Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Altri Autori: | Servizio Bilancio dello Stato | ||
Titolo: | Temi di finanza pubblica - Una ricognizione svolta dagli uffici della Camera e del Senato, unitamente ad esperti di: Corte dei conti, Banca d¿Italia, Ragioneria generale dello Stato, ISTAT, Commissione tecnica per la finanza pubblica, ISAE, Cassa DD.PP. (in attuazione dell¿art. 1, co. 481, L. finanziaria 2007) | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 97 | ||
Data: | 27/07/2007 | ||
Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI |
SERVIZIO BILANCIO DELLO STATO |
Documentazione e ricerche Dossier n. 97 |
Andamenti di finanza pubblica Dossier n. 11 |
TEMI DI FINANZA PUBBLICA
Una ricognizione svolta dagli uffici della Camera e del Senato, unitamente ad esperti di: Corte dei conti, Banca d’Italia, Ragioneria generale dello Stato, ISTAT, Commissione tecnica per la finanza pubblica, ISAE, Cassa DD.PP. (in attuazione dell’art. 1, co. 481, L. finanziaria 2007)
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27 luglio 2007 |
SERVIZIO STUDI – Dipartimento bilancio e politica economica Tel. 9932 - 2233
SERVIZIO BILANCIO DELLO STATO Tel. 2174 – 9455
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I N D I C E
Rapporti con gli enti territoriali
La spesa nel bilancio dello Stato
La spesa per il pubblico impiego
Potenziamento della rete infrastrutturale (materiale e immateriale)
Gli uffici della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno organizzato, il 20 e il 23 luglio 2007, due incontri sui principali temi di finanza pubblica, ai quali hanno partecipato esperti della Corte dei conti, della Banca d’Italia, della Ragioneria generale dello Stato, dell’ISTAT, della Commissione tecnica per la finanza pubblica, dell’ISAE e, per il particolare profilo del finanziamento delle infrastrutture, della Cassa depositi e prestiti.
Gli incontri si iscrivono nell’ambito delle iniziative previste dal comma 481 della legge n. 296 del 2007 (legge finanziaria 2007), che dispone l’adozione di una serie coordinata di interventi tesi al miglioramento dell’attività di monitoraggio della finanza pubblica, attraverso il collegamento tra diverse istituzioni e il rafforzamento delle strutture parlamentari di supporto.
Il presente dossier è stato predisposto dagli uffici della Camera sulla base dei principali contributi emersi nel corso degli incontri.
I commi 473-481 dell’articolo unico della legge finanziaria per il 2007 recano un complesso coerente di disposizioni programmatiche, elaborate nel corso dell’esame parlamentare, in tema di riordino del sistema di analisi e di monitoraggio della finanza pubblica.
La scelta politica sottostante mira a promuovere – in alternativa all’impostazione della norma originaria, basata sulla creazione di una nuova Autorità – la valorizzazione e il collegamento delle istituzioni esistenti, ciascuna contraddistinta da specifiche funzioni e da un proprio approccio al tema della finanza pubblica. E’ significativo che con il comma iniziale 473 si rafforza il collegamento tra il Parlamento e la Corte dei conti nello svolgimento dei controlli di gestione e che con il comma finale 481 gli stessi uffici parlamentari sono incoraggiati a promuovere collegamenti tra di loro e con altri istituti di ricerca pubblici e privati.
I commi 474-479 disciplinano il ripristino della Commissione tecnica per la spesa pubblica, che assume la denominazione di Commissione tecnica per la finanza pubblica. La Commissione rientra in questa prospettiva di cooperazione tra diverse istituzioni, con compiti di studio, analisi e proposta.
La legge finanziaria, contestualmente alla definizione di aspetti organizzativi, delinea un piano di lavoro per il 2007 sulla base di tre principali obiettivi quali punti di partenza di un più ampio processo di riforma da proiettare negli anni successivi:
§ avvio di una riforma del bilancio dello Stato;
§ connessa revisione delle poste di spesa (spending review);
§ federalismo fiscale.
Riforma del bilancio e spending review sono obiettivi imposti dal dibattito parlamentare, dal quale è emerso un orientamento, ampiamente condiviso, volto a superare la continua riproposizione di una logica di tipo “emergenziale” caratterizzata da tagli trasversali e non selettivi delle dotazioni di bilancio negli anni passati come dal comma 507 nella finanziaria 2007, sia pure in una versione più sofisticata. Il superamento di questa logica passa attraverso una sostanziale riforma del bilancio nel senso della flessibilità e della responsabilizzazione verso il risultato con la ridefinizione delle scelte allocative in ragione delle priorità e del più efficiente utilizzo delle risorse disponibili.
L’indagine conoscitiva, svolta congiuntamente dalle Commissioni bilancio delle due Camere sulla razionalizzazione delle procedure di bilancio nei mesi di febbraio e marzo 2007, ha concluso confermando queste linee di lavoro sottolineando la esigenza di una riforma delle stesse basi della finanza pubblica nella struttura del bilancio e nella armonizzazione dei rapporti tra i livelli territoriali.
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Intorno agli obiettivi indicati della legge finanziaria per il 2007 le diverse istituzioni hanno cooperato presso i tavoli di lavoro aperti presso l’esecutivo.
Dal canto loro gli uffici delle due Camere, su impulso dei rispettivi Segretari generali, operano secondo l’ottica ad essi più consona, orientata alla sintesi e alla messa a fuoco degli aspetti ritenuti di volta in volta essenziali, in relazione ai temi o alle procedure attivati dai competenti organi parlamentari. A questo fine orientano il loro tavolo di cooperazione con altre istituzioni pubbliche, proponendo un confronto di proposte ed analisi diretto a definire un’idonea piattaforma conoscitiva per il dibattito parlamentare in materia di finanza pubblica, in relazione alle sue diverse scadenze annuali.
In questa fase dell’anno finanziario, una cooperazione di questo tipo può utilmente concentrarsi sull’obiettivo di una ricognizione dei temi e dei problemi, che sono emersi nel corso della discussione parlamentare del DPEF, in preparazione della prossima sessione di bilancio.
In coerenza con il metodo di lavoro delineato dalla legge finanziaria per il 2007, le Commissioni bilancio dei due rami del Parlamento, dopo lo svolgimento di un’indagine conoscitiva congiunta, hanno previsto l’istituzione di un comitato paritetico per il monitoraggio della finanza pubblica, cui è stato affidato il compito di svolgere congiuntamente il lavoro istruttorio e conoscitivo sul tema, in relazione alle scadenze e alle procedure comuni.
Parallelamente gli uffici della Camera (Servizi del Bilancio dello Stato, Commissioni e Studi) e del Senato (Servizio Bilancio), sulla base delle direttive dei rispettivi Segretari generali, hanno concordato una metodologia integrata di lavoro.
Con queste modalità è stato impostato un lavoro di documentazione da svolgere congiuntamente in preparazione del DPEF.
Con le stesse modalità gli uffici stessi intendono cooperare con altre Istituzioni al fine di predisporre materiali di sintesi utili al dibattito parlamentare e alle prese di posizione delle diverse parti politiche.
Emerge quindi in primo luogo la necessità di esaminare gli andamenti settoriali in corrispondenza con una delle funzioni primarie del DPEF (la definizione dei quadri tendenziali di finanza pubblica); in secondo luogo la necessità di coordinare gli approfondimenti settoriali con gli obiettivi di riforma avviati nel corso del 2007: la riclassificazione del bilancio e la spending review, come filoni strettamente correlati.
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In una più ampia prospettiva, al di là delle scadenze legate alla procedura di bilancio per il 2008, gli uffici della Camera e del Senato hanno infine avviato un terzo tema di riflessione da proporre all’attenzione delle altre istituzioni e degli istituti di ricerca, in campo nazionale ed europeo, consistente nell’impegno ad individuare i fattori all’origine di persistenti incertezze nelle classificazioni contabili nei rapporti tra Unione europea, Stato e autonomie territoriali. Si tratta quindi di approfondire i temi utili a promuovere la omogeneizzazione dei sistemi di rilevazione statistica, soprattutto in relazione alle poste di raccordo tra indebitamento e fabbisogno delle amministrazioni pubbliche ed agli elementi che concorrono alla formazione del debito pubblico.
Con riferimento ai profili metodologici relativi al sistema dei conti nazionali, come definito in ambito europeo, dal seminario sono emersi i seguenti aspetti problematici.
1. Sussiste la necessità di costante aggiornamento e di una revisione dei manuali di contabilità definiti in sede europea, dovuta, da una lato, al considerevole lasso di tempo necessario per la loro compilazione e, dall’altro, alla connaturata genericità dei manuali stessi, che non possono contemplare le singole fattispecie. In merito a tali aspetti, è stata sottolineata l’attività svolta dai gruppi di lavoro creati in sede Eurostat, con lo scopo di rivedere e aggiornare le regole interpretative dei manuali. A seguito di tale attività, l’organismo europeo di rilevazione statistica ha emanato delle linee guida interpretative rivolte agli istituti nazionali.
Si è assistito nel corso del tempo a revisioni dirette a recepire precisazioni e innovazioni metodologiche rese note da Eurostat, talune delle quali aventi ricadute dirette sui principali indicatori di finanza pubblica.
In sede di risoluzione delle predette problematiche e al fine di omogeneizzare il sistema di contabilità nazionale con le regole europee, è emerso il maggiore utilizzo della procedura per la richiesta di parere preventivo sulla classificazione contabile delle operazioni poste in essere dalle pubbliche amministrazioni (ex ante advice). In questo ambito il ruolo degli Istituiti di statistica è ben definito: ad essi spetta l’analisi preventiva e la definizione del trattamento metodologico delle operazioni di carattere specifico. Solo nei casi dubbi si può richiedere un parere ad Eurostat (che in casi complessi può indire una consultazione del CMFB – Comitato monetario finanziario e di bilancia dei pagamenti). Inoltre, la richiesta di parere preventivo deve essere basata su operazioni sufficientemente strutturate a livello normativo-progettuale, in quanto Eurostat non può negoziare il proprio parere con il Paese interessato.
Il sistema di coordinamento è completato dalle c.d. visite di dialogo e di approfondimento (o metodologiche) da parte di Eurostat presso gli istituti statistici dei Paesi membri. Queste ultime, in particolare, sono effettuate qualora i dati comunicati dagli Istituti autorizzati dei Paesi membri (istituti statistici, banche centrali o ministeri) non siano reputati sufficienti da un punto di vista qualitativo; in detta sede si può definire un programma eventuale di rientro delle riserve.
2. Si può osservare in alcuni casi un problema relativo alla disponibilità di informazioni ad un livello di dettaglio e di analisi necessari per la costruzione dei dati di contabilità economica. Questi ultimi sono infatti definiti a partire da una serie di informazioni e di dati non sempre disponibili con la dovuta disponibilità; si pone quindi un’esigenza di adeguamento dei sistemi informativi. A tal fine, appare rilevante la recente stipula tra l’ISTAT e la Ragioneria Generale dello Stato di una convenzione di collaborazione permanente per lo scambio delle informazioni di interesse delle due istituzioni, integrata recentemente da una specifica convenzione estesa al Ministero della Difesa per l’acquisizione in tempi adeguati dei dati necessari per una puntuale contabilizzazione, sulla base dei principi contabili europei, delle spese per infrastrutture militari.
3. La mancata armonizzazione dei sistemi contabili adottati dai vari enti si rivela problematica sotto diversi aspetti, non garantendo l’omogeneità delle informazioni.
Nel corso del seminario è emersa la necessità di omogeneizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche, la cui diversità genera discrepanze nella rilevazione dei dati e difficoltà nella loro valutazione comparata. E’ stato in proposito rilevato come l'adozione di tali schemi non leda i diritti delle autonomie locali sanciti dalla Costituzione.
E’ stata altresì segnalata l’importanza dell’adozione del sistema SIOPE, attualmente in fase di definitivo completamento. Esso tuttavia non appare sufficiente ad esaurire le problematiche di omogeneizzazione, dal momento che le scelte gestionali degli enti rispecchiano, in genere, principi contabili non conformi alle regole del SEC95.
E’ stata quindi rilevata la necessità di un raccordo tra i criteri di contabilità economica contenuti nel SEC95 e quelli di contabilità finanziaria cui sono tuttora legati gli schemi contabili dei vari enti.
4. Sono state inoltre evidenziate le seguenti problematiche:
§ aggiornamento del settore delle Pubbliche Amministrazioni (lista S13).
Per settori in marcata evoluzione, come gli enti emanazione delle amministrazioni locali, è emersa l’esigenza di disporre che le pubbliche amministrazioni trasmettano apposite informative su ciascuna operazione;
§ classificazione di operazioni complesse e innovative che coinvolgono le amministrazioni pubbliche, come ad esempio le operazioni condotte dalle attraverso forme di collaborazione con soggetti privati (Public-Private Partnerships). Al riguardo Eurostat esige che tali modalità di cooperazione siano attentamente analizzate dall’istituto statistico, che dovrà valutarle singolarmente nel dettaglio ai fini della relativa classificazione contabile e dei conseguenti effetti in termini di indebitamento e debito della PA.
E’ emersa pertanto l’esigenza di disporre che le pubbliche amministrazioni trasmettano apposite informative su ciascuna delle predette operazioni.
5. Con riferimento alle discrepanze tra indebitamento netto e fabbisogno, sono state evidenziate le seguenti questioni:
§ si sono segnalati i progressi per la riduzione delle differenze grazie alla collaborazione interistituzionale, in primo luogo tra gli organismi che sono responsabili della produzione delle statistiche ufficiali di finanza pubblica in Italia: Istat, Ministero dell’economia e delle finanze e Banca d’Italia. E’ stato inoltre rilevato come autorità finanziarie internazionali abbiano sottolineato gli aspetti virtuosi correlati alla pluralità dei soggetti incaricati dell’elaborazione dei saldi di finanza pubblica, quale garanzia di trasparenza e qualità dell’informazione finanziaria. Ciò in quanto il raccordo avviene facendo riferimento a stime prodotte in maniera indipendente perché basate su fonti diverse;
§ nell’ambito dell’ultima notifica relativa alla procedura dei disavanzi eccessivi, sono state prodotte e divulgate, sul sito internet dell’ISTAT, delle tavole di raccordo tra fabbisogno e indebitamento e tra indebitamento e debito, che esplicitano tutti i passaggi tra i vari aggregati di finanza pubblica;
§ è di prossima pubblicazione, inoltre, l’inventario delle fonti e dei metodi della Procedura deficit eccessivi, compilato dalle tre istituzioni sopra menzionate (Istat, Ministero dell’economia e Banca d’Italia);
§ anche a seguito del proficuo lavoro svolto dall’Alta commissione incaricata di verificare le ragioni all’origine dei divari esistenti tra i diversi saldi di finanza pubblica, l'ampiezza del divario si è notevolmente ridotta. Nonostante questo sussistono ancora fattori di divergenza da esaminare e verificare attentamente;
§ tra le problematiche all’origine di possibili divergenze tra i saldi di finanza pubblica è stata richiamata anche la questione dei mutui, il cui trattamento contabile non sempre appare agevole, anche in considerazione della differenza tra soggetto mutuante e soggetto cui è demandato l’ammortamento del mutuo, che spesso può essere rappresentato da un pubblica amministrazione.
Nell’attuale fase di transizione verso un sistema a finanza decentrata non c’è ancora un consenso unanime sul grado di decentramento ritenuto ottimale che non è definibile in termini strettamente tecnici, ma deve essere frutto di un’intesa politica.
Il DPEF, nella parte dedicata alla finanza decentrata, individua alcune linee di tendenza:
§ maggiore autonomia fiscale;
§ meccanismi nuovi di distribuzione, basati sui costi e i fabbisogni standard relativi alla produzione dei servizi;
§ passaggio ad un assetto di regole basate sul saldo di bilancio e non sulla spesa, già in parte attuato con la scorsa finanziaria;
§ sviluppo del decentramento.
Il disegno di legge delega sul federalismo, che prevede i criteri di attuazione dell’articolo 119 Cost., pone l’accento su:
§ un coordinamento dei flussi di bilancio e un coordinamento dinamico delle entrate;
§ un nuovo metodo di finanziamento che passa dal criterio della spesa storica a quello del fabbisogno;
§ la distinzione tra piccoli e grandi comuni.
§ sistema di tassazione e meccanismi di perequazione dei diversi livelli di spesa pro-capite fra macroaree territoriali e regioni a statuto ordinario e speciale;
§ le istituzioni di raccordo tra centro e periferia;
§ quali livelli di differenziazione dei servizi pubblici sono accettabili.
La legge finanziaria per il 2007 deve essere considerata come tappa intermedia.
§ passaggio alla regola del saldo per le regioni;
§ questioni legate allo specifico trattamento del comparto “Sanità” nel patto di stabilità interno e introduzione di vincoli autonomi per le regioni che “sforano”;
§ superamento delle criticità legate al Patto di stabilità interno 2007, con particolare riferimento all’utilizzo degli avanzi di amministrazione;
§ monitoraggio del debito delle pubbliche amministrazioni;
§ risorse che possono essere assegnate agli enti territoriali già dal 2008; IRAP; possibile revisione dell’ICI[1]; trasferimento di risorse dal centro e forme di compartecipazione alle aliquote fiscali;
§ esternalizzazione dei servizi;
§ spending review e monitoraggio della spesa degli enti decentrati;
§ omogeneizzazione dei criteri contabili tra i livelli di governo;
§ ruolo, tempi per l’effettiva operatività del SIOPE per tutti gli enti e definizione di una piattaforma comune per valutare l’andamento dei flussi di gestione degli enti decentrati.
Il vincolo rimane fissato sulla spesa al netto di quella sanitaria, con un impatto limitato al solo 15% della spesa complessiva. La legge finanziaria per il 2007 prevedeva una sperimentazione che non ha ricevuto consensi[2]. La ragione va forse imputata al fatto che l’applicazione della regola del saldo comporterebbe l’inclusione della spesa sanitaria nel vincolo, con l’oggettiva difficoltà di ricondurre ad un unico saldo due dinamiche di spesa (ordinaria e sanità) che hanno andamenti diversi. Con la stabilizzazione della spesa sanitaria verrà probabilmente meno questo ostacolo all’applicazione della regola del saldo anche al comparto delle regioni.
La scelta di far riferimento ad un triennio (2003-2005), pur consentendo di ridurre le distorsioni dovute ad annate anomale, ha comunque il limite di far riferimento ad esercizi pregressi, penalizzando alcuni enti e favorendone altri. In particolare, sono stati avvantaggiati gli enti maggiormente indebitati.
Ai tavoli politici e tecnici si è discusso il possibile allineamento del vincolo con il Patto di stabilità e crescita, assegnando agli enti l’obiettivo del pareggio. Tale soluzione avrebbe la controindicazione di contravvenire al principio costituzionale per il quale gli enti territoriali possono ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti.
Per ovviare a tale inconveniente, ai tavoli politici e tecnici è stata prospettata un’altra soluzione, quella di consentire ai singoli enti un disavanzo coerente con la crescita del debito prevista nel DPEF Questo vincolo tuttavia non si attaglierebbe bene agli enti locali che effettuano la quota maggiore degli investimenti. Pertanto potrebbe decidersi a livello politico quale quota di indebitamento assegnare a tali enti, eventualmente in subordine rispetto alla facoltà di utilizzare gli avanzi di amministrazione.
Al riguardo, nel corso del dibattito, è stato ricordato che già nel testo originario della LF 2007 era stata delineata una possibile soluzione: fare riferimento a possibili compensazioni fra enti, ciò avrebbe potuto aumentare la flessibilità del Patto e ridurre quindi i connessi inconvenienti a livello dei singoli enti.
Si è, inoltre, osservato che una soluzione quale quella di consentire agli enti locali una crescita del proprio debito in proporzione a quella fissata in sede europea per il complesso della PA., favorirebbe gli enti già indebitati, che disporrebbero dello stesso margine di incremento del debito di un ente non indebitato. Tale svantaggio verrebbe aumentato se ci fosse il vincolo di utilizzare prima l’avanzo.
Sul punto se favorire o meno gli enti virtuosi, ad esempio stabilendo tetti di incremento del debito differenziati, non è emersa una posizione univoca nel corso degli interventi. Dubbi sono stati, poi, sollevati circa l’utilità di prevedere premi per gli enti virtuosi o penalizzazioni per quelli inadempienti che colpiscano i cittadini (attraverso incrementi di prelievo) piuttosto che gli amministratori.
Cautele sono state espresse riguardo all’utilizzo degli avanzi di amministrazione, rispetto a cui non può essere sottovalutata l’esigenza di raccordo tra le regole europee e nazionali. In particolare, occorre evitare che l’utilizzo di tali avanzi possa avere effetti negativi sul rispetto dei vincoli di indebitamento netto[3].
E’ stato inoltre sottolineato che l’avanzo di amministrazione non sempre rappresenta una grandezza affidabile dal punto di vista della buona gestione dell’amministrazione (su di esso incidono, a volte, improprie revisioni dei residui attivi). Anche l’accesso al credito, cresciuto considerevolmente negli ultimi anni, potrebbe aver generato una parte cospicua dell’avanzo di amministrazione degli enti locali.
Si assiste all’allargamento dell’area delle società a cui le PA attribuiscono parti consistenti della propria attività. La costituzione di società alle quali conferire attività un tempo gestite dall’ente ha rappresentato una possibilità in più di ricorso a risorse esterne di indebitamento, con evidenti problemi di valutazione della posizione debitoria complessiva delle amministrazioni. Le scelte di governance degli enti sono, a volte, alla base di una solo apparente riduzione della spesa di competenza comunale. La necessità di un attento monitoraggio del comportamento finanziario di ciascun ente dovrebbe consigliare di prevedere, almeno per quelli di maggiori dimensioni, la predisposizione di bilanci consolidati.
Nel corso del dibattito, é stata rilevata l’opportunità di operare una sorta di spending review anche a livello locale, pur senza una procedura formale: una volta fissato il vincolo di saldo, gli enti locali rimoduleranno conseguentemente le spese in base alle proprie revisioni di priorità. Al riguardo sono state espresse perplessità circa la possibilità di contenere ulteriormente la spesa degli enti locali. Il quadro informativo contenuto nel DPEF, con riferimento ai flussi tendenziali di spesa delle amministrazioni decentrate, evidenzia, infatti, un andamento della spesa che appare ottimistico: la spesa corrente, al netto della spesa per interessi, prestazioni sociali in denaro e sanità, presenta una crescita dell’1% contro una media del 4% degli anni precedenti, lasciando limitatissimi margini di ulteriore contenimento di questo aggregato.
L’omogeneizzazione dei criteri di bilancio tra i diversi soggetti e la revisione della classificazione funzionale della spesa rappresentano condizioni fondamentali ai fini dell’applicazione dei criteri previsti dal DDL delega sul federalismo. Su tali aspetti si dovrebbe procedere con immediatezza, proprio per agevolare il processo di definizione delle nuove regole di funzionamento delle amministrazioni decentrate
Nella determinazione dei costi standard (previsti per le regioni dalla lettera m dell’articolo 117) e dei fabbisogni standardizzati (previste per gli enti territoriali dalla lettera p), va tuttavia osservato che i provvedimenti finora effettuati hanno fallito: gli enti che sulla base del fabbisogno standardizzato dovevano cedere risorse agli altri chiedevano invece che fosse lo Stato a integrare i fabbisogni.
La codificazione degli incassi e dei pagamenti con aggiornamento quotidiano dei dati è un grande passo avanti e uno strumento da rafforzare. Attualmente vi rientrano lo Stato, limitatamente al lato delle spese, le regioni, gli enti locali, le università e gli enti di ricerca. Dal 1° gennaio 2008, è prevista l’entrata a regime del SIOPE anche per gli enti sanitari. Per quanto concerne le criticità, va ricordato che al momento restano fuori le entrate dello Stato e gli enti previdenziali[4]. Il SIOPE è uno strumento avanzato (anche se ancora limitato alla cassa) ed è di estrema trasparenza perché aperto a tutte le PA. Permane qualche problema circa la piena affidabilità dei dati, connesso alle difficoltà di scambio delle informazioni fra tesorieri e Banca d’Italia. Nel futuro si attendono dei risultati più significativi ed affidabili. Al riguardo potrebbe essere opportuno incentivare, intervenendo con la legge finanziaria, un più efficace utilizzo dello strumento SIOPE, anche attraverso la formazione del personale addetto. In questo modo l’inattendibilità dei dati non sarà più oggetto di contestazioni in sede di contrattazione della manovra.
Con riferimento, infine, alla sessione di bilancio, é stato osservato come larga parte del fenomeno dell’ingorgo della legge finanziaria derivi dalle disposizioni relative al suo contenuto proprio, con particolare riferimento a quelle sulla finanza locale e il rispetto dei vincoli comunitari. Andrebbe, pertanto, valutata positivamente, anche in vista della prossima sessione, l’introduzione di un collegato destinato alla finanza locale che risolva anticipatamente i nodi politici relativi a tale materia.
Il confronto ha messo in evidenza che l’attuale struttura del bilancio dello Stato non consente una chiara identificazione delle “politiche” da attuare attraverso l’utilizzo delle risorse pubbliche: in altre parole, non consente di porre in relazione le risorse stanziate con la concreta ed effettiva realizzazione degli obiettivi perseguiti. Il bilancio, infatti, è strutturato sulla base dell’organizzazione delle Amministrazioni (chi gestisce le risorse) e non anche sulle funzioni (cosa viene fatto con le risorse disponibili).
Le ragioni dell’insoddisfazione nei confronti dell’attuale impostazione del bilancio dello Stato riguardano la incompleta attuazione della riforma prevista dalla legge n. 94 del 1997 e la mancata applicazione del principio della responsabilità del risultato e del principio della efficacia dell’azione amministrativa.
Alla luce di tali criticità, la legge finanziaria per il 2007 ha delineato un percorso di riforma, da avviare all’interno della cornice legislativa vigente, volto al superamento delle rigidità del bilancio dello Stato e del miglioramento della qualità della spesa. Tale processo, di durata pluriennale, si articola in due fasi: la riforma del bilancio dello Stato e la revisione della spesa pubblica (spending review).
La revisione della struttura del bilancio è avvenuta nella cornice normativa vigente. Sotto il profilo metodologico, hanno collaborato le singole Amministrazioni di settore e la Presidenza del Consiglio, con l’ausilio della Commissione tecnica per la finanza pubblica e con il pieno coinvolgimento delle Commissioni bilancio di Camera e Senato.
Come delineato dalla circolare del Ministero dell’economia e delle finanze n. 21 del 2007, il bilancio per il 2008 e per il triennio 2008-2010 sarà impostato, a legislazione vigente, utilizzando una nuova classificazione che innova profondamente la precedente struttura basata sui centri di responsabilità. Il progetto di bilancio viene organizzato in 34 grandi missioni pubbliche e in 169 programmi e macroaggregati, a fronte delle oltre 1.500 unità previsionali di base attualmente esistenti. Il Parlamento dovrà stabilire, eventualmente, nella risoluzione approvativa del DPEF, quale sarà il livello sul quale dovrà concentrarsi la decisione parlamentare.
Poiché l’analisi della spesa pubblica, realizzata dall’ISTAT, si basa sul secondo livello del sistema COFOG (classificazione delle funzioni di governo[5] comune ai paesi dell'Unione europea e a livello OCSE), sarà necessario che le missioni e i programmi relativi alla nuova classificazione di bilancio siano riconducibili almeno al terzo livello della suddetta classificazione. In tal modo, sarà possibile procedere ad una comparazione dei nuovi dati rispetto a quelli degli anni precedenti. Sempre con finalità di trasparenza e chiarezza, sarà necessario procedere ad un agevole raccordo con la classificazione dei pagamenti e delle riscossioni utilizzata ai fini della registrazione nel sistema informativo SIOPE e ad una classificazione armonizzata con le operazioni di tesoreria (ISTAT).
Il nuovo bilancio sarà, inoltre, corredato da un’articolata documentazione informativa che dovrebbe mettere in luce, per ogni centro di responsabilità, anche la quota riconducibile al fattore legislativo, i cosiddetti oneri inderogabili, e la parte discrezionale della spesa. La riclassificazione dovrà essere effettuata con il pieno coinvolgimento delle amministrazioni interessate. Infatti, le ragioni dei precedenti insuccessi possono essere rinvenute proprio nella solitudine che ha spesso contraddistinto il Ministero dell’economia in ogni operazione di riforma della struttura del bilancio.
Nel prosieguo andranno quindi verificati con attenzione i risultati di questa prima sperimentazione, tenendo conto che una vera riforma del bilancio presuppone la revisione dell’organizzazione amministrativa e della legislazione di spesa esistente.
Pertanto alla sperimentazione del primo anno dovrà seguire una riforma della struttura del bilancio volta a superare la semplice riclassificazione dell’esistente e intesa ad assegnare alle missioni e ai programmi un contenuto finalistico non meramente descrittivo. Successivamente dovrebbe essere avviata, da un lato, una vera e propria riforma dell’organizzazione della pubblica amministrazione, dall’altro, una revisione della legislazione di spesa.
Gli obiettivi futuri sono:
§ il riconoscimento alle singole amministrazioni di maggiore flessibilità nel distribuire le risorse all’interno delle missioni e dei programmi di competenza;
§ l’affiancamento di un bilancio di tipo economico a quello costruito sulla base della competenza giuridica;
§ la modifica dell’impianto della legge finanziaria in conformità alla nuova struttura del bilancio.
La direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 luglio 2007, recante modalità per la predisposizione della legge finanziaria da parte delle Amministrazioni, risponde a tale ultimo obiettivo. Le ragioni che sono alla base dell’adozione della suddetta direttiva sono connesse all’esigenza di spendere meglio, anche attraverso l’eliminazione di programmi obsoleti e la destinazione delle relative risorse a programmi nuovi o ritenuti maggiormente strategici, in modo da arrivare ad un sistema nel quale ogni nuovo intervento di spesa dovrà trovare all’interno del medesimo Ministero le risorse necessarie alla sua realizzazione.
A tale proposito, sono state individuate anche precise scadenze temporali. Infatti, la RGS provvederà ad inviare alle singole amministrazioni, entro la fine di luglio, lo stato del bilancio a legislazione vigente, in modo da ricevere dalle suddette amministrazioni, entro il 10 settembre, le richieste degli interventi da inserire nel disegno di legge finanziaria.
Il disegno di legge finanziaria sarà, quindi, elaborato per settori riconducibili alle missioni e ai programmi e sarà corredato di allegati - elaborati sulla falsariga delle note di variazioni -, nei quali sarà indicato l’ammontare delle risorse a legislazione vigente, le modifiche proposte con il disegno di legge finanziaria e il risultato dell’integrazione fra la legislazione vigente e gli effetti della manovra (sempre tenendo conto della nuova articolazione in missioni e programmi).
Sempre nell’ambito della spesa pubblica, si dovrebbe mettere meglio a fuoco e analizzare la categoria dei trasferimenti: una tipologia di spesa, diversa da quella riconducibile a fattori legislativi o ad oneri inderogabili, che ha assunto una rilevanza notevole a seguito dell’esplosione del fenomeno delle autonomie non solo di tipo territoriale. Infatti l’esistenza, per questi soggetti, di limitati obblighi di rendicontazione ha riflessi negativi sulla trasparenza delle loro attività e sul controllo degli stessi. In proposito è stato rilevato che il controllo della Corte dei conti può ottenere buoni risultati solo se fondato su informazioni complete ed attendibili: sarebbe quindi auspicabile prevedere nella legge finanziaria disposizioni che vadano nella direzione di migliorare l’informazione relativa alle decisioni di spesa soprattutto delle amministrazioni locali.
Infatti, prevedere forme più stringenti di informazione per i richiamati enti non lede - come da ultimo evidenziato anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 2007 - il principio di autonomia territoriale, in quanto il coordinamento delle informazioni statistiche rientra (ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione) nella competenza esclusiva dello Stato.
Dopo diversi anni di ricorso, a fini di contenimento della spesa, ai tagli “orizzontali” o “lineari”, emerge con chiarezza l’inefficacia e l’insostenibilità di questi strumenti, che hanno spesso dato luogo a “rimbalzi” della spesa negli anni successivi o alla necessità di provvedere al reintegro delle risorse già nell’anno di riferimento (si veda, per esempio, lo schema di decreto ministeriale n. 91 del 2007 e il decreto legge n. 81 del 2007).
L’articolo 1, comma 507, della legge finanziaria per il 2007 ha introdotto nella prassi dei tagli lineari alcuni aspetti innovativi: innanzitutto, la norma ha previsto un accantonamento di somme riguardanti non solo le spese discrezionali (come in precedenza), ma anche le spese classificate come fattore legislativo; inoltre, la norma ha autorizzato le singole amministrazioni a proporre variazioni compensative al fine di determinare scelte allocative all’interno del medesimo comparto.
Tali innovazioni non hanno consentito, tuttavia, di superare le criticità connesse, in generale, al ricorso a strumenti di “blocco” della spesa. Le ragioni dell’insuccesso risiedono, fra l’altro, nella scarsa propensione delle amministrazioni – nonostante la strumentazione prevista dalla legge - a riorientare le proprie decisioni di spesa sulla base di specifiche priorità: esse, infatti, hanno usato solo in minima parte (per circa l’8 per cento dell’intero ammontare) la possibilità riconosciuta dalla legge finanziaria di modificare - sulla base di specifiche esigenze - gli accantonamenti lineari determinati dal testo della legge; inoltre non sono in alcun modo intervenute sulle risorse accantonate sulla base di fattori legislativi; infine, tutte le amministrazioni hanno richiesto l’integrale restituzione delle somme accantonate. Conseguentemente, per far fronte alle emergenze evidenziate dalle singole amministrazioni, il Governo ha reintegrato con il decreto legge n. 81 del 2007, oltre un terzo degli accantonamenti disposti con la legge finanziaria.
Il programma di spending review - prospettato dal Governo al fine di migliorare la qualità della spesa – utilizza una duplice metodologia: dall’alto, vanno delineati gli obiettivi di efficacia e di efficienza per ogni Ministero; dal basso, occorre verificare l’assetto normativo vigente in modo da valutare i singoli programmi di spesa in termini di “utilità relativa”, individuando le norme da abrogare (in quanto rispondenti a finalità ormai obsolete) e, conseguentemente, riducendo la componente inerziale che caratterizza la spesa pubblica italiana.
Pertanto il programma di spending review non potrà essere limitato alla spesa discrezionale, ma dovrà essere realizzato attraverso il superamento del concetto della “spesa storica”: ciò potrà avvenire solo attraverso concreti interventi politici volti al superamento delle normative vigenti ormai superate.
Uno strumento utile in tal senso è il nomenclatore, il quale dovrà essere incrementato in termini di trasparenza e chiarezza, non indicando unicamente per ogni capitolo le leggi di riferimento, ma, più esplicitamente, la singola disposizione normativa che ne costituisce il titolo giuridico.
Le risorse umane impegnate in questa sfida sono: un bilancista esperto per ogni ministero, rappresentanti dell’Ufficio centrale di bilancio, rappresentanti dei servizi studi e dei ministeri di riferimento. È proprio nel coinvolgimento e nella responsabilizzazione dei ministeri competenti la chiave di volta del successo dell’operazione di spending review, rispetto a tutte quelle che l’hanno preceduta.
Il progetto di spending review è stato avviato, per ora, su scala ridotta, avendo ad oggetto solo cinque Ministeri (giustizia, istruzione, interno, infrastrutture e trasporti) ed enti quali l’ANAS e le Ferrovie dello Stato. I Ministeri prescelti sono, comunque, sotto il profilo quantitativo, molto significativi, dal momento che costituiscono da soli il 61 per cento dell’ammontare complessivo della spesa per redditi da lavoro dipendente, il 41 per cento dei consumi intermedi e il 31 per cento dei trasferimenti alle imprese.
L’obiettivo di più lungo periodo sarà quello di informare alla logica del programma di spending review anche la mentalità e la capacità operativa dei Ministeri, che dovranno a tal fine modificare l’organizzazione degli uffici e destinare specifiche risorse alla formazione del personale.
Le questioni poste nel corso del seminario hanno riguardato la dinamica della spesa per il personale della pubblica amministrazione e il controllo della stessa, in relazione sia alla definizione delle risorse per i rinnovi contrattuali e all’andamento delle retribuzioni di fatto, sia al quadro delle assunzioni di nuovo personale, con particolare riferimento alla stabilizzazione dei lavoratori precari nei diversi comparti.
Dal quadro tracciato emerge che, considerati gli attuali meccanismi della contrattazione del pubblico impiego, da una parte, e l’interpretazione estensiva di talune norme sulla stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblico, dall’altra, gli strumenti stabiliti a livello legislativo non appaiono pienamente efficaci per il controllo degli andamenti di spesa dei diversi comparti.
Pertanto, al fine di fornire al Parlamento adeguati supporti documentali alle decisioni politiche, è stata evidenziata l’opportunità della predisposizione di referti per comparto o per settore, che diano conto degli effetti derivanti dall’attuazione di specifiche politiche di intervento e dei sistemi di controllo. A questi ultimi, in particolare, dovrebbe essere affidato il compito di monitorare gli andamenti della spesa del pubblico impiego e di rilevarne le eventuali criticità, anche allo scopo di predefinire parametri e metodi alla base della programmazione. In tal modo, si potrebbe pervenire alla stesura di un codice di regole per la spesa che superi l’estrema eterogeneità degli indirizzi e dei metodi di lavoro, alleggerendo il carico della previsione attualmente posto in prevalenza sugli uffici della Ragioneria dello Stato.
Dagli interventi del seminario è stato possibile, in primo luogo, tracciare un quadro relativo alle risorse stabilite per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego e per la contrattazione di 2° livello.
Con gli accordi sottoscritti tra Governo e sindacati il 6 aprile e il 29 maggio 2007 per la chiusura del biennio contrattuale 2006-2007, la maggiore spesa per le retribuzioni del pubblico impiego è stata stimata, al lordo della tassazione, pari a circa 3.711 mln di euro, al fine di far retroagire al 2007 gli incrementi contrattuali già previsti a regime per il 2008 dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007). Inoltre, per effetto dell‘accordo del 29 maggio occorrerà integrare le risorse previste a regime per il 2008, al lordo della tassazione, con ulteriori 606 milioni di euro.
Tali ulteriori risorse previste dai predetti accordi, a chiusura della tornata contrattuale riferita al biennio 2006-2007, saranno stanziate dal Governo con la prossima legge finanziaria per il 2008. In termini percentuali, le somme previste consentiranno di corrispondere a regime un incremento medio della retribuzione lorda pari al 4,85 per cento. Tale percentuale si traduce in un incremento stipendiale medio pari a 101 euro per gli impiegati pubblici del comparto ministeri ed aumenti corrispondenti per gli altri settori. Per quanto riguarda il comparto scuola, è prevista un’appendice contrattuale finanziata con risorse, anch’esse da stanziare con la prossima legge finanziaria per il 2008, pari a 210 milioni di euro, finalizzate in particolare alla valorizzazione della funzione docenza.
In sintesi, le risorse per i rinnovi contrattuali relative al biennio 2006-2007 sono distribuite come segue:
§ la legge finanziaria per il 2006 ha previsto le somme necessarie a corrispondere la sola indennità di vacanza contrattuale (per un totale - settore statale e non statale - di 650 milioni di euro per il 2006);
§ con la legge finanziaria per il 2007 le risorse sono state integrate in modo da corrispondere, a decorrere dal 1° gennaio 2008, incrementi medi del 4,46 per cento;
§ la legge finanziaria per il 2008 dovrà provvedere ad una ulteriore integrazione, al fine di riconoscere incrementi retributivi lordi a regime del 4,85 per cento (l’incremento di 101 euro per il comparto ministeri e incrementi corrispondenti per gli altri comparti) a decorrere dal 1° febbraio 2007.
Per quanto concerne il rinnovo dei contratti relativi al biennio economico 2006-2007, ad oggi, è stata raggiunta solo la pre-intesa per il comparto ministeri. E’ in atto il procedimento di validazione della pre-intesa, in applicazione delle nuove disposizioni procedurali dell’ultima legge finanziaria che prevedono la sua conclusione entro 40 giorni (ovvero 55 giorni, se il Governo si avvale di una sola sospensione dei termini)[6].
Un’importante novità nell’ambito dell’accordo del 29 maggio è stata inoltre la previsione della stipula, entro 31 dicembre 2007, di un ulteriore accordo inteso ad estendere in via sperimentale a tre anni, limitatamente al solo triennio 2008-2010, la durata dei prossimi rinnovi contrattuali del pubblico impiego, sia per la parte economica sia per quella normativa[7].
Per gli impegni già sottoscritti relativamente ai contratti di pubblico impiego, il DPEF 2008-2011 indica nella tabella III.13, che riporta un elenco delle spese che il Governo dovrà sostenere in base alla priorità di intervento, una previsione di spesa pari a 2.354 mln di euro per il 2008 e 561 mln a decorrere dal 2009.
Resta da individuare l’entità delle somme da stanziare per la prossima tornata contrattuale che sarà relativa al triennio 2008-2011: la citata tabella III.13 del DPEF non riporta l’ammontare degli stanziamenti necessari. A titolo indicativo ed in attesa delle necessarie valutazioni politiche, dal seminario è emerso che un incremento pari all’1% delle retribuzioni lorde di tutte le pubbliche amministrazioni è cifrato intorno a 1,6 mld di euro lordi[8].
L’intesa del 29 maggio 2007 ha inoltre posto l’obiettivo del “miglioramento della funzionalità dei servizi e dell’incremento della produttività”. Al riguardo, dai dati forniti nel corso del seminario è emerso che, rispetto alla massa retributiva di 168 miliardi erogati a titolo di retribuzione dalla PA, il 21 per cento è destinato per la contrattazione di 2° livello. Tuttavia, la disponibilità di risorse per tale contrattazione integrativa, che può variare entro una forbice dal 10 al 20 per cento delle retribuzioni in essere, non ha generato, se non in minima parte, un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.
Sul piano dei costi e dell’esigenza di contenere la dinamica incrementale delle retribuzioni di fatto, è stata valutata di particolare efficacia la disciplina limitativa della spesa per la contrattazione collettiva introdotta con il comma 189 della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005) per Ministeri, enti pubblici, agenzie e università. Infatti, se non arginata, le spinte alla crescita del trend delle retribuzioni del pubblico impiego sono pari alla forbice dell’1 fino al 4-5 per cento delle retribuzioni, oltre la quota destinata ai rinnovi contrattuali.
I primi dati derivanti dai sistemi di monitoraggio predisposti in relazione alla citata norma della legge finanziaria per il 2006 fanno ritenere soddisfacente la contrazione del trend incrementale delle retribuzioni lorde, anche in settori come gli enti previdenziali nei quali si era registrata una dinamica piuttosto vivace di tale voce di spesa.
Con riferimento agli enti locali cui si applica il Patto di stabilità interno, il sistema di monitoraggio previsto la legge finanziaria per il 2007, accerterà fra qualche mese quante risorse saranno assorbite quest’anno dalla spesa per il personale di tali enti e come essa abbia contribuito agli obiettivi finanziari del Patto.
Infine, con riferimento agli enti del settore sanitario, durante il seminario si è ricordato che i piani di rientro delle regioni in situazione deficitaria hanno altresì previsto misure di contenimento delle spesa per la contrattazione integrativa, nonostante le reazioni sindacali.
Sul piano delle politiche di settore, il nuovo accordo relativo al Patto per la salute cerca di conseguire un obiettivo di riduzione della spesa per il personale sanitario pari all’1,4 per cento rispetto al 2004, sebbene i primi dati fanno ritenere che esso sia di fatto ambizioso.
Il nodo centrale in materia di spesa per il personale è l’andamento delle retribuzioni di fatto, che peraltro mostra un trend del tutto divergente rispetto a quello delle retribuzioni del settore privato. Al riguardo, è stato sottolineato che, al fine del controllo di tale dinamica, appare necessaria una rigorosa applicazione degli accordi sul costo del lavoro stabiliti dal Governo Ciampi del 1993. In particolare, è auspicabile che la contrattazione nazionale si riferisca al solo adeguamento al tasso di inflazione programmata e al recupero dei differenziali tra i tassi di inflazione programmati ed effettivi relativi al biennio di contrattazione precedente. Tutta la parte residuale dovrebbe essere conseguentemente demandata alla contrattazione integrativa, per la quale andrebbero fissati tetti invalicabili di spesa.
In via generale, è stato segnalato come dalla concreta attuazione del disegno normativo relativo ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego negli ultimi anni, emerga una situazione di sostanziale riproposizione dello schema che ha caratterizzato il periodo antecedente la riforma: le risorse stanziate con la legge finanziaria costituiscono solo la base della trattativa e non anche il tetto. Questa circostanza tende a determinare pertanto una contrattazione prolungata nel corso degli anni di riferimento (ed anche oltre) e produce un indebolimento della posizione negoziale delle pubbliche amministrazioni.
Inoltre, la definizione di protocolli che prevedono lo stanziamento di risorse aggiuntive rispetto a quelle definite in legge finanziaria, pone il Parlamento di fronte ad una situazione di oggettiva rigidità. La questione è del tutto evidente nei casi in cui vengono definitivamente sottoscritti contratti che prevedono aumenti la cui erogazione è subordinata all’effettivo stanziamento delle risorse aggiuntive.
Al riguardo si osserva che è la stessa legge generale di contabilità del 1978 a demandare alla legge finanziaria l’individuazione delle risorse da destinare ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego. Peraltro, i risultati di un confronto sulle risorse contrattuali da svolgersi preventivamente alla presentazione del disegno di legge finanziaria e modellata sulla base dell’Accordo Ciampi potrebbero, visto l’attuale quadro, rivelarsi meno sostenibili rispetto al sistema attuale. Infatti, se si considera l’ultima legge finanziaria del Governo Berlusconi, si è posta l’esigenza di provvedere a reperire le risorse con le quali chiudere le code di contrattazione del biennio 2004-2005. Per tale motivo, gli stanziamenti riferiti al biennio 2006-2007 sono stati necessariamente limitati alla sola indennità di vacanza contrattuale.
Una soluzione possibile potrebbe essere l’apertura di sessioni di politica dei redditi, per avviare confronti in periodi in cui non gravino emergenze o spinte di scioperi già proclamati o minacciati.
Inoltre, è stata posta all’attenzione politica la prospettiva dell’individuazione all’interno della legge finanziaria di un fondo onnicomprensivo delle risorse da destinare alle politiche del personale ovvero, più in generale, per esigenze di spesa corrente. In tal modo sarebbe possibile fornire maggiori spazi per gli interventi del Governo che siano meno vincolati o troppo puntuali, al fine di specificare le iniziative contrattuali, una volta chiarite le effettive esigenze.
Un’altra causa della dinamica della spesa per il personale deriva dalla difficoltà della parte pubblica di gestire la mobilità del personale, anche con riferimento al riordino delle amministrazioni centrali. A tal fine è stato ricordato che non ha trovato facile attuazione la disposizione che determina il trattamento economico del personale oggetto di mobilità con riferimento alla struttura contrattuale propria della amministrazione di destinazione; il personale trasferito ha, di fatto, conservato il miglior trattamento che doveva essere riconosciuto con assegno ad personam non riassorbibile, in apparente contrasto con la previsione della legge n. 165 del 2001. Inoltre, anche la procedura di reinquadramento è stata improntata a criteri di generosità.
E’ stato inoltre sottolineato come le risorse destinate ai rinnovi contrattuali 2006-2007 siano state in gran parte destinate, in base al pre-accordo relativo al comparto ministeri, alle componenti fisse della retribuzione. Vista la natura di “contratto apri-pista“ (il comparto ministeri infatti ha quasi sempre aperto le stagioni contrattuali) è da ritenere improbabile che i contratti relativi agli altri comparti ancora da sottoscrivere utilizzino parametri più virtuosi. Peraltro, le risorse per la parte accessoria sembrano destinate a diminuire in assoluto per effetto di operazioni di incremento dell’indennità di amministrazione con quote fisse dei fondi di amministrazione, nonostante al trattamento accessorio sia stata finalizzata una quota non inferiore allo 0,5% degli incrementi degli stanziamenti per i rinnovi.
Dal dibattito si è altresì rilevato come, nei fatti, gli istituti del part-time e della mobilità non costituiscano veri e propri strumenti di flessibilità che l’amministrazione può utilizzare, dal momento che sono impiegati ad esclusivo beneficio dei dipendenti.
Nel corso del dibattito, con riferimento alle nuove assunzioni, è stato posto l’accento sull’ipotesi riportata nel DPEF 2008-2011 che “il numero di dipendenti nel complesso delle amministrazioni pubbliche risulti sostanzialmente invariato per l’intero periodo previsionale”.
In particolare, è stato rimarcato il dato dell’andamento non uniforme nei singoli comparti nel corso degli ultimi anni. Con particolare riferimento alla scuola, già nel 2005, le cifre hanno presentato una tendenza alla crescita. In termini di unità di personale, sulla base dei primi - provvisori - dati del conto annuale 2006, si è riscontrato un incremento pari a circa 17.000.
Anche i dati relativi al comparto sicurezza indicano una tendenza all’incremento del numero delle unità impiegate, soprattutto per i corpi di polizia, nonostante il blocco del turnover, a seguito degli effetti di leggi speciali.
Per quanto riguarda le politiche di assunzione, è stato evidenziato come la legge finanziaria per il 2007 abbia abbandonato la politica del divieto assoluto di assunzione con deroghe, stabilendo la possibilità di sostituire il 60 per cento, in totale, del personale cessato nell’anno precedente (il 20 per cento con nuove assunzioni[9] e il 40% con assunzioni di precari “storici”[10]).
E’stata segnalata, inoltre, la possibilità di un’estensione dell’ambito applicativo delle norme sulla stabilizzazione dei precari. Infatti, anche a causa degli effetti derivanti dal contenzioso in atto, si sta affermando l’interpretazione secondo la quale le disposizioni relative alla stabilizzazione del personale precario sarebbero efficaci anche con riferimento a quei comparti che non rientrano espressamente nelle ipotesi applicative della norma. A tal proposito, è stata citata la circolare n. 7 del Ministero della funzione pubblica, che prevede l’applicazione della norma della legge finanziaria per il 2007 anche alle università.
Si è osservato che lo sviluppo di prassi applicative generate dall’interpretazione estensiva dello norme relative al turnover possa riflettersi anche sull’ambito applicativo del Fondo per la stabilizzazione dei precari[11], previsto dal comma 417, articolo 1, della legge finanziaria per il 2007. Gli effetti che ne deriverebbero, anche se in percentuale modesta rispetto alla cifre relative al personale precario, pongono tuttavia i presupposti per l’individuazione di ulteriori categorie interessate al processo di stabilizzazione.
Sono stati altresì forniti i dati dei precari cd. storici della PA, che ammontano a:
§ 225 mila unità del personale della scuola, di cui 142 mila unità di personale docente e 83 mila unità di personale ATA;
§ 155 mila unità circa nei restanti comparti, tra tempi determinati, LSU, somministrazione e formazione lavoro.
Occorre al riguardo distinguere i precari della scuola dal resto dei precari della pubblica amministrazione, in quanto la loro stabilizzazione comporta la ricostruzione della carriera, ossia l’assunzione con uno stipendio che necessariamente non corrisponderà allo stipendio iniziale corrisposto prima dell’immissione in ruolo. Tale questione porrebbe il problema della coerenza del ciclo della programmazione degli ingressi con gli equilibri di finanza pubblica.
Per tale motivo, è attualmente in corso di definizione una programmazione delle immissioni in ruolo e delle conseguenti ricostruzioni di carriera, in modo da evitare un picco della spesa. Il piano del ministro Fioroni prevede l’assunzione programmatica di 150 mila unità di personale nel corso del prossimo triennio. Per il 2008, è stata inoltre disposta la stabilizzazione di 50 mila docenti e 10 mila ATA, demandando agli anni successivi l’individuazione delle quote di assunzione compatibili con la sostenibilità finanziaria. I precari della scuola devono essere distinti dagli altri precari della PA,
Per quanto concerne i precari delle altre PA, invece, le norme recate dalla legge finanziaria per il 2007 hanno determinato un sostanziale effetto-annuncio con riferimento al processo di stabilizzazione.
A seguito della già richiamata interpretazione estensiva dell’assunzione dei precari, infatti, il quadro che si determinerebbe non è ottimistico. Ad esempio, si registra un percorso graduale, con preciso supporto normativo, di stabilizzazione dei titolari di contratti di collaborazione coordinata e coordinativa, previa trasformazione in rapporti a tempo determinato. Analogo discorso è riferibile alla stabilizzazione degli LSU da parte di alcune leggi regionali, sebbene la stessa legge finanziaria abbia individuato un percorso difficilmente eludibile, con un distinguo per i comuni per i quali è stata descritta una procedura differenziata in relazione al numero degli abitanti (circa 500).
Con riferimento all’effettiva copertura delle spese in materia di personale, è stato segnalato come paradigmatico il caso della stabilizzazione prevista per 150.000 precari della scuola. Per la copertura della spesa conseguente alla loro assunzione è stato previsto l’utilizzo di economie legate a riduzioni di personale, ma è tuttavia fallito il tentativo di inserire una norma procedurale con lo scopo di ottenere la stesura della relazione tecnica.
Nel corso del seminario è stato altresì puntualizzato che la questione della stabilizzazione dei precari non presenterebbe unicamente profili di carattere finanziario, ma anche di equità e di buon funzionamento della PA. Sarebbe pertanto opportuno introdurre adeguati meccanismi diretti ad impedire la formazione di nuovo precariato che successivamente si troverebbe a richiedere la stabilizzazione.
Occorre inoltre una valutazione analitica del fenomeno del precariato, il quale non si presenta in termini omogenei fra i diversi comprati e fra le diverse tipologie contrattuali. Ad esempio, se si considera il comparto della scuola, la presenza di lavoratori a tempo determinato appare in una certa misura fisiologica. Ciò risponde ad esigenze di funzionamento amministrativo di carattere rigido e strutturato (si pensi al fatto che è richiesta la presenza di un docente a classe), al punto che se venissero stabilizzati tutti gli attuali docenti precari, immediatamente vi sarebbe la necessità di nuovi contratti a termine.
Un’altra questione che è stato posta in rilievo nel corso del dibattito è quella dell’applicazione delle procedure di stabilizzazione anche a forme contrattuali la cui natura appare tipicamente temporanea, con particolare riferimento ai docenti a contratto delle università, ai lavoratori in outsourcing delle municipalizzate, ai forestali e ai lavoratori privati utilizzati per la pulizia nel settore scolastico (la cui spesa è quantificata in circa 300 mln di euro). E’ stato rilevato che, se anche tali contratti possono considerarsi rientranti nella logica della stabilizzazione nel pubblico impiego, la dinamica della spesa dovrebbe essere tendenzialmente ridefinita al rialzo.
Appare necessario, inoltre, rendere esplicite le esigenze di natura strutturale delle amministrazioni, a prescindere dalla tipologia contrattuale adottata all’atto dell’impiego. A tal proposito si è fatto un accenno alle ultime leggi finanziarie che hanno dovuto far fronte al problema degli ausiliari dei corpi del settore sicurezza (vigili del fuoco e poliziotti). Si è sottolineato, infatti, che oltre l’80 per cento circa dei fondi per le assunzioni in deroga degli ultimi anni è stato assorbito dal comparto sicurezza. A ciò si sono aggiunte numerose disposizioni di potenziamento mirato degli organici.
Per tali ragioni il numero delle unità di personale del comparto sicurezza appare in crescita nel corso degli ultimi anni, nonostante il “blocco”. Riduzioni di personale, per contro, si registrano oltre che nel comparto ministeri anche nei comparti degli enti pubblici e nelle autonomie locali e, in modo molto meno significativo, nella sanità.
Dal seminario è emerso un quadro che necessiterebbe di un maggiore controllo delle dinamiche del pubblico impiego, sia dal punto di vista retributivo, sia da quello delle unità impiegate nelle singole amministrazioni. Occorrerebbe pertanto individuare un criterio generale per la stabilizzazione della spesa e la definizione degli strumenti necessari per attuarlo.
Al riguardo, appare opportuna l’applicazione della procedura della spending review anche alla spesa per il personale, al fine di verificare se vi sono punti in cui è possibile ridurre l’eccesso di personale. Infatti, gli oneri per il personale sono suscettibili di una certa flessibilità nella misura in cui è possibile applicare il principio della mobilità.
Inoltre, nell’ottica della nuova classificazione del bilancio da adottarsi nella prossima sessione di bilancio, si ritiene che occorra corrispondentemente marcare il grado di responsabilità del dirigente. In caso contrario, è possibile che il tentativo di riclassificazione del bilancio, in assenza di un consapevole ausilio e di un contributo degli attori coinvolti nel processo di riforma, produrrebbe grandezze numeriche meno significative e leggibili di quelle che vengono presentate al Parlamento secondo il bilancio attualmente vigente.
Inoltre, a fronte della necessità di stabilire la coperture per gli oneri derivanti da nuove assunzioni o dalla riorganizzazioni di uffici, si è posta la questione di quali sistemi di copertura si possano ritenere pienamente accettabili. Recentemente, infatti, non è stato infrequente che tali sistemi abbiano utilizzato le disponibilità di bilancio. Come punto di riferimento per le coperture, appare comunque opportuno che si consideri la dotazione organica di diritto come avveniva nel passato.
Rispetto agli andamenti della spesa, andrebbero approfonditi anche alcuni elementi extra-legislativi quali, ad esempio, le procedure amministrative e giudiziali in materia di pubblico impiego.
Appare necessario, in ogni caso, che la copertura di provvedimenti in materia di spesa per il personale sia più rigorosa. Si ricorda, al riguardo, che sono state disposte coperture per assunzioni nelle forze armate e nei vigili del fuoco a valere su fondi destinati a spese di funzionamento in senso stretto. Appare dunque opportuno che la spending review verifichi questo tipo di coperture.
In particolare, dal punto di vista delle regole di contabilità generale, il ricorso delle c.d “clausole di invarianza”, non può ritenersi accettabile in assenza di una puntuale definizione del processo logico da seguire al fine di garantirla. Infatti, dovrebbero essere resi noti al Parlamento tutti i dati sottostanti a tali clausole. In passato, si è avuto un abuso di tali tipi di copertura, generando aumento della spesa o situazioni di sofferenza cui si è dovuto porre rimedio. Inoltre, le attuali formulazioni adottate per definire clausole di invarianza finanziaria sono congegnate in modo da non prevedere la flessibilità interna per coprire gli oneri che di volta in volta si pongono. Può accadere infatti che sia possibile eludere sistematicamente l’obbligo di copertura.
Per tali motivi, la clausola di invarianza deve altresì individuare il percorso funzionale che determini l’effetto neutro dell’onere per l’amministrazione in concreto e senza le frequenti richieste di sanatoria contabile a posteriori. A mero titolo esemplificativo, si è ricordato un caso recente nel quale si è previsto che, per l’inquadramento di alcuni dipendenti nei ruoli dirigenziali, in assenza di copertura finanziaria, l’invarianza si è assicurata prevedendo normativamente che gli stessi dirigenti potranno ricevere ulteriori emolumenti a condizione che la consistenza rimanga invariata e che si attinga alle quote di trattamento accessorio del personale dirigente cessato.
Occorre pertanto un richiamo ad una maggiore oculatezza nell’utilizzo di questa clausola. Essa andrebbe in ogni caso verificata prima che i provvedimenti arrivino in Parlamento, nel caso in cui non siano contestualmente predisposti gli atti amministrativi conseguenti (ad esempio gli schemi di DPCM). In caso contrario, non si potrebbe effettuare alcuna verifica, determinando in tal modo uno spazio di carenza informativa. Sarebbe pertanto auspicabile che i provvedimenti di spesa per il personale della PA siano accompagnati dagli schemi di decreto attuativi.
Con riferimento alle nuove assunzioni, in particolare di personale precario, si profilerebbe la necessità di definire un coerente quadro di intervento, al fine di ridurre talune evidenti differenze tra i regimi del lavoro pubblico e di quello privato. In proposito, sarebbe utile la presentazione al Parlamento di un referto che illustri le prospettive e le criticità riscontrate nei vari comparti (con particolare riferimento alle dinamiche della spesa di personale per gli enti soggetti al Patto di stabilità interno e alle misure di stabilizzazione del personale degli enti del SSN). E’ stato sottolineato inoltre come, ai fini di una maggiore efficacia, tali incombenze informative dovrebbero essere definite da precetti di carattere legislativo.
Dal dibattito nel corso del seminario è emersa pertanto l’opportunità della presentazione, in sede parlamentare, di tutti gli elementi informativi utili alle analisi dei dati sul pubblico impiego, al fine di tracciare un quadro di riferimento per la risoluzione sul DPEF 2008-2011, definito in base a parametri di trasparenza, ragionevolezza e comparabilità, anche in vista della prossima tornata contrattuale. Tale quadro potrebbe, in ultima analisi, porre le basi per la risoluzione, anche in via legislativa, delle difficoltà procedurali legate alla definizione delle retribuzioni del pubblico impiego, con riferimento al necessario equilibrio tra le esigenze funzionali delle amministrazioni ed il rispetto delle compatibilità finanziarie, e conseguentemente ridurre il peso della gestione delle numerose questioni in materia che attualmente sono affidate in prevalenza alla Ragioneria dello Stato.
Il rapporto tra spesa sanitaria corrente e prodotto interno lordo é relativamente contenuto (6,5% nel 2004, rispetto alla media del 7,5% dell’Europa a 15 e del 7,4% comprendendo anche i paesi appena entrati nell’Unione europea). Tuttavia, la spesa evidenzia un significativo trend di crescita: dopo la riduzione di un punto percentuale rispetto al PIL ad inizio degli anni novanta, si è avuto un rimbalzo negli anni successivi.
Nel periodo 2001-2005 si sono, inoltre, evidenziati disavanzi consistenti (pari a circa 4,5 miliardi annui in media), concentrati per il 64% in tre regioni: Lazio (4.687 milioni di euro), Campania (4.164 milioni di euro) e Sicilia (1.931 milioni di euro). La situazione rimane difficile, come dimostrano il forte indebitamento con i fornitori e l’allungamento dei tempi di pagamento. Per quanto riguarda il 2006, il disavanzo, pari a 4,2 miliardi, è imputabile per l’85% a cinque regioni (Lazio, Sicilia, Campania, Puglia ed Abruzzo). Tali regioni, eccetto la Sicilia, hanno sottoscritto nell’anno in corso i Piani di rientro dal deficit e, sulla base di tale sottoscrizione, hanno avuto accesso alle risorse stanziate dal D.L. n. 23/2007.
Un secondo aspetto riguarda il rapporto tra i diversi livelli di governo: la sanità, che rappresenta circa il 70 per cento della spesa regionale, è stata considerata come banco di prova del federalismo. Si è ritenuto, infatti, che una maggiore responsabilizzazione delle regioni potesse contribuire a risolvere il problema del controllo della spesa. Si tratta, tuttavia, di un settore nel quale, da un lato, dominano diritti soggettivi costituzionalmente garantiti e, dall’altro, si registra una forte differenza tra le regioni nelle modalità di garanzia di tali diritti, tanto da evidenziare, a fronte della medesima prestazione, significative divergenze nella spesa pro capite e nella disponibilità delle strutture.
A fronte di questo andamento della spesa, è stata fondamentale l’affermazione, a partire dal 2001, del principio della responsabilità di copertura degli sforamenti a seconda del livello di governo, centrale o regionale, che li ha determinati.
A completamento di tale quadro, la legge finanziaria per il 2005 ha introdotto l’obbligo per le regioni in disavanzo di sottoscrivere un piano di rientro per il conseguimento del riequilibrio.
Tra gli strumenti più incisivi predisposti per la copertura degli squilibri, è stato previsto il ricorso agli aumenti automatici delle addizionali anche oltre i livelli massimi. Oltre all’obiettivo del pareggio, gli altri aspetti toccati negli accordi e nelle leggi finanziarie hanno riguardato la predisposizione di regole su specifiche voci di spesa, il monitoraggio degli esborsi, il raggiungimento di livelli di economicità delle prestazioni, la riduzione delle liste di attesa, le sanzioni per i manager sanitari inadempienti. Si tratta di vincoli molto stringenti che dovrebbero portare a una maggiore responsabilità finanziaria, garantendo, al contempo, i LEA.
In tali anni, le regioni hanno rafforzato il processo di ridefinizione dei sistemi sanitari regionali. In particolare, si è cercato di migliorare l’insieme di competenze tecnico-amministrative (ad esempio, istituendo nuovi organi, come l’Agenzia per i servizi sanitari regionali), di accrescere la produzione e la diffusione dei dati (ancorché la loro disponibilità sul territorio nazionale non sia del tutto uniforme), di creare strumenti idonei di programmazione e controllo, con risultati differenziati tra le varie realtà regionali.
Per il controllo della spesa essenziali sono i risultati attesi dai Piani di rientro. Per questo, quindi, si sottolinea l’importanza del monitoraggio per verificare, in corso d’anno, l’andamento della spesa nelle varie realtà territoriali e garantire così l’effettivo rispetto degli obiettivi.
Il percorso tracciato dal Patto per la salute è realistico, purché assistito dai controlli.
Quanto agli ulteriori interventi necessari ai fini dell’integrale applicazione del Patto per la salute, il DPEF indica l’aggiornamento dei LEA e la revisione del sistema della compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini.
Al riguardo, nel corso del dibattito è stato sottolineato come la leva fiscale, che ha costituito di fatto l’unico strumento di riferimento per il rientro dai disavanzi, evidenzi in molte regioni i limiti derivanti dalla base imponibile e dall’accertamento del gettito. Ad esso deve affiancarsi anche la possibilità di misure di compartecipazione alla spesa. Ciò sia per l’eliminazione di aree di inappropriatezza delle prestazioni, che per governare processi di estensione dell’intervento pubblico alle aree più critiche dell’assistenza. La recente eliminazione di meccanismi che si erano introdotti con la finanziaria 2007 depotenzia gli strumenti a disposizione delle amministrazioni per il contenimento della spesa. Prioritario è, quindi, procedere ad una rivisitazione complessiva del meccanismo delle esenzioni e prevedere anche la possibilità di soglie di accesso differenziato ad alcune prestazioni in base anche a indicatori di reddito.
Con riferimento al 2008, è stato osservato che le previsioni contenute nel DPEF non tengono conto delle spese legate ai rinnovi dei contratti e quelle relative al rinnovo delle convenzioni della medicina generale e della medicina specialistica.
Sulle prospettive di lungo periodo, le stime non sono ottimistiche a causa del peso sempre crescente dell’invecchiamento della popolazione. Si tratta di un aspetto che aggrava ulteriormente il problema del contenimento della spesa, caratterizzato, da un lato, dalla limitatezza delle risorse messe a disposizione annualmente per il finanziamento del SSN. e, dall’altro, dalla presenza di ampie aree in cui si registrano sprechi che non consentono di utilizzare in modo efficiente le risorse a disposizione. Il protrarsi di tale situazione non può non acuire il contrasto tra i livelli di governo e tra le regioni.
Nel corso del seminario sono state passate rapidamente in rassegna le varie modalità di finanziamento delle spese per infrastrutture, a cominciare da quella tradizionale basata sul cosiddetto criterio delle spese ripartite, con finanziamenti di bilancio, di importo annuale predeterminato, ripartiti in un arco di tempo pluriennale. A fronte del finanziamento l’amministrazione beneficiaria disponeva l’impegno delle risorse che erogava sulla base degli stati di avanzamento delle opere.
Accanto a questa forma tradizionale di finanziamento se ne sono sviluppate nel tempo altre, fra cui, in primo luogo la contrazione diretta di mutui da parte del Ministero del tesoro con istituti di credito, sulla base di specifiche autorizzazioni di legge: tale procedura prevedeva l’iscrizione in bilancio, in entrata, delle somme ottenute tramite il finanziamento, con successiva iscrizione in bilancio delle corrispondenti rate di ammortamento[12].
Nel 1997 questo meccanismo è stato superato nell’ambito della manovra finanziaria per l’anno successivo[13], che ha previsto l’impossibilità da parte del Ministero del tesoro di contrarre mutui direttamente[14]. La disposizione è stata interpretata come norma di principio generale, quasi sempre rispettata, anche per mutui in precedenza attivati da altre amministrazioni[15].
Nel corso degli anni ‘90 si è andato quindi sviluppando il finanziamento delle infrastrutture tramite la procedure dei limiti d’impegno, a fronte dei quali il soggetto beneficiario poteva contrarre mutui che poi lo Stato avrebbe ripagato con oneri a proprio carico. Tale procedura, cui era riconosciuto il vantaggio di limitare gli effetti sul SNF alla quota annuale di finanziamento, è stata utilizzata in modo intensivo per circa 10 anni[16]. Essa ha peraltro determinato un irrigidimento del bilancio, una quota significativa del quale era costituita da spese non comprimibili, in quanto costituivano rate annuali per l’ammortamento di mutui già contratti.
La legge finanziaria per il 2004[17], nel tentativo di rendere i limiti di impegno compatibili con i criteri nel frattempo definiti in sede europea e di limitarne l’impatto sui saldi della pubblica amministrazione, ha definito limiti e condizioni per il ricorso a tale modalità di finanziamento delle opere. Peraltro anche tale procedura si è in seguito rivelata di fatto non praticabile, come evidenziato dal caso del mutuo per la realizzazione di Eurofighter (EFA): in tal caso infatti si è resa necessaria la riclassificazione delle relative spese, inizialmente considerate, in sede di previsione, per un importo limitato al contributo annuale, e successivamente – a seguito di una pronuncia di Eurostat - contabilizzate nei conti pubblici in misura pari al netto ricavo di Alenia per il predetto mutuo contratto (circa 1,4 mld)[18].
Da quel momento si è cercato di limitare al massimo l’uso dello strumento dei limiti d’impegno (ridenominati “contributi pluriennali”) anche per i relativi, potenziali effetti sul fabbisogno e sul debito. Peraltro, poiché risultavano tuttora iscritti in bilancio molti stanziamenti di tale tipo, non ancora avviati, è sorta l’esigenza di individuare un meccanismo di controllo che consentisse l’attivazione di tali contributi pluriennali, limitandone peraltro l’impatto in termini di fabbisogno e di indebitamento.
Sono pertanto intervenuti, da ultimo, la legge finanziaria per il 2007[19] e la relativa circolare applicativa[20], che prevedono che per l’attivazione dei contributi pluriennali sia necessaria l’autorizzazione del Ministero dell’economia, che ne valuta gli eventuali effetti negativi sui saldi di finanza pubblica. Tale procedura sta peraltro rallentando l’utilizzo degli stanziamenti, pur rivelandosi efficace sotto il profilo del controllo della finanza pubblica.
In definitiva, sono emersi i seguenti aspetti critici del finanziamento delle opere infrastrutturali mediante la procedura dei contributi pluriennali:
§ dal punto di vista della rappresentazione in bilancio, il meccanismo di finanziamento appare poco trasparente: non viene infatti evidenziata l’entità delle somme effettivamente stanziate dallo Stato per la realizzazione delle opere. Il contributo viene infatti attualizzato e contabilizzato in termini di fabbisogno e di indebitamento per somme molto superiori all’importo annuale;
§ convivono, nell’ambito di singoli capitoli, spese in conto capitale, destinate alla quota di rimborso del debito, e spese di natura corrente, destinate al pagamento degli interessi, che andrebbero separatamente evidenziate dal punto di vista di criteri SEC95[21];
§ il meccanismo non assicura un efficace monitoraggio dello stato di realizzazione delle opere.
In proposito è stato ipotizzato di valutare l’opportunità di tornare al tradizionale criterio di finanziamento con stanziamenti di bilancio ripartiti nel tempo ed erogati sulla base di stati di avanzamento dei lavori, che consentirebbe - tra l’altro - anche un controllo dello stato di realizzazione delle opere. Non va inoltre trascurato il possibile contenimento delle spese conseguente a tale sistema, per il venir meno almeno in parte degli oneri per gli interessi da corrispondere sui mutui attivati.
Circa il rischio che tale sistema possa determinare il venir meno di procedure di preventiva quantificazione del costo complessivodelle opere, con conseguente affievolimento di meccanismi di controllo della spesa, è stato precisato che l’adozione del sistema di finanziamento in questione non farebbe in ogni caso venir meno la necessità della preventiva quantificazione e del finanziamento del costo complessivo delle opere.
Un’altra forma di finanziamento degli interventi infrastrutturali sperimentata è quella esemplificata dal caso di Infrastrutture Spa, in cui si è tentato il ricorso all’emissione di bond per il finanziamento di tratte ferroviarie ad alta velocità. Eurostat ha riclassificato tale operazione come debito dello Stato, in quanto i titoli in questione erano assistiti da garanzia dello Stato. Successivamente con la legge finanziaria per il 2007 lo Stato si è fatto carico del relativo onere anche sotto il profilo dell’indebitamento netto, con un conseguente peggioramento del deficit 2006 per un importo di circa 13 mld.
Attualmente,forme innovative di finanziamento delle opere infrastrutturali comprendono strumenti quali il Partenariato Pubblico Privato (PPP) e il project financing. In ordine all’attività del fondo di investimenti F2I, partecipato da Cassa depositi e prestiti e da fondazioni bancarie, è stata segnalata l’opportunità che l’impegno di risorse non sia limitato alle sole infrastrutture esistenti. E’ stato inoltre rilevato che l’orientamento del fondo di investimento F2I verso opere già esistenti può essere spiegato dalla necessità di assicurare un rendimento adeguato ai capitali di debito e di rischio investiti nel fondo. Altri fondi del settore hanno invece un diverso panel di investimento, maggiormente spostato verso le opere da realizzare.
In merito alla legge obiettivo, sono stati forniti alcuni dati ed elementi di valutazione.
In particolare, sono stati forniti i seguenti elementi informativi:
§ il primo programma decennale (delibera CIPE 121/2001) comprende opere per 125 miliardi di euro;
§ con la delibera CIPE 130/2006 tale programma è stato aggiornato, prevedendo opere per 173 miliardi;
§ l’ultimo aggiornamento (dati DPEF 2008-2011) fornisce le seguenti indicazioni:
- opere ultimate: 2,171 miliardi di euro;
- opere in corso coperte: 13,7 miliardi di euro;
- opere in corso con copertura parziale (costo 21,3 miliardi di euro – copertura 13 miliardi di euro);
- opere da avviare, comprensive di ulteriori interventi non ancora sottoposti al CIPE (costo 55 miliardi di euro – copertura 36 miliardi di euro, di cui 24 mld. a carico dei privati);
§ finanziamenti già disponibili per opere già approvate dal CIPE:
- nazionali: leggi di settore 3,3 miliardi di euro; contratti di programma Anas-Rfi 5,7 miliardi di euro; altre risorse 0,748 miliardi di euro; FAS 3,1 miliardi di euro; legge obiettivo 9,7 miliardi di euro;
- comunitari: fondi comunitari per 0,8 miliardi di euro;
- regionali: 1,5 miliardi di euro;
- enti locali: 1,3 miliardi di euro;
- privati: 10,7 miliardi di euro (convenzioni autostradali finanziate a carico delle tariffe).
Sulla procedura della legge obiettivo sono stati in particolare evidenziati i seguenti profili critici:
§ necessità di reperire l’integrale copertura finanziaria per opere già avviate;
§ disallineamento fra gli stanziamenti di bilancio e la realizzazione delle opere;
§ difficoltà nel monitoraggio dello stato di avanzamento delle opere.
I suggerimentiemersi riguardano la possibilità di ripensare il meccanismo di finanziamento delle opere anche nell’ottica di una spending review: una ricognizione delle opere autorizzate e finanziate, che non sono state attuate, potrebbe fornire indicazioni per destinare eventualmente i relativi importi ad altre priorità.
In ordine alle modalità più innovative di finanziamento mediante formule contrattuali ed il ricorso al partenariato pubblico-privato, è stata evidenziata la centralità della distinzione tra opere suscettibili o meno di gestione economica.
L’importanza di tale distinzione si evidenzia anche nell’evoluzione che ha subito la legge Merloni: si è passati da una normativa incentrata prevalentemente sulla disciplina degli appalti, allo sviluppo dell’istituto della concessione, con un orizzonte temporale anche piuttosto lungo[22].
Ciò sul mercato ha riscosso un notevole interesse. Le varie modalità operative di aggiudicazione[23] hanno consentito di avviare alcune iniziative di successo[24]: la determinante fondamentale va individuata nelle modalità di conduzione della procedura di gara, che hanno suscitato l’interesse dei privati, garantendo la partecipazione di una pluralità di soggetti. Tale interesse si verifica esclusivamente qualora sia garantito il criterio della c.d. bancabilità dei contratti, che si realizza quando la ripartizione dei rischi è adeguata alla capacità di gestione degli stessi (ad esempio i rischi autorizzativi e quelli di esproprio vanno posti in capo al soggetto pubblico, mentre i rischi di realizzazione e quelli di gestione vanno imputati al soggetto privato).
I casi di fallimento non sono imputabili alla mancanza di capacità organizzative o di capitali, ma si realizzano nei casi in cui manca la capacità delle diverse amministrazioni[25] di formulare contratti bancabili.
Il sistema finanziario è estremamente sensibile alla tipologia dei contratti: la predisposizione di progetti imprenditoriali, con società mista o concedente come parte attiva di un contratto, può consentire di coprire finanziariamente investimenti anche a lunghissimo termine.
Oggi l’utilizzo dei contributi pluriennali difficilmente può trovare applicazione. Occorre invece definire contratti bancabili come è stato fatto nel settore dell’energia elettrica[26]. Esempi riscontrati anche all’estero dimostrano che non si trovano grandi difficoltà nel reperire i capitali nemmeno nei casi in cui non si ha integrale finanziabilità privata dell’investimento (metropolitane) o nel caso di profili di redditività a lunghissima scadenza[27].
In sintesi, per le opere suscettibili di gestione economica è opportuno orientarsi verso contratti di concessione e cogestione, in cui si attui una corretta ripartizione dei rischi. Lo Stato deve invece avere il ruolo di finanziare le opere non suscettibili di sfruttamento economico.
In merito ai profili di contabilità, è stato osservato che i criteri stabiliti a livello europeo richiedono che la controparte privata si faccia carico, oltre che del rischio costruzione, di almeno uno tra il rischio di domanda e il rischio di disponibilità.
Un progetto che preveda un canone di disponibilità a carico dell’ente concedente scollegato da performance del concessionario, non può configurarsi come un canone, ma come una sorta di rata e quindi rischia di essere riclassificato come debito pubblico.
In merito all’incidenza dei finanziamenti privati e ai settori in cui tali finanziamenti sono risultati maggiormente significativi, i primi settori di intervento di capitali privati sono stati quelli in cui già erano presenti contributi pubblici non utilizzati (in quanto insufficienti a coprire integralmente i finanziamenti necessari), che hanno trovato una propria sede di utilizzo tramite contratti di finanza di progetto: si vedano ad esempio il settore sanitario e quello del trasporto pubblico locale (metropolitane). L’incidenza del finanziamento privato dipende dai contratti: in taluni casi incide per l’80% del costo complessivo (fra capitale di debito e di rischio).
In ordine alle problematiche derivanti dalla possibile emersione di oneri connessi ad indennizzi e contenziosi, gli indennizzi sono sempre stati previsti dall’ordinamento; oltre a talune differenze dell’attuale disciplina rispetto alla precedente, nella nuova versione della normativa è prevista una priorità di destinazione degli indennizzi alle banche finanziatrici. Nel caso in cui nel finanziamento intervenga la Cassa DDPP, si ha un privilegio ulteriore, stabilito nello statuto. Peraltro l’intervento di banche finanziatrici, che effettuano un’attività di monitoraggio autonoma[28], riduce il rischio di indennizzi. Tuttavia, in presenza di norme legislative o provvedimenti amministrativi che prevedano direttamente o creino i presupposti per la corresponsione di tali indennizzi, occorrerebbe valutare l’opportunità di predisporre forme di copertura.
In merito all’eventualità che un intenso ricorso a procedure di revoca ovvero di riallocazione delle risorse già stanziate per destinarle a nuove priorità possa determinare un’accelerazione complessiva della spesa con effetti sul fabbisogno e sull’indebitamento, tale rischio sussiste, ma va valutato caso per caso, tenendo conto dello stato di utilizzazione dei vari sistemi di finanziamento e di incentivazione e della circostanza che molte procedure di revoca sono già previste dalla vigente legislazione.
Dal dibattito è emersa altresì l’esigenza di concentrare i finanziamenti pubblici sugli interventi che non possano trovare un’utile modalità di realizzazione mediante il ricorso a capitali privati. Ciò al fine di evitare diseconomie esterne e di contribuire al finanziamento di opere che non presentano sufficiente interesse per il capitale privato.
Sono stati richiesti inoltre dati in merito all’attuale consistenza degli stanziamenti coperti a valere su contributi pluriennali e sullo stato di utilizzo del fondo, dotato di 500 mln di euro, costituito dalla finanziaria per l’attualizzazione e la copertura, ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento, dei contributi pluriennali. Sul punto è stato sottolineato che l’attualizzazione di contributi finora non è stata autorizzata se non limitatamente a somme già scontate nelle previsioni tendenziali[29].
È stato infine richiesto se contratti di concessione che prevedano la corresponsione di un prezzo differito posto a carico del concedente nel caso in cui questi non trovi un nuovo concessionario subentrante disposto a sostenerlo, possa configurare indirettamente una forma di garanzia pubblica a fronte di un’iniziativa imprenditoriale privata, con conseguente possibilità di riclassificazione nei conti pubblici dei flussi finanziari inerenti all’investimento. A tale considerazione è stato obiettato che tale eventualità potrebbe non sussistere, tenuto conto della configurazione della corresponsione del prezzo residuo da parte del concedente come una possibilità e del congruo lasso di tempo previsto per tale opzione. Si è anche però ritenuto che il rischio di una configurazione del meccanismo come garanzia pubblica sia fondato e debba essere attentamente valutato.
Dal seminario è emerso che le stime indicate nel DPEF tengono conto delle variazioni del quadro macroeconomico nonché delle informazioni di gettito per l’anno in corso, disponibili al momento della predisposizione del Documento. In proposito, va considerato che in quel momento non sono noti i dati sull’autotassazione delle imposte dirette. Inoltre, le valutazioni effettuate sulla base dell’andamento dei primi mesi dell’anno includono fattori di rischio.
A settembre le stime vengono riviste, tenendo conto dei fattori che hanno determinato il gettito ed avendo a disposizione dati più attendibili, perché riferiti ad un arco temporale più ampio, che include, tra l’altro, i risultati dell’autotassazione.
Nell’ambito della formulazione delle stime effettuata dall’Agenzia delle entrate, il parametro dell’elasticità interviene ex post e non è utilizzato come elemento di previsione. Infatti, il modello utilizzato (microfondato) valuta il gettito di ogni singola voce di imposta, senza ricorso all’elasticità nella previsione delle entrate. La stima del gettito complessivo è ricavata come somma della stima dei singoli tributi.
E’ stata inoltre richiamata l’importanza, nella elaborazione delle stime, delle entrate non tributarie che rappresentano un ammontare considerevole, pari a circa 30 miliardi di euro, e presentano un andamento molto erratico.
Sono stati evidenziati ulteriori profili problematici che attengono all’esistenza, nel nostro sistema,di un cosiddetto “doppio binario” nei criteri di valutazione: le stime basate sugli andamenti complessivi di finanza pubblica e quelle specificamente riferite al gettito delle imposte del bilancio dello Stato. Al momento della predisposizione del DPEF le due stime tendono ad allinearsi, in quanto, come già detto, in quella fase non sono ancora noti i dati relativi all’andamento della autoliquidazione delle imposte. Successivamente, verso la fine di agosto, il Dipartimento per le politiche fiscali acquisisce tali dati ed è in grado di utilizzarli, sia per eventuali emendamenti al disegno di legge di assestamento del bilancio sia per le stime da indicare nella Relazione previsionale e programmatica.
Tuttavia quest’ultima include le previsioni di gettito valutate sulla base del testo del disegno di legge finanziaria presentato dal Governo a settembre, mentre i dati riportati nel bilancio dello Stato a legislazione vigente non scontano gli effetti della manovra.
E’ stato infine sottolineato che l’adozione di criteri prudenziali, dovuti anche alla disponibilità di informazioni di partenza non esaustive (come nel caso del DPEF), possono determinare una sottostima delle previsioni di entrata che ha come conseguenza l’emersione di disponibilità impreviste. Tali disponibilità possono indurre a decisioni di spesa.
Un altro aspetto evidenziato riguarda la verifica a consuntivo del gettito realizzato rispetto a quello stimato; tale verifica risulta, in ogni caso, di difficile attuazione in quanto non si è sempre in grado di conoscere con esattezza gli effetti prodotti da una specifica disposizione normativa.
In particolare, da un’indagine svolta dalla Corte dei conti emergono, con riferimento al D.L. n. 268/2000 - che ha introdotto agevolazioni fiscali per circa 13 mila mld di lire, da finanziare con le maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione - dati che non consentono di elaborare una stima attendibile del gettito riferibile alla maggiore adesione spontanea dei contribuenti[30]. L’applicazione di una metodologia volta a ricavare tale stima come fattore residuale, una volta detratti dal maggior gettito realizzato gli effetti della variazione del PIL e delle innovazioni legislative introdotte, ha dato luogo a risultati differenti nei due esercizi considerati (2000 e 2001). Infatti, nel primo anno si è registrata una differenza positiva, nel secondo una differenza negativa: ciò indurrebbe a concludere che, nel primo caso, si sia verificato un aumento dell’adesione spontanea e, nel secondo, un aumento dei comportamenti elusivi. Tuttavia tali differenze, tenuto conto delle procedure e dei dati disponibili, potrebbero anche essere il risultato di errori ed approssimazioni nelle stime iniziali; pertanto l’applicazione della predetta metodologia implica un alto margine di errore. Analoga indagine è stata ripetuta a distanza di più di un anno[31] e ha confermato tali valutazioni..
I dati fino ad oggi osservati evidenziano che da circa due anni e mezzo le entrate tributarie registrano un tasso di crescita superiore al tasso di crescita del PIL nominale.
La tendenza post-condono è verso una stabilizzazione del tasso di crescita superiore al 5%. Si osservano, tuttavia, andamenti differenziati per le maggiori imposte. In particolare, largamente superiore alla media è l’IRES, l’IRE risulta inferiore e l’IVA sugli scambi interni è allineata.
In merito alla natura delle entrate riscontrate, la relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato segnala la presenza di fattori che maggiormente connotano l’elemento di strutturalità rispetto alla aleatorietà delle entrate (ad es: modifica del sistema distributivo e produttivo, interventi normativi adottati con leggi finanziarie che hanno ampliato la base imponibile di alcuni settori).
Per quanto riguarda le entrate da accertamento e controllo, si è assistito, a decorrere dal 2005, ad un incremento del tasso di crescita; ci si aspetta, comunque, un’attenuazione nelle previsioni tendenziali.
Il sostenuto andamento delle entrate da accertamento e controllo è da collegare anche alla nuova strategia dell’Agenzia delle entrate basata su un’azione amministrativa, complementare all’intervento legislativo, ispirata ad una pianificazione strategica di contrasto all’evasione.
Si segnala tuttavia la presenza di rilevanti profili problematici con particolare riferimento a:
§ la non applicazione di talune innovazioni introdotte, con particolare riguardo agli indicatori di normalità economica, nella disciplina degli studi di settore che potrebbe non consentire il pieno realizzo dei risultati attesi, in termini di gettito, dalla medesima complessiva disciplina;
§ la già evidenziata scarsa affidabilità delle stime associate all’adesione spontanea dei contribuenti. In tale contesto diventa particolarmente importante l’attenta verifica dei contenuti della relazione - che, secondo quanto previsto dalla legge finanziaria per il 2007, dovrà essere presentata nel prossimo mese di settembre - sui risultati di consuntivo, in termini di maggior gettito, derivanti dalla lotta all’evasione.
In merito alla relazione tra maggiori entrate accertate e quelle riscosse, si segnala che, sulla base di dati raccolti (monitoraggio sistematico di attività di accertamento e controllo), il riscosso rappresenta solo il 7% di ciò che viene accertato. Tuttavia questa differenza non rileva sulle statistiche di contabilità nazionale, in quanto la contabilità economica, relativamente ai ruoli, considera gli incassi e non le somme accertate.
In materia di riscossione dei ruoli, si è riscontrato un incremento delle entrate, da porsi anche in relazione con la riforma dei sistemi di riscossione e l’istituzione di Equitalia Spa.
E’ stato sottolineato inoltre che, con riferimento ad alcuni capitoli di entrata, gli accertamenti sono ricostruiti sulla base dei versamenti eseguiti dai contribuenti.
I dati relativi alle entrate indicati nel DPEF sono formulati prevalentemente sulla base del criterio della competenza giuridica (accertamento). Il dato di cassa è utilizzato nel sistema SEC 95 per quanto riguarda le entrate da ruoli. La discrasia tra il dato di competenza giuridica e di cassa dipende dall’articolato processo di riscossione. Nel bollettino tributario, per le entrate del bilancio dello Stato, in alcune tavole è proposta una sezione di riconciliazione dei dati di cassa con quelli di competenza.
Il DPEF assume l’obiettivo di una riduzione della pressione fiscale da attuare, presumibilmente, utilizzando i risultati della maggiore adesione spontanea. Si tratta di trasporre su imponibili di nuova emersione una parte del carico tributario, attualmente gravante sugli imponibili già emersi.
Tra gli interventi proposti in materia di riduzione della pressione fiscale, la proposta di riduzione dell’ICI assume carattere squisitamente politico. Tuttavia è stato sottolineato che le possibili valutazioni riguardano, oltre alla sostenibilità finanziaria dell’agevolazione proposta, gli effetti che ne derivano in termini di trasferimento agli enti locali o di maggiori compartecipazioni alle entrate erariali nonché le possibili difficoltà applicative. E’ stato inoltre rilevato che, poiché l’ICI risponde alla logica del federalismo fiscale, un suo ridimensionamento potrebbe risultare in contrasto con il progetto di federalismo, tenuto anche conto che la possibilità di diversificare le aliquote ICI consente di massimizzare la flessibilità di tale forma impositiva a livello comunale.
E’ stato ricordato che agli inizi degli anni ’90 venne condotta una prima ricognizione dei costi delle agevolazioni fiscali esistenti e venne approvata una legge delega volta a ridurre le agevolazioni, ma che non ha trovato attuazione.
E’ emersa l’opportunità di ripristinare l’obbligo di redigere un elenco agevolazioni fiscali in essere, al fine di garantirne un monitoraggio finalizzato ad una eventuale revisione.
[1] Tale imposta, come accade in altri paesi, è tipicamente municipale; nel caso se ne riduca il gettito, occorre prevedere forme di compensazione per il finanziamento degli enti locali.
[2] Eccezion fatta per la sola provincia autonoma di Trento, che ha mandato una proposta in tal senso.
[3] Il decreto legge n. 81/2007 concede l’utilizzo di soli 370 milioni su 5,5 miliardi di avanzi totali nel 2005: l’utilizzo integrale di tale ammontare non sarebbe stato compatibile con i vincoli europei.
[4] Per tali enti, che pure hanno una grande rilevanza dal punto di vista finanziario, le difficoltà derivano dall’assenza della figura del tesoriere. Si sta sperimentando la possibilità di acquisire i dati almeno con cadenza mensile.
[5] Classification of the Functions of Government. Il sistema COFOG è strutturato secondo il sistema europeo dei conti nazionali SEC 95, con una classificazione delle funzioni obiettivo (attività e servizi) articolata su quattro livelli: fini primari perseguiti dalle Amministrazioni (primo livello), aree di intervento delle politiche pubbliche (secondo livello), comparti di attività (terzo livello), obiettivi di ciascuna Amministrazione rispetto al settore di riferimento (quarto livello). Il quarto livello (funzioni-obiettivo), definito anche delle “missioni istituzionali”, non esprime la classificazione COFOG – SEC95, ma è individuato in ambito nazionale (il numero delle missioni istituzionali varia con le esigenze delle singole amministrazioni).
[6] E’ stato inoltre sottolineato che, con riferimento alla contabilizzazione ai fini dell’indebitamento netto delle somme relative ai rinnovi contrattuali, il DPEF ha aggiornato le previsioni relative ai redditi di lavoro dipendente contenute nella Relazione unificata, prevedendo il solo rinnovo nel 2007 dei contratti del settore statale, anziché la sottoscrizione di tutti i contratti entro l’anno.
[7] Si ricorda che attualmente i contratti collettivi nazionali del lavoro presentano una durata quadriennale con riferimento alla parte normativa. Per quanto concerne gli aspetti economici del contratto, il quadriennio è suddiviso in due bienni.
[8] Peraltro, con riferimento a ciascuna tornata contrattuale, si sottolinea che le risorse originariamente stanziate con legge finanziaria potranno subire delle revisioni, al fine di recepire accordi integrativi (come è avvenuto nel caso dell’accordo Fini per il biennio 2002-2003, dell’accordo Baccini per il biennio 2004-2005 e dei recenti accordi di aprile e di maggio 2007 per la chiusura del biennio 2006-2007).
[9] Il comma 523 della LF per il 2007 stabilisce che, per gli anni 2008 e 2009, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi compresi i Corpi di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le agenzie, gli enti pubblici non economici possono procedere, per ciascun anno, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente.
[10] Il comma 526 della LF per il 2007 dispone che le PA possono altresì procedere, per gli anni 2008 e 2009, nel limite di un contingente di personale non dirigenziale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 40 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente, alla stabilizzazione del rapporto di lavoro del personale, in possesso di requisiti. Il comma 519 stabilisce che i requisiti consistano, in prima approssimazione, in un periodo di servizio a tempo determinato pari ad almeno tre anni, anche non continuativi, da maturare entro il 29 settembre 2006.
[11] L’applicazione in via estensiva delle norme relative al Fondo per la stabilizzazione è richiesta in particolare dal personale precario delle FF.AA. e dei Vigili del fuoco.
[12] Costituiscono un esempio di tale modalità di finanziamento gli interventi per Roma capitale, per le opere del Giubileo, gli interventi nel settore delle aree depresse e nel settore dei beni culturali.
[13] Cfr. art. 54, comma 13, della legge n. 449/1997 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica).
[14] Tutte le iniziative legislative in essere a quel momento sono state conseguentemente iscritte in bilancio come stanziamenti da finanziare in tabella F.
[15] Salvo eccezioni disposte per via legislativa.
[16] Un esempio di utilizzo intensivo di tale procedura di finanziamento della spesa in conto capitale si è registrato per i contributi alle imprese del settore naval-meccanico.
[17] Cfr. in particolare l’art. 4, comma 177.
[18] L’importo che viene considerato come trasferimento a fondo perduto all’impresa è infatti pari all’ammontare delle risorse che la stessa riceve per realizzare l’opera.
[19] Cfr. i commi 511 e 512 della L. 296/2006.
[20] Cfr. circ. n. 15/2007 Ministero dell’economia.
[21] La presenza di molti capitoli misti costituisce, fra l’altro, una delle cause di discordanza fra i dati di fabbisogno rilevati dalla RGS e dalla Banca d’Italia.
[22] Il vincolo di durata massima trentennale inizialmente previsto è stato infatti rimosso.
[23] Ad esempio la figura del promotore o l’aggiudicazione diretta.
[24] Per esempio, nel settore del trasporto pubblico locale, la linea tranviaria di Firenze; nel settore dell’edilizia pubblica, gli ospedali di Mestre e Castelfranco, e la sede del comune di Bologna; nel settore del trasporto pubblico, la linea 5 della metropolitana di Milano.
[25] Per esempio: i comuni, gli ATO, le società con affidamento in house.
[26] Le regole introdotte hanno consentito di creare il mercato dell’energia elettrica con fonti rinnovabili incentivate e un mercato di cessione della relativa produzione.
[27] Ci sono esempi di concessioni 99nnali negli USA.
[28] Estesa anche alla fase di gestione dell’opera, con verifica degli indici di performance della concessionaria.
[29] Si citano ad esempio i contributi attivati dall’Anas per la Salerno-Reggio Calabria, il Mose e alcune spese regionali.
[30] Cfr. Corte dei conti, Analisi dei risultati conseguiti con le entrate tributarie negli anni 2000 e 2001 in termini di recupero di materia imponibile evasa, 18 giugno 2002.
[31] Analisi del 5 dicembre 2003.