste per l’ampliamento del pluralismo, la legge autorizzava espressamente la medesima Autorità ad adottare i provvedimenti “deconcentrativi” indicati dal comma 7 dell’art. 2 della L. 249/1997[339].
L’Autorità ha provveduto a tali adempimenti, presentando la relazione prevista entro i termini stabiliti (DOC. XXVII, n. 14). Con tale relazione si è dato contodell’accertamento positivo relativo alle condizioni poste dalla legge. Al contempo, l’Autorità ha segnalato le azioni positive ancora necessarie affinché “l’avvio promettente della televisione digitale terrestre si tramuti in un reale cambiamento del grado di concorrenzialità del mercato televisivo ed in un effettivo ampliamento del pluralismo culturale, politico ed informativo”.
Per quanto concerne la diffusione della televisione digitale terrestre, si ricorda che l’art. 25, co. 6, ha previsto l’intervento di un regolamento governativo, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, per definire gli incentivi all’acquisto e alla locazione finanziaria necessari per favorire la diffusione nelle famiglie italiane di apparecchi utilizzabili per la ricezione di segnali televisivi in tecnica digitale.
Il regolamento in questione non è stato ancora adottato, in quanto strettamente connesso all’effettivo sviluppo del processo di privatizzazione della RAI. Infatti, il medesimo articolo 25 ha stabilito che il regolamento debba disporre nei limiti della copertura finanziaria prevista a tale scopo dalla legge e possa essere attuato ovvero modificato o integrato solo successivamente alla riscossione dei proventi derivanti dall’alienazione della partecipazione dello Stato nella RAI Spa. Si ricorda che l’art. 21, co. 7 della legge ha disposto che quota parte dei proventi derivanti dalle operazioni di collocamento sul mercato di azioni ordinarie della RAI siano destinanti per il 25% al finanziamento degli incentivi di cui all’articolo ora in esame (sullo stato del processo di privatizzazione della RAI, v. scheda Il servizio pubblico televisivo).
Ulteriori disposizioni dell’articolo 25 riguardano:
§ l’applicazione del limite antitrust relativo al numero complessivo di programmi irradiabili da uno stesso soggetto fino alla completa attuazione del piano di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale terrestre limite fissato al 20% e calcolato sul numero complessivo dei programmi televisivi concessi o irradiati in ambito nazionale su frequenze terrestri indifferentemente in tecnica analogica o in tecnica digitale (comma8).
I programmi televisivi irradiati in tecnica digitale possono concorrere a formare la base di calcolo ove raggiungano una copertura pari al 50 per cento della popolazione. Al fine del rispetto del limite del 20 per cento non sono computati i programmi che costituiscono la replica simultanea di programmi irradiati in tecnica analogica (commi 8 e 9). Per la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo i programmi irradiati in tecnica digitale avvalendosi della riserva di blocchi di diffusione non concorrono al raggiungimento del limite antitrust sopra descritto (comma 10);
§ la possibilità di prolungare – da parte del Ministero delle comunicazioni – il termine di validità delle concessioni e delle autorizzazioni per le trasmissioni in tecnica analogica sino alla scadenza del termine previsto dalla legge per la conversione definitiva delle trasmissioni in tecnica digitale (vedi scheda Sistema radiotelevisivo – La conversione in tecnica digitale), subordinatamente alla presenza delle condizioni di effettivo ampliamento dell’offerta e del pluralismo (comma 11).
§ una disciplina “transitoria”, che fa salvo il regime della licenza individuale (in luogo del regime dell’autorizzazione previsto dall’articolo 5 della legge) per l’attività di operatore di rete fino alla scadenza del termine previsto dalla legge per la conversione definitiva delle trasmissioni in tecnica digitale (comma 12).
Appare utile ricordare brevemente che il testo dell’articolo 25, e in particolare dei commi 1-4 (che costituiscono anche il presupposto della disciplina recata dai successivi commi, in particolare 8-11), è stato oggetto di numerose modifiche e riformulazioni nel corso dell’iter parlamentare, specie dopo il rinvio alle Camere del testo originariamente approvato, ai sensi dell’art. 74 Cost., da parte del Presidente della Repubblica, avvenuto il 15 dicembre 2003 (DOC. I, n. 5). Una delle questioni segnalate con il messaggio che accompagnava tale rinvio[340] riguardava la cessazione del regime transitorio previsto dalla legge n. 249/1997 ed il rapporto della nuova disciplina transitoria per la conversione dalla tecnica analogica alla tecnica digitale con la giurisprudenza costituzionale, in particolare con la sentenza n. 466/2002: tale sentenza stabiliva la necessaria fissazione di un termine finale certo e non prorogabile, che comunque non oltrepassasse il 31 dicembre 2003[341], per la definitiva cessazione del “regime transitorio” (con gli effetti previsti dalla normativa allora vigente per le emittenti eccedenti i limiti anti-trust, vale a dire, la trasmissione dei programmi irradiati da tali emittenti esclusivamente via satellite o via cavo, nonché la realizzazione da parte della RAI della terza rete senza pubblicità)[342].
In relazione alla data indicata, la Corte costituzionale precisava, in motivazione, che essa “offre margini temporali all’intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui all’art. 3, comma 7 della legge n. 249 del 1997” e che “…la presente decisione, concernente le trasmissioni radiotelevisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili”.
Il messaggio di rinvio del Capo dello Stato, nel richiamare i principali contenuti della sentenza n. 466 e del regime transitorio previsto dalla legge n. 249/97, evidenziava in particolare come la Corte avesse osservato da un lato che la situazione di fatto esistente “non garantisce l’attuazione del principio del pluralismo informativo esterno – che costituisce uno degli “imperativi” ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale”, e come, dall’altro, l’ultima considerazione in diritto precisasse che la decisione, concernente le trasmissioni televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, “non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili”.
Pertanto, il messaggio concludeva, su questo punto, che “per poter giudicare superabile il limite temporale fissato nel dispositivo, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante da tale espansione” (si intende, della tecnica di trasmissione digitale terrestre).
Sulla base di tali premesse, nel messaggio si lamentava, da un lato, che il termine assegnato all’Autorità per la verifica[343] si traduceva, di fatto, nella proroga di un anno del termine fissato dalla Corte costituzionale e, dall’altro, si rilevava la mancanza di indicazioni precise in ordine al tipo ed agli effetti dei provvedimenti successivi all’eventuale esito negativo dell’accertamento (relativo alle condizioni “minime” che avrebbero dovuto garantire il pluralismo), e dunque, ai poteri dell’Autorità conseguenti all’accertamento[344].
Ancora con specifico riferimento alla questione del termine, riprendendo un passaggio del considerato in diritto della sentenza n. 466/2002, il Capo dello Stato osservava che “il 1° gennaio 2004 può essere considerato come il dies a quo non di un nuovo regime transitorio, ma dell’attuazione delle predette modalità di cessazione del regime medesimo, che devono essere determinate dal Parlamento entro il 31 dicembre 2003. Si rende, inoltre, necessario indicare il dies ad quem e, cioè, il termine di tale fase di attuazione”. Tale osservazione appare connessa a quel passaggio introduttivo, di carattere più generale, nel quale si segnala che per poter giudicare superabile il limite temporale fissato nel dispositivo della sentenza, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante dall’espansione della tecnica digitale terrestre.
Occorre infine ricordare che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 466/2002, è stato adottato il decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante “Disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249” (convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2004, n. 43), il quale ha in parte ripreso, in parte anticipato alcune norme dell’art. 25 della legge n. 112.
Con tale decreto sono stati infatti previsti adempimenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni finalizzati a verificare l’effettivo ampliamento delle offerte televisive e del pluralismo attraverso nuove reti digitali terrestri, sulla base di alcuni parametri ivi indicati (confluiti nell’art. 25 della legge n. 112 ); sono stati previsti termini più ravvicinati (rispetto al testo nella versione rinviata alle Camere dal Capo dello Stato), entro cui doveva intervenire l’accertamento; si è poi precisato quali provvedimenti poteva adottare l’Autorità al termine della verifica; è stata, infine, introdotta una disposizione che esplicitamente consentiva alle reti “eccedentarie” di proseguire nell’esercizio dell’attività, e alla RAI di avvalersi di risorse pubblicitarie su tutte le proprie reti “fino alla data di adozione delle deliberazioni dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”[345].
Alla disciplina recata dall’art. 1, commi 1 e 2 del DL 352/2003, come risultante a seguito dell’approvazione della legge di conversione, è stata uniformata la formulazione dell’articolo 25 della legge n. 112, e in particolare, delle norme di cui ai commi 3 e 4, laddove sono stati previsti tempi e criteri dell’accertamento, da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sull’offerta dei programmi televisivi digitali terrestri .
Con riferimento al servizio pubblico radiotelevisivo, occorre preliminarmente ricordare che esso trova fondamento costituzionale nei principi della libertà di parola e nel diritto di informare e di essere informati (art. 21 Cost.). Nella sentenza n. 284 del 2002 la Corte costituzionale ha avuto modo di ribadire che il venir meno del monopolio statale non comporta il venire meno della giustificazione costituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo, che risiede nella sua funzione specifica, volta a soddisfare il citato diritto all’informazione ed i connessi valori costituzionali, primo fra tutti il pluralismo, nonchè a diffondere la cultura “per concorrere allo sviluppo sociale e culturale del paese”. Riguardo al finanziamento del servizio pubblico, poi, la Corte, nella medesima sentenza, ha ribadito la natura di prestazione tributaria del canone (imposta di scopo). Ad avviso della Corte, proprio l’interesse generale che sorregge l’erogazione del servizio pubblico può richiedere una forma di finanziamento fondata sul ricorso allo strumento fiscale. Inoltre, “il finanziamento parziale mediante il canone consente, e per altro verso impone, al soggetto che svolge il servizio pubblico di adempiere agli obblighi particolari ad esso connessi, sostenendo i relativi oneri, e, più in generale, di adeguare la tipologia e la qualità della propria programmazione alle specifiche finalità di tale servizio, non piegandole alle sole esigenze quantitative dell’ascolto e della raccolta pubblicitaria, e non omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti privati che operano nel ristretto e imperfetto "mercato" radiotelevisivo”.
La legge n. 112 del 2004 (cosiddetta Legge Gasparri) ha ridefinito i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo e della concessionaria, con la definizione dei tempi e dei modi di avvio del processo di privatizzazione della RAI, la modifica della durata della concessione, nonchédella composizione e delle procedure di nomina degli organi dellaRAI. Tali norme sono quindi confluite nel Testo unico della radiotelevisione.
In particolare sono definiti i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo e quelli di pubblico servizio in ambito regionale e provinciale. Il servizio pubblico generale radiotelevisivo deve garantire:
· la copertura integrale del territorio nazionale;
· un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all'educazione, all'informazione, alla formazione, alla promozione culturale e la realizzazione di attività di insegnamento a distanza;
· l'accesso alla programmazione, in favore dei partiti e dei gruppi politici, delle organizzazioni associative delle autonomie locali, dei sindacati nazionali, delle confessioni religiose, dei gruppi etnici e linguistici e degli altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta e la trasmissione gratuita dei messaggi di utilità sociale;
· la costituzione di una società per la produzione, la distribuzione e la trasmissione di programmi radiotelevisivi all'estero, finalizzati alla conoscenza e alla valorizzazione della lingua, della cultura e dell'impresa italiane;
· la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca, ladina, francese e slovena per le regioni di confine e la valorizzazione e il potenziamento dei centri di produzione decentrati, per la promozione delle culture e degli strumenti linguistici locali;
· la trasmissione, in orari appropriati, di contenuti destinati specificamente ai minori;
· la conservazione degli archivi storici radiofonici e televisivi;
· la destinazione di una quota non inferiore al 15 per cento dei ricavi complessivi annui alla produzione di opere europee;
· la tutela delle persone portatrici di handicap sensoriali.
Viene inoltre dettata la disciplina del finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo, garantendo che il finanziamento derivante dai proventi del canone di abbonamento alla radiotelevisione venga effettivamente ed esclusivamente impiegato per la realizzazione dei compiti di sevizio pubblico[346]. A tal fine si prevede che la società concessionaria predisponga il bilancio di esercizio indicando in una contabilità separata i ricavi derivanti dal canone e gli oneri sostenuti nell’anno solare precedente, in base ad uno schema approvato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alla quale è altresì affidato il compito di verificare l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico[347].
L'ammontare del canone di abbonamento è determinato annualmente con decreto del Ministro delle comunicazioni in misura tale da consentire alla società concessionaria di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo. La società concessionaria del servizio pubblico ha inoltre entrate pubblicitarie, seppure con limiti diversi rispetto ai concessionari privati. La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria pubblica non può infatti eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; mentre per i concessionari privati per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale la trasmissione di spot pubblicitari non può eccedere il 15 per cento dell'orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di ogni ora.
Il servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidato per concessione ad una società per azioni (la legge n. 223 del 1990[348] prevedeva l’affidamento mediante concessione ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica) ed è svolto sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero delle comunicazioni e di contratti di servizio regionali e, per le province autonome di Trento e di Bolzano, provinciali, con i quali sono individuati i diritti e gli obblighi della società concessionaria. Tali contratti sono rinnovati ogni tre anni. In tale ambito la legge 112/2004 ha attribuito all'Autorità il compito di fissare - d'intesa con il Ministro - prima di ciascun rinnovo triennale del contratto le linee-guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Si segnala peraltro che ulteriori obblighi per la concessionaria sono contenuti all’art. 19 della legge 14 aprile 1975, n. 103[349], mentre il successivo articolo 20 definisce i relativi corrispettivi. Tali articoli non sono confluiti nel testo unico.
In via di prima applicazione, la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidata, per la durata di dodici anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa. A tal fine, la legge detta disposizioni che adeguano la disciplina della società a quella generale delle società per azioni, nella prospettiva della dismissione della partecipazione dello Stato nella RAI-Holding, la cui disciplina, contenuta nella legge n. 112 del 2004, non è confluita nel Testo unico.
In applicazione della legge è stata in primo luogo disposta la fusione per incorporazione della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa nella società RAI-Holding Spa. Il processo di privatizzazione dovrebbe avvenire attraverso una o più offerte pubbliche di acquisto.Attesa la previsione di un limite al possesso azionario dell’1%, all’esito del procedimento di dismissione la società concessionaria si configurerebbe come società ad azionariato diffuso (“public company”). Sono, inoltre, vietati i patti di sindacato di voto o di blocco, o comunque gli accordi relativi alle modalità di esercizio dei diritti inerenti alle azioni che intercorrano tra soggetti titolari di un pacchetto azionario superiore al 2%. Si segnala pertanto che il processo di privatizzazione della RAI sembra aver subito una battuta d’arresto.
Le norme riguardanti la costituzione del consiglio di amministrazione, composto da nove membri[350], viene completamente modificate dalla legge “Gasparri”[351], che prevede una disciplina transitoria fino alla completa privatizzazione della RAI. Qualora il numero delle azioni alienato non superi la quota del 10 per cento del capitale della RAI, la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica sette membri eleggendoli con il voto limitato a uno; i restanti due membri, tra cui il presidente, sono invece indicati dal Ministero dell’economia e delle finanze. Il presidente del consiglio di amministrazione è nominato previo parere favorevole espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti della Commissione.
Fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato, il rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze presenta una autonoma lista di candidati, formulata sulla base delle delibere della Commissione di vigilanza e delle indicazioni del Ministero, in numero proporzionale al numero delle quote possedute. Infine, una volta completato il processo di privatizzazione, il consiglio di amministrazione è nominato dall'assemblea, mediante voto di lista.
La Commissione di vigilanza ha inoltre un ruolo rilevante con riguardo alla revoca ed alla promozione di azione di responsabilità nei confronti degli amministratori[352]. Sono, infine, definiti i compiti del direttore generale, già contenuti nella legge 206 del 1993[353] e ribaditi dallo statuto della nuova RAI[354].
Il 17 maggio 2005 la Commissione parlamentare di vigilanza ha eletto sette componenti del nuovo Consiglio d'Amministrazione sulla base delle nuove norme. A seguito della designazione degli ulteriori due membri da parte del Ministro dell’Economia, il Presidente è stato nominato il 31 luglio 2005 e il nuovo direttore generale il successivo 5 agosto.
Con riferimento alla Commissione parlamentare di vigilanza, si segnala che nel corso della XIV legislatura la Commissione, in considerazione dell’opportunità di rafforzare gli strumenti di vigilanza a sua disposizione, anche attraverso la possibilità di esercitare un’attività ispettiva finalizzata alla conoscenza ed alla valutazione non solo di problematiche di carattere generale, ma anche di questioni e vicende di natura più specifica, ha introdotto il question time, mediante un atto di indirizzo approvato il 25 ottobre 2005.
Merita, infine, richiamare la normativa europea in materia di servizio pubblico radiotelevisivo. In tale ambito occorre innanzitutto ricordare i principi definiti nel Protocollo n. 23 sul sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri allegato al Trattato di Amsterdam del 1997, ora allegato - quale Protocollo n. 27 - al testo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Tale Protocollo riconosce la competenza degli Stati membri a provvedereal finanziamento e alla definizione del servizio pubblico di radiodiffusione, a condizione che tale finanziamento sia accordato agli organismi di radiodiffusione ai fini dell'adempimento della missione di servizio pubblico conferita, definita e organizzata da ciascuno Stato membro; tale finanziamento non perturbi le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune, tenendo conto nel contempo dell'adempimento della missione di servizio pubblico. Nel considerando, il Protocollo precisa inoltre che “il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione”.
Occorre poi segnalare che l’articolo 16 del Trattato CE (ripeso in parte dall’articolo III-122 del citato Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa), riconosce l’importanza dei servizi di interesse economico generale, demandando all’Unione e agli Stati membri, secondo le rispettive competenze, il compito di assicurare che tali servizi funzionino in base a principi e condizioni economiche e finanziarie che consentano loro di assolvere i propri compiti.
Relativamente al servizio pubblico di radiodiffusione, inoltre, assumono rilievo gli articoli 86, paragrafo 2, del Trattato CE, sull'applicazione delle regole di concorrenza ai servizi di interesse economico generale, nonché 87 e 88 sugli aiuti di Stato.
Al fine di precisare i criteri e le regole di applicazione di tali ultime disposizioni al servizio pubblico di radiodiffusione, anche alla luce del Protocollo sopra richiamato, la Commissione ha adottato una apposita comunicazione[355] nel novembre 2001, in cui sono definite le condizioni alle quali le imprese che esercitano il servizio di radiodiffusione possono usufruire di una deroga parziale, ai sensi dell’art. 86, par. 2[356] del Trattato CE, dall’applicazione delle regole di concorrenza, tra cui si ricordano la definizione ufficiale del servizio in questione da parte dello Stato membro come servizio di interesse economico generale nonché il fatto che la deroga non incida sulla concorrenza nel mercato in maniera sproporzionata e non comprometta in misura contraria agli interessi della Comunità lo sviluppo degli scambi[357].
Si segnala poi che, sempre in attuazione dell’articolo 86 del trattato CE, la direttiva 80/723/CEE, come modificata dalla direttiva 2000/52/CE del 26 luglio 2000 (recepite dall’ordinamento italiano con D. lgs. 333 dell’11 dicembre 2003)[358] prevede l’obbligo della trasparenza e della separazione contabile tra le attività di servizio pubblico e quelle commerciali, in relazione ai servizi di interesse economico generale.
Con riferimento alle norme relative alla tutela dei minori nel sistema radiotelevisivo, appare utile ricordare che la Costituzione si occupa espressamente dei minori al Titolo II, dedicato ai rapporti etico-sociali. Oltre a fissare il diritto al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei bambini (articolo 30), la Carta stabilisce che la Repubblica protegge l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (articolo 31). Con riferimento al lavoro, infine, l’articolo 37 (nel Titolo III, riguardante i rapporti economici) prevede che il lavoro dei minori sia tutelato con speciali norme e che ai minori lavoratori sia garantito il diritto alla parità di retribuzione.
La legge n. 112 del 2004 detta una serie di norme a tutela dei minori nella programmazione televisiva, poi confluite nel Testo unico. La disposizione prevede, tra l’altro, il recepimento a livello legislativo del codice di autoregolamentazione “TV e minori”[359], la rimodulazione, in un’ottica di sostanziale inasprimento delle pene, delle procedure sanzionatorie, nonché l’introduzione di specifici obblighi di tutela e garanzia dei minori a carico delle emittenti, con particolare riferimento alla programmazione in determinate fasce orarie, alle trasmissioni specificamente dedicate ai minori e ai contenuti dei messaggi pubblicitari.
L’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore è considerato un principio fondamentale del sistema radiotelevisivo; è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori; il servizio pubblico generale radiotelevisivo, garantisca, oltre alle trasmissioni di intrattenimento per i minori, un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all’educazione, all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale.
La legge aveva inoltre introdotto il divieto di utilizzare minori di quattordici anni per messaggi pubblicitari e spot, poi soppresso dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38[360]; quest’ultima ha inoltre integrato la legge n. 112 del 2004 introducendo il parere delle competenti commissioni parlamentari e della commissione infanzia nella procedura di adozione del regolamento volto a disciplinare l’impiego dei predetti minori nei programmi radiotelevisivi[361].
Il compito di verificare il rispetto della normativa in collaborazione con il Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori è affidato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Commissione servizi e prodotti) ed è svolto anche sulla base delle segnalazioni effettuate dal medesimo Comitato e tenendo conto degli indirizzi della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
La legge 112 del 2004 ha inoltre previsto la realizzazione di campagne scolastiche per un uso corretto e consapevole del mezzo televisivo (articolo 10, comma 9). Con DM 13 aprile 2006[362] è stata quindi promossa la campagna “Usiamo bene la TV”, con l’obiettivo di sensibilizzare gli studenti di ogni ordine e grado e i loro genitori, anche mediante il coinvolgimento delle emittenti radiotelevisive nazionali.
In linea generale, si ricorda che le disposizioni adottate in Italia per la tutela dello sviluppo psico-fisico dei minori nella programmazione televisiva, anche con riguardo ai messaggi pubblicitari, discendono essenzialmente dalla disciplina contenuta nella direttiva 89/552/CEE del Consiglio dell’Unione europea, del 3 ottobre 1989 (c.d. Televisione senza frontiere), in seguito modificata dalla direttiva 97/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 giugno 1997[363]. In particolare, gli articoli 22 e 22-bis della direttiva prevedono che le trasmissioni televisive non contengano programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni ovvero incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità. Tali principi sono quindi confluiti nel testo unico. Al riguardo, si segnala che è prevista una deroga esplicita, già inserita nella legge n. 112 del 2004, per le trasmissioni ad accesso condizionato.
Si ricorda inoltre che la direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 (c.d. direttiva sul commercio elettronico) ha richiamato, nei “considerando” la necessità di garantire - negli interventi a livello comunitario per la liberalizzazione del commercio elettronico - un alto livello di tutela degli obiettivi di interesse generale, come la protezione dei minori e della dignità umana; l’articolo 3 prevede una deroga al principio della libera circolazione dei servizi dell'informazione in caso di tutela dei minori; all’articolo 16 è infine previsto che gli Stati membri e la Commissione incoraggino l'elaborazione di codici di condotta riguardanti la protezione dei minori e della dignità umana.
Si ricordano, di seguito, ulteriori provvedimenti che nel corso della legislatura hanno inoltre dettato norme a tutela dei minori.
Il Regolamento concernente l'erogazione di contributi a favore delle emittenti televisive locali che trasmettano programmi autoprodotti (decreto del Ministero per i beni e le attività culturali 21 maggio 2002, n.147) - adottato in attuazione dell’art.146 della legge n.388/2000 (legge finanziaria per il 2001) che aveva previsto incentivi per la produzione televisiva delle emittenti locali destinata al mercato nazionale e internazionale - introduce come titolo di priorità per l’accesso ai contributi l’aver realizzato produzioni dirette alla valorizzazione del patrimonio artistico culturale ed ambientale, o produzioni destinate ai minori.
Il D.P.R. 14 febbraio 2003, recantel’Approvazione del Contratto di servizio tra il Ministero delle comunicazioni e la RAI - Radiotelevisione italiana S.p.A. per il triennio 2003-2005, firmato il 23 gennaio 2003. In particolare, la RAI si impegna a dedicare ai minori trasmissioni che tengano conto delle loro specifiche esigenze e sensibilità, assicurando un rigoroso controllo sulla programmazione a tutela di bambini ed adolescenti. Nell’ambito poi dell’offerta televisiva, che deve rispondere a criteri di completezza, imparzialità, obiettività, qualità e pluralismo, la RAI è tenuta a destinare almeno il 65% della programmazione annuale (compresa nella fascia oraria 6-24), tra l’altro, alle trasmissioni dedicate a bambini e ragazzi, ivi compresi cartoni e programmi di animazione, giochi, programmi informativi e contenitori, volti anche a diffondere la prevenzione dell’uso di sostanze stupefacenti o dannose per la salute, nonché alle trasmissioni di carattere formativo, culturale, educativo ed etico.
La delibera dell’Autorità n. 278/04/CSP[364] in materia di carte dei servizi e qualità dei servizi di televisione a pagamento impone ai fornitori l’obbligo di specificare gli strumenti tecnici disponibili agli utenti per inibire ai minori la visione di contenuti destinati ad un pubblico adulto; la norma definisce inoltre le modalità di comunicazione del codice numerico necessario per la fruizione di programmi protetti da meccanismi di "parental control" (articolo 16).
Questioni all’esame
delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura
dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, riunisce tutte le disposizioni contenute nei differenti Trattati e protocolli vigenti in un unico testo composto da:
· Preambolo;
· Parte I, che contiene le norme propriamente costituzionali, nonché le disposizioni generali per la politica estera, di sicurezza e di difesa e per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
· Parte II, che contiene la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
· Parte III, relativa alle politiche dell'Unione;
· Parte IV, recante le disposizioni generali e finali,
· Protocolli e dichiarazioni allegati al Trattato.
Il Trattato è stato fino ad ora ratificato da 14 Stati membri: Austria, Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria.
A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, i Capi di Stato e di governo hanno adottato, al Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, una dichiarazione che prende atto dei risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi e, pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Si invita a promuovere in questo periodo di riflessione un ampio dibattito che coinvolga cittadini, parti sociali, Parlamenti nazionali e partiti politici.
La dichiarazione ribadisce la validità della prosecuzione dei processi di ratifica, prevedendo altresì un eventuale adeguamento del loro calendario in relazione agli sviluppi nei vari Stati membri. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 dovrebbe procedere ad una valutazione globale dei dibattiti nazionali e decidere sul seguito del processo.
Tra le novità introdotte dal Trattato si segnala in particolare:
· l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo del Trattato come sua Parte II;
· il conferimento della personalità giuridica all’Unione europea e l’eliminazione della struttura a “pilastri” (Comunità europea; politica estera e di sicurezza comune; cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) in cui si articola attualmente l’Unione;
· la generalizzazione della procedura legislativa ordinaria, modellata sull’attuale procedura di codecisione di Parlamento europeo e Consiglio;
· l’elezione di un Presidente del Consiglio europeo con un mandato di due anni e mezzo rinnovabile, con il compito in particolare di assicurare la rappresentanza esterna dell’Unione;
· la modifica (a partire dal 2014) del numero dei membri della Commissione europea, fissato ai due terzi degli Stati membri;
· l’istituzione del Ministro per gli affari esteri dell’Unione, con il compito diguidare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione;
· il superamento (a partire dal 2009) dell’attuale sistema di voto ponderato, con un sistema che si fonda sul principio della doppia maggioranza del 55% degli Stati membri dell’Unione – con un minimo di 15 - che rappresentino almeno il 65% della popolazione;
· la ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri in competenze esclusive, per le quali l'Unione è l'unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori; competenze concorrenti, per le quali sia l'Unione, sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare; e azioni di sostegno, di coordinamento o di completamento, per le quali l’Unione può condurre azioni che completano l’azione degli Stati membri;
· la semplificazione (da quindici a sei) degli atti giuridici dell’Unione, con una distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi ed atti esecutivi e l’introduzione del nuovo strumento dei regolamenti delegati;
· il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, in particolare attraverso la possibilità per ciascun Parlamento nazionale di sollevare obiezioni sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà in relazione alle proposte legislative della Commissione;
· l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare: un milione di cittadini europei, provenienti da un rilevante numero di Stati membri possono invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa.
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Austria |
Il Trattato è stato approvato dal Nationalrat l’11 maggio 2005 e dal Bundesrat il 25 maggio 2005. |
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Belgio |
Il Trattato è stato ratificato sia dal Parlamento nazionale sia dalle sette Assemblee regionali. La procedura si è conclusa con la pronuncia della Comunità fiamminga l’8 febbraio 2006. |
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Cipro |
Il Parlamento della Repubblica di Cipro ha ratificato il Trattato il 30 giugno 2005. |
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Danimarca |
La ratifica è prevista con referendum popolare giuridicamente vincolante. Il Governo danese e i partiti favorevoli alla Costituzione europea hanno deciso il 23 giugno 2005 la sospensione del processo di ratifica, rinviando a data da definire il referendum. |
Il referendum è stato sospeso |
Estonia |
La ratifica avverrà per via parlamentare. L’esame è stato avviato ai primi di febbraio 2006. |
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Finlandia |
La ratifica dovrebbe avvenire per via parlamentare. E’ richiesta la maggioranza semplice del Parlamento monocamerale, o la maggioranza di 2/3 qualora si ritenga che il Trattato implica modifiche alla Costituzione (tale valutazione non risulta ancora effettuata). Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
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Francia |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta referendum popolare il 29 maggio 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69,34% degli aventi diritto al voto, il 54,68% ha votato no ed il 45,32% ha votato sì. |
29 maggio 2005 |
Germania |
Il disegno di legge di ratifica è stato approvato dal Bundestag il 12 maggio 2005. Il 27 maggio 2005 è stato approvato dal Bundesrat. |
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Grecia |
Il Parlamento greco ha ratificato il Trattato il 19 aprile 2005 |
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Irlanda |
La Costituzione prevede due fasi: il referendum popolare e, a seguire, la ratifica parlamentare. Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
Il referendum è stato sospeso |
Italia |
La Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di ratifica del Trattato il 25 gennaio 2005 (436 voti favorevoli, 28 voti contrari e 5 astensioni). Il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il disegno di legge di ratifica il 6 aprile 2005 (217 voti favorevoli, 16 contrari e nessun astenuto). |
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Lettonia |
Il Parlamento lettone ha ratificato il Trattato il 2 giugno 2005. |
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Paesi che hanno ratificato il Trattato
Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato
Paesi che hanno respinto la ratifica del Trattato
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Lituania |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 novembre 2004. |
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Lussemburgo |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato in prima lettura il 29 giugno 2005 e in seconda il 25 ottobre 2005. Il 10 luglio 2005 si è svolto un referendum popolare consultivo. I voti favorevoli sono stati il 56,52%, i voti contrari il 43,48%. L'affluenza è stata pari all’87,7% degli aventi diritto. |
10 luglio 2005 |
Malta |
Il Parlamento di Malta ha ratificato il Trattato il 6 luglio 2005 . |
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Paesi Bassi |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta a referendum popolare il 1° giugno 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69% degli aventi diritto al voto, il 61,70% ha votato no ed il 38,30% ha votato sì. |
1° giugno 2005 |
Polonia |
Il Governo polacco era inizialmente orientato a procedere alla ratifica del Trattato costituzionale attraverso una consultazione referendaria (l’alternativa è l’approvazione da parte delle due Camere a maggioranza di 2/3). Il 21 giugno 2005 il Presidente Kwasniewski ha annunciato la sospensione del referendum sul Trattato costituzionale. |
Il referendum è stato sospeso |
Portogallo |
Il Governo ha rinviato il referendum sulla Costituzione europea, precedentemente previsto nell’autunno 2005. |
Il referendum è stato rinviato |
Regno Unito |
Era prevista una procedura di ratifica a doppio livello, con il voto popolare a conferma e completamento del processo parlamentare di ratifica. Il progetto di legge di ratifica è stato approvato in seconda lettura dalla House of Commons il 9 febbraio 2005. L'iter parlamentare del disegno di legge sul referendum di ratifica è stato sospeso il 6 giugno 2005. |
La decisione sullo svolgimento del referendum è stata sospesa |
Repubblica Ceca |
Il Primo Ministro ha annunciato l’intenzione di modificare la Costituzione al fine di sottoporre la ratifica del Trattato a referendum. Tale modifica richiede la maggioranza di 3/5 dei componenti di ciascuna delle due Camere. |
Il referendum è stato rinviato alla fine del 2006 |
Slovacchia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 maggio 2005. |
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Slovenia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 1° febbraio 2005. |
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Spagna |
Il Trattato è stato sottoposto a referendum consultivo il 20 febbraio 2005: i voti favorevoli sono stati il 76%, i voti contrari il 17% e le schede bianche sono state il 6%. Il Trattato è stato poi ratificato dalla Camera dei deputati il 28 aprile e dal Senato il 18 maggio 2005. |
20 febbraio 2005 |
Svezia |
Il Governo ha dichiarato che non intende indire un referendum sul Trattato costituzionale. Il processo di ratifica parlamentare è al momento sospeso. |
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Ungheria |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 20 dicembre 2004. |
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L’allargamento e i Balcani occidentali
Grazie al processo di allargamento, che costituisce da sempre un elemento chiave del progetto europeo, l’Unione europea è passata dagli originali 6 membri (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi) agli attuali 25. L’ultimo allargamento risale al 1° maggio 2004, quando Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria sono divenuti a pieno titolo Stati membri dell’Unione Europea.
Le fasi del processo di adesione - In base all’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni paese europeo può presentare richiesta di adesione se rispetta i principi di libertà, democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli Stati membri. Il medesimo articolo stabilisce che sulla richiesta di adesione il Consiglio si esprime all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo. A conclusione di tale procedura, è il Consiglio europeo ad attribuire lo status di paese candidato.
L’apertura formale dei negoziati tra gli Stati membri e lo Stato candidato avviene sulla base di una decisione in tal senso del Consiglio europeo e dopo l’approvazione del mandato negoziale da parte del Consiglio.
Una volta che, a seguito dei negoziati, tutti i capitoli siano stati positivamente esaminati, il risultato dei negoziati confluisce nel testo del Trattato di adesione, che è concordato tra gli Stati membri e il paese candidato e successivamente sottoposto alla Commissione per il parere. Sul testo del Trattato di adesione è richiesto il parere conforme del Parlamento europeo. Dopo la firma, il Trattato di adesione è sottoposto alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri, nonché del paese interessato, conformemente allo rispettive norme costituzionali.
L’adesione può essere conseguita soltanto se il paese soddisfa i cosiddetti criteri di Copenaghen, stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993 e rafforzati dal Consiglio europeo di Madrid del 1995:
· criteri politici: istituzioni stabili in grado di garantire democrazia, Stato di diritto, diritti umani e protezione delle minoranze;
· criteri economici: economia di mercato funzionante e capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione;
· capacità di fare fronte agli obblighi derivanti dall’adesione, ivi compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria;
· adozione dell’acquis comunitario e sua effettiva attuazione attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie.
In aggiunta, come ribadito in particolare in occasione dell’apertura dei negoziati di adesione della Turchia, nei futuri allargamenti si terrà conto anche della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Nel corso del processo di adesione, l’Unione europea sostiene gli sforzi di ciascun paese attraverso una strategia di pre-adesione che si compone di diversi strumenti e meccanismi, tra i quali la partecipazione ai programmi, ai comitati e alle agenzie dell’UE, il dialogo politico, il programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario, il cofinanziamento da parte di istituzioni internazionali, l’assistenza di preadesione, attraverso specifici strumenti finanziari. Inoltre, il livello di preparazione di ciascun paese è costantemente monitorato dalla Commissione europea. I risultati dell’attività di monitoraggio e lo stato di attuazione delle riforme vengono resi pubblici attraverso relazioni periodiche.
Le prospettive future
I paesi aderenti sono attualmente due, Bulgaria e Romania, la cuiadesione è prevista per il 1° gennaio 2007.
La Turchia e la Croazia hanno avviato formalmente, il 3 ottobre 2005, i negoziati per l’adesione.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha ottenutolo status di paese candidato nel dicembre 2005.
Bulgaria e Romania
Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania è quasi concluso. Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005, dopo l’espressione del parere da parte del Parlamento europeo, il 13 aprile 2005. Al momento, il trattato risulta ratificato, oltre che dall’Italia (legge n. 16 del 9 gennaio 2006), da quattordici paesi. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE.
Va segnalato che nel Trattato di adesione è stata inserita una clausola di salvaguardia addizionale che prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, possa decidere a maggioranza qualificata di rinviare l’adesione di un anno se non dovessero essere rispettati gli impegni assunti in materia di preparazione all’adesione, soprattutto per quanto riguarda i settori della giustizia e affari interni e della concorrenza.
ll 25 ottobre 2005 la Commissione ha pubblicato le relazione globali di verifica del grado di preparazione della Bulgaria e della Romania in vista dell’adesione all’Unione europea. Le relazioni segnalano che entrambi i paesi hanno compiuto buoni progressi e dovrebbero essere in grado di rispettare i criteri previsti dall’Unione europea per il 1° gennaio 2007, a condizione che concentrino tutti i loro sforzi sulle riforme, in particolare sulla loro reale attuazione. La prossima revisione del processo di preparazione di Bulgaria e Romania è prevista per il mese di maggio 2006.
Croazia
La Croazia, dichiarata paese candidato dal Consiglio europeo del 17 e 18 giugno 2004, ha avviato formalmente i negoziati per l’adesione il 3 ottobre 2005.
L’apertura dei negoziati di adesione con la Croazia era stata fissata dal Consiglio europeo di dicembre 2004 per il 17 marzo 2005, a condizione che il paese collaborasse pienamente con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. Solo il 3 ottobre 2005, una volta constatata la piena collaborazione del paese con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, il Consiglio ha dato il via libera all’apertura dei negoziati.
In quanto paese candidato la Croazia usufruisce, a partire dal 1° gennaio 2005, degli attuali strumenti finanziari di preadesione.
Turchia
La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999.
Sulla base della relazione periodica e della raccomandazione presentate dalla Commissione il 6 ottobre 2004, il Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2004 ha deciso che la Turchia soddisfa sufficientemente i criteri politici di Copenaghen, fissando per il 3 ottobre 2005 la data di avvio dei negoziati di adesione, a condizione che entrassero in vigore alcuni specifici atti legislativi (legge sulle associazioni; nuovo codice penale; giurisdizione d’appello; codice di procedura penale; istituzione della polizia giudiziaria; esecuzione delle pene). Tale condizione è stata soddisfatta dalla Turchia il 1° giugno 2005.
Determinante per la decisione favorevole del Consiglio europeo di dicembre 2004 è stata la disponibilità manifestata dal Governo turco a firmare, prima dell’avvio dei negoziati, il protocollo che estende ai dieci nuovi Stati membri, compresa la Repubblica di Cipro, l’Accordo di associazione stipulato nel 1963 con la Comunità europea (cosiddetto Accordo di Ankara).
Il 3 ottobre 2005 il Consiglio ha approvato il quadro negoziale con la Turchia, consentendo l’apertura formale dei negoziati per l’adesione del paese all’Unione europea, nella data stabilita dal Consiglio europeo del dicembre 2004.
Alla decisione del Consiglio si è arrivati dopo una lunga e delicata trattativa. Il principale ostacolo è stato rappresentato dalla richiesta austriaca di prevedere, quale sbocco alternativo dei negoziati con la Turchia, l’ipotesi di un partenariato privilegiato che questa non era disposta ad accettare. L’approvazione del quadro negoziale è stata resa possibile dalla rinuncia dell’Austria a tale ipotesi, a fronte di un rafforzamento nel testo dell’importanza della capacità di assorbimento dell’UE quale criterio di valutazione per le future adesioni.
Anche in considerazione delle diffuse preoccupazioni manifestate in alcuni Stati membri rispetto all’adesione della Turchia all’Unione europea nonché dell’esperienza acquisita nel corso dei precedenti allargamenti, il quadro negoziale approvato per la Turchia è per alcuni aspetti più stringente rispetto al passato.
Facendo seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Helsinki del 1999, l’8 marzo 2001 il Consiglio ha adottato un Partenariato per l’adesione della Turchia, aggiornato da ultimo il 23 gennaio 2006, che riunisce in un unico strumento-quadro le priorità per la preparazione all’adesione e le risorse finanziarie disponibili.
Ex Repubblica iugoslava di Macedonia
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che ha avanzato domanda di adesione all’Unione europea il 22 marzo 2004, ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005. Sulla base del parere favorevole espresso dalla Commissione, il Consiglio europeo ha tenuto conto in particolare dei progressi compiuti dal paese nell’attuazione dell’accordo di stabilizzazione ed associazione, entrato in vigore il 1° aprile 2004. Il Consiglio europeo ha precisato che ulteriori misure dovranno tenere conto delle discussioni sulla strategia per l’allargamento, del rispetto dei criteri e dei requisiti richiesti per l’adesione da parte dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia nonché della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Al momento non è prevista l’apertura dei negoziati di adesione.
La strategia della Commissione
Il 9 novembre 2005, congiuntamente alle relazioni sullo stato di preparazione dei singoli paesi, la Commissione ha presentato il documento di strategia 2005 sull’ampliamento (COM (2005) 561), in cui ha esposto i tre principi su cui si basa la strategia futura della Commissione in materia di allargamento:
· consolidamento degli impegni che i Capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno assunto nei confronti della Turchia e dei Balcani, tenendo in considerazione la capacità di assorbimento dell’UE e salvaguardando il buon funzionamento delle proprie istituzioni;
· rispetto delle condizioni per l’adesione, manifestando rigore nell’esigere dai paesi il rispetto dei criteri richiesti ed equità nel riconoscere e ricompensare i progressi compiuti;
· miglioramento della comunicazione per fugare le preoccupazioni e rendere più chiari i vantaggi dei futuri allargamenti, inaugurando un reale dialogo con i cittadini.
Il 16 marzo 2006, il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione (397 voti a favore, 95 contrari e 37 astensioni) sul documento di strategia della Commissione.
Rapporti tra l’Unione europea e i Balcani occidentali
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento riguarderà i paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro e Kosovo) che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”. Tale approccio è stato ribadito da ultimo il 10 e 11 marzo 2006, nel corso del Consiglio affari esteri informale che si è tenuto a Salisburgo e al quale hanno partecipato anche i paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali.
L’impegno dell’Unione europea nei confronti dei Balcani è confermato anche nella citata strategia per l’allargamento presentata il 9 novembre 2005, in cui la Commissione segnala l’importanza di una prospettiva europea convincente per il proseguimento del processo di riforma in atto in questi paesi.
Peraltro, nell’ambito delle riforma dell’assistenza esterna, proposta dalla Commissione nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, è previsto che i Balcani occidentali beneficino dei finanziamenti dell’UE attraverso lo strumento dedicato all’assistenza preadesione.
Il Processo di stabilizzazione ed associazione
Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i cinque paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999.
Su proposta della Commissione (COM (1999) 235), il PSA è stato approvato dal Consiglio il 21 giugno 1999. Gli strumenti che compongono il PSA, formalizzati al Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, sono stati arricchiti da elementi ispirati al processo di allargamento nel giugno 2003, con l’approvazione da parte del Consiglio europeo della cosiddetta “Agenda di Salonicco”.
Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili; come già anticipato, nel lungo periodo la prospettiva è quella della piena integrazione nell’Unione europea, sulla base delle previsioni del Trattato sull’Unione europea e dei criteri di Copenaghen.
Lo stato di avanzamento del processo viene costantemente seguito dalla Commissione che, attraverso la pubblicazione di una relazione annuale, fornisce indicazioni sui progressi realizzati dai paesi dei Balcani occidentali rispetto alla situazione dell’anno precedente. Tale relazione rappresenta l’indicatore principale per valutare se ciascun paese sia pronto per una relazione più stretta con l’UE.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
La strategia futura
Il 27 gennaio 2006, la Commissione ha adottato la comunicazione “I Balcani occidentali sulla strada verso l’UE: consolidare la stabilità e rafforzare la prosperità” (COM (2006) 27), in cui propone di promuovere commercio, sviluppo economico, movimento di persone, istruzione e ricerca, cooperazione regionale e dialogo con la società civile nel Balcani occidentali come parte della strategia europea di integrazione dei popoli della regione. La comunicazione definisce misure concrete per rafforzare la politica dell’UE e gli strumenti a sua disposizione. L’obiettivo è quello di aiutare questi paesi a rafforzare la prospettiva europea, che rappresentaun forte incentivo ad attuare riforme politiche ed economiche e ha favorito la riconciliazione tra i popoli della regione. Nella comunicazione la Commissione sottolinea infatti i progressi compiuti dai paesi della regione negli ultimi tre anni, in particolare in termini di stabilizzazione e riconciliazione, riforma interna e cooperazione regionale.
La “politica europea di vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e agli Stati del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia). L’obiettivo è quello di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.
La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.
Tra le azioni concrete che l’UE intende mettere in campo per realizzare la politica di vicinato, si segnalano in particolare:
· l’istituzione, per il periodo 2004-2006, di programmi di vicinato volti a garantire la sicurezza delle frontiere esterne, a rafforzare la cooperazione transfrontaliera su temi comuni (ambiente, salute pubblica, lotta alla criminalità organizzata) e a favorire l’integrazione nello spazio europeo della ricerca e nei settori delle reti di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia. Tali programmi saranno finanziati con un importo globale di 955 milioni di euro, nell’ambito degli strumenti finanziari esistenti;
· a partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’istituzione di un unico strumento finanziario (Strumento europeo di vicinato e partenariato);
· la pubblicazione di country reports che danno conto dei progressi compiuti da ciascun paese nell’attuazione degli accordi bilaterali e delle relative riforme;
· la predisposizione di piani d’azione per ciascuno dei paesi interessati. Si tratta di strumenti considerati cruciali dalla Commissione nel processo di avvicinamento all’Unione, che non sostituiscono gli accordi di associazione o di cooperazione vigenti ma si avvalgono dell’esperienza acquisita nella loro attuazione. I piani d’azione saranno differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiranno il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni. I primi sette piani d’azione (Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova, Tunisia e Ucraina), presentati dalla Commissione il 9 dicembre 2004, sono stati approvati dal Consiglio nella riunione del 13 e 14 dicembre 2004. Per quanto riguarda gli altri paesi (Egitto, Libano, Armenia, Azerbaigian e Georgia), il 25 aprile 2005 il Consiglio, su proposta della Commissione, ha deciso di intensificare le relazioni reciproche. Per Egitto e Libano si tratta di predisporre al più presto i piani d’azione (la decisione di negoziare i piani d’azione è stata già presa dal Consiglio nel dicembre 2004); per i paesi del Caucaso meridionale il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare i lavori congiunti per allestire i piani d’azione.
Il 29 settembre 2004, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, la Commissione ha presentato proposte volte a sostituire l'attuale insieme di strumenti finanziari destinati all’erogazione dell'aiuto ai Paesi terzi (“assistenza esterna”) con un quadro più semplice ed efficace. La Commissione propone:
· uno strumento per l’assistenza preadesione (anche detto IPA) dedicato ai paesi candidati (Turchia e Croazia) e ai paesi candidati potenziali (Balcani occidentali), che dovrebbe sostituire gli strumenti esistenti PHARE, ISPA, SAPARD, CARDS, come pure una serie di specifici regolamenti (COM (2004) 627);
· uno strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) dedicato ai Paesi terzi che partecipano alla politica europea di vicinato, (COM (2004) 628). Dovrebbe sostituire il programma MEDA e, in parte, il programma TACIS. Lo strumento fornirà sostegno anche al partenariato strategico dell’Unione europea con la Russia. Una componente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interesserà regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune;
· uno strumento per la cooperazione allo sviluppo e la cooperazione economica dedicato a tutti quei paesi, territori e regioni che non possono beneficiare dell’assistenza erogata dai due precedenti strumenti (COM (2004) 629);
· uno strumento per la stabilità,finalizzato a reagire alle situazioni di crisi e di instabilità nei paesi terzi e ad affrontare i problemi di carattere transfrontaliero, con particolare riguardo alla sicurezza e alla non proliferazione nucleare nonché alla lotta contro i traffici illegali, la criminalità organizzata e il terrorismo (COM (2004) 630).
Le proposte avanzate dalla Commissione sono in attesa di essere esaminate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ad eccezione di quella relativa allo strumento di cooperazione allo sviluppo e cooperazione economica, che è stata respinta dal Parlamento europeo in prima lettura e ritirata dalla Commissione il 15 marzo 2006.
Nel quadro della riforma dell’assistenza esterna proposta dalla Commissione, i nuovi strumenti forniranno gli atti giuridici di base per le spese comunitarie a sostegno dei programmi di cooperazione esterna, compresi i programmi tematici, vale a dire i programmi di natura orizzontale, specializzati per tema. In questo contesto, il 25 gennaio 2006 la Commissione ha adottato sette nuovi programmi tematici (diritti umani e democratizzazione; Investire nelle persone; ambiente e gestione sostenibile delle risorse naturali, compresa l’energia; sicurezza alimentare; organizzazioni non governative e autorità locali; migrazione e asilo; cooperazione con i paesi industrializzati), destinati a sostituire i 15 attualmente esistenti. Tali programmi si propongono di corrispondere ad obiettivi politici che non sono geograficamente delimitati e che non possono essere raggiunti attraverso programmi a carattere nazionale e regionale.
Le prospettive finanziarie stabiliscono, in relazione alle priorità politiche da esse individuate, il quadro delle grandi categorie di spesa del bilancio dell’Unione europea, indicando il massimale e la composizione delle spese prevedibili per ogni categoria nell’intero periodo di riferimento e in ciascuno degli anni in esso ricompresi. L’adozione delle prospettive finanziarie, che non è espressamente prevista dal Trattato CE, è operata - a partire dal 1988 - mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione. Le risorse proprie sono i mezzi di finanziamento dell’Unione. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali. L'accordo sulle prospettive finanziarie e la decisione sulle risorse proprie in vigore sono state adottate per il periodo 2000-2006 e scadono il 31 dicembre 2006. |
Il 4 aprile 2006 Parlamento europeo, Consiglio dell'UE e Commissione europea hanno raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie e sulle risorse proprie 2007-2013, al termine di un negoziato complesso, caratterizzato da forti divergenze tra istituzioni europee e soprattutto tra Stati membri in merito al volume complessivo del bilancio dell’UE, nonché alle priorità politiche e ai relativi stanziamenti. L’intesa dovrà ora essere trasfusa in un accordo interistituzionale approvato formalmente dalle tre istituzioni.
L’accordo prevede un massimale complessivo di spesa dell’1,048% del reddito nazionale lordo (RNL) europeo in stanziamenti di impegno (pari a 864,316 miliardi di euro) e dell' 1% in stanziamenti di pagamento (pari a 820,780 miliardi di euro).
Il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 aveva concordato un massimale in stanziamenti di impegno dello 1,045% del RNL europeo (pari a 862,4 miliardi di euro),rispetto all'1,24 (pari a 1025 miliardi di euro) proposto originariamente dalla Commissione e all'1,18% (pari a 974,8 miliardi di euro) richiesto dal Parlamento europeo.
L'accordo del 4 aprile 2006 prevede inoltre, alla fine del 2009, una verifica intermedia del funzionamento delle prospettive finanziarie da parte della Commissione europea, cui dovrà essere associato il Parlamento europeo.
La Camera dei deputati ha seguito attivamente e costantemente il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013, attraverso diversi strumenti e procedure.
In particolare, le Commissioni V e XIV hanno svolto a partire da marzo 2004 un’indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie e sulla politica di coesione.
Specifici impegni al Governo in merito al negoziato sulle prospettive finanziarie sono inoltre contenuti nelle risoluzioni approvate dalla Camera in esito all’esame dellerelazioni sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2003 e per l’anno 2004, nonché nella risoluzione approvata a conclusione dell’esame del programma di lavoro per il 2005 della Commissione europea e del programma operativo annuale per il 2005 del Consiglio.
Le questioni relative alle prospettive finanziarie 2007-2013 hanno inoltre costituito oggetto di approfondimento nell’ambito di riunioni ed incontri interparlamentari cui hanno partecipato delegazioni della Camera dei deputati.
Gli obiettivi
Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l’Unione europea consegua l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Gli obiettivi della strategia - rilanciati nella revisione intermedia della primavera 2005, che ha riorientato le priorità verso la crescita e l’occupazione - consistono in:
· migliorare le politiche in materia di società dell’informazione e di ricerca e sviluppo tecnologico;
· modernizzare il modello sociale europeo;
· promuovere un contesto economico sano e prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macroeconomiche;
· integrare pienamente la dimensione ambientale nelle politiche per lo sviluppo.
Il Consiglio europeo di Lisbona, inoltre, ha previsto che il Consiglio europeo si riunisca ogni primavera, sulla base di una relazione annuale della Commissione, per valutare lo stato di attuazione della strategia.
Con la revisione intermedia si è inteso anche coinvolgere tutte le forze interessate (Parlamenti, autorità locali, parti sociali e società civile) nella migliore realizzazione della strategia, che è stata orientata in un ciclo triennale.
La Commissione ha presentato le linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione per il periodo 2005-2008, approvate dal Consiglio europeo di giugno 2005.
Sulla base delle linee direttrici, gli Stati membri hanno definito programmi di riforma nazionali, che sono stati oggetto di consultazione con le parti interessate e successivamente esaminati dalla Commissione europea.
Come complemento dei programmi nazionali di riforma, a luglio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione sul programma comunitario di Lisbona 2005-2008 relativo alle azioni da intraprendere a livello comunitario a favore della crescita e dell’occupazione.
Il Consiglio europeo di primavera 2006
Il Consiglio europeo di primavera del 23 e 24 marzo 2006, accogliendo favorevolmente la relazione annuale presentata dalla Commissione sui progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, ha convenuto quanto segue:
· definizione di settori specifici per azioni prioritarie da attuare entro la fine del 2007:
- aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione;
- liberare il potenziale delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese;
- accrescere le opportunità di lavoro per le categorie prioritarie (giovani, donne, lavoratori anziani, immigrati legali e minoranze etniche);
· definizione di una nuova politica energetica per l’Europa
· misure che devono essere assunte a tutti i livelli per mantenere lo slancio in tutti i pilastri del partenariato per la crescita e l’occupazione.
Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura – con 394 voti favorevoli, 215 contrari e 33 astensioni – la relazione predisposta dall’on. Evelyne Gebhardt (Partito socialista europeo) sulla proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (COM(2004)2) (cosiddetta “direttiva Bolkenstein”).
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata presentata dalla Commissione il 13 gennaio 2004 e si inserisce nel processo di riforme economiche varato dal Consiglio europeo di Lisbona (23-24 marzo 2000) al fine di fare dell’Unione europea, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.
L’obiettivo della proposta è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.
La proposta iniziale della Commissione – che aveva sollevato in tutti i gruppi politici del Parlamento europeo preoccupazioni sui possibili rischi di riduzione dell’acquis comunitario nel settore sociale – è stata sostanzialmente modificata dall’esame parlamentare.
Il testo approvato dal Parlamento europeo ribadisce l’obiettivo della proposta iniziale relativamente alla liberalizzazione dei servizi, sottolineando al contempo la necessità di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi stessi. E’ stabilito, inoltre, che la direttiva non pregiudica le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e aiuti di Stato.
L’esame del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su alcuni punti controversi:
· campo di applicazione (art. 2): relativamente a questo aspetto, il testo adottato dal Parlamento europeo ribadisce quanto previsto nella proposta della Commissione, ovvero l’esclusione dei servizi di interesse generale. A questo riguardo gli Stati membri restano liberi di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d'interesse generale, nonché di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. La direttiva si applica, tuttavia, ai servizi di interesse economico generale, ovvero ai servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza quali i servizi postali, i servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e di gas o i servizi di distribuzione e di fornitura idrica. Oltre a tutta una serie di settori indicati espressamente nel testo adottato dal Parlamento europeo, sono inoltre escluse dal campo di applicazione della direttiva le materie disciplinate da disposizioni comunitarie specifiche come quelle sul distacco dei lavoratori, l’esercizio delle attività televisive o le qualifiche professionali;
· principio del Paese di origine (art. 16): la formulazione iniziale prevedeva la possibilità per un prestatore di fornire i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza unicamente in base alla legislazione dello Stato membro di origine. Il Parlamento europeo ha sostituito questo principio con quello della “libera circolazione dei servizi” in base al quale per la fornitura dei servizi si applica la legislazione del paese in cui essi vengono effettivamente prestati. Inoltre, si fa obbligo agli Stati membri di rispettare il diritto del prestatore di fornire i propri servizi liberamente sul suo territorio senza imporre requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati tranne che per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e sanità pubblica;
· distacco dei lavoratori (artt. 24 e 25): il Parlamento europeo ha soppresso le disposizioni relative al distacco dei lavoratori, ritenendo che questa questione ricada nel campo di applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una disciplina di servizi.
Il 4 aprile 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata che riprende in larga misura il testo adottato in prima lettura dal PE, in particolare per quanto riguarda la soppressione del principio del Paese di origine e la sua sostituzione con quello relativo alla libera circolazione dei servizi, nonché l’inclusione dei servizi di interesse economico generale nel campo di applicazione della direttiva proposta. La Commissione ha, inoltre, deciso di escludere dal campo di applicazione della direttiva proposta una serie di servizi, fra cui i servizi sanitari, alcuni dei quali saranno oggetto di iniziative specifiche.
Nella stessa data la Commissione ha presentato una comunicazione relativa agli “Orientamenti riguardanti il distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi” al fine di facilitare l’applicazione della citata direttiva 96/71/CE.
Il testo modificato della proposta sarà ora trasmesso al Consiglio che, nelle intenzioni della Presidenza austriaca, dovrebbe raggiungere un accordo politico nel mese di giugno.
Esame presso la Camera dei deputati
La Camera dei deputati ha promosso una serie di iniziative dedicate all’esame della proposta di direttiva, anche al fine di definire una posizione italiana da difendere nelle opportune sedi europee.
La proposta è stata esaminata dalle Commissioni riunite X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea) che hanno anche proceduto all’audizione congiunta di eurodeputati italiani e rappresentanti del Governo.
In conclusione dei lavori, il 25 gennaio 2006, le Commissioni hanno adottato un documento finale con il quale si invita il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali comunitarie affinché la proposta di direttiva si configuri come un atto giuridico “quadro” senza la previsione di norme di dettaglio, preveda l’elencazione puntuale dei settori a cui si applica, definisca meglio il principio del paese di origine per scongiurare forme di dumping sociale ed eviti il rischio di intaccare i sistemi nazionali volti ad assicurare un’alta qualità dei servizi e la tutela dei consumatori.
Il 14 luglio 2004, la Commissione europea ha presentato quattro proposte di decisione relative ai programmi nel settore dell’istruzione, della formazione, della cultura e degli audiovisivi:
· una proposta di decisione istituisce un programma d’azione integrato nel campo dell’apprendimento permanente (COM(2004)474);
· una proposta di decisione istituisce il programma “Gioventù in azione” per il periodo 2007-2013 (COM(2004)471);
· una proposta di decisione istituisce il programma “Cultura 2007” per il periodo 2007-2013 (COM(2004)469);
· una proposta di decisione riguarda l’attuazione di un programma di sostegno al settore audiovisivo europeo (Media 2007) (COM(2004)470).
Il Parlamento europeo ha concluso l’esame in prima lettura il 25 ottobre 2005, nell’ambito della procedura di codecisione.
Il Consiglio ha esaminato le quattro proposte nella riunione del 14 novembre 2005, raggiungendo un accordo politico parziale, in quanto gli aspetti di bilancio sono stati esclusi in attesa dei risultati delle discussioni sul futuro quadro finanziario comunitario.
Il 6 aprile 2005 la Commissione ha presentato la proposta di decisione relativa al Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) (COM(2005)119), considerato strumento fondamentale ai fini dell’attuazione di uno degli obiettivi prioritari dell’UE: incrementare il potenziale di crescita economica e rafforzare la competitività europea investendo nella conoscenza, l’innovazione e il capitale umano.
Il programma è articolato in quattro programmi specifici che corrispondono ai quattro obiettivi fondamentali della politica europea di ricerca:
· cooperazione, inteso a promuovere la cooperazione tra università, imprese, centri di ricerca ed enti pubblici
· idee, inteso ad istituire un Consiglio europeo della ricerca
· persone, mirato ad aumentare le risorse umane disponibili per la scienza e la ricerca
· capacità, inteso a rafforzare le capacità di ricerca e innovazione in Europa.
La dotazione finanziaria per il 2007-2013 è pari a più di 73 miliardi di euro (si veda la scheda “Prospettive finanziarie 2007-2013” riportata nell’area tematica “Politica economica e privatizzazioni”); il sesto programma attualmente in corso (2003-2006) ha una dotazione di 17,5 miliardi di euro pari al 3,9% del bilancio dell’Unione europea.
Il 22 febbraio 2006 la Commissione ha adottato una comunicazione (COM(2006)77) con la quale propone al Consiglio europeo di creare un Istituto europeo di tecnologia (EIT), destinato a divenire un nuovo polo d’eccellenza nell’ambito della ricerca e dell’innovazione.
Le attività saranno finanziate da fonti diverse: dall’UE, dagli Stati membri e dal mondo imprenditoriale.
La Commissione presenterà, entro il 2006, la proposta di uno strumento giuridico per l’istituzione dell’EIT, che sia idoneo a conferirgli una propria personalità giuridica e ad assicurarne l’autonomia.
Il 30 settembre 2005 la Commissione europea ha presentato la comunicazione “i2010: le Biblioteche digitali” (COM(2005) 465) con cui pone le basi per la realizzazione di una Biblioteca digitale europea, definita nell’ambito del quadro strategico i2010 (società europea dell’informazione 2010) (COM(2005) 229).
Le biblioteche digitali sono raccolte organizzate di contenuti digitali (materiale digitalizzato o materiale già in origine in formato digitale) realizzate per rendere il patrimonio culturale europeo più accessibile grazie all’uso di nuove tecnologie.
Una consultazione pubblica sulla comunicazione, conclusa il 20 gennaio 2006, ha fornito gli elementi in base ai quali la Commissione presenterà, entro il 2006, una proposta di raccomandazione sulla digitalizzazione e la conservazione digitale e proporrà altre iniziative, quale il riesame del quadro relativo ai diritti d’autore nel contesto delle biblioteche digitali.
Il 1° agosto 2000 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativa al brevetto comunitario (COM(2000)412) che mira alla creazione di un sistema di brevetto unico valido in tutta l’Unione europea. La mancata intesa sul regime linguistico da applicare per la traduzione delle rivendicazioni relative al brevetto, ha fino ad oggi impedito di arrivare ad un accordo sulla proposta.
Il 12 luglio 2005 laCommissione ha presentato una proposta di direttiva relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (COM(2005)276–1) e una proposta di decisione quadro sul rafforzamento del quadro penale per la repressione delle violazioni della proprietà intellettuale (COM(2005)276–2), nell’ambito della lotta contro il crescente fenomeno dei reati in materia.
Il 13 dicembre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva che modifica la direttiva 89/552/CE (“TV senza frontiere”) (COM(2005)646), allo scopo di adeguarla allo sviluppo tecnologico e agli sviluppi del mercato nel settore audiovisivo in Europa. Tale modernizzazione rientra nella strategia “i-2010: una società dell’informazione per la crescita e l’occupazione” (COM(2005)229), adottata dalla Commissione il 1° giugno 2005.
In particolare, la proposta mira ad alleggerire la normativa concernente le forniture di servizi televisivi e a renderne agevole il finanziamento con nuove forme di pubblicità, ad introdurre pari condizioni di concorrenza per tutte le società che forniscono servizi televisivi, indipendentemente dalla tecnologia usata per distribuirli (radiodiffusione, banda larga ad alta velocità, telefoni cellulari di terza generazione).
I servizi non lineari (cioè i servizi audiovisivi a richiesta) saranno soggetti all’osservanza di alcuni principi minimi di base, tra i quali quelli relativi alla tutela dei minori, al divieto di incitamento all’odio, alle limitazioni delle comunicazioni commerciali concernenti gli alcolici.
In tema di pubblicità le emittenti, fermo restando il limite complessivo su base oraria del 20%, non risulteranno più obbligate, come adesso, a lasciare trascorrere almeno 20 minuti di tempo tra le interruzioni pubblicitarie. Tuttavia sarà possibile solo una interruzione ogni 35 minuti per le opere cinematografiche, per i programmi per bambini, per i notiziari, per i film realizzati per la televisione (ad eccezione delle serie televisive, dei programmi a puntate, dei documentari e dei programmi di intrattenimento). Telepromozioni e televendite saranno escluse dall’attuale limite del 20% di pubblicità per ogni ora.
[1] DL 22 marzo 2004, n. 72, convertito dalla legge 21 maggio 2004, n. 128, DL 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, legge 23 dicembre 2005, n. 266, legge finanziaria per il 2006
[2] Risoluzione n. 7-00406 (On. Titti De Simone), approvata il 19 maggio 2004.
[3] Tale scaglione, ai sensi della legge n. 124 del 1999, è costituito dai docenti che abbiano superato le prove di un precedente concorso per titoli ed esami anche a soli fini abilitativi e siano inseriti, alla data di entrata in vigore della L. n. 124/1999, in una graduatoria per l’assunzione del personale non di ruolo. In tale scaglione sono iscritti anche coloro che conseguono l’abilitazione al termine del corso svolto dalle scuole di specializzazione per l’insegnamento nelle scuole secondarie (SSIS).
[4] Al riguardo, l’art. 8-nonies del D.L. 28 aprile 2004 n. 136 convertito dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, ha poi dettato alcune norme di interpretazione autentica, mentre l’articolo 1-novies del D.L. 7/2005 ha introdotto alcune modifiche alla tabella.
[5] Si ricorda che la legge 3 luglio 1998, n. 210 (Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo) aveva trasferito alle università la competenza ad espletare le procedure per la copertura dei posti vacanti e la nomina in ruolo di professori ordinari, nonché di professori associati e di ricercatori.
[6] Le modifiche alla disciplina del FIT sono state introdotte dalla legge 12 dicembre 2002, n. 273, “Misure per favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza” e quindi dall’art. 1, comma 270, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004).
[7] Le modifiche alla disciplina del FAR sono state introdotte dall’art.18 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, recante “Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione”
[8] La destinazione ad attività di ricerca di una quota del Fondo è stata disposta dall’art. 6 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[9] In particolare, la sentenza n. 466/2002 stabiliva la necessaria fissazione di un termine finale certo e non prorogabile, che comunque non oltrepassasse il 31 dicembre 2003, per la definitiva cessazione del “regime transitorio” (con gli effetti previsti dalla normativa allora vigente per le emittenti eccedenti i limiti anti-trust, vale a dire, la trasmissione dei programmi irradiati da tali emittenti esclusivamente via satellite o via cavo, nonché la realizzazione da parte della RAI della terza rete senza pubblicità). In relazione alla data indicata la Corte costituzionale precisava, in motivazione, che essa “offre margini temporali all’intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui all’art. 3, comma 7 della legge n. 249 del 1997” e che “…la presente decisione, concernente le trasmissioni radiotelevisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili”.
[10] Il progetto di legge, approvato da entrambe le Camere, era stato infatti rinviato dal Presidente della Repubblica con messaggio motivato, a norma dell’art. 74 della Costituzione, per una nuova deliberazione, in data 15 dicembre 2003 (v. DOC I, n. 5). Circa il messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere sul pluralismo dell’informazione, vedi DOC I, n. 2.
[11] In particolare, risultano abrogati solo gli articoli che dispongono in merito ai principi generali.
[12] Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: «Modifiche alla Parte II della Costituzione, e pubblicato nella GU n.269 del 18 novembre 2005. Ai sensi dell’art. 138 della Costituzione la legge sarà sottoposta a referendum popolare essendo stata depositata la richiesta da parte di quindici consigli regionali.
[13] Legge 9 maggio 1989, n. 168 Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.
[14] Firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato da 14 Stati membri tra cui l’Italia (legge n. 57 del 7 aprile 2005, recante Ratifica ed esecuzione del Trattato che adotta una Costituzione per l' Europa e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Roma il 29 ottobre 2004).
[15] Cinque progetti hanno carattere mirato: Comenius (istruzione scolastica-formazione docenti); Erasmus (mobilità degli studenti delle scuole superiori e delle università); Grundtvig (istruzione degli adulti); Lingua (insegnamento e apprendimento delle lingue europee); Minerva (Istruzione aperta e a distanza –IAD; Tecnologie dell’informazione e della comunicazione -TIC) ; gli altri tre promuovono azioni intersettoriali.
[16] D.Lgs. 30-6-1999 n. 233 Riforma degli organi collegiali territoriali della scuola, a norma dell'articolo 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[17] “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” (nel prosieguo: “T.U. dell’istruzione ”)
[18] Art. 6 del DL 3 novembre 2001, n. 411 (recante proroghe e differimento di termini), convertito dalla legge 31 dicembre 2001, n. 463.
[19] Legge 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici
[20] Art. 2, comma 2, della legge 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del DL 28 maggio 2004, n. 136.
[21] Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo
[22] Regolamento concernente modalità di elezione del Consiglio universitario nazionale.
[23] Tale funzione è stata peraltro confermata dall’articolo 10 del d.lgs. 6 aprile 2006, n. 164; quest’ultimo, in attuazione all’articolo 1, comma 5 della legge 4 novembre 2005 (recante Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari) ha disciplinato l’idoneità scientifica nazionale.
[24] Riforma degli ordinamenti didattici universitari.
[25] L. 21 dicembre 1999 n. 508 Riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati.
[26] La legge 18 dicembre 1997, n. 440, ha istituito tale Fondo nello stato di previsione del MInistero della pubblica istruzione,definendone obiettivi e modalità di utilizzazione. Le disponibilità del fondo (indicate in tabella C della legge finanziaria) sono ripartite annualmente (previo parere delle Commissioni parlamentari competenti) con direttive del ministro dell’istruzione università e ricerca indicanti, tra l’altro, gli interventi prioritari.
[27] 136,16 milioni di euro per il 2003, 126 milioni di euro per il 2004 e 135,7 milioni di euro per il 2005 e 111 per il 2006 (quest’ultima direttiva non è stata ancora emanata dopo l’espressione del parere parlamentare).
[28] Si ricorda che il Portfolio delle competenze individuali è un documento che accompagna l’alunno fin dalla scuola dell’infanzia; le sue caratteristiche sono delineate dagli allegati al d.lgs. 59/2004 (recante norme generali sulla scuola dell’infanzia e sul primo ciclo dell’istruzione). Analogamente a quanto previsto per il primo ciclo, nel sistema dei licei il portfolio comprende una sezione dedicata alla valutazione e un'altra riservata all'orientamento; esso è compilato dal docente tutor in collaborazione con le famiglie (per i profili relativi ad interessi e metodi di apprendimento dello studente). Il documento ha particolare rilievo ai fini delle scelte future nell’ambito dell’istruzione superiore o nel caso di passaggio ad altri indirizzi formativi secondo ciclo. Si segnala in proposito che, con provvedimento del 26 luglio 2005 (Gazzetta ufficiale 8 agosto 2005), il garante per la protezione dei dati personali ha prescritto le misure da osservare ai fini della tutela della riservatezza e degli altri diritti degli interessati.
[29] In allegato al RD 1 ottobre 1931, n. 1312,è contenuto l’elenco dei Conservatori della Toscana, nel numero di 36.
[30] D.Lgs.16 aprile 1994, n. 297 Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado
[31] Risoluzione n. 7-00406 (On. Titti De Simone), approvata il 19 maggio 2004.
[32] Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado unico
[33] ai sensi dell’articolo 399, comma 1, del d.lgs. 297 del 1994 recanteApprovazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e gradoil restante 50 per cento viene coperto utilizzando le predette graduatorie permanenti.
[34] D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
[35] L’assegnazione degli incarichi di presidenza di durata annuale per le scuole di istruzione secondaria ed artistica, secondo la disciplina recata dall’art. 477 del D.Lgs. 297/1994 (Testo unico in materia di istruzione), è effettuata sulla base due distinte graduatorie provinciali, riservate a docenti già inclusi nelle graduatorie di merito per concorso a preside o aventi requisiti per partecipare a questi ultimi.
[36] L. 28 dicembre 2001, n. 448,Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
[37] Pubblicato sulla GU IV serie speciale, n. 100, del 20 dicembre 2002.
[38] Autorizzazione al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad avviare procedure concorsuali per il reclutamento di dirigenti scolastici.
[39] L. 28 dicembre 2001, n. 448,Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
[40] Con OM. n. 39 del 1° aprile 2004 prot. n. 464, il ministero dell’istruzione università e ricerca ha disciplinato il conferimento degli incarichi di presidenza fino all’approvazione della prima graduatoria del corso-concorso per dirigenti scolastici, confermando, per quanto qui interessa, che i candidati ammessi al periodo di formazione del primo corso-concorso (triennalisti) hanno priorità rispetto agli aspiranti inseriti nelle graduatorie provinciali.
[41] D.P.R. 27 gennaio 1998, n. 25 (Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi allo sviluppo ed alla programmazione del sistema universitario, nonché ai comitati regionali di coordinamento, a norma dell'articolo 20, comma 8, lettere a) e b), della L. 15 marzo 1997, n. 59)
[42] Tale ultima disposizione fa seguito al protocollo di intesa sul “Progetto lauree scientifiche", siglato il 17 giugno 2005 tra Miur, Confindustria e Conferenza Nazionale dei Presidi di Scienze e volto ad arginare la flessione degli iscritti ai corsi di laurea scientifici che offrono ancora notevoli opportunità lavorative. Le linee guida per la realizzazione di tale progetto sono state definite il 7 marzo 2005 e sono sostanzialmente coincidenti con le indicazioni del citato DM 262/2004.
[43] Si tratta della dichiarazione congiunta su “L'armonizzazione dell'architettura dei sistemi d'istruzione superiore in Europa”, sottoscritta dai ministri per l'università di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia a Parigi il 25 maggio 1998 (c.d. Dichiarazione della Sorbona), e della dichiarazione congiunta su “Lo spazio europeo dell'istruzione superiore”, sottoscritta da 29 ministri europei dell'Istruzione superiore intervenuti al Convegno di Bologna del 19 giugno 1999 (c.d. Dichiarazione di Bologna). Nella stessa direzione muovono, più recentemente,( i Comunicati delle Conferenze dei ministri europei dell'Istruzione superiore tenutesi a Praga (19 maggio 2001), Berlino (19 settembre 2003), Bergen (19-20 maggio 2005).
[44] Decreti del ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica del 2 aprile 2001, il primo dei quali adottato di concerto con il ministro della sanità.
[45] D.M. 12 aprile 2001, risultante dal concerto del ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica con il ministro della difesa.
[46] Definizione della classe del corso di laurea magistrale in giurisprudenza
[47] D.Lgs. 17 ottobre 2005 ,n. 227, Definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell'accesso all'insegnamento, a norma dell'articolo 5 della L. 28 marzo 2003, n. 53. La legge53/2003 recaDelega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
[48] Ai sensi della legge 341/1990 (artt.3 e 4) la formazione iniziale degli insegnanti di scuola materna ed elementare finora si svolgeva presso un apposito corso di laurea articolato in due indirizzi; per la formazione dei docenti delle scuole secondarie era prevista una scuola di specializzazione post laurea, di durata biennale, suddivisa in più indirizzi e caratterizzata anche da forme di tirocinio.
[49] Tali istituzioni sono state riordinate dalla legge 21 dicembre 1999, n. 508 che ha attribuito agli istituti che ne fanno parte (le Accademie di belle arti; l'Accademia nazionale di arte drammatica; gli Istituti superiori per le industrie artistiche; i Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati non statali e l'Accademia nazionale di danza )un'autonomia paragonabile a quella delle università (e parimenti fondata sull'art. 33 della Costituzione). Gli studi condotti negli istituti sopra citati vengono equiparati a quelli universitario (pur rimanendo da essi distinti) attraverso la creazione di un “sistema di alta formazione e specializzazione artistica e musicale”.
[50] Legge 3 luglio 1998 n. 210, Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo.
[51] Sono state in seguito istituite le seguenti università telematiche: Università telematica non statale “Guglielmo Marconi” (Decreto MIUR 1 marzo 2004); Università telematica non statale «TEL.M.A.». (Decreto MIUR 7 maggio 2004); Università telematica non statale «Leonardo da Vinci.» (Decreto Miur 27 ottobre 2004); Universita' telematica internazionale non statale «Uninettuno».(DM 15 aprile 2005); Universita' Telematica non statale «Italian University Line, IUL» (DM 2 dicembre 2005); Universita' Telematica non statale «e-Campus» (DM 30 gennaio 2006). Si segnala inoltre che recentemente (DM 16 marzo 2006) è stato disposto l’accreditamento di un corso di laurea telematico presso un università statale, quella di Firenze.
[52] Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo. Tale legge aveva trasferito alle università la competenza ad espletare le procedure per la copertura dei posti vacanti e la nomina in ruolo di professori ordinari, nonché di professori associati e di ricercatori.
[53] Previsti dall’articolo 24, comma 1 della legge 448/1998 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo).
[54] Si ricorda che l’art.318 del T.U. dell’istruzione reca una disciplina particolare per la valutazione del rendimento e le prove di esame degli studenti con handicap; queste ultime, quando ricadono nell’ambito dell’istruzione obbligatoria (finora comprendente la scuola elementare, la scuola secondaria di primo grado ed il primo anno della scuola secondaria di secondo grado) sono diversificate rispetto a quelle della classe d’appartenenza e tengono conto delle potenzialità individuali e del progetto educativo seguito per gli esami da sostenere. Nel percorso scolastico successivo (istituti secondari di secondo grado) l’art.318 del TU prevede invece la predisposizione di “prove equipollenti” a quelle sostenute dalla generalità degli studenti, in ragione dell’identico valore legale dei titoli di studio conseguiti, consentendo tuttavia l’utilizzo di tempi più lunghi.
[55] L’articolo 68 della L. 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali ) ha previsto l'obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età. Tale obbligo può essere assolto nel sistema di istruzione scolastica; nel sistema della formazione professionale di competenza regionale; nell'esercizio dell'apprendistato. Con DPR 12 luglio 2000, n. 257, è stato poi disciplinato l’assolvimento dell’obbligo nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale.
[56] Decreto Legislativo 15 aprile 2005, n.77 Definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro, a norma dell'articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
[57] Legge 2 dicembre 1991, n. 390, “Norme sul diritto agli studi universitari”.
[58] In particolare:
· l’art. 27 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) ha istituito nello stato di previsione del MEF un fondo per incentivare l’ acquisto di un personal computer da parte dei giovani che compivano 16 anni nel 2003 (cosiddetto progetto “PC ai giovani”);
· l’articolo 4 (commi 9-11) della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004) ha disposto analoghi incentivi per i giovani che compivano 16 anni nel 2004 e li ha estesi alle famiglie con reddito non superiore a 15.000 euro(PC alle famiglie); altre agevolazioni sono state introdotte per l’acquisto di pc da parte dei docenti scolastici e universitari;
· l’art. 1, commi 205-207, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) ha infine autorizzato per il 2005 la prosecuzione del programma PC ai giovani (senza rifinanziamento) ed ha prorogato i benefici già previsti per i docenti estendendoli al personale dirigente e non docente delle scuole e delle università statali, al personale delle scuole paritarie, delle università non statali e delle università telematiche.
[59] “Interventi correttivi di finanza pubblica” (provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per il 1994). L’articolo 5 ha dato sostanziale attuazione alla riforma del sistema di trasferimento delle risorse finanziarie alle università, già delineata dall'articolo 7, comma 2 della legge 9 maggio 1989, n. 168 (“Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica”) e differita dall'articolo 16, comma 6 della medesima legge alla data di entrata in vigore della legge di attuazione dei principi di autonomia universitaria.
[60] Non sono invece ricomprese nel fondo, e continuano quindi ad essere erogate a parte, la quota delle spese per la ricerca scientifica universitaria destinata ai progetti di ricerca di interesse nazionale di cui all'articolo 65 del D.P.R. n. 382 del 1982 (che ora sono confluite – ai sensi dell’articolo 46 della legge 448/2001 v. infra – nel Fondo investimenti Università e Ricerca) nonché la spesa per l'attività sportiva universitaria.
[61] Il Fondo ordinario è stato ripartito da ultimo, per l’anno 2005, con il D.M. 24 maggio 2005, n.139. Secondo le previsioni delle leggi di bilancio della XIV legislatura l’ammontare del fondo è stato di (in milioni di euro) 6.196 nel 2002, 6.225 nel 2003, 6.545 nel 2004, 6.995 nel 2005 e 6.924 nel 2006.
[62] Secondo le previsioni delle leggi di bilancio della XIV legislatura l’ammontare del fondo investimenti università è stato di (in milioni di euro) 348,3 nel 2003, 238,0 nel 2004, 240,6 nel 2005 e 179,2 nel 2006; l’ammontare del fondo investimenti edilizia universitaria è stato di (in milioni di euro) 158,2 nel 2003, 153,8 nel 2004, 154,4 nel 2005 e 100,0 nel 2006;
[63] D.P.R. 27 gennaio 1998 n. 25, “Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi allo sviluppo ed alla programmazione del sistema universitario, nonché ai comitati regionali di coordinamento”.
[64] Al credito formativo accademico corrispondono 25 ore di impegno per studente; l’impegno medio annuale di uno studente è fissato in 60 crediti.(art. 6 DPR 212/2005)
[65] Per conseguire il diploma di primo livello occorrono 180 crediti; per il diploma di secondo livello, al quale si accede successivamente, ne occorrono 120.
[66] L. 6 luglio 2002, n. 137 “Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici”
[67] D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 204, “Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera d), della L. 15 marzo 1997, n. 59”.
[68] Dopo un'ampia consultazione, svolta anche in sede parlamentare, il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica ha redatto il primo PNR, relativo al triennio 2001-2003, che è stato approvato dal CIPE nella seduta del 21 dicembre 2000.
[69] L'ammontare del Fondo ordinario è determinato in tabella C della legge finanziaria e ripartito tra gli enti interessati con decreto ministeriale, emanato previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.
[70] Legge 17 febbraio 1982, n. 46, “Interventi per i settori dell'economia di rilevanza nazionale”.
[71] “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.
[72] L’ art. 1, comma 354, della legge finanziaria per il 2005 ha disposto l’istituzione, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, di un apposito Fondo rotativo, denominato “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese“, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale. La dotazione iniziale del Fondo è stabilita in 6 miliardi di euro, da finanziare con le risorse del risparmio postale. L’articolo 6 del DL 35/2005 ha previsto la destinazione di una quota pari ad almeno il 30 per cento della dotazione finanziaria di detto fondo al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica, ha disposto che gli obiettivi specifici e le modalità di utilizzo della quota del Fondo rotativo destinata alla ricerca siano individuati nel PNR ed ha modificato la denominazione del Fondo in oggetto, trasformandola, in «Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca».
[73] Secondo quanto affermato nel PNR la prima annualità di tali risorse è stata attribuita con D.P.C.M 7 aprile 2003 per 50 milioni di euro al Ministero per la Sanità per ricerche finalizzate in vari settori di interesse sanitario, per 38 milioni di euro per integrare il fondo FIRB per i progetti di analoghi, per 25 milioni di euro per ricerche nel settore ICT promosse dal Ministero per l’Innovazione (gestite attraverso il fondo FAR), per 5 milioni di euro per ricerche nel settore della sicurezza stradale (FAR) per 5 milioni di euro per ricerche sulla simulazione della gestione del debito pubblico, per 80 milioni di euro per la realizzazione di grandi infrastrutture scientifiche, promozione di laboratori pubblico-privato e di distretti tecnologici (FIRB e FAR) e per 20 milioni di euro per nuove tecnologie di protezione e difesa del territorio dai disastri naturali (FIRB).
[74] Tale cifra è stata poi ridotta di 44 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari 2006, 2007, 2008 dalla legge finanziaria 2006 per destinare all'attuazione del piano programmatico di interventi finanziari previsto della legge n. 53 del 2003 (cd. legge Moratti), nonché alla prosecuzione delle iniziative di sviluppo ed all'alta formazione tecnologica del Paese.
[75] Decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[76] Legge 27 dicembre 2002, n. 289
[77] Recante ripartizione delle risorse per interventi nelle aree sottoutilizzate – rifinanziamento legge 208/1998 per il periodo 2005-2008 (legge finanziaria 2005). La Delibera al punto 5.3.6 dispone l’accantonamento di 30 milioni di euro per il finanziamento del progetto RI-MED che prevede la creazione di un Centro di ricerca biotecnologica, nel Mezzogiorno (Sicilia).
[78] Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: “Modifiche alla Parte II della Costituzione”, e pubblicato nella GU n.269 del 18 novembre 2005. Ai sensi dell’art. 138 della Costituzione la legge sarà sottoposta a referendum popolare essendo stata depositata la richiesta da parte di quindici consigli regionali.
[79] D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[80] In proposito si segnala che il Codice dei beni culturali e paesaggistici di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 ha abrogato gli articoli del d.lgs. n. 112 del 1998 relativi alla gestione (150), alla valorizzazione (152) ed alla promozione (153) dei beni culturali, oltre all’articolo 148 che recava le definizioni di beni culturali, beni ambientali, tutela, gestione, valorizzazione, attività culturali e promozione. Successivamente, il decreto recante disposizioni correttive a Codice ha abrogato gli artt. 154 e 155 (Commissione per i beni e le attività culturali e sue funzioni) del medesimo D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
[81] Vedi in proposito, tra gli altri, i dibattiti relativi alle pdl recanti “Disposizioni per l'istituzione del Museo europeo dell'arte musiva presso la Scuola mosaicisti del Friuli di Spilimbergo" (AC 5575); “Disposizioni per la valorizzazione e il rilancio delle città murate" (AC 3390); "Istituzione del Museo Carrarese" (AC 3820); "Istituzione del Museo nazionale di storia contemporanea 'Giacomo Matteotti'" (AC 4538), quest’ultimo poi approvato con legge n. 255 del 5 ottobre 2004.
[82] Il sostegno dello Stato a favore dello spettacolo trova il suo fondamento nel titolo II della legge n. 800 del 1967. Successivamente, la legge 30 aprile 1985, n. 163, nell’intento di porre fine alla frammentazione dell'intervento statale e alla conseguente pressoché annuale approvazione di apposite leggi di finanziamento, creava uno strumento nuovo, il Fondo unico per lo spettacolo (FUS), da ripartire annualmente tra i diversi settori (cinema, musica, teatro, danza, circhi e spettacolo viaggiante) con decreto dell'autorità di governo competente in materia di spettacolo. L’importo del FUS è stabilito annualmente in tabella C della legge finanziaria.
[83] La norma era già stata prorogata per il 2004 da decreti del Ministero per i beni e le attività culturali non aventi natura regolamentare
[84] Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: «Modifiche alla Parte II della Costituzione” e pubblicato nella GU n.269 del 18 novembre 2005. Ai sensi dell’art. 138 della Costituzione la legge sarà sottoposta a referendum popolare essendo stata depositata la richiesta da parte di quindici consigli regionali.
[85] Firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e in attesa di ratifica da parte degli Stati membri (per ora il Trattato è stato ratificato da 14 Stati membri tra cui l’Italia, con legge n. 57 del 7 aprile 2005, recante Ratifica ed esecuzione del Trattato che adotta una Costituzione per l' Europa e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Roma il 29 ottobre 2004).
[86] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa
[87] D.L. 18-2-2003 n. 24 Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 aprile 2003, n. 82
[88] Tale termine, originariamente fissato in due anni, è stato elevato a quattro anni dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51 (legge di conversione del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273)
[90] Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19, concernente «La Biennale di Venezia», ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137.
[91] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, “Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.
[92] Con decreto 24 settembre 2004 é stata ulteriormente disciplinata l’articolazione della struttura centrale e periferica dei dipartimenti e delle direzioni generali del Ministero per i beni e le attività culturali.
[93] La designazione degli organi consultivi è attualmente in corso di perfezionamento: con decreti emanati il 29 settembre 2005 ed il 17 gennaio 2006 sono stati costituiti gli otto comitati tecnico scientifici(cd comitati di settore); con DM 17 gennaio 2006, relativo al Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici sono stati nominati i 3 rappresentanti eletti dal personale ed i 5 esperti designati dal ministro, nonché i presidenti dei comitati tecnico scientifici già insediati, membri di diritto dell’organismo, restano da nominare le tre personalità del mondo della cultura designate da Conferenza Unificata e i due presidenti dei Comitati ( per i beni librari e per gli archivi )costituiti nella stessa data. Con decreto DM 10 marzo 2006 é stato infine nominato presidente del Consiglio nazionale.
[94] Si ricorda in proposito che il Ministero per i beni e le attività culturali ha disposto il potenziamento del personale delle soprintendenze delle Marche e dell’Umbria per lo svolgimento di attività connesse con la ricostruzione post-sismica (D.L. 6 del 1998, convertito dalla L. 61 del 1998, articolo 8, comma 7); l’assunzione di 1.000 unità per garantire l’apertura extra-orario di musei e gallerie (L. 448 del 1998, articolo 22, comma 5); l’ assunzione di 1.500 unità per assicurare l’apertura quotidiana con orari prolungati di musei, gallerie, aree archeologiche, biblioteche e archivi di Stato ( L. 494 del 1999, articolo 1, comma 1:);
[95] Il comma 2 dell’articolo 6 del D.Lgs. 81 del 2000 autorizza le pubbliche amministrazioni ad affidare a determinati soggetti (impegnati in progetti di lavori socialmente utili e che abbiano effettivamente maturato dodici mesi di permanenza in tali attività nel periodo dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre 1999), ove ne ricorrano condizioni ed esigenze, incarichi di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di attività connesse ai progetti di lavori socialmente utili da esse promossi.
[96] D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.
[97] Tali articoli sono confluiti nel Codice dei contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (D.Lgs. 12 aprile 2006, n.163, artt.95 e 96 ) e sono stati contestualmente abrogati.
[98] Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi
[99] Riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali, a norma degli articoli 11 e 14 della L. 15 marzo 1997, n. 59
[100]Art.3 D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51.
[101]DPCM 23 maggio 2001, DPCM 9 aprile 2002, DPCM 3 maggio 2002, tre distinti DPCM 24 maggio 2002, DPCM 14 marzo 2003, DPCM 23 marzo 2004, D. lgs. 4 giugno 2003, n. 127, DPR 11 novembre 2005, n. 255, D.L. 5 dicembre 2005, n. 250.
[102]Convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 2005, n. 4.
[103]Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 18 novembre 1997, n. 426, concernenti i compiti e l'organizzazione della Fondazione «Centro sperimentale di cinematografia».
[104] D.L. 23 aprile 1993, n. 118, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno1993, n. 202, recante Disposizioni urgenti per la soppressione del Ministero delle partecipazioni statali e per il riordino di IRI, ENI, ENEL, IMI, BNL e INA.
[105]Tale disposizione è stata introdotta dall’ art. 12 L. 237/1999 (Istituzione del Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee e di nuovi musei, nonché modifiche alla normativa sui beni culturali ed interventi a favore delle attività culturali).
[106]Con DM 6 febbraio 2006 (Disposizioni in materia di coordinamento delle fondazioni lirico-sinfoniche) il ministro per i beni e le attività culturali ha dato attuazione a tale disposizione disciplinando tra l’altro il contenimento dei costi per le scritture artistiche e per la produzione.
[107]Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, recante “Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano – CONI”, ai sensi dell'articolo 1 della L. 6 luglio 2002, n. 137
[108] Decreto legge 28 dicembre 2001, n. 452 “Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per autotrazione, di smaltimento di oli usati, di giochi e scommesse, nonché sui rimborsi IVA, sulla pubblicità effettuata con veicoli, sulle contabilità speciali, sui generi di monopolio, sul trasferimento di beni demaniali, sulla giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio nazionale della riscossione dei tributi e su contributi ad enti ed associazioni”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 27 febbraio 2002, n. 16.
[109]L'Istituto per il credito sportivo (ICS), fondato con la legge n. 1295 del 1957, è un ente pubblico con personalità giuridica, gestione autonoma e sede legale in Roma, ed esercita il credito sotto forma di mutui a medio e lungo termine concessi per la costruzione, l'ampliamento, l'attrezzatura e il miglioramento di impianti sportivi, ivi compresa l'acquisizione delle relative aree, nonché per l'acquisto di immobili da destinare ad attività sportive. L'Istituto era stato già riordinato con DPR 20 ottobre 2000, n. 453, emanato ai sensi dell'articolo 157, comma 4, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
[110] Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. L'articolo 151 stabilisce che l'operatività, l'organizzazione e il funzionamento delle banche pubbliche residue sono disciplinati dal medesimo testo unico, dagli statuti e dalle altre norme in questi richiamate.
[111]Anche per dare seguito ad un ordine del giorno della 7^ Commissione del Senato accolto dal Governo il 5 maggio 2004, in sede di conversione del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72.
[112]Con una modifica all’articolo 51, introdotta dalla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003), si è esplicitato che l’ente competente per l’assicurazione obbligatoria in questione è la Cassa di Previdenza per l'Assicurazione degli Sportivi (SPORTASS) e che con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità tecniche per l'iscrizione all'assicurazione obbligatoria presso l'ente in questione, nonché i termini, la natura, l'entità delle prestazioni e i relativi premi assicurativi. Tale decreto è stato quindi adottato con D.M. 17 dicembre 2004. Successivamente, l’articolo 6 del decreto-legge 115 del 2005 ha sostituto tale norma – e conseguentemente abrogato il decreto ministeriale – consentendo alle società sportive di scegliere la compagnia con la quale stipulare le relative polizze antinfortunistiche.
[113] Legge 30 luglio 2002, n. 189, "Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo".
[114] L’art. 22 in questione è stato introdotto a seguito dell’assorbimento del disegno di legge governativo A.S. 797 (“Disciplina dell’ingresso degli stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita”).
[115]La Federazione Italiana Sport Disabili, costituita nel 1990 dall’unificazione delle tre federazioni sportive competenti in materia di handicap: la Fisha (Federazione Italiana Sport Handicappati), la Fics (Federazione Italiana Ciechi Sportivi) e la Fssi (Federazione Italiana Silenziosi d’Italia)
[116]Su tale questione, si segnala, peraltro una modifica della normativa europea in senso più favorevole alla vendita collettiva. Partendo dall’affermazione della Corte di giustizia secondo la quale lo sport costituisce un’attività economica ai sensi dell’articolo 2 del trattato, la Commissione ha riconosciuto la specificità dello sport nella dichiarazione del Consiglio europeo a Nizza nel dicembre 2000. In quella occasione il Consiglio ha assunto una posizione favorevole alla messa in comune di una parte degli introiti derivanti dalla vendita dei diritti TV, ai livelli appropriati, come vantaggiosa per il principio di solidarietà tra tutti i livelli e le discipline dello sport. Nella decisione del 23 luglio 2003 sulla vendita congiunta dei diritti della UEFA Champions League, la Commissione ha concesso un’esenzione ai sensi del citato articolo 81 del trattato, fino al 31 luglio 2009.
[117] Legge 22 aprile 1941, n.633 Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
[118]Con riguardo ai profili segnalati sono state adottate le seguenti direttive, i cui decreti attuativi hanno, nella maggior parte dei casi, modificato o integrato la legge 22 aprile 1941 n. 633:
· Direttiva 91/250/CEE del Consiglio del 14 maggio 1991, relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore, recepita con D.Lgs. 22 dicembre 1992, n.518;
· Direttiva 92/100/CEE del Consiglio, del 19 novembre 1992, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale, recepita con D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685;
· Direttiva 93/83/CEE del Consiglio del 27 settembre 1993 per il coordinamento di alcune norme in materia di diritto d'autore e diritti connessi applicabili alla radiodiffusione via satellite e alla ritrasmissione via cavo, recepita con D.Lgs. 23 ottobre 1996, n. 581;
· .Direttiva 93/98/CEE del Consiglio del 29 ottobre 1993 concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi, recepita con D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 154;
· Direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 1996, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, recepita con D.Lgs. 6 maggio 1999, n. 169.
[119]Firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato da 14 Stati membri tra cui l’Italia (legge n. 57 del 7 aprile 2005, recanteRatifica ed esecuzione del Trattato che adotta una Costituzione per l' Europa e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Roma il 29 ottobre 2004).
[120]Accordo ratificato dall’Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747.
[121]Vedi l’intervento dell’On. Carlucci nella seduta della VII Commissione della Camera del 20 aprile 2004, in occasione dell’esame in sede referente del ddl di conversione del D.L. 72/2004 nonché l’intervento in aula dell’On. Grignaffini nella seduta del 20 aprile 2004
[122]Detto compenso è costituito, per gli apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi, da una quota del prezzo pagato dall'acquirente finale al rivenditore. Per i supporti di registrazione audio e video, quali supporti analogici, supporti digitali, memorie fisse o trasferibili destinate alla registrazione di fonogrammi o videogrammi, il compenso è costituito da una somma commisurata alla capacità di registrazione resa dai medesimi supporti (comma1, articolo 71-septies, legge 22 aprile 1941, n. 633).
[123] In particolare, la sentenza n. 466/2002 stabiliva la necessaria fissazione di un termine finale certo e non prorogabile, che comunque non oltrepassasse il 31 dicembre 2003, per la definitiva cessazione del “regime transitorio” (con gli effetti previsti dalla normativa allora vigente per le emittenti eccedenti i limiti anti-trust, vale a dire, la trasmissione dei programmi irradiati da tali emittenti esclusivamente via satellite o via cavo, nonché la realizzazione da parte della RAI della terza rete senza pubblicità). In relazione alla data indicata la Corte costituzionale precisava, in motivazione, che essa “offre margini temporali all’intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui all’art. 3, comma 7 della legge n. 249 del 1997” e che “…la presente decisione, concernente le trasmissioni radiotelevisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili”.
[124] Il progetto di legge, approvato da entrambe le Camere, era stato infatti rinviato dal Presidente della Repubblica con messaggio motivato, a norma dell’art. 74 della Costituzione, per una nuova deliberazione, in data 15 dicembre 2003 (DOC I, n. 5). Circa il messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere sul pluralismo dell’informazione, vedi DOC I, n. 2.
[125]Legge 6 febbraio 2006 recante Modifiche all’ articolo 10 della legge 3 maggio 2004, n. 112, in materia di tutela dei minori nella programmazione televisiva.
[126] L’operatività del limite è testualmente riferita all’“atto della completa attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale”. Nella fase transitoria il limite del 20% é calcolato sul numero complessivo dei programmi televisivi concessi o irradiati in ambito nazionale su frequenze terrestri indifferentemente in tecnica analogica o in tecnica digitale.
[127] Anche tramite imprese controllate, controllanti o collegate ex art. 2359 del codice civile.
[128]Nel quadro dei principi della concorrenza, la nozione di mercato rilevante, ai fini dell’eventuale individuazione di una posizione dominante, secondo la giurisprudenza comunitaria comprende quei prodotti o servizi tra loro intercambiabili sia sotto il profilo delle caratteristiche tecnologiche, sia per la loro idoneità a soddisfare egualmente le esigenze dei consumatori.
[129] In particolare, i membri del Consiglio di amministrazione passano da 5 a 9 e la loro nomina (tra persone in possesso di specifici requisiti) è rimessa all’assemblea dei soci, che li elegge mediante un meccanismo basato su liste “bloccate” concorrenti. Fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato nel capitale societario, tuttavia, un numero di consiglieri proporzionale alle azioni possedute dallo Stato è indicato attraverso una lista autonoma del Ministero dell’economia e delle finanze. Il termine per l’entrata in vigore delle nuove norme relative alla nomina ed al funzionamento del Cda della RAI è stato fissato al “novantesimo giorno successivo alla data di chiusura della prima offerta pubblica di vendita, effettuata ai sensi dell’articolo 21, comma 3”. Per la nomina del presidente si prevede invece che essa avvenga da parte del Cda, nell’ambito dei suoi membri, e che essa divenga efficace dopo l’acquisizione del parere favorevole, a maggioranza dei due terzi dei componenti, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
[130] Attesa la previsione di un limite al possesso azionario dell’1%, all’esito del procedimento di dismissione la società concessionaria si configurerà come società ad azionariato diffuso (“public company”). Si ricorda che in applicazione della legge è stata in primo luogo disposta la fusione per incorporazione della società RAI-Radiotelevisione italiana Spa nella società RAI-Holding Spa; peraltro, il processo di privatizzazione della RAI sembra aver subito una battuta d’arresto.
[131]La scadenza, originariamente fissata al 31 dicembre 2006, è stata successivamente prorogata al 31 dicembre 2008 dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51.
[132]In relazione allo sviluppo del sistema digitalein ambito televisivo il decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2004, n. 43, è intervenuto a disciplinare modalità e tempi di cessazione definitiva del regime transitorio previsto dalla legge n. 249 del 1997, autorizzando, tra l’altro, le reti cosiddette “eccedentarie” (rispetto ai limiti previsti dalla legge n. 249), a proseguire nell’esercizio dell’attività, nonché consentendo alla RAI di avvalersi di risorse pubblicitarie su tutte le proprie reti televisive (analogiche e digitali).
[133]In particolare, risultano abrogati solo gli articoli che dispongono in merito ai principi generali.
[134]Legge 6 novembre 2003, n. 313 recante Disposizioni per l'attuazione del principio del pluralismo nella programmazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali.
[135]Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59
[136]Convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2001, n. 317
[137]Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il DPCM 31 maggio 2002 ha quindi definito l’articolazione interna del Dipartimento per l'informazione e l'editoria.
[138]Proroga del periodo di sperimentazione della disciplina del prezzo dei libri, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 335
[139]Legge 7 marzo 2001, n. 62, “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modificazioni alla legge 5 agosto 1981, n. 416”.
[140] Quest’ultima era recata dalla Legge 5 agosto 1981, n. 416, “Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”. La legge ha dato per la prima volta carattere organico agli interventi a sostegno dell’editoria. Essa è stata peraltro modificata ed integrata da numerosi interventi successivi, che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario ed assai poco organico. I principali tra questi sono la legge 25 febbraio 1987, n. 67, “Rinnovo della legge 5 agosto 1981, n. 416, recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”, e la legge 7 agosto 1990, n. 250, “Provvidenze per l’editoria e riapertura dei termini, a favore delle imprese radiofoniche, per la dichiarazione di rinuncia agli utili di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 25 febbraio 1987, n. 67, per l’accesso ai benefici di cui all’articolo 11 della legge stessa”, anch’esse più volte modificate e integrate.
[141]DPCM 21 dicembre 2004, n .31.
[142]La legge 13 aprile 1999, n. 108 (“Nuove norme in materia di punti vendita per la stampa quotidiana e periodica”), al fine di ampliare e diversificare il mercato editoriale, ha avviato la sperimentazione di nuove forme di vendita di quotidiani e periodici, da effettuare in esercizi commerciali diversi dalle edicole, quali tabaccherie, rivendite di carburanti, bar, supermercati e librerie, nonché nei negozi specializzati per le riviste di identica specializzazione. La legge ha inoltre delegato il Governo ad emanare, valutati gli esiti della sperimentazione, un decreto legislativo mirante a disciplinare organicamente il sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica. Con il decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 170 preso atto dei risultati positivi della sperimentazione, è stata quindi introdotta una nuova disciplina della materia. In particolare, il decreto, mantenendo ferma la distinzione tra punti vendita esclusivi (edicole) e non esclusivi (elencati in modo tassativo) ha stabilito che l’attività di vendita della stampa quotidiana e periodica sia soggetta, in via generale, al rilascio di autorizzazione da parte dei Comuni.
[143]Convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2004, n. 46.
[144]Si ricorda che i DPCM 27 novembre 2002, n. 294 e 30 giugno 2003, n. 265 avevano già ammesso al beneficio alcune di tali categorie
[145]Decreto del Ministro delle comunicazioni 8 ottobre 2004.
[146]Secondo quanto affermato dal governo in sede di relazione illustrativa al ddl finanziaria (AS 3613), le disposizioni in commento disciplinano in maniera più rigorosa l’erogazione dei contributi diretti all’editoria e rifinanziano quei contributi indiretti (come il credito agevolato e il credito d’imposta) che hanno dimostrato di avere una particolare efficacia, riuscendo a sostenere il mercato senza alterarne le condizioni di base. La relazione tecnica al ddl valutava in 36 milioni di euro all’anno i risparmi di spesa, mentre quantificava l’onere derivante dall’articolo in 40,5 milioni di euro per il 2006, a 10,5 milioni di euro per il 2007 ed a 5 milioni di euro per il 2008.
[147] Provvidenze per l'editoria e riapertura dei termini, a favore delle imprese radiofoniche, per la dichiarazione di rinuncia agli utili di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 25 febbraio 1987, n. 67. L’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 250, interamente sostituito dall'articolo 18 della legge n. 62 del 2001, disciplina i requisiti per l’accesso ai contributi diretti previsti per le testate edite da cooperative giornalistiche e di altre specifiche categorie di imprese editoriali (quali imprese editrici di quotidiani ove la maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro, o che editino giornali in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome della Val d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, o quotidiani italiani editi e diffusi all’estero). Ai fini dell’accesso ai contributi la disposizione, in particolare, richiede, oltre a requisiti di trasparenza e diffusione, che i proventi pubblicitari non superino una certa percentuale dei costi. I contributi sono di due tipi: fissi e variabili. Per entrambi è stabilito un limite massimo definito in termini percentuali rispetto ai costi complessivi. Fermo restando questo elemento comune, i primi sono erogati a prescindere dalla tiratura; i secondi sono invece rapportati alla tiratura. Alla legge n. 250 del 1990 è stata data attuazione con il D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 525 “Regolamento recante norme per la concessione dei contributi e delle provvidenze all'editoria, in attuazione della L. 7 agosto 1990, n. 250 , e successive modificazioni” (modificato dal DPR n. 460 del 1997).
[148] Legge 6 agosto 1990, n. 223, recante "Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato" e legge 3 maggio 2004, n. 112 (c.d. Legge Gasparri), contenente "Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione"
[149] Gli articoli 5-8 della legge 62/2001, relativi agli interventi per lo sviluppo del settore editoriale, raccolgono gli strumenti di sostegno indiretti attorno alle due figure del credito agevolato e del credito di imposta alle imprese editoriali che investano in beni strumentali e in nuovi prodotti. Il primo dei due strumenti si realizza con l’istituzione di un Fondo per le agevolazioni di credito alle imprese del settore editoriale, destinato alla concessione di contributi in conto interessi su mutui bancari o contratti di locazione finanziaria per la realizzazione di progetti di ristrutturazione, realizzazione o ampliamento di impianti, miglioramento della distribuzione o formazione del personale (art. 5). L’utilizzazione del secondo strumento è prevista in favore delle imprese produttrici di prodotti editoriali che effettuino determinate tipologie di investimenti entro il 31 dicembre 2004. Il credito d’imposta, di un ammontare pari al 3% del costo sostenuto, è fruibile nel periodo di imposta in cui l’investimento è stato effettuato ed in ciascuno dei quattro periodi di imposta successivi (art. 8). Alla legge n. 62/2001 è stata data attuazione con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 142 (credito agevolato) e con il D.P.C.M. 6 giugno 2002, n. 143 (credito d’imposta).
[150]Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 2 dicembre 1997, n. 525, concernente norme per la concessione dei contributi e delle provvidenze all'editoria
[151] Si tratta delle imprese editrici di quotidiani la maggioranza del capitale delle quali sia detenuto da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro; o che editino giornali in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige; o quotidiani italiani editi e diffusi all’estero. Si ricorda al riguardo che la disciplina di che trattasi è stata interamente ridefinita dall’art. 18 della L. 62/2001, di riforma del sostegno all’editoria, che ha sostituito con quattro commi l’intero co. 2.
[152]Legge 7 agosto 1990, n. 250 recante Provvidenze per l'editoria e riapertura dei termini, a favore delle imprese radiofoniche, per la dichiarazione di rinuncia agli utili di cui all'articolo 9, comma 2, della L. 25 febbraio 1987, n. 67, per l'accesso ai benefici di cui all'articolo 11 della legge stessa
[153]Legge 25 febbraio 1987, n. 67, recante Rinnovo della L. 5 agosto 1981, n. 416
[154]La Biblioteca italiana per i ciechi "Regina Margherita" è stata fondata nel 1928 ed eretta in ente morale con il D.P.R. 5 marzo 1951, n. 974. La Biblioteca, attualmente dislocata nella Villa Reale di Monza, ha il fine statutario di agevolare l'istruzione dei ciechi elevandone il livello culturale, tecnico e professionale mediante la raccolta e la produzione di opere di scrittura a rilievo (sistema Braille) ed attuando ogni iniziativa atta a portare a diretta conoscenza dei ciechi opere tecniche, scientifiche, letterarie.
[155]Disposizioni in materia di interventi per i beni e le attività culturali, lo sport, l'università e la ricerca e costituzione della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS S.p.a.
[156]Con circolare 22 marzo 2005, n.5 del Ministero per i beni e le attività culturali sono stati definiti i criteri e le modalità di attribuzione dei contributi.
[157] D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, recante " Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi in campo economico e sociale", convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 649 L'art. 8 di tale decreto dispone che all'editoria speciale periodica per non vedenti, prodotta con caratteri tipografici normali, su nastro magnetico e in braille, è riservato un contributo annuo di lire 950 milioni (490.634 euro) a decorrere dal 1995.
[158] Legge 28 marzo 2003, n. 53 "Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale".
[159]Il piano è volto al sostegno:
• della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo dell’autonomia;
• dell’istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico;
• dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche;
• della valorizzazione professionale del personale docente;
• delle iniziative di formazione iniziale e continua del personale;
• del rimborso delle spese di autoaggiornamento sostenute dai docenti;
• della valorizzazione professionale del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (A.T.A.);
• degli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione;
• degli interventi per lo sviluppo dell’istruzione e formazione tecnica superiore e per l’educazione degli adulti;
• degli interventi di adeguamento delle strutture di edilizia scolastica.
[160]La mancata intesa con le autonomie locali è stata più volte lamentata da parte di queste ultime ed addotta tra le ragioni del mancato raggiungimento di un’intesa sullo schema di D.Lgs relativo all’alternanza scuola-lavoro (Documento della conferenza unificata 14 ottobre 2004).
[161]Si segnala che a valere su tali fondi, l’articolo 2-octies del D.L. 26 aprile 2005 n. 63, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d'autore, e altre misure urgenti, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109, in relazione alla esigenza di assicurare un adeguato supporto amministrativo alla realizzazione della riforma, ha destinato la somma di 7 milioni di euro annui, a decorrere dall'anno 2005, all'incentivazione della produttività del personale già appartenente al soppresso Ministero della pubblica istruzione.
[162]La legge 18 dicembre 1997, n. 440, ha istituito nello stato di previsione del MInistero della pubblica istruzione, a partire dall’esercizio finanziario 1997, il “Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi”, definendone gli obiettivi e le modalità di utilizzazione . Le disponibilità del fondo (indicate in tabella C della legge finanziaria) sono ripartite annualmente (previo parere delle Commissioni parlamentari competenti) con direttive del ministro dell’istruzione università e ricerca recanti tra l’altro indicanti tra l’altro indicazione degli interventi prioritari da realizzare.
[163]Conferenza Unificata, seduta del 19 giugno 2003. Tale accordo prescrive la realizzazione di un’offerta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale a partire dell’anno scolastico 2003-2004 (anticipando in tal senso l’alternanza scuola lavoro di cui all’art.4 della legge 53/2003 ); a tal fine si prevede per l’anno 2003 lo stanziamento di 11,345 milioni di euro a valere sul fondo di cui alla legge 440/97; nonché di 204,709 milioni di euro a valere sul capitolo 7022 del Fondo di rotazione per la formazione professionale nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (vedid.lgs. n. 77 del 2005).
[164]Gli allegati A, B, C definiscono gli obiettivi generali e specifici del processo formativo, le caratteristiche del portfolio delle competenze di ciascun segmento di istruzione, nonché vincoli e risorse a disposizione; gli allegati B e C riportano inoltre gli obiettivi specifici di apprendimento delle singole materie, ripartiti per classe o per biennio.
Con riferimento ai primi tre allegati viene specificato che le indicazioni ivi contenute esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui le scuole del Sistema nazionale di istruzione sono tenute ad aderire per garantire il diritto all’istruzione.
L’Allegato D traccia il profilo finale dello studente al termine del primo ciclo scolastico strutturandolo secondo la seguente articolazione: identità, strumenti culturali, convivenza civile.
[165] Ai sensi del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 ( Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59), il Piano dell’offerta formativa (POF) è il documento costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche e comprende anche attività extracurricolari ed educative progettate in relazione al contesto culturale e socioeconomico (iniziative di recupero, sostegno, orientamento scolastico e professionale, attivazione di insegnamenti facoltativi e percorsi didattici individualizzati). Il POF è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi definiti dal consiglio di circolo o di istituto, e tenendo conto delle proposte e dei pareri formulati dai genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti. Il documento viene poi adottato dal consiglio di circolo o di istituto, reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all'atto dell'iscrizione.
[166]L’art. 25 del d.lgs 226/2005 (recante norme sul secondo ciclo di istruzione e formazione) ha incrementato l’orario annuale obbligatorio di 66 ore (riservandone metà all’inglese e metà alla tecnologia) ed ha contestualmente ridotto del corrispondente numero di ore l’orario rimesso alla scelta facoltativa degli studenti. L’orario obbligatorio è pertanto determinato in 957 ore, quello facoltativo in 132.
[167]D. Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, recante Norme generali ed i livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, adottato ai sensi degli artt. 1 e 7 della legge 53/2003.
[168]Lo schema di decreto faceva riferimento ai livelli essenziali “ come definiti ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera c), e comma 2 della legge n. 53 del 2003” Quest’ ultimo prevede che, mediante uno o più regolamenti da adottare a norma dell'articolo 117, sesto comma, della Costituzione e dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, si provveda tra l'altro alla definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito dei percorsi formativi, nonché per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici (comma 1, lettera c) e che le norme regolamentari di cui al comma 1, lettera c), siano definite previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. A tale proposito si ricorda che alcune regioni hanno denunciato l'assimilazione della competenza statale a dettare i livelli essenziali delle prestazioni con la definizione degli standard minimi formativi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera c), della legge n. 53.
[169]L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione (INVALSI), con sede a Frascati (Roma), a seguito del riordino degli enti di supporto al ministero della pubblica istruzione operato con D.lgs. n 258/1999, ha assunto i compiti svolti a in precedenza dal Centro europeo dell'educazione (CEDE).
[170]Anche il DPR 313/2000 (regolamento di organizzazione dell’INVALSI), prevede che il ministro dell’istruzione università e ricerca ne indirizzi l’attività con propria direttiva.
[171]L’articolo 7 del contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti di contrattazione, per il quadriennio 2002/2005, sottoscritto in data 18 dicembre 2002, ha stabilito che il personale dell’Istituto va ricompreso, ai fini della contrattazione collettiva, nel comparto del personale delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione.
[172]Si ricorda che tali somme erano destinate alla realizzazione del Piano programmatico degli interventi finanziari previsto dalla legge Moratti (art. 1 comma 3). Tra gli obiettivi indicati dal Piano, approvato dal Consiglio dei ministri il 12 settembre 2003, figura appunto il Servizio nazionale di valutazione.
[173]La relazione che accompagna lo schema di riparto non fornisce alcun chiarimento in ordine alla cessazione di tale contributo
[174]Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, emanato in attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha delineato la nuova organizzazione del mercato del lavoro e della relativa disciplina legale. In particolare, l’articolo 48 prevede il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione.
[175]Con riguardo all’orientamento nel percorso scolastico si segnala che le singole istituzioni scolastichesono tenute a programmare ed assicurare agli studenti iniziative di orientamento scolastico e professionale coordinandosi eventualmente con quelle assunte dagli enti locali (articolo 4 del DPR 275/1999); tali iniziative sono liberamente predisposte nell’ambito dell’autonomia didattica, organizzativa e finanziaria riconosciuta alle stesse istituzioni dall’articolo 21 della legge L. 59/1997 e concretamente realizzata dai successivi regolamenti di delegificazione; inoltre la realizzazione di interventi per l’orientamento contro la dispersione scolastica figura fra gli obiettivi del citato piano programmatico di interventi finanziari.
[176] L’articolo 2 comma 5 fa rinvio alla figura prevista dall’art. 48 (Apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione) del D.lgs. 276/2003.
[177] A seguito della riforma contenuta nella delega di cui all’articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (cd. legge Bassanini), il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, ha provveduto al riordino del sistema dei servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro, redistribuendo tali funzioni tra Stato, Regioni e Province. Occorre ricordare, infine, che il recente D.lgs. 276 del 2003, recante l’attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 30 del 2003, nel mantenere intatte le funzioni amministrative attribuite alle province dal D.lgs. 469 del 1997, ha provveduto ad affiancare ai Centri per l’impiego le nuove Agenzie per il lavoro e gli altri operatori privati autorizzati, al fine di creare un sistema coerente di strumenti volti a garantire la trasparenza e l’efficienza del mercato del lavoro.
[178]Ai sensi del citato articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
[179] Con riferimento ai percorsi in alternanza, si ricorda che nelle more del decreto di attuazione della delega 53/2003, l’accordo del 19 giugno 2003, sancito in sede di Conferenza unificata, ha previsto la realizzazione, a partire dall’anno scolastico 2003-2004, di una offerta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale; a tal fine era previsto lo stanziamento di 11,34 milioni di euro a valere sul fondo di cui alla legge 440/97(Istituzione del Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi), nonché di 204,71 milioni di euro a valere sul Fondo di rotazione per la formazione professionale nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di cui all’articolo 9, comma 5 del DL 148/1993. Successivamente, l’accordo del 15 gennaio 2004, sancito in sede di Conferenza Stato-Regioni, ha definito gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base nell’ambito dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale. Infine, è stato siglato in data 28 ottobre 2004 un accordo per la certificazione finale ed intermedia e il riconoscimento dei crediti formativi tra il MIUR, il Ministero del Lavoro, le Regioni e gli Enti locali ai fini della spendibilità dei titoli su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento ai percorsi formativi sperimentali avviati sulla base dell’Accordo del 19 giugno 2003.
[180]Tale decreto ministeriale non risulta ancora adottato, del pari non risulta costituito il Comitato per il monitoraggio.
[181]L. 17 maggio 1999, n. 144, Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali. L’articolo 68 (cui è stata data attuazione con DPR 12 luglio 2000, n. 257) ha previsto l'obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età. Tale obbligo può essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione: a) nel sistema di istruzione scolastica; b) nel sistema della formazione professionale di competenza regionale; c) nell'esercizio dell'apprendistato. L'obbligo si intende comunque assolto con il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale. Le competenze certificate in esito a qualsiasi segmento della formazione scolastica, professionale e dell'apprendistato costituiscono crediti per il passaggio da un sistema all'altro.
[182]L’articolo 4 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281(Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), prevede che il governo, le regioni e le province autonome, possano concludere in sede di Conferenza Stato-regioni accordi, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune.
[183]Si ricorda che la legge 21 dicembre 1999, n. 508 ha riordinato il settore della formazione artistico musicale attribuendo un'autonomia paragonabile a quella delle università (e parimenti fondata sull'art. 33 della Costituzione) agli istituti che ne fanno parte, e cioè: le Accademie di belle arti; l'Accademia nazionale di arte drammatica; gli Istituti superiori per le industrie artistiche; Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati (non statali) e l'Accademia nazionale di danza.
[184]A partire dal 1999 è stato realizzato un sistema di formazione tecnico-professionale superiore integrata (FIS), di livello non universitario, denominato sistema di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), al quale si accede di norma con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore. Tale percorso ha lo scopo riqualificare e ampliare l'offerta formativa integrando le risorse dei soggetti presenti sul territorio; ed è stato avviato sperimentalmente dall'art. 69 della L. 144/1999 .
[185]Per l’accesso all'istruzione e formazione tecnica superiore è invece sufficiente l’ammissione al quinto anno.
[186]Dalle indicazioni più specifiche sull’orario delle varie tipologie di insegnamenti nei diversi percorsi (articoli da 4 a 11 del d.lgs.) si rileva che un monte ore per attività facoltative è previsto in tutti i licei tranne che nel liceo artistico.
[187]Legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.
[188]D.P.R. 23 luglio 1998, n. 323 Regolamento recante disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, a norma dell'articolo 1 della L. 10 dicembre 1997, n. 425.
[189]L. 10 dicembre 1997, n. 425 Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore.
[190]Il D.lgs. 31-3-1998 n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59) ha delegato alle regioni (articolo 138) la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; la programmazione, sul piano regionale della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa; la determinazione del calendario scolastico; i contributi alle scuole non statali.
[191]I princìpi dell’integrazione scolastica degli alunni con handicap sono stabiliti alcuni articoli della legge quadro sull’handicap (legge 5 febbraio 1992, n. 104) poi confluiti nel testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione (D.lgs. 297/1994). Strumenti principali di tale integrazione, oltre alla fornitura degli ausili tecnici indispensabili all’alunno, sono: l’adozione di un progetto educativo individualizzato, calibrato sulle potenzialità individuali; il supporto degli insegnanti di sostegno che affiancano i docenti curriculari e sono forniti di particolare specializzazione; la limitazione del numero complessivo di alunni nelle classi con portatori di handicap.
[192]I decreti sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 95 della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo). Si ricorda in proposito che tale norma ha avviato una radicale riforma degli ordinamenti didattici universitari e della tipologia dei corsi, riconoscendo ai singoli atenei l’autonomia nella definizione dei percorsi formativi in conformità a criteri generali definiti con uno o più decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con altri Ministri interessati. In attuazione di tale norma è stato adottato il regolamento approvato con D.M. 509/1999, recante norme sull’autonomia didattica degli atenei, recentemente sostituito dal D.M. 270/2004, i cui punti cardine possono riassuntivamente indicarsi nella disciplina delle modalità di definizione degli ordinamenti didattici, nell’articolazione dei corsi di studio in conformità con gli standard condivisi dai Paesi dell’Unione europea (sui due livelli della laurea e della laurea magistrale, oltre ai corsi di dottorato, di specializzazione e di alta formazione); nelle norme di accesso ai corsi universitari.
[193]Programmazione del sistema universitario per il triennio 2004-2006.
[194]Interventi finanziari per l'università e la ricerca.
[195]L’accesso programmato ai cosi di laurea in scienza della formazione primaria e alle scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario è stato introdotto dalla legge 2 agosto 1999, n. 264, recante Norme in materia di accessi ai corsi universitari.
[196]Adottata con DPCM ai sensi dell’articolo 35, comma 4, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
[197]Ai sensi dell’articolo 39 della L. 27 dicembre 1997, n. 449, recante Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.
[198]Allegato D al citato D.lgs.59/2004.
[199] . Legge 10 marzo 2000 n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione.
[200] Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” Parte II-Ordinamento scolastico-; titolo VIII- Istruzione non statale; capi I, II e III, concernenti rispettivamente scuola materna, istruzione elementare e secondaria.
[201]Il MIUR ha trasmesso alle Camere la Relazione sullo stato di attuazione della legge 10 marzo 2000 n.62 recante norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione (DOC XXVII, n.13,- annunciato all’ Assemblea della Camera il 6 aprile 2004 ).La relazione precisa (pag. 31) che al 30 giugno 2003 la percentuale delle scuole paritarie ammontava all’82% delle scuole non statali.
[202]Senato,, Commissione Istruzione, seduta del 15 dicembre 2005.
[203]Come si evince dalla Relazione sullo stato di attuazione della legge 10 marzo 2000 n.62 (DOC XXVII, n. 13, pag. 56) la forma del regolamento di delegificazione era stata individuata dal MIUR di concerto con la Presidenza del Consiglio interpellata (con nota ministeriale 12 febbraio 2004) in ordine alle difficoltà applicative dell’art.1, co.7, della legge 62/2000, sotto il profilo della natura dell’atto richiesto da quest’ultima
[204] Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” (nel prosieguo: “T.U.”): Parte II-Ordinamento scolastico-; titolo VIII- Istruzione non statale; capi I, II e III, concernenti rispettivamente scuola materna, istruzione elementare e secondaria.
[205] Ora denominate scuole primarie ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53 recante Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
Ai sensi del T.U., le scuole elementari non statali si dividono in scuole parificate, scuole sussidiate e scuole private autorizzate (art. 343 del T.U.). Le scuole sussidiate sono quelle gestite da privati, enti o associazioni, mantenute parzialmente con il sussidio dello Stato nei luoghi dove non esistano scuole statali o parificate. Le scuole private autorizzate(art. 349 del T.U.) sono gestite da privati con l’autorizzazione del direttore didattico, secondo modalità stabilite da regolamento governativo. E’ previsto (art. 350 del T.U.) l’obbligo di adeguarsi, in linea di massima, all’ordinamento della scuola elementare statale.
[206] Attualmente, ai sensi dell’art.8 (Uffici scolastici regionali) del D.P.R. 11 agosto 2003, n. 319 (Regolamento di organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) l’articolazione periferica del ministero è costituita dagli uffici scolastici regionali (aventi sede nel capoluogo di regione) ai quali sono assegnate tutte le funzioni già spettanti agli uffici periferici dell'amministrazione, fatte salve le competenze riconosciute delle istituzioni scolastiche autonome a norma delle disposizioni vigenti. L'ufficio scolastico regionale si articola per funzioni e sul territorio; a tale fine operano a livello provinciale e/o subprovinciale i centri servizi amministrativi.
[207]Decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, recante Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione a norma dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 53/2003. Il decreto definisce il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione; a tal fine l’obbligo scolastico è ridefinito e ampliato per una durata minima di 12 anni o, comunque, fino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, ivi comprese le scuole paritarie, anche attraverso l’apprendistato. E’ prevista la possibilità di assolvere al diritto-dovere anche privatamente, come stabilito dall’articolo 111 del TU sull’istruzione con riferimento all’obbligo scolastico. La fruizione del diritto, di cui si ribadisce la connotazione di dovere sociale, esteso anche ai minori stranieri, è gratuita. E’ inoltre garantita l’integrazione delle persone in situazione di handicap.
[208]Legge 23 agosto 1988, n. 400.
[209]Regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297, Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare.
[210] Camera, assemblea, seduta del 30 gennaio 2006
[211]Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari
[212]Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo
[213] D.L. 31gennaio 2005 n. 7 (Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti) convertito in legge, con modificazioni dalla legge 31 marzo 2005, n. 43.
[214]Secondo la modifica alla legge introdotta dal DL 30 dicembre 2005, n. 273, (convertito dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51).La precedente formulazione della norma consentiva tali procedure solo fino all’entrata in vigore della legge.
[215]Tale limite è stato stabilito dall’articolo 51, comma 4 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 recante Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica
[216]previsti dall’articolo 1, comma 105, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)
[217]Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo. Tale legge aveva trasferito alle università la competenza ad espletare le procedure per la copertura dei posti vacanti e la nomina in ruolo di professori ordinari, nonché di professori associati e di ricercatori.
[218]Il decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270, ha sostituito il precedente DM (3 novembre 1999, n.509) in materia di autonomia didattica degli atenei .L’articolo 3 del DM elenca i corsi di studio ed i titoli rilasciati dalle università: laurea (L); laurea magistrale (L.M.), diploma di specializzazione (DS), il dottorato di ricerca (DR), master universitari di primo e di secondo livello.
[219]Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica
[220]Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo
[221] Sentiti il Consiglio universitario nazionale (CUN) e le Commissioni parlamentari competenti. L'art. 1 del D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 491, istitutivo del Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), prescrive il parere anche di quest'ultimo organismo.
[222] Dal riordino resta escluso il dottorato di ricerca, riordinato ai sensi di altre disposizioni (v. infra).
[223] Si tratta della dichiarazione congiunta su “L'armonizzazione dell'architettura dei sistemi d'istruzione superiore in Europa”, sottoscritta dai ministri per l'università di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia a Parigi il 25 maggio 1998 (c.d. Dichiarazione della Sorbona), e della dichiarazione congiunta su “Lo spazio europeo dell'istruzione superiore”, sottoscritta da 29 ministri europei dell'Istruzione superiore intervenuti al Convegno di Bologna del 19 giugno 1999 (c.d. Dichiarazione di Bologna). Nella stessa direzione muovono, più recentemente,( i Comunicati delle Conferenze dei ministri europei dell'Istruzione superiore tenutesi a Praga (19 maggio 2001), Berlino (19 settembre 2003), Bergen (19-20 maggio 2005).
[224] D.M. 3 novembre 1999, n. 509, Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei.
[225]Secondo la relazione illustrativa allegata allo schema di decreto sottoposto al parere parlamentare (si veda il Dossier Pareri n 307 predisposto dal Servizio Studi il 28 aprile 2004).
[226] D.M. 30 aprile 1999, n. 224.
[227] Ai dottorandi di ricerca può essere peraltro affidata una “limitata attività didattica sussidiaria o integrativa che non deve in ogni caso compromettere l'attività di formazione alla ricerca”.
[228] Tale corrispondenza è stata adottata nei decreti relativi alle lauree ed alle lauree specialistiche.
[229]Approvati (secondo le indicazioni dell’art.17, comma 95, della legge 12771997) previo parere del Consiglio universitario nazionale, del Consiglio nazionale degli studenti universitari e delle commissioni parlamentari competenti.
[230]L’art. 10, co. 2 del DM n. 509/1999 prevedeva che le attività formative di ciascun corso di studi fossero definite dagli atenei per i due terzi (66 per cento) entro ambiti di discrezionalità vincolata al rispetto delle indicazioni ministeriali e solo per un terzo (34 per cento) in piena autonomia.
[231]Con Decreto 30 maggio 2001 il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica aveva già provveduto all’Individuazione di dati essenziali sulle carriere degli studenti e per il rilascio del certificato di supplemento al diploma; successivamente il DM 30 aprile 2004 ha disciplinato l’Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati ed il rilascio del certificato bilingue “diploma supplement” a partire da 2005.
[232] Per conseguire una laurea, secondo quanto già disposto dal citato DM 509/1999 (art. 7), lo studente deve aver acquisito 180 crediti, corrispondenti a tre anni di corso, essendo convenzionalmente fissata in 60 crediti la quantità media di lavoro di apprendimento svolto in un anno.
[233]Decreto 24 -settembre 1997, adottato dal ministro dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica d'intesa con il ministro della sanità, recante Requisiti d'idoneità delle strutture per i diplomi universitari dell'area medica.
[234]Definizione della classe del corso di laurea magistrale in giurisprudenza
[235]Nel DM 509/1999 era prevista l’iscrizione con il possesso di un titolo di scuola secondaria superiore soltanto per i corsi di laurea specialistica disciplinati da normative dell’Unione europea (di fatto afferenti all’area medica).
[236] Le classi delle lauree in giurisprudenza erano in precedenza articolate (DM 4 agosto 2000)in: Classe 2 - Classe delle lauree in scienze dei servizi giuridici ;Classe 31 - Classe delle lauree in scienze giuridiche). Era poi prevista (DM 28 novembre 2000) una Classe delle lauree specialistiche in giurisprudenza (Classe 22/S ).
[237]D.Lgs. 17 ottobre 2005 ,n. 227, Definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell'accesso all'insegnamento, a norma dell'articolo 5 della L. 28 marzo 2003, n. 53. La legge53/2003 recaDelega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
[238]Ai sensi della legge 341/1990 (artt.3 e 4) la formazione iniziale degli insegnanti di scuola materna ed elementare finora si svolgeva presso un apposito corso di laurea articolato in due indirizzi; per la formazione dei docenti delle scuole secondarie era prevista una scuola di specializzazione post laurea, di durata biennale, suddivisa in più indirizzi e caratterizzata anche da forme di tirocinio.
[239]Tali istituzioni sono state riordinate dalla legge 21 dicembre 1999, n. 508 che ha attribuito agli istituti che ne fanno parte (le Accademie di belle arti; l'Accademia nazionale di arte drammatica; gli Istituti superiori per le industrie artistiche; i Conservatori di musica, gli Istituti musicali pareggiati non statali e l'Accademia nazionale di danza )un'autonomia paragonabile a quella delle università (e parimenti fondata sull'art. 33 della Costituzione). Gli studi condotti negli istituti sopra citati vengono equiparati a quelli universitario (pur rimanendo da essi distinti) attraverso la creazione di un “sistema di alta formazione e specializzazione artistica e musicale”.
[240]I decreti sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 95 della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo)..
[241]L’art. 10, co. 2 del DM n. 509/1999 prevedeva che le attività formative di ciascun corso di studi fossero definite dagli atenei per i due terzi (66 per cento) entro ambiti di discrezionalità vincolata al rispetto delle indicazioni ministeriali e solo per un terzo (34 per cento) in piena autonomia.
[242]Ai sensi dell’articolo 11 del DM n. 270/2004, ogni ordinamento didattico determina:
a) le denominazioni e gli obiettivi formativi dei corsi di studio, indicando le relative classi di appartenenza;
b) il quadro generale delle attività formative da inserire nei curricula;
c) i crediti assegnati a ciascuna attività formativa e a ciascun àmbito;
d) le caratteristiche della prova finale per il conseguimento del titolo di studio.
[243]La legge finanziaria 2002 (legge n. 448/2001) ha disposto l’istituzione, nello stato di previsione della spesa di ciascun Ministero, di un fondo per gli investimenti per ogni comparto omogeneo di spesa. Nel fondo confluiscono le risorse relative ad autorizzazioni di spesa per nuovi investimenti, nonché gli stanziamenti disposti in bilancio relativamente ad investimenti già autorizzati. I singoli ministeri presentano annualmente al Parlamento, per l’acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni, una relazione nella quale siano individuate le destinazioni delle disponibilità di ciascun fondo, con successivo trasferimento delle risorse ai capitoli di spesa relativi ai singoli interventi.
[244]Legge 8 ottobre 1997, n.352 (“Disposizioni sui beni culturali”; c.d. “Legge Veltroni”).
[245] L’articolo 10 della n. 352/1997 aveva autorizzato il ministro alla costituzione della SIBEC SPA (Società Italiana per i Beni Culturali), finalizzata alla promozione ed al sostegno finanziario tecnico, economico e organizzativo di progetti ed iniziative per il restauro e la valorizzazione di beni culturali. Quest’ultima tuttavia, per motivi connessi alla effettiva capacità di finanziamento, non era di fatto divenuta mai operativa.
[246]La citata norma ha altresì stabilito che:
· il capitale sociale, di 8 milioni di euro, fosse sottoscritto dal Ministero dell’economia e delle finanze, mentre i diritti di azionista spettassero al Ministero per i beni e le attività culturali (d’intesa con il primo per i profili patrimoniali, finanziari e statutari);
· la partecipazione di altri soggetti (regioni, enti locali, imprese ed altri soggetti pubblici e privati) al capitale sociale fosse ammessa solo per le azioni di nuova emissione (in quanto per le azioni che costituiscono il capitale iniziale è prevista l’inalienabilità) e comunque per un importo non superiore al 45% del capitale sociale sottoscritto dallo Stato; .
· il Consiglio di amministrazione fosse composto da sette membri nominati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali (tre dei quali su proposta del Ministro delle finanze), mentre per il Presidente si è prescritto il parere delle competenti commissioni parlamentari;
· dei tre dei membri del Collegio sindacale (nominati anch’essi con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali) due fossero designati dal ministro dell’economia e delle finanze;
· uno specifico settore di intervento della costituenda Società consistesse nella tutela del patrimonio barocco delle città di Gallipoli, Galatina, Nardò, Copertino, Casarano e Maglie; a tal fine la provincia di Lecce, in accordo con le competenti soprintendenze e sentita la Commissione regionale per i beni e le attività culturali, avrebbe formulato proposte alla Società stessa che le avrebbe attivate nel limite massimo di 7,740 milioni di euro, avvalendosi delle risorse di cui all’art.60 comma 4 della legge finanziaria 2003.
[247]Legge 1° agosto 2002, n. 166 Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti .
[248]Il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 7 aprile 2004 ha quantificato i limiti di impegno relativamente agli anni finanziari 2003 e 2004 rispettivamente in 89.594.000 euro e 85.152.000 euro. Conseguentemente, la quota dei suddetti limiti da destinare alla spesa per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali è stata determinata in 2.680.000 euro a decorrere dal 2003 e 2.550.000 euro a decorrere dal 2004.
[249]Ulteriori informazioni sono presenti in http://www.maxximuseo.org/storia.htm.
[250]Individuazione degli enti beneficiari degli ulteriori contributi statali, previsti per gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007 dall'articolo 2-bis del decreto-legge n. 7 del 2005, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 43 del 2005, nonche' le relative modalita' di erogazione.
[251]La relazione governativa allo schema di d.lgs. trasmesso alle Camere per il parere (gennaio 2006), specifica che le modifiche sono finalizzate all’adeguamento alle disposizioni legislative intervenute dopo il 2004 ed alla necessità di “rendere più intellegibile la volontà del legislatore e favorirne l’attuazione”. Il d.lgs.156 presenta numerose innovazioni rispetto al testo esaminato dalle Camere, esse sono motivate - secondo nuova la relazione predisposta dal Governo - dalla volontà di accogliere i pareri della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari.
[252]Fanno eccezione, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs.156/2006, le raccolte delle biblioteche di enti locali destinate alla lettura (l’art.10, comma 1, lett. c), fa riferimento alle biblioteche popolari di cui all’art.47 comma 2 del DPR 616/1977).
[253]Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici".
[254]D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352.
[255]Verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di utilità pubblica
[256]Modifiche ed integrazioni al decreto 6 febbraio 2004 concernente la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di utilità pubblica
[257]Al riguardo, rispondendo ad una interrogazione dell’On. Grignaffini (n. 5-04607), presso la VII Commissione della Camera, il sottosegretario del Ministero dei beni e delle attività culturali, on. Bono, il 12 luglio 2005, ha altresì comunicato che l'articolo 27 del decreto-legge n. 269 del 2003, avendo esaurito la sua funzione normativa, sarebbe stato abrogato formalmente in sede di redazione del decreto integrativo e correttivo del Codice, previsto dalla legge-delega.
[258]Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80
[259]Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi
[260]Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80
[261] Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici".
[262]La presentazione del ricorso comporta la sospensione automatica dell’efficacia del provvedimento impugnato, salva l’applicazione delle misure cautelari.
[263]Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d’autore, e altre misure urgenti convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109.
[264]Il DL 63/2005 e il DL 164/2005 in realtà prevedevano, con riferimento alla qualificazione di beni culturali delle “cose di interesse numismatico”, che tale qualificazione fosse attribuita qualora la produzione delle medesime, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali, non fosse caratterizzata da serialità o ripetitività. La norma in commento fa invece riferimento, come si è detto, al carattere di rarità o di pregio, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione. In proposito, la relazione governativa allegata allo schema in esame chiarisce che “non è possibile astrarre una nozione di serialità valida per tutte le epoche e le culture; ma è invece necessario interpretare tale caratteristica in relazione al grado di raffinatezza delle tecniche di conio, alle leghe utilizzate ed all’epoca cui risale la moneta.”
[265]Con riguardo alle opere di architettura contemporanea si segnala che l’articolo 37, comma 4, prevede la possibilità per i proprietari di ricevere un contributo in conto interessi nel caso in cui il soprintendente ne abbia riconosciuto il particolare valore artistico.
[266] Si fa presente che l’articolo 65, comma 4, prevede, altresì, la libera esportabilità di tali opere.
[267] Si ricorda, al riguardo, che la tutela del patrimonio artistico delle Prima guerra mondiale è stata oggetto della legge 7 marzo 2001, n. 78.
[268]Tale ultima precisazione è stata introdotta dal D.Lgs.156/2006
[269]Il D.Lgs. 156/2006 ha modificato l’art. 21 precisando meglio i caratteri di archivi e biblioteche destinatari delle prescrizioni (pubblici o privati “dichiarati di interesse”) e rafforzando i poteri del soprintendente; infatti a quest’ultimo va comunicato il mutamento di destinazione d’uso dei beni culturali inoltre si introduce un limite temporale di cinque anni alla validità dell’autorizzazione agli interventi sui beni culturali. Trascorso il periodo se i lavori non sono stati eseguiti l’autorizzazione non viene meno, ma il soprintendente può dettare nuove prescrizioni ovvero modificare le precedenti n relazione al mutare delle tecniche di conservazione.
[270]Si ricorda in proposito che il DL 26 aprile 2005, n. 63 convertito con modif. dalla legge 25 giugno 2005, n. 109 ha ulteriormente disciplinato la cosiddetta archeologia preventiva (articoli da 2-ter a 2-quinquies) prescrivendo alle stazioni appaltanti di opere pubbliche in aree di interesse archeologico di trasmettere al Soprintendente territorialmente competente copia del progetto preliminare dell’intervento, comprendente gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, e dettando le fasi del successivo procedimento di verifica preventiva dell'interesse archeologico.Le disposizioni citate sono state trasfuse di recente negli artt. 95 e 96 del Codice dei contratti pubblici relativi (D.Lgs.12 aprile 2006, n. 163.).
[271]Di tali ultime attività viene chiarito l’ambito:
· prevenzione (complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto);
· manutenzione (complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti);
· restauro (intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali
[272] Istituto Centrale del Restauro di Roma e l’Opificio delle pietre dure di Firenze, l’Istituto di Patologia del libro (Roma).
[273]Si ricorda sinteticamente che la formazione degli specialisti operanti nel settore dei beni culturali può essere svolta attualmente in appositi corsi di laurea triennale o specialistica. Il DM 4 agosto 2000, recante determinazione delle classi delle lauree triennali, individua tra l’altro le classi delle lauree in scienze dell’architettura e dell’ingegneria edile, scienze dei beni culturali, tecnologie per la conservazione ed il restauro dei beni culturali; il DM 28 novembre 2000, recante determinazione delle classi delle lauree specialistiche, prevede le seguenti classi: laurea specialistica architettura e ingegneria edile; architettura del paesaggio; archeologia, archivistica e biblioteconomia; conservazione e restauro del patrimonio storico artistico; storia dell'arte.
Presso alcuni istituti centrali del ministero peri beni e le attività culturali - l’Istituto centrale del restauro (Roma) e l’Opificio delle pietre dure (Firenze) - operano inoltre delle Scuole di alta formazione e studio, riconosciute come tali da ultimo dall’articolo 9 del già citato D.Lgs.368/1998. Tali scuole, rispettivamente disciplinate sotto il profilo organizzativo dai DPR 16 luglio 1997, n. 399 e DPR 16 luglio 1997 n. 294, organizzano corsi di formazione e di specializzazione (eventualmente anche con il concorso di università e altre istituzioni ed enti italiani e stranieri) e possono, a loro volta, partecipare e contribuire alle iniziative di tali enti.
I requisiti per l’acquisizione della qualifica di restauratore e di collaboratore restauratore sono stati inoltre definiti ai fini dell’esecuzione dei lavori di restauro e manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni dagli articoli 7 e 8 del D.M. 3 agosto 2000, n. 294 (successivamente modificato dal DM 420/2001).
[274]Regolamento recante modificazioni e integrazioni al D.M. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici (Pubblicato nella Gazz. Uff. 1° dicembre 2001, n. 280).
[275]L’art. 42 (Archivi di organi costituzionali)che menziona gli archivi della Presidenza della Repubblica, delle Camere e della Corte Costituzionale è stato recentemente integrato dall’art. 14-duodecies del DL 30 giugno 2005, n. 115 (convertito con modif. dalla legge 17 agosto 2005, n. 168) quest’ultimo dispone che gli atti della Presidenza del Consiglio siano conservati presso un Archivio storico ivi dislocato secondo modalità di conservazione e consultazione determinate dal Presidente del Consiglio dei Ministri con proprio decreto.
[276] Si ricorda ai sensi dell’art. 822 c.c. fanno parte del demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico ed artistico, le raccolte dei musei, degli archivi, delle biblioteche e delle pinacoteche. Caratteristiche tipiche dei beni demaniali sono l’inalienabilità (art. 823 c.c.) e l’imprescrittibilità o inusucapibilità. La demanialità è stabilita in base a disposizioni di legge. Peraltro, è rimesso ad atti amministrativi l’accertamento della corrispondenza dei singoli beni alle caratteristiche fisiche del genere investito della demanialità. Tali atti hanno carattere meramente dichiarativo e non costitutivo e consistono generalmente nell’iscrizione dei beni negli appositi elenchi formati dall’amministrazione ed approvati con decreti presidenziali o ministeriali pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. La cessazione della demanialità di un bene può essere determinata, oltre che da fatto naturale, da un atto volontario dell’amministrazione la quale deliberi di sottrarre il bene al servizio cui l’aveva destinato in precedenza (art. 829, primo comma c.c.). Il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio dello Stato (c.d. sdemanializzazione) deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa con atto di cui deve essere dato annuncio nella Gazzetta Ufficiale.
[277]Regolamento 3911/92 del 9 dicembre 1992 relativo all’esportazione dei beni culturali; Direttiva 93/7/CE del consiglio del 15 marzo 1993, (concernente la restituzione dei beni culturali illecitamente usciti da uno Stato membro) come modificata da sucessive direttive;
[278]La Convenzione UNIDROIT sulla restituzione ed il ritorno dei beni culturali rubati o illecitamente esportati è stata adottata a Roma il 24 giugno 1995; Il testo ha la finalità di ovviare alla limitata efficacia di talune disposizioni di una precedente Convenzione UNESCO del 1970; in particolare riconosce e disciplina il diritto all’indennizzo per l’acquirente in buona fede . La legge di ratifica (L. 7 giugno 1999, n. 213) regola l'esercizio in Italia dell'azione di restituzione e definisce le modalità di proposizione della richiesta e la riconsegna dei beni agli aventi diritto; vengono esplicitamentre escluse dall’applicazione le vertenze tra Stati dell’Unione europea in quanto disciplinate dalla Direttiva 93/7/CE.
[279] D.L. 14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1933, n.4.
[280]Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)
[281]Per quanto riguarda la gestione indiretta, si ricorda che a partire dai primi anni ’90 si è avviato anche in Italia, in linea con la tendenza prevalente nei più avanzati Paesi occidentali, un processo di collaborazione pubblico-privato nella gestione e fruizione del patrimonio culturale pubblico. Il punto di partenza di tale processo è rappresentato dalla c.d. legge Ronchey (DL 433/1992 convertito dalla legge 4/1993) partendo dal presupposto che fruizione del servizio museale viene incentivate se si forniscono prestazioni accessorie (dalla vendita di riproduzioni, libri, dischi, ai servizi di informazione, di caffetteria ecc.), ha consentito ai musei statali di “esternalizzare”, affidandoli in concessione a privati, alcuni servizi accessori, afferenti essenzialmente all’assistenza culturale ed all’ospitalità per il pubblico (cosiddetti “servizi aggiuntivi” ora indicati dall’articolo 117 del Codice).
[282]Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59
[283]Il contenuto della norma richiamata è stato precisato dal regolamento ministeriale approvato con DM 27 novembre 2001, n. 491,. Tale decreto chiarisce l'ambito di attività delle fondazioni, stabilendo che esse si occupano, in particolare, della gestione e della valorizzazione dei beni culturali e della promozione delle attività culturali. Il D.M. definisce inoltre i criteri relativi agli organi, all’organizzazione ed al funzionamento delle fondazioni
[284] Sulla base della delega recata dall’art. 10, comma 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137.
[285] Tale Convenzione definisce regole comuni per la protezione, la pianificazione e la gestione dei paesaggi nel diritto internazionale. L'importanza della Convenzione sta anche nell'obbligo, per i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa che la sottoscrivono, di adeguare le proprie leggi alle direttive previste.
[286] L’accordo (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2001) rappresenta un documento programmatico in cui lo Stato, da un lato, e gli enti territoriali, dall’altro, individuano le rispettive competenze in materia di pianificazione paesaggistica. Esso individua i criteri e le modalità per la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali. Prevede altresì che vengano individuati gli ambiti di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio, cui corrispondono specifici obiettivi di qualità paesistica.
[287] Giustificata, nella relazione illustrativa, con l’intento di recepire l’orientamento costantemente manifestato dalla Corte costituzionale.
[288] Nella relazione illustrativa tale integrazione viene giustificata dal fine di "spostare" le zone di interesse archeologico, di cui alla legge "Galasso", dall'ambito dei vincoli ex lege (art. 142) a quelle dei vincoli provvedimentali (art. 136), atteso che tali zone, per loro natura in quanto "contesti di giacenza" di (anche potenziali) resti archeologici esigono un atto di perimetrazione e di individuazione, non essendo individuabili visibilmente né in base al criterio meramente geografico morfologico, né in base a quello ubicazionale (come accade, invece, ad es., per le aree e gli immobili compresi nelle Università agrarie).
[289] Tale modifica viene motivata, nella relazione illustrativa, con la necessità di “fugare l'equivoco, che si era affacciato in taluni interpreti nella prima applicazione del Codice, che il predetto inciso potesse rendere solo temporanee la tutela delle zone ex lege "Galasso", da trattarsi alla stregua di beni paesaggistici "minori". Nella relazione di sintesi viene aggiunto che “Una diversa interpretazione del Codice del 2004 – nel senso dell’abrogazione dei vincoli ex lege Galasso – avrebbe reso il Codice medesimo in parte qua incostituzionale per palese violazione del limite, imposto dalla legge delega 137 del 2002, di non diminuire gli strumenti di tutela vigenti”.
[290] Nella relazione illustrativa viene sottolineato che le modifiche al comma 1 sono intese “ad esplicitare ciò che peraltro era pacifico, benché solo implicito, già nel testo vigente che lo Stato non è (ovviamente) estraneo alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio”.
[291] La scelta sembrerebbe motivata dalla circostanza che la nozione di “obiettivi di qualità paesaggistica”, appare difficile da definire, in quanto i valori paesaggistici sono – ad esempio - difficilmente collegabili a fattori passibili di misurazione. Tuttavia si ricorda che la Convenzione europea sul Paesaggio prevede gli obiettivi di qualità, definendoli all’articolo 1, lettera c) e rinviando alla legislazione degli Stati membri una più dettagliata definizione degli stessi (art. 6).
[292] Si ricorda, in proposito, che in seguito alle modifiche recate dal decreto n. 157, al successivo art. 146, comma 8, viene introdotta la previsione del parere vincolante del soprintendente sulla proposta di autorizzazione regionale.
[293] Si ricorda che l’istituto della conferenza dei servizi – che non è altro che la conferenza delle pubbliche amministrazioni in un tavolo comune, per poter meglio risolvere i problemi e confrontarsi su tematiche comuni, semplificando e razionalizzando così i procedimenti -é regolato dagli articoli da 14 a 14-quater della legge n. 241 del 1990, così come modificati dagli articoli 9-12 della legge 24 novembre 2000, n. 340.
[294] Entrata in vigore delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 157/2006, essendo quest’ultimo decreto pubblicato nella G.U. del 27 aprile 2006, n. 97, S.O.
[295] La finalità della norma, evidenziata nella relazione illustrativa, è di risolvere un difficile problema di coordinamento normativo, in linea con le indicazioni al riguardo fornito dal parere dalla sez. II del Consiglio di Stato in data 15 giugno 2005 (trasmesso al Ministero richiedente il 12 ottobre 2005) sui quesiti posti dal Ministero in tema di condono paesaggistico e di condono edilizio su aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
[296]Appalti relativi ad una pluralità di interventi e forniture (restauri, allestimenti, installazione di attrezzature, forniture di arredi)
[297]Art. 10, comma 2, lettera d) della legge 137/2002.
[298] D.Lgs.12 aprile 2006, n.163 Codice dei contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. ”, emanato in attuazione della delega recata dagli articoli 1, 2 e 25 della legge comunitaria per l’anno 2004 ( legge 18 aprile 2005, n. 62). Il Capo II del Titolo IV (Contratti in taluni settori) reca agli artt. 197-205 la disciplina dei contratti relativi ai beni culturali.
[299]In tale sentenza la Corte, ribadendo il valore centrale del pluralismo in un ordinamento democratico, chiarisce che il pluralismo dell'informazione radiotelevisiva significa, innanzitutto, possibilità di ingresso, nell'ambito dell'emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci consentano i mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell'emittenza privata - perchè il pluralismo esterno sia effettivo e non meramente fittizio - che i soggetti portatori di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere emarginati a causa dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed economiche nelle mani di uno o di pochi e senza essere menomati nella loro autonomia. Sotto altro profilo, il pluralismo si manifesta nella concreta possibilità di scelta, per tutti i cittadini, tra una molteplicità di fonti informative, scelta che non sarebbe effettiva se il pubblico al quale si rivolgono i mezzi di comunicazione audiovisiva non fosse in condizione di disporre, tanto nel quadro del settore pubblico che in quello privato, di programmi che garantiscono l'espressione di tendenze aventi caratteri eterogenei.
[300]In tale quadro, la Corte ha ribadito, riprendendo principi ampiamente illustrati nella sentenza n. 826 del 1988, come l’esistenza dell’emittenza pubblica non valga a bilanciare la posizione dominante di un soggetto nel settore privato.
[301]Legge 6 agosto 1990, n. 223 recante Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato.
[302]In ottemperanza a quanto sancito da tale sentenza è stato individuato dalla legge n. 249/97 (cd. legge “Maccanico”) il limite del 20% al cumulo rispettivamente delle reti analogiche e dei programmi numerici in ambito nazionale, trasmessi su frequenze terrestri (v. art. 2, comma 6, richiamato dall’art. 3, comma 6 e, indirettamente, dall’art. 3, comma 7 della legge n. 249). Le disposizioni citate, così come l’articolo 15, commi 1-7 della legge 223/1990, sono stati abrogati dalla legge n. 112 del 2004 (v. capitolo Il riassetto del sistema radiotelevisivo).
[303]L. 25 febbraio 1987, n. 67 recante Rinnovo della L. 5 agosto 1981, n. 416, recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria.
[304]Veniva fatta temporaneamente salva la disciplina di cui al decreto-legge n. 323 del 1993, nonchè il DM 13 agosto 1992.
[305]Si ricorda che i principi e i valori del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione nel settore delle comunicazioni elettroniche sono stati richiamati e hanno trovato sistemazione organica nel pacchetto di direttive sulle comunicazioni elettroniche (v. capitolo Le comunicazioni elettroniche).
[306]Legge 31 luglio 1997, n. 249 recante Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo.
[307]I principi in questione sono nell’ordine quelli di eguaglianza e ragionevolezza, di libertà di manifestazione del pensiero e di pluralismo, di libertà di iniziativa economica, di rispetto del giudicato costituzionale.
[308]Termine già fissato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (suscettibile comunque di essere posticipato, in relazione alla verifica della quota di famiglie digitali effettivamente presenti alla data del 31 dicembre 2002) con la delibera n. 346/01/CONS e che la Corte ritiene congruo per gli adempimenti strettamente necessari al trasferimento su satellite delle reti eccedenti il limite antitrust.
[309]Le questioni di legittimità costituzionale riferite alle altre disposizioni poc’anzi citate sono state dichiarate infondate con la medesima sentenza.
[310]Il procedimento legislativo sul tema ha avuto inizio in particolare con la presentazione alla Camera, il 25 settembre 2002, del disegno di legge del Governo (A.C. 3184).
[311]I temi contenuti nel messaggio del Presidente della Repubblica sono stati oggetto di appositi dibattiti parlamentari svoltisi alla Camera sia in Assemblea, in data 25 luglio 2002, sia presso le Commissioni riunite I, VII e IX, in data 2 ottobre e 9 ottobre 2002, nonché al Senato, in Aula, in data 25 luglio 2002 .
[312]Sul punto, viene richiamato il Trattato di Amsterdam che muove dal presupposto del collegamento del sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri con le esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché con l’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione.
[313]La disciplina della formazione delle posizioni dominanti in questa materia, come sottolineato nello stesso messaggio del Capo dello Stato sul pluralismo dell’informazione (vedi supra), appare strettamente connesso alla garanzia del pluralismo e della concorrenza nel settore dei media.
[314]Il messaggio cita testualmente per questa parte un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1985.
[315]Tale decreto legislativo. disciplinava l’installazione e la modifica delle infrastrutture di telecomunicazioni dichiarate di interesse strategico secondo le procedure di cui alla legge n. 443 del 2001 (cd “legge obiettivo”). Gran parte delle norme recate dal decreto legislativo n. 198 del 2002 avevano ad oggetto le procedure autorizzative all’installazione degli impianti, pur includendo anche norme relative al miglioramento dell’efficienza delle opere di scavo, segnatamente attraverso la coubicazione dei cavi per telecomunicazioni.
[316]Vedi, in particolare, le sentenze nn. 348 del 1990 e 29 del 1996 e, con riferimento alla questione dell’individuazione delle sfere di competenza statale e regionale, la sentenza n. 21 del 1991, che aveva già individuato nel “principio di leale cooperazione” tra le istituzioni lo strumento per il contemperamento degli interessi costituzionali coinvolti.
[317]Vedi anche le sentenze n. 308 e 324 del 2003
[318]Nell’ambito del comma 2, laddove si afferma che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono legittimate a stipulare, previa intesa con il Ministero delle comunicazioni, specifici contratti di servizio con la società concessionaria del servizio pubblico generale di radiodiffusione per la definizione degli obblighi di cui al comma 1, nel rispetto della libertà di iniziativa economica della società concessionaria, anche con riguardo alla determinazione dell’organizzazione dell’impresa, nonché nel rispetto dell’unità giuridica ed economica dello Stato e assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e la tutela dell’incolumità e della sicurezza pubbliche”, viene peraltro omesso il passaggio, contenuto nella corrispondente lettera f) della norma di delega, in base al quale “ulteriori princìpi fondamentali relativi allo specifico settore dell'emittenza in ambito regionale o provinciale possono essere ricavati dalle disposizioni legislative vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di emittenza radiotelevisiva in ambito locale”
[319]Allo stato i CORECOM risultano istituiti presso tutte le regioni, fatta eccezione per Trento dove permane il precedente CORERAT (Comitato regionale per il servizio radiotelevisivo, istituito dall’art. 5 della legge n. 103 del 1975 quale organo di consulenza delle regioni in materia radiotelevisiva).
[320] La disposizione fa obbligo ai soggetti che effettuano intese o operazioni di concentrazioni di notificarle all’Autorità, al fine di consentire la verifica del rispetto dei limiti imposti dalla legge.
[321]Nel quadro dei principi della concorrenza, la nozione di mercato rilevante, ai fini dell’eventuale individuazione di una posizione dominante, secondo la giurisprudenza comunitaria comprende quei prodotti o servizi tra loro intercambiabili sia sotto il profilo delle caratteristiche tecnologiche, sia per la loro idoneità a soddisfare egualmente le esigenze dei consumatori.
[322] Oltre che dei ricavi, la disposizione prevede che si tenga conto del livello di concorrenza all’interno del sistema, delle barriere all’ingresso, delle dimensioni di efficienza economica dell’impresa, degli indici quantitativi di diffusione dei programmi radiotelevisivi e degli altri prodotti dei mercati che compongono il sistema (prodotti editoriali, opere fonografiche e cinematografiche).
[323] Il testo rinvia espressamente all’art. 2, co. 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249, il quale prevede il potere dell’Autorità di adottare provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi di posizioni dominanti o lesive del pluralismo, e prevede altresì procedure specifiche, che possono portare anche all’adozione di un provvedimento di dismissione di rami d’azienda.
[324]Si ricorda che la definizione sopra riportata di “sistema integrato delle comunicazioni” consegue alle modifiche apportate dalle Commissioni di merito, rispetto al testo rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica (A.C. 310 e abb.-D), testo che recava una definizione del “sistema integrato delle comunicazioni” parzialmente diversa, riferita, tra l’altro, alle imprese, anziché ai settori di attività: il SIC risultava dunque essere “il settore economico che comprende le imprese radiotelevisive e quelle di produzione e distribuzione, qualunque ne sia la forma tecnica, di contenuti per programmi televisivi e radiofonici, imprese dell’editoria quotidiana, periodica, libraria ed elettronica, anche per il tramite di Internet; le imprese di produzione e distribuzione, anche al pubblico finale, delle opere cinematografiche; le imprese fonografiche; le imprese di pubblicità, quali che siano il mezzo o le modalità di diffusione”. La definizione vigente esclude, pertanto, dal sistema integrato delle comunicazioni, l’editoria libraria e le imprese fonografiche dal sistema integrato delle comunicazioni”
[325] Le modifiche sono dirette ad escludere le “telepromozioni” dall’applicazione di tali limiti di affollamento pubblicitario (con la sostituzione della parola “spot” pubblicitari alla parola “messaggi” pubblicitari).
[326] L’operatività del limite è testualmente riferita all’“atto della completa attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale”. ”. Nella fase transitoria il limite del 20% é calcolato sul numero complessivo dei programmi televisivi concessi o irradiati in ambito nazionale su frequenze terrestri indifferentemente in tecnica analogica o in tecnica digitale (v. scheda Sistema radiotelevisivo - La disciplina transitoria).
[327]Ai sensi dello stesso testo unico (art. 2, co. 1, lett. i), è da intendere “accesso condizionato” ogni misura e sistema tecnico in base ai quali l’accesso in forma intelligibile al servizio protetto sia subordinato a preventiva e individuale autorizzazione da parte del fornitore del servizio di accesso condizionato.
[328]Sul punto, si ricorda che la corrispondente lettera e) del comma 1 dell’articolo 2 della legge n. 112 del 2004 – abrogato dallo stesso testo unico della radiotelevisione - non contemplava l’inciso a norma del quale la pay per view è da ricomprendere nell’ambito dei servizi al pubblico di accesso condizionato.
[329] Anche tramite imprese controllate, controllanti o collegate ex art. 2359 del codice civile.
[330] Vedi in particolare Delibera n. 326/04/CONS recante Avvio del procedimento per l’accertamento della sussistenza di posizioni dominanti ai sensi dell’art. 14 della legge 3 maggio 2004, n. 112; Delibera n. 67/05/CONS recante Proroga del termine di conclusione del procedimento per l’accertamento della sussistenza di posizioni dominanti ai sensi dell’art. 14 della legge 3 maggio 2004, n. 112, Delibera n. 90/05/CONS recante Chiusura dell’istruttoria finalizzata all’accertamento della sussistenza di posizioni dominanti ai sensi dell’art. 14, della legge 3 maggio 2004, n. 112, Delibera n. 91/05/CONS recante Fissazione dell’audizione conclusiva del procedimento finalizzato all’accertamento della sussistenza di posizioni dominanti ai sensi dell’art. 14 della legge 3 maggio 2004, n. 112, Delibera n. 102/05/CONS recante Modalità di attuazione dell’articolo 18, commi 1 e 2, della legge 3 maggio 2004, n. 112, Delibera n. 136/05/CONS recante Interventi a tutela del pluralismo ai sensi della legge 3 maggio 2004, n. 112, Delibera n. 149/05/CONS recante Approvazione del regolamento recante la disciplina della fase di avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale, Delibera n. 264/05/CONS recante Disposizioni attuative degli articoli 1, comma 1, lett. a), n. 2, e 2, comma 2, della delibera n. 136/05/CONS, Delibera n. 393/05/CONS recante Scelta della società di revisione della contabilità separata della Rai ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della legge 3 maggio 2004, n. 112, Delibera n. 186/05/CONS recante Approvazione dello schema di contabilità separata della rai ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della legge 3 maggio 2004, n. 112, Delibera n. 163/06/CONS recante Atto di indirizzo - Approvazione di un programma di interventi volto a favorire l’utilizzazione razionale delle frequenze destinate ai servizi radiotelevisivi nella prospettiva della conversione alla tecnica digitale.
[331]Decreto legge 30 dicembre 2005, n. 273 recante Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 23 febbraio 2006, n. 51.
[332]Decreto legge 23 gennaio 2001, n. 5 recante Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66.
[333]Come dichiarato dal Ministro delle comunicazioni in sede di audizione - nell’ambito dell’indagine conoscitiva su “Lo stato della tecnologia digitale in Italia nel settore delle comunicazioni” - presso la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera il 24 gennaio 2006, il termine del 31 gennaio 2006 come termine della prima fase dello switch off in Sardegna e in Valle d’Aosta è stato spostato al 15 marzo 2006.
[334]Sul punto, si ricorda che il comma 1 dell’articolo 4 della legge 350/2003 (legge finanziaria per il 2004) prevedeva, per l’anno 2004, un contributo statale pari a 150 euro da corrispondere a ciascun utente del servizio radiodiffusione, in regola, per l’anno in corso, con il pagamento del canone, che acquistasse o noleggiasse un apparato idoneo a ricevere i segnali televisivi in tecnica digitale terrestre e la conseguente interattività. Per la determinazione dei criteri e delle modalità di attribuzione del contributo statale è successivamente intervenuto, sulla base del medesimo articolo 4 (comma 4), il D.M. 30 dicembre 2003. Il comma 211 dell’articolo 1 della legge 311/2004 ha rifinanziato l’intervento per l’anno 2005, prevedendo un contributo statale pari a 70 euro rimandando, per le procedure di assegnazione dei contributi, a quanto stabilito per all’anno 2004 dal DM 30 dicembre 2003.
[335] Alla erogazione del contributo suddetto si è provveduto attingendo, entro il limite di 6 milioni di euro, alle disponibilità del Fondo - istituito con il comma 250 dell'art. 1 della legge finanziaria 2005, per l’anno 2005, nell’ambito dello stato di previsione del Ministero delle comunicazioni - per la promozione e la realizzazione di aree all digital e servizi di T-Government sulla piattaforma della televisione digitale terrestre, con una dotazione finanziaria pari a 10 milioni di euro.
[336]La scadenza è individuata dalla normativa vigente nel 31 dicembre 2008.
[337] Ciò, nei limiti e nei termini previsti dal regolamento relativo alla radiodiffusione terrestre in tecnica digitale, adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con la delibera n. 435/01/CONS, che si fonda sulla legge n. 66/2001 (di conversione del DL n. 5/2001). Al fine della realizzazione delle reti digitali sono consentiti i trasferimenti di impianti e rami d’azienda tra soggetti che esercitano legittimamente l’attività televisiva in ambito nazionale e locale.
[338] Nella fase di transizione al digitale la società concessionaria deve assicurare, comunque, la trasmissione di tre programmi televisivi in tecnica analogica in chiaro e, nei tempi e nei modi sopradescritti, di tre programmi televisivi in tecnica digitale in chiaro. Il comma 5 è stato poi integrato con l’ulteriore compito per la concessionaria di attuare “condizioni di effettivo pluralismo territoriale, in particolare ripartendo in modo equilibrato, anche in proporzione al numero di abbonati, l’ideazione, la realizzazione e la produzione di programmi con diffusione in ambito nazionale tra i centri di produzione e le sedi regionali”.
[339] Si ricorda che tale ultima disposizione attribuisce appunto all’Autorità il potere di adottare i provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi di posizioni dominanti (di cui al co. 1 dell’attuale art. 7) o comunque lesive del pluralismo, anche attraverso la dismissione di aziende o di rami d’azienda, da effettuarsi entro un termine congruo e comunque non superiore a dodici mesi.
[340] Il messaggio faceva direttamente riferimento alla disciplina transitoria prevista dall’articolo 25 dell’AC 310 e abb.-D, richiamando in particolare i commi 1, 2 e 3 dell’articolo, che definivano appunto termini e modalità per verificare l’ampliamento dell’offerta di programmi e del pluralismo nel sistema televisivo.
[341]Tale termine, come evidenziato dalla medesima sentenza, è stato ricavato dalla valutazione di congruità tecnica dei tempi di passaggio al regime definitivo effettuata dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con la delibera n. 346/01/CONS (intervenuta sulla base dell’art. 3, commi 6 e 7 della legge n. 249). L'Autorità aveva indicato la data del 31 dicembre 2003 quale termine ritenuto sufficiente per le semplici operazioni di trasferimento delle reti analogiche eccedenti, tanto in chiaro che in forma codificata; la Corte ha ritenuto congruo tale termine “a prescindere dal raggiungimento della prevista quota di "famiglie digitali", che rimane indipendente dalle operazioni tecniche di trasferimento verso sistemi alternativi a quello analogico su frequenze terrestri”. In proposito si ricorda che la delibera citata prevedeva altresì la possibilità che il termine fosse posticipato dalla stessa Autorità (con decisione da adottare entro il 31 gennaio 2003), in relazione alla verifica della quota di famiglie digitali (che avrebbero dovuto essere almeno il 35%) effettivamente presenti alla data del 31 dicembre 2002. L’Autorità, nell’ambito della Relazione annuale sull’attività svolta presentata alle Camere nel luglio 2003 , ha precisato che, a seguito dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, non si riteneva più necessario portare a termine la verifica dell’effettiva quota di famiglie digitali al 31 dicembre 2002, cui era subordinata la possibilità di anticipare, posticipare o confermare il termine già indicato dalla delibera n. 346/2001/CONS, e confermato dalla sentenza della Consulta.
[342] Più specificamente, tali effetti erano dovuti alla L. 249/1997, i cui limiti “anticoncentrazione” erano stati stabiliti a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 420/94 (v. scheda Sistema radiotelevisivo – Giurisprudenza costituzionale)
[343]Si ricorda che il testo oggetto di rinvio da parte del Presidente della Repubblica (v. AC 310-D) prevedeva che l’Autorità procedesse alla verifica “entro i dodici mesi successivi al 31 dicembre 2003”.
[344]Il testo oggetto di rinvio (AC 310-D) prevedeva che, a seguito dell’accertamento, l’Autorità invia una relazione al Governo e alle competenti Commissioni parlamentari ed “eventualmente formula proposte di interventi diretti a favorire l’ulteriore incremento dell’offerta di programmi televisivi digitali terrestri e dell’accesso ai medesimi”
[345]In particolare l’articolo 1 del decreto legge ha previsto la scadenza del 30 aprile 2004 per lo svolgimento da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dell’esame della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri allo scopo di accertare contestualmente la sussistenza delle condizioni richieste, “anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato”, nonché il termine di trenta giorni per l’invio, da parte dell’Autorità, della relazione al Governo ed alle competenti Commissioni parlamentari nella quale dar conto dell'accertamento effettuato; “ove l'Autorità accerti che non si siano verificate le predette condizioni, adotta i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della legge 31 luglio 1997, n. 249”. Il comma 3 ha poi previsto che “fino alla data di adozione delle deliberazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, è consentito alle emittenti che superino i limiti di cui ai commi 6, 7 e 11 dell'articolo 3 della legge 31 luglio 1997, n. 249, di proseguire l'esercizio delle reti eccedenti tali limiti e alla società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo di avvalersi di risorse pubblicitarie su tutte le proprie reti televisive analogiche e digitali”.
[346]Si ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 284 del 2002 ha ribadito la natura di prestazione tributaria del canone (imposta di scopo). Ad avviso della Corte, proprio l’interesse generale che sorregge l’erogazione del servizio pubblico può richiedere una forma di finanziamento fondata sul ricorso allo strumento fiscale. Inoltre, “il finanziamento parziale mediante il canone consente, e per altro verso impone, al soggetto che svolge il servizio pubblico di adempiere agli obblighi particolari ad esso connessi, sostenendo i relativi oneri, e, più in generale, di adeguare la tipologia e la qualità della propria programmazione alle specifiche finalità di tale servizio, non piegandole alle sole esigenze quantitative dell’ascolto e della raccolta pubblicitaria, e non omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti privati che operano nel ristretto e imperfetto "mercato" radiotelevisivo”.
[347]La certificazione della società di revisione incaricata di verificare la contabilità separata relativa al bilancio 2004 e predisposta secondo le modalità deliberate dall’Agcom evidenzia un disavanzo di 300 milioni tra le risorse e i costi del servizio pubblico. Il decreto del Ministro delle comunicazioni 30 novembre 2005 - che ha determinato la misura del canone per l’anno 2006 - ha peraltro confermato l’importo dell’anno precedente.
[348]Legge 6 agosto 1990, n. 223 recante Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato.
[349]Recante Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva.
[350]Il mandato dei membri del Consiglio di amministrazione dura tre anni ed è consentita la rielezione per una sola volta.
[351]La legge n. 206/1993 (in base alle quali è stato nominato l’attuale CDA) sostanzialmente attribuiva la nomina dei cinque membri alla determinazione adottata d'intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, titolari anche del potere di revocare il mandato su proposta adottata a maggioranza di due terzi dei componenti la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La legge n. 206 prevedeva inoltre l’elezione del presidente da parte del Consiglio, nell’ambito dei suoi membri, a maggioranza assoluta.
[352]Infatti Il rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze, nelle assemblee della società concessionaria convocate per l’assunzione di deliberazioni di revoca o che comportino la revoca o la promozione di azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, esprime il voto in conformità alla deliberazione della Commissione (comma 8).
[353]Legge 25 giugno 1993, n. 206 recante Disposizioni sulla società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo
[354]Tale statuto è stato approvato con decreto 8 ottobre 2004 del Ministro delle Comunicazioni recante Approvazione dello statuto della società incorporante all’esito della fusione di RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A. e RAI Holding S.p.A.
[355]Comunicazione (2001/C 320/04) pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee serie C 320 del 15 novembre 2001.
[356]Ai sensi dell’art. 86, par. 2, le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale sono sottoposte alle disposizioni del TCE in materia di concorrenza a condizione che l’applicazione di tali norme non sia di ostacolo all’adempimento della loro missione. Tale articolo stabilisce inoltre che lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità.
[357]La Commissione, con decisione del 15 ottobre 2003, n. 2004/339/CE ha riconosciuto che la RAI svolge un servizio pubblico di interesse generale ed ha dichiarato le misure statali in favore della RAI compatibili con la normativa europea in materia di aiuti di Stato.
[358]Attuazione della direttiva 2000/52/CE, che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche, nonché alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese.
[359]Il Codice è stato firmato il 29 novembre 2002 come impegno al rispetto delle norme di autodisciplina ed alla diffusione di spot settimanali sui contenuti del documento e di campagne di sensibilizzazione sul tema TV e minori. Si prevede l’articolazione della programmazione in due fasce orarie: la prima (dalle 7 alle 22, 30) modulata sulle esigenze dei telespettatori di tutte le età; la seconda (dalle 16 alle 19) più attenta alle esigenze dei minori, con un controllo particolare sulla programmazione. Si prescrivono inoltre norme in materia di ai messaggi pubblicitari e partecipazione dei minori alle trasmissioni radiotelevisive. Sull'applicazione del codice vigila un comitato di controllo con poteri di intervento nei confronti delle emittenti non in regola. Le sanzioni previste vanno dalla risoluzione, alla richiesta di modifica o sospensione del programma ovvero di adeguamento alle prescrizioni del Codice, fino alla denuncia all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
[360]Modifiche all' articolo 10 della legge 3 maggio 2004, n. 112, in materia di tutela dei minori nella programmazione televisiva
[361]Il regolamento, sul quale le Commissioni parlamentari competenti hanno espresso il proprio parere, on è ancora stato emanato.
[362]Ministero delle comunicazioni, DM 13 aprile 2006 recante Realizzazione di campagne scolastiche per un uso corretto e consapevole del mezzo televisivo
[363]Si ricorda che il 23 aprile scorso la Commissione ha adottato una comunicazione interpretativa (2004/C 102/2) intesa a definire l’ambito di applicazione della direttiva “televisione senza frontiere”, nella quale si precisa che le nuove tecniche di pubblicità interattiva e virtuale sono compatibili con la citata direttiva se tengono conto degli obiettivi di interesse generale ivi contenuti
[364]Approvazione della direttiva in materia di carte dei servizi e qualità dei servizi di televisione a pagamento ai sensi dell’art. 1, comma 6, lett. b), n. 2, della legge 31 luglio 1997, n. 249