Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Il tema dei cambiamenti climatici a dieci anni dal protocollo di Kyoto
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 63
Data: 20/04/2007
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

servizio studi

segreteria generale
ufficio rapporti con l’ue

 

Documentazione e ricerche

Il tema dei cambiamenti climatici a dieci anni dal Protocollo di Kyoto

 

116ª Assemblea dell’Unione interparlamentare

(Bali, 29 aprile – 4 maggio 2007)

 

 

 

 

 

 

n. 63

 

20 aprile 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Ambiente

 

SIWEB

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: Am0067.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Il Protocollo di Kyoto  3

§      Il commercio dei diritti di emissione  7

§      Il ruolo delle fonti energetiche rinnovabili12

§      I risultati della Conferenza di Nairobi13

§      I risultati del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 di Washington 2007  15

§      Le iniziative della Commissione ambiente della Camera in materia di cambiamento climatico  18

La posizione europea sul cambiamento climatico (a cura dell'Ufficio rapporti con l'Unione europea)21

§      Gli obiettivi strategici.21

§      Nuovi strumenti per la politica ambientale ed energetica  25

§      Future iniziative strategiche  25

§      Attività del Parlamento europeo  26

§      Altre iniziative  28

§      Attività della Camera dei Deputati30

§      Procedure di infrazione  30

Documentazione allegata

§      Risoluzione Realacci  n. 7-00064  35

-       Seduta del 25 ottobre 2006  41

§      Risoluzione Realacci e Capezzone n. 7-00103  43

-       Seduta del 30 gennaio 2007  47

§      VIII Commissione (Ambiente) Comunicazioni del Presidente missione a Washington in occasione del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici 14-15 febbraio 2007.

-       Seduta del 28 febbraio 2007  51

§      Comunicazione della Commissione CE Una politica energetica per l’Europa Com (2007) 1  67

§      Comunicazione della Commissione CE Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius La via da percorrere fino al 2020 e oltre Com (2007) 2  99

§      Documento di lavoro dei servizi e della Commissione CE Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius La via da percorrere fino al 2020 e oltre – Sintesi della valutazione d’impatto Sec (2007) 7  113

§      Documento di lavoro dei servizi e della CommissioneLimitare il cambiamento climatico globale a 2 gradi centigradi - Il percorso futuro per il 2020 e oltre - Valutazione dell’impatto  119

 

 


Schede di lettura


 

 

Il Protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi industrializzati ed i Paesi con economia in transizione a ridurre le emissioni di gas in grado di alterare l’effetto serra del pianeta entro il 2012.

 

 

Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC[1]). Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra.

I paesi industrializzati (elencati nell’Annex I del Protocollo) si impegnano a ridurre le proprie emissioni entro il 2012. Il protocollo di Kyoto non prevede vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 paesi che include i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei PVS.

Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas, ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).

Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:

-   il miglioramento dell’efficienza energetica

-   la correzione delle imperfezioni del mercato (attraverso incentivi fiscali e sussidi)

-   la promozione dell’agricoltura sostenibile

-   la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti

-   l’informazione a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (cd “comunicazioni nazionali”)

La misura complessiva di riduzione deve essere del 5,2% rispetto ai livelli di emissione del 1990. L’onere, tuttavia, è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito, dei livelli di efficienza energetica.

 

 

Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:

§      l’emission trading (commercio dei diritti di emissione)[2], in base al quale i paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono “vendere” tale surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che - al contrario - non riescano a raggiungere gli obiettivi assegnati;

§      la joint implementation(attuazione congiunta degli obblighi individuali)[3], secondo cui gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purchè venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units”(ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;

§      i clean development mechanisms(meccanismi per lo sviluppo pulito)[4] , il cui fine è quello di fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.

 

In base all’accordo le riduzioni dovranno essere conseguite nelle seguenti misure percentuali:

 

Protocollo di Kyoto

Impegni assunti[5]

Riduzione (entro il 2008-2012) dei gas serra rispetto ai livelli del 1990

Stati membri UE

8%

USA

7%

Giappone

6%

Canada

6%

Totale paesi Annex I

5,2%[6]

 

Il Protocollo di Kyoto riconosce all’Unione europea (che ha provveduto a ratificarlo in data 31 maggio 2002) la facoltà di ridistribuire tra i suoi Stati membri gli obiettivi ad essa imposti, a condizione che rimanga invariato il risultato finale. Con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri (raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998) sono state fissate le seguenti percentuali di riduzione:

Austria

-13%

Italia

-6,5%

Belgio

-7,5%

Lussemburgo

-28%

Danimarca

-21%

Paesi Bassi

-6%

Finlandia

0%

Portogallo

+27%

Francia

0%

Regno Unito

-12,5%

Germania

-21%

Spagna

+15%

Grecia

+25%

Svezia

+4%

Irlanda

+13%

 

 

 

Il protocollo è diventato vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005 in seguito al deposito dello strumento di ratifica da parte della Russia, con notevole ritardo rispetto alla firma del protocollo medesimo, causato dall'uscita dal Protocollo degli USA, che rappresentano da soli il 36% delle emissioni dei Paesi industrializzati.

 

Si ricorda, infatti, che l’art. 24 del Protocollo ne ha previsto l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990.

La ratifica dell’Italia

Per quanto riguarda l’Italia, la ratifica del protocollo di Kyoto è avvenuta con la legge 1° giugno 2002, n. 120, la quale reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

 

L’art. 2, comma 1, dispone, infatti, che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro il 30 settembre 2002, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati, è tenuto a presentare al CIPE un piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimento ed una relazione contenente lo stato di attuazione e la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998.

Nel medesimo comma viene previsto, inoltre, che la suddetta relazione debba riguardare anche lo stato di attuazione dei programmi finanziati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio in attuazione del decreto-legge 30 dicembre 1999, n. 500 e del D.M. ambiente 20 luglio 2000, n. 337, nonché dei programmi pilota previsti dal successivo comma 3, in cui si prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro il 30 marzo di ogni anno, individui, con proprio decreto e di concerto con i ministri interessati e con la Conferenza unificata Stato-regioni-città, i programmi pilota da attuare a livello nazionale ed internazionale per la riduzione delle emissioni e l'impiego di piantagioni forestali per l'assorbimento del carbonio[7] e che (comma 4) entro il 30 novembre di ogni anno il Ministro dell’ambiente trasmetta al Parlamento una relazione sulla loro attuazione.

 

In attuazione di tali disposizioni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ha provveduto ad elaborare il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010[8] (per consentire all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012, come prevede il Protocollo di Kyoto), nonché la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998, recante le “linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”.

Tali documenti, approvati con la delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 123[9], contengono, secondo quanto previsto dalla legge di ratifica, l'individuazione delle politiche e delle misure finalizzate al contenimento ed alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Nella legge di ratifica viene specificato che tali azioni devono tendere al raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni mediante il miglioramento dell'efficienza energetica del sistema economico nazionale e un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, all'aumento degli assorbimenti di gas serra derivanti dalle attività e dai cambiamenti di uso del suolo e forestali, alla piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal Protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri Paesi industrializzati (joint implementation) e con quelli in via di sviluppo (clean development mechanism), e, infine, all’accelerazione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per l’introduzione dell’idrogeno quale combustibile e per la realizzazione di impianti per la produzione di energie alternative pulite (biomasse, biogas, combustibile derivato dai rifiuti, impianti eolici, fotovoltaici, solari).

Per il finanziamento di tali misure è da ultimo intervenuto l’art. 1, commi 1110-1115, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007), che ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., di un Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009[10].

Il commercio dei diritti di emissione

L’uso di tale strumento è volto a raggiungere gli obiettivi del Protocollo a costi più vantaggiosi attraverso il ricorso a meccanismi di mercato. Il presupposto su cui si basa la previsione di riduzione dei costi globali è fondato sulle forti variazioni nei costi di riduzione delle emissioni fra i vari paesi e fra i vari processi industriali. Attraverso la commercializzazione dei permessi di emissione, lo stesso mercato provvederà ad allocarli nel modo più efficiente, riducendo i costi globali rispetto a meccanismi più rigidi quali la tassazione o la semplice definizione di limiti.

La piena entrata in vigore a livello internazionale dell'emission trading è prevista nel 2008, ma molti governi, organizzazioni governative e società stanno conducendo prove e sperimentazioni per verificarne le modalità di funzionamento.

La direttiva 2003/87/CE

Un’importante iniziativa in tal senso è stata intrapresa dall’Unione europea con l’emanazione della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica.

Tale direttiva, che rappresenta la prima fase attuativa del Programma europeo sul cambiamento climatico (European Climate Change Programme - ECCP) lanciato nel giugno del 2000 dalla Commissione Europea, prevede l’istituzione di un mercato delle emissioni su scala europea a partire dal 2005 da affiancare all’emission trading previsto su scala globale dal Protocollo.

La direttiva si applica alle emissioni provenienti dalle attività indicate nell'allegato I e ai gas a effetto serra elencati nell'allegato II. In particolare alle emissioni di anidride carbonica provenienti da attività di combustione energetica, produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, lavorazione di prodotti minerari, produzione di pasta per carta, carta e cartoni.

Gli obblighi previsti per gli impianti da essa regolati sono:

1)      possedere un permesso all’emissione in atmosfera di gas serra[11];

2)      rendere alla fine dell’anno un numero di quote (o diritti) d’emissione pari alle emissioni di gas serra rilasciate durante l’anno[12].

 

Le quote d’emissioni vengono rilasciate dall’autorità nazionale competente (ANC) all’operatore di ciascun impianto regolato dalla direttiva sulla base di un piano di allocazione nazionale; ogni quota (cd. European Unit Allowance – EUA) dà diritto al rilascio di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente.

Il piano di allocazione nazionale (redatto in conformità ai criteri previsti dall’allegato III della direttiva) prevede l’assegnazione di quote a livello d’impianto per periodi di tempo predeterminati (il primo è individuato dalla direttiva nel triennio 2005-2007, mentre i successivi nei quinquenni 2008-2012, 2013-2017, ecc).

Esso, inoltre, deve essere coerente con gli obiettivi di riduzione nazionale, con le previsioni di crescita delle emissioni, con il potenziale di abbattimento e con i principi di tutela della concorrenza.

Una volta rilasciate, le quote possono essere vendute o acquistate[13]. Tali transazioni devono poi essere registrate nell’ambito di un registro nazionale.

La restituzione delle quote d’emissione avviene attraverso il registro nazionale ed è effettuata annualmente dagli operatori degli impianti in numero pari alle emissioni reali certificate da un soggetto terzo accreditato dall’ANC.

Con la Decisione della Commissione n. 156 del 29 gennaio 2004 sono state fissate le linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE.

Si ricorda, inoltre, che la direttiva 2004/101/CE (cd. direttiva linking) ha riconosciuto i meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto (Joint Implementation e Clean Developmnet Mechanism) all’interno dell’ETS, stabilendo la validità dei crediti di emissione (ottenuti grazie all’attuazione di tali progetti) per rispondere agli obblighi di riduzione delle emissioni[14].

L’attuazione nell’ordinamento italiano e l’assegnazione delle quote di emissione

Per quanto riguarda l’Italia, con il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216 sono state recepite nell’ordinamento nazionale sia la direttiva 2003/87/CE, sia la direttiva 2004/101, ed inoltre si è provveduto ad inglobare nel testo, al fine di predisporre un quadro normativo unitario, le disposizioni dettate dal D.L. n. 273/2004[15], che era stato emanato (nelle more del recepimento della direttiva 2003/87/CE) al fine di consentire l’avvio a partire già dal 2005 del sistema previsto dalla direttiva stessa.

Il campo di applicazione del decreto (art. 2) riguarda le emissioni provenienti dalle attività indicate nell’allegato A e relative ai gas-serra elencati nell’allegato B

I punti salienti del citato decreto sono:

§         l’obbligo di autorizzazione per gli impianti rientranti nel campo di applicazione del decreto stesso, in linea con le disposizioni del corrispondente articolo della direttiva;

§         la disciplina procedurale per il rilascio, da parte dell’ANC per l’attuazione della direttiva, dell’autorizzazione ad emettere gas serra (artt. 5-6);

§         l’individuazione di una procedura che, in linea con le disposizioni della direttiva, conduce dall’approvazione del Piano nazionale di assegnazione (PNA) all’assegnazione e al successivo rilascio delle quote di emissioni ai singoli impianti (artt. 10-11);

§         l’istituzione, presso la Direzione RAS del Ministero dell’ambiente, del “Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE”, cui vengono affidate le funzioni di ANC (art. 8);

§         l’istituzione del Registro nazionale delle emissioni e delle quote d’emissioni presso la succitata direzione RAS, che svolge le funzioni di amministratore del registro (art. 14);

 

In data 23 febbraio 2006 il Ministero dell'ambiente, dopo un lungo e travagliato iter[16], ha emanato il decreto DEC/RAS/074/2006, recante l'assegnazione e il rilascio delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 sulla base della Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 (allegata al medesimo decreto) che rappresenta la versione definitiva e revisionata del piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione (PNA), come risultante a seguito delle integrazioni e delle prescrizioni dettate dalla Commissione europea, che individua il numero di quote complessivo, a livello di settore e di impianto, per l’attuazione della direttiva.

Il 18 dicembre 2006 i ministri dell'ambiente e dello sviluppo economico hanno approvato (con decreto DEC/RAS/1448/2006) il PNA delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012[17] e lo hanno trasmesso alla Commissione europea[18] per il prescritto parere ai fini della predisposizione del successivo schema di decisione di assegnazione, che dovrà essere sottoposto al parere delle commissioni parlamentari competenti.

In tale piano si legge che “La decisione di ratifica del Protocollo di Kyoto impone all’Italia di ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra del 6,5% rispetto ai livelli del 1990, ciò implica che le emissioni medie nel periodo 2008-2012 non potranno superare 485,7 MtCO2eq/anno. L’inventario nazionale delle emissioni di gas ad effetto serra relativo all’anno 2006 evidenzia che al 2004 le emissioni totali di gas ad effetto serra (580,7 MtCO2eq) sono aumentate del 11,8% rispetto ai livelli del 1990 (519,5 MtCO2eq). Pertanto la distanza che al 2004 separa il Paese dal raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto è pari a 95,0 MtCO2eq”.

Di conseguenza nello stesso piano si afferma che “l’assegnazione delle quote nel periodo 2008-2012 dovrà essere parte del più generale impegno di riduzione delle emissioni e le quote assegnate dovranno essere ridotte rispetto a quelle del periodo 2005-2007 e che tale approccio è conforme con quanto indicato dalla Commissione europea nella Comunicazione “Orientamenti complementari sui Piani nazionali di assegnazione per il periodo di scambio 2008-2012 nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione della UE”[19].

Viene altresì indicata in 209,0 MtCO2/anno la quantità totale media annua che si intende assegnare nel periodo 2008-2012 (tale valore rappresenta una riduzione di 14,1 MtCO2/anno rispetto all’assegnazione 2005-2007) che viene ritenuta coerente con l’obiettivo di Kyoto.

 

Si ricorda, infine, che il 2 aprile 2007 è stato avviato il Mercato volontario delle unità di emissione di CO2, gestito dal Gestore del mercato elettrico (GME)[20], che va ad aggiungersi alle altre “borse delle emissioni” istituite nel territorio europeo (Exaa- Austria, Ecx- Olanda, Eex- Germania, Powernext- Francia e Nordpool- Norvegia).

L’Italian Carbon Fund (ICF)

Si segnala, infine, che anche la Banca mondiale ha intrapreso un programma di emission trading attraverso l’istituzione del Community Development Carbon Fund, con il quale verranno acquistati - nei Paesi in via di sviluppo – certificati legati alla riduzione delle emissioni di gas serra generate da progetti selezionati e monitorati dalla Banca stessa. Secondo alcuni, con questa operazione la Banca Mondiale “si candida a giocare un ruolo centrale nel futuro commercio mondiale dei certificati di emissione della CO2[21].

Tale iniziativa si affianca ad altre analoghe[22] tra cui quella che nell’ottobre 2003 ha portato alla stipula di un accordo tra il Ministero dell’ambiente e la Banca Mondiale volto ad istituire l’Italian Carbon Fund per l’acquisto di crediti di emissione da progetti che generino riduzioni di emissioni di gas serra (compatibili con i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto e con il nuovo sistema europeo di emission trading) ed apportino benefici all’ambiente globale, promuovendo nel contempo la diffusione di tecnologie moderne ed energia pulita in paesi in via di sviluppo e con economie in transizione.

Tale fondo è un partenariato pubblico-privato (dal 1° gennaio 2004 il Fondo è aperto alla partecipazione di aziende private ed agenzie pubbliche italiane) amministrato dalla Banca Mondiale e dotato di un capitale iniziale di 15 milioni di dollari messi a disposizione dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. L’attuale capitalizzazione ha quasi raggiunto i 155 milioni di dollari[23].

L’impegno finanziario profuso dal Ministero dell’ambiente nell’ICF si affianca a quello risultante dalla partecipazione dell’Italia al citato Community Development Carbon Fund per un importo di 7,7 milioni di dollari.

Il ruolo delle fonti energetiche rinnovabili

Un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Protocollo può venire dallo sviluppo del settore delle energie alternative. In tale ambito il principale riferimento normativo nazionale è costituito dal decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387, di recepimento della direttiva 2001/77/CE, volta a favorire un aumento del contributo delle fonti energetiche rinnovabili nella produzione di elettricità e porre le basi di un quadro comunitario in materia che consenta di contemperare le due esigenze di garantire la sicurezza e la diversificazione dell'approvvigionamento energetico e la tutela dell'ambiente.

Con l’approvazione della direttiva 2001/77/CE del Parlamento e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, l’Unione europea ha stabilito per ogni Stato membro gli obiettivi da raggiungere nell’ambito della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; per l’Italia l’obiettivo da raggiungersi entro il 2010 è fissato al 25% di energia elettrica prodotta.

Con la circolare emanata nel 2002 dal Ministro delle attività produttive[24] è stato precisato che gli obiettivi indicati nel Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010 (consistenti nel raggiungimento, entro il 2010, di una quota di produzione pari a 75TWh) “sono coerenti con le indicazioni dell’allegato alla direttiva, e dunque il disposto della direttiva medesima è soddisfatto”.

In proposito si ricorda nuovamente che il già richiamato Piano rappresenta il principale strumento programmatico per il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. In tale Piano (analogamente a quanto si riscontra negli altri Paesi), uno degli strumenti fondamentali individuati per il raggiungimento degli obiettivi citati è proprio costituito dallo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Il principale meccanismo previsto dalla normativa nazionale di incentivazione della produzione di energia elettrica da rinnovabili è costituito dai cd. certificati verdi, introdotto nell’ordinamento nazionale dall’art. 11 del d.lgs. n. 79 del 1999.

Si ricorda che tale meccanismo incentivante ha previsto a decorrere dal 2002 l’obbligo, a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica una quota minima di elettricità, prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il primo aprile 1999.

Tale quota, inizialmente fissata al 2%, è stata poi innalzata dal d.lgs. n. 387/2003 (art. 4), che ne ha stabilito un incremento annuo dello 0,35% per il triennio 2004-2006, demandando a successivi decreti la fissazione degli ulteriori incrementi per i trienni successivi.

Il meccanismo dei certificati verdi non rappresenta, tuttavia, l’unica forma nazionale di sostegno al settore delle energie rinnovabili. Si ricordano, ad esempio, le recenti norme introduttive del cd. conto energia (DM 28 luglio 2005,come integrato dal DM 6 febbraio 2006), le norme per l’agevolazione dei biocarburanti (in particolare il decreto legislativo n. 128 del 30 maggio 2005 di attuazione della direttiva 2003/30/CE, nonché i commi 367, 369, 371, 374-377, 379 della finanziaria 2007). Si ricorda, inoltre, la previsione introdotta dalla legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 350, legge n. 296/2006) finalizzata a vincolare per gli edifici di nuova costruzione il rilascio del permesso di costruire all’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, che garantiscano una produzione energetica non inferiore a 0,2 kilowatt per ciascuna unità abitativa, nonché le agevolazioni finalizzate al risparmio energetico in edilizia recate dai commi 344-349 e 351-352 dell’articolo 1 della stessa legge.

I risultati della Conferenza di Nairobi

In Kenya, a Nairobi, si è tenuta, dal 6 al 17 novembre 2006, la dodicesima Conferenza delle Parti (COP12[25]) e la Seconda Conferenza, dall'entrata in vigore del Protocollo, delle Parti che lo hanno ratificato (COP/MOP2[26]).

Nella stessa sede hanno avuto luogo anche le seconde sessioni dei cd. gruppi ad hoc per i nuovi impegni che i paesi industrializzati dovranno assumere dopo il 2012 (AWG-COM) e per il dialogo a lungo termine sull'obiettivo ultimo della UNFCCC (AWG-DIAL).

Durante lo svolgimento della COP-12 gli argomenti discussi hanno riguardato essenzialmente la gestione dei meccanismi e delle attività previste nella Convenzione UNFCCC. Sono stati altresì affrontati argomenti quali la lotta alla deforestazione, spesso illegale, nei paesi in via di sviluppo, di cui non si tiene conto nel protocollo di Kyoto; nonché le emissioni di gas serra derivanti dal trasporto aereo e marittimo, attualmente non conteggiate nel Protocollo.

La COP/MOP2 ha invece affrontato alcuni problemi critici per l'attuazione del Protocollo di Kyoto tra cui la definizione delle procedure sanzionatorie per i paesi che al 2012 risulteranno inadempienti nel raggiungimento dei loro obiettivi di riduzione.

Il principale argomento in discussione è stato tuttavia quello (affrontato nell’ambito dell’AWG-COM) della modifica dell'attuale protocollo di Kyoto (in base all'art. 9 dello stesso protocollo) in una versione emendata che contenga nuovi impegni e nuove modalità di attuazione per il periodo successivo al 2012[27], quando l'attuale protocollo di Kyoto sarà scaduto. Dopo lunghe ed accese discussioni si è tuttavia convenuto di rinviare la questione al 2008, dopo che sarà acquisito il quarto rapporto dell'IPCC (che sarà pubblicato nel corso del 2007) e le prime conclusioni sulle strategie a lungo termine che il gruppo di lavoro ad hoc sul dialogo (AWG-DIAL) avrà raggiunto.

È stato inoltre concordato che il nuovo protocollo che entrerà in vigore successivamente al 2012 dovrà contenere chiari obiettivi per l'adattamento ai cambiamenti climatici comprese le modalità di cooperazione, in questo campo, tra paesi sviluppati ed in via di sviluppo.

Nell’ambito del gruppo relativo al dialogo a lungo termine (AWG-DIAL) la discussione è partita dal recente Rapporto Stern sui possibili danni alle economie nazionali e al prodotto lordo internazionale causati dai cambiamenti del clima. La discussione proseguirà prossimamente su due punti prioritari: le questioni dell'adattamento ai cambiamenti climatici, e le questioni delle nuove tecnologie per combattere i cambiamenti del clima.


 

Il Rapporto Stern[28]

Tale rapporto, coordinato da Nicholas Stern, economista ed attuale consigliere del Governo Britannico, evidenzia come il costo degli effetti del cambiamento climatico possa far supporre una caduta del PIL mondiale tra il 5% ed il 20% e come l’attuazione di misure finalizzate ad evitare un aumento di più di due gradi centigradi della temperatura media, rappresenterebbe appena l’1% del PIL mondiale. Questo Rapporto elenca anche quali potrebbero essere le conseguenze del cambiamento climatico in diverse regioni del mondo, se si arrivasse a superare il suddetto aumento di temperatura, limite che si considera come massimo affinché siano ancora possibili forme di “contenimento”.

 

Si segnala, inoltre, che nel corso del Meeting ad alto livello dei ministri e capi di stato sono state evidenziate alcune priorità, tra cui l’urgenza di procedere dopo il 2012 a riduzioni più drastiche delle emissioni di gas serra.

 

Si ricorda, in proposito, che nel corso della Conferenza è stato presentato un documento che afferma che, per essere stabilizzate, le emissioni nella atmosfera debbono essere ridotte di almeno il 50% rispetto al 2000, sebbene non indichi in che data. La Germania ha proposto una riduzione del 30% entro il 2020, mentre la Finlandia a nome della UE ha ribadito la sua proposta di una riduzione fino al 60% entro il 2050. Altri paesi, tra cui gli USA, pur riconoscendo la necessità di raggiungere importanti obiettivi di riduzione non ritengono che la strada dei vincoli e degli obblighi sia percorribile.

I risultati del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 di Washington 2007

Il 14 e il 15 febbraio 2007 si è tenuto a Washington il Secondo Forum dei legislatori del Dialogo sul cambiamento climatico dei Paesi G8 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti)+ 5 (Cina, India, Messico, Brasile e Sud Africa). Il Dialogo si pone l'obiettivo di discutere un accordo sui cambiamenti climatici «post 2012», ovvero sul periodo successivo alla prima scadenza del Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni dei gas serra, al fine di stabilire la più ampia convergenza sugli obiettivi ambientali a livello mondiale.

Il Forum di Washington, al quale hanno preso parte sessantaquattro parlamentari, provenienti da tutti i paesi G8+5, ed otto parlamentari europei, aveva l'obiettivo di presentare una piattaforma comune sul cambiamento climatico al prossimo Vertice del G8, che si terrà a Heiligendamm, in Germania, nel giugno 2007, sotto la Presidenza tedesca.

Il Forum poneva come punto di partenza della discussione le conclusioni della relazione dell’IPCC[29] pubblicata il 2 febbraio 2007, che ha accertato - con una probabilità del 95% - come siano state le attività dell'uomo condotte dalla rivoluzione industriale ad oggi a determinare il riscaldamento del pianeta

Il Forum è stato caratterizzato da due aspetti di particolare importanza nella politica riguardo al cambiamento climatico.

Il primo è rappresentato dal radicale mutamento nell'orientamento americano rispetto al cambiamento climatico, annunziato dalla maggior parte dei rappresentanti statunitensi. Il tema del cambiamento climatico rappresenterebbe una priorità assoluta per gli USA, rispetto alla quale essi intenderebbero assumere la leadership mondiale.

Il secondo passaggio di particolare rilievo politico è stato rappresentato dalla posizione in merito ai gas serra dell'Europa. Al riguardo è intervenuta in videoconferenza la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che presiederà il vertice G8 di Heiligendamm di giugno, ricordando che già nella primavera 2007 l'Unione europea dovrà sviluppare un programma post 2012 per i paesi industrializzati. In tale prospettiva, il conseguimento dell'obiettivo posto dall'Unione europea di prevedere interventi volti a fare in modo che la temperatura mondiale non aumenti più di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali è il primo risultato da conseguire e la riduzione delle emissioni di CO2 nei Paesi UE del 20% da qui al 2020, il primo passo da compiere. Tre sono gli elementi chiave che possono portare al conseguimento di tali risultati: un aumento globale dell'efficienza energetica; un sempre maggiore ricorso alle energie rinnovabili; l'utilizzo di incentivi economici. Anche per la Merkel, come già per i senatori americani, il sostegno di nuove politiche energetiche creerà nuovi mercati, nuovi incentivi produttivi e, infine, nuovi posti di lavoro.

Il Commissario europeo per l'ambiente Stravos Dimas, ha richiamato la risoluzione del Parlamento europeo che prevede la riduzione delle emissioni in tutti i paesi industrializzati del 30 per cento in comparazione con il livello di emissioni del 1990 entro il 2020 al fine di conseguire una riduzione tra il 60 ed l'80 per cento entro il 2050. L'obiettivo che si intende perseguire a livello mondiale è quello di conseguire una riduzione di gas serra del 50 per cento nei paesi in via di sviluppo e tra il 60 e l'80 per cento nei paesi sviluppati. Ovviamente per far ciò ci vuole un accordo mondiale. I paesi industrializzati devono dare l'esempio perché nel 2020 i paesi in via di sviluppo influiranno sulla produzione di gas serra più dei paesi OCSE. I mezzi per conseguire tali obiettivi sono: in primo luogo, l'uso del mercato, attraverso il sistema di scambio di emissioni, che può diventare il nucleo portante; in secondo luogo, lo sviluppo della ricerca; in terzo luogo la lotta alla deforestazione, che contribuisce circa per il 20% all'aumento dei gas serra.

Anche la Cina, l'India ed il Brasile hanno manifestato l'intenzione di puntare quanto più possibile (la priorità per queste economie rimane pur sempre la lotta alla povertà) su forme di energia pulita e di favorire lo sviluppo sostenibile. Inoltre, hanno sostenuto la necessità di azioni congiunte tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo dirette soprattutto al trasferimento di tecnologia.

Il Forum di Washington si segnala anche per alcuni interventi di carattere maggiormente tecnico di particolare rilievo. Tra questi si richiama, in primo luogo, quello di Sir Nicholas Stern, economista ed attuale consigliere del Governo britannico, coordinatore del famoso rapporto, il quale ha ricordato come nel rapporto da lui redatto si evidenzi chiaramente che i costi dell'inazione saranno di gran lunga superiori a quelli dell'azione. Da qui la necessità di un'azione urgente per ridurre le emissioni, che rappresenta l'unico modo per garantire una crescita a lungo termine di tutte le economie-sviluppate, emergenti e povere.

Lo stesso Presidente della Banca Mondiale, Paul Wolfowitz, si è soffermato sui costi economici dell'inazione a fronte del fenomeno del cambiamento climatico ed ha annunciato che la Banca Mondiale sta studiando misure volte a sostenere le economie dei Paesi in via di sviluppo che coniughino lotta alla povertà ed efficienza energetica.

Si è inoltre prestata attenzione alla questione dell'adeguamento agli inevitabili impatti del cambiamento climatico. La Banca Mondiale calcola, infatti, che questo fenomeno richiederà un'ulteriore somma compresa tra i 10 e i 40 miliardi di dollari l'anno. Si è evidenziato che, se non si interverrà subito per ridurre le emissioni, questa cifra aumenterà in modo impressionante e si determineranno gravi impatti sulla sanità pubblica e sulla disponibilità di risorse, inclusa l'acqua.

A conclusione del Forum è stata approvata una dichiarazione finale nella quale si chiede ai Governi dei Paesi del G8+5 di concordare, nel prossimo Vertice G8, sugli aspetti chiave di un quadro post 2012 e di richiedere che i negoziati globali su tale quadro includano una serie di indicazioni, tra cui si ricordano: obiettivi a lungo termine per i Paesi sviluppati; obiettivi adeguati per le economie in via di sviluppo; incentivi per misure volte a ridurre la deforestazione; incentivi per politiche e misure di sviluppo sostenibili nei Paesi in via di sviluppo; programmi concentrati sulla formazione di capacità, sull'accesso alle tecnologie e sugli incentivi economici, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a investire in tecnologie più efficienti e a basso impiego di carbonio.

 

Le iniziative della Commissione ambiente della Camera in materia di cambiamento climatico

Nel mese di luglio 2006, la Commissione ha esaminato, per le parti di propria competenza, il Documento di programmazione economico-finanziaria 2007-2011. Su tale documento, nella seduta del 19 luglio, la Commissione ha espresso parere favorevole con diverse osservazioni, relative, in particolare, al rilancio di una forte iniziativa politica di carattere strutturale, finalizzata al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto, all’inserimento nei successivi documenti di programmazione della previsione di un aggiornamento sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e sui relativi indirizzi, all’implementazione delle più rilevanti politiche ambientali.

In occasione della «Conferenza mondiale sul clima» di Nairobi (6/17 novembre 2006) si è svolta, presso la VIII Commissione (Ambiente) l’audizione del Ministro dell’ambiente, del territorio e del mare (25 ottobre 2006), il quale ha ribadito l’impegno italiano, all’interno del più ampio contesto europeo, di lavorare affinché l'aumento della temperatura del pianeta non superi l’aumento di temperatura oltre il quale gli effetti sulla terra e sul clima sarebbero tali da non consentire la sopravvivenza dell'attuale sistema di vita degli esseri umani e, tra i possibili interventi, ha segnalato la necessità di misure nel settore del trasporto.

 

Nella seduta dell’VIII Commissione del 25 ottobre 2006, la Commissione ha approvato una risoluzione, a prima firma dell’on. Realacci, volta ad indirizzare l'attività del Governo su tematiche di importanza strategica per il futuro del pianeta quali quelle sul cambiamento climatico. Sulla risoluzione, sottoscritta da deputati appartenenti a gruppi di maggioranza e di opposizione, si è registrato un unanime orientamento positivo da parte dei gruppi.

Tra gli impegni contenuti nella risoluzione si segnalano: l’adozione, insieme all’UE e nel suo ambito, di politiche e misure dirette ad affrontare il periodo successivo al 2012; il sostegno degli sforzi tesi a trovare un'intesa in questo «G7» con 6 Paesi (Stati Uniti, Canada, Russia, Giappone, Cina e India), che insieme all'Unione europea producono il 75 per cento delle emissioni mondiali di gas serra; il sostegno della ricerca, il cambiamento tecnologico e l'economia della conoscenza; l’aggiornamento della delibera CIPE 123/2002 e del relativo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra e l’adozione di iniziative volte ad integrare tale Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra in un programma nazionale energetico-ambientale, concordato con le Regioni, definito con il Parlamento, che assicuri il coordinamento, l'aggiornamento ed il monitoraggio dei risultati, al fine di avere un quadro unitario coerente, di riferimento e di indirizzo; il rafforzamento della ricerca ed il supporto tecnico alla diffusione delle politiche e delle misure che concorrono alla riduzione delle emissioni di gas serra, all'aumento dell'efficienza e del risparmio energetico, alla diffusione della produzione e dell'uso di fonti rinnovabili; a prestare grande attenzione al settore dei trasporti, della mobilità e della logistica; il riconoscimento di un’effettiva priorità all’efficienza e al risparmio energetico e la promozione dello sviluppo di tutte le fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia elettrica, di calore e di carburanti; il sostegno della piccola cogenerazione distribuita, di energia elettrica e di calore e dello sviluppo dei distretti agro-energetici; il sostegno della ricerca e della sperimentazione della cattura e del sequestro sicuro della CO2.

Nella seduta del 30 gennaio 2007, le Commissioni ambiente e attività produttive della Camera hanno inoltre approvato una risoluzione (degli onorevoli Realacci, Capezzone ed altri), volta ad impegnare il Governo a convocare una Conferenza nazionale su clima ed energia, nella quale adottare un approccio integrato, nonché a coinvolgere nella preparazione della medesima Conferenza il Parlamento, tutti i Ministeri interessati, le istituzioni regionali e locali, le forze economiche e sociali e gli organismi scientifici.

 

Si segnala, infine, che sul tema del cambiamento climatico e sulla necessità della sua integrazione con le varie politiche di settore, la Commissione ambiente (in congiunta con le Commissioni competenti per le varie politiche) ha svolto una serie di audizioni ai fini della presentazione di una relazione all’Assemblea, ai sensi dell’articolo 143 del regolamento della Camera.

 


La posizione europea sul cambiamento climatico
(a cura dell'Ufficio rapporti con l'Unione europea)

Gli obiettivi strategici.

Le conclusioni del Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo 2007 contengono uno  specifico paragrafo dedicato alla politica climatica ed energetica integrata, nel quale si sottolinea la necessità di un intervento urgente ed efficace per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici, le cui conseguenze a lungo termine, incluse quelle relative allo sviluppo economico, sono state riesaminate nella loro gravità da recenti studi in materia[30].

Il Consiglio europeo ha inoltre ribadito che la lotta ai cambiamenti climatici costituisce, in particolare in relazione allo sviluppo delle tecnologie ambientali e alle ecoinnovazioni, un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi indicati dalla strategia di Lisbona.

Il Consiglio europeo, infine, ha sottolineato il ruolo guida dell’UE nella protezione internazionale del clima, ribadendo la necessità di un intervento concordato su scala planetaria. A tal fine, ritiene necessario che, in occasione della Conferenza internazionale sul clima, prevista per la fine del 2007 sotto l’egida delle Nazioni Unite, vengano avviati i negoziati relativi a un accordo globale e completo sulla lotta  contro il riscaldamento del pianeta dopo il 2012, basato sull’ampliamento dell’architettura del protocollo di Kyoto[31]e che tali negoziati si concludano entro il 2009.

 

In questa cornice, il Consiglio europeo ha pienamente accolto la  comunicazione “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius – La via da percorrere fino al 2020 e oltre” (COM(2007)2), presentata dalla Commissione il 10 gennaio 2007. In particolare, le conclusioni considerano gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra, prospettati dalla Commissione, come un obiettivo strategico fondamentale, da realizzare mediante un approccio integrato e completo della politica energetica e della politica ambientale dell’Unione.

La comunicazione[32] propone che l’UE persegua, nell’ambito di negoziati internazionali, un obiettivo di riduzione dei gas serra pari al 30% rispetto ai valori del 1990, che i paesi industrializzati dovranno conseguire entro il 2020: in tal modo dovrebbe essere possibile contenere l’aumento della temperatura entro il limite dei 2°C in tutto il mondo. Secondo la Commissione, fino a che non sarà concluso un accordo internazionale, e fatta salva la posizione che assumerà nell’ambito dei negoziati multilaterali, l’UE dovrebbe assumersi, fin d’ora, l’impegno risoluto e unilaterale di abbattere le emissioni dei gas serra di almeno il 20% entro il 2020, ricorrendo al sistema UE di scambio delle quote di emissione, ad altre politiche in materia di cambiamenti climatici nonché a interventi nel contesto della politica energetica. Dopo il 2020 le emissioni prodotte dai paesi in via di sviluppo supereranno quelle dei paesi industrializzati; nel frattempo, il tasso di crescita delle emissioni complessive dei paesi in via di sviluppo dovrebbe cominciare a rallentare e, a partire dal 2020, dovrebbe verificarsi un calo in termini assoluti.

Il percorso prospettato dalla Commissione prevede che, entro il 2050, le emissioni globali siano abbattute fino al 50% rispetto al 1990; ciò significa che i paesi industrializzati dovranno ridurle del 60-80%, ma le emissioni dovranno diminuire sensibilmente anche in molti paesi in via di sviluppo.

 

La comunicazione  ribadisce che gli strumenti di mercato, come il sistema UE di scambio delle quote di emissione[33], saranno un elemento determinante per far sì che l’Europa e altri paesi conseguano gli obiettivi previsti al più basso costo possibile. La Commissione ritiene, infine, auspicabile che l’UE e gli Stati membri decidano di incrementare sensibilmente gli investimenti destinati alle attività di ricerca e sviluppo nei settori della produzione di energia e del risparmio energetico.

1.1 La Politica energetica per l’Europa (PEE)

Nell’ambito dell’approccio integrato tra le politiche dell’Unione in tema di ambiente ed energia, il Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo ha individuato i tre obiettivi che la politica energetica per l’Europa (PEE) dovrà perseguire:

 

·            aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento;

·            garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili;

·            promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici.

 

Gli obiettivi dovranno essere perseguiti rispettando il mix energetico scelto dagli Stati membri e la loro sovranità sulle fonti di energia primaria.

 

Il Consiglio europeo ha altresì adottato un piano d’azione sulla politica energetica per l’Europa, per il 2007-2009. Tale piano d’azione, allegato alle conclusioni del Consiglio europeo, si basa sulla comunicazioneUna politica energetica per l’Europa” (COM(2007)1), presentata dalla Commissione il 10 gennaio 2007.

Il piano d’azione sarà riesaminato regolarmente nel contesto dell’esame annuale, effettuato dal Consiglio europeo, dell’attuazione delle politiche dell’UE nel settore energetico e in materia di cambiamenti climatici. Il Consiglio europeo ha invitato, quindi, la Commissione a presentare, all'inizio del 2009, un aggiornamento dell'analisi strategica della politica energetica, che servirà di base per il nuovo piano d'azione in materia di energia per il periodo dal 2010 in poi, destinato ad essere adottato dal Consiglio europeo di primavera del 2010.

 

Per quanto riguarda, in particolare, la lotta ai cambiamenti climatici, il piano d’azione prevede:

           il rafforzamento del partenariato e della cooperazione, basandosi sui dialoghi bilaterali in materia di energia, con gli USA, la Cina, l'India, il Brasile e le altre economie emergenti, incentrandosi sulla riduzione di gas a effetto serra, sull'efficienza energetica, sulle energie rinnovabili e sulle tecnologie energetiche a bassa emissione, segnatamente la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica.;

           Il riesame del sistema comunitario di scambio di quote di emissioni, da parte della Commissione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riduzione di gas serra a lungo termine dell'UE. Tale revisione dovrebbe fornire un metodo basato sul mercato ed efficiente in termini di costi, per ottenere valori di emissione ridotti a costi minimi - anche per quanto riguarda industrie ad alta intensità energetica;

           lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili;

           il tempestivo riesame da parte della Commissione della disciplina degli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente, e di altri pertinenti strumenti comunitari in grado di dare incentivi, al fine di renderli più idonei a sostenere gli obiettivi comunitari in materia di energia e cambiamenti climatici.

“Il pacchetto energia”

La comunicazione “Una politica energetica per l’Europa” (COM(2007)1) presenta il riesame strategico della politica energeticadell’Unione europea e contiene un piano d’azione energetico articolato in dieci punti. Il “pacchetto energetico” così delineato è  inteso a creare le condizioni per il raggiungimento del nuovo obiettivo strategico, già richiamato, di  ridurre almeno del 20 %, entro il 2020,le emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell’UE rispetto ai livelli del 1990, all’interno di un’azione internazionale volta a raggiungere l’obiettivo di ridurre del 30 % le emissioni di gas serra a livello globale.

Il riesame strategico intende definire una politica energetica forte ed efficace, capace di fornire soluzioni alle sfide poste dai cambiamenti climatici, dalla crescente dipendenza dalle importazioni e dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici, di fronte alle quali gli Stati membri sono sempre più interdipendenti.

Sulla base dei risultati della consultazione sul Libro verde “energia”[34], la comunicazione sottolinea che una politica energetica europea incentrata su un’azione immediata per ridurre i gas serra consentirebbe di ottenere un minor consumo energetico, di usare energia più pulita, di limitare la crescente esposizione della UE alla volatilità e al rialzo dei prezzi del petrolio e del gas, di creare un mercato energetico comunitario più competitivo e di stimolare l’innovazione tecnologica e l’occupazione.

Il piano d’azione contenuto nella comunicazionepresenta, in dieci punti, un primo pacchetto di misure che intendono contribuire a trasformare l’Europa in un’economia dal profilo energetico altamente efficiente e a basse emissioni di CO2. In particolare, l’UE dovrebbe assumere la leadership mondiale e catalizzare una nuova rivoluzione industriale che acceleri il passaggio ad una crescita economica con basse emissioni, aumentando drasticamente la produzione e il consumo di energia locale a basse emissioni.

La nuova politica energetica proporrà di integrare gli aspetti energetici di altre politiche e sarà aggiornata, ogni due anni, da una relazione della Commissione sul riesame strategico energetico.

Ricollegandosi alla comunicazione “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius”, già richiamata in precedenza, il “pacchetto energetico” riafferma la validità delmeccanismo di scambio dei diritti di emissione in quanto meccanismo chiave per incentivare le riduzioni di emissioni di carbonio e tale da poter essere utilizzato come base per le iniziative internazionali di lotta ai cambiamenti climatici.  La revisione del sistema per lo scambio delle quote di emissione viene quindi considerata fondamentale per conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra fissati dal pacchetto energia.

Nuovi strumenti per la politica ambientale ed energetica

Nel quadro degli interventi previsti dal piano d’azione adottato dal Consiglio europeo di primavera, il 28 marzo 2007  la Commissione europea ha presentato un Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale ed energetica (COM (2007)140). Il documento ribadisce che strumenti di mercato quali il sistema scambio di emissioni, le  tasse ambientali e i sussidi mirati possono svolgere un ruolo importante nel conseguimento degli obiettivi di protezione del clima individuati dal Consiglio, scoraggiando le azioni indesiderabili e premiando i comportamenti positivi, come il risparmio energetico e le attività rispettose dell’ambiente, sia a livello comunitario che nazionale.

Il Libro verde intende, in particolare, aprire un confronto di opinioni in previsione della modifica della direttiva sulla tassazione dell’energia[35] invitando le altre istituzioni dell’UE, gli Stati Membri, le parti interessate e il pubblico a fornire, entro il 31 luglio 2007, le proprie osservazioni sul tema.

Future iniziative strategiche

Tra le iniziative strategiche previste dal Programma legislativo e di lavoro per il 2007, la Commissione preannunzia la presentazione del Libro verde sul cambiamento climatico dopo il 2012, su cui verrà avviata una consultazione pubblica: il documento contribuirà ad individuare gli ambiti in cui è necessario intervenire a livello comunitario per favorire l’adeguamento dell’Unione europea alle sempre maggiori ripercussioni dei cambiamenti climatici.

Il Programma legislativo prevede, inoltre, a conclusione della consultazione sul Libro verde, la presentazione del  Libro bianco “Verso un programma europeo di adattamento al cambiamento climatico”. La Commissione, anche tenendo conto dei risultati della consultazione, individuerà le azioni specifiche da adottare in materia di adattamento ai cambiamenti. Parallelamente alle iniziative volte ad invertire il senso del processo di cambiamento climatico in corso attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra, la Commissione sottolinea la necessità di azioni urgenti per adattarsi ai cambiamenti previsti per la regione europea.

Entro la fine del 2007 la Commissione intende lanciare una consultazione sul contributo futuro del settore marittimo alla lotta contro il cambiamento climatico, in vista dell’eventuale inclusione dei trasporti marittimi per il 2011, nel sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (ETS).

Attività del Parlamento europeo

In seguito alla comunicazione della Commissione “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius – La via da percorrere fino al 2020 e oltre” (COM(2007)2) e in vista del Consiglio europeo di primavera, il Parlamento europeo, il 14 febbraio 2007, ha approvato una risoluzione che sottolinea l’urgenza di prendere iniziative concrete a livello mondiale per affrontare i cambiamenti climatici.

In particolare, il Parlamento ritiene che entro il 2050 la maggioranza del fabbisogno energetico dell’ Unione europea debba essere coperta da fonti prive di carbonio o con tecnologie prive di emissioni di gas serra, e invita la Commissione a fissare obiettivi in tal senso. Osservando come l’efficienza energetica possa influire positivamente sulla riduzione delle emissioni, la risoluzione sollecita interventi della Commissione e degli Stati membri in questo settore. In particolare, la Commissione è invitata a presentare proposte volte a porre rimedio all’attuale inefficienza di molte centrali elettriche, imponendo agli Stati membri di sfruttare l’energia rilasciata quale sottoprodotto della generazione di elettricità, mediante la tecnologia della cogenerazione di elettricità e calore.

Il Parlamento chiede inoltre lo sviluppo di trasporti pubblici più integrati ed ecologici che rispettino l’ambiente e le risorse naturali e misure vincolanti per tale settore, affinché consegua entro il 2020 riduzioni delle emissioni equivalenti a quelle degli altri settori (introduzione di imposte sul cherosene a livello dell’Unione europea e mondiale).

 

La Commissione Affari costituzionali del Parlamento Europeo sta esaminando un progetto di relazione sulla roadmap per il processo costituzionale europeo (relatori on. Baron Crespo PSE-SP; on. Brok PPE-DE), nel quale si sottolinea la necessità  di tenere in considerazione, nella discussione sul futuro del Trattato costituzionale, la definizione di un approccio comune e adeguati mezzi di azione in alcune aree prioritarie tra cui, in particolare, quella dello sviluppo sostenibile e della lotta ai cambiamenti climatici. Il progetto di relazione dovrebbe essere sottoposto all’esame dell’Assemblea in vista del Consiglio europeo di giugno.

Commissione temporanea sul cambiamento climatico

Il 19 aprile 2007 la Conferenza dei Presidenti  di Gruppo del Parlamento Europeo ha deliberato la costituzione di una commissione temporanea sul  cambiamento climatico. La deliberazione dovrà essere sottoposta all’approvazione dell’Assemblea, ex art. 175 del regolamento del Parlamento europeo, nella sessione plenaria che si terrà a Strasburgo il 25 aprile 2007. La durata dei lavori della commissione, composta da 60 deputati, dovrebbe essere di 12 mesi a partire da maggio 2007.

La commissione avrà i seguenti compiti:

-             formulare proposte sulla politica climatica integrata dell’Unione europea e coordinare la posizione del Parlamento europeo in relazione ai negoziati sulla   politica internazionale sui cambiamenti climatici post 2012;

-             analizzare e valutare i dati più recenti in materia di cambiamento climatico e proporre adeguate risposte politiche  a tutti i livelli, tenendo conto dell’impatto finanziario e dei costi di un eventuale mancato intervento;

-             predisporre un inventario il più possibile completo dei nuovi e potenziali sviluppi nel campo della lotta al cambiamento climatico, così da fornire al Parlamento un’analisi dettagliata che lo metta in condizione di far fronte alle sue responsabilità politiche;

-             esaminare le implicazioni ambientali, legali, economiche, sociali, geopolitiche, regionali di questi nuovi  e potenziali sviluppi;

-             analizzare e valutare il recepimento della legislazione comunitaria in queste materie, prendendo a tal fine contatto e svolgendo audizioni con gli Stati Membri, i parlamenti e i governi di Stati terzi, istituzioni europee e organizzazioni internazionali, rappresentati della comunità scientifica  e della società civile e dell’economia, incluse le autorità locali e regionali.

 

Altre iniziative

Mercato globale del carbonio –sistema UE di scambio

Il 13 novembre 2006 la Commissione ha adottato una comunicazione sulla creazione di un mercato mondiale del carbonio ai sensi dell’articolo 30 della direttiva 2003/87/CEE[36], in cui si prevede una revisione del sistema di scambi di quote ed emissioni di gas a effetto serra che dovrebbe essere applicato a partire dal 2013.

Gli assi portanti della revisione prevista dalla Commissione sono:

·            l’ampliamento del campo di applicazione del sistema ad altri settori, come quello dell’aviazione, nonché ad altri gas a effetto serra diversi dal CO2, come il protossido di azoto (N2O) indotto della produzione di ammoniaca e il metano prodotto da miniere di carbone;

·            l’armonizzazione del sistema per la tipologia degli impianti coperti dagli scambi di quote, per il trattamento da riservare ai nuovi impianti immessi sul mercato e a quelli che cessano l’attività;

·             un controllo rigoroso dell’applicazione del sistema attraverso l’elaborazione di indirizzi in materia di sorveglianza.

La comunicazione sottolinea la necessità che il sistema UE di scambio, inteso come strumento di mercato, sia semplificato ed ampliato per poter ridurre le emissioni di gas serra all’insegna dell’efficacia economica e far sì che funga da modello per sistemi analoghi in altre regioni del mondo.

 

La Commissione intende presentare durante il secondo semestre 2007 una proposta di revisione della direttiva 2003/87/CE, al termine di un’ampia consultazione pubblica.

 

Il tema della lotta contro il cambiamento climatico sarà al centro della riunione dei Ministri dell’Ambiente dell’ASEM (Asia/Europe Meeting), che avrà luogo a Copenhagen dal 24 al 26 Aprile 2007, e che si propone di porre le basi di una collaborazione Europa/Asia nell’ambito della governance internazionale in materia ambientale.

 

 

Impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici

Il 20 dicembre 2006 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva che modifica la direttiva 2003/87/CE relativa al sistema europeo di scambio delle quote di emissione, al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (COM(2006)818.

La proposta di direttiva fa seguito a una comunicazione del settembre 2005[37] nella quale la Commissione concludeva che il modo migliore per far fronte alle emissioni del settore aereo, da un punto di vista economico e ambientale, era quello di includerlo nel sistema europeo di scambio delle quote di emissione. Questa posizione era stata successivamente avallata anche dal Consiglio e dal Parlamento europeo. La proposta intende garantire parità di trattamento a tutti gli operatori aerei, siano essi comunitari o stranieri. A partire dal 2011 rientreranno nel sistema tutti i voli nazionali e internazionali effettuati tra aeroporti dell’UE edal 2012 il sistema sarà esteso anche a tutti i voli internazionali in arrivo e in partenza dagli aeroporti dell’UE. Per contenere il rapido aumento delle emissioni dovute al trasporto aereo, il numero totale delle quote di emissione assegnate sarà limitato ad un tetto massimo, pari al livello medio delle emissioni registrate nel periodo 2004-2006. Gli Stati membri potranno vendere all’asta una parte delle quote, ma la maggior parte di esse sarà rilasciata a titolo gratuito. La proposta di direttiva rientra in un approccio globale che punta ad affrontare il problema delle emissioni del trasporto aereo e che comprende anche attività di ricerca su tecnologie più pulite e una migliore gestione del traffico aereo.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, è attualmente  all’esame, in prima lettura, presso la Commissione ambiente del Parlamento europeo, che dovrebbe concludere i propri lavori  il 12 settembre 2007, in vista della sessione plenaria del  23 ottobre 2007. Sulla proposta di direttiva il Consiglio  ha svolto un dibattito preliminare il  22 febbraio 2007.

 

Lo scambio di opinioni in seno al Consiglio ha contemplato principalmente le questioni seguenti :

·            l'inclusione nello scambio delle quote dei voli all'interno dell'UE, a decorrere dal 2011, e l'estensione del sistema, dal 2012, a tutti i voli in arrivo o in partenza dall'UE, come misura appropriata per ridurre le emissioni nel trasporto aereo senza comportare svantaggi concorrenziali;

·            l'approccio riguardo ad un tetto che consideri sia la crescita del settore che la necessità di stabilizzare il clima;

·            l'approccio riguardo ad una metodologia di assegnazione delle quote armonizzata a livello dell'UE;

·            la necessità di affrontare tramite l'azione comunitaria anche gli effetti del trasporto aereo sul cambiamento climatico diversi da quelli derivanti dalle emissioni di CO2.

Attività della Camera dei Deputati

Il 21 settembre 2006, in esito all’esame della relazione del Governo sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2005, la Camera dei deputati ha approvato la risoluzione n. 6-00001 (on. Gozi e altri). Con riferimento alla politica ambientale, la risoluzione impegna il Governo “a seguire con particolare attenzione l'esame della strategia a medio e lungo termine sui cambiamenti climatici, considerando il delicato equilibrio che le tematica presenta tra le esigenze dì protezione ambientale e quelle del sistema produttivo, con particolare attenzione all'osservanza degli accordi di Kyoto e degli obiettivi di riduzione dei gas serra da essi prodotti”.

Per quanto riguarda la politica energetica, la risoluzione impegna il Governo “a sostenere la creazione di una reale politica energetica dell'Unione europea, anche in considerazione dell'importanza strategica e degli effetti positivi per il nostro Paese centrata sulla promozione del risparmio, dell'efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e dell'innovazione tecnologica nel settore” e  ad adoperarsi “affinché siano individuate in modo rapido ed adeguato le misure volte a dare attuazione ai tre obiettivi fondamentali: la sostenibilità, attraverso la diversificazione del mix energetico che deve poter tenere conto di tutte le diverse fonti di energia, la competitività, innanzitutto attraverso la piena realizzazione di un mercato interno dell'elettricità e del gas, la sicurezza dell'approvigionamento”.

Procedure di infrazione

Il 21 marzo 2007 la Commissione europea ha adottato decisioni nell’ambito di procedure di infrazione avviate nei confronti di nove Stati Membri, i quali non hanno fornito le informazioni richieste nel quadro del dispositivo messo in atto dalle UE per combattere i cambiamenti climatici. [38]

In particolare, la Commissione ha inviato una lettera di messa in mora ex art 226 TCE all’Italia per non aver presentato, entro i termini previsti, la relazione richiesta ai sensi dell’art 3 (1) della Decisione 280/2004/CE, concernente il monitoraggio delle emissioni di gas a effetto serra nella Comunità e per l’attuazione del protocollo di Kyoto.

 

 La decisione in questione istituisce, tra le altre cose, un meccanismo per attuare la convenzione UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) e il protocollo di Kyoto, per quanto riguarda i programmi nazionali, gli inventari dei gas a effetto serra, i sistemi nazionali e i registri della Comunità e degli Stati membri, nonché le procedure a tale riguardo previste dal protocollo di Kyoto.

L’art 3 (1) della medesima decisione prevede l’obbligo, per gli Stati membri, di presentare, entro il 15 gennaio di ogni anno, una relazione contenente i dati sulle emissioni di gas a effetto serra, al fine di una la valutazione dei progressi effettivi e per consentire la preparazione di relazioni annuali da parte della Comunità, secondo gli obblighi assunti in base alla convenzione UNFCCC e al protocollo di Kyoto.


Documentazione allegata

 


 

Atto Camera

 

 

Risoluzione in Commissione 7-00064

presentata da

ERMETE REALACCI

 

martedì 24 ottobre 2006 nella seduta n.058

 

La VIII Commissione,

premesso che:

dal 6 al 17 novembre 2006 si terrà a Nairobi la II Conferenza delle parti (157 Paesi) che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto (MOP2) sia per proseguire il confronto avviato alla Conferenza del 2005 a Montreal che per aggiornare il protocollo e individuare i nuovi impegni al termine del primo periodo di verifica 2008-2012;

contemporaneamente, nella stessa sede e negli stessi giorni, si terrà anche l'XI Conferenza delle parti che hanno ratificato la Convenzione sui cambiamenti climatici (189 Paesi), la COP 11, che comprende anche Paesi che non hanno ratificato il protocollo, ma che hanno accettato di proseguire il confronto per definire le modalità di raggiungimento dell'obiettivo a lungo termine della Convenzione, per promuovere la ricerca e lo sviluppo di tecnologie volte a limitare l'impatto sul clima delle emissioni di gas serra e per favorire l'accesso a tali tecnologie anche ai Paesi in via di sviluppo;

la Commissione europea, nella comunicazione COM-2005-35 al Consiglio ed al Parlamento europeo, ha affermato: «I cambiamenti climatici sono una realtà. (...) I dieci anni più caldi mai registrati sono tutti concentrati dal 1991 in poi. Le concentrazioni di gas serra sono le più elevate degli ultimi 450.000 anni. (...) L'Unione europea è riuscita ad abbattere le proprie emissioni del 3 per cento rispetto al 1990, ma manca ancora molto per raggiungere l'obiettivo di riduzione dell'8 per cento fissato dal Protocollo di Kyoto. (...) Anche se le politiche già adottate saranno attuate, è probabile che le emissioni su scala planetaria aumenteranno nei prossimi vent'anni, imponendo riduzioni delle emissioni mondiali pari almeno al 15 per cento rispetto ai valori del 1990 entro il 2050. Tra il 2030 e il 2065 il contributo cumulativo dei paesi sviluppati e quello dei paesi in via di sviluppo dovrebbe essere lo stesso. Si può pertanto dedurre che se l'Unione europea dimezzasse le proprie emissioni entro il 2050, non ci sarebbero conseguenze significative sulle concentrazioni atmosferiche se altri paesi responsabili di ingenti emissioni non procederanno ad analoghi tagli consistenti»;

mentre le emissioni globali dal 1990 al 2003 sono aumentate del 18 per cento, le trattative internazionali sul clima registrano notevoli difficoltà: gli Stati Uniti mantengono le loro riserve sul Protocollo di Kyoto al quale continuano a non aderire; i Paesi in via di sviluppo sono in genere restii a contenere le proprie emissioni di gas serra: le misure per ridurre le emissioni di gas serra sono onerose, ma molto meno onerose delle conseguenze dei cambiamenti climatici sia nei paesi industrializzati che in quelli di nuova industrializzazione;

in Italia, Paese che ha ratificato il Protocollo di Kyoto con la legge 1o giugno 2002, n. 120, secondo i dati ufficiali, trasmessi al Segretariato della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici il 14 aprile 2006, le emissioni dei gas serra nel 2004 sono salite a 583,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (Mt CO2 eq.), a fronte di un impegno di riduzione delle emissioni a 485,8, con una distanza dall'obiettivo del Protocollo di Kyoto pari a 97,7 Mt CO2 eq.: un aumento del 13 per cento a fronte di un impegno di riduzione, entro il 2008-2012, del 6,5 per cento;

gli aumenti più consistenti di emissioni di gas serra dal 1990 al 2004 in Italia hanno riguardato il settore dei trasporti (da 104 Mt CO2 a 132,6, con un aumento del 27,5 per cento) ed il settore della produzione di energia termoelettrica (da 108,9 Mt CO2 a 127,3, con un aumento del 17 per cento). Nel settore dei trasporti l'aumento delle emissioni di CO2 negli ultimi anni sembra frenare (dal 2000 al 2004 l'aumento è stato del 6,5 per cento), nel settore termoelettrico invece sembra accelerare (dal 2000 al 2004 l'aumento è stato dell'8,5 per cento). Nel settore civile e terziario dal 1990 al 2004 l'aumento è stato pari al 10,6 per cento. Sostanzialmente in linea con l'obiettivo di Kyoto risultano i settori dell'industria manifatturiera e delle costruzioni con un calo delle emissioni nel periodo citato del 3,8 per cento, e quello dell'agricoltura, con un calo delle emissioni del 6,8 per cento;

il mancato raggiungimento dell'obiettivo di riduzione di emissioni di gas serra per l'Italia comporterebbe un costo non solo ambientale, ma anche economico, rilevante. Il periodo di verifica degli obiettivi di Kyoto inizia nel 2008; oggi il prezzo della tonnellata di CO2 presenta incertezza e variabilità ancora notevoli, ma è ragionevolmente prevedibile che si stabilizzerà verso l'alto. Supponendo un costo medio dei meccanismi flessibili pari a 15 euro la tonnellata, se la distanza dall'obiettivo si confermasse intorno ai 100 milioni di tonnellate, l'Italia dovrebbe sborsare circa 1,5 miliardi di euro l'anno, fra acquisti di diritti di emissione e progetti di cooperazione per realizzare tali riduzioni all'estero. Se poi, come pare necessario e probabile, dopo il 2012 vi fossero ulteriori e ancora più impegnativi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e l'Italia vi giungesse impreparata, i costi potrebbero diventare veramente proibitivi;

i settori regolati dalla direttiva 2003/87/CE, che contribuiscono per circa il 38 per cento delle emissioni totali dei gas di serra nazionali, sulla base dello schema del Piano di Assegnazione 2008-2012 avviato in consultazione con i settori interessati nel luglio del 2006, rispetto all'assegnazione 2005-2007, sono chiamati ad una impegnativa riduzione di emissioni: tale impegno, oneroso, riflette, da una parte, i ritardi accumulati da una parte di essi, ma dall'altra anche i ritardi in altri settori, non regolati dalla citata direttiva, come i trasporti ed il settore civile;

le emissioni di gas serra derivano in larga parte dall'uso di combustibili fossili (nel 2005 l'Italia ne ha consumati 185,9 Mtep, cioè milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) importati per il 91 per cento. Il costo dell'energia primaria importata è stato nel 2005 pari a circa 36,5 miliardi di euro. Tenendo conto del mix attuale dei combustibili fossili consumati in Italia, l'obiettivo di Kyoto comporterebbe una riduzione dal 15 al 20 per cento del consumo di combustibili fossili (in relazione, a quali combustibili si riducono di più, dato il diverso contenuto di CO2 nelle emissioni). Ciò comporterebbe una riduzione della bolletta energetica del Paese circa della stessa percentuale: dai 5 ai 7 miliardi di euro all'anno;

tali riduzioni dei consumi di combustibili fossili andrebbero ricercate nel settore dei trasporti (che consuma il 60 per cento del petrolio che l'Italia importa), in quello dell'energia elettrica, degli usi civili e del terziario, con misure di efficienza energetica e di risparmio, con sviluppo del cabotaggio, del trasporto su ferro e collettivo, con un maggiore e consistente impegno per la produzione e l'uso di fonti rinnovabili e pulite per generare energia elettrica, calore e carburanti, con possibili ricadute positive tecnologiche, produttive e occupazionali,

impegna il Governo:

ad operare, insieme all'Unione europea e nel suo ambito, per affrontare il secondo periodo, dopo il 2008-2012, con politiche e misure, concordate in ambito internazionale, più efficaci ed incisive, necessarie per contrastare l'aumento delle concentrazioni di gas che concorrono ad un preoccupante cambiamento del clima, ridurre in modo adeguato tali emissioni, attuare misure di prevenzione e di adattamento;

ad operare al fine di ampliare la partecipazione alle iniziative in atto per affrontare cambiamenti climatici secondo il principio della responsabilità comune, differenziata negli oneri;

poiché 6 Paesi (Stati Uniti, Canada, Russia, Giappone, Cina e India), insieme all'Unione europea producono il 75 per cento delle emissioni mondiali di gas serra, a sostenere gli sforzi tesi ad attivare e a trovare un'intesa in questo «G7» per il clima;

a sostenere la ricerca e il cambiamento tecnologico, l'economia della conoscenza, poiché le misure necessarie per far fronte al cambiamento climatico influiranno sulle modalità di produzione e di utilizzo dell'energia nel mondo e stanno promuovendo innovazione, cambiamenti di beni, servizi e consumi, determinando anche nuove condizioni per la competitività economica sui mercati;

ad attuare il Protocollo di Kyoto come occasione per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e la fattura delle importazioni energetiche del Paese, per l'innovazione nel settore dei trasporti, della mobilità e della logistica, il risparmio delle famiglie nei consumi civili e domestici, l'innovazione del sistema di produzione di energia elettrica e di calore, l'efficienza energetica, l'innovazione tecnologica e l'occupazione;

ad attivarsi perché siano aggiornati la delibera CIPE 123/2002 ed il relativo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra in modo da far fronte alla accresciuta distanza (97,7 Mt CO2) dall'obiettivo di Kyoto;

ad adottare iniziative volte ad integrare tale Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra in un programma nazionale energetico-ambientale, concordato con le Regioni, definito con il Parlamento, che assicuri il coordinamento, l'aggiornamento ed il monitoraggio dei risultati, al fine di avere un quadro unitario coerente, di riferimento e di indirizzo;

a rafforzare la ricerca ed il supporto tecnico alla diffusione delle politiche e delle misure che concorrono alla riduzione delle emissioni di gas serra, all'aumento dell'efficienza e del risparmio energetico, alla diffusione della produzione e dell'uso di fonti rinnovabili;

a prestare grande attenzione al settore dei trasporti, della mobilità e della logistica, in cui le misure per la riduzione della congestione del traffico urbano e delle emissioni locali che suscitano preoccupazioni, come le polveri sottili e il potenziamento, l'adeguamento, l'ammodernamento del sistema ferroviario e di quello portuale, rilevanti per il Paese, hanno ricadute decisive anche per la riduzione delle emissioni di gas serra;

a fare dell'efficienza e del risparmio energetico una effettiva priorità, poiché consente una riduzione sempre più rilevante dei costi di produzione, con un recupero di competitività, e un significativo risparmio per le famiglie, oltre a ridurre le emissioni di gas serra;

a promuovere con maggiore efficacia lo sviluppo di tutte le fonti energetiche rinnovabili (idriche, geotermiche, eoliche, solari, biomasse) per la produzione di energia elettrica, di calore e di carburanti, attivandosi per superare i certificati verdi e l'incentivazione delle fonti non rinnovabili assimilate, con un sistema incentivante, differenziato per fonte, senza tetti, accessibile, certo e di lunga durata, ed adottando iniziative per assicurare il collegamento con le reti di distribuzione e per introdurre procedure di localizzazione e di autorizzazione più semplici, in grado di garantire le necessarie valutazioni ambientali, territoriali ed economiche, in tempi più rapidi, con trasparenza per i cittadini e per gli operatori;

a sostenere, in rapporto con le piccole e medie imprese largamente prevalenti nel sistema produttivo nazionale, con particolare riferimento ai loro distretti, la piccola cogenerazione distribuita, di energia elettrica e di calore, che consente maggiore efficienza e più alti rendimenti, migliora le condizioni di concorrenza, con benefici economici ed ambientali;

a sostenere lo sviluppo dei distretti agro-energetici in modo che l'agricoltura possa valorizzare sia le risorse rinnovabili disponibili sul territorio (solare, idrica, eolica) sia quelle direttamente producibili o ricavabili dalle proprie attività (biogas, biocarburanti, biomasse), da attività di forestazione e manutenzione dei boschi, in modo da produrre, insieme ai benefici ambientali, un'integrazione del reddito per gli agricoltori, contrastando l'abbandono delle campagne in corso;

a sostenere la ricerca e la sperimentazione della cattura e del sequestro sicuro della CO2, che potrebbe consentire un utilizzo pulito dei combustibili fossili e dell'idrogeno (un vettore potenzialmente in grado di consentire l'accumulo ed il trasporto dell'energia rinnovabile ed un suo successivo uso pulito con impieghi ad elevata efficienza energetica).

(7-00064) «Realacci, De Angelis, Francescato, Pedulli, Margiotta, Galeazzi, Iannuzzi, Mariani, Chianale, Benvenuto, Fasciani, Di Cagno Abbrescia, Mele, Picano, Acerbo, Adolfo, Lupi, Paroli, Germanà, Osvaldo Napoli, Tortoli, Mondello, Stradella, Cacciari, Foti, Dussin, Mereu, Gentili, Misiti».

 


COMMISSIONE VIII

Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

SEDUTA DI MERCOLEDI’ 25 OTTOBRE 2006

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI


 

RISOLUZIONI

Mercoledì 25 ottobre 2006. - Presidenza del presidente Ermete REALACCI. - Interviene il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio.

La seduta comincia alle 15.40.

7-00064 Realacci: Misure per l'attuazione del Protocollo di Kyoto in vista della Conferenza mondiale sul clima di Nairobi.

(Discussione e approvazione).

La Commissione inizia la discussione.

Ermete REALACCI, presidente, illustra la risoluzione in titolo, rilevando che essa riproduce, in misura pressoché integrale, un analogo atto di indirizzo già presentato al Senato lo scorso 17 ottobre e sostenuto da tutti gli schieramenti politici dell'altro ramo del Parlamento. Nel segnalare che la risoluzione in discussione è stata sottoscritta da deputati appartenenti a gruppi di maggioranza e di opposizione, osserva che tale atto testimonia il comune interesse del Parlamento in ordine a queste tematiche, che rivestono un'importanza strategica per il futuro del pianeta. Raccomanda, quindi, l'approvazione della risoluzione 7-00064.

Il Ministro Alfonso PECORARO SCANIO, anche sulla scorta di quanto rilevato nel corso dell'audizione testé svolta, esprime l'orientamento favorevole del Governo sui contenuti della risoluzione in titolo.

Ermete REALACCI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, intende constatare con estremo favore che, anche alla luce degli interventi svolti nel corso dell'audizione del Ministro, appena conclusasi, si registra un unanime orientamento positivo da parte dei gruppi sul testo della risoluzione.

La Commissione approva, quindi, la risoluzione in titolo.

La seduta termina alle 15.45.


 

Atto Camera

 

 

Risoluzione in Commissione 7-00103

presentata da

ERMETE REALACCI

 

lunedì 22 gennaio 2007 nella seduta n.095

 

Le Commissioni riunite VIII e X,

premesso che:

la Commissione europea, nella comunicazione COM-2005-35 al Consiglio ed al Parlamento europeo, ha affermato: «I cambiamenti climatici sono una realtà. (...) I dieci anni più caldi mai registrati sono tutti concentrati dal 1991 in poi. Le concentrazioni di gas serra sono le più elevate degli ultimi 450.000 anni. (...) L'Unione europea è riuscita ad abbattere le proprie emissioni del 3 per cento rispetto al 1990, ma manca ancora molto per raggiungere l'obiettivo di riduzione dell'8 per cento fissato dal Protocollo di Kyoto. (...). Anche se le politiche già adottate saranno attuate, è probabile che le emissioni su scala planetaria aumenteranno nei prossimi vent'anni, imponendo riduzioni delle emissioni mondiali pari almeno al 15 per cento rispetto ai valori del 1990 entro il 2050. Tra il 2030 e il 2065 il contributo cumulativo dei paesi sviluppati e quello dei paesi in via di sviluppo dovrebbe essere lo stesso. Si può pertanto dedurre che se l'Unione europea dimezzasse le proprie emissioni entro il 2050, non ci sarebbero conseguenze significative sulle concentrazioni atmosferiche se altri paesi responsabili di ingenti emissioni non procederanno ad analoghi tagli consistenti»;

negli ultimi mesi sono arrivate ulteriori conferme istituzionali sulla minaccia dei cambiamenti climatici:

nel mese di ottobre 2006 il Governo britannico ha presentato lo Stern Review on the Economics of Climate Change, rapporto curato dall'economista Nicholas Stern, ex dirigente della Banca mondiale, secondo cui i cambiamenti climatici potrebbero causare danni economici pari al 20 per cento del PIL mondiale;

nei giorni scorsi la Commissione europea ha adottato una Comunicazione al Consiglio dei capi di stato e di governo ed al Parlamento europeo denominata Limiting Global Climate Change to 2 Degrees Celsius - Policy Options for the EU and the World for 2020 and Beyond, partendo dalla constatazione che il cambiamento del clima è in atto e confermando la sua determinazione a limitare l'aumento della temperatura globale media rispetto al livello pre-industriale a 2 gradi centigradi. È stato allegato alla comunicazione lo studio Peseta sugli effetti del global warming, che analizza due scenari alternativi, il primo in assenza di politiche di riduzione e il secondo con iniziative isolate di contenimento delle emissioni climalteranti: secondo questo studio ci sarebbero ingenti impatti sull'agricoltura (fino a un meno 22 per cento della produzione agricola negli stati del Sud dell'Europa), sulla salute (con numero di morti per eccessi climatici fino a 86 mila in più rispetto all'atteso), sulla pesca, sull'innalzamento del livello dei mari e sull'erosione costiera (fino a 42 miliardi di euro di danni) e sul turismo;

in Italia le emissioni dei gas serra nel 2004 sono salite a 583,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (Mt CO2 eq.), a fronte di un impegno di riduzione delle emissioni a 485,8, con una distanza dall'obiettivo del Protocollo di Kyoto pari a 97,7 Mt CO2 eq.: un aumento del 13 per cento a fronte di un impegno di riduzione, entro il 2008-2012, del 6,5 per cento;

gli aumenti più consistenti di emissioni di gas serra dal 1990 al 2004 in Italia hanno riguardato il settore dei trasporti (da 104 Mt CO2 a 132,6, con un aumento del 27,5 per cento) ed il settore della produzione di energia termoelettrica (da 108,9 Mt CO2 a 127,3, con un aumento del 17 per cento). Nel settore civile e terziario dal 1990 al 2004 l'aumento è stato pari al 10,6 per cento. Sostanzialmente in linea con l'obiettivo di Kyoto risultano i settori dell'industria manifatturiera e delle costruzioni con un calo delle emissioni nel periodo citato del 3,8 per cento, e quello dell'agricoltura, con un calo delle emissioni del 6,8 per cento;

il mancato raggiungimento dell'obiettivo di riduzione di emissioni di gas serra per l'Italia comporterebbe un costo non solo ambientale, ma anche economico, rilevante. Supponendo un costo medio dei meccanismi flessibili pari a 15 euro per tonnellata, se la distanza dall'obiettivo si confermasse intorno ai 100 milioni di tonnellate, l'Italia dovrebbe sborsare circa 1,5 miliardi di euro all'anno. Se poi, come pare necessario e probabile, dopo il 2012 vi fossero ulteriori e ancora più impegnativi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e l'Italia vi giungesse impreparata, i costi potrebbero diventare veramente proibitivi;

le emissioni di gas serra derivano in larga parte dall'uso di combustibili fossili (nel 2005 l'Italia ne ha consumati 185,9 Mtep, cioè milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) importati per il 91 per cento. Il costo dell'energia primaria importata è stato nel 2005 pari a circa 36,5 miliardi di euro. Tenendo conto del mix attuale dei combustibili fossili consumati in Italia, l'obiettivo di Kyoto comporterebbe una riduzione dal 15 al 20 per cento del consumo di combustibili fossili. Ciò comporterebbe una riduzione della bolletta energetica del Paese circa della stessa percentuale: dai 5 ai 7 miliardi di euro all'anno;

 

impegna il Governo:

 

a) convocare una Conferenza nazionale su clima ed energia, nella quale adottare un approccio integrato, che tenga prioritariamente conto delle questioni legate ai cambiamenti climatici, alle politiche della mobilità, al risparmio e all'efficienza energetica, al potenziamento delle fonti rinnovabili, alla sicurezza degli approvvigionamenti, all'innovazione e ricerca, anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto;

b) coinvolgere con la massima tempestività, nella preparazione della Conferenza, il Parlamento, tutti i Ministeri interessati, le istituzioni regionali e locali, le forze economiche e sociali e gli organismi scientifici.

(7-00103) «Realacci, Capezzone, Gentili, Lomaglio, Cacciari, Chianale, Benvenuto, De Angelis»


COMMISSIONE RIUNITE

Ambiente, territorio e lavori pubblici e Attività produttive, commercio e turismo

 

SEDUTA DI MARTEDI’ 30 GENNAIO 2007

 


RISOLUZIONI

Martedì 30 gennaio 2007. - Presidenza del presidente dell'VIII Commissione Ermete REALACCI. - Intervengono i sottosegretari di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Gianni Piatti, e per lo sviluppo economico, Paolo Giaretta.

La seduta comincia alle 13.05.

7-00103 Realacci e Capezzone: Conferenza nazionale su clima ed energia.

(Discussione e approvazione).

Le Commissioni iniziano la discussione.

Ermete REALACCI, presidente, rileva preliminarmente che la seduta odierna rappresenta la prima di una serie di occasioni in cui le Commissioni VIII e X potranno collaborare per affrontare congiuntamente le questioni che riguardano, in linea generale, i problemi dei cambiamenti climatici e delle politiche energetiche, dando vita ad un lavoro che - a livello parlamentare - eviti di riprodurre le frammentazioni, talvolta artificiose, che possono crearsi all'interno delle strutture ministeriali.

Illustra, quindi, la risoluzione in titolo, alla quale si sono aggiunte nel frattempo diverse firme da parte di altri componenti delle due Commissioni, rilevando come essa si ponga soprattutto lo scopo di chiedere al Governo l'avvio di un'azione comune tra ministeri, al fine di giungere ad una Conferenza nazionale unica su clima ed energia, che coinvolga tutti i livelli istituzionali interessati, incluso il Parlamento, oltre che gli altri organismi scientifici, tecnici ed economico-sociali.

Nel ricordare, infine, che ulteriori elementi e dati informativi sulla materia potranno giungere dall'ormai imminente pubblicazione del «Rapporto IPPC» nell'ambito delle Nazioni Unite, sottolinea la necessità del pieno coinvolgimento - nel percorso di preparazione della Conferenza - di tutti gli attori coinvolti, al fine di costruire una politica concertata e condivisa per far fronte all'evoluzione in atto dei cambiamenti climatici.

Il sottosegretario Gianni PIATTI esprime un orientamento favorevole sulla risoluzione in titolo, ricordando come in seno al Consiglio dei ministri si sia già convenuto di muoversi nella direzione indicata dagli indirizzi parlamentari. Rileva, quindi, l'opportunità di garantire il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali e scientifici interessati, anche al fine di fare il punto sulle reali prospettive energetiche del Paese.

Dichiara, pertanto, che è interesse del Governo correlare i problemi energetici con le prospettive di carattere ambientale, tanto che un approccio simile è quello che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta seguendo nella revisione delle disposizioni in materia di valutazione ambientale integrata.

Salvatore MARGIOTTA (Ulivo) esprime, a nome del suo gruppo, l'apprezzamento per la risoluzione in discussione, che risulta condivisibile nel metodo, proponendo un approccio integrato tra le diverse sedi parlamentari ed istituzionali. Quanto ai profili di merito, evidenzia che le premesse dell'atto di sindacato ispettivo presentato dai presidenti delle due Commissioni contiene dati scientifici particolarmente utili per approfondire le riflessioni sul problema, anche a fronte di talune informazioni errate prodotte di recente, che tendono a fornire elementi conoscitivi insufficienti ad inquadrare la questione nella sua reale drammaticità.

Osserva che la risoluzione in titolo intende porre a confronto tra loro gli aspetti climatici strettamente intesi ed i possibili danni economici che il fenomeno può produrre, pari a circa il venti per cento del PIL mondiale; occorre pertanto intervenire su questi fattori, anche per creare i presupposti per un rilancio del quadro economico e produttivo nel suo complesso. Nel ribadire la necessità di un approccio globale al problema e di un'interrelazione trasversale tra le varie politiche, richiama l'esigenza che il Governo sappia sviluppare la propria azione in tutti i campi, dalla ricerca tecnologica all'innovazione, dallo sviluppo territoriale all'educazione ambientale, attivando ogni possibile iniziativa utile ad intervenire con determinazione sulla questione dei cambiamenti climatici.

Roberto TORTOLI (FI) rileva che il tema dei cambiamenti climatici ha un enorme rilievo e va affrontato con pragmatismo e serietà. In tale quadro, giudica la risoluzione in titolo particolarmente opportuna sul versante del dispositivo, concernente gli impegni al Governo, mentre riterrebbe utile un maggiore approfondimento in merito alle premesse, esprimendo l'esigenza di valutare con attenzione i dati e gli elementi conoscitivi in esse contenuti. Dichiara, infatti, che il suo gruppo nutre taluni dubbi su un quadro informativo che tende a prefigurare uno scenario di assoluta drammaticità in ordine ai cambiamenti climatici, che rischia di creare un eccessivo allarme nell'opinione pubblica.

In conclusione, riconoscendo pienamente condivisibile la necessità di una politica energetica comune in ambito comunitario, prospetta l'opportunità che le Commissioni riunite, oltre a quanto già deciso e in via di attuazione, possano svolgere anche una apposita audizione dei rappresentanti dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che potrebbero fornire un quadro informativo più completo rispetto alle problematiche testé richiamate.

Maurizio BERNARDO (FI)giudica apprezzabile il coinvolgimento della X Commissione nella discussione della risoluzione in oggetto, in quanto la stessa riguarda temi che coinvolgono, fra l'altro, l'intero sistema produttivo pubblico e privato. Considera inoltre apprezzabili gli impegni di carattere generale previsti dalla risoluzione, richiamando peraltro l'attenzione sulla necessità che la politica energetica nel nostro Paese sia affrontata attraverso la predisposizione di un disegno unitario.

Ricorda infatti che nel corso dell'attuale legislatura sono stati discussi o sono stati presentati una serie di provvedimenti riguardanti il tema dell'energia senza però che vi fosse un coordinamento delle varie iniziative, sottolineando altresì che l'importanza di disporre di un quadro giuridico unitario in materia energetica è stata recentemente posta in risalto anche dal Commissario europeo per l'energia Piebelgs in una recente audizione presso il Senato della Repubblica.

Manuela DI CENTA (FI), precisa di non esprimere giudizi in relazione agli elementi di carattere informativo contenuti nella premessa della risoluzione, dei quali ritiene di non avere sufficiente conoscenza, ma esprime apprezzamento per gli impegni contenuti nell'atto stesso, concordando con l'obiettivo di organizzare la Conferenza nazionale su clima e energia con il coinvolgimento più ampio dei Ministeri interessati, delle regioni, degli enti locali, del Parlamento, delle forze economiche e sociali. Il surriscaldamento del pianeta e i mutamenti del clima sono realtà purtroppo del tutto evidenti, l'umanità sta perdendo i ghiacciai e la neve: queste sono perdite del cuore, ma costituiscono altresì una perdita concreta per l'economia nazionale, dato che gli introiti degli imprenditori del settore hanno subito una forte contrazione a seguito dei fenomeni climatici in discussione. Annuncia infine l'intenzione di sottoscrivere la risoluzione in esame.

Ermete REALACCI, presidente, pur essendo personalmente contrario ad atteggiamenti di tipo catastrofistico, rileva che i dati contenuti nelle premesse sono tratti da autorevoli rapporti prodotti a livello internazionale e comunitario; tali dati, peraltro, vengono spesso scavalcati anche dal susseguirsi degli eventi concreti, come potrebbe accadere alla luce del contenuto dell'imminente «Rapporto IPPC».

Roberto TORTOLI (FI) chiede, a nome del suo gruppo, la votazione per parti separate della risoluzione n. 7-00103, preannunciando che il gruppo di Forza Italia voterà a favore della parte dispositiva e si asterrà nella votazione delle premesse.

Ermete REALACCI, presidente, avverte che sarà ora posta in votazione, per parti separate, la risoluzione in titolo, nel senso di votare dapprima la parte relativa alle premesse e successivamente la parte dispositiva.

Le Commissioni approvano, con distinte votazioni, le premesse e la parte dispositiva della risoluzione n. 7-00103.

La seduta termina alle 13.30.


CAMERA DEI DEPUTATI - XV LEGISLATURA

Resoconto della VIII Commissione permanente

(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

 

Mercoledì 28 febbraio 2007

 

 


 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

Mercoledì 28 febbraio 2007. - Presidenza del presidente Ermete REALACCI.

La seduta comincia alle 14.05.

Sulla missione a Washington in occasione del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici (14-15 febbraio 2007).

Ermete REALACCI, presidente, avverte che è stato richiesto che la pubblicità dei lavori sia assicurata mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.

Comunica, quindi, che una delegazione della VIII Commissione, composta dai deputati Francescato e Mereu (designati dal Presidente della Camera su indicazione dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi), si è recata a Washington, dal 14 al 15 febbraio 2007, per partecipare al Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici. Fa presente che, in esito allo svolgimento della missione, i deputati Francescato e Mereu hanno depositato una relazione finalizzata ad illustrare alla Commissione l'andamento dei lavori del Forum (vedi allegato 1), unitamente alla dichiarazione finale approvata dai partecipanti all'iniziativa, sia nella versione in lingua originale (vedi allegato 2), sia in una traduzione non ufficiale in lingua italiana (vedi allegato 3). Ritiene, peraltro, che l'odierna discussione sulle comunicazioni in titolo e la documentazione depositata possano costituire utili elementi di integrazione della base conoscitiva a disposizione della Commissione ai fini della predisposizione della prevista relazione all'Assemblea, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici.

Grazia FRANCESCATO (Verdi), nel ringraziare per la disponibilità e la collaborazione all'organizzazione dell'evento sia la presidenza della Commissione sia gli uffici della Camera, con particolare riferimento alle strutture che si occupano delle relazioni internazionali, illustra i principali elementi emersi dal Forum di Washington, nato dall'iniziativa britannica del luglio 2005 e che già prevede una prossima tappa a Berlino, sotto il patrocinio della Presidenza tedesca. Osserva che l'incontro ha registrato la partecipazione di rappresentanti del mondo politico, ma anche di esperti, tecnici e, soprattutto, economisti, il che ha consentito di conferire al Forum un taglio di forte integrazione tra il tema dei cambiamenti climatici - che costringe tutti a riflettere sull'attualità dei rischi che il pianeta corre - e le prospettive di natura economica ad esso collegate. In tal senso, fa presente che il «punto chiave» emerso da tale iniziativa interparlamentare è costituito dalla chiara svolta intrapresa dagli Stati Uniti sul problema dei cambiamenti climatici, che ha visto - in una logica assolutamente bipartisan, fatte salve talune limitate eccezioni - la trasformazione di questo problema in una nuova priorità della politica nazionale; gli Stati Uniti, infatti, pur ribadendo la volontà di non partecipare agli attuali meccanismi del Protocollo di Kyoto, hanno tuttavia acquisito la consapevolezza che il problema del Climate Change esiste, manifestando la decisa intenzione di assumere la leadership mondiale di questo nuovo corso. In questa logica, peraltro, va letta - a suo avviso - la partecipazione all'iniziativa dell'ex candidato democratico alle ultime elezioni presidenziali, senatore Kerry, che ha fornito una visione molto preoccupata circa l'urgenza di intervenire in questo settore; allo stesso tempo, segnala l'opportunità di riflettere sulle dichiarazioni del Presidente della Banca Mondiale, Paul Wolfowitz, in passato un «falco» della politica america, che si è soffermato sui costi economici dell'inazione a fronte del fenomeno del cambiamento climatico ed ha annunciato che la Banca Mondiale sta studiando misure volte a sostenere le economie dei Paesi in via di sviluppo che coniughino lotta alla povertà ed efficienza energetica.

Sottolinea che un altro punto politico di rilievo emerso dal Forum è rappresentato dalla intenzione di Cina, India e Brasile di puntare sullo sviluppo sostenibile e sull'energia pulita, a condizione che - in questo percorso - siano forniti dai Paesi industrializzati i necessari strumenti per il sostegno allo sviluppo tecnologico e all'adattamento del sistema energetico e produttivo. L'incontro interparlamentare, inoltre, ha registrato una chiara posizione dell'Unione europea, non soltanto attraverso il deciso intervento in videoconferenza della Cancelliera tedesca Angela Merkel, ma anche mediante le dichiarazioni rese dal Commissario europeo per l'ambiente. Evidenzia, infine, che un punto nodale del Forum è stato rappresentato da quello che definisce un «tentativo di matrimonio» tra ambiente ed economia, nel cui ambito sono stati segnalati i potenziali effetti che il ruolo del settore economico può produrre sui cambiamenti climatici, unitamente alle opportunità che lo stesso sviluppo sostenibile può presentare per il mondo del business.

In conclusione, ritiene che la dichiarazione finale che il Forum dei legislatori ha adottato al termine dei lavori sia sufficientemente forte da costituire una buona base di riflessione per i Governi dei Paesi interessati e per lo sviluppo delle future azioni che i Parlamenti nazionali possono porre in essere per affrontare nelle giuste dimensioni il problema dei cambiamenti climatici.

Antonio MEREU (UDC), nell'associarsi ai ringraziamenti già formulati dal deputato Francescato e nel rinviare alla sua esposizione in ordine all'andamento dei lavori del Forum dei legislatori di Washington, ritiene che la missione sia stata particolarmente utile anche per rilanciare un confronto politico a livello nazionale. Rileva, quindi, che la nuova posizione che sembra emergere dagli indirizzi illustrati dai rappresentanti degli Stati Uniti porta a rafforzare l'attenzione sul problema dei cambiamenti climatici, ponendo alla base dell'analisi su tale tema il riconoscimento dell'insostenibilità di uno sviluppo produttivo che non sia adeguatamente governato. Fa presente, peraltro, che il dibattito in sede internazionale ha dimostrato come gli interventi sui fattori climatici possano rappresentare anche un importante terreno di dialogo comune tra Paesi sviluppati e Paesi collocati in aree di crisi internazionale, contribuendo a rafforzare una cooperazione in grado di favorire la possibile pacificazione di determinate situazioni di conflitto.

Osserva inoltre che la richiesta, proveniente dai Paesi in via di sviluppo, di aiuto per l'adattamento tecnologico del sistema energetico, da affrontare con realismo, può rappresentare un modello applicabile anche a specifiche situazioni esistenti sul territorio nazionale, come ad esempio la Sardegna, nella quale esiste un problema concreto legato alle nuove prospettive di utilizzo della risorsa carbonifera. Su questi temi, a suo giudizio, occorre ragionare in Parlamento e nel Paese, in uno spirito di confronto aperto e collaborativo, tenendo presente che, accanto alle ragioni dell'ambientalismo, esiste anche l'esigenza di garantire il benessere delle popolazioni; il segnale politico prioritario che emerge dal Forum interparlamentare, infatti, è costituito dall'invito a dialogare senza atteggiamenti di antagonismo ideologico ed in un'ottica di comprensione globale di tutti i fattori coinvolti.

In ragione delle considerazioni espresse, segnala la necessità di dare certezza alla legislazione nazionale in campo ambientale, evitando di produrre continui cambiamenti nella disciplina normativa della materia. Solo così, a suo giudizio, si creano i necessari presupposti per l'avvio di una politica credibile in materia di cambiamenti climatici, che sia in grado di garantire una effettiva stabilità delle regole per le imprese cheinvestono nel settore. Ritiene che, in questa logica, lo stesso Forum di Washington possa rappresentare una solida base per lo sviluppo della futura attività della Commissione, in un quadro che individui soluzioni unitarie ed ispirate al dialogo e al confronto politico.

Aurelio Salvatore MISITI (IdV), nell'esprimere apprezzamento per la relazione depositata dai deputati Francescato e Mereu, segnala altresì l'esigenza di mantenere un atteggiamento prudente e, se del caso, critico su taluni degli elementi che emergono nelle sedi internazionali. In particolare, giudica essenziale che le riflessioni sugli aspetti economici legati ai cambiamenti climatici non trascurino il rischio, certamente attuale, di un approfondimento del gap tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, sostenendo conseguentemente di non poter concordare - sotto questi profili - con gli interventi sinora svolti. Dichiara, inoltre, di non condividere le previsioni di lungo periodo basate su modelli astratti, che sono fortemente suscettibili di creare previsioni errate; al contrario, ritiene necessario procedere con interventi mirati per la riduzione delle emissioni, senza farsi trascinare dai pericolosi richiami che, negli ultimi periodi, stanno provenendo dal mondo economico.

Grazia FRANCESCATO (Verdi), intervenendo per una precisazione, intende riconoscere l'opportunità di procedere con prudenza sugli scenari futuri. Giudica al contempo necessario, peraltro, che vi sia la massima consapevolezza degli esatti termini del problema, affinché si possa intervenire prontamente per la soluzione dei rischi attuali ed urgenti; in tal senso, ritiene che la strada indicata dalla dichiarazione finale adottata dal Forum dei legislatori sia quella giusta.

Ermete REALACCI, presidente, osserva preliminarmente che il dibattito mondiale sul tema dei cambiamenti climatici si è spostato da una riflessione sull'esistenza o meno del fenomeno ad una analisi della quantificazione della consistenza del fenomeno stesso, che ormai tutti accettano come reale. A questo punto, pertanto, occorre che la politica si faccia carico di questi sviluppi e proponga le più adeguate soluzioni. Per tali motivi, ritiene che anche la missione a Washington abbia dimostrato l'utilità della partecipazione a questi incontri internazionali, al fine di riportare in Parlamento le riflessioni su problemi di forte attualità.

Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiara quindi conclusa la discussione sulle comunicazioni in titolo.

La seduta termina alle 14.30.



ALLEGATO 1

Missione a Washington in occasione del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici (14-15 febbraio 2007).

RELAZIONE DEPOSITATA DAI DEPUTATI FRANCESCATO E MEREU

Dal 14 al 15 febbraio 2007 si è tenuto a Washington, presso la sede del Senato americano, il Secondo Forum dei legislatori del Dialogo sul cambiamento climatico dei Paesi G8+ 5. Il G8 + 5 è un Dialogo a livello parlamentare sui cambiamenti climatici che vede coinvolti rappresentati legislativi dei paesi del G8 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) insieme a 5 paesi in fase di avanzato sviluppo (Cina, India, Messico, Brasile e Sud Africa). Il Dialogo si pone l'obiettivo di discutere un accordo sui cambiamenti climatici «post 2012», ovvero successivo alla prima scadenza del Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni dei gas serra, al fine di stabilire la più ampia convergenza sugli obiettivi ambientali a livello mondiale.

In tale prospettiva, il Dialogo intende concludere i propri lavori presentando una piattaforma comune sul cambiamento climatico al vertice dei Capi di Stato del G8 che si terrà in Giappone nel 2008.

L'iniziativa, promossa dall'Organizzazione globale dei legislatori per l'equilibrio ambientale (Globe), avente sede presso il Parlamento inglese (House of Commons), con il patrocinio della Banca mondiale, è stata lanciata a seguito del Dialogo a livello governativo (a sua volta voluto dal Premier britannico Tony Blair), cui si è dato avvio con l'approvazione, al Vertice G8 di Gleneagles del luglio 2005, del Piano d'azione del G8 su cambiamenti climatici, energia pulita e sviluppo sostenibile.

Il primo Forum si era tenuto a Bruxelles dal 7 al 9 luglio 2006 e si era concluso con una dichiarazione finale rivolta ai Capi di Stato del G8 di San Pietroburgo dello scorso luglio, al Presidente della Banca Mondiale e al Direttore esecutivo dell'Agenzia internazionale dell'energia (IEA). Successivamente, il 26 ed il 27 ottobre 2006, si è svolta a Pechino la riunione dei quattro gruppi di lavoro (sviluppo e trasferimento di tecnologia; meccanismi di mercato ed economia; adeguamento e risposta al cambiamento climatico; uso efficiente delle risorse energetiche) finalizzata a predisporre la base di lavoro per il Forum di Washington. A nessuno dei due eventi, al termine dei quali è stata espressa l'esigenza di inserire il cambiamento climatico come priorità nell'agenda dei lavori del G8 sia per il 2007 (presidenza tedesca), sia per il 2008 (presidenza giapponese), nonché di inserirlo nell'ambito dei Millenium goal dell'UNDP (United Nations Development Programme), la Camera dei Deputati aveva potuto partecipare perché impegnata nei lavori parlamentari.

Il Forum di Washington, al quale hanno preso parte sessantaquattro parlamentari, provenienti da tutti i paesi G8+5, ed otto parlamentari europei, aveva l'obiettivo di presentare una piattaforma comune sul cambiamento climatico al prossimo Vertice del G8, che si terrà a Heiligendamm, in Germania, nel giugno 2007, sotto la Presidenza tedesca.

La Camera dei Deputati era rappresentata dagli onorevoli Grazia Francescato, del Gruppo dei Verdi, per la maggioranza, che fa parte dell'Advisory Board (di cui fanno parte tutti i paesi del G8+5 ed è responsabile della direzione strategica del dialogo), ed Antonio Mereu, del Gruppo dell'UDC, per l'opposizione. Invece, la delegazione del Senato della Repubblica, composta dai senatori Mario Baccini, del Gruppo dell'UDC, Vice Presidente del Senato, membro della III Commissione Affari esteri e della XIV Commissione Politiche dell'Unione europea, e Edo Ronchi, del Gruppo dell'Ulivo, Vice Presidente della XIII Commissione Territorio, Ambiente, Beni ambientali, non ha potuto partecipare al Forum. Infine, va segnalata la presenza nella delegazione del Parlamento europeo del parlamentare italiano Vittorio Prodi.

Il Forum di Washington, che poneva come punto di partenza della discussione le conclusioni della relazione del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicata il 2 Febbraio 2007, che ha accertato - con una probabilità del 95 per cento - come siano state le attività dell'uomo condotte dalla rivoluzione industriale ad oggi a determinare il riscaldamento del pianeta, è stato caratterizzato da due aspetti di particolare importanza nella politica riguardo al cambiamento climatico.

Il primo è rappresentato dal radicale mutamento nell'orientamento americano rispetto al cambiamento climatico. Sono infatti intervenuti al Forum parlamentari di primo piano quali il senatore repubblicano John McCain, in corsa per le Presidenziali del 2008, il senatore John Forbes Kerry, candidato per i democratici alle Presidenziali del 2004, il senatore democratico Joe Lieberman, Presidente della Commissione per la Sicurezza nazionale, la senatrice democratica Barbara Boxer, Presidente della Commissione Ambiente del Senato americano, il senatore democratico Jeff Bingaman, Presidente della Commissione Energia e Risorse naturali, il senatore democratico Joe Biden, Presidente della Commissione Affari esteri, ma anche la repubblicana Olympia Snowe, della Commissione Finanze, e il deputato democratico Jay Inslee; tutti hanno manifestato l'intenzione di mutare orientamento riguardo al cambiamento climatico, che rappresenterebbe una priorità assoluta per il Paese, rispetto alla quale gli USA intenderebbero assumere la leadership mondiale. Lo stesso senatore McCain ha definito il cambiamento climatico una questione di interesse nazionale. Unica voce fuori dal coro è stata quella del senatore repubblicano Larry Craig, che ha dichiarato il Protocollo di Kyoto morto. I parlamentari americani hanno richiamato anche i contenuti della mozione Bingaman, che dovrà essere sottoposta al voto del Senato americano, e hanno ricordato come gli USA con solo il 5 per cento della popolazione mondiale siano responsabili per il 20 per cento dell'effetto serra e come si sia ormai raggiunta una massa critica scientifica che impone di prendere urgentemente dei provvedimenti, dal momento che il fattore tempo non gioca a favore. La rilevanza della questione deve indurre ad assumere accordi bypartisan, lanciando un piano per una strategia comune, un piano globale che contempli, da un lato, incentivi fiscali alle imprese per favorire il risparmio energetico, dall'altro, stanziamenti significativi nella ricerca sulle fonti energetiche al fine di diminuire la dipendenza dell'economia statunitense dai carburanti fossili. Si è inoltre ricordato il caso della California, Stato virtuoso dal punto di vista energetico.

Il secondo passaggio di particolare rilievo politico è stato rappresentato dalla posizione in merito ai GHG (greenhouse gas) dell'Europa. A riguardo è intervenuta in videoconferenza la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che presiederà il vertice G8 di Heiligendamm di giugno. La Merkel, che insieme a Tony Blair sostiene il Forum sui cambiamenti climatici, ha dichiarato che studierà le conclusioni del Forum ed ha ricordato come la questione del cambiamento climatico abbia rappresentato una priorità già al Forum economico mondiale di Davos del gennaio scorso. Già nella primavera 2007 l'Unione europea dovrà sviluppare un programma post 2012 per i paesi industrializzati. In tale prospettiva, il conseguimento dell'obiettivo posto dall'Unione europea di prevedere interventi volti a fare in modo che la temperatura mondiale non aumenti più di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali è il primo risultato da conseguire e la riduzione delle emissioni di CO2 nei Paesi UE del 20 per cento da qui al 2020, il primo passo da compiere. Tre sono gli elementi chiave che possono portare al conseguimento di tali risultati: un aumento globale dell'efficienza energetica; un sempre maggiore ricorso alle energie rinnovabili; l'utilizzo di incentivi economici. Anche per la Merkel, come già per i senatori americani, il sostegno di nuove politiche energetiche creerà nuovi mercati, nuovi incentivi produttivi e, infine, nuovi posti di lavoro.

È quindi intervenuto il Commissario europeo per l'ambiente Stravos Dimas, che ha ricordato come il cambiamento climatico fosse il punto più importante del Forum di Davos. Ha richiamato la risoluzione del Parlamento europeo che prevede la riduzione delle emissioni in tutti i paesi industrializzati del 30 per cento in comparazione con il livello di emissioni del 1990 entro il 2020 al fine di conseguire una riduzione tra il 60 ed l'80 per cento entro il 2050. Si tratta di una decisione unilaterale dell'Unione europea che verrà discussa dal Consiglio nella prossima primavera. L'obiettivo che si intende perseguire a livello mondiale è quello di conseguire una riduzione di gas serra del 50 per cento nei paesi in via di sviluppo e tra il 60 e l'80 per cento nei paesi sviluppati. Ovviamente per far ciò ci vuole un accordo mondiale. I paesi industrializzati devono dare l'esempio perché nel 2020 i paesi in via di sviluppo influiranno sulla produzione di gas serra più dei paesi OCSE. I mezzi per conseguire tali obiettivi sono: in primo luogo, l'uso del mercato, attraverso il sistema di scambio di emissioni, che può diventare il nucleo portante; in secondo luogo, lo sviluppo della ricerca; in terzo luogo la lotta alla deforestazione, che contribuisce circa per il 20 per cento all'aumento del GHG.

Anche la Cina, l'India ed il Brasile hanno manifestato l'intenzione di puntare quanto più possibile su forme di energia pulita e di favorire lo sviluppo sostenibile. Inoltre, hanno sostenuto la necessità di azioni congiunte tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo dirette soprattutto al trasferimento di tecnologia. Il Giappone e la Cina, ad esempio, hanno già iniziato una collaborazione finalizzata al risparmio energetico. La priorità per queste economie rimane pur sempre la lotta alla povertà (risulta, ad esempio, che in Cina si stia costruendo una centrale a carbone di vecchio tipo alla settimana). In generale, le azioni da intraprendere per contrastare il cambiamento climatico dovranno tener conto delle diverse caratteristiche che distinguono le economie sviluppate, quelle in via di sviluppo e quelle povere. Da un lato, infatti, occorre riconoscere il bisogno di crescita economica e di accesso all'energia per alleviare la povertà, dall'altro, bisogna tuttavia considerare che, per ogni anno di ritardo nell'azione di controllo delle emissioni, aumenta il rischio di impatti che richiederanno riduzioni più drastiche nel futuro, con costi economici più alti e maggiori squilibri sociali. Impatti che saranno probabilmente esacerbati da meccanismi di feedback paralleli al riscaldamento del clima.

In particolare, è stata esposta dalla senatrice Serys Sihessarenko, prima, e dal deputato Antônio Palocci Filho, ex ministro delle finanze del Brasile nel periodo 2003-2006, poi, l'esperienza brasiliana nel campo dei biocombustibili ricavati dalla canna da zucchero.

Il Forum di Washington si segnala anche per alcuni interventi di carattere maggiormente tecnico di particolare rilievo.

Tra questi si richiama, in primo luogo, quello di Sir Nicholas Stern, economista ed attuale consigliere del Governo britannico, coordinatore del famoso rapporto, il quale ha ricordato come nel rapporto da lui redatto si evidenzi chiaramente che i costi dell'inazione saranno di gran lunga superiori a quelli dell'azione. Da qui la necessità di un'azione urgente per ridurre le emissioni, che rappresenta l'unico modo per garantire una crescita a lungo termine di tutte le economie-sviluppate, emergenti e povere. Infatti, secondo il rapporto Stern il costo degli effetti del cambiamento climatico fa supporre una caduta del PIL mondiale tra il 5 per cento ed il 20 per cento, mentre l'attuazione di misure finalizzate ad evitare un aumento di più di due gradi centigradi della temperatura media comporta in termini di costi una cifra pari all'1 per cento del PIL mondiale. L'obiettivo deve consistere nello stabilizzare le emissioni ad un livello compreso tra 450 e 550 parti per milione di equivalente di CO2, non essendo ipotizzabile una stabilizzazione ad un livello superiore al 550, pur riconoscendo che il conseguimento dell'obiettivo posto dall'Unione europea dell'aumento di 2 gradi Celsius richiederebbe una stabilizzazione al livello più basso di questa scala. Secondo Stern, la riduzione del CO2 è un costo che il mondo sviluppato si deve assumere e gli strumenti per conseguire tale risultato sono: un accordo sul versante degli scambi internazionali che intervenga anche sul prezzo del carbonio; lo sviluppo della tecnologia; l'arresto delle deforestazione. Al riguardo ha rilevato che in Cina, ad esempio, si sta rimboschendo e che le auto americane non si vendono in quel paese perché non corrispondono alle norme in vigore. Uno strumento al quale si potrebbe fare ricorso, secondo il professor Stern, potrebbe essere la tassa sull'esportazione di prodotti ad uso intensivo di energia.

Per conseguire questo complesso di obiettivi sarebbe necessaria una combinazione di vincoli inseriti in un contesto garantito dalle Nazioni Unite e siglati da tutte le principali economie, insieme ad un partenariato bilaterale e multilaterale, che riconosca la responsabilità dei paesi sviluppati ad assumere al guida.

Il professor Hans Joachim Schnellnhuber, direttore del Potsdam Institute e consigliere capo del Governo tedesco per la Presidenza G8 sul Cambiamento climatico, ha riferito in merito agli studi svolti dal Potsdam Institute in questi anni ed ha segnalato che, sulla base delle ricerche effettuare finora, se il pianeta continuerà a riscaldarsi a questi ritmi, si produrranno i seguenti effetti: 1) la foresta amazzonica rischia di scomparire entro la fine del secolo in ragione del cambiamento delle piogge tropicali; 2) la barriera corallina scomparirà nel 2050; 3) la calotta polare scomparirà entro cinquant'anni, il che a sua volta provocherà un quarto effetto, vale a dire un considerevole innalzamento del livello dei mari, ed un quinto effetto, la acidificazione degli oceani. Inoltre, tutti questi fenomeni potrebbero determinare una spirale degenerativa i cui effetti devastanti per il pianeta non sono preventivabili da parte degli studiosi. Anche limitare l'aumento a due gradi può essere eccessivo per alcuni valori. Ad ogni modo per arrivare ad un incremento di 2 gradi centigradi della temperatura occorre ridurre dell'80 per cento le emissioni di CO2 rispetto ai valori attuali.

Lars Josefsson, del CEO Vattenfall Group e consigliere capo del Governo tedesco per la Presidenza G8 sul Cambiamento climatico, ha richiamato il rapporto ONU sul cambiamento climatico e ha sostenuto la necessità di porre un prezzo alle emissioni.

Lo stesso Presidente della Banca Mondiale, Paul Wolfowitz, si è soffermato sui costi economici dell'inazione a fronte del fenomeno del cambiamento climatico ed ha annunciato che la Banca Mondiale sta studiando misure volte a sostenere le economie dei Paesi in via di sviluppo che coniughino lotta alla povertà ed efficienza energetica.

Sono inoltre intervenuti esponenti del mondo finanziario ed imprenditoriale, quali Richard Branson, proprietario della Virgin, Rick Lazio, vicepresidente esecutivo della JP Morgan Chase, Jim Rogers della Duke/Cinergy e Roger Fergusson, della Swiss Re Amercia Corp.

Da tutti i partecipanti è stato ribadito il ruolo vitale delle tecnologie e dell'innovazione. L'Agenzia Internazionale per l'Energia calcola che nel 2050 la maggior parte dell'energia del mondo probabilmente continuerà a provenire ancora dagli idrocarburi insieme al supporto delle energie rinnovabili, dei biocarburanti sostenibili e delle tecnologie finalizzate all'efficienza energetica. Ne deriva la particolare importanza di tecnologie come la cattura e l'immagazzinamento del carbonio (CCS) per decarbonizzare i combustibili fossili. Il modo più efficace e potente per stimolare gli investimenti privati nella ricerca, nello sviluppo e nell'utilizzo delle tecnologie nuove e di quelle esistenti consiste nell'adottare politiche che fissino a lungo termine un valore di mercato per le emissioni di gas serra. La determinazione di un prezzo globale del carbonio stimolerà una rivoluzione tecnologica e l'adozione di misure di efficienza energetica, con compensi per le imprese che per prime svilupperanno tecnologie avanzate, e aiuterà a fornire incentivi per ridurre la deforestazione. Tuttavia, il prezzo del carbonio è necessario ma non sufficiente. Si devono realizzare forme di partenariato pubblico-privato per sostenere programmi di ricerca e di sviluppo che portino nuove tecnologie al mercato. È inoltre necessario intervenire maggiormente sul versante della cooperazione internazionale per favorire il trasferimento delle tecnologie esistenti. Gran parte degli interventi hanno altresì ribadito che l'efficienza energetica è il modo più vantaggioso sul piano economico per ridurre le emissioni di gas serra. Si è, inoltre, prestata attenzione alla questione dell'adeguamento agli inevitabili impatti del cambiamento climatico. La Banca Mondiale calcola infatti che questo fenomeno richiederà un'ulteriore somma compresa tra i 10 e i 40 miliardi di dollari l'anno. Si è evidenziato che, se non si interverrà subito per ridurre le emissioni, questa cifra aumenterà in modo impressionante e si determineranno gravi impatti sulla sanità pubblica e sulla disponibilità di risorse, inclusa l'acqua. Si è concordato nel ritenere che l'adeguamento deve riguardare primariamente le politiche di sviluppo e dovrebbe essere legato agli Aiuti per lo Sviluppo d'Oltremare (Overseas Development Aid) e dovrebbe essere sostenuto da meccanismi finanziari integrati.

Nella seconda giornata di lavoro si sono esaminate ed approvate le conclusioni cui sono giunti i quattro gruppi di lavoro, coordinati, il primo - Sviluppo e Trasferimento di Tecnologia, dall'eurodeputato svedese Anders Wiman, il secondo - Meccanismi di Mercato ed Economia, dal parlamentare inglese Stephen Byers, il terzo - Adeguamento al cambiamento climatico, dal parlamentare indiano Suresh Prabhu, ed il quarto - Uso efficiente delle risorse energetiche, dal parlamentare giapponese Yosuke Shinoda.

Più specificamente, il primo gruppo di lavoro - Sviluppo e Trasferimento di Tecnologia, ha incentrato la propria attenzione sugli strumenti normativi e politici per agevolare la produzione di energie a bassa emissione, sia nei paesi sviluppati che nei paesi in via di sviluppo, evidenziando gli ostacoli che si riscontrano allo sviluppo delle energie pulite e valorizzando le soluzioni più idonee a superarli, con particolare attenzione alla partnership pubblico-privato. Una particolare attenzione è stata data all'esigenza di conciliare la riduzione dei gas nocivi con il fabbisogno energetico e le priorità economiche e sociali di molti paesi in via di sviluppo e di intensificare le politiche per il trasferimento tecnologico.

Il secondo gruppo di lavoro - Meccanismi di Mercato ed Economia, ha incentrato la propria attenzione sugli strumenti finanziari e fiscali per incentivare il mercato e le imprese a investire sulle tecnologie pulite. In particolare, sono stati illustrati i vantaggi e le criticità dei cdm (clean development mechanism), il sistema che permette alle imprese dei paesi sviluppati con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo senza vincoli di emissione, generando crediti di emissione che potranno essere utilizzati per l'osservanza degli impegni previsti dal protocollo di Kyoto.

Il terzo gruppo di lavoro - Adeguamento al cambiamento climatico, ha affrontato il problema dell'impatto del cambiamento climatico sul contesto economico e sociale degli stati nazionali, in particolare nei paesi meno sviluppati, e delle relative politiche di adattamento. In particolare, si è rilevato che l'aumento costante della temperatura sta gravemente compromettendo in alcune aree del mondo gli obiettivi di sviluppo e di riduzione della povertà. Gli interventi hanno sottolineato soprattutto la necessità dell'informazione per aumentare la consapevolezza dei rischi del cambiamento climatico nei decisori politici, nelle imprese e nella società civile al fine di facilitare le azioni di adattamento e di mitigazione dei fenomeni estremi.

Il quarto gruppo di lavoro - Uso efficiente delle risorse energetiche, ha ribadito che il risparmio energetico è uno dei fattori chiave per facilitare la riduzione delle emissioni nocive. Sono state illustrate alcune linee di azione che i parlamenti possono intraprendere in questo campo sia dal lato dell'offerta che dal lato della domanda. In particolare: la razionalizzazione dell'utilizzo delle energie inquinanti, la diffusione di prodotti energetici basati sul risparmio, la diffusione di un sistema di trasporti pubblico non inquinante, standard edilizi sostenibili e via seguitando.

A conclusione del Forum di Washington è stata approvata una dichiarazione finale nella quale si chiede ai Governi dei Paesi del G8 e a quelli del +5 di concordare, nel Vertice G8 di Heiligendamm, sugli aspetti chiave di un quadro post 2012 e di richiedere che i negoziati globali su tale quadro includano: obiettivi a lungo termine per i Paesi sviluppati; obiettivi adeguati per le economie in via di sviluppo; incentivi per misure volte a ridurre la deforestazione; incentivi per politiche e misure di sviluppo sostenibili nei Paesi in via di sviluppo; programmi concentrati sulla formazione di capacità, sull'accesso alle tecnologie e sugli incentivi economici - per aiutare i Paesi in via di sviluppo a investire in tecnologie più efficienti e a basso impiego di carbonio; per i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili, un crescente accesso ai dati sul clima, ricerca cooperativa sulle tecnologie chiave per l'adeguamento in agricoltura e salute, dando la priorità alla prevenzione dei disastri e migliorando la capacità di far fronte alla variabilità climatica.


 

ALLEGATO 2

Missione a Washington in occasione del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici (14-15 febbraio 2007).

DICHIARAZIONE FINALE (IN LINGUA ORIGINALE)


ALLEGATO 3

Missione a Washington in occasione del Forum dei legislatori dei Paesi del G8+5 sui cambiamenti climatici (14-15 febbraio 2007).

DICHIARAZIONE FINALE (TRADUZIONE NON UFFICIALE)

DICHIARAZIONE DEL FORUM DEI LEGISLATORI DI WASHINGTON 14-15 FEBBRAIO 2007

1. Mai come ora, a seguito della pubblicazione della relazione del Gruppo di Lavoro 1 del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici e della Revisione Stern, comprendiamo gli aspetti scientifici ed economici dei cambiamenti climatici. In quanto rappresentanti dei parlamenti di Paesi che producono circa due terzi delle emissioni globali di gas serra, sottoponiamo all'attenzione dei leader dei Paesi G8+5 la seguente dichiarazione:

2. La relazione del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, pubblicata il 2 febbraio 2007, conclude che è stato accertato - con una probabilità superiore al 90 per cento - che le attività dell'uomo condotte dal 1750 hanno determinato il riscaldamento del pianeta. A nostro avviso le prove che l'uomo stia cambiando il clima sono attualmente inoppugnabili.

3. Oggi è anche chiaro che i costi dell'inazione saranno superiori a quelli dell'azione. Vi è la necessità di un'azione urgente per ridurre le emissioni: questo sarebbe l'unico modo sicuro per garantire una crescita sostenibile di tutte le economie.

4. Ogni anno di ritardo nell'azione di controllo delle emissioni aumenta il rischio di impatti che richiederanno riduzioni più drastiche nel futuro, con costi economici più alti e maggiori squilibri sociali. Tali impatti saranno probabilmente aggravati da meccanismi di «feedback positivo» paralleli al riscaldamento del clima.

5. Le azioni intraprese per contrastare i cambiamenti climatici devono tener conto delle diverse caratteristiche che distinguono le economie sviluppate, quelle in via di sviluppo e quelle povere, riconoscendo le necessità di crescita economica e di accesso all'energia al fine di alleviare la povertà. Ma dobbiamo ricordare che i cambiamenti climatici sono una questione globale e tutti noi abbiamo l'obbligo di fare qualcosa in base alle nostre capacità e responsabilità storiche.

6. Sottolineiamo l'importanza dell'azione non solo per aumentare la sicurezza climatica, ma per aumentare la nostra sicurezza energetica, migliorare la qualità dell'aria e la nostra salute, sostenere la biodiversità.

7. Ormai sappiamo che disponiamo oggi delle tecnologie per ridurre le nostre emissioni, con le misure politiche giuste e i giusti incentivi. Per muoverci in modo informato e mirato abbiamo bisogno di generare un consenso internazionale sulle misure necessarie per stabilizzare il clima. Chiediamo ai governi dei Paesi G8+5 di individuare, al vertice G8 di Heiligendamm, un obiettivo a lungo termine - misurabile - per stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera. Riteniamo che tale obiettivo debba consistere nello stabilizzare le concentrazioni a un livello compreso tra 450 e 550 parti per milione di CO2 equivalente, nella consapevolezza che l'obiettivo di 2 gradi Celsius della UE richiederebbe una stabilizzazione sul valore più basso di questa fascia.

8. Per raggiungere quest'obiettivo avremo bisogno di una cornice ONU vincolante, siglata da tutte le principali economie, insieme a partenariati bilaterali e multilaterali, riconoscendo la responsabilità primaria dei paesi sviluppati. Noi apprezziamo il lavoro svolto dal Dialogo di Gleneagles, il Partenariato Asia-Pacifico, le istituzioni finanziarie internazionali, tra cui la banca Mondiale e le banche di sviluppo multilaterali, l'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA). Ma abbiamo bisogno che si faccia di più. Esortiamo il G8 e gli altri governi ad agire rapidamente a livello nazionale e internazionale nei seguenti settori politici chiave:

9. Le tecnologie e l'innovazione hanno un ruolo vitale. L'Agenzia Internazionale per l'Energia calcola che nel 2050 la maggior parte dell'energia del mondo probabilmente continuerà a provenire ancora dagli idrocarburi. Da qui deriva la particolare importanza di tecnologie come la cattura e l'immagazzinamento del carbonio (CCS) per decarbonizzare i combustibili fossili accanto al sostegno alle energie rinnovabili, i biocarburanti sostenibili e le tecnologie di efficienza energetica. Il modo più efficace e potente per stimolare gli investimenti privati nella ricerca, nello sviluppo e nell'utilizzo delle tecnologie nuove e di quelle esistenti consiste nell'adottare politiche che fissino a lungo termine un valore di mercato per le emissioni di gas serra. La determinazione di un prezzo globale del carbonio stimolerà una rivoluzione tecnologica e l'adozione di misure di efficienza energetica, premiando quelle imprese che per prime svilupperanno tecnologie avanzate, e contribuirà a fornire incentivi per ridurre la deforestazione. Il prezzo del carbonio è necessario, ma non è sufficiente. Sono determinanti anche dei partenariati tra pubblico e privato per sostenere i programmi R&D che portano nel mercato le nuove tecnologie. Resta ancora molto, troppo da fare, a livello di cooperazione internazionale, per condividere le tecnologie esistenti.

10. Plaudiamo ai progressi conseguiti nell'ambito dell'ETS (Sistema Europeo di Scambio delle Quote di Emissione), allo sviluppo della Iniziativa Regionale sui Gas Serra (Regional Greenhouse Gas Iniziative) negli Stati Uniti e agli altri programmi previsti in California, New Mexico e in Australia. Chiediamo ai leader di sviluppare e rafforzare l'ETS, e di prevedere un ampliamento di tale schema, includendovi altri settori. Esortiamo i leader ad adoperarsi perché si crei un mercato globale del carbonio, ove sia possibile, collegando lo schema europeo con gli altri che emergono nel mondo, a un mercato più profondo e più liquido, contribuendo a ridurre le emissioni al minor costo possibile.

11. L'efficienza energetica è il modo più vantaggioso sul piano economico per ridurre le emissioni di gas serra. L'Agenzia Internazionale per l'Energia calcola che, da soli, i miglioramenti sul piano dell'efficienza energetica nel 2050 potranno ridurre la domanda mondiale di energia di una quantità equivalente a quasi il 50 per cento dell'odierno consumo globale di energia, se i governi saranno pronti ad attuare misure che incoraggino gli investimenti in tecnologie ad efficienza energetica. Esiste anche un potenziale per l'introduzione di misure di risparmio energetico nelle aziende e nelle abitazioni.

12. La Banca Mondiale calcola che l'adattamento agli inevitabili impatti dei cambiamenti climatici richiederà un'ulteriore spesa compresa tra i 10 e i 40 miliardi di dollari l'anno. Se non ci muoviamo adesso per ridurre le emissioni, questa cifra aumenterà in modo impressionante e ci saranno impatti gravi sulla sanità pubblica e sulla disponibilità delle risorse essenziali, inclusa l'acqua. L'adattamento deve riguardare primariamente le politiche di sviluppo e dovrebbe essere legato all'Aiuto per lo sviluppo ai paesi terzi (Overseas Development Aid) e sostenuto da meccanismi finanziari integrati.

13. Al fine di assicurare la realizzazione dell'obiettivo a lungo termine, esortiamo i governi del G8 e dei paesi +5 affinché, in occasione del Vertice G8 a Heiligendamm, concordino sugli elementi principali di un quadro post 2012 e chiedano che i negoziati mondiali su tale quadro siano avviati alla riunione di Bali del UNFCCC a novembre, per essere conclusi nel 2009. Proponiamo che questi elementi comprendano quanto segue:

a) obiettivi a lungo termine per i Paesi sviluppati;

b) obiettivi adeguati per le economie in via di sviluppo;

c) incentivi per le misure che riducano la deforestazione;

d) incentivi per politiche e misure di sviluppo sostenibile nei Paesi in via di sviluppo;

e) programmi concentrati sul rafforzamento delle capacità, sull'accesso alle tecnologie e sugli incentivi economici per aiutare i Paesi in via di sviluppo a investire in tecnologie più efficienti e a basso impiego di carbonio;

f) per i più vulnerabili tra i paesi in via di sviluppo, un maggiore accesso ai dati sul clima, alla ricerca cooperativa sulle tecnologie essenziali per l'adeguamento nei settori agricolo e sanitario, dando priorità alla prevenzione dei disastri naturali e una maggiore rispondenza alla variabilità climatica.

 


 


 

 

COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

Bruxelles, 10.1.2007

COM(2007) 1definitivo

 

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO EUROPEO E AL PARLAMENTO EUROPEO

UNA POLITICA ENERGETICA PER L'EUROPA

{SEC(2007) 12}


INDICE

1.   Le sfide................................................................................................................................ 69

1.2........ Sicurezza dell'approvvigionamento................................................................................

1.3........ Competitività................................................................................................................

2.   Un obiettivo strategico per guidare la politica energetica dell'Europa.......................................

3.   Piano d'azione.......................................................................................................................

3.1........ Il mercato interno dell'energia........................................................................................

3.2........ Solidarietà tra Stati membri e sicurezza dell'approvvigionamento di petrolio, gas e elettricità

3.3........ L'impegno a lungo termine per la riduzione delle emissioni di gas serra e il sistema comunitario di scambio di diritti di emissione..................................................................................................................

3.4........ Un programma ambizioso di misure a favore dell'efficienza energetica a livello comunitario, nazionale, locale e internazionale................................................................................................................

3.5........ Un obiettivo a più lungo termine per le fonti di energia rinnovabili....................................

3.6........ Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche..............................................

3.7........ Verso un uso di combustibili fossili a basse emissioni di CO2..........................................

3.8........ Il futuro dell'energia nucleare.........................................................................................

3.9........ Una politica energetica internazionale che persegue attivamente gli interessi dell'Europa...

3.10...... Monitoraggio e notifiche efficaci....................................................................................

4........... Portare avanti il lavoro..................................................................................................

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO EUROPEO E AL PARLAMENTO EUROPEO

 

UNA POLITICA ENERGETICA PER L'EUROPA

"A tal fine, i ministri hanno convenuto i seguenti obiettivi:……. mettere a disposizione delle economie europee una quantità maggiore di energia a prezzi più convenienti …."

Dichiarazione di Messina, 1955

1.1. Le sfide

L'energia costituisce un elemento fondamentale per il funzionamento dell'Europa. Purtroppo i giorni dell'energia a buon mercato sembrano essere finiti. Tutti i membri dell'Unione europea devono adesso affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici, dalla crescente dipendenza dalle importazioni e dai prezzi più elevati dell'energia. Inoltre l'interdipendenza degli Stati membri comunitari, in materia di energia come in numerosi altri settori, non fa che aumentare - un'interruzione dell'approvvigionamento di energia in un paese ha immediate conseguenze in altri paesi.

L'Europa deve agire adesso per garantire un'energia sostenibile, sicura e competitiva. Così facendo l'UE ritornerebbe alle sue origini. Nel 1952 con il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e nel 1957 con il trattato Euratom, gli Stati membri fondatori avvertirono l'esigenza di adottare un approccio comune nel settore dell'energia. I mercati energetici e le considerazioni geopolitiche sono notevolmente cambiati da allora, ma l'esigenza di un'azione comunitaria è più pressante che mai. Se l'UE non agisce, anche i suoi obiettivi in altre aree, tra cui la Strategia di Lisbona e gli Obiettivi di sviluppo del millennio, saranno più difficili da conseguire. La nuova politica energetica europea deve essere ambiziosa, competitiva e a lungo termine – a beneficio di tutti gli europei.

1.1.1.1 Sostenibilità

1.2.L'energia è all'origine dell'80% di tutte le emissioni di gas serra nell'UE[39], ed è alla base dei cambiamenti climatici e, in massima parte, dell'inquinamento atmosferico. L'UE si è impegnata ad affrontare questa problematica - riducendo le emissioni nell'UE e a livello mondiale per portarle ad un valore che limiterebbe l'aumento delle temperature mondiali a 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, con le politiche vigenti in materia di energia e trasporti, le emissioni di CO2 nell'UE, invece di diminuire, aumenterebbero di circa il 5% da qui al 2030 e le emissioni mondiali aumenterebbero del 55%. Le attuali politiche energetiche dell'Unione europea in materia di energia non sono sostenibili.
1.2 Sicurezza dell'approvvigionamento

L'Europa dipende sempre più dalle importazioni di idrocarburi. Se si manterranno le tendenze attuali la sua dipendenza dalle importazioni di energia passerebbe dal 50% del consumo energetico totale attuale dell'UE al 65% nel 2030. La dipendenza dalle importazioni di gas dovrebbe aumentare dal 57% all'84% entro il 2030 e dalle importazioni di petrolio dall'82% al 93%.

Questa dipendenza comporta rischi politici ed economici in quanto la pressione sulle risorse energetiche mondiali è particolarmente forte. L'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) prevede che la domanda mondiale di petrolio aumenterà del 41% da qui al 2030. Non si sa come questa domanda sarà soddisfatta: l'AIE nell'edizione del 2006 del suo "World Energy Outlook" dichiara che la capacità e la volontà dei maggiori produttori di gas e petrolio di aumentare gli investimenti per far fronte alla crescente domanda sono del tutto incerte[40]. Aumenta il rischio di un'interruzione dell'approvvigionamento

Oltretutto non esistono ancora i meccanismi che garantiscono la solidarietà tra gli Stati membri qualora si verifichi una crisi energetica e vari Stati membri dipendono, in larga misura o completamente, da un unico fornitore di gas.

Nello stesso tempo, la domanda di energia elettrica dell'UE, ipotizzando una situazione stabile, aumenta di circa 1,5% l'anno. Anche in presenza di un'adeguata politica in materia di efficienza energetica, per la sola produzione saranno necessari, nei prossimi 25 anni, investimenti pari a 900 miliardi di euro. La prevedibilità e i mercati interni del gas e dell'elettricità efficaci, che ancora non esistono, sono indispensabili per realizzare gli investimenti a lungo termine necessari.

1.3.1.3 Competitività

L'UE risente sempre più degli effetti della volatilità dei prezzi, degli aumenti di prezzo nei mercati energetici internazionali e delle conseguenze della graduale concentrazione delle riserve di idrocarburi nelle mani di pochi. I potenziali effetti sono considerevoli: se, per esempio, il petrolio aumentasse a 100 $ il barile nel 2030, la fattura delle importazioni totali di energia dell'UE-27 aumenterebbero di circa 170 miliardi, equivalente ad un aumento annuo pari a 350 euro per ciascun cittadino dell'UE[41]. Solo una minima parte di questo trasferimento di ricchezza risulterebbe in posti di lavoro supplementari nell'Unione europea.

Previa l'istituzione della politica e dei quadri legislativi adeguati, il mercato interno dell'energia potrebbe incentivare prezzi e risparmi energetici equi e competitivi, nonché maggiori investimenti. Tuttavia, non sono ancora riunite tutte le condizioni necessarie e ciò impedisce ai cittadini e all'economia dell'Unione europea di beneficiare pienamente dei vantaggi della liberalizzazione dell'energia. Occorre stabilire un orizzonte di più lungo termine per le restrizioni sulle emissioni di carbonio al fine di incentivare gli investimenti necessari nel settore dell'elettricità.

Il rafforzamento degli investimenti, in particolare a favore dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili, dovrebbe creare posti di lavoro e promuovere l'innovazione e l'economia
della conoscenza nell'UE. L'Unione europea è già il leader mondiale nel settore delle energie rinnovabili con un fatturato di 20 miliardi di euro e 300 000 posti di lavoro
[42]. Possiede il potenziale per guidare il mercato mondiale delle tecnologie energetiche a basse emissioni carbonio in rapida crescita. Nel settore dell'energia eolica, ad esempio, le imprese UE dominano il 60% del mercato mondiale. La volontà dell'Europa di continuare a guidare la lotta mondiale contro i cambiamenti climatici offre la possibilità di orientare meglio i programmi di ricerca mondiali. Occorre mantenere tutte le opzioni al fine di garantire lo sviluppo di tecnologie emergenti.

Nello stesso tempo, in tutte le fasi della concezione e dell'attuazione delle singole misure, si deve tenere conto della dimensione sociale della politica energetica europea. Questa politica dovrebbe contribuire in generale alla crescita e all'occupazione in Europa sul lungo termine, ma potrebbe avere un impatto considerevole su alcuni prodotti e processi del commercio internazionale, in particolare per i settori industriali ad alta intensità energetica.

2.2 Un obiettivo strategico per guidare la politica energetica dell'Europa

Il punto di partenza di una politica energetica europea comporta tre aspetti diversi: lotta contro i cambiamenti climatici, limitazione della vulnerabilità esterna dell'UE nei confronti delle importazioni di idrocarburi e promozione dell'occupazione e della crescita, in modo da fornire ai consumatori un'energia sicura a prezzi accessibili.

Alla luce dei numerosi contributi pervenuti durante il periodo di consultazione sul suo Libro verde[43], la Commissione propone, nella presente analisi strategica della situazione energetica, che la politica energetica si fondi sugli elementi seguenti:

·un obiettivo per l'Unione europea, nei negoziati internazionali, di ridurre del 30% le emissioni di gas serra dal qui al 2020 (rispetto ai livelli del 1990); inoltre le emissioni di gas serra a livello mondiale dovranno, da qui al 2050, essere ridotte del 50% rispetto al 1990 e ciò presuppone riduzioni che vanno dal 60 all'80% nei paesi industrializzati nello stesso periodo;

·un impegno da parte dell'UE di conseguire comunque una riduzione di almeno 20% dei gas serra nel 2020 rispetto ai valori del 1990.

Questi elementi sono al centro della comunicazione della Commissione "Limiting Climate Change to 2° - Policy Options for the EU and the world for 2020 and beyond"[44].

Il rispetto dell'impegno preso dall'UE di agire subito sui gas serra dovrebbe essere al centro della nuova politica energetica europea per tre motivi: (i) le emissioni di CO2 dovute all'utilizzazione dell'energia costituiscono l'80% delle emissioni di gas serra nell'UE, ridurre le emissioni significa utilizzare meno energia e utilizzare più energia pulita prodotta a livello


locale; (ii) limitare la crescente esposizione dell'UE alla volatilità e all'aumento dei prezzi del petrolio e del gas e (iii) promuovere l'istituzione di un mercato energetico più competitivo a livello dell'UE, incentivare l'innovazione e le tecnologie e promuovere l'occupazione.

Considerati nell'insieme, questo obiettivo strategico e le misure concrete per conseguirlo (illustrate qui di seguito) rappresentano il nucleo centrale di una nuova politica energetica europea.

3.3. Piano d'azione

Per conseguire l'obiettivo strategico summenzionato occorre trasformare l'Europa in un'economia ad elevata efficienza energetica e basse emissioni di CO2, favorendo una nuova rivoluzione industriale che acceleri la transizione verso una crescita a basse emissioni di carbonio e producendo, nel corso degli anni, un aumento spettacolare della quantità di energia locale a basse emissioni prodotta ed utilizzata. La sfida consiste nel farlo in un modo che ottimizzi gli incrementi di competitività potenziali per l'Europa e limiti i potenziali costi.

Le misure esistenti in settori come l'energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, i biocarburanti, l'efficienza energetica e il mercato interno dell'energia hanno già prodotto risultati importanti, ma non sono sufficientemente coerenti per garantire la sostenibilità, la sicurezza dell'approvvigionamento e la competitività. Nessun elemento della politica può apportare da solo tutte le risposte e per questo i vari aspetti devono essere considerati nel loro insieme. Ad esempio, come già menzionato, occorre tenere conto della dimensione sociale in tutte le fasi di concezione e attuazione delle singole misure[45]; inoltre sarà necessario sviluppare ulteriormente lo sfruttamento dei mari e degli oceani per conseguire gli obiettivi energetici dell'UE, dato il loro potenziale di sostegno alla produzione di energia e alla diversificazione delle vie e dei modi di trasporto dell'energia[46]. In primo luogo si tratterà per gli Stati membri di approvare una visione strategica e un piano d'azione per i prossimi tre anni al preciso scopo di procedere verso un'alleanza internazionale di paesi sviluppati al fine, quanto meno, di ridurre le emissioni globali dei gas serra del 30% entro il 2020 e contribuire in modo significativo alla riduzione delle emissioni dei gas serra nell'UE di 20% da qui al 2020. Questo approccio comporterà un attento monitoraggio e l'elaborazione di relazioni sui progressi realizzati nonché uno scambio efficace di buone pratiche e una costante trasparenza – attraverso la presentazione regolare, da parte della Commissione, di un aggiornamento dell'analisi strategica della politica energetica.

Le misure presentate qui di seguito non solo metteranno l'UE sulla strada che le consentirà di diventare un'economia della conoscenza a basse emissioni di carbonio, ma renderanno più sicuro l'approvvigionamento energetico e contribuiranno a rafforzare gradualmente la competitività.

3.1.3.1 Il mercato interno dell'energia

Un vero mercato interno dell'energia è indispensabile per conseguire i tre obiettivi dell'Europa in materia di energia presentati qui di seguito.


·§  Competitività: un mercato competitivo permetterà di ridurre i costi per i cittadini e le imprese e favorirà l'efficienza energetica e gli investimenti.

·§  Sostenibilità: un mercato competitivo è essenziale affinché gli strumenti economici producano i loro effetti, in particolare il sistema di scambio di quote di emissione. I gestori delle reti di trasporto, inoltre, devono avere interesse a promuovere il collegamento a fonti rinnovabili, la produzione combinata di calore ed energia elettrica e la produzione su piccolissima scala che incentiverebbero l'innovazione ed incoraggerebbero le piccole imprese e i cittadini a prendere in considerazione fonti di approvvigionamento non tradizionali.

·§  Sicurezza dell'approvvigionamento: l'esistenza di un mercato interno dell'energia efficace e competitivo può offrire notevoli vantaggi in termini di sicurezza dell'approvvigionamento e di servizio pubblico dotato di norme rigorose. La separazione effettiva delle reti dalle parti aperte alla concorrenza nei settori del gas e dell'elettricità incentiva concretamente le imprese ad investire in nuove infrastrutture e in nuove capacità di interconnessione e produzione, e consente pertanto di evitare nuovi black-out e impennate dei prezzi immotivate. Un vero mercato unico favorisce la diversità.

La CE ha già adottato una serie di misure[47] destinate ad istituire un mercato interno dell'energia che offra veramente delle opzioni a tutti i consumatori dell'UE, cittadini o imprese, nuovi sbocchi alle imprese e più scambi transfrontalieri.

La comunicazione sul mercato interno dell'energia[48] e la relazione finale sull'indagine settoriale in materia di concorrenza[49] dimostrano che le regole e le misure attuali non hanno ancora consentito di conseguire questi obiettivi. Questa assenza di progressi sembra indurre gli Stati membri ad imporre massimali generalizzati dei prezzi dell'elettricità e del gas. In funzione dei livelli di questi massimali e della loro portata generale o meno, possono impedire al mercato interno dell'energia di funzionare ed eliminano anche qualsiasi segnale di prezzo circa l'esigenza di nuove capacità, determinando sottoinvestimenti e futuri problemi di approvvigionamento. Inoltre possono ostacolare la penetrazione nel mercato dei nuovi operatori, ivi compresi quelli che offrono energia pulita.

Alla luce delle numerose osservazioni pervenute nel periodo di consultazione sul Libro verde, la Commissione ritiene che questa situazione debba cambiare. Occorre adottare una serie coerente di misure al fine di istituire entro tre anni una Rete europea del gas e dell'elettricità e istituire un mercato energetico veramente concorrenziale su scala europea.

A tal fine, la Commissione ha stabilito i requisiti seguenti.


3.1.1.3.1.1 Separazione (unbundling)

La relazione sul mercato interno e l'indagine settoriale indicano che esiste un rischio di discriminazione e abuso quando le imprese controllano nello stesso tempo le reti energetiche e la produzione o la vendita di energia, proteggendo i mercati nazionali e impedendo la concorrenza. Una situazione di questo tipo scoraggia anche le imprese verticalmente integrate ad investire adeguatamente nelle loro reti, in quanto aumentando la capacità della rete la concorrenza che esiste sul loro "mercato domestico" aumenta e i prezzi di mercato scendono.

La Commissione ritiene che si possano considerare due opzioni per porre rimedio a tale situazione: il ricorso ad un operatore di rete del tutto indipendente (sistema in cui l'impresa verticalmente integrata rimane proprietaria degli attivi di rete e percepisce per questi una remunerazione regolamentata, ma non ne assicura l'esercizio, la manutenzione o lo sviluppo) o la separazione della proprietà (il famoso unbundling) (in cui le imprese di rete sono completamente separate dalle imprese di distribuzione e produzione)[50].

Le informazioni economiche disponibili suggeriscono che la separazione della proprietà costituisce il mezzo più efficace per garantire una scelta ai consumatori e incentivare gli investimenti, in quanto crea una rete di imprese che non sono condizionate da interessi legati alla fornitura/produzione che condizionano le loro decisioni in materia di investimenti; la separazione non richiede una regolamentazione dettagliata, complessa e vincolante e non impone modifiche amministrative sproporzionate.

L'approccio che prevede un gestore di rete indipendente sarebbe preferibile allo statu quo, ma la sua realizzazione comporta una regolamentazione dettagliata, complessa e vincolante ed è meno efficace per eliminare gli elementi che scoraggiano gli investimenti nelle reti.

Inoltre è opportuno riesaminare le disposizioni relative alla separazione delle attività di distribuzione, che attualmente esentano i distributori con meno di 100 000 clienti dalla maggior parte dei requisiti di separazione.

3.1.2.3.1.2 Regolamentazione efficace

Innanzitutto occorre armonizzare i livelli di potere e di indipendenza dei regolatori dell'energia, sulla base del massimo (e non del minimo) denominatore comune dell'UE. In seguito occorre affidare loro il compito di promuovere non solo l'adeguato sviluppo del loro mercato nazionale, ma anche quello del mercato interno dell'energia.

Si devono altresì armonizzare le norme tecniche necessarie per consentire l'adeguato funzionamento del commercio transfrontaliero. Su questo aspetto si sono fatti pochissimi passi avanti. L'istituzione dell'ERGEG (Gruppo europeo dei regolatori per il gas e l'elettricità) e la regolamentazione dell'elettricità e del gas non hanno garantito la governance necessaria. La maggior parte delle norme tecniche pertinenti differiscono ancora da uno Stato membro all'altro, rendendo gli scambi transfrontalieri difficili, se non impossibili. Tre opzioni meritano di essere considerate.


·§  Evoluzione progressiva dell'approccio attuale: rafforzare la collaborazione tra i regolatori nazionali imponendo agli Stati membri di assegnare ai regolatori nazionali un obiettivo comunitario e introdurre un meccanismo che consenta alla Commissione di esaminare alcune decisioni dei regolatori nazionali che hanno un impatto sul mercato interno dell'energia[51].

·§  Rete europea di regolatori indipendenti (“ERGEG+”): nell'ambito di questo sistema, sarebbe ufficializzato il ruolo dell'ERGEG che dovrebbe strutturare delle decisioni vincolanti per i regolatori e gli operatori del mercato interessati, come gli operatori di rete, le borse elettriche o i generatori di energia, riguardanti aspetti tecnici particolari e meccanismi relativi alle questioni transfrontaliere.

·§  Istituzione di un nuovo organo unico a livello comunitario incaricato, in particolare, di adottare decisioni individuali per il mercato comunitario del gas e dell'elettricità riguardanti aspetti tecnici e di regolamentazione importanti per consentire un funzionamento efficace egli scambi transfrontalieri[52].

Esiste una relazione tra separazione e regolazione. I mercati in cui non si è arrivati alla separazione della proprietà richiedono una regolamentazione più dettagliata, complessa e prescrittiva. In tali situazioni i regolatori nazionali devono disporre di poteri più vincolanti ed ampi per evitare qualsiasi discriminazione. Tuttavia, i regolatori non potranno mai eliminare completamente gli ostacoli che scoraggiano gli investimenti adeguati nelle reti in cui non vige la separazione della proprietà.

Per quanto riguarda le tre opzioni, la Commissione ritiene che la prima, ossia l'evoluzione progressiva dell'approccio attuale, non basterebbe, soprattutto perché i progressi continuerebbero a basarsi su un accordo volontario tra i 27 regolatori nazionali i cui interessi sono spesso divergenti. Pertanto l'approccio minimo in grado di determinare progressi rapidi e reali nell'armonizzazione degli aspetti tecnici necessari per l'adeguato funzionamento del commercio transfrontaliero sarebbe l'approccio ERGEG+.

In attesa che sia presa e attuata una decisione ufficiale, i regolatori dovrebbero essere incoraggiati a collaborare più strettamente per utilizzare i poteri di cui beneficiano in un modo più efficace, su base volontaria.

3.1.3.3.1.3 Trasparenza

La trasparenza è indispensabile per un corretto funzionamento del mercato. Attualmente gli operatori di reti di trasporto comunicano informazioni di vari livelli, rendendo la concorrenza per i nuovi operatori più agevole in alcuni mercati rispetto ad altri. Inoltre, alcuni regolatori impongono ai produttori una maggiore trasparenza per quanto concerne la disponibilità di produzione rispetto ad altri; tale obbligo può contribuire ad evitare la manipolazione dei


prezzi. Occorre stabilire requisiti minimi che tutte le imprese UE dovranno rispettare, simili a quelli adottati nel settore delle telecomunicazioni[53].

3.1.4.3.1.4 Infrastrutture

Il piano di interconnessione prioritario[54] stabilisce cinque priorità:

·§  individuare le infrastrutture mancanti più importanti da qui al 2013 e garantire un sostegno politico paneuropeo per colmare le lacune;

·§  nominare quattro coordinatori europei per seguire quattro dei più importanti progetti prioritari: il collegamento della rete elettrica tra Germania, Polonia e Lituania; i collegamenti con i parchi eolici off-shore in Europa settentrionale; le interconnessioni elettriche tra Francia e Spagna; e il gasdotto Nabucco, che trasporta gas dal Mar Caspio all'Europa centrale;

·§  stabilire di comune accordo un periodo massimo di 5 anni entro il quale le procedure di pianificazione e approvazione dovranno essere completate per i progetti definiti "di interesse europeo" nell'ambito degli orientamenti relativi alle reti transeuropee nel settore dell'energia;

·§  valutare la necessità di aumentare il finanziamento delle reti transeuropee di energia, in particolare per agevolare l'integrazione nella rete dell'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili; e

·§  istituire un nuovo meccanismo e una nuova struttura comunitari per gli operatori di reti di trasporto (TSO) responsabili della pianificazione coordinata delle reti.

3.1.5.3.1.5 Sicurezza delle reti

Per rafforzare l'affidabilità del sistema elettrico dell'UE e prevenire i black out, le esperienze recenti hanno evidenziato la necessità di norme di sicurezza comuni minime e vincolanti per le reti dell'Unione europea. Uno dei compiti del nuovo meccanismo e della nuova struttura comunitari per gli operatori delle reti di trasporto dovrebbe essere proprio proporre norme di questo tipo che diventerebbero vincolanti, previa l'approvazione dei regolatori di energia.

3.1.6.3.1.6 Adeguamento delle capacità di produzione di elettricità e di approvvigionamento di gas

Nel corso dei prossimi 25 anni, l'Europa dovrà investire 900 miliardi di euro in nuove capacità di produzione elettrica. Il gas rimane un ottimo combustibile, visto la sua elevata efficienza energetica, ma richiederà anch'esso degli investimenti pari a 150 miliardi di euro destinati alle centrali elettriche a gas e 220 miliardi di euro supplementari destinati alle infrastrutture. Per garantire un livello adeguato di nuovi investimenti, occorre innanzitutto fare in modo che il mercato interno dell'energia funzioni correttamente e lanci adeguati segnali in materia di investimento. Inoltre, è necessario anche un controllo accurato


dell'equilibrio tra offerta e domanda al fine di individuare eventuali carenze. Si tratterà di un ruolo fondamentale del nuovo ufficio dell'Osservatorio dell'energia (cfr. qui di seguito).

3.1.7.3.1.7 L'energia in qualità di servizio pubblico

L'energia è essenziale per tutti i cittadini europei. La legislazione europea in vigore prevede già il rispetto di oneri di servizio pubblico. L'Unione europea deve però compiere passi avanti nella lotta contro la "povertà energetica". La Commissione elaborerà una Carta del cliente nel settore dell'energia che si prefiggerà quattro grandi obiettivi:

·§  contribuire all'istituzione di regimi di aiuto per consentire ai cittadini dell'UE più vulnerabili di far fronte all'aumento dei prezzi dell'energia;

·§  migliorare il livello minimo di informazione di cui dispongono i cittadini per aiutarli a scegliere tra i vari fornitori e le opzioni di approvvigionamento;

·§  ridurre le formalità amministrative che i clienti devono svolgere per cambiare fornitore;

·§  proteggere i clienti dalle pratiche di vendita sleali.

3.2.3.2 Solidarietà tra Stati membri e sicurezza dell'approvvigionamento di petrolio, gas e elettricità

Il mercato interno dell'energia rafforza l'interdipendenza degli Stati membri in materia di approvvigionamento di elettricità e di gas. Nonostante gli obiettivi stabiliti in materia di efficienza energetica e di utilizzazione di fonti di energia rinnovabili, il petrolio e il gas continueranno a soddisfare oltre la metà del fabbisogno energetico dell'Unione, determinando una forte dipendenza dalle importazioni in entrambi i settori (oltre il 90% per il petrolio e circa l'80% per il gas nel 2030). La produzione di elettricità si baserà in larga misura sul gas. In assenza di progressi tecnologici straordinari, il petrolio manterrà una posizione dominate nel settore dei trasporti. La sicurezza dell'approvvigionamento di questi due combustibili resterà, pertanto, fondamentale per l'economia dell'UE.

L'Unione europea vanta solidi e fruttuosi rapporti con i fornitori di gas tradizionali all'interno dello Spazio economico europeo (SEE), in particolare la Norvegia, all'esterno, in particolare la Russia e l'Algeria, e confida nel rafforzamento di tali rapporti in futuro. Tuttavia per l'UE è importante promuovere la diversità in termini di fonti di approvvigionamento, fornitori, itinerari di trasporto e metodi di trasporto. Occorre inoltre istituire meccanismi adeguati per garantire la solidarietà tra Stati membri in caso di crisi energetica, tanto più che vari Stati membri dipendono, in larga misura o completamente, da un unico fornitore di gas.

La sicurezza energetica dovrebbe essere incentivata in diversi modi:

·§  Occorrono misure per aiutare gli Stati membri, che dipendono in misura eccessiva da un unico fornitore di gas, a diversificare le loro fonti di approvvigionamento. La Commissione controllerà l'attuazione della direttiva sulla sicurezza dell'approvvigionamento di gas[55], da poco recepita negli ordinamenti nazionali, e ne valuterà l'efficacia. Occorrerà elaborare progetti per trasportare il gas proveniente da altre regioni, istituire nuovi "hub" (snodi) del gas in Europa centrale e nei paesi Baltici, avvalersi in modo più adeguato delle possibilità di stoccaggio strategico ed agevolare la costruzione di nuovi terminali di gas naturale liquefatto. Si dovrebbero anche esaminare le modalità per rafforzare i meccanismi di solidarietà in caso di crisi, come la rete di "corrispondenti dell'energia" e il gruppo di coordinamento per il gas. D'altra parte l'istituzione di riserve strategiche di gas contribuirebbe a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento. I considerevoli investimenti in capacità di stoccaggio e condotte nuove, necessarie per garantire un livello più elevato di sicurezza, devono essere valutati rispetto ai costi che ciò comporterebbe per i consumatori.

·§  Il meccanismo dell'UE in materia di riserve petrolifere strategiche, coordinato con le riserve di altri paesi dell'OCSE attraverso l'AIE, funziona adeguatamente e dovrebbe essere mantenuto. Si potrebbe tuttavia migliorare il modo in cui l'UE gestisce il suo contributo a questo meccanismo. I requisiti imposti agli Stati membri in materia di rendicontazione dovrebbero essere rinforzati; occorrerebbe analizzare più da vicino l'adeguatezza delle riserve e garantire un miglior coordinamento quando l'AIE invita a sbloccare delle riserve. La Commissione analizzerà queste problematiche nel 2007.

·Le interconnessioni elettriche (cfr. il punto 3.1.4) e delle norme rigorose e vincolanti in materia di affidabilità costituiranno il terzo elemento di questo approccio, in particolare per affrontare i problemi legati alla sicurezza dell'approvvigionamento di elettricità.

3.3.3.3 L'impegno a lungo termine per la riduzione delle emissioni di gas serra e il sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione

L'UE è tradizionalmente a favore del ricorso a strumenti economici per internalizzare i costi esterni, in quanto consentono al mercato di stabilire le modalità di reazione più efficaci e meno costose. In particolare, nella comunicazione Limiting Climate Change to 2° - Policy Options for the EU and the world for 2020 and beyond, la Commissione ha spiegato che il meccanismo di scambio dei diritti di emissione è e deve rimanere un meccanismo chiave per incentivare le riduzioni di emissioni di carbonio e che potrebbe essere utilizzato come base per le iniziative internazionali di lotta contro i cambiamenti climatici. La Commissione sta attualmente riesaminando il sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione affinché tutte le sue possibilità possano essere sfruttate in modo ottimale: ciò è fondamentale per creare gli incentivi necessari per indurre dei cambiamenti nei modi di produzione e di consumo dell'energia in Europa.

3.4.3.4 Un programma ambizioso di misure a favore dell'efficienza energetica a livello comunitario, nazionale, locale e internazionale

Per i cittadini europei, l'efficienza energetica è l'elemento saliente di una politica energetica europea. Il miglioramento dell'efficienza energetica può contribuire notevolmente allo sviluppo sostenibile, alla competitività e alla sicurezza dell'approvvigionamento.

Il 19 ottobre 2006 la Commissione ha adottato un piano d'azione per l'efficienza energetica[56] le cui misure specifiche dovrebbero permettere all'UE di imboccare la strada giusta per conseguire l'obiettivo chiave consistente a ridurre, da qui al 2020, del 20% il consumo globale
di energia primaria. In caso di successo, l'UE dovrebbe riuscire a consumare quasi il 13% di energia in meno rispetto a oggi, con un risparmio di 100 miliardi di euro e di circa 780 miliardi di tonnellate di CO2 l'anno. Ciò richiederà sforzi notevoli in termini di cambiamento di comportamenti, ma anche di investimenti supplementari.

Le misure principali sono:

·§  incentivare l'impiego di veicoli efficienti sotto il profilo dei consumi, fare un uso migliore dei trasporti pubblici e garantire che i consumatori sostengano i costi reali dei trasporti[57];

·§  introdurre norme più rigorose e una migliore etichettatura delle apparecchiature;

·§  migliorare rapidamente il rendimento energetico degli edifici esistenti dell'UE e impegnarsi affinché nella costruzione di nuovi edifici le "case a bassissimo consumo energetico" diventino la norma;

·§  garantire un uso coerente della politica fiscale per favorire un uso più efficiente dell'energia;

·§  migliorare l'efficienza della produzione, del trasporto e della distribuzione di calore e elettricità;

·§  concludere un nuovo accordo internazionale sull'efficienza energetica al fine di incoraggiare l'impegno comune.

Un nuovo accordo internazionale sull'efficienza energetica

Un accordo di questo tipo potrebbe riunire i paesi dell'OCSE e i principali paesi in via di sviluppo (come la Cina, l'India e il Brasile) al fine di limitare l'utilizzo di prodotti che non soddisfano dei criteri minimi e stabilire approcci comuni per i risparmi energetici. Nel 2007 l'UE potrebbe presentare ufficialmente una proposta che potrebbe essere discussa e portata avanti nell'ambito di una grande conferenza internazionale sull'efficienza energetica durante la presidenza tedesca del G8. L'obiettivo potrebbe essere firmare l'accordo durante le Olimpiadi di Pechino. Le potenzialità di risparmio energetico e di riduzione della CO2 sono enormi – secondo l'AIE il miglioramento dell'efficienza energetica da solo consentirebbe una riduzione pari a circa il 20% delle attuali emissioni mondiali di CO2 .

3.5.3.5 Un obiettivo a più lungo termine per le fonti energetiche rinnovabili

Nel 1997 l'Unione europea ha iniziato a adottare misure affinché la percentuale di energia derivante da fonti rinnovabili arrivasse, entro il 2010, al 12% dell'insieme di fonti energetiche utilizzate, percentuale che costituiva un raddoppio rispetto ai livelli del 1997. Da allora la produzione di energia da fonti rinnovabili è aumentata del 55%, ma l'UE probabilmente non conseguirà l'obiettivo che si era prefissata. Verosimilmente la quota dell'energia da fonti rinnovabili non supererà il 10% nel 2010. Il motivo principale del mancato conseguimento degli obiettivi stabiliti in materia di energia rinnovabile - oltre ai costi attualmente più elevati delle fonti di energia rinnovabili rispetto alle fonti di energia "tradizionali" – è l'assenza di un quadro strategico coerente ed efficace nell'Unione europea e di una visione di lungo termine stabile. Per questi motivi, solo pochi Stati membri hanno realizzato veri progressi in questo settore, e non è stato possibile conseguire la massa critica necessaria per generalizzare la produzione di energia a partire da fonti rinnovabili che adesso è confinata in alcuni settori economici.

L'UE deve accelerare il ritmo per offrire una visione a lungo termine credibile del futuro delle fonti energetiche rinnovabili nel suo territorio, basandosi sugli strumenti esistenti, in particolare la direttiva sulle fonti di energia rinnovabili. Si tratta di un passo fondamentale per conseguire gli obiettivi attuali[58] e suscitare ulteriori investimenti, innovazione e nuovi posti di lavoro. La politica in materia di energie rinnovabili deve raccogliere una sfida: occorre trovare il giusto equilibrio tra installare, oggi, grandi capacità di produzione e attendere che i ricercatori trovino, domani, soluzioni adeguate per ridurne i costi. Nella ricerca di questo equilibrio occorre tenere conto dei fattori seguenti:

·§  oggi l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili è generalmente più costoso dell'uso degli idrocarburi, ma lo scarto si sta riducendo – soprattutto se tiene conto anche dei costi dei cambiamenti climatici;

·§  le economie di scala possono determinare una riduzione dei costi delle energie rinnovabili ma ciò richiede oggi importanti investimenti;

·§  le energie rinnovabili contribuiscono a migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico dell'UE aumentando la parte di energia "domestica", diversificano il mix energetico e le fonti delle importazioni, aumentano la quota di energie provenienti da regioni politicamente stabili e creano nuovi posti di lavoro in Europa;

·§  le fonti di energia rinnovabili emettono una quantità ridotta di gas serra o non ne emettono affatto e la maggior parte di esse apportano notevoli benefici in termini di qualità dell'aria.

Alla luce delle informazioni pervenute nel corso della consultazione pubblica e della valutazione d'impatto, la Commissione propone nella sua Tabella di marcia per le fonti di energia rinnovabili[59] di assumere l'impegno di portare la quota delle fonti di energia rinnovabili nel mix energetico complessivo dell'UE da meno 7 % (attualmente) a 20% entro il 2020. Gli obiettivi per il dopo 2020 sarebbero valutati alla luce dei progressi tecnologici realizzati.

Come fare?

Il conseguimento dell'obiettivo del 20% presuppone una fortissima crescita nei tre settori delle energie rinnovabili: energia elettrica, biocarburanti, riscaldamento e raffreddamento. In tutti i settori, i quadri strategici istituiti in alcuni paesi hanno consentito di ottenere risultati che dimostrano che ciò è possibile.

Le fonti rinnovabili possono potenzialmente fornire circa un terzo dell'elettricità dell'UE da qui al 2020. L'energia eolica copre attualmente circa il 20% del fabbisogno di elettricità in Danimarca, 8% in Spagna e 6% in Germania. Quanto ad altre energie nuove – energia fotovoltaica, energia solare termica, energia maremotrice e energia delle onde – il loro costo dovrebbe diminuire rispetto agli elevati livelli attuali.

Nel settore del riscaldamento e del raffreddamento, si prevedono dei progressi per una serie di tecnologie. La Svezia, ad esempio, possiede oltre 185 000 pompe di calore geotermiche. La Germania e l'Austria sono state le prime a ricorrere in modo significativo all'energia solare per il riscaldamento. Se altri paesi raggiungessero livelli analoghi, la quota dell'energia da fonti rinnovabili per il riscaldamento e il raffreddamento arriverebbe al 50%.

Per quanto riguarda i biocarburanti, il bioetanolo rappresenta già il 4% del mercato degli idrocarburi in Svezia, e la Germania è il numero uno mondiale del biodiesel con il 6% del mercato diesel. Entro il 2020 i biocarburanti potrebbero costituire fino al 14% dei carburanti destinati ai trasporti.

Questo obiettivo del 20% è veramente ambizioso e richiederà un grande impegno da parte di tutti gli Stati membri. Il contributo di ciascun Stato membro per il conseguimento di tale obiettivo dovrà tenere conto delle varie situazioni e dei punti di partenza nazionali, ivi compresa la tipologia dei mix energetici. Gli Stati membri dovrebbero beneficiare di un margine di manovra per promuovere le energie rinnovabili più adatte al loro potenziale e alle loro priorità specifiche. Le modalità di conseguimento degli obiettivi nazionali degli Stati membri dovrebbero essere definite nei piani d'azione nazionali notificati alla Commissione. Questi piani dovrebbero presentare gli obiettivi e le misure settoriali corrispondenti agli obiettivi nazionali globali concordati. Concretamente, nell'attuazione dei loro piani, gli Stati membri dovranno stabilire per l'elettricità, i biocarburanti, il riscaldamento e il raffreddamento i loro obiettivi che saranno esaminati dalla Commissione al fine di garantire che l'obiettivo globale sia conseguito. Nel 2007 la Commissione illustrerà questa struttura in un nuovo pacchetto legislativo sulle fonti energetiche rinnovabili.

Una caratteristica particolare di questo quadro è la necessità di uno sviluppo minimo e coordinato dei biocarburanti nell'insieme dell'UE. Anche se oggi i biocarburanti sono più cari di altre forme di energia rinnovabile e lo resteranno anche nel prossimo futuro, costituiscono per i prossimi 15 anni l'unico strumento disponibile per ridurre notevolmente la dipendenza nei confronti del petrolio nel settore dei trasporti. Nella sua tabella di marcia per le energie rinnovabili e nella sua relazione sull'attuazione della direttiva "Biocarburanti"[60], la Commissione propone pertanto di stabilire un obiettivo minimo vincolante per i biocarburanti che dovrebbero rappresentare il 10% dei carburanti destinati ai veicoli da qui al 2020 e fare in modo che i biocarburanti utilizzati siano, per loro natura, sostenibili sia nel territorio dell'UE che altrove. L'UE dovrebbe invitare i paesi terzi e i loro produttori a conseguire tale obiettivo. Il pacchetto legislativo del 2007 sulle fonti di energia rinnovabili comprenderà inoltre delle misure specifiche destinate ad agevolare la penetrazione nel mercato dei biocarburanti e dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento alimentati da energie rinnovabili. La Commissione proseguirà e rafforzerà l'uso delle energie rinnovabili nell'ambito di altre politiche e misure di accompagnamento, al fine di istituire un vero mercato interno delle energie rinnovabili nell'Unione europea.

Quanto costerà?

Per giungere ad una percentuale del 20% per le energie rinnovabili, occorrerà sostenere un costo annuo medio supplementare di circa 18 miliardi di euro, vale a dire un aumento pari a circa 6% della fattura totale delle importazioni di energia dell'UE prevista per il 2020. Questo calcolo si basa su un prezzo del petrolio di 48 dollari il barile nel 2020; qualora il costo dovesse aumentare a 78 dollari il sovraccosto medio annuo scenderebbe a 10,6 miliardi di euro. Se si tiene conto del prezzo della tonnellata di carbonio di oltre 20 euro, l'obiettivo del 20% avrebbe un costo praticamente pari a quello che comporterebbe il ricorso a fonti energetiche "tradizionali", ma consentirebbe di creare numerosi posti di lavoro in Europa e sviluppare nuove imprese tecnologiche europee.

3.6.3.6 Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche

L'Europa persegue due obiettivi principali in materia di tecnologie energetiche: ridurre il costo delle energie pulite e fare in modo che l'industria europea conquisti una posizione di punta nel settore delle tecnologie a basse emissioni di carbonio, in rapida crescita. Per realizzare questi obiettivi la Commissione proporrà nel 2007 un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche[61]. Questo piano si baserà su una visione a lungo termine al fine di raccogliere la sfida di passare ad un sistema energetico a basse emissioni di carbonio, tutelando nel contempo la competitività.

-            Da qui al 2020, le tecnologie dovranno consentire di realizzare l'obiettivo del 20% di energia prodotta da energie rinnovabili, con un considerevole aumento della quota delle energie rinnovabili meno costose (ivi compresi i parchi eolici off-shore e i biocarburanti di seconda generazione).

-            Da qui al 2030, l'energia elettrica e il calore dovranno essere prodotti in più larga misura da fonti a basse emissioni di carbonio e in grandi centrali elettriche alimentate da combustibili fossili ad emissioni ridottissime, dotate di sistemi di cattura e stoccaggio del CO2. I trasporti dovranno gradualmente essere adattati ai biocarburanti di seconda generazione e alle celle a combustibile a idrogeno.

-            Per il 2050 e oltre, il passaggio del sistema energetico europeo alle tecnologie a basse emissioni di carbonio larga misura da fonti energetiche rinnovabili, dall'utilizzo sostenibile del carbone, del gas e dell'idrogeno e, per gli Stati membri che lo desiderano, dalla fissione nucleare di quarta generazione.

Immaginiamo per il futuro un'Europa che vanta un'economia energetica fiorente e sostenibile, che ha sfruttato tutte le opportunità legate ai pericoli dei cambiamenti climatici e della mondializzazione, che gode di una posizione di primo piano in un insieme diversificato di tecnologie energetiche, pulite ed efficaci e a basse emissioni ed è diventata un motore di prosperità, crescita e creazione di posti di lavoro. Affinché questa visione diventi realtà, l'Unione europea deve agire rapidamente e in maniera concertata, concordando e attuando un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche, dotato di risorse realistiche. Nell'ambito del Settimo programma quadro di ricerca, nell'UE la spesa annuale per le ricerche nel settore dell'energia dovrebbe aumentare del 50% nel corso dei prossimi sette anni, ma ciò non basterà a garantire i progressi necessari. Il piano tecnologico deve essere ambizioso, deve coordinare meglio le spese a livello comunitario e nazionale e stabilire obiettivi chiari, con tabelle di marcia (roadmaps) e tappe fondamentali (milestones) ben definite. Dovrebbe avvalersi di tutti gli strumenti comunitari disponibili, tra cui le "iniziative tecnologiche congiunte" e l'Istituto europeo della tecnologia.

Una tale iniziativa mirata potrebbe perseguire le priorità seguenti:

-            migliorare l'efficienza energetica di edifici, apparecchiature, attrezzature, processi industriali e sistemi di trasporto;

-            sviluppare i biocarburanti, in particolare quelli di seconda generazione, per farne delle alternative perfettamente competitive con gli idrocarburi;

-            garantire in tempi brevi la competitività dei grandi parchi eolici off-shore e preparare la creazione di una super-rete europea off-shore competitiva;

-            rendere l'energia fotovoltaica competitiva al fine di sfruttare l'energia solare;

-            utilizzare le tecnologie delle celle a combustibile e dell'idrogeno e sfruttarne i vantaggi nei trasporti e per la produzione decentrata di energia;

-            sviluppare tecnologie per l'uso sostenibile del gas e dell'elettricità , in particolare la cattura e lo stoccaggio del carbonio (vedi qui di seguito);

-            l'UE dovrebbe mantenere la sua leadership tecnologia nel settore dei reattori nucleari di quarta generazione e nella futura tecnologia di fusione, al fine di incentivare la competitività, la sicurezza interna ed esterna dell'energia nucleare e di ridurre il livello dei rifiuti.

Questi obiettivi settoriali dovrebbero essere completati da tappe fondamentali specifiche e da un aumento delle spese di ricerca nel settore dell'energia. La Commissione proporrà un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche per il Consiglio europeo che si svolgerà nella primavera del 2008.

3.7.3.7 Verso un futuro di combustibili fossili a basse emissioni di CO2

Il carbone e il gas garantiscono il 50% dell'approvvigionamento di elettricità nell'UE e costituiranno indubbiamente una parte fondamentale del nostro mix energetico. Le riserve a lungo termine sono considerevoli, ma, rispetto al gas, il carbone produce circa il doppio di emissioni di CO2. Occorrerà mettere a punto tecnologie del carbone molto meno inquinanti e tecnologie per l'abbattimento della CO2. Inoltre lo sviluppo di tecnologie pulite per il carbone e di cattura e stoccaggio del carbonio è fondamentale a livello internazionale. L'AIE prevede, da qui al 2030, il raddoppio dell'elettricità prodotta dal carbone con il conseguente rilascio di circa 5 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 40% dell'aumento previsto delle emissioni di CO2 legate all'energia a livello mondiale. Oltre al piano tecnologico strategico europeo per le tecnologie energetiche, saranno necessarie altre iniziative per catalizzare le azioni e le attività di ricerca internazionali riguardanti la cattura e lo stoccaggio di CO2.

Per svolgere un ruolo di leadership a livello mondiale, l'UE deve elaborare una visione chiara per l'introduzione delle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, istituire un quadro regolamentare propizio al loro sviluppo e investire più e meglio nella ricerca, lanciando anche iniziative a livello internazionale. In futuro il sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione dovrà anche integrare la cattura e lo stoccaggio.

Come indicato nella comunicazione sulla produzione di elettricità sostenibile[62], la Commissione nel 2007 avvierà dei lavori per:

·§  progettare un meccanismo destinato a incentivare la costruzione e l'esercizio, entro il 2015, di al massimo 12 dimostratori, su grande scala, per tecnologie sostenibili di combustibili fossili per la produzione commerciale di elettricità nell'UE[63];

·§  dare una chiara indicazione sulle date a partire delle quali le centrali elettriche a carbone e gas dovranno dotarsi di sistemi di cattura e stoccaggio del CO2. In base alle informazioni disponibili, la Commissione ritiene che, in linea di massima, entro il 2020 tutte le nuove centrali elettriche al carbone dovranno essere dotate di tali sistemi, mentre le centrali esistenti sarebbe equipaggiate in seguito progressivamente. Benché sia troppo presto per pronunciarsi con certezza in merito, la Commissione spera di essere grado di formulare delle raccomandazioni rigorose non appena possibile.

3.8.3.8 Il futuro dell'energia nucleare

Attualmente circa un terzo dell'elettricità e 15% dell'energia consumata nell'UE proviene dal nucleare che costituisce una delle principali fonti di energia a non produrre biossido di carbonio (CO2) in Europa. L'energia nucleare è stato uno degli strumenti di riduzione delle emissioni di CO2 nell'UE e potrebbe anche far parte, per gli Stati membri che lo desiderino, di uno scenario energetico, per i prossimi decenni, in cui sarà imperativo ridurre considerevolmente le emissioni

L'energia nucleare è meno sensibile alle fluttuazioni del prezzo del combustibile rispetto alla produzione di energia dal carbone e dal gas, in quanto l'uranio rappresenta una piccola parte del costo totale della produzione di energia elettrica, mentre le riserve disponibili bastano per vari decenni e sono presenti nell'insieme del pianeta.

Come indicato nella tabella allegata al presente documento, che descrive i vantaggi e gli inconvenienti delle varie fonti energetiche, l'energia nucleare è una delle fonti di energia a basse emissioni di carbonio meno costose attualmente disponibili nell'Unione europea e i suoi costi sono relativamente stabili[64]. La prossima generazione di reattori nucleari dovrebbe permettere di ridurre ulteriormente questi costi.

Spetta ad ogni Stato membro decidere se ricorrere all'energia nucleare. Tuttavia, qualora il livello di energia nucleare diminuisse nell'UE, questa riduzione deve assolutamente essere sincronizzata con l'introduzione di altre fonti energetiche a basse emissioni di carbonio per la produzione di elettricità, altrimenti l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra e di miglioramento della sicurezza di approvvigionamento non potrà essere conseguito.

Nel contesto energetico attuale, l'AIE prevede un aumento del consumo di elettricità di origine nucleare nel mondo da 368 GW nel 2005 a 416 GW nel 2030. Mantenere e sviluppare la posizione di leadership dell'UE in questo settore comporta pertanto dei vantaggi economici.

Come risulta dal nuovo programma nucleare indicativo[65], a livello di UE, si dovrebbe sviluppare ulteriormente, conformemente alla legislazione comunitaria, il quadro più avanzato per l'energia nucleare negli Stati membri che optano per questo tipo di energia, nel rispetto delle norme più rigorose di sicurezza e protezione e di non proliferazione, come previsto dal trattato Euratom. L'energia nucleare, tuttavia, solleva anche problematiche importanti in materia di rifiuti e di smantellamento, è opportuno pertanto includere la gestione dei rifiuti nucleari e la questione dello smantellamento nei futuri lavori comunitari. L'UE dovrebbe inoltre impegnarsi affinché queste norme così rigorose siano rispettate a livello internazionale. Per fare dei passi avanti in materia, la Commissione propone di istituire un gruppo ad alto livello sulla sicurezza e la protezione nucleari incaricato di elaborare progressivamente una posizione comune e, in un secondo tempo, delle nuove regole comunitarie in materia di sicurezza e protezione nucleari.

3.9.3.9 Una politica energetica internazionale che persegue attivamente gli interessi dell'Europa

L'Unione europea non può conseguire da sola gli obiettivi fissati in materia di energia e di cambiamenti climatici. In futuro l'UE sarà all'origine solo del 15% delle nuove emissioni di CO2 e, da qui al 2030, secondo i nuovi obiettivi, l'UE consumerà meno del 10% dell'energia mondiale. Pertanto le sfide della sicurezza dell'approvvigionamento energetico e dei cambiamenti climatici non potranno essere raccolte dalla Comunità europea o dai suoi Stati membri individualmente. L'UE deve collaborare con i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, nonché con i consumatori e i produttori di energia, per garantire un'energia competitiva, sostenibile e sicura.

L'Unione europea e gli Stati membri devono perseguire questi obiettivi esprimendosi con "una voce sola" e istituendo delle vere e proprie partnership per tradurre questi obiettivi in una politica esterna coerente. L'energia deve in effetti diventare un elemento centrale di tutte le relazioni esterne dell'Unione europea; si tratta infatti di un fattore cruciale di sicurezza geopolitica, stabilità economica, sviluppo sociale e un elemento centrale delle attività internazionali destinate a lottare contro i cambiamenti climatici. L'UE deve pertanto stabilire, nel settore dell'energia, rapporti fruttuosi con tutti i suoi partner internazionali, basati sulla fiducia reciproca, la cooperazione e l'interdipendenza. Ciò presuppone rapporti di ampia portata geografica e profondi, sulla base di accordi che comportano disposizioni importanti in materia energetica.

Il Consiglio europeo ha approvato la prospettiva di un quadro a lungo termine per la dimensione energetica esterna stabilito congiuntamente dalla Commissione e dal Consiglio[66]


e ha convenuto di istituire una rete di corrispondenti per la sicurezza energetica che garantirà un sistema di allarme tempestivo e rafforzerà la capacità dell'Unione europea di reagire prontamente nelle situazioni esterne di pressione sulla sicurezza energetica.

L'UE si esprime già con una sola voce nei negoziati di accordi internazionali, in particolare nel settore del commercio. Gli attuali e futuri accordi internazionali, bilaterali o multilaterali, possono essere utilizzati più efficacemente per stabilire impegni giuridicamente vincolanti. Questi impegni possono riguardare persino la liberalizzazione reciproca delle condizioni degli scambi o degli investimenti nei mercati a monte e a valle, nonché la concessione dell'accesso alle condotte da parte di paesi situati lungo le catene di transito e di trasporto. D'altra parte possono servire a promuovere il commercio internazionale di biocarburanti prodotti con procedimenti sostenibili o di beni ambientali, o la tariffazione delle emissioni di carbonio a livello internazionale.

Adesso l'Unione europea deve passare dalla teoria alla pratica. Il primo passo per "parlare con una voce sola" consiste nello stabilire obiettivi chiari e i mezzi per un coordinamento efficace. Le analisi strategiche regolari nel settore dell'energia costituiranno il quadro generale per dibattiti frequenti su questioni energetiche esterne in seno alle istituzioni dell'UE. Una politica energetica esterna efficace dell'UE, nei prossimi tre anni, deve incentrarsi in via prioritaria sugli aspetti elencati qui di seguito.

·§  La Comunità europea e i suoi Stati membri dovrebbero svolgere un ruolo propulsore nell'elaborazione degli accordi internazionali, tra cui il futuro trattato sulla Carta dell'energia e il regime applicabile alla politica climatica nel periodo post-2012.

·§  I rapporti tra l'Unione europea e i suoi vicini nel settore dell'energia sono fondamentali per la sicurezza e la stabilità dell'Europa. L'Unione europea deve mirare a creare intorno a sé una vasta rete di paesi, agendo sulla base di regole o principi condivisi derivanti dalla sua politica energetica.

·§  Il rafforzamento dei rapporti con i nostri fornitori di energia esterni, sviluppando ulteriormente partnership globali basate sull'interesse reciproco, la trasparenza, la prevedibilità e la reciprocità.

·§  Proseguimento di rapporti energetici più stretti con altri grandi consumatori, nell'ambito dell'AIE e del G8 o nel quadro di una cooperazione bilaterale rafforzata.

·§  Lo sviluppo dell'utilizzazione di strumenti finanziari, nell'ambito di una cooperazione rafforzata con la BEI e la BERS e dell'istituzione di un fondo di investimento per la politica di vicinato, al fine di migliorare la sicurezza energetica dell'Unione europea.

·§  Il miglioramento delle condizioni d'investimento in progetti internazionali, impegnandosi, ad esempio, per istituire un quadro giuridico chiaramente definito e trasparente e nominare dei coordinatori europei incaricati di rappresentare gli interessi dell'Unione europea in progetti internazionale di rilievo.

·§  La promozione della non proliferazione nonché della sicurezza e della protezione nucleari, in particolare nell'ambito di una cooperazione consolidata con l'Agenzia internazionale dell'energia atomica.

Le modalità d'azione dettagliate per il conseguimento di questi obiettivi, discusse attentamente dal Consiglio europeo nel corso del vertice di Lahti e del Consiglio europeo di dicembre 2006, sono riportate nell'allegato della presente analisi. La Commissione, tuttavia ritiene opportuno realizzare anche le due azioni prioritarie illustrate qui di seguito.

-            Un partenariato energetico globale Africa-Europa. L'importanza dell'Africa in quanto fornitore di energia si è considerevolmente rafforzata nel corso negli ultimi anni, ma il suo potenziale è ancora ampio. Il dialogo dovrebbe vertere anche sulla sicurezza dell'approvvigionamento, il trasferimento tecnologico nel campo delle energie rinnovabili, lo sfruttamento sostenibile delle risorse, la trasparenza dei mercati energetici e il rispetto dei principi di una buona governance. Il dialogo dovrebbe essere avviato mediante un evento congiunto di altissimo livello.

-            Come già indicato, un accordo internazionale nel settore dell'efficienza energetica.

3.9.1.3.9.1 L'integrazione delle politiche dell'Unione europea nei settori dell'energia e dello sviluppo: una soluzione vantaggiosa per tutti

I prezzi elevati dell'energia penalizzano in particolar modo i paesi in via di sviluppo. Alcuni paesi ne traggono vantaggio in quanto produttori, ma altri vedono il beneficio degli aiuti allo sviluppo che ricevono annullato dall'aumento del costo delle importazioni di energia[67]. L'Africa e altre regioni del mondo in via di sviluppo hanno assolutamente interesse, come l'Europa, a rafforzare la diversificazione e migliorare l'efficienza energetica – ciò può contribuire notevolmente agli Obiettivi di sviluppo per il millennio. L'Unione europea si impegna pertanto ad aiutare i paesi in via di sviluppo a promuovere un approvvigionamento e un consumo energetico sostenibili e sicuri.

Per concretizzare tale impegno, l'Unione europea deve privilegiare la fornitura di servizi energetici poco costosi, affidabili e sostenibili ai meno abbienti, ricorrendo in particolare alle energie rinnovabili e allo sviluppo di tecnologie pulite ed efficienti per la produzione di gas e petrolio. L'Africa offre una possibilità straordinaria di utilizzare, in modo competitivo, delle tecnologie legate alle energie rinnovabili. Può infatti saltare la fase della costruzione di costose reti di trasporto dell'energia e passare "con un solo balzo" alla nuova generazione di fonti e tecnologie pulite, decentralizzate e a basse emissioni di carbonio, come è già avvenuto per le telecomunicazioni mobili. Si tratta di una soluzione vantaggiosa per tutti che consente di rafforzare la penetrazione dell'energia rinnovabile e pulita e portare l'energia elettrica ad alcune delle comunità più povere del pianeta. Nell'Africa subsahariana, in cui le percentuali di accesso all'energia elettrica sono tra le più basse del mondo, sarà necessario un particolare sforzo.

L'UE si avvarrà a tal fine dei vari strumenti di cui dispone, ossia il 10° Fondo di sviluppo europeo, il partenariato UE-Africa per le infrastrutture che riguarda progetti regionali in materia di produzione e trasporto dell'energia, lo strumento ACP-UE per l'energia, il programma CE COOPENER e il suo successore e infine il programma EUROSOLAR per l'America Latina.

3.10.3. 10 Monitoraggio e notifiche efficaci

Il monitoraggio, la trasparenza e la notifica saranno gli elementi fondamentali dello sviluppo progressivo di una politica energetica europea efficace. La Commissione propone di istituire un Ufficio dell'osservatorio dell'energia in seno alla Direzione generale dell'energia e dei trasporti. Questo ufficio dovrebbe svolgere funzioni essenziali in relazione all'offerta e alla domanda di energia in Europa, in particolare rafforzando la trasparenza per quanto riguarda le future esigenze di investimenti nell'UE per le infrastrutture e gli impianti di produzione di elettricità e gas. Inoltre, mediante esercizi di valutazione comparativa e scambi di buone pratiche, garantirà il successo degli Stati membri nel loro impegno per modificare il loro mix energetico, al fine di contribuire efficacemente al conseguimento degli obiettivi energetici dell'Unione europea.

La Commissione definirà le responsabilità specifiche dell'osservatorio e proporrà nel 2007 una base giuridica per il finanziamento delle sue attività. Nel contempo esaminerà e semplificherà gli obblighi vigenti (per sé stessa e gli Stati membri) in materia di informazione e notifica nel campo dell'energia.

4.4. Portare avanti il lavoro

La presente analisi strategica illustra una serie di misure necessarie per realizzare gli obiettivi di un'energia sostenibile, sicura e competitiva. La prima tappa consiste nell'ottenere decisioni chiare dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo per quanto concerne l'approccio strategico e un piano d'azione per consentire all'Unione di conseguire obiettivi ambiziosi, ampi e di lungo termine. Le future analisi strategiche possono aiutare l'Unione europea a perfezionare e aggiornare il suo piano d'azione in modo da tenere conto delle evoluzioni – in primo luogo, ovviamente, i progressi tecnologici e l'azione internazionale di lotta contro i cambiamenti climatici. La riduzione delle emissioni in Europa e nel mondo è indissociabile dalla politica energetica europea.

Se l'Unione conseguisse gli obiettivi specifici proposti per quanto concerne l'efficienza energetica e le energie rinnovabili, sarebbe sulla buona strada per ridurre le emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 e, su questa scia, per ridurle drasticamente entro il 2050, conformemente agli obiettivi stabiliti. Un'azione risoluta oggi consentirà di progredire per ottenere la stabilizzazione della nostra dipendenza dalle importazioni, investimenti in tempo utile, nuovi posti di lavoro e un progresso nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio. L'UE guiderebbe così il mondo verso una nuova rivoluzione industriale.

La Commissione invita pertanto il Consiglio europeo e il Parlamento a:

·§  approvare, nei negoziati internazionali, l'obiettivo per l'UE di ridurre del 30% le emissioni dei gas serra entro il 2020 (rispetto ai livelli del 1990);

·§  approvare sin d'ora l'impegno da parte dell'UE di conseguire, in ogni caso, una riduzione di almeno il 20% delle emissioni di gas serra dei paesi sviluppati da qui al 2020 (rispetto ai livelli del 1990);

·§  confermare la necessità di misure supplementari affinché i vantaggi potenziali dei mercati interni del gas e dell'elettricità diventinouna realtà per l'insieme dei cittadini e delle imprese europei. In particolare:

·§                            impegnarsi a separare ulteriormente per rafforzare la concorrenza, aumentare gli investimenti ed ampliare le opzioni disponibili per i consumatori, mediante la separazione della proprietà o il gestore indipendente della rete. Alla luce degli elementi di cui dispone, la Commissione ritiene cha la separazione della proprietà sia il modo più efficace di garantire una scelta ai consumatori e di incoraggiare gli investimenti. Sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo del 9 marzo e della posizione del Parlamento europeo, la Commissione presenterà rapidamente una proposta legislativa.

·§                            Garantire una regolamentazione efficace in ogni Stato membro mediante l'armonizzazione dei poteri e dell'indipendenza dei regolatori dell'energia, sulla base del massimo denominatore comune nell'Unione europea, e l'affidamento ai regolatori del compito di sviluppare il mercato interno dell'energia e i mercati nazionali.

·§                            Accelerare l'armonizzazione delle norme tecniche necessarie per consentire l'adeguato funzionamento del commercio transfrontaliero e garantire la promozione del mercato europeo istituendo un organismo unico a livello comunitario o, perlomeno, mediante una rete europea di regolatori indipendenti che dovrebbe tenere adeguatamente conto degli interessi europei e vedrebbe un'adeguata partecipazione della Commissione.

·§                            Istituire nel 2007 un nuovo meccanismo e una nuova struttura comunitari per gli operatori di reti di trasporto responsabili della pianificazione coordinata delle reti, che riferisce anche ai regolatori nazionali e alla Commissione; questi operatori dovrebbero anche essere tenuti a proporre norme di sicurezza minime per la rete che, una volta approvate dai regolatori e dalla Commissione, diventerebbero giuridicamente vincolanti.

·§                            Approvare la presentazione nel 2007, da parte della Commissione, di norme minime in materia di trasparenza.

·§                            Accogliere favorevolmente una nuova Carta del cliente nel settore dell'energia.

·§                            Realizzare ulteriori progressi nella costruzione di nuove interconnessioni fondamentali; sottolineare la necessità di nominare dei coordinatori europei per seguire i progetti prioritari più problematici e invitare la Commissione a presentare, nel 2007, una proposta legislativa ufficiale che fissi un periodo massimo di 5 anni nel corso del quale le procedure di pianificazione e approvazione dovranno essere portate a termine per i progetti di interesse europeo.

·§  Appoggiare la necessità di realizzare ulteriori progressi per garantire la solidarietà tra gli Stati membri in caso di crisi energetica o di interruzione dell'approvvigionamento. Occorre a tal fine istituire meccanismi efficaci. Accogliere favorevolmente l'intenzione della Commissione di presentare nel 2007 una comunicazione sulle riserve strategiche che preveda, qualora opportuno, misure più rigorose.

·§  Sottolineare che l'Unione deve innanzitutto intensificare i suoi sforzi a favore di un'azione mondiale contro i cambiamenti climatici. Accogliere con favore l'intenzione della Commissione di approfittare di tutte le occasioni, nei negoziati internazionali, bilaterali o multilaterali, per promuovere la lotta contro i cambiamenti climatici, coordinare le politiche energetiche e intensificare la cooperazione in materia di tecnologie pulite.

·Approvare l'obiettivo di ridurre, in modo efficiente rispetto ai costi, il consumo di energia dell'Unione europea del 20% entro il 2020, conformemente al piano d'azione della Commissione sull'efficienza energetica e appoggiare l'intenzione della Commissione di adottare misure concrete per conseguire questo obiettivo, in particolare:

-            stabilire ed aggiornare regolarmente dei requisiti minimi di efficienza per le apparecchiature che consumano energia,

-            realizzare ulteriori risparmi energetici negli edifici, avvalendosi e sviluppando il quadro fornito dalla direttiva sul rendimento energetico degli edifici;

-            valorizzare il considerevole potenziale di efficienza energetica dei trasporti, utilizzando varie misure, anche legislative se del caso;

-            migliorare il comportamento di tutti i consumatori di energia sul piano dell'efficienza e dei risparmi energetici, dimostrando in particolare i vantaggi offerti dalle tecnologie disponibili o dai comportamenti;

-            continuare a migliorare l'efficienza della produzione di elettricità, in particolare promuovendo le tecnologie di produzione combinata di calore e elettricità ad elevata efficienza.

·§  Approvare l'obiettivo vincolante del 20% per la quota delle energie rinnovabili nel consumo energetico globale dell'Unione europea da qui al 2020 e di almeno 10% per i biocarburanti. Invitare la Commissione a presentare una nuova direttiva che traduca questi obiettivi in pratica nel 2007 e fissi obiettivi nazionali e la procedura di sviluppo dei piani d'azione nazionali per realizzarli.

·§  Sottolineare l'esigenza di un piano strategico ambizioso e mirato per le tecnologie energetiche e sostenere l'intenzione della Commissione di proporre ufficialmente questo piano nel 2007.

·§  Confermare che urge disporre di una prospettiva chiara su quando i dispositivi di cattura e stoccaggio della CO2 dovranno essere installati nelle centrali a carbone e a gas dell'Unione europea; istituire un meccanismo per incentivare la costruzione e l'utilizzo di al massimo 12 dimostratori su grande scala di tecnologie sostenibili dei combustibili fossili per la produzione commerciale di elettricità nell'Unione europea.

·§  Appoggiare l'intenzione della Commissione di istituire un gruppo comunitario ad alto livello sulla sicurezza e la protezione nucleari incaricato di sviluppare progressivamente una posizione comune e, in un secondo tempo, delle regole comunitarie nuove in materia di sicurezza e protezione nucleari, a sostegno degli sforzi degli Stati membri che hanno scelto di continuare ad avvalersi dell'energia nucleare.

·§  Ribadire l'importanza di "parlare con una voce sola" sulle questioni energetiche internazionali. Oltre alla necessità di concretizzare le conclusioni del vertice di Lahti e del Consiglio europeo di dicembre 2006, (i) approvare la proposta di un partenariato energetico globale e sostenere l'intenzione della Commissione di avviarlo con un evento congiunto di altissimo livello nel corso del 2007 e (ii) accogliere favorevolmente l'intenzione della Commissione di concludere un accordo internazionale sull'efficienza energetica e presentare al Consiglio e al Parlamento la base di un accordo di questo tipo nel primo semestre del 2007.

·§  Approfittare dei negoziati internazionali per promuovere metodi sostenibili di produzione e il commercio internazionale di beni e servizi ambientali ed energetici.

·§  Rallegrarsi dell'intenzione della Commissione di presentare una nuova analisi strategica della politica energetica ogni due anni e proporre, nel 2007, una base giuridica ufficiale per finanziare i lavori di un Ufficio dell'osservatorio dell'energia in seno alla Commissione, incaricato di coordinare e migliorare la trasparenza dei mercati energetici dell'UE.

Allegato 1: Priorità della politica energetica internazionale dell'UE

Allegato 2: Vantaggi e inconvenienti delle diverse fonti di energia elettrica, sulla base dei prezzi attuali del petrolio, del gas e del carbone        

Allegato 3: Vantaggi e inconvenienti delle diverse fonti di energia per il riscaldamento

Allegato 4: Vantaggi e inconvenienti delle diverse fonti di energia per il trasporto stradale

Le fonti delle cifre contenute negli allegati sono indicate nel documento di lavoro dei servizi della Commissione: dati della politica energetica dell'Unione europea[68].


Allegato 1

4.1.4.1 Priorità della politica energetica internazionale dell'Unione europea

La politica energetica esterna dell'UE nei prossimi tre anni deve incentrarsi in via prioritaria sugli aspetti elencati qui di seguito:

·§  La promozione di accordi internazionali, in particolare il regime applicabile alla politica climatica nel periodo post-2012, l'estensione dello scambio dei diritti di emissione ai partner mondiali, il futuro trattato sulla Carta dell'energia, nonché lo sviluppo e la diffusione di tecnologie pulite per le energie rinnovabili. Ciò presuppone il rafforzamento del coordinamento tra l'UE e gli Stati membri nei consessi internazionali e di migliorare la collaborazione con l'Agenzia internazionale dell'energia. L'UE parteciperà anche ad iniziative multilaterali, tra cui la partnership della Banca mondiale mirante alla riduzione del gas flaring (pratica, nell'estrazione del greggio, che consiste nel bruciare del gas naturale a cielo aperto) e l'iniziativa a favore della trasparenza delle industrie estrattive. Per rafforzare la coerenza, l'UE dovrebbe anche impegnarsi, se del caso, a aderire alle organizzazioni internazionali pertinenti.

·§  L'istituzione di rapporti energetici con i paesi confinanti dell'Unione europea, sulla scia della recente proposta della Commissione relativa allo sviluppo della politica europea di vicinato (PEV)[69] anche nel settore dell'energia, con un eventuale trattato energetico UE-PEV cui, a lungo termine, potrebbero aderire tutti i paesi vicini interessati. Il trattato che istituisce la Comunità dell'energia costituisce già la base di un mercato energetico regionale che dovrebbe mirare ad estendersi progressivamente al di fuori del territorio dell'Unione e dei Balcani occidentali, per integrare dei paesi limitrofi come la Moldova, la Norvegia, la Turchia e l'Ucraina. Occorre migliorare i rapporti energetici con l'Egitto ed altri fornitori e paesi di transito del Mashrek/Maghreb, nonché con la Libia. Sia la Norvegia che l'Algeria meritano una particolare attenzione e rapporti definiti su misura.

·§  La riduzione delle minacce di eventuali interruzioni di approvvigionamento o di una distruzione fisica di infrastrutture energetiche critiche al di fuori del territorio dell'Unione europea mediante uno scambio di migliori pratiche con tutti i partner dell'Unione e le organizzazioni internazionali interessate, sulla base delle azioni relative alle infrastrutture interne menzionate nella recente comunicazione della Commissione su un programma europeo di protezione delle infrastrutture.

·§  Il rafforzamento delle relazioni con la Russia mediante la negoziazione di un nuovo accordo quadro solido e completo che istituisca, a vantaggio di entrambe le parti, un vero partenariato nel settore dell'energia per creare le condizioni necessarie per nuovi investimenti. Questo accordo dovrebbe porre l'accento sui vantaggi reciproci che la Russia e l'Unione europea ne trarranno a lungo termine e integrare i principi del mercato, del trattato sulla Carta dell'energia e del progetto di protocollo sul transito.

·§  L'approfondimento del dialogo e delle relazioni con i principali produttori di energia e i paesi di transito, nell'ambito di organizzazioni come l'OPEP e il Consiglio di cooperazione del Golfo o mediante la completa attuazione dei protocolli di accordo con l'Azerbaigian e il Kazakistan. Stabilimento di nuovi contatti con altri importanti produttori dell'Asia centrale come il Turkmenistan e l'Uzbekistan. Inoltre occorre assolutamente agevolare il trasporto delle risorse energetiche del mar Caspio verso l'Unione europea. La Commissione presenterà anche una comunicazione sulla cooperazione con il mar Nero nel corso della primavera del 2007. Questo aspetto della strategia dovrebbe contemplare anche paesi molto più distanti (America latina e Caraibi, ad esempio) per ottimizzare la diversificazione geografica dell'approvvigionamento energetico. Si dovrebbero inoltre esaminare nuove fonti di energia, avviando il dialogo con il Brasile per integrare i biocarburanti, e organizzando nel 2007 una conferenza internazionale sui biocarburanti.

·§  Istituzione di una nuova partnership Africa-Europa nel settore dell'energia. L'importanza dell'Africa in quanto fornitore di energia continua ad aumentare e i rapporti devono passare attraverso un dialogo globale che comprenda la sicurezza dell'approvvigionamento, il trasferimento tecnologico nelle energie rinnovabili, lo sfruttamento sostenibile delle risorse, la trasparenza dei mercati energetici e il rispetto dei principi di una buona governance. Il dialogo dovrebbe essere avviato mediante un evento congiunto di altissimo livello.

·§  Il miglioramento dei rapporti con altri importanti consumatori di energia. In particolare, i rapporti con partner come gli Stati Uniti dovrebbero continuare a riguardare settori come la promozione di mercati mondiali dell'energia aperti e competitivi, l'efficienza energetica, la cooperazione nel campo della regolamentazione e la ricerca. Le misure già adottate nei confronti della Cina dovrebbero essere ulteriormente sviluppate ponendo l'accento sulle tecnologie avanzate del carbone a "bassissime emissioni", i risparmi energetici e le energie rinnovabili. Sarebbe opportuno adottare un approccio analogo con l'India.

·§  La promozione della non proliferazione, e della sicurezza e della protezione nucleari, in particolare nell'ambito di una cooperazione rafforzata con l'Agenzia dell'energia atomica e con il nuovo strumento per la cooperazione in materia di sicurezza nucleare.

§      La realizzazione di questi obiettivi presuppone la ridefinizione dei rapporti con questi partner per porre l'energia in una posizione centrale. Oltre al dialogo e ai negoziati internazionali per difendere i suoi obiettivi strategici, l'Unione europea dispone di una serie di strumenti che dovrebbe utilizzare al meglio, tra cui:

·§  Nei negoziati commerciali, l'UE parla già "con una voce sola" e la sua competenza è incontestabile. Gli accordi internazionali in materia commerciale e di investimenti, bilaterali o multilaterali, possono essere utilizzati più efficacemente per stabilire strumenti giuridicamente vincolanti. Possono contribuire alla creazione delle condizioni necessarie per un aumento degli investimenti e una produzione e una concorrenza più sostenibili. Forte degli strumenti e dei mandati adeguati, l'Unione europea sarà in grado, ad esempio, di operare meglio a favore della liberalizzazione reciproca delle condizioni degli investimenti e degli scambi sui mercati a monte e a valle, ed eventualmente per ottenere l'accesso alle condotte. Lo stesso vale per la promozione di una tariffazione internazionale delle emissioni di carbonio o del commercio dei biocarburanti.

·§  Miglioramento della cooperazione con la BEI e la BERS per utilizzare strumenti finanziariche consentiranno di sostenere i partenariati energetici mediante azioni concrete, finanziando progetti importanti quali il corridoio energetico che attraversa la regione del Mar Caspio o i progetti Africa subahariana–Maghreb–UE. I progetti energetici potrebbero costituire un elemento fondamentale nei fondi di investimento proposti a favore della politica di vicinato, concepiti per mobilitare da 4 a 5 volte l'importo del finanziamento disponibile nell'ambito dello strumento europeo per la politica di vicinato.

·§  La promozione di condizioni più favorevoli per gli investimenti nei progetti internazionali, grazie ad un quadro chiaramente definito e trasparente e con il sostegno dei coordinatori europei. Innanzitutto si dovrebbe nominare un coordinatore europeo per il gasdotto Nabucco, dal Bacino del Mar Caspio fino all'Austria e all'Ungheria. In futuro si potrebbe pensare di nominare dei coordinatori per dei progetti riguardanti il trasporto di energia da paesi partner come la Turchia, l'Asia centrale e l'Africa del Nord. 


Allegato 2: Vantaggi e inconvenienti delle varie fonti di energia elettrica

Fonti energetiche

Tecnologia considerata per la stima dei costi

Costo nel 2005

(euro/MWh)

Costo previsto per il 2030

(euro/MWh)

Emissioni di gas serra

(Kg CO2eq/MWh)

Dipendenza dell'UE-27 dalle

importazioni

Efficienza

Sensibilità al prezzo del combustibile

Riserve accertate

/

Produzione annua

Fonte AIE

2005

2030

Gas naturale

Turbina a gas a ciclo aperto

45 – 70

55-85

440

57%

84%

40%

Molto elevata

64 anni

Turbina a gas a ciclo combinato (CCGT)

35 - 45

40-55

400

50%

Molto elevata

Petrolio

Motore diesel

70 - 80

80-95

550

82%

93%

30%

Molto elevata

42 anni

Carbone

Combustibile polverizzato con desolforazione dei gas di scappamento

30 - 40

45-60

800

39%

59%

40-45%

Media

155 anni

Combustione a letto fluido circolante (CFBC)

35 - 45

50-65

800

40-45%

Media

Gassificazione integrata a ciclo combinato (IGCC)

40 - 50

55-70

750

48%

Media

Energia nucleare

Reattore ad acqua leggera

40 - 45

40 - 45

15

Quasi 100% per il minerale d'uranio

33%

Bassa

Riserve ragionevoli: 85 anni

Biomassa

Centrale a biomassa

25 - 85

25 - 75

30

nessuna

30 - 60%

Media

Energie rinnovabili

Energia eolica

Terrestre

35 - 175

28 - 170

30

95-98%

Nessuna

35 – 110

28 – 80

Off shore

50 - 170

50 - 150

10

95-98%

60 – 150

40 – 120

Idroelettricità

Grande

25 - 95

25 - 90

20

95-98%

Piccola (<10MW)

45 - 90

40 - 80

5

95-98%

Energia solare

Fotovoltaica

140 - 430

55 -260

100

/


Allegato 3: Vantaggi e inconvenienti delle varie fonti di energia per il riscaldamento

Fonti energetiche

Quota di mercato dell'UE-25 per fonte energetica

 Prezzo di mercato

(euro/tep )

Costo del ciclo di vita

(euro/tep )

Emissioni di gas serra

(t CO2eq/tep )

Dipendenza dell'UE dalle importazioni

2005

2030

Combustibili fossili

Gasolio da riscaldamento

20%

525

(0,45 euro/l)

300-1300

3.1

82%

93%

Gas naturale

33%

230 – 340

(20-30 euro/MWh)

2.1

57%

84%

Carbone

1,8%

70

(100 euro/tec)

4

39%

59%

Biomassa

Trucioli

5,7%

280

545-1300

0.4

0

?

Pellet

540

630-1300

0.4

0

?

Energia elettrica

31%

550 - 660

(50-60 euro/MWh)

550 - 660

0 to 12

<1%

?

Energia solare

0,2%

/

680-2320

Ridottissime

0

0

Energia geotermica

0,4%

/

230-1450

Ridottissime

0

0


Allegato 4: Vantaggi e inconvenienti delle varie fonti di energia per il trasporto stradale

 

 Prezzo di mercato

(euro/tep)

Emissioni di CO2

(t CO2/tep)[70]

 

2005

2030

Benzina e diesel

398-582[71]

3,6–3,7

82%

93%

Gas naturale

230–340

(NB: richiede un veicolo appositamente adattato e un sistema di distribuzione specifico)

3,0

57%

84%

Biocarburante domestico

609-742

1,9–2,4

0%

0%

Bioetanolo tropicale

327-540

0,4

100%

100%

Biocarburante di seconda generazione

898–1 109

0,3–0,9

/

15%

 

 

 


COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

Bruxelles, 10.1.2007

COM(2007)2 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius

La via da percorrere fino al 2020 e oltre

{SEC(2007) 7}

{SEC(2007) 8}


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius

La via da percorrere fino al 2020 e oltre

1.           Sintesi

I cambiamenti climatici sono una realtà e occorre intervenire con urgenza per limitarli in modo che siano gestibili. L'UE deve adottare i provvedimenti necessari al proprio interno e assumere una posizione leader in ambito internazionale per garantire che l'innalzamento della temperatura media a livello mondiale non superi di oltre 2 °C i livelli dell'era preindustriale.

La presente comunicazione e la scheda d'impatto che l'accompagna indicano che si tratta di un obiettivo realizzabile sotto il profilo tecnico ed economicamente sostenibile, a condizione che i principali responsabili delle emissioni agiscano tempestivamente. I benefici, infatti, superano di gran lunga i costi.

La presente comunicazione è destinata al Consiglio europeo di primavera del 2007, che dovrebbe decidere in merito ad un approccio integrato e completo nell'ambito delle politiche dell'UE nei settori dell'energia e dei cambiamenti climatici. Fa seguito alla comunicazione del 2005 "Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici", che proponeva raccomandazioni concrete sulle politiche climatiche dell'UE e definiva i principali elementi che dovevano costituire la futura strategia climatica dell'UE. Nel definire le prossime fasi della nostra politica sui cambiamenti climatici, il Consiglio europeo dovrebbe adottare decisioni che favoriscano l'instaurazione delle condizioni necessarie a raggiungere un nuovo accordo globale che faccia seguito ai primi impegni derivanti dal protocollo di Kyoto dopo il 2012.

La presente comunicazione propone che l'UE persegua, nell'ambito di negoziati internazionali, un obiettivo di riduzione dei gas serra pari al 30% rispetto ai valori del 1990, che i paesi industrializzati dovranno conseguire entro il 2020: in questo modo sarà possibile contenere l'aumento della temperatura entro il limite dei 2 °C in tutto il mondo. Fino a che non sarà concluso un accordo internazionale, e fatta salva la posizione che assumerà nell'ambito dei negoziati internazionali, l'UE dovrebbe fin d'ora assumersi l'impegno risoluto e unilaterale di abbattere le emissioni dei gas serra di almeno il 20% entro il 2020 ricorrendo al sistema UE di scambio delle quote di emissione, ad altre politiche in materia di cambiamenti climatici e a interventi nel contesto della politica energetica. Questo approccio permetterà all'UE di dimostrare la propria posizione di leader a livello internazionale nelle questioni riguardanti il clima, oltre a segnalare all'industria che il sistema UE di scambio delle quote andrà avanti anche oltre il 2012, incoraggiando così gli investimenti nelle tecnologie per l'abbattimento delle emissioni e le alternative a basse emissioni di carbonio.

Dopo il 2020 le emissioni prodotte dai paesi in via di sviluppo supereranno quelle dei paesi industrializzati; nel frattempo, il tasso di crescita delle emissioni complessive dei paesi in via di sviluppo dovrebbe cominciare a rallentare e, a partire dal 2020, dovrebbe verificarsi un calo in termini assoluti. Questo obiettivo potrà essere raggiunto senza compromettere la crescita economica e la lotta alla povertà, grazie ad un'ampia rosa di misure nei settori dei trasporti e dell'energia, che presentano notevoli possibilità di riduzione delle emissioni e potranno, di per sé, anche apportare benefici immediati sotto il profilo sociale ed economico.

Entro il 2050 le emissioni globali dovranno essere abbattute fino al 50% rispetto al 1990; ciò significa che i paesi industrializzati dovranno ridurle del 60-80%. Ma le emissioni dovranno diminuire sensibilmente anche in molti paesi in via di sviluppo.

Gli strumenti di mercato come il sistema UE di scambio delle quote di emissione saranno un elemento determinante per far sì che l'Europa e altri paesi conseguano gli obiettivi previsti al più basso costo possibile. La disciplina che entrerà in vigore dopo il 2012 dovrebbe consentire di collegare tra loro sistemi analoghi di scambio dei diritti di emissione in vigore in vari ambiti nazionali e in questo contesto il sistema di scambio dell'UE dovrebbe rappresentare il fulcro del futuro mercato globale del carbonio. Il sistema UE continuerà ad accettare i crediti derivanti dai progetti nell'ambito del meccanismo di sviluppo pulito (CDM) e dell'attuazione congiunta (JI) previsti dal protocollo di Kyoto, anche dopo il 2012.

È auspicabile che l'UE e gli Stati membri decidano di incrementare sensibilmente gli investimenti destinati alle attività di ricerca e sviluppo nei settori della produzione di energia e del risparmio energetico.

2.           La sfida del clima: realizzare l'obiettivo dei 2 °C

Dati scientifici affidabili dimostrano che è ormai imprescindibile intervenire con urgenza per far fronte ai cambiamenti climatici. Studi recenti, come il rapporto Stern, ribadiscono che la mancanza di intervento avrà costi molto ingenti, non solo economici, ma anche sociali e ambientali, che ricadranno in particolare sulle fasce più povere della popolazione, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati. L'inazione avrà inoltre gravi implicazioni in termini di sicurezza, sia in ambito locale che mondiale. Gran parte delle soluzioni possibili esiste già, ma ora i governi sono chiamati ad adottare le politiche necessarie per metterle in atto. Sotto questo profilo, oltre al fatto che i costi correlati sono gestibili, si può affermare che la lotta ai cambiamenti climatici avrà anche notevoli benefici sotto altri aspetti.

L'UE si pone l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media mondiale entro 2 °C prendendo come riferimento i valori preindustriali. Ciò limiterà gli effetti dei cambiamenti climatici e l'eventualità di sovvertimenti massicci e irreversibili dell'ecosistema mondiale. Il Consiglio ha sottolineato che, per ottenere tale risultato, le concentrazioni dei gas serra in atmosfera dovranno rimanere al di sotto delle 550 ppmv di CO2 equivalente: se si stabilizzano le concentrazioni sul lungo termine a circa 450 ppmv di CO2 equivalente, c'è il 50% di probabilità di riuscita. A tal fine, da qui al 2025 le emissioni dei gas serra dovranno stabilizzarsi, per poi ridursi fino al 50% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. Il Consiglio ha concordato sul fatto che i paesi industrializzati dovranno proseguire sulla strada intrapresa e ridurre le proprie emissioni del 15-30% per il 2020. Il Parlamento europeo, a sua volta, ha proposto un obiettivo di riduzione del CO2 per l'UE del 30% per il 2020 e del 60-80% entro il 2050.

La presente comunicazione individua le possibili soluzioni finalizzate ad adottare misure efficaci e realistiche all'interno dell'UE e su scala mondiale che permettano di conseguire l'obiettivo dei 2 ºC. L'andamento delle emissioni dei gas serra presentato nella valutazione d'impatto rappresenta uno scenario economicamente efficace per realizzare l'obiettivo, partendo dal presupposto che entro il 2020 i paesi industrializzati riducano del 30% le proprie emissioni rispetto ai valori del 1990. La valutazione dimostra inoltre che le riduzioni ottenute dai paesi industrializzati, da sole, non basteranno. Secondo i dati disponibili, infatti, nel 2020 le emissioni dei paesi in via di sviluppo supereranno quelle del mondo industrializzato e tale aumento renderà vane le riduzioni conseguibili nei paesi industrializzati oltre quella data. Per un intervento efficace contro i cambiamenti climatici sarà dunque necessario diminuire l'incremento delle emissioni di gas serra prodotte dai paesi in via di sviluppo e invertire la tendenza per le emissioni connesse alla deforestazione.

Una politica sostenibile ed efficace a favore delle foreste rafforza inoltre il contributo che queste danno alla riduzione complessiva delle concentrazioni di gas serra.

3.           I costi dell'inazione e dell'azione

Nella comunicazione del 2005 "Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici" la Commissione ha dimostrato che i benefici derivanti dal contenimento dei cambiamenti climatici sono superiori ai costi degli interventi necessari. Studi recenti hanno confermato che i cambiamenti climatici hanno vaste ripercussioni, dall'agricoltura alla pesca, dalla desertificazione alla biodiversità, dalle risorse idriche alla mortalità legata alla calura o al clima rigido, dalle zone costiere ai danni derivanti dalle alluvioni.

L'impatto dei cambiamenti climatici sarà probabilmente disomogeneo; alcune regioni dell'UE saranno particolarmente colpite. Nell'Europa meridionale, ad esempio, i cambiamenti climatici faranno verosimilmente diminuire la resa delle colture, aumentare la mortalità dovuta alla calura e avranno ripercussioni negative sul turismo nella stagione estiva.

Il rapporto Stern stabilisce che i cambiamenti climatici sono il risultato del più ampio fallimento del mercato mai registrato a livello mondiale. Il fatto di non aver considerato i costi dei cambiamenti climatici nei prezzi di mercato che determinano il nostro comportamento economico implica enormi costi economici e sociali. Secondo il rapporto, i costi dell'inazione – che possono variare dal 5 al 20% del PIL mondiale – ricadranno esageratamente sui ceti più poveri, che hanno anche minori capacità di adattamento, e ciò acuirà l'impatto sociale dei cambiamenti climatici.

Nel 2030 il PIL mondiale dovrebbe essere circa doppio rispetto al 2005. La crescita del PIL nei paesi in via di sviluppo maggiormente responsabili delle emissioni rimarrà più elevata di quella dei paesi industrializzati. La valutazione d'impatto mostra che l'intervento contro i cambiamenti climatici a livello mondiale è pienamente compatibile con la crescita su scala mondiale. Nel periodo 2013-2030 gli investimenti in un'economia a basse emissioni di carbonio richiederanno circa lo 0,5% del PIL mondiale totale, il che ridurrà la crescita di quest'ultimo soltanto dello 0,19% annuo fino al 2030, una percentuale relativa del tasso di crescita previsto del PIL (+2,8%). Si può affermare che si tratti di una sorta di premio assicurativo da versare per ridurre sensibilmente il rischio di danni irreversibili conseguenti ai cambiamenti climatici. Occorre inoltre sottolineare un fattore ancora più importante e cioè che tali cifre sovrastimano molto l'impegno richiesto, perché non tengono conto dei benefici sanitari connessi, della maggiore sicurezza energetica e della riduzione dei danni dovuti al fatto di aver evitato i cambiamenti climatici.

4.           I benefici dell'azione, legame con altre politiche

Negli ultimi tre anni il prezzo del petrolio e del gas è raddoppiato e quello dell'elettricità lo ha seguito a ruota; il prezzo dell'energia dovrebbe rimanere elevato e aumentare nel tempo. Il Piano d'azione per l'efficienza energetica che la Commissione ha presentato di recente dimostra che c'è una valida motivazione economica per adottare politiche che migliorino l'efficienza complessiva dell'uso delle risorse, anche senza tener conto delle riduzioni delle emissioni che ne deriverebbero.

La valutazione d'impatto mette in luce che l'intervento dell'UE per combattere i cambiamenti climatici dovrebbe aumentare notevolmente la sicurezza energetica dell'UE: basti pensare che, per il 2030, le importazioni di petrolio e di gas dovrebbero ridursi del 20% circa ciascuna rispetto alla situazione di status quo. La possibilità di integrare le politiche energetiche con quelle sui cambiamenti climatici garantirà, pertanto, che queste si rafforzino a vicenda.

L'azione contro i cambiamenti climatici riduce, inoltre, l'inquinamento atmosferico. Se, ad esempio, nell'UE le emissioni di CO2 diminuissero del 10% entro il 2020, i benefici in termini sanitari sarebbero enormi (le stime parlano di importi compresi tra 8 e 27 miliardi di euro). Tali politiche dovrebbero pertanto agevolare il conseguimento degli obiettivi fissati nella strategia dell'UE sull'inquinamento atmosferico.

Benefici di questo tipo riguardano anche altri paesi: secondo le stime, nel 2030 gli Stati Uniti, la Cina e l'India dovrebbero importare come minimo il 70% del petrolio che consumano. Potrebbero inoltre insorgere tensioni geopolitiche dovute allo scarseggiare delle risorse. Al contempo, l'inquinamento atmosferico è in aumento, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ridurre le emissioni dei gas serra in altri paesi migliorerà la loro sicurezza sotto il profilo energetico e la qualità dell'aria.

5.           Interventi in ambito UE

(a) Fissare obiettivi di riduzione delle emissioni

Nell'UE il potenziale per ridurre le emissioni di gas serra è ancora enorme. Il riesame strategico della politica energetica dell'UE propone interventi per sfruttare gran parte di tale potenziale. Inoltre, le misure adottate nell'ambito del Programma europeo per il cambiamento climatico e altre iniziative in corso continueranno a ridurre le emissioni dopo il 2012.

L'UE potrà conseguire gli obiettivi che si è fissata in termini di cambiamenti climatici solo attraverso un accordo internazionale. Gli interventi all'interno dell'UE hanno dimostrato che è possibile tagliare le emissioni di gas serra senza compromettere la crescita economica e che le tecnologie e gli strumenti politici necessari a tal fine esistono già. L'UE continuerà ad intervenire al proprio interno per combattere i cambiamenti climatici e questo le permetterà di dare l'esempio nel contesto dei negoziati internazionali.

Sarebbe opportuno che il Consiglio decidesse che l'UE e gli Stati membri propongano, per il 2020, una riduzione del 30% delle emissioni dei gas serra da parte dei paesi industrializzati; tale proposta dovrebbe inserirsi in un accordo internazionale finalizzato a contenere il surriscaldamento del pianeta a 2 ºC al di sopra dei livelli preindustriali. Fino a che non si arriverà ad un accordo internazionale, e fatta salva la posizione che assumerà nell'ambito dei negoziati internazionali, l'UE dovrebbe fin d'ora assumersi l'impegno risoluto e unilaterale di abbattere le emissioni dei gas serra di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 facendo ricorso al sistema UE di scambio delle quote di emissione, ad altre politiche in materia di cambiamenti climatici e a interventi nel contesto della politica energetica. In questo modo verrà lanciato un segnale all'industria europea, che potrà contare sul fatto che ci sarà una forte domanda di quote anche dopo il 2012, e saranno incentivati gli investimenti nelle tecnologie di abbattimento delle emissioni e nelle alternative a basse emissioni di carbonio.

(b) Azioni derivanti dalla politica energetica dell'UE

In linea con il riesame strategico della politica energetica dell'UE, l'adozione delle misure concrete illustrate di seguito permetterà di disporre di un sistema energetico competitivo, più sostenibile e sicuro, con una forte riduzione delle emissioni dei gas serra prodotti dall'UE nel 2020. Sarà auspicabile:

migliorare del 20% l'efficienza energetica dell'UE entro il 2020;

incrementare la percentuale dell'energia ricavata da fonti rinnovabili fino al 20% entro il 2020;

adottare una politica sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio (Carbon Capture and Storage - CCS) che sia sicura sotto il profilo ambientale e che comprenda la costruzione di dodici impianti dimostrativi di vasta scala in Europa entro il 2015.

(c) Rafforzare il sistema UE di scambio delle quote di emissione

Il 45% delle emissioni di CO2 dell'UE rientra nel sistema UE di scambio delle quote; a partire dal 2013 tale percentuale dovrebbe aumentare. Nell'ambito del riesame del sistema UE di scambio sarebbe opportuno valutare almeno le soluzioni indicate di seguito che mirano a rafforzarne il ruolo.

L'assegnazione delle quote dovrebbe riguardare un periodo superiore ai cinque anni attuali: in tal modo si garantirebbe la prevedibilità necessaria per poter prendere decisioni sugli investimenti a lungo termine.

Il sistema dovrebbe essere esteso ad altri gas e settori.

Le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio devono essere riconosciute e ammesse nel sistema di scambio.

Occorre armonizzare il processo di assegnazione delle quote tra i vari Stati membri, anche attraverso un più ampio ricorso alle aste, per evitare distorsioni della concorrenza in Europa.

È opportuno collegare il sistema UE di scambio delle quote ad altri sistemi analoghi a carattere vincolante (ad esempio quelli esistenti in California e in Australia).

(d) Limitare le emissioni dei trasporti

Le emissioni del settore dei trasporti dell'UE hanno continuato ad aumentare, annullando buona parte dei risultati ottenuti nei settori dei rifiuti, dell'industria manifatturiera e dell'energia. Segue un elenco degli interventi per il comparto.

Sarebbe opportuno che il Consiglio e il Parlamento adottassero la proposta della Commissione che mira ad includere il trasporto aereo nel sistema UE di scambio delle quote.

Il Consiglio dovrebbe adottare la proposta della Commissione per correlare le tasse automobilistiche ai livelli di emissione del CO2.

Per affrontare il problema delle emissioni di CO2 prodotte dalle auto, nella comunicazione di prossima pubblicazione riguardante il conseguimento dell'obiettivo di emissione fissato dall'UE per il 2012, pari a 120 g CO2/km secondo un approccio coerente e completo, verranno proposte altre misure. Sarà inoltre valutata la possibilità di ottenere ulteriori riduzioni dopo il 2012.

Occorre rafforzare le misure che incidono sulla domanda, come quelle definite nel Libro bianco sulla politica europea dei trasporti fino al 2010 e nel riesame della stessa.

È opportuno contenere maggiormente le emissioni di gas serra prodotte dal trasporto merci su strada e per via navigabile, tenuto conto della dimensione internazionale.

È necessario ridurre le emissioni di CO2 rilasciate nell'intero ciclo di vita dei carburanti da trasporto, ad esempio accelerando lo sviluppo dei biocarburanti sostenibili ed in particolare di quelli di seconda generazione.

(e) Riduzione delle emissioni di gas serra in altri settori

Edilizia residenziale e commerciale

Il consumo di energia degli edifici potrà essere ridotto fino al 30% se si amplierà il campo di applicazione della direttiva sul rendimento energetico degli edifici e se si introdurranno requisiti UE di prestazione che incentivino un'edilizia a bassissimo consumo di energia (e che ne favoriscano l'espansione entro il 2015). Poiché i cambiamenti climatici colpiranno le fasce più sfavorite della società, i governi dovrebbero prevedere politiche energetiche specifiche per l'edilizia popolare.

Gas diversi dal CO2

Per affrontare il problema delle emissioni dei gas diversi dal CO2, che rappresentano il 17% delle emissioni dell'UE, sarebbe opportuno proporre vari interventi, quali:

una migliore attuazione delle misure previste dalla politica agricola comune e dal piano d'azione dell'UE per le foreste, in modo da ridurre le emissioni prodotte dalle attività agricole dell'UE e da promuovere il sequestro biologico;

la definizione di limiti di emissione per il metano prodotto dai motori a gas e dovuto alla produzione di carbone, petrolio e gas o l'inclusione di tali emissioni nel sistema UE di scambio delle quote;

l'ulteriore limitazione o il divieto di utilizzo dei gas fluorurati;

la riduzione delle emissioni di protossido di azoto derivanti dalla combustione e l'inclusione delle emissioni di N2O prodotte dai grandi impianti nel sistema UE di scambio delle quote.

(f) Ricerca e sviluppo tecnologico

Nell'ambito del Settimo programma quadro comunitario, i finanziamenti destinati alla ricerca nei settori dell'ambiente, dell'energia e dei trasporti nel periodo 2007‑2013 sono aumentati, passando a 8,4 miliardi di euro. Tali finanziamenti dovrebbero essere utilizzati al più presto, per incentivare lo sviluppo di tecnologie pulite nel campo dell'energia e dei trasporti da diffondere il più rapidamente possibile e per accrescere ancora le conoscenze sui cambiamenti climatici e i relativi impatti. Dopo il 2013 il bilancio destinato a tali attività dovrebbe aumentare ancora e sarebbe opportuno intraprendere iniziative analoghe in ambito nazionale. Il piano d'azione strategico per le tecnologie energetiche e il piano d'azione per le tecnologie ambientali dovrebbero avere piena attuazione; occorre infine promuovere maggiormente i partenariati pubblico-privato.

(g) Politica di coesione

Gli orientamenti strategici in materia di coesione, adottati nell'ottobre del 2006, incentivano i trasporti e l'energia sostenibili nonché le tecnologie e le innovazioni ambientali attraverso le sovvenzioni erogate dai fondi strutturali e dal Fondo di coesione. Questi provvedimenti dovrebbero essere inseriti nei programmi operativi.

(h) Altri provvedimenti

L'UE dovrebbe valutare tutte le soluzioni possibili per ridurre le emissioni di gas serra e garantire che le misure da adottare sia tra loro coerenti sotto il profilo economico e ambientale. Nel secondo rapporto del Gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente, si proponeva di analizzare la praticabilità di tutti i potenziali interventi che potrebbero offrire gli incentivi necessari per incoraggiare i partner commerciali dell'UE ad intraprendere misure efficaci per l'abbattimento delle emissioni dei gas serra[72].

L'UE dovrebbe incentivare anche la sensibilizzazione del pubblico in generale alle ripercussioni che le proprie azioni hanno in termini di cambiamenti climatici e coinvolgere i cittadini nell'impegno a limitare tali impatti.

6.           Interventi in ambito internazionale nella lotta ai cambiamenti climatici

La battaglia contro i cambiamenti climatici si può vincere solo con un intervento di scala planetaria, ma per raggiungere l'obiettivo dei 2 ºC il dibattito internazionale deve andare oltre la retorica e arrivare a negoziati in cui si discuta di impegni concreti. Per l'UE il raggiungimento di un accordo in questo senso dovrebbe essere la priorità internazionale a tutti i livelli: per esercitare tutto il suo peso dovrebbe organizzarsi e presentare, negli anni, una posizione e una politica unitaria dell'UE e un approccio coerente e convincente, come richiede un impegno di questa portata. Tutto ciò renderà necessari metodi di lavoro diversi in termini di coordinamento e di azione internazionale.

Un accordo del genere si può raggiungere solo così. In paesi come gli Stati Uniti e l'Australia, che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto, aumenta la consapevolezza dei pericoli insiti nei cambiamenti climatici e ciò ha dato vita a iniziative regionali per contenere le emissioni dei gas serra. Le imprese, più che alcuni governi, stanno facendo propria una visione di lungo termine e stanno diventando l'elemento trainante nella lotta ai cambiamenti climatici; a tal fine chiedono un quadro politico coerente, stabile ed efficiente che orienti le decisioni in materia di investimenti. Molte delle tecnologie di riduzione delle emissioni di gas serra esistono già o sono in fase avanzata di sviluppo e sono in grado di abbattere le emissioni (cfr. grafico 1). Ciò che serve ora è l'appoggio dei principali responsabili delle emissioni per giungere ad un accordo di lungo termine che ne garantisca un maggiore sviluppo e diffusione.

 

Fonte: CCR-IPTS, POLES

6.1         Come devono intervenire i paesi industrializzati

I paesi industrializzati sono responsabili del 75% dell'attuale concentrazione di gas serra di origine industriale nell'atmosfera e del 51% se si tiene conto della deforestazione (concentrata in massima parte nei paesi in via di sviluppo). Essi hanno inoltre la capacità tecnologica e finanziaria per ridurre le proprie emissioni: per questo dovrebbero dare il contributo maggiore nei prossimi dieci anni.

Il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra dei paesi industrializzati che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto è ancora superiore a quello dell'UE. Al fine di conseguire l'obiettivo dei 2 °C, e nel contesto di un accordo internazionale che si applichi dopo il 2012, l'Unione europea dovrebbe proporre ai paesi industrializzati d'impegnarsi a ridurre del 30% le proprie emissioni rispetto ai valori del 1990 entro il 2020.

I sistemi di scambio delle emissioni saranno uno strumento cruciale per consentire ai paesi sviluppati di realizzare i traguardi fissati in maniera economicamente efficace. Sistemi analoghi a quello dell'UE sono in fase di preparazione anche in altri paesi. I vari sistemi nazionali di scambio con livelli comparabili di rigorosità dovrebbero essere connessi tra loro, per ridurre i costi legati all'adempimento degli obblighi.

Il regime che entrerà in vigore dopo il 2012 deve prevedere norme vincolanti ed efficaci per verificare e far applicare gli impegni assunti: in tal modo verrà a crearsi un clima di fiducia nel fatto che tutti i paesi manterranno i rispettivi impegni e che non ci saranno inversioni di rotta come quelle rilevate di recente.

6.2         Interventi nei paesi in via di sviluppo

Nel futuro immediato è opportuno che i paesi industrializzati intervengano in maniera decisa per abbattere le proprie emissioni. Ma le economie dei paesi in via di sviluppo e, di conseguenza, le emissioni prodotte crescono in termini assoluti e relativi ed entro il 2020 rappresenteranno più del 50% delle emissioni globali (cfr. grafico 2). Ne consegue che un'azione anche più incisiva, ma intrapresa solo dai paesi industrializzati, non solo perderà di efficacia, ma non sarà semplicemente sufficiente, anche se questi paesi riusciranno ad abbattere drasticamente le proprie emissioni. È pertanto indispensabile che anche i paesi in via di sviluppo, e soprattutto le principali economie emergenti, comincino a ridurre al più presto l'aumento delle proprie emissioni e ad abbattere le emissioni in termini assoluti dopo il 2020. Occorre inoltre agire con incisività per arrestare le emissioni risultanti dalla deforestazione. Questo obiettivo è perfettamente realizzabile senza compromettere in alcun modo la crescita economica e la lotta alla povertà. Crescita economica e lotta alle emissioni di gas serra sono due elementi perfettamente compatibili. Nella valutazione d'impatto si stima che il PIL complessivo dei paesi in via di sviluppo "che dispongono di una politica climatica" nel 2020 dovrebbe risultare leggermente inferiore (-1%) rispetto al PIL generato in assenza di una politica climatica. In realtà, la differenza è ancora più esigua, se non addirittura inesistente, perché le stime non tengono conto dei danni connessi ai cambiamenti climatici che vengono evitati. Nello stesso periodo, si prevede che il PIL di Cina e India raddoppierà e che quello del Brasile aumenterà del 50% circa. Lo sforzo di coinvolgere i paesi in via di sviluppo a fare qualcosa sarà più convincente se tutti i principali paesi industrializzati che producono le emissioni ridurranno sensibilmente le proprie.

 

Fonte: CCR-IPTS, POLES

Molti paesi in via di sviluppo stanno già intervenendo per ridurre sensibilmente la crescita delle emissioni di gas serra che producono attraverso politiche a livello di economia, sicurezza o ambiente locale e hanno a loro disposizione molte soluzioni che presentano benefici superiori ai costi.

L'aumento della produttività legata all'utilizzo dell'energia, oggi bassa, consente di dare una risposta alle crescenti preoccupazioni per i costi dell'energia e la sicurezza.

Le politiche riguardanti le energie rinnovabili sono spesso efficaci sotto il profilo economico, in particolare per soddisfare il fabbisogno di energia elettrica delle zone rurali.

Le politiche in materia di qualità dell'aria presentano vantaggi per la salute delle persone.

Il metano emesso dalle discariche, dai letti di carbone, dai rifiuti organici in decomposizione e da altre fonti e poi recuperato è una fonte di energia a basso costo.

Tutte queste politiche possono essere rafforzate con uno scambio di buone pratiche in fase di elaborazione e pianificazione e di cooperazione tecnologica. In tal modo i paesi in via di sviluppo saranno in grado di svolgere un ruolo di maggiore peso nell'ambito delle attività di abbattimento delle emissioni su scala mondiale. L'UE continuerà le proprie attività di cooperazione in questo senso, approfondendole.

Ci sono varie soluzioni possibili per coinvolgere i paesi in via di sviluppo in un'azione più incisiva.

 

(a) Un nuovo approccio al meccanismo CDM

Il meccanismo di sviluppo pulito (CDM) del protocollo di Kyoto deve essere razionalizzato ed esteso. Per il momento, genera crediti nel caso di investimenti in progetti di abbattimento delle emissioni che si realizzano nei paesi in via di sviluppo; tali crediti possono essere utilizzati dai paesi industrializzati per rispettare i propri obiettivi di riduzione e in tal modo si creano importanti flussi di capitali e di tecnologie. Il CDM potrebbe essere esteso a interi settori nazionali, generando crediti di emissione se tutto il settore nazionale fosse in grado di superare uno standard predefinito di emissione. Un meccanismo di portata più ampia potrà però funzionare unicamente in presenza di una maggiore domanda di crediti e ciò accadrà solo se tutti i paesi industrializzati si assumeranno consistenti impegni di riduzione.

(b) Migliore accesso ai finanziamenti

Nei paesi in via di sviluppo le previsioni indicano che, per sostenere la crescita economica, gli investimenti per la generazione di nuova elettricità dovrebbero superare i 130 miliardi di euro l'anno; gran parte di queste risorse proverrà dai principali paesi in via di sviluppo medesimi. I nuovi impianti saranno operativi per decine d'anni e determineranno le emissioni dei gas serra dopo il 2050. Per questo dovrebbero essere impianti all'avanguardia; questa è dunque un'occasione unica per ridurre le emissioni nei paesi in via di sviluppo.

Per abbattere drasticamente le emissioni di CO2 nel settore dell'energia elettrica serviranno altri investimenti pari a circa 25 miliardi di euro l'anno. Questo divario non potrà essere colmato con il CDM, anche se questo avesse una portata più ampia come proposto in precedenza, e nemmeno con gli aiuti allo sviluppo. Sarà invece necessaria una combinazione di CDM, aiuti allo sviluppo, meccanismi di finanziamento innovativi (come il Fondo globale per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili proposto dall'UE), prestiti mirati di istituti finanziari internazionali e l'impegno dei paesi in via di sviluppo che hanno i mezzi per contribuire. Più rapidamente verrà colmato il divario e meno aumenteranno le emissioni dei paesi in via di sviluppo.

(c) Approcci settoriali

Un'altra soluzione potrebbe essere l'introduzione di scambi di emissione a livello di imprese di tutto un settore, laddove esista la capacità di monitorare le emissioni e di garantire il rispetto degli impegni, soprattutto per i settori ad alto consumo energetico come la produzione di energia elettrica, gli impianti di lavorazione dell'alluminio, del ferro, dell'acciaio, del cemento, le raffinerie e l'industria della carta e della pasta per carta, che sono in massima parte soggetti alla concorrenza internazionale. Tali sistemi di scambio potrebbero essere di scala nazionale o mondiale: nel caso di regimi nazionali, nei paesi in via di sviluppo dovrebbero essere collegati con quelli esistenti nei paesi industrializzati e gli obiettivi definiti per ciascun settore partecipante dovrebbero essere gradualmente inaspriti fino ad avvicinarsi a quelli dei paesi industrializzati. Un approccio di questo tipo servirebbe anche a limitare il trasferimento di impianti ad alte emissioni da paesi che impongono obblighi di riduzione verso paesi che non lo fanno.

 

 

(d) Limiti di emissione quantificati

I paesi che raggiungono un grado di sviluppo paragonabile a quello dei paesi industrializzati dovrebbero assumersi impegni di riduzione sulla base del rispettivo grado di sviluppo, delle emissioni pro capite, del potenziale di riduzione delle emissioni e della propria capacità tecnica e finanziaria di attuare altre misure di limitazione e riduzione delle emissioni.

(e) Assenza di impegni per i paesi meno sviluppati

I paesi meno sviluppati saranno quelli che subiranno maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici. Poiché emettono quantità ridotte di gas serra non dovrebbero essere vincolati a ridurre le proprie emissioni. L'UE rafforzerà ancora la propria cooperazione con i paesi meno sviluppati per aiutarli ad affrontare i problemi posti dai cambiamenti climatici, in particolare attraverso iniziative volte a migliorare la sicurezza alimentare, la capacità di monitorare i cambiamenti climatici, la gestione del rischio di catastrofi, la loro preparazione e risposta in caso di disastri. Oltre agli aiuti allo sviluppo necessari per affrontare le problematiche dei cambiamenti climatici, serviranno altri finanziamenti per permettere ai paesi più vulnerabili di adattarsi al fenomeno. L'UE e altri paesi dovrebbero infine aiutarli a partecipare maggiormente ai progetti nell'ambito del CDM.

Altri elementi

In un futuro accordo internazionale dovrebbero figurare anche gli elementi descritti di seguito.

§      Il cambiamento tecnologico necessita una maggiore cooperazione internazionale a livello di ricerca e sviluppo tecnologico. L'UE dovrebbe accelerare fortemente la propria cooperazione in ambito tecnologico e di ricerca con i paesi terzi, anche istituendo progetti di dimostrazione di vasta scala in determinati paesi in via di sviluppo, in particolare per la cattura e lo stoccaggio geologico del carbonio. La cooperazione internazionale nel campo della ricerca dovrebbe servire anche a quantificare gli impatti dei cambiamenti climatici in ambito regionale e locale e a predisporre le opportune strategie di adattamento e mitigazione degli effetti. Le attività di ricerca dovrebbero infine approfondire aspetti quali le interazioni tra gli oceani e i cambiamenti climatici.

§      Le emissioni derivanti dalla perdita netta di copertura forestale devono cessare definitivamente nel giro di vent'anni e successivamente ci deve essere un'inversione di tendenza. Tra le possibili soluzioni per combattere la deforestazione vi sono politiche forestali efficaci (di scala internazionale e nazionale) abbinate ad incentivi economici. Servono rapidamente dei sistemi pilota di vasta scala che consentano di esaminare quali siano gli approcci più efficaci in grado di abbinare gli interventi in ambito nazionale al sostegno internazionale.

§      Le iniziative finalizzate a favorire l'adattamento alle inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici dovranno essere parte integrante del futuro accordo mondiale sul clima. La necessità di adeguarsi agli impatti del fenomeno dovrebbe essere un elemento da considerare nelle decisioni sugli investimenti pubblici e privati. Partendo dall'attuazione del piano d'azione UE su cambiamenti climatici e sviluppo, che dovrà essere riesaminato nel 2007, l'UE dovrebbe rafforzare il processo di cooperazione con i paesi in via di sviluppo per quanto riguarda le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici e mitigazione dei relativi effetti.

§      La conclusione di un accordo internazionale su norme di efficienza energetica che coinvolga i principali paesi produttori di apparecchiature avrà vantaggi in termini di accesso al mercato e servirà ad abbattere le emissioni di gas serra.



COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE

Bruxelles, 10 gennaio 2007

DOCUMENTO DI LAVORO DEI SERVIZI DELLA COMMISSIONE

Documento di accompagnamento alla

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Limitare il cambiamento climatico globale a 2 gradi centigradi

Il percorso futuro per il 2020 e oltre

Valutazione dell’impatto

1. INTRODUZIONE

La Comunicazione del 2005 "Vincere la Battaglia contro il Cambiamento Climatico Globale"1 ha delineato le sfide future nella lotta contro il cambiamento climatico globale. Essa fornisce raccomandazioni concrete per politiche climatiche dell’UE e illustra gli elementi fondamentali della strategia dell’UE in materia di clima, ossia elaborare meccanismi del Protocollo di Kyoto basati sul mercato; allargare la partecipazione; includere altre aree e tipi di gas; promuovere  l’applicazione e lo sviluppo di tecnologie, e rafforzare l’attività di adeguamento.

Il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo hanno entrambi confermato l’obiettivo dell’UE di limitare l’aumento della temperatura globale media ad un massimo di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali. Per raggiungere questo obiettivo, le concentrazioni atmosferiche di gas serra devono restare ben al di sotto delle 550 parti per milione di volume (ppmv) di CO2 equivalente, il che significa che le  emissioni mondiali dovranno decrescere almeno del 15%, o anche forse fino al 50% entro il 2050,  rispetto ai livelli del 1990.

I paesi industrializzati dovranno continuare a promuovere ed esplorare alternative per  ridurre le proprie emissioni di gas serra del 15–30% entro il 2020 e del 60–80% entro il 2050. Il Consiglio Europeo ha espresso la necessità di cercare, insieme ad altre Parti della Convenzione Quadro dell’ONU sul cambiamento climatico climatico (UNFCCC), strategie in grado di produrre tali importanti riduzioni delle emissioni. Esso ha anche chiesto alla Commissione Europea di approfondire le sue analisi. Il presente documento di lavoro fornisce un’analisi di supporto per la " "Limitare il riscaldamento del pianeta a 2 gradi – Opzioni strategiche per la UE e il mondo in vista del 2020 ed oltre", che risponde a tale richiesta. Esso studia i modi in cui gli strumenti di politica internazionale e dell’UE  possono limitare le emissioni globali di gas serra un un livello che sia coerente con la richiesta del Consiglio, volta a prevenire un aumento medio della temperatura globale superiore ai 2°C. Il presente documento compie un bilancio dei progressi realizzati nell’attuazione delle raccomandazioni inerenti alla Comunicazione del 2005 e comunica l’informazione più recente sulla scienza del cambiamento climatico e gli effetti sul clima. Esso fornisce inoltre un aggiornamento sui costi della mancata azione e i vantaggi dell’azione in altri settori inclusi nella politica. Il presente documento esamina le strategie volte a raggiungere obiettivi di riduzione credibili per il 2050 e valuta i costi totali per l’UE degli obiettivi di riduzione per il 2020 e il 2030, completando precedenti valutazioni2. La questione dell’adeguamento3 all’interno della UE sarà trattato in Libro Verde separato.

 

 

2. LA REALIZZAZIONE DI UN BILANCIO DELLE RACCOMANDAZIONI RELATIVE ALLA COMUNICAZIONE DEL 2005

2.1. L’attuazione immediata ed effettiva di politiche concordate per raggiungere gli obiettivi del  Protocollo di Kyoto

I 15 Stati Membri dell’UE (UE-15) che fanno parte dell’"accordo congiunto per l’adempimento"4 dell’UE hanno un obiettivo comune di riduzione delle emissioni dei gas serra dell’8% per il periodo 2008-2012, rispetto alle emissioni del loro anno di riferimento (in genere il 1990). Le proiezioni aggregate, che si basano su politiche e misure interne esistenti, dimostrano che nel 2010 le emissioni di gas serra dell’UE-15 saranno soltanto inferiori dello 0,6 % rispetto ai livelli dell’anno di riferimento  (ossia, si trovano ad una distanza pari a 7,4 % dall’impegno di riduzione delle emissioni). Gli Stati Membri hanno riferito ulteriori misure alla Commissione Europea ai sensi del meccanismo di monitoraggio dei gas serra dell’UE, che promuove la generazione elettrica da fonti energetiche rinnovabili, dalla cogenerazione e l’efficienza energetica. Queste ulteriori misure interne sono volte a ridurre il divario ulteriormente al 4,0%, al 4,6 % entro il 2010.

La riduzione delle emissioni ottenuta mediante la sola applicazione di misure interne non sarà sufficiente a raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Si prevede che l’impiego dei meccanismi di Kyoto attui un’ulteriore riduzione del 2,6% delle emissioni e si stima che la rimozione mediante serbatoi (attività previste ai sensi dell’Articolo 3.3 e 3.4 del Protocollo di Kyoto) nell’UE-15 comporti una riduzione aggiuntiva di circa 32,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente l’anno, corrispondenti ad un ulteriore 0,8%. Unendo questi dati, si prevede che l’UE-15 riduca le proprie emissioni dell’8,0% nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990, raggiungendo l’obiettivo di Kyoto.

 

Il fatto che dalle proiezioni si deduca che l’UE raggiungerà appena il suo obiettivo sottolinea quanto sia importante l’attuazione di queste ulteriori misure da parte degli Stati Membri. A seguito del primo Programma Europeo per il Cambiamento Climatico (dell’ECCP I) nel 2001, sono state applicate diverse politiche in campo energetico, come la Direttiva 2003/30/EC sulla promozione dell’uso dei biocarburanti e di altri carburanti rinnovabili per il  trasporto 5, la Direttiva 2004/8/EC sulla promozione della cogenerazione6 , e la Direttiva 2002/91/EC sull’efficienza energetica nell’edilizia7.

Il riesame dell’ECCP I, lanciato alla fine del 2005, ha valutato il grado di attuazione di talune specifiche misure, concludendo che era stato raggiunto il 30% del potenziale di riduzione. Esso ha anche concluso che andavano migliorati i metodi per eseguire la valutazione quantitativa volta a misurare il grado di attuazione di questi provvedimenti.

La Direttiva 2003/87/EC (8) ha stabilito lo schema per lo scambio delle emissioni (emission trading scheme) dell’UE (UE ETS), che include circa il 45 % del totale delle emissioni di CO2 dell’UE. Questo schema di scambi è collegato ai meccanismi progettuali del Protocollo di Kyoto attraverso la Direttiva 2004/101/EC9. L’applicazione dell’ETS da parte dell’UE è iniziata con risultati soddisfacenti il 1° gennaio 2005 e la Commissione Europea sta ora valutando i Piani Nazionali di applicazione della seconda fase, come previsto dallo schema, che include gli anni 2008-2012.

Sin dall’inizio del 2005, sono stati applicati diversi altri nuovi strumenti legislativi che contribuiranno a ridurre le emissioni di gas serra all’interno della Comunità, ad esempio la Direttiva 2005/32/EC sull’eco-design dei prodotti 10, la Direttiva 2006/40/EC per il controllo sull’utilizzo del gas serra fluorinato nei sistemi di aria condizionata dei veicoli a motore 11 e il Regolamento 2006/842/EC riguardante l’uso di gas analoghi in altri prodotti12.

Il Libro Verde "Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura" 13 della Commissione Europea ha segnalato la necessità di una nuova focalizzazione su un’energia sostenibile, sicura e  competitiva. Inoltre, la Commissione  Europea  ha   recentemente   emesso   un      "Piano d’Azione sulle Biomasse "14,   una

"Strategia sui Biocarburanti 15, un "Piano d’Azione per l’Efficienza Energetica: Rendersi conto delle Possibilità"16 , e il Piano d’Azione UE sulle Foreste (FAP )17; essa sta inoltre portando a termine il primo Riesame Strategico UE sull’Energia.

 

2.2. Nel 2005 la nuova fase del Programma Europeo per il Cambiamento Climatico

La Commissione Europea ha lanciato la 2a. fase dell’ECCP nell’ottobre 2005. I suoi cinque gruppi di lavoro si occupano, oltre che del riesame dell’ECCP I, di aviazione, automobili, cattura e sequestro geologico del carbonio (CCS) e adeguamento. Tutti i gruppi hanno concluso la propria attività nel 2006.18

Per proseguire sulla linea dei risultati della 2a fase dell’dell’ECCP, la Commissione Europea ha proposto una serie di iniziative, tra cui una proposta per includere l’aviazione nello schema di scambi delle emissioni UE 19. La Commissione Europea adotterà inoltre all’inizio del 2007 una Comunicazione sulle prossime azioni per raggiungere gli obiettivi dell’UE per ridurre le emissioni di CO2 dalle automobili.

La Commissione Europea intende inoltre presentare una proposta per regolamentare la cattura e il sequestro geologico del carbonio nella 2a metà del 2007, creando un quadro giuridico dell’UE che garantisca l’attuazione sicura di questa tecnologia, fornendo sicurezze agli investitori. La Commissione Europea inoltre presenterà un Libro Verde sull’adeguamento, che esaminerà la necessità di azioni comunitarie in questo campo.

Facendo seguito alla Comunicazione della Commissione Europea sul Riesame dello schema dello scambio delle emissioni dell’UE 20, la Commissione Europea utilizzerà anche il Gruppo di Lavoro dell’ECCP sul Riesame dell’ETS UE per sentire ulteriori pareri sul riesame del modello. La relazione di questo Gruppo di Lavoro si tradurrà in una proposta legislativa che la Commissione Europea presenterà nel 2007.

 

 

2.3. Aumento della consapevolezza pubblica

La Commissione Europea ha intensificato le azioni per conseguire un aumento della consapevolezza e fornisce informazioni al pubblico in vari modi, tra cui:

– la "Settimana Verde" della Commissione Europea 2005  è stata interamente dedicata al cambiamento climatico ed ha riunito soggetti aderenti del settore accademico, governativo e privato 21;

– nel corso del 2006, nei nuovi Stati Membri si sono svolti diversi seminari e conferenze sulle strategie successive al 2012 sul clima;

- la campagna "tu controlli il cambiamento climatico" per aumentare la consapevolezza  in tutti i 25 Stati Membri. Tale campagna mira un informare i soggetti circa il loro ruolo nel controllare il cambiamento climatico 22.

 

2.4. Più ricerca e meglio incentrata

Come raccomandato dalla Comunicazione del 2005 "Vincere la Battaglia Contro il Cambiamento Climatico", il prossimo 7° Programma Quadro della Comunità Europea Quadro per la ricerca, sviluppo tecnologico e attività dimostrative (FP7) avrà un budget per la ricerca notevolmente incrementato per le tecnologie usate per cambiamento climatico, energia e trasporti dal 2007 al 2013 23.

Il FP7 fa seguito agli argomenti trattati dal FP6 e mira a compiere ulteriori passi avanti verso il raggiungimento degli obiettivi della Strategia di Lisbona per la promozione della crescita economica, garantendo nel contempo il progresso sociale e la sostenibilità ambientale. Per l’area 'Sviluppo sostenibile, cambiamento globale ed ecosistemi’ (che include la ricerca nell’area energia e trasporti), il FP6 ha previsto una spesa di circa € 300m, mentre si stima che il FP7 avrà a disposizione € 500m, con un’enfasi notevolmente maggiore sulla ricerca diretta sul clima come pure un forte aumento nelle relative parti inerenti all’energia e al trasporto. Le aree tematiche collegate al cambiamento climatico (con i loro budget indicativi) sono:

Energia (€ 2300m):per promuovere latrasformazione dal sistema energetico attuale, basato sui combustibili fossili, ad un sistema più sostenibile, basato su un ventaglio di fonti energetiche e vettori associati ad un incremento dell’efficienza energetica. Si mira ad affrontare le  pressanti sfide in materia di sicurezza delle forniture e di cambiamento climatico, incrementando nel contempo la competitività delle industrie energetiche europee. L’attività principale si incentrerà su:

– idrogeno e cellule combustibili;

– generazione elettrica da fonti rinnovabili;

– rinnovabili per il riscaldamento e raffreddamento;

– tecnologie per la cattura e il sequestro geologico del carbonio nella generazione elettrica a zero emissioni;

– tecnologie per il carbone pulito;

– reti energetiche intelligenti;

– efficienza e risparmio energetico;

– conoscenze necessarie per realizzare la politica energetica.

Ambiente (incluso il cambiamento climatico) (€ 1900m): per una gestione più sostenibile dell’ambiente e delle sue risorse, attraverso il miglioramento della nostra conoscenza delle interazioni tra la biosfera, gli ecosistemi e le attività umane, e lo sviluppo di nuove tecnologie, strumenti e servizi, al fine di trattare le questioni ambientali globali in modo integrato. Rivestirà particolare importanza la previsione dei cambiamenti climatici, ecologici, terrestri e dei sistemi oceanici. Le attività principali si incentreranno su:

– il cambiamento climatico, l’inquinamento e i rischi, con particolare focalizzazione sulle questioni centrali in materia di clima, sulle pressioni sull’ambiente e sugli ulteriori effetti e collegamenti ai pericoli per la salute e la natura;

– la gestione sostenibile delle risorse;

– le tecnologie ambientali per l’osservazione, la prevenzione, la mitigazione, l’adeguamento, l’attuazione di rimedi e il recupero dell’ambiente naturale e di quello ad opera dell’uomo;

– strumenti per l’osservazione e la valutazione della Terra, che includano la realizzazione di modelli e di previsioni dei fenomeni ambientali, modelli di collegamento tra economia, ambiente e società, includendo strumenti basati sul mercato, come pure contribuire al Sistema dei Sistemi di osservazione globale della Terra (GEOSS).

Trasporti (includendo l’aeronautica) (€ 4180m): per sviluppare sistemi di trasporto paneuropei integrati, “più verdi” e “più intelligenti”, a vantaggio dei cittadini e della società, rispettare l’ambiente e le risorse naturali, garantendo nel contempo e sviluppando ulteriormente il ruolo guida delle industrie europee nel mercato globale. Le attività principali si incentreranno su:

– rendere più verdi i trasporti aerei, includendo la riduzione delle emissioni, i combustibili alternativi, la gestione del traffico ecc;

                     rendere più verdi i trasporti terresti, includendo la riduzione dell’inquinamento, la promozione di motori efficienti, tecnologia ibrida e combustibili alternativi;

– incoraggiare il trasferimento della modalità di trasporto e decongestionare i corridoi per i trasporti;

– garantire una mobilità urbana sostenibile.

Inoltre, il Centro di Ricerca Congiunto (JRC) della Commissione Europea, che fornisce un sostegno a base scientifica all’attività decisionale relativa alle politiche, ha tra le priorità del suo programma di lavoro FP7 il cambiamento climatico, come pure energia e trasporti. In particolare, il JRC stabilisce le serie di dati necessari per valutare la fattibilità delle scelte da attuare nel campo del mitigamento e dell’adeguamento e realizza modelli di scenari per analizzare l’efficacia di queste scelte.

 

 

2.5. Una collaborazione rafforzata con i paesi terzi

La Comunicazione del 2005 ha raccomandato il rafforzamento della collaborazione sul cambiamento climatico con i paesi terzi. Questa raccomandazione è stata fermamente appoggiata dal Consiglio, anche nelle recenti conclusioni del Consiglio Europeo nel dicembre 2005 e del Consiglio per l’Ambiente nel marzo 2006. Di conseguenza, la Commissione Europea e gli Stati Membri hanno intensificato i loro rapporti e la loro collaborazione con i paesi terzi, mediante azioni come le seguenti:

– il dialogo politico periodico ad alto livello;

– il riempimento di lacune conoscitive mediante la collaborazione sulla scienza climatica e lo studio di modelli politici;

– lo scambio di esperienze su cambiamento climatico, qualità dell’aria e politiche energetiche a livello locale, la creazione perfezionata di strumenti di politica ambientale, includendo strumenti basati sul mercato e approcci legislativi;

– la cooperazione tecnologica sulla riduzione delle emissioni di gas serra, anche mediante l’efficienza energetica, l’energia rinnovabile e pulita, la cattura del metano, agricoltura/foreste, la gestione dei rifiuti e le tecnologie CCS;

– iniziative internazionali per comprendere meglio il trasporto emisferico della contaminazione ambientale, allo scopo di aumentare la consapevolezza sulla natura globale della contaminazione ambientale e i suoi collegamenti con il cambiamento climatico;

– lo scambio di vedute sugli effetti e l’adeguamento, come pure la costruzione di competenze in materia di adeguamento;

– l’applicazione intensificata dell’Attuazione Congiunta del Protocollo di Kyoto (JI) e del Meccanismo per lo Sviluppo Pulito (CDM);

– l’attuazione degli impegni assunti ai sensi della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC) e il suo Protocollo di Kyoto;

– azioni eseguite congiuntamente dalla Commissione Europea e dagli Stati Membri nella preparazione a tutte le principali conferenze internazionali sul cambiamento climatico dal 2004.

Le azioni volte ad aumentare la partecipazione dei paesi terzi al 6° Programma Quadro della Comunità Europea per la ricerca hanno subito un notevole incremento un seguito alla  Comunicazione del 2005. Nel 2006, è stata lanciato una successiva gara nella quale si invitava a sottoporre proposte. Questa gara, che poteva contare su un budget totale di € 20m, sollecitava in particolare proposte riguardanti progetti di ricerca per facilitare e rafforzare la cooperazione internazionale nell’affrontare le principali barriere tecniche e non tecniche all’utilizzo dell’idrogeno, delle cellule combustibile e delle tecnologie CCS. E’ stato inoltre lanciata una gara per la presentazione di proposte, con un budget di € 20m, volte ad aumentare la partecipazione di paesi terzi associati in progetti esistenti.

La cooperazione internazionale sulla ricerca nel campo dell’energia sarà ulteriormente aumentata nel 7° Programma Quadro, includendo il programma specifico sulla 'Cooperazione', che sarà aperto alla partecipazione dei paesi terzi. La Commissione Europea sta anche predisponendo ora una strategia europea sulla cooperazione internazionale in campo scientifico  e tecnologico che rafforzerà le relazioni esterne dell’UE in questo settore.

Il 7° Programma Quadro dovrebbe inoltre stimolare la cooperazione a sostegno dell’obiettivo dell’Iniziativa Energia UE per lo sradicamento della povertà e lo sviluppo sostenibile, lanciata al Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile nel 2002 (WSSD), allo scopo che i poveri possano usufruire in modo sicuro ed economicamente accessibile  all’energia sostenibile.

Diversi incontri ministeriali sono stati organizzati a seguito della Coalizione per l’Energia Rinnovabile di Johannesburg (JREC, lanciata al WSSD) e dell’Iniziativa Energia UE. Questi dialoghi hanno ispirato azioni concrete appoggiate dalla Comunità come la Banca dati globale sulle Politiche di energia rinnovabile elaborate dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, il Fondo per l’Energia (Energy Facility) dell’UE, del valore di € 220m, e il Fondo per l’efficienza energetica e l’energia rinnovabile (GEEREF) 24, recentemente lanciato, del valore di  € 100m, che ha già ricevuto assicurazioni di ulteriori finanziamento da diversi Stati Membri. Il GEEREF è un fondo per il finanziamento che mobilita notevoli finanziamenti commerciali, offrendo una nuova condivisione del rischio e di cofinanziamento agli investitori pubblici e privati. Esso metterà a disposizione del capitale di rischio per progetti di efficienza energetica ed energia rinnovabile in paesi in via di sviluppo ed economie in transizione, anche a livello di piccole e medie imprese. Il GEEREF si adopererà attivamente per creare fondi regionali per Africa, Asia, America Latina e paesi dell’Europa dell’est non appartenenti all’UE.

Il JRC ha anche assegnato uno spazio maggiore alla dimensione globale nel suo   programma di lavoro FP7, in particolare per questioni attinenti al cambiamento climatico e allo sviluppo.

Un ulteriore risultato diretto dell’impegno dell’UE per rafforzare la sua cooperazione nel campo del cambiamento climatico con paesi terzi è l’accordo su una serie di partenariati sul cambiamento climatico con paesi terzi chiave.

 

Cina

Il Partenariato UE-Cina sul Cambiamento Climatico è stato lanciato nel contesto del Vertice UE-Cina del settembre 2005. Questo Partenariato ha stabilito un dialogo politico tra Cina e UE su azioni per combattere il cambiamento climatico e prevede iniziative concrete incentrate sulla cooperazione tra UE e Cina nel settore del cambiamento climatico e l’energia.

I risultati più importanti del Partenariato includono l’accordo per la realizzazione di una centrale elettrica a carbone dimostrativa quasi ad emissioni zero, avvalendosi delle tecniche di cattura e sequestro geologico del carbonio in Cina.

Sono stati sottoscritti dei Memoranda of Understanding tra la Cina, la Commissione Europea e il Regno Unito. Il finanziamento totale dal Regno Unito e la Comunità Europea per la prima fase di questo progetto è di circa € 10m.

Il Partenariato ha anche aperto la strada all’iniziativa della Banca Europea per gli Investmenti, che consiste in un fondo per il finanziamento fino a € 500m destinato a sostenere progetti di investimento in Cina per mitigare il cambiamento climatico. Queste iniziative si pongono come corollarie del Programma UE-Cina per l’Energia e l’Ambiente (EEP), che promuove l’impiego dell’energia sostenibile in Cina, in particolare nell’area dello sviluppo della politica energetica, l’efficienza energetica, l’energia rinnovabile e il gas naturale. L’EEP vige dal maggio 2003 al maggio 2008, con un budget totale di € 42,9m, ai quali la Commissione Europea contribuisce nella misura di € 20m.

Il partenariato ha inoltre portato ad una serie di attività volte a rafforzare la partecipazione della Cina nei CDM, anche mediante un seminario congiunto sui CDM e i meccanismi basati sul mercato, il sostegno della Comunità Europea all’Asia Carbon Expo svoltosi a Pechino nell’ottobre 2006 e svariati nuovi progetti per rafforzare le capacità della Cina nell’attuazione dei progetti CDM. Il partenariato ha parimenti rinsaldato la cooperazione tra Cina e UE nell’area dell’adeguamento.

 

 

India

L’UE e l’India hanno adottato il loro Piano d’Azione in occasione del Vertice UE-India del settembre 2005. Questo Piano d’Azione contiene un capitolo sullo Sviluppo Pulito e il Cambiamento Climatico, che crea un’Iniziativa UE-India sullo Sviluppo Pulito e il Cambiamento Climatico. Questo partenariato si incentra sulla cooperazione nell’area della tecnologia pulita e dei CDM del Protocollo di Kyoto, come pure sulla cooperazione nel settore dell’adeguamento al cambiamento climatico e l’integrazione delle problematiche inerenti all’adeguamento alle strategie per lo sviluppo sostenibile. L’Iniziativa ha intensificato il dialogo politico tra India e UE sull’azione internazionale volta a combattere il cambiamento climatico.

 

Russia

A seguito della ratifica russa del Protocollo di Kyoto nel febbraio 2005, è notevolmente progredita la cooperazione tra UE e Russia in materia climatica. Sin dal 2003 sono stati regolarmente organizzati seminari pratici bilaterali con esperti UE e russi sull’attuazione di Kyoto. In occasione del Consiglio del partenariato permanente UE-Russia in materia di ambiente del 10 ottobre 2006, UE e Russia si sono accordate sui termini di riferimento per un Dialogo bilaterale sull’ambiente ed hanno creato sette sottogruppi di esperti, tra cui uno sul cambiamento climatico, comprendente la Commissione Europea e le autorità russe, che promuoverà la cooperazione in aree come le politiche di adeguamento e la mitigazione, l’azione futura, la reportistica e la ricerca.

L’UE ha lanciato nel giugno 2005 un progetto da € 2m con fondi TACIS sull’attuazione di Kyoto, riguardante la costruzione di competenze in Russia per il monitoraggio e la reportistica, gli inventari delle emissioni di gas serra e lo sviluppo del sistema nazionale di registrazione delle emissioni.

Sin dal 2005, l’UE ha aumentato le sue iniziative volte a promuovere l’efficienza energetica come mezzo per stimolare la modernizzazione del settore energetico in Russia. Il quadro del Dialogo UE-Russia sull’Energia prevede un Piano d’Azione sull’efficienza energetica. Il piano sottolinea il ruolo dei meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto nel promuovere l’efficienza energetica.

 

 

L’Ucraina

L’Ucraina ha ratificato il Protocollo di Kyoto nel 2004. La cooperazione UE-Ucraina sul cambiamento climatico si è sviluppata lentamente a causa dei frequenti cambiamenti di governo di questo Paese negli ultimi anni.

Sin dal 2004, l’UE ha fornito all’Ucraina assistenza tecnica per implementare il Protocollo di Kyoto, inclusi il sostegno per il monitoraggio e la reportistica come pure inventari delle emissioni di gas serra. L’Ucraina partecipa ai meccanismi di Kyoto come paese ospite per i progetti JI. UE e Ucraina hanno creato un Gruppo di Lavoro bilaterale sul cambiamento climatico, la cui riunione più recente si è svolta il 12 dicembre 2006.

A causa della sua dipendenza dalle importazioni di energia, l’Ucraina è fortemente interessata a rendere la sua economia più efficiente in termini energetici. Nel luglio 2006 è stato istituito un Gruppo di Lavoro UE-Ucraina sull’efficienza energetica e l’energia rinnovabile volto a incrementare la cooperazione bilaterale in queste aree.

Brasile

La Commissione Europea si è recentemente accordata con il Brasile sull’istituzione di un Dialogo Commissione Europea-Brasile sullo Sviluppo sostenibile a livello di Ambiente e Cambiamento Climatico. Sarà incluso un Gruppo di Lavoro sul Cambiamento Climatico. Si prevede che la cooperazione recentemente istituita si svilupperà fino a diventare un Partenariato UE-Brasile.

 

Stati Uniti d’America

In occasione del Vertice UE-USA del giugno 2006 si è deciso di istituire un Dialogo ad Alto Livello sul Cambiamento Climatico, l’Energia Pulita e lo Sviluppo sostenibile, che si è riunito per la prima volta nel novembre 2006.

 

 

Altri paesi/regioni

Si stanno parimenti programmando concrete iniziative per una cooperazione più stretta  con Sud Africa, Messico e Sud Corea. Oltre all’attività bilaterale, l’UE ha rafforzato la sua cooperazione nell’area del cambiamento climatico con diverse organizzazioni regionali. Le questioni relative al clima e all’energia figuravano tra i primi posti nell’ordine del giorno dei Vertici del 2006 UE-America Latina e Caribe, ACP e ASEM. Infine, il Consiglio Congiunto di Cooperazione del Comitato di Cooperazione UE-Golfo ha convenuto di intensificare il dialogo sugli argomenti ambientali, in particolare il cambiamento climatico.

 

3. RECENTE SCOPERTE SCIENTIFICHE SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Nel marzo 2005, la Conferenza di Exeter su “Come evitare i pericoli del cambiamento climatico” ha riunito eminenti scienziati del clima per la presentazione dei più recenti risultati scientifici (Tirpak et al. 2005).

Si tratta dei dati più estesi sin dalla pubblicazione della Terza Relazione di Valutazione da parte del Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) nel 2001. Gli ultimi risultati della ricerca confermano che il clima sta effettivamente cambiando con effetti diretti sugli ecosistemi e sull’Uomo.

Esistono indicazioni di un’accelerazione ancora più veloce di questi cambiamenti. In molti casi i rischi sembrano essere più gravi di quanto si sia creduto in precedenza. L’IPCC sta attualmente redigendo la 4a Relazione di Valutazione che includerà dati scientifici fino alla fine del 2006, e che sarà pubblicata nel novembre 2007.

 

3.1. Osservazioni attuali sul cambiamento climatico: il sistema fisico

* Il 2005 è stato uno degli anni più caldi mai registrati (NASA, 2005). In termini globali, i 10 anni più caldi mai registrati si sono tutti verificati dopo il 1990. Un altro studio conclude che, a causa di una rapida tendenza al riscaldamento negli ultimi 30 anni, la Terra sta ora raggiungendo e attraversando le fasi più calde dell’attuale periodo interglaciale, che è durato quasi 12.000 anni. Questo riscaldamento sta costringendo le specie vegetali e animali a migrare verso i poli (Hansen 2006).

* I cilindri di ghiaccio, campionati e analizzati dal Progetto Europeo per i Cilindri di Ghiaccio dell’Antartide (EPICA), ha rivelato i cicli climatici a lungo  termine glaciale-interglaciale e fornito dati registrati sull’anidride carbonica atmosferica, il metano, e l’ossido nitroso relativi al periodo in questione. I livelli odierni di metano e anidride carbonica non sono paragonabili ad alcun dato registrato negli ultimi 650.000 anni (Siegenthaler, 2005).

* Si è osservata un’accelerazione dell’innalzamento del livello del mare. Uno studio recente ha riscontrato un innalzamento del livello del mare di 195 mm dal gennaio 1870 al dicembre 2004, pari ad un innalzamento medio del livello del mare di 1,7 ± 0,3 mm l’anno nel 20° secolo. Questo incremento annuo sta ancora aumentando dello 0,013 ± 0,006 mm l’anno. Si tratta di un’importante conferma delle simulazioni del cambiamento climatico, che proiettavano tale accelerazione (Church, 2005).

* Il cambiamento climatico sta alterando la precipitazione e i cicli ideologici (Dore, 2005). Uno degli effetti previsti del cambiamento climatico è che i livelli di neve e ghiaccio si riducono e che lo scioglimento della neve avviene prima nella stagione primaverile. Le regioni umide registrano crescentemente livelli più elevati di precipitazione, mentre nelle zone aride i livelli si riducono, e le stesse diventano più aride. Nuovi studi dimostrano che sono già osservabili cambiamenti idrologici.

* I dati scientifici concludono che si è registrato un aumento dell’intensità degli uragani ed essi attribuiscono questa tendenza in parte al cambiamento climatico, mentre è ancora incerto se vi si debba correlare il numero di uragani che si registrano l’anno. Gli scienziati stanno inoltre evidenziando un nesso tra il cambiamento climatico e l’uragano del Sud Atlantico, che ha colpito il  Brasile meridionale nella primavera del 2004 (Pezza et al., 2005).

* Considerando i danni associati alle intense tempeste verificatesi recentemente (ad esempio, i rapporti di Munich Re e altri segnalano danni collegati al clima negli ultimi 25 anni per circa $ 1.5 trilioni), si dovranno costruire ulteriori competenze per gestire i danni nelle comunità ed ecosistemi costieri.

 

 

3.2. L’osservazione attuale del cambiamento climatico: l’impatto sugli ecosistemi

* Le specie stanno già migrando dai loro habitat storici per evitare le conseguenze del cambiamento climatico. Le piante e gli animali associati ad alcune regioni geografiche si stanno trasferendo, o mouiono. Gli habitat si stanno riducendo come conseguenza dell’aumento della temperatura. Le catene alimentari sono cambiate. Si possono prevedere ulteriori alterazioni degli ecosistemi e quindi delle loro forniture, includendo prodotti laniferi, forniture di acqua potabile e produttività agricola, a misura che il cambiamento climatico continuerà ad alterare interi ecosistemi (sistemi ecologici nei quali la fauna, la flora e il contesto fisico nei quali essi vivono sono intercollegati). I cambiamenti riscontrati sono già notevoli. Le acque del Mare del Nord si sono surriscaldate di 1,1°C negli ultimi 30 anni. L’aumento della temperatura del mare sta provocando il trasferimento dell’habitat di specie ittiche del Mare del Nord verso una latitudine più a nord e/o più in profondità per trovare acque più fredde. Si prevede che i cambiamenti negli allevamenti ittici del Mare del Nord, già stressati dalla pesca eccessiva, si accelerino a causa del cambiamento climatico (Perry, 2005).

* Gli scienziati hanno documentato un trasferimento dell’habitat delle farfalle spagnole, a causa del clima che cambia. I modelli hanno proiettato che talune specie probabilmente si eleveranno e/o si sposteranno a nord a causa dell’aumento della temperatura. In questo studio si stima che gli habitat delle specie sono già diminuiti di un terzo e probabilmente decresceranno fino al 50-80% durante i prossimi 100 anni se si consente che il cambiamento climatico prosegua con la stessa intensità (Wilson, 2005).

* Il cambiamento climatico altererà le forniture dall’ecosistema europeo nel corso del prossimo secolo (Schröter, 2005). Mentre il cambiamento climatico provocherà l’aumento di alcuni servizi dell’ecosistema, gran parte di essi subiranno gli effetti negativi causati dalla siccità, la ridotta fertilità del suolo, il fuoco e altri fattori derivanti dal cambiamento climatico. L’Europa può aspettarsi un declino del terreno arabile, delle aree del Mediterraneo coperte di foreste, dei pozzi terrestri per l’assorbimento del carbonio e della fertilità del suolo e un aumento del numero di bacini con scarsità d’acqua. Tutto questo aumenterà la perdita di biodiversità.

* I ghiacciai si stanno ritirando, i fogli di ghiaccio si stanno sciogliendo e crollando, e l’anticipato scioglimento del ghiaccio sta aumentando i tassi di riscaldamento. Uno studio ha misurato la copertura glaciale nelle diverse decadi, ed ha riscontrato che l’87% dei 244 ghiacciai dell’Antartide si sono ritirati. Questi risultati confermano le previsioni dei modelli (Cook, 2005).

* Le Alpi europee potrebbero perdere circa l’80% della loro copertura di ghiaccio entro la fine di questo secolo se le temperature estive dell’aria aumentassero di 3°C, e potrebbero perdere completamente il ghiaccio entro il 2100, nel caso in cui la temperatura aumenti di 5°C (Zemp et al., 2006).

* La perdita di ghiaccio della Groenlandia è raddoppiata tra il 1996 e il 2005, quando i suoi ghiacciai sono fluiti velocemente negli oceani come conseguenza del clima generalmente più caldo, secondo uno studio NASA/Università del Kansas (Buis, 2006). I ricercatori hanno stimato che la perdita di massa del ghiaccio risultante da un maggior flusso dei ghiacciai sia aumentata dai 63 chilometri cubici del 1996 ai 162 chilometri cubici del 2005.

*"L’acidificazione dell’oceano" descrive un processo per cui l’aumento della CO2 nelle acque degli oceani le fa diventare più acide. Questo processo potrebbe causare bruschi cambiamenti nell’ambiente marino nelle decadi future. Sin dall’inizio della rivoluzione industriale, il pH degli oceani è sceso di approssimativamente 0,1 unità, e si stima che esso calerà ancora di 0,3 – 0,4 unità entro il 2100, a misura che gli oceani assorbono una quantità maggiore di CO2 antrofogenico. Mentre sono ancora incerte le piene conseguenze ecologiche di questi cambiamenti nella calcificazione, sembra probabile che le specie calcificanti, tra cui le barriere coralline, ne riceveranno effetti negativi (Orr, J. et al., 2005).

* Uno studio realizzato dalla FAO e l’IIASA usando il suolo spaziale e i dati sul clima ha rivelato  che il cambiamento climatico produrrà notevoli impatti sulle forniture mondiali di alimenti (FAO 2005). I risultati proiettano una perdita dell’11% del terreno arabile nel mondo in via di sviluppo a causa del cambiamento climatico, includendo una perdita della produzione di cereali in 65 paesi in via di sviluppo (per questi paesi, la perdita equivale circa al 16% del PIL agricolo in dollari del 1995). Lo studio suggerisce inoltre che alcune delle perdite sarebbero compensate: “nuovi” terreni disponibili ad alte latitudini potrebbero rendersi disponibili in Russia, Europa del Nord, e America del Nord. Tuttavia, gli effetti distributivi sarebbero, nel complesso, negativi.

 

 

3.3. Proiezioni dei modelli climatici

*  Ora esiste maggiore chiarezza e minore incertezza circa gli  effetti del cambiamento climatico. I modelli climatici proiettano continui aumenti sia delle concentrazioni di gas serra sia della temperatura globale, con l’aumento degli effetti salvo che si riducano notevolmente la riduzione delle emissioni. Questi effetti aumentano notevolmente quando le temperature globali salgono di 2°C o più oltre i livelli odierni.

* Le attuali concentrazioni di gas serra sono di oltre 380 ppmv CO2 (corrispondenti ad approssivamente 425 ppmv di CO2 equivalente) e aumentano di circa 2 ppmv l’anno. Studi recenti segnalano un crescente rischio di superare i 2°C sopra i livelli pre-industriali, con la stabilizzazione dei livelli di concentrazione dei gas serra molto oltre i 450 ppmv di CO2 equivalente (Meinshausen, 2005).

* I livelli di temperatura e i tassi di cambiamento critici rispetto ai tempi pre-industriali variano nel pianeta, secondo che si tratti di regioni specifiche e di ecosistemi sensibili. Ad esempio, un aumento regionale di 2,7°C sopra i livelli attuali può rappresentare una soglia che provoca lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia, mentre è probabile che un aumento delle temperature globali di circa 1°C provochi un esteso sbiancamento delle barriere coralline. Un grave rischio su vasta scala, una perdita irreversibile, come l’eliminazione dei pozzi di assorbimento del carbonio del suolo e la possibile destabilizzazione dei fogli di ghiaccio dell’Antartide, ha maggiori probabilità di verificarsi sopra i 3°C. Simili livelli di temperatura coincidono perfettamente con la gamma dei dati delle proiezioni sul cambiamento climatico per il 21° secolo (Tirpak et al., 2005).

* L’inquinamento da aerosol ("global dimming", ossia la riduzione della radiazione solare che giunge sulla Terra), che blocca una certa quantità di radiazione solare, può averci schermato dagli effetti del cambiamento climatico. I necessari miglioramenti della qualità dell’aria nella riduzione dell’inquinamento aumenteranno la radiazione che giunge sulla Terra e il riscaldamento della stessa (Wild, 2005). Tuttavia, i miglioramenti della qualità dell’aria potrebbero ridurre il riscaldamento da ozono troposferico (Dentener et al., 2006).

 


 

4. COSTI DELLA MANCATA AZIONE PER L’EUROPA

4.1. Lo Studio Peseta L’incompletezza delle metodologie scientifiche e le lacune nei dati ancora non consentono di eseguire un’analisi economica sistematica e completa dei costi della mancata azione dell’UE, in particolare nell’integramento delle misure di adeguamento. Lo studio PESETA, attualmente in corso, coordinato dal Centro Congiunto di Ricerca della Commissione Europea (DG JRC), riempirà alcune lacune conoscitive25. Il progetto PESETA valuta gli effetti previsti derivanti dal cambiamento climatico in Europa per i lassi temporali 2011-2040 e 2071-2100, data una valutazione quantitativa basata su un modello degli effetti fisici per alcuni settori chiave. Esso considera gli effetti sull’agricoltura, la salute umana, il turismo, i bacini fluviali e i sistemi costieri, usando scenari climatici comuni e sottostanti scenari socioeconomici coerenti. Due scenari globali sono stati scelti nella Relazione Speciale dell’IPCC sugli Scenari delle Emissioni (SRES), corrispondenti ai dati di base degli scenari A2 e B2. Questa scelta copre parzialmente il grado di incertezza associato alle forze motrici  delle emissioni globali: il cambiamento demografico, lo sviluppo economico e il cambiamento tecnologico. Nello scenario A2, dove i dati di base si incentrano sulle imprese nazionali, si presume che le emissioni globali di gas serra aumentino in modo più evidente, arrivando a triplicare approssimativamente le concentrazioni medie di CO2 entro la fine di questo secolo rispetto alle concentrazioni pre-industriali. I dati di base dello scenario B2 si incentrano sulla gestione locale  e risultano in un approssimativo raddoppiamento della concentrazione della CO2 atmosferica. L’Allegato 2 comprende altre informazioni di fondo sullo studio PESETA. I seguenti paragrafi riassumono alcuni risultati preliminari dello studio PESETA per quel che riguarda l’agricoltura, la salute, la protezione costiera, il rischio di inondazione fluviale e il turismo.

4.2. L’agricoltura

Nello studio PESETA dedicato all’agricoltura, sono stati proiettati, tramite modelli, gli effetti del cambiamento climatico sotto forma di cambiamenti prodotti sulla resa dei raccolti europei per il 2020 e il 2080 in nove aree agro-climatiche. Il calo di produttività dei raccolti di grano nell’Europa meridionale è causato da un’abbreviazione del periodo di crescita, con conseguenti effetti negativi sul riempimento del grano. Dalle proiezioni risulta un aumento dell’idoneità e della produttività nell’Europa del Nord causato da un allungamento della stagione di crescita e del periodo senza brina. I risultati, pur soggetti a notevoli incertezze, sono coerenti con i risultati di studi precedenti. I modelli che mostrano cambiamenti della produttività che vanno da +2.8 a +70 % per alcune regioni settentrionali, e diminuzioni che vanno da -1.9 a - 22.4 % per le regioni settentrionali, devono considerarsi stime indicative. La prossima fase dello studio PESETA attribuirà un valore economico a questi effetti fisici del cambiamento climatico.

 

4.3. Salute

Gli effetti sulla salute sono tra gli effetti chiave del cambiamento climatico. I più importanti tra i probabili effetti sulla salute del futuro cambiamento climatico includono:

Aumento del  caldo estivo comportante mortalità (morti) e morbidità (malattie);

Diminuzione del freddo invernale comportante mortalità e morbidità;

Cambiamenti dell’impatto delle patologie, ad esempio per malattie provocate da un vettore, l’acqua o il cibo;

Aumento del rischio di incidenti da eventi  climatici estremi (temporali e inondazioni).

Impatto sui sistemi di mortalità, morbidità, disabilità, salute, ed economia sanitaria di eventi  estremi (temporali e inondazioni)

Il progetto PESETA sulla salute tenta di quantificare tutti i predetti effetti, ma si è inizialmente concentrato sul freddo e il caldo che provocano la mortalità. I risultati preliminari indicano che, ad un livello europeo complessivo, l’aumento del numero delle morti provocate dal caldo potrebbe essere più elevato del calo delle morti provocate dal freddo negli anni 2080. L’analisi mostra quasi 86.000 morti nette in più l’anno nello scenario A2 con un aumento medio della temperatura complessiva di 3°C nel 2071-2100 rispetto al 1961-1990. Nello scenario B2, con un aumento medio della temperatura complessiva di 2.2°C nel 2071-2100 rispetto al 1961-1990, il numero delle morti nette in più l’anno si dimezza a 36.000.

Questi risultati sono preliminari, non presumono l’adeguamento climatico e non distinguono ancora l’impatto del non-cambiamento climatico (cambiamenti socio-economici per fasce di età o movimenti della popolazione). Tuttavia, considerando una gamma di valori di vita statistica di € 1-2m, essi mostrano che i potenziali costi economici del cambiamento climatico sono elevati, già misurati in miliardi di euro come costo annuo nella seconda metà del 21° secolo.

 

 

4.4. Protezione costiera

I risultati preliminari delle proiezioni da modelli per quanto riguarda gli effetti fisici e i costi di aumento del livello del mare nell’UE mostrano notevole danni, in particolare se non si eseguisse l’adeguamento (ad esempio, mediante una maggiore protezione costiera). L’adeguamento può ridurre i costi totali nel medio termine dal 7 al 50% e nel lungo termine di oltre il 70%. Tuttavia, si incorrerà ancora in notevoli costi totali a causa della spesa da sostenersi per le misure di adeguamento e gli effetti del cambiamento climatico residuo.

Certe popolazioni rischiano, in gran parte, di diventare profughe a causa delle inondazioni e, in misura minore, dell’erosione costiera.

I risultati mostrano i possibili vantaggi di un tempestivo adeguamento al cambiamento climatico nelle zone costiere d’Europa usando ordinarie misure di protezione come la costruzione di dighe e il nutrimento delle spiagge. Tuttavia, sempre attuando l’adeguamento, i costi permangono elevati e gli ecosistemi costieri si riducono notevolmente, soprattutto nello scenario che vede un elevato aumento del livello del mare. Il cambiamento climatico sollecita importanti richieste per una gestione più ampia delle coste in Europa.

 

 

4.5. Il rischio inondazione dei fiumi

Il numero dei grandi disastri da inondazione (quelli che richiedono aiuti internazionali e inter-regionali) è stato più elevato nel periodo 1990 al 1998 rispetto all’intero  periodo dal 1950 al 1985. Di conseguenza, i costi dei disastri da inondazione sono considerevolmente aumentati (Munich Re, 2005). Per le decadi a venire, si prevede che la magnitudine e la frequenza degli eventi climatici estremi aumenteranno dovuto al cambiamento climatico e che le inondazioni saranno probabilmente più frequenti e gravi in molte aree d’Europa.

Dovuto a limitazioni di tempo e di dati, non è possibile che il progetto PESETA esegua valutazioni per tutta l’Europa. I risultati preliminari di due bacini fluviali pilota, il Danubio Superiore e il Meuse (a monte di Borgharen) consentono, tuttavia, di  formulare le seguenti conclusioni in modo coerente:

Per il Danubio Superiore (~130,000 km2) si prevede che il danno totale stimato di un’inondazione di 100 anni aumenterà, nello scenario A2 con emissioni più elevate, da € 47.5 a € 66bn, ossia un aumento del ~40%.

Per lo scenario B2 con emissioni più basse, l’aumento previsto è di ~19%. Si prevede che il numero di persone colpite dagli effetti nel Danubio Superiore aumenterà di 242.000 (~11 %) nello scenario A2, e di 135,000 (~6 %) in quello B2. Per il bacino del Meuse (~22,000 km2), si prevede che il danno totale di un’inondazione di 100 anni  aumenterà del ~14 % per lo scenario A2 e ~11 % per lo scenario B2. I cambiamenti previsti per quel che riguarda le precipitazioni estreme e la temperatura segnalano che anche altre aree in Europa sono probabilmente soggette a subire cambiamenti dal rischio inondazioni. I risultati per il Danubio Superiore e il bacino del Meuse possono essere indicativi per quanto riguarda i previsti cambiamenti nei costi e nelle popolazioni coinvolte nelle regioni dove si prevedono analoghi cambiamenti delle condizioni climatiche, idrologiche e socio-economiche.

 

4.6. Turismo

La migrazione annua degli europei del nord verso i paesi della costa del Mediterraneo, alla ricerca della vacanza estiva tradizionale ‘sole, sabbia e mare’, costituisce il flusso singolo di turisti più importante del pianeta, corrispondente ad un sesto di tutti i viaggi turistici del 2000. Si stima che questo ampio gruppo di turisti, che totalizza circa 100 milioni ogni anno, spenda € 100mld l’anno.

Qualsiasi cambiamento indotto dal clima in questi flussi di turisti e di soldi produrrebbe conseguenze molto rilevanti per le destinazioni interessate. Lo studio PESETA sul turismo si incentra sui segmenti turistici maggiormente dipendenti dal clima e sensibili al cambiamento climatico; i risultati iniziali si basano sul confort termico per il turismo da spiaggia.

Lo schema delle condizioni estive potrebbe subire un cambiamento radicale nel corso di questo secolo a seguito del cambiamento climatico. L’area con condizioni eccellenti (in particolare per il turismo da spiaggia), attualmente sita intorno al Mediterraneo, si sposterà verso il nord, per arrivare addirittura nel Mare del Nord o il Mar Baltico. Lo stesso può probabilmente affermarsi per quel che riguarda i collegamenti tra sviluppo turistico e disponibilità dell’acqua.

Tuttavia, le condizioni primaverili e autunnali miglioreranno. Molto dipenderà dalla risposta dei turisti a questi cambiamenti. Più i turisti rimangono a casa, o si spostano a destinazioni diverse, più elevato sarà l’impatto distributivo in Europa. Le dimensioni di questi effetti distributivi dipenderanno dall’adeguamento operato da turisti, il commercio che gestisce il turismo e intere società. Il maggiore impatto si avrà probabilmente qualora la forma prevalente di adeguamento realizzata dai turisti sia lo spostamento dei loro viaggi verso altri destinazioni. In questo caso, molte destinazioni (in particolare dell’Europa meridionale) ne risentiranno, mentre altre ne risulteranno avvantaggiate.

 

5. BENEFICI DELL’AZIONE CLIMATICA IN ALTRI SETTORI DELLA POLITICA

5.1. Qualità dell’aria

Gli approcci integrati per ridurre la contaminazione ambientale e abbassare le emissioni di gas serra offrono notevoli vantaggi collaterali, in particolare in termini di effetti sulla salute come pure di riduzione di costi di abbattimento. Esistono forti collegamenti tra la politica del cambiamento climatico e inquinamento dell’atmosfera. Il settore dell’energia e quello dei trasporti, potenti emissori di CO2, emettono nel contempo altri aeroinquinanti come gli ossidi di nitrogeno (NOx), la materia particolata (PM) e l’anidride solforosa (SO2). Le misure per ridurre le emissioni di CO2 mediante un aumento dell’efficienza energetica, l’uso di combustibili alternativi e un maggior ricorso alle biomasse producono anche un impatto sulle emissioni di altri aeroinquinanti. Le misure per ridurre le emissioni, incluse quelle provenienti dall’agricoltura, di ossido nitroso (N2O) e metano (CH4), due potenti gas serra, producono anche un impatto sulla qualità dell’aria. Nel settore agricolo, le misure applicate per ridurre le emissioni di N2O da terreni mediante l’uso di diversi fertilizzanti e pratiche agricole possono parimenti influenzare le emissioni atmosferiche di ammoniaca (NH3).

Il costo dell’inerzia sulla contaminazione ambientale in termini di effetti sulla salute è elevato a causa del forte impatto delle PM sull’aspettativa di vita e dell’ozono (O3) sulle morti premature e la morbidità.

Si stima, in base a valutazioni della Strategia Tematica sulla contaminazione atmosferica, che gli attuali livelli di inquinamento dell’aria di PM2.5 nell’UE stiano causando una perdita dell’aspettativa di vita di oltre 8 mesi. In mancanza di un’ulteriore legislazione in materia di contaminazione ambientale, gli effetti sulla salute sarebbero ancora rilevanti nel 2020, con una perdita dell’aspettativa di vita di circa 5,5 mesi. Inoltre, si prevede che, al 2020, l’ozono potrebbe causare circa 21.000 morti premature nell’UE. Il valore stimato del danno per la salute umana al 2020 sarà tra i € 162bn e i € 587mld. Questo range riflette vari metodi e valutazioni in materia di anni di vita persi.

Si conosce anche il danno provocato dall’ozono alla vegetazione, che porta ad una perdita della produttività agricola e ad un minor assorbimento terrestre del carbonio in generale. La ricerca in corso al JRC segnala che l’attuale perdita annua di produttività  agricola dell’UE di quattro colture (frumento, grano, soia, riso) potrebbe collocarsi tra i € 200m e i € 2mld corrispondenti ad una perdita media del raccolto pari al 3%. Si stima che economie emergenti come quelle della Cina e dell’India perderanno dallo 0,3 al 2% del loro PIL attuale solo dal danno provocato dall’ozono alle loro coltivazioni. Si stima inoltre che l’ozono causerebbe una riduzione media della produzione primaria netta annua del 2,6 – 6,8% negli USA (Felzer et al., 2004), un effetto talmente ampio da essere considerato nel budget complessivo del carbonio.

I collegamenti tra politiche sul cambiamento climatico e contaminazione ambientale sono stati esaminati nei preparativi della Strategia Tematica sulla contaminazione dell’aria della Commissione Europea 26. Le misure per abbassare le emissioni da CO2 riducono, ad esempio, l’impiego di carbone nella produzione energetica primaria, generando simultaneamente notevoli riduzioni di altri aeroinquinanti, in particolare SO2, PM e NOx. Si ritiene che i vantaggi collaterali delle politiche sul cambiamento climatico siano sostanziali (AEA Technology Environment 2006)27. Se nel 2020 le emissioni di CO2 calassero di quasi il 10% rispetto alle emissioni di base, si ridurrebbero gli effetti sulla salute umana, producendo benefici tra i €8.5mld e i €27.8 mld. Se nel 2020 le emissioni di CO2 calassero del 22%, rispetto alle emissioni di base, si ridurrebbero gli effetti sulla salute umana, con benefici tra i €27.8mld e i €48.1mld.

Sono stati stimati i costi per realizzare congiuntamente gli obiettivi del cambiamento climatico e della contaminazione ambientale nell’UE nel 2020, usando il modello congiunto GAINS per i gas serra e la contaminazione ambientale 28 . La riduzione delle emissioni di CO2 del 10 percento, rispetto alle emissioni di base, costerebbe circa € 12mld l’anno. Tuttavia, considerando che la politica riduce anche le emissioni di altri aeroinquinanti, i costi complessivi per realizzare entrambi gli obiettivi di cambiamento climatico e di aeroinquinanti si ridurrebbero a circa € 2.5mld nel 2020, a causa della riduzione dei costi di abbattimento per gli aeroinquinanti tradizionali.

Vantaggi collaterali simili o più ampi sono previsti nei paesi in via di sviluppo, dove le aree urbane soffrono di livelli di contaminazione ambientale locale particolarmente alti. Nove delle 10 grandi città (definite come quelle di almeno 5 milioni di abitanti) maggiormente colpite dall’inquinamento da PM10 si trovano in Asia, l’altra è in Africa (Banca Mondiale, 2006). Uno studio realizzato a Shanghai (Cina) suggerisce che l’attuazione di uno scenario energetico con un prezzo della CO2 potrebbe evitare oltre 10.000 morti da PM10 nel 2020 e potrebbe anche diminuire sostanziamente la casistica relativa ad alte malattie pertinenti. Un recente studio sui casi dell’area di Pechino (Integrated Environmental Strategies, 2005) ha mostrato le enormi possibilità di  politiche energetiche attive per ridurre gli inquinanti. Esso stima che un’ambiziosa politica energetica, volta a diminuire il livello abituale di emissioni di SO2, NOx e PM10 nel 2030 nell’area di Pechino di oltre la metà, ridurrebbe anche il livello abituale di emissioni di CO2 di un terzo. Tra le politiche esaminate volte a ridurre le emissioni di CO2, l’efficienza energetica è una delle più efficaci dal punto di vista dei costi. I benefici locali di queste misure superano i costi locali. Nel 2030 si stima che i benefici monetizzati per la salute saranno 7 a 8 volte più grandi rispetto ai costi di attuazione di tali politiche.

Il metano, uno dei gas serra chiave, agisce anche come precursore dell’ozono a livello terrestre. Mediante la riduzione delle emissioni di metano si riduce l’ozono terrestre. Una recente ricerca, ad esempio, suggerisce che un taglio del 20% delle emissioni di metano potrebbe ridurre complessivamente le morti derivanti dall’ozono tra il 2010 e il 2030 di 370.000 casi (West et al., 2006). Parimenti, uno studio del Centro di Ricerca Congiunto delle CE e dell’IIASA ha mostrato che il potenziale di riduzione del metano è ampio, e che l’applicazione di tutte le tecniche disponibili di abbattimento diminuirebbero l’ozono in tutto il mondo e porterebbero i livelli di ozono terrestre sotto gli standard richiesti per la qualità dell’aria, riducendo nel contempo il forzamento sul clima mediante l’ozono (Dentener et al, 2006).

 

5.2. Sicurezza energetica

5.2.1. Una visione globale

I recenti sviluppi geopolitici e socio-economici hanno nuovamente attirato l’attenzione sulla volatilità dei mercati internazionali dell’energia. Nelle prossime decadi un maggior numero di paesi diventerà maggiormente dipendente dalle importazioni di energia. Nel 2030 la maggior parte delle economie più rilevanti (tra cui USA, Giappone, Cina e India) importerà oltre il 70 % del proprio consumo interno di petrolio  (Agenzia Internazionale dell’Energia 2006). Le importazioni copriranno allora oltre l’80% della domanda di gas dell’UE e oltre il 90% della sua domanda di petrolio.29 Si prevede che le importazioni di petrolio della Cina cresceranno in modo esponenziale nelle prossime decadi, con gran parte dell’aumento proveniente da fornitori del Golfo Persico. (US Energy Information Administration, 2006). Questo spostamento verso una maggiore dipendenza energetica potrebbe avvenire velocemente. Il Regno Unito, ad esempio, era praticamente autosufficente per quel che riguarda il proprio consumo di gas all’inizio di questa decade, ma potrebbe dover importare il 40% del proprio consumo nel 2010, e aumentare all’80% e oltre nel 2020 (DTI, 2006).

Non solo vi saranno maggiori importazioni di energia nel futuro, ma queste diventeranno anche più care. Le stime a lungo termine compiute dall’Agenzia Internazionale dell’Energia sui prezzi del petrolio sono aumentate sostanzialmente negli ultimi tempi. Nel 2004 i prezzi stimati per il 2030 erano equivalenti a $ 29 al barile (in dollari del 2000, WEO 2004). Nel 2005 questa stima era già aumentata a $ 39 al barile (in dollari del 2004, WEO 2005) ed è ancora aumentata quest’anno a $ 55 nel 2030 (in dollari del 2005, WEO 2006).

I prezzi alti e volatili dell’energia e la futura aumentata dipendenza dalle importazioni di energia hanno accentuato la necessità di una nuova ottica per elaborare le politiche di sicurezza energetica, atte a garantire una crescita elevata e sostenibile della nostra economia globale. Il vertice dei G8 del luglio 2005 ha lanciato un appello, mediante il suo Piano di Azione Gleneagles, ad intraprendere azioni per promuovere la mitigazione del cambiamento climatico, l’energia pulita  e lo sviluppo sostenibile.

Questo appello all’azione giunge in un momento che vedrà investimenti nel sistema energetico globale realizzarsi su una scala senza precedenti. La rapida crescita economica nei paesi in via di sviluppo e un’infrastruttura datata nei paesi sviluppati richiederanno investimenti massicci nel futuro sistema energetico. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA, World Energy Outlook 2006) stima che tra ora e il 2030 poco più di $ 20 trilioni dovranno esseri investiti nel settore energetico. Queste stime sono sostanzialmente aumentate dalla loro proiezione nel 2005, a causa degli aumenti dei costi capitali unitari. Il principale settore destinatario di investimenti è il settore elettrico con $ 11 trilioni, di cui oltre $ 5 trilioni saranno investiti in oltre 5000 GW di nuova capacità di generazione, equivalente ad una media di $ 200mld l’anno. I paesi dell’OCSE avranno la necessità di installare circa 2000 GW di nuova capacità e i paesi in via di sviluppo 2700 GW. Il resto sarà costruito in economie di transizione come la Russia. Si prevede che Cina e India insieme costruiranno nuovi impianti per 1100 GW di energia, pari ad una nuova centrale elettrica da 900 Megawatt che entri in linea ogni settimana da oggi fino al 2030.

La Banca Mondiale stima che la domanda di investimenti nel settore energetico nei paesi in via di sviluppo fino al 2010 (Banca Mondiale 2006) richiederà circa € 130mld l’anno 30 e aumenterà da lì in poi. Una stima più recente dell’IEA ha elevato la domanda totale di investimenti medi annuali al 2030 a € 200mld. Questo potenziale investimento  rende possibile  lo spostamento ad   un futuro  a basso tenore di carbonio, pulito e sostenibile con costi ulteriormentetati su scala globale.

La scelta di una via a basso carbonio è molto più economica quando si richiede una sostituzione o un’estensione dell’infrastruttura che quando si deve sostituire prematuramente il capitale sociale funzionante. Un’analisi ascendente compiuta dalla Banca Mondiale stima che per ridurre notevolmente il carbonio dalla produzione elettrica si richiederebbero investimenti incrementali che arriverebbero fino a € 25mld l’anno nei paesi non-OCSE (ossia, oltre la necessità basica di generazione elettrica), riducendo nel contempo sostanzialmente le loro bollette energetiche.

L’IEA ha mostrato che molte tecnologie efficienti a basso consumo di carbonio richiedono costi iniziali di investimento più alti rispetto a quelli delle tecnologie esistenti, ma offrono un risparmio sulla base di un ciclo vitale perché hanno costi variabili più bassi di combustibili o di altro tipo, in particolare per le tecnologie dalla parte della domanda (Energy Technology Perspectives 2006). Nessuna delle tecnologie identificate dall’IEA in grado di portare nuovamente le emissioni nel 2050 al livello odierno è ritenuta avere un costo di investimento incrementale di oltre €20 per tonnellata di emissioni evitate di CO2, quando totalmente funzionante. Tuttavia, esiste un grado di incertezza. Altri calcoli basati sui modelli suggeriscono che il prezzo del carbonio supererà i €30.

Un mondo futuro con una veloce crescita economica e crescenti interazioni globali dovrebbe consentire una rapida costruzione di competenze nelle economie in via di sviluppo, aiutandole a percorrere in fretta il cammino storico verso lo sviluppo. Questo può sostanzialmente abbreviare il periodo di transizione da una società agricola ad un’economia pienamente cresciuta, basata sui servizi e l’informazione. Un simile percorso economico e sociale consente anche la rapida introduzione di nuove tecnologie efficienti a bassa emissione di carbonio, in modo da collocare l’economia globale su un cammino sostenibile per quel che riguarda le emissioni. La Relazione Speciale dell’IPCC sugli scenari delle emissioni già segnalava nel 2000 che, a tali condizioni, le emissioni globali di CO2 potrebbero registrare un picco in uno scenario di base prima del 2050 e diminuire entro il 2100, ancora una specifica focalizzazione sulle politiche del cambiamento climatico.

 

 

 

5.2.2. La sicurezza energetica UE

La sicurezza energetica è diventata una preoccupazione centrale anche all’interno dell’UE a causa degli sviluppi recenti dei prezzi e della politica. Il Libro Verde del marzo 2006, "Una Strategia Europea per un’Energia Sostenibile, Competitiva e Sicura", ha affrontato queste sfide centrali in materia energetica. Vi si presentano tre elementi politici che sono critici per affrontare le sfide fondamentali della sicurezza energetica e del cambiamento climatico: l’efficienza energetica, l’energia rinnovabile e la cattura e il sequestro geologico del carbonio (CCS).

Il Riesame Strategico UE in materia di Energia e l’allegata analisi dello scenario indaga ulteriormente sul ruolo potenziale di queste opzioni come parte del sistema energetico UE. Recentemente, la Commissione Europea ha formulato il suo "Piano d’Azione per Efficienza Energetica ". Questo piano riconosce l’enorme potenziale, efficiente in termini di costi, del risparmio energetico che esiste nell’UE e mira a migliorare l’efficienza del 20% nel 2020.

La Commissione Europea (Energia e Trasporti Europei: Scenari sull’efficienza energetica e rinnovabili, 2006 31 ) ha realizzato una valutazione del potenziale di efficienza energetica e energia rinnovabile all’interno dell’UE. Lo scopo era di identificare i possibili effetti di forti politiche efficaci per l’efficienza energetica e le rinnovabili sulla sicurezza energetica e le emissioni di gas  serra. Questi includono, ad esempio, la completa attuazione delle direttive esistenti 32 , misure che migliorano la percezione, da parte dei clienti, del costo reale dell’energia e aumentano la loro lungimiranza finanziaria e misure che permettono l’integrazione effettiva di volumi più elevati di generazione locale su scala ridotta da immettere nella rete elettrica.

Le proiezioni dell’ipotesi alle condizioni di prassi sono insostenibili dal punto di vista della sicurezza energetica strategica. Le importazioni di petrolio dell’UE aumenterebbero di circa il 25% tra il 2000 e il 2030. Le importazioni di gas naturale sarebbero più che raddoppiate in 30 anni. La dipendenza complessiva dalle importazioni aumenterebbe ancora per arrivare al 65 % nel 2030, dal 44,7% del 2000. Nel contempo il mix energetico continuerebbe ad essere dominato dai combustibili fossili, facendo aumentare le emissioni UE di CO2 poco al di sopra dei livelli  del 1990. Entrambi gli effetti sono incoerenti con gli obiettivi della politica dell’UE, volti a migliorare la sicurezza delle forniture e a mitigare il cambiamento climatico.

Gli effetti di una maggiore incidenza dell’efficienza energetica e delle rinnovabili sulla sicurezza energetica e le emissioni di gas serra sono sostanziali. La domanda globale di energia diminuisce velocemente e la proporzione delle rinnovabili aumenta sostanzialmente (vedi la figura 9). Questo consente una riduzione delle emissioni di CO2, rispetto al 1990, del 21% nel 2020 fino ad arrivare al 29% nel 2030. L’impatto sulla sicurezza energetica è anch’esso notevole. Nel 2020 le importazioni di petrolio e gas si ridurrebbero di oltre il 15% rispetto alle condizioni abituali. Se simili politiche continuassero fino al 2030, le importazioni nette di petrolio comincerebbero a ridursi e importazioni di gas si stabilizzerebbero. Giunti alla crescita del 2030, questo si tradurrebbe nel dimezzamento della crescita prevista delle importazioni di gas naturale rispetto all’ipotesi alle condizioni di prassi.

 

 

Questa valutazione, che utilizza il modello europeo Primes per l’energia, si è incentrata solo sul potenziale per l’applicazione efficiente dell’efficienza energetica e delle rinnovabili nell’UE, due tecnologie essenziali ad emissioni basse o emissioni zero. Come segnalato nella Comunicazione del 2005 della Commissione "Vincere la Battaglia contro il Cambiamento Climatico Globale " e nel Libro Verde del 2006 "Una Strategia Europea per un’Energia Sostenibile, Competitiva e Sicura", la CCS rappresenta una terza possibile tecnologia quasi a emissioni zero. Le proiezioni realizzate in base al modello POLES su ambiziosi scenari per la riduzione globale dei gas serra prevedono un ruolo importante per la CCS nella lotta contro il cambiamento climatico, catturando nell’UE il 4,5 % delle emissioni di CO2 delle centrali energetiche a combustibile fossile nel 2020, con un rapido incremento al 30 % nel 2030.

In un mondo sempre più vincolato dal carbonio, la CCS offre un notevole vantaggio in termini di sicurezza energetica. In primo luogo, esso permette che si possa fare un uso continuo del carbone, che è considerata una fonte di energia abbbondante e sicura, anche per l’UE. Circa il 40% del consumo totale di energia nei 10 nuovi Stati Membri è fornito dal carbone. Dei UE15, Danimarca, Grecia, Germania e Finlanda fanno ancora affidamento sul carbone per circa il 20% o più del loro consumo totale di energia. La CCS rappresenta un’interessante prospettiva per i principali paesi consumatori di energia che dipendono attualmente in modo rilevante dal carbone e lo considerano una risorsa strategica. In secondo luogo, trattandosi di una tecnologia “end-of pipe”(*), essa può essere applicata più facilmente con l’infrastruttura esistente per l’energia, richiedendo pertanto meno cambiamenti strutturali. In terzo luogo, in combinazione con un crescente recupero del petrolio, essa aumenterà la produzione interna di petrolio in pozzi di petrolio esausti come quelli del Mare del Nord. In quarto luogo, in combinazione con la gassificazione, la CCS apre la prospettiva degli impianti di idrogeno 'a molteplice scopo' che catturano la CO2 mentre producono idrogeno per diverse applicazioni, incluso per il settore dei trasporti, nel caso in cui la tecnologia delle celle combustibili divenisse un’opzione economicamente fattibile.

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(*) N.d.T. Forme di trattamento dell’inquinamento a valle dei processi produttivi (tecnologie di depurazione degli scarichi

e di valorizzazione e riciclaggio dei rifiuti).

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La simultanea ricerca in modo efficace in questi tre elementi di politica energetica rappresenta un vantaggio reciproco per le politiche relative al cambiamento climatico e la sicurezza energetica. Essa permetterebbe all’UE di sviluppare un sistema energetico largamente liberato dalle limitazioni strutturali che vi si percepiscono oggi. L’energia e le politiche sul clima del futuro devono sviluppare ulteriormente tali elementi.

 

5.3. Occupazione

E’ noto che molte politiche sul cambiamento climatico creano nuova occupazione. La valutazione dell’impatto compiuta dal Piano d’Azione sulle Biomasse 33 ha stimato che la realizzazione di questo piano potrebbe potenzialmente creare circa 250.000 a 300.000 nuovi impieghi, direttamente nell’UE-25, soprattutto mediante l’uso della biomassa per la produzione di elettricità e dei bio-combustibili per i trasporti. L’energia eolica è un settore di rapida crescita in Europa, che già impiega ad esempio 64.000 persone in Germania; circa 21.000 in Danimarca e 35.000 in Spagna (EWEA, 2006). La Confederazione Sindacale Europea sta eseguendo uno studio sull’impatto del cambiamento climatico e delle politiche relative al cambiamento climatico sull’occupazione. Mentre l’impatto delle politiche relative al cambiamento climatico sull’impiego possono essere positive o negative, i risultati intermedi mostrano che la maggior parte degli studi disponibili sul cambiamento climatico e l’occupazione concordano che le politiche sul cambiamento climatico in genere possono essere positive per l’occupazione (ad esempio, lo studio Ecotec sulle energie rinnovabili del 1999, il Seminario OCSE sui Benefici della Politica Climatica 2003, lo Studio del Bureau Fédéral du Plan 2006, lo studio Syndex sul settore elettrico in Europa 2006).

Un seminario OCSE del 2003 ha concluso che i miglioramenti apportati all’efficienza energetica creano impieghi perché l’energia risparmiata è spesso importata e quindi non altera l’occupazione a livello locale e regionale. Inoltre, le nuove e più efficienti tecnologie per l’energia utilizzate possono anche creare impieghi locale a sostegno di tecnologie e servizi. I miglioramenti dell’efficienza energetica generano ingressi extra, che possono essere investiti in altri settori economici. Secondo studi trattati in questo seminario, l’impatto delle politiche climatiche sull’occupazione netta in Germania è variata da -0,8% a +5,5 % con la maggior parte dei risultati collocati tra +0,2 % e +2,2%.

Più recentemente, il Belgian Federal Planning Bureau (Bureau Fédéral Du Plan, 2006) ha stimato l’impatto che produrrebbe sull’occupazione in Belgio la riduzione delle emissioni nell’UE dal 15 al 30% nel 2020 introducendo una tassa sul carbonio in tutti i settori attraverso l’UE. E’ stato previsto un impatto molto limitato sull’occupazione, con un potenziale aumento di mezzo punto percentuale dell’occupazione totale entro il 2020.

 

 

 

5.4. Fertilità del suolo

La materia organica del suolo è in gran parte composta da carbonio organico originariamente presente nell’atmosfera come CO2. Circa il 45% dei suoli in Europa hanno un contenuto basso o molto basso di materia organica (0-2% carbonio organico) e il 45% hanno un contenuto medio (2-6% carbonio organico)34 . La materia organica del suolo svolge un ruolo molto importante nel mantenimento dei terreni in condizioni salutari e fertili. Essa svolge una funzione non nutrizionale e contribuisce alla crescita della pianta. A parte la sua importanza per la fertilità e la struttura del suolo, le sue funzioni lucidanti e di retenzione dell’acqua, e il suo ruolo cruciale nel conservare la biodiversità del suolo, la materia organica del suolo è anche importante nel ciclo del carbonio.

Il suolo è nel contempo un emissore e un importante deposito di carbonio. Rispetto al ruolo dei terreni come emissore, nel Regno Unito sono state recentemente misurate notevoli perdite di carbonio da tutti i tipi di terreni. Se tali risultati venisero confermati in tutta l’UE, questo rappresenterebbe un grave problema che richiederebbe un’ulteriore azione. Si richiede uno sviluppo della ricerca per chiarire tale questione e il ruolo delle diverse misure nell’affrontare la potenziale perdita di carbonio dal suolo. Per quel che riguarda il ruolo del suolo come deposito, si deve segnalare che il sequestro del carbonio in terreni agricoli può realizzarsi mediante adeguate pratiche di  gestione della terra. La prima fase del Programma Europeo per il Cambiamento Climatico ha concluso che nel lungo termine esiste un potenziale considerevolmente alto per aumentare deposito di carbonio nei terreni, anche se limitato da una grande incertezza e costi di monitoraggio potenzialmente alti. Nonostante le difficoltà e incertezze che circondano le misure per gestire il potenziale sequestro di carbonio nei terreni da coltivo, queste sono importanti dal punto di vista della conservazione del suolo, in particolare in vista del rischio delle perdite di carbonio.35

La politica proposta dalla Commissione nel contesto della Strategia Tematica per la Protezione del Suolo 36 mira ad affrontare la perdita di materia organica dai terreni europei in vista di invertire le tendenze non sostenibili. Muovendosi in tal senso, l’UE può contribuire a conservare la fertilità del suolo mediante l’adozione di adeguate pratiche culturali e mantenere o aumentare i livelli di carbonio nel suolo, evitando così la mineralizzazione (ossia la conversione in CO2) della materia organica del suolo.

 

6. STRATEGIE INTERNAZIONALI PER REALIZZARE RIDUZIONI CREDIBILI DELLE EMISSIONI ENTRO IL 2050

6.1. Profili delle emissioni coerenti con l’obiettivo dei 2°C dell’UE

Il Consiglio Europeo e il Parlamento hanno entrambi confermato l’obiettivo dell’UE di limitare l’aumento medio della temperatura globale a 2°C rispetto ai livelli pre-industriali. La ricerca più recente, riassunta nella Relazione del Comitato Permanente Scientifico Internazionale della conferenza di Exeter sullo studio dei modi per evitare i rischi del cambiamento climatico, conclude che con un livello di concentrazione di 550 parti per milioni in volume di CO2 equivalente (ppmv di CO2 equivalente), è improbabile che l’aumento medio della temperatura globale resti al di sotto dei 2°C, come illustrato nella Figura 10 qui di seguito. Una stabilizzazione a lungo termine a 450 ppmv di CO2 equivalente comporterebbe il 50% di possibilità che il riscaldamento  resti sotto i 2 °C.

Riquadro 1: Rassegna delle opinioni espresse dal Consiglio e dal Parlamento Europeo sugli obiettivi e il traguardo "post-2012"

Diversi raggruppamenti del Consiglio e del Parlamento Europeo hanno formulato le loro opinioni negli ultimi anni su obiettivi e traguardi per gli accordi post-2012.

Il concetto dei 2°C è stato menzionato per la prima volta dal Consiglio per l’Ambiente nelle sue conclusioni del giugno 1996, quando esso ha affermato che "il Consiglio ritiene che le temperature medie globali non dovrebbero superare i 2 gradi sopra il livello pre-industriale". Da allora esso è stato frequentemente ripetuto nelle conclusioni del Consiglio per l’Ambiente. Nel marzo 2005 l’obiettivo dei 2°C è stato  anche confermato dal Consiglio Europeo.

Nel dicembre 2004 il Consiglio per l’Ambiente ha affermato che "per mantenere questo obiettivo a lungo termine si richiederà che entro le prossime due decadi le emissioni globali di gas serra registrino un picco, seguito da una sostanziale riduzione nell’ ordine di almeno il 15% e forse fino al 50% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990". Questo è stato nuovamente confermato nelle successive Conclusioni del Consiglio per l’Ambiente.

Nel marzo 2005 il Consiglio per l’Ambiente ha inoltre espresso la propria intenzione di analizzare con altre Parti possibili strategie per realizzare la necessaria riduzione delle emissioni e la sua convinzione che "devono considerarsi percorsi di riduzione del gruppo dei paesi sviluppati nell’ordine di 15-30% entro il 2020 e 60-80% entro il 2050 rispetto ai dati di base previsti nel Protocollo di Kyoto". Nel marzo 2005 il Consiglio Europeo ha affermato che "devono considerarsi percorsi di riduzione del gruppo dei paesi sviluppati nell’ordine di 15-30% nel 2020 rispetto ai dati di base previsti nel Protocollo di Kyoto, e oltre, nello spirito delle conclusioni del Consiglio per l’Ambiente".

Il Parlamento Europeo ha sottolineato l’importanza del traguardo dei 2°C in diverse occasioni, quella più recente essendo stata la risoluzione sulla strategia dell’Unione Europea alla Conferenza sul Cambiamento Climatico di Nairobi, adottata nell’ottobre 2006, ma ha anche segnalato che 2°C potrebbero essere già troppi. Il Parlamento Europeo ha anche affermato che "forti riduzioni delle emissioni di – 30% entro il 2020 e - 60-80% entro il 2050 devono essere attuate nei paesi sviluppati".

Le concentrazioni di gas serra nella nostra atmosfera sono in aumento. Nel maggio 2006, l’Osservatorio Mauna Loa delle Hawaii ha riferito una concentrazione media mensile di emissioni di CO2 di quasi 385 ppmv 37 . Quando si includono altri gas serra, come il metano e l’ossido nitroso,  le concentrazioni complessive di CO2 equivalente di gas serra nell’atmosfera arrivano a 420-430 ppmv. Le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera attualmente aumenteranno di circa 2 ppmv l’anno. A questo tasso di aumento, si supererebbero i 450 ppmv di CO2 equivalente nei prossimi 10–15 anni.

Allo scopo di raggiungere l’obiettivo dei 2°C, dopo aver superato questo livello di concentrazione nelle prossime due a tre decadi, le concentrazioni devono essere ridotte a 450 ppmv di CO2 equivalente nel lungo termine. Questo è anche denominato uno scenario di "overshooting". Per ottenere un simile scenario di "overshooting", le emissioni globali, anche quelle da cambiamento dell’uso del suolo, dovrebbero raggiungere un picco tra il 2015 e il 2020, come illustrato nella Figura 11. Le emissioni da cambiamento dell’uso del suolo, soprattutto dalla deforestazione, sono responsibili di approssimativamente il 20% delle emissioni di gas serra, anche se permane un alto grado di incertezza.

Se le emissioni da cambiamento dell’uso del suolo si riducessero sostanzialmente e si invertisse la loro tendenza  nel 2020, le emissioni di gas serra da altre fonti (ad esempio, l’industria, le abitazioni private) dovrebbero decrescere fino tal 25% entro il 2050 rispetto ai livelli 1990 (den Elzen et al., 2006) come illustrato nella Figura 12 qui di seguito.

 

Nel marzo 2005, il Consiglio per l’Ambiente ha concluso che, al fine di mantenere vicino l’obiettivo a lungo termine dei 2 °C di temperatura, le emissioni globali di gas serra dovrebbero avere un picco entro 2 decadi, seguito da riduzioni sostanziali nell’ordine di almeno il 15% e fino al 50% nel 2050 rispetto al 1990 livelli (vedi il precedente riquadro 1). Questo percorso delle emissioni globali è pienamente compatibile con le opinioni espresse dal Consiglio.

 

6.2. La valutazione circa la fattibilità tecnica e l’accessibilità economica di tagli profondi alle emissioni globali

6.2.1. Caratteristiche essenziali e presunzioni degli scenari

La Commissione Europea ha realizzato una valutazione dei costi di uno scenario da riduzione delle emissioni di gas serra globali che consentirebbe di raggiungere concentrazioni nel lungo termine di 450 ppmv di CO2 equivalente di gas serra atmosferico. Le concentrazioni di gas a effetto serra emetterebbero in eccesso prima 450 ppmv di CO2 equivalente e dopo si ridurrebbero. Questo scenario è simile agli scenari dei 500 ppmv di CO2 equivalente nel Riesame di Stern, dove prima le emissioni “sparano” in eccesso e poi si stabilizzano nel lungo termine a 450 ppmv di CO2 equivalente. La valutazione descritta in questo documento di supporto integra il precedente lavoro analitico della Commissione Europea su scenari che raggiungerebbero livelli di concentrazione di 550 ppmv e 650 ppmv di gas serra 38 .

Nei seguenti capitoli, ci si riferisce allo scenario secondo criteri abituali e allo scenario di riduzione delle emissioni globali di gas serra rispettivamente come "scenario di base" e “scenario di riduzione”. Per lo scenario di riduzione, le principali varianti di modello erano:

con o senza scambio di emissioni

 partecipazione limitata o ampia alle politiche internazionali sul clima

L’analisi economica valuta i costi della mitigazione fino al 2030. I modelli utilizzati per questa valutazione sono:

POLES: un modello di equilibrio parziale che si focalizza sul settore dell’energia.

GEM E3: un modello di equilibrio generale in grado di proiettare l’impatto di una politica in materia climatica sull’intera economia. Il modello GEM E3 include anche emissioni dall’agricoltura.

DIMA (Modello Integrato Dinamico di Sivicultura e Uso Alternativo della Terra): questo modello è stato utilizzato per esaminare le emissioni dalla deforestazione (vedi il capitolo 6.5).

Per il periodo fino al 2050 il modello POLES è stato utilizzato per proiettare percorsi tecnologici. In questo modo si ottiene la comprensione delle tecnologie chiave che devono essere sviluppate e applicate nelle prossime decadi per raggiungere l’obiettivo dei 2 gradi centigradi dell’UE. Non è stata prodotta alcuna stima dei costi per il periodo dopo il 2030. Quando gli orizzonti temporali diventano troppo lunghi, le presunzioni su variabili fondamentali come l’evoluzione demografica, lo sviluppo tecnologico e la crescita economica complessiva diventano troppo incerte per una simile stima.

 

Scenario di base

Le proiezioni nello scenario di base secondo il modello POLES prendono in considerazione recenti sviluppi come i prezzi dell’energia più elevati previsti e l’attuazione dello Schema di Emission Trading dell’UE (modellato in base ad un prezzo conservatore del carbonio di € 5/tonnellate di CO2). La maggiore intensità energetica del PIL complessivo nel dato di base è il risultato di una combinazione di moderati miglioramenti apportati all’efficienza a causa di cambiamenti tecnologici   autonomi   e   indotti  dai  prezzi,  insieme   agli   attuali  spostamenti strutturali dell’economia, dalle industrie ad impiego intensivo di energia ai servizi ad alto valore aggiunto.

 

Scenario di riduzione

La Commissione Europea ha valutato uno scenario di riduzione efficiente sui costi, che raggiungerebbe il cammino di riduzione delle emissioni globali di gas serra come illustrato nella Figura 12 di cui sopra. Le emissioni (esclusa la deforestazione) nel 2020 realizzerebbero un picco fino ad un massimo del 25% al di sopra emissioni del 1990 e poi decrescerebbero al 25 % entro il 2050 rispetto al 1990.

Le principali presunzioni nello scenario di riduzione efficiente sui costi sono:

1. Una riduzione dell’intensità energetica globale, che si ottiene mediante politiche di efficienza energetica quali gli standard. Queste sono motivate dalle preoccupazioni sulla sicurezza energetica e gli alti prezzi dell’energia.

2. I paesi in via di sviluppo non ricevono un compenso (mediante strumenti come i CDM) per le riduzioni che essi ottengono mediante a miglioramenti a basso costo dell’efficienza energetica perché questi generano benefici dalla riduzione delle bollette energetiche e la migliorata qualità dell’aria. Ad esempio, nel GEM-E3 si presume che, nel 2020, gli alti redditi dei paesi in via di sviluppo ridurranno le emissioni del 10% rispetto allo scenario di base, a causa dell’introduzione di politiche di efficienza energetica.

3. I paesi sviluppati si impegnano a realizzare i traguardi di riduzione delle emissioni comuni, come previsto nelle conclusioni del Consiglio. Sono state calcolate varianti con e senza accesso al mercato globale del carbonio per raggiungere questi traguardi.

4. I paesi sviluppati elaborano un sistema di scambio come l’UE ETS o misure politiche simile che stabiliscono un prezzo per il carbonio nei settori industriali che impiegano l’energia in modo intensivo, incluso il settore elettrico.

5. Il modello POLES non presume uno scambio di emissioni perfetto (ossia, senza costi). Invece, si presume che il prezzo effettivo carbonio varia tra le diverse regioni del mondo (vedi la Figura 14). I prezzi del carbonio saranno simili nei vari mercati dei paesi sviluppati entro il 2015. Le economie in transizione rispondono opportunamente, ma i prezzi del carbonio si uguaglierebbero solo dal 2020. I settori ad uso intensivo di energia nei paesi in via di sviluppo sono esposti ad  un prezzo basso del carbonio nel 2012, simulando la penetrazione o visibilità limitata di un prezzo del carbonio per tutte le imprese individuali mediante strumenti politici come i CDM. Tuttavia, le differenze nei prezzi del carbonio si accorciano nel tempo come risultato di un quadro regolatore rafforzato in stretto rapporto con la situazione di sviluppo dell’economia. Tra il 2025 e il 2030, queste differenze nei prezzi del carbonio diventano relativamente ridotte per tutti i gruppi di paesi a parte quelli a basso reddito.

6. Nel GEM-E3, i costi di transazione nel mercato del carbonio dovevano essere modellati in forma più restrittiva a causa delle caratteristiche del modello. Ad esempio, Cina, Brasile, America Latina e la regione sudafricana accedono al mercato del carbonio nel 2020, e l’India vi accede nel 2030, senza assumersi costi di transazione. Altri paesi a basso reddito vi accedono più tardi.

7. I trasporti, il settore residenziale e quello dei servizi non partecipano al mercato globale del carbonio. Per questi settori, i paesi sviluppati introducono oltre a  miglioramenti di efficienza energetica, politiche per ridurre le emissioni ad un tasso simile a quanto avviene con l’introduzione di un prezzo del carbonio. In paesi in via di sviluppo, sono attuate soltanto politiche di efficienza energetica.

8. Esiste una differenza tra la mobilità di capitale fisico e del capitale monetario. La mobilità del capitale fisico, ossia smantellare e trasferire un impianto industriale, può essere realizzata in modo limitato all’interno di un paese ma non in vari paesi nello stesso periodo. Tuttavia, si presume che il capitale finanziario sia mobile nei vari paesi del mondo. In questo modo, nel tempo, il capitale può trasferirsi tra le regioni mediante investimenti e deprezzamenti.

 

6.2.2. Proiezioni delle emissioni globali di gas serra

Nello scenario di base, si prevede che le emissioni globali di gas serra aumentino dell’86% nel 2050 rispetto al 1990. Le emissioni dei paesi in via di sviluppo supererebbero quelle dei paesi sviluppati nel 2020 (vedi la Figura 15). Nel 2050 i paesi in via di sviluppo emetterebbero una quantità di emissioni di gas serra superiore a quella totale mondiale nel 1990. Questo dimostra che la partecipazione dei paesi in via di sviluppo alle azioni di riduzione è indispensabile al fine di raggiungere una riduzione del 25% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. Come illustrato nella Figure 16 qui di seguito, nello scenario di riduzione, le emissioni dei paesi sviluppati nel 2020 sono già inferiori nella misura del 18% a quelle del 1990. Per l’UE-25, la riduzione equivarrebbe al 21%. Le emissioni dei paesi in via di sviluppo realizzerebbe un picco tra il 2020 e il 2025 ad un livello pari al doppio delle loro emissioni del 1990.

Nel 2030, le emissioni globali si riducono al 10% al di sopra delle emissioni del 1990 e continuano a decrescere. Nel 2030, i paesi sviluppati riducono le loro emissioni del 32% rispetto al 1990. Le emissioni all’interno dell’UE sono ridotte del 36%. I paesi in via di sviluppo riuscirebbero a invertire la tendenza alla crescita delle loro emissioni, a ridurre le emissioni nel 2030 del 5% rispetto al loro livello di picco tra il 2020 e il 2025. Nel 2050, le emissioni in paesi sviluppati sono ridotte del 60% rispetto al 1990. Nei paesi in via di sviluppo esse eccedono ancora del 43% il livello del 1990. Nel complesso, le emissioni globali dalla combustione energetica e dell’industra sono del 25% inferiori rispetto alle emissioni del 1990. Il sottostante prezzo del carbonio nel mercato mondiale del carbonio si sposta da €21 del 2015 a € 37 del 2020, fino a raggiungere eventualmente i € 64 per tonnellata di CO2 nel 2030.

 

6.2.3. Fattibilità tecnica dello scenario di riduzione

La riduzione delle emissioni del 25% nel 2050 rispetto al 1990 richiederà notevoli cambiamenti nel sistema energetico mondiale rispetto sia al consumo sia alla produzione di energia. Gli effetti di varie azioni e tecnologie nella riduzione delle emissioni di CO2 sono riassunte nella figura qui di seguito 39 .

 

Risparmio energetico

La limitazione del consumo finale di energia in tutti i settori è un elemento chiave nella riduzione delle emissioni globali. L’introduzione di politiche mirate di efficienza energetica e un prezzo del carbonio provocano l’applicazione di ulteriori misure di efficienza energetica in tutti i settori. Si prevede che si verifichino miglioramenti nell’efficienza energetica attraverso i seguenti diversi settori:

1. Nel settore residenziale e terziario si verificano i risparmi energetici più importanti rispetto alle proiezioni di base. Sono questi i settori più sensibili all’introduzione di standard di efficienza energetica per apparecchiature elettriche o edifici, riducendo così il loro consumo del 17% e 42% sotto il dato di base, rispettivamente nel 2030 e 2050 (Figura 18). Fino al 2030 la maggior parte del risparmio energetico in questo settore può attribuirsi ad apposite misure  di efficienza energetica.

2. Nel settore dei trasporti, gli standard del consumo dei combustibili si sono crescentemente rafforzati. Di conseguenza, si prevede che le emissioni specifiche di CO2 del parco macchine esistente diminuiscano sostanzialmente tra il 2005 e il 2030. La riduzione delle emissioni è relativamente inferiore nell’UE-25 in confronto alle tendenze mondiale, e questo può spiegarsi con il livello già comparativamente basso delle emissioni nei nuovi mezzi usati per il trasporto su strada nell’UE.

3. Miglioramenti dell’efficienza avvengono anche nel settore elettrico. Si prevede che l’efficienza centrali energetiche alimentate a combustibile fossile aumenterà dal 35% al 46% nel 2030, come risultato della sostituzione delle centrali elettriche a carbone convenzionali con tecnologie avanzate come gli impianti a ciclo combinato a gas naturale, altamente efficienti. Dopo il 2030, non si prevede un  ulteriore aumento dell’efficienza delle centrali elettriche, e si avrà invece nuovamente un leggero decremento.  Ciò è dovuto all’energia richiesta per il procedimento di cattura del carbonio al fatto che verso il 2050, la maggior parte dell’elettricità sarà generata in centrali elettriche che avranno tecnologie per la  cattura e il sequestro geologico del carbonio.

 

Settore elettrico

Il settore elettrico resta un settore chiave per la riduzione delle emissioni di gas serra. Esso è responsabile di circa il 66% delle riduzioni totali mondiali rispetto al di base del 2030, percentuale che diminuisce al 5% rispetto al dato di base nel 2050 (vedi la figura 19 di seguito). Nonostante un aumento del 74 % del consumo di elettricità tra il 2005 e il 2050 nello scenario di riduzione delle emissioni, il settore elettrico diminuirà le proprie emissioni quasi dell’80% in quel periodo. Nel contempo, si ridurrebbero le importazioni di combustibile fossile, migliorando la sicurezza energetica e abbassando la bolletta energetica. Nel 2020, l’UE importerebbe il 14% in meno di combustibili fossili. Per il 2030 questo si tradurrebbe per l’UE nella riduzione del 60% delle importazioni di carbone e del 20% delle importazioni di petrolio e gas, rispetto al dato di base.

Le riduzioni nel settore elettrico sono soprattutto dovute alle seguenti misure:

Si prevede un aumento della generazione elettrica da rinnovabili del 4,5 tra il 2005 e il 2050. 40 Ciò porta la quota delle rinnovabili (incluso il grande idroelettrico) nella generazione elettrica totale al 20% nel 2020 e al 46% nel 2050 a livello mondiale. Si prevede che aumenteranno di 24 volte le rinnovabili diverse dalla generazione di energia idroelettrica. E’ importante segnalare che lo scenario di riduzione non presuppone alcuna politica specifica di sostegno alle rinnovabili. Per questa ragione, l’aumento delle rinnovabili a livello mondiale rispetto allo sviluppo del dato di base resta inizialmente modesto, fino a che un crescente prezzo  del carbonio  ne  provoca un 

40 Per the calculation del primary energia consumo equivalent di elettricità da nuclear e

fonti energetiche rinnovabili an efficienza di 33% ha been assumed.

notevole incremento rispetto ai valori di base dopo il 2020 41 .

La produzione di elettricità eolica continuerà rapidamente ad aumentare e si prevede che raggiungerà una quota globale del 7% (17%) nel 2030 (2050). Di questa quota, si prevede che nel 2020 il 28% sarà generato negli impianti eolici offshore. Sarà anche sostanziale la crescita della produzione elettrica basata sulla biomassa, al punto che essa raggiungerà una quota nella produzione elettrica globale simile a quella dell’eolico nel 2020.

 

5. La cattura e il sequestro geologico del carbonio (CCS) diventerà un’importante tecnologia di transizione. Nel 2050, si prevede che quasi il 60% delle emissioni di CO2 dal settore elettrico siano catturate rispetto al dato odierno, quasi uguale a zero.  Praticamente oggi la cattura non si pratica, mentre nel 2030 si catturerà quasi il 30% delle emissioni. In termini globali, essa può contribuire nella misura del 14% del totale della riduzione richiesta nel 2030, percentuale che scenderà al 9% nel 2050. Questa proporzione ridotta verso il 2050 è soprattutto causata dal fatto che nel 2050 le emissioni del settore elettrico copriranno una quota molto inferiore delle emissioni totali (13% rispetto a circa il 40% nel 2005). Questo è il risultato di riduzioni sostanziali di quasi l’80% durante lo stesso intero periodo. Inoltre, si presume che la CCS porterà ad una netta riduzione di circa l’87% delle emissioni specifiche delle centrali elettriche. Le proiezioni illustrate nella Figura 21 suggeriscono che la CCS dovrà essere prima attuata nei paesi sviluppati. Poco tempo dopo, essa sarà rapidamente attuata nei paesi in via di sviluppo che hanno ampie riserve di carbone, come la Cina e paesi dell’Asia meridionale. In Cina, si prevede che quasi il 40% delle emissioni totali del settore elettrico saranno catturate nel 2030, aumentando a due terzi nel 2050. Anche nei paesi sviluppati, oltre il 50% di tutte le emissioni del settore elettrico dovranno essere  catturate entro il  2050, con una quota più alta in Russia e Ucraina.

 

41 Ad esempio, the quota di rinnovabili in elettricità produzione nell’UE-25 nel di base è 19 %, 22

% e 26 % nel 2020, 2030, 2050, respectively.

 

6. Nonostante l’ampia attuazione della CCS, si prevede una diminuzione del consumo del carbone. Nel 2030 e 2050, il consumo globale di carbone è previsto essere rispettivamente del 22% e poi del 54%, al di sotto dei livelli del 2005. Si prevede che gli impianti convenzionali di generazione a carbone saranno sostituiti da tecnologie avanzate come la combustione del carbone supercritica e pressurizzata e la gassificazione integrata del carbone con il ciclo combinato. Già nel 2030, queste tecnologie potrebbero generare il 44% della generazione elettrica a carbone complessiva, a causa della loro maggiore efficienza e migliore adattabilità alla cattura del carbonio rispetto agli impianti convenzionali. Ciò dimostra l’importanza di introdurre nelle centrali energetiche le tecnologie compatibili con la CCS in tempi relativamente stretti. Entro il 2050, si prevede che oltre il 90% di tutta la generazione elettrica a carbone venga realizzata in impianti attrezzati per la CCS.

7. In termini complessivi, il gas naturale compensa parzialmente la diminuzione del consumo del carbone, ma solo per un periodo limitato. Nelle ultime decadi, gas ha continuamente aumentato la sua quota nella generazione elettrica dell’OCSE. Questa tendenza è stata particolarmente accentuata nell’UE, dove è stata provocata dai prezzi  relativamente bassi del gas e un’estesa infrastruttura del gas, associata all’inizio della liberalizzazione dei mercati elettrici. Si prevede che questa tendenza continui in termini complessivi nel corso delle prossime due decadi, con il gas che raggiungerà una quota massima del 33% nel 2025. Tuttavia, entro il 2050 questa quota ricadrà sotto i livelli del 2005. Sebbene il gas sia competitivo nel medio termine, in particolare quando sostituisce le centrali energetiche a carbone in un mondo costretto a subire gli effetti del carbonio, una crescente limitazione delle emissioni di CO2 dopo il 2025 lo colloca in una posizione svantaggiosa rispetto alle opzioni di generazione elettrica basate sui combustibili, libere dal carbonio. Oltre un quarto di tutta l’elettricità generata dal gas sarà prodotta in turbine a gas a ciclo combinato dotate di CCS già nel 2030, e la percentuale salirà a circa il 70% nel 2050.

8. Si prevede che l’elettricità nucleare aumenterà la propria quota nella generazione elettrica fino a raggiungere il 23% nel 2030 (27% nel 2050). In termini assoluti la percentuale di attuazione resta vicina al dato di base. Lo scenario tuttavia presuppone  che l’accettazione pubblica e i potenziali problemi circa l’identificazione di un modo sicuro nel lungo termine per smaltire i residui altamente radioattivi o le preoccupazioni circa la proliferazione non limiteranno l’use dell’energia nucleare.

 

6.2.4. Costi ed emission trading

I costi previsti dal modello POLES, come risultato di investimenti in tecnologie a basso tenore di carbonio, si stimano di un costo annualizzato inferiore allo 0,5% del PIL mondiale nel 2030. Le proiezioni relative alle emissioni derivanti dallo scenario di reduzione nella sezione precedente risultano dall’identificazione dei costi totali della maggior parte delle riduzioni a costi efficienti delle emissioni senza realizzare alcuna presunzione circa i traguardi per la  riduzione delle emissioni in paesi specifici.

Considerando che i paesi sviluppati si porrebbero dei traguardi di riduzione delle emissioni nell’ambito di quelli proposti dal Consiglio, ossia fino al 30 % al50% rispettivamente nel 2020 e 2030, ciò provocherebbe lo scambio del carbonio tra i paesi allo scopo di ottenere queste riduzioni a costi efficienti delle emissioni scala globale. Se i  traguardi di riduzione delle emissioni dei paesi sviluppati senza lo scambio risulterebbe molto più costoso; l’emission trading riduce il costo totale fino a tre quarti.

La Figura 23 rappresenta l’azione cumulativa intrapresa in periodi quinquennali nei paesi in via di sviluppo e in quelli sviluppati, compresi i flussi di scambio nei crediti di emissione tra paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Le tabelle mostrano le riduzioni interne e le importazioni di diritti di emissione di segno positivo, come pure le esportazioni di crediti di emissione di segno negativo. In questo scenario, tra il 2010 e il 2030 l’emission trading si decuplerebbe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6.2.5. Costi economici complessivi dello scenario di riduzione

Variante 1: Ampia partecipazione mediante un accordo internazionale

I costi previsti dal modello POLES, che risultano da investimenti in tecnologie a basso carbonio, non devono confondersi con i costi che deve sopportare l’economia per ridurre le emissioni. Al fine di valutare le interazioni e gli effetti sull’economia complessiva, è stato usato per l’intero settore economico il modello computabile di equilibrio generale (CGE) GEM E3. Ciò consente di indagare sul livello di magnitudine dell’adeguamento macroeconomico necessario per affrontare le pressioni derivanti dalle emissioni globali di gas serra, in un quadro coerente che prenda in considerazione le interazioni tra tutti i settori e gli agenti che operano nell’economia, come pure gli effetti attinenti allo scambio.

Al fine di raggiungere il profilo di emissioni compatibile con l’obiettivo dei 2 gradi centigradi, il prezzo medio del carbonio a livello mondiale aumenterà nel periodo 2020 a 2030 a misura che diventa più stringente il vincolo derivante dalle emissioni globali di gas serra. Nel 2020, il prezzo medio mondiale del carbonio sarà di €31 per tonnellata di CO2 equivalent 42 . Nel 2025, il prezzo mondiale del carbonio salirà a €39, corrispondente ad un picco nelle emissioni globali a +18% rispetto al 1990. Nel 2030, il prezzo carbonio raggiunge i €65 per tonnellata di CO2 equivalente, con emissioni globali che tornano ad un livello di +8 % superiore rispetto alle emissioni del 1990.

La Tabella 3 mostra i traguardi di emissione per il 2020 e il 2030 espressi in termini relativi rispetto al 1990, che limiterebbero le emissioni globali ad un livello compatibile con l’obiettivo dell’UE dei 2°C. Per i paesi sviluppati questi sono traguardi di riduzione delle emissioni, mentre la maggior parte del paesi in via di sviluppo limiterebbe la crescita delle proprie emissioni. L’obiettivo relativamente ampio di riduzione per l’ex Union Sovietica riflette ampiamente il potenziale di riduzione delle emissioni. I paesi in via di sviluppo traggono benefici dalle possibilità di riduzione delle proprie emissioni  mediante meccanismi basati sui progetti.

 

42 It è the medio del emissioni trading settore e the interne prezzo per the altri settori per tutti

regioni con riduzione traguardi. It è affermato in US$2001 at an exchange tasso di € 1 = US$ 1.27Table 3: Relative emissioni riduzione e crescita traguardi e interne emissioni riduzioni, compared

con 1990 emissioni livelli, GEM-E3 risultati

Rispetto allo sviluppo del PIL, la Figura 24 mostra che le politiche relative al cambiamento climatico e la crescita economica sono reciprocamente compatibili. Il mondo continuerà a crescere e si prevede che il PIL globale quasi raddoppierà nei prossimi 25 anni con rigorose politiche relative al cambiamento climatico. In 2030, l’adeguamento macroeconomico mondiale sarà di approssimativamente -0,19% rispetto al PIL di base in termini annuali nel 2030.

Secondo la ripartizione degli obblighi di riduzione delle emissioni, l’impatto sui PIL nazionali varierà da paese a paese. La Tabella 4 illustra i cambiamenti del PIL rispetto ai dati di base nel 2020 e 2030 dei principali emissori nel mondo. Essi sono anche specificati in termini annuali. I cambiamenti del PIL per la regione UE27 sono nella gamma dal -0,19% al -0,24% in termini annuali, con effetti più bassi per gli USA e il Giappone, mentre per l’ex Unione Sovietica l’ adeguamento  annuale in PIL è di circa il doppio rispetto all’UE27. I grandi paesi in via di sviluppo, sebbene senza impegni nel 2020, registrano anch’essi una riduzione del loro GDP rispetto al loro dato di base. Questo è dovuto alla ripercussione della minore crescita dell’attività economica nei paesi sviluppati con impegni. Tuttavia, i cambiamenti sui loro PIL sono ridotti, variando da -0.06 % in Brasile e Cina a -0.1 % in India in termini annuali.

Data la  severità del vincolo del carbonio, il costo politico complessivo permane alquanto limitato. In conclusione, la riduzione delle emissioni globali ad un livello che raggiunge l’obiettivo dei 2 °C è tanto tecnicamente quanto economicamente fattibile. La valutazione tuttavia mostra anche che essa richiederà uno sforzo in tutti i paesi. Essa prevede che:

– Tutti i paesi, inclusi ipaesi in via di sviluppo, adottano  misure ragionevoli per migliorare la loro efficienza energetica e attuare ulteriori misure per ridurre le emissioni nel settore dei trasporti e in quelli abitativo e terziario.

– I settori ad uso intensivo di energia, in particolare il settore elettrico, gradualmente si integrano in un mercato globale del carbonio che garantisce riduzioni delle emissioni con efficienza dei costi su scala globale.

– I paesi sviluppati si impegnano a  realizzare traguardi individuali di riduzione di circa il 30% nel 2020 rispetto ai dati del 1990 ed hanno pieno accesso al mercato globale del carbonio. Un simile obiettivo risulterebbe, compiendo una  media per le riduzioni delle emissioni nei paesi sviluppati nel 2020, del 20% rispetto ai livelli del 1990. Le emissioni dei paesi in via di sviluppo si incominciano a livellare.

– Nel 2030, i paesi sviluppati devono  assumersi dei traguardi individuali di riduzione delle emissioni tra il 40 e il 55% rispetto al 1990. Allora, tutti i paesi, salvo i paesi in via di sviluppo a basso reddito, hanno pienamente integrato i loro settori ad uso intensive di energia nel mercato globale del carbonio. Le emissioni dei paesi in via di sviluppo stanno decrescendo.

 

Variante 2: Riduzioni delle emissioni interne all’UE

Il raggiungimento di un accordo globale che promuova le riduzioni richieste sarà una priorità massima per l’UE. Tuttavia, questo non significa che in mancanza di un accordo internazionale su un sistema comprensivo in materia di cambiamento climatico, l’UE debba cessare di impegnarsi a  ridurre le emissioni e mantenere lo schema dell’emission trading dell’UE vincolato al mercato globale del carbonio, in particolare l’Attuazione Congiunta del Protocollo di Kyoto (Kyoto Protocol’s Joint Implementation - JI) e il Meccanismo per uno Sviluppo Pulito (Clean Development Mechanism - CDM).

Impegnarsi ad un simile obiettivo di riduzione, in particolare se pienamente coerente con la politica energetica dell’UE e la sua strategia per l’occupazione e la crescita, significherebbe trasmettere degli  importanti messaggi politici. In questo modo si rafforzerebbe la fiducia del settore privato nel mercato globale del carbonio e mostrerebbe capacità di guida nei negoziati su un quadro internazionale nel quale inserire le politiche relative al cambiamento climatico dopo il 2012.

Le precedenti valutazioni della Commissione Europea sottostanti alla Comunicazione “Vincere la Battaglia contro il Cambiamento Climatico Globale” ha mostrato che da sola, la riduzione delle emissioni di gas serra nell’UE non sono sufficienti a fermare il cambiamento climatico. Tuttavia, l’analisi qui presentata  mostra che la riduzione delle emissioni nell’UE sarebbe vantaggiosa per sla icurezza energetica e la contaminazione ambientale nell’UE. Essa stimolerebbe lo sviluppo e l’applicazione di nuove tecnologie per il futuro e l’aumento a lungo termine della competitività per industria dell’UE.

L’impatto ambientale ed economico di riduzioni interne del 21% e 31% nel 2020, rispetto ai livelli del 1990, è stato valutato mediante l’impiego del modello GEM-E3 che è riassunto nella Tabella qui di seguito.

L’impatto ambientale sulle emissioni globali di una simile azione unilaterale sarebbe in ogni caso molto limitato. Nella variante 1, che prevede un’ampia partecipazione, l’obiettivo di riduzione nell’UE-27 sarebbe del 31% e le emissioni interne sarebbero effettivamente ridotte del 21%.

L’impatto di un’azione autonoma dell’UE sul proprio PIL è limitato, in particolare se fosse concesso il pieno accesso a meccanismi basati sulle proiezioni. Senza access ai CDM, i prezzi del carbonio saranno 8–11 volte più elevati. Questo sottolinea la necessità di continuare ad accedere ai CDM nel periodo successivo al 2012, ancora senza ampia partecipazione.

Con il pieno accesso ai CDM, la riduzione delle emissioni si realizzerebbe per la maggior parte all’estero, a causa dei bassi costi marginali di abbattimento. In questo caso, tuttavia, non vi sarebbero effetti collaterali vantaggiosi, né per la qualità dell’aria né per la sicurezza energetica all’interno l’UE. Nel caso di una riduzione autonoma del 21%, le emissioni di gas serra nell’UE-27 salirebbero ancora rispetto alle emissioni del 1990. Allo scopo di evitare questo fenomeno, dovrebbero introdursi politiche complementari obbligatorie all’interno dell’UE o l’accesso ai CDM dovrebbe essere limitato, il che provocherebbe preoccupazioni  in materia di competitività. Le politiche inerenti al Riesame Strategico dell’Energia in UE, come le misure sull’efficienza energetica, i traguardi per le rinnovabili e i requisiti obbligatori sulla CCS requirements potrebbero garantire in un simile scenario un’azione interna più intensa dell’UE che porti anche a ulteriori miglioramenti in materia di sicurezza energetica, qualità dell’aria locale e competitività a lungo termine.

In conclusione, i risultati di quest’analisi confermano ampiamente i precedenti dati finali di un’analisi analoga della Commissione Europea del 2005 43 . Se l’UE volesse primordialmente perseguire obiettivi di politica interna, dovrebbe attuare delle politiche energiche, ossia le misure del pacchetto energia dovrebbero essere ambiziose e obbligatorie. Se queste non fossero obbligatorie, si dovrebbe limitare la domanda di CDM in altri modi. La fissazione di un tetto basso per l’uso dei CDM, tuttavia, aumenterebbe i prezzi del carbonio drasticamete e, quindi, farebbe salire notevolmente i costi economici. I CDM dovrebbero agire come una valvola di sicurezza che mantenga gestibili i costi complessivi delle politiche.

 

6.3. Invertire la deforestazione

La riduzione delle emissioni al 25% nel 2050 nei settori compresi negli scenari del POLES non sarà sufficiente a raggiungere l’obiettivo dei 2 °C. Come affermato nella Sezione 5, il ruolo delle emissioni dalle variazioni dell’uso del suolo e, in minore misura, dall’agricoltura, sarà anche fondamentale nel raggiungere l’obiettivo dei 2 °C. L’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) nella sua valutazione sulle risorse forestali mondiali del 2005 ha stimato che ogni anno vanno persi circa 13 milioni di ettari di foreste, un’area approssimativamente delle dimensioni della Grecia, a seguito delle alte emissioni nette provocate dalle variazioni dell’uso del suolo che non sono compensate dal rimboschimento. Questa perdita di foreste produce anche un impatto negativo sulla biodiversità.

Le proiezioni per le emissioni di base per variazioni dell’uso del suolo tendono ad essere altamente divergenti e dipendono ad esempio dalla politica forestale, dalla crescita demografica e dalla produttività agricola. Alcune proiezioni presuppongono che si fermi la deforestazione e che la variazione dell’uso del suolo diventi una riserva persino nelle proiezioni di base, senza politiche specifiche per il al cambiamento climatico. Ad esempio la Relazione Speciale dell’IPCC sugli scenari di emissione prevede per il settore della destinazione d’uso del suolo al 2050 una variazione che va dalle riserve nette di -1.5 GtCO2 nello scenario della politica di sviluppo sostenibile (B1) alle emissioni nette fino a 3.4 GtCO2 nel secondo scenario nelle condizioni abituali (A2).

Il progetto Integrated Sink Enhancement Assessment (INSEA), creato in base al 6° Programma Quadro per la Ricerca, mira a identificare attività di destinazione d’uso del suolo che potrebbero aiutare a gestire le emissioni di gas serra. I risultati preliminari del Dynamic Integrated Model of Forestry and Alternative Land Use (DIMA) utilizzato in questo progetto, stima che altri 200 milioni ettari o circa il 5 % dell’area forestale odierna andranno persi tra il 2006 e il 2025, causando il rilascio totale di ulteriori 64 GtCO2 o una media annua di 3.2 GtCO2. Esso stima che nei prossimi 100 anni, la perdita della copertura forestale odierna sarà di 500 milioni ettari, che è 1/8 della copertura forestale attuale (Kindermann et al., 2006).

43 See Russ et al. (2005) e anche the summary in SEC(2005)180, page 26.

Il modello DIMA stima i fattori che spingono verso la deforestazione e l’imboschimento mediante i redditi relativi di diversi tipi di destinazioni d’uso del suolo (e.g. la foresta contrapposta all’agricoltura, aree edificate ecc.) e simula cambiamenti d’uso del suolo in termini di emissioni nette e l’assorbimento di diossido di carbonio nella biomassa forestale. Il modello DIMA fornisce pertanto proiezioni su quale potrebbe essere l’impatto qualora il valore del carbonio venisse collegato alle foreste. Per questa valutazione dell’impatto, è stato introdotto un incentivo finanziario per tonnellata di diossido di carbonio nel modello DIMA che è simile al prezzo proiettato nel modello POLES a livello regionale nello scenario di riduzione delle emissioni, ossia oltre € 60 per tonnellata di CO2 nel 2030.

L’impatto previsto sul cambiamento dell’uso del suolo è notevole, e mostra una netta riduzione delle emissioni da cambiamento dell’uso del suolo. Nel 2020, la rimozione di gas serra dall’atmosfera a seguito delle foreste piantate supererebbe di gran lunga le  emissioni annuali da deforestazione, con un eccedente che con la maturazione delle foreste piantate si riduce nel periodo successivo al 2025. Tuttavia, i risultati del modello segnalano che potrebbero realizzarsi sostanziali riduzioni nel settore dell’uso del suolo, che mostrano la necessità di ulteriori politiche ambiziose per invertire la tendenza alle emissioni da deforestazione.

Sarà difficile invertire le tendenze del cambiamento d’uso del suolo, ma non è qualcosa di inconcepibile. La maggior parte dei paesi sviluppati ha attraversato periodi di deforestazione, ma è riuscita a invertire la tendenza introducendo politiche forestali e sistemi di gestione forestale di sviluppo sostenibile, oltre che incoraggiando l’imboschimento. La Cina è recentemente riuscita a invertire la tendenza della sua netta deforestazione trasformandola in un importante aumento delle aree forestali mediante un’azione concordata in materia di tutela delle foreste e imboschimento. Tuttavia, nel contempo è anche aumentata rapidamente la domanda cinese di legname nel mercato internazionale.

La questione delle foreste ha costituito una priorità della politica internazionale e dei programmi politici agendas negli ultimi 15 anni. Diversi processi e organizzazioni operano attualmente per promuovere la gestione sostenibile delle foreste e ridurre la deforestazione, di cui il United Nations Forum on Forests (UNFF), the InternazionaleTropical Timber Organisation (ITTO), la FAO, la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), il Forest Law Enforcement and Governance process (FLEG) e l’UE Forest Law Enforcement, Governance e Trade Action Plan (Piano d’AzioneUE FLEGT) sono quelli più importanti.

In occasione della sua sesta riunione nel febbraio 2006, il United Nations Forum on Forests (UNFF), ha sottoscritto una risoluzione contenente quattro obiettivi globali, di cui l’obiettivo 1, "invertire la  perdita della copertura forestale nel mondo intero mediante una gestione sostenibile delle foreste, che includa la tutela, il recupero, l’imboschimento e il rimboschimento, e un aumento delle iniziative per prevenire il degrado delle foreste " è particolarmente rilevante per il processo del cambiamento climatico. Gli obiettivi sono non-vincolanti per il paese individuale, ma i paesi hanno convenuto di lavorare a livello mondiale e nazionale per progredire per raggiungerli entro il 2015. Tuttavia, per invertire il processo delle emissioni da deforestazione occorrerà rafforzare il profilo  dell’UE nei processi relativi alle foreste internazionali attinenti e attivare considerevolmente le attività in corso per combattere la deforestazione, come previsto nel Piano d’Azione dell’UE per le Foreste, recentemente approvato.

L’introduzione di un incentivo finanziario per invertire la deforestazione a livello internazionale richiederà tuttavia un’ulteriore attenta analisi. L’incentivo finanziario introdotto nel modello DIMA potrebbe diventare astronomico se venisse introdotto per tutte le riserve esistenti di foreste per evitare la loro  deforestazione. Tuttavia, un simile incentivo finanziario dovrebbe essere visto in un contesto più ampio del valore del carbonio di una sola foresta, ed essere messo in rapporto tutto quel che offrono gli ecosistemi delle forests (ad esempio,  diversità genetica, diversità biologica, funzioni nell’ambito del ciclo dell’acqua locale e mondiale e sistema climatico). Questi e altri benefici offerti dalle foreste sono altrettanto vitali, a livello regionale e mondiale.

I cambiamenti del carbonio terrestre sono reversibili in natura e possono rapidamente trasformare un ecosistema da an deposito attivo in una fonte netta (ad esempio incendi e tempeste). Deve tenersi conto di questo quando si considerano gli opportuni approcci politici. Molte altre questioni fanno sì che l’introduzione di uno schema di incentivi sia una materia complessa. Le foreste sono degradate per diverse ragioni in posti diversi (segheria, agricoltura, allevamenti, legna per il fuoco, ecc.). La gestione e conservazione delle foreste è diversa e spesso poco chiara nelle aree con alti tassi di deforestazione. I dati sull’uso delle foreste sono spesso imprecisi e in molti paesi le istituzioni non sono in grado di controllarli adeguatamente. Inoltre, le foreste non solo rappresentano un valore del carbonio in un mondo vincolato dal carbonio, esse  hanno anche un valore legato alle loro altre funzioni locali e mondiali in campo ambientale, come ad esempio la biodiversità. Una recente relazione sulle foreste tropicali della Banca Mondiale, ‘At Loggerheads’, propone il finanziamento del carbonio come strumento per limitare l’ulteriore degrado della copertura forestale mondiale. Ma essa segnala anche la necessità che si emettano molte altre misure per gestire le nostre foreste in modo sostenibile come il finanziamento della conservazione della biodiversità e un miglioramento del monitoraggio e della valutazione, che includano anche la costruzione delle competenze a livello locale, una miglioramento della legislazione relativa ai diritti di proprietà alla loro applicazione, come pure migliori procedure di pianificazione, come l’espansione della rete stradale.

Sono state presentate diverse proposte volte a invertire la tendenza mondiale alla deforestazione e per monitorare tali tendenze. Molte di esse propongono un meccanismo di finanziamento internazionale che assegnerebbe incentivi perché i paesi in via di sviluppo tengano a freno la deforestazione. Gli stessi paesi potrebbero scegliere le politiche e le misure per realizzare le necessarie riduzioni. E’ difficile introdurre un prezzo del carbonio da applicare nei confronti delle persone che utilizzano direttamente le risorse forestali. Potrebbe farsi mediante l’applicazione di un pagamento come incentivo diretto, ma richiederebbe una microgestione.

Il Costa Rica ha già introdotto un modello simile. Urge capire meglio come le misure economiche per incentivi o altri approcci politici sulla scala richiesta  possano essere fatti funzionari in modo adeguato. Sono stati applicati vari modelli di incentivo e altri approcci politici, ma è molto difficile applicare queste esperienze a livello internazionale per realizzare gli scopi voluti. Uno dei prossimi passi potrebbe consistere nel raccogliere l’esperienza pratica mediante modelli pilota a livello nazionale o regionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLEGATO 2: I risultati preliminare PESETA

L’obiettivo del progetto PESETA (Projection of Economic effects of climate change in Sectors of European Union based on bottom-up Analysis) è di compiere una valutazione degli effetti, incluse le stime economiche, del cambiamento climatico in Europa (EU25, Romania, Bulgaria e Turchia) nei periodi 2011-2040 e 2071-2100, in base a metodologie fisiche ascendenti. Il progetto trae ampi vantaggi dai progetti di Ricerca DG che hanno elaborato modelli di valutazione dell’impatto (ad esempio il modello DIVA) e scenari climatici ad alta risoluzione per l’Europa (il progetto PRUDENCE). Esso è coordinato dal JRC/IPTS e coinvolge diversi istituti di ricerca 44 .

Il progetto PESETA si incentra sui seguenti effetti di settore: sistemi costieri, domanda di energia, salute umana, agricoltura, turismo e inondazioni. Ognuna di queste categorie settorali comprende uno studio settoriale nel campo corrispondente, realizzato dagli associati del progetto, che tratta questioni che interessano i vari settori. Compie quest’attività per due scenari globali della Relazione Speciale sugli scenari di emissioni Scenarios dell’IPCC (SRES), associati agli scenari A2 e B2.

 

Gli eterogenei scenari mondiali (SRES A2)

"Il tipo di scenario A2 descrive un mondo molto eterogeneo. L’argomento sottostante è l’autoaffidabilità e la conservazione delle identità locali. Gli andamenti della fertilità nelle varie regioni convergono molto lentamente, e  provocano una popolazione mondiale in crescita continua.  Lo sviluppo economico è principalmente orientato a livello regionale e la crescita economico pro capite e i cambiamenti tecnologici sono più frammentati e più lenti rispetto ad altri tipi di scenari."

Premesse per lo studio PESETA:

– Concentrazioni di CO2 nell’atmosfera: approssimativamente il triplo entro la fine di questo secolo rispetto alla concentrazione pre-industriale.

– Aumento globale della temperatura media di 3°C nel 2071-2100 rispetto al 1961-1990

– Agricoltura: livelli più bassi di ricchezza e disparità regionali.

– Ecosistemi naturali: stress e danno a livello locale e mondiale.

–Capacità di risposta: mista ma diminuita in aree di più bassa crescita economica.

– Vulnerabilità: aumentata

 

Gli scenari locali di sostenibilità (SRES B2)

44 JRC/IES, ICIS-Maastricht University, AEA Technology, FEDEA, University di Southampton, FEEM,

e Polithecnical University di Madrid). The progetto anche benefici dal collaboration del Rossby

Center che ha fornito clima dati. Moreover, un multidisciplinary Advisory Board ha been

established in order to advise IPTS sulla coordination del progetto e to review the diverse progetto

deliverables.


 



[1]    http://unfccc.int

[2]    Previsto dall’art. 3 del Protocollo.

[3]    Prevista dall’art. 6 del Protocollo.

[4]    Previsti dall’art. 12 del Protocollo.

[5]    Le percentuali di responsabilità nelle emissioni globali sono le seguenti: gli Stati membri UE sono responsabili del 22,1%, gli USA del 30,3%, il Giappone del 3,7%, il Canada del 2,3%.

[6]    La percentuale di riduzione globale che il Protocollo si prefigge quale obiettivo è scesa - dopo l’abbandono del negoziato da parte degli Stati Uniti - dal 5,2% al 3,8%.

[7]    I programmi pilota sono stati definiti: con il DM 3 novembre 2004 (programmi pilota a livello nazionale), con il D.M. 2 febbraio 2005 (programmi pilota a livello nazionale in materia di afforestazione e riforestazione) e con il D.M. 11 febbraio 2005 (programmi pilota a livello internazionale).

[8]    Tale Piano è consultabile all’indirizzo internet:

http://www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/docs/delibera_cipe_19_12_02_n123.pdf.

[9]    Pubblicata nella G.U. n. 68 del 22 marzo 2003 e consultabile anche all’indirizzo internet http://www2.minambiente.it/sito/settori_azione/pia/docs/deliberaCIPE_19_12_02.pdf.

[10]   Un successivo decreto interministeriale, da emanare entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge (1° aprile 2007) dovrà individuare le modalità per l'erogazione dei finanziamenti e definire le priorità per l’individuazione delle misure finanziate.

[11]   Tale permesso è rilasciato dall’autorità nazionale competente previa verifica da parte della stessa della capacità dell’operatore dell’impianto di monitorare nel tempo le proprie emissioni di gas serra.

[12]   La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 Euro nel periodo 2005-2007 e di 100 Euro nei periodi successivi; le emissioni oggetto di sanzione non sono esonerate dall’obbligo di resa di quote.

[13]   Ogni anno i gestori degli impianti regolati dalla direttiva 2003/87 sono tenuti a restituire un numero di quote corrispondenti alle emissioni reali prodotte. L’eventuale surplus di quote (differenza positiva tra le quote assegnate ad inizio anno e le emissioni effettivamente immesse in atmosfera) potrà essere accantonato o venduto sul mercato, mentre il deficit potrà essere coperto attraverso l’acquisto delle quote. Gli Stati membri dovranno quindi assicurare la libera circolazione delle quote di emissioni all’interno della Comunità Europea consentendo lo sviluppo effettivo del mercato europeo dei diritti di emissione.

[14]   In particolare dei CERs a partire dal 2005 e delle ERUs a partire dal 2008.

[15]   Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 316.

[16]   Le versioni del PNA che si sono via via succedute sono consultabili nel sito web del Ministero, all’indirizzo

www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/pnac02_schema_assegnazione.asp.

[17]   Cfr. http://www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/pna_c02.asp.

[18] Cfr. http://ec.europa.eu/environment/climat/2nd_phase_ep.htm.

[19]   COM(2005)703 def.

[20] Il testo del regolamento che disciplina il funzionamento di tale mercato è consultabile all’indirizzo http://www.mercatoelettrico.org/GmeWebItaliano/MenuBiblioteca/documenti/20070315RegolamentoEmissionsMarket.pdf.

[21]   Si veda, ad esempio, L. De Simone, A. Nobili “Con i certificati verdi ed emission trading sviluppo economico sempre più sostenibile”, in Ambiente e sicurezza – Supplemento n. 4/2003.

[22]   Una rassegna delle iniziative della Banca Mondiale in materia è contenuta nel sito http://carbonfinance.org.

[23]   Per approfondimenti si rinvia al documento di presentazione dell’iniziativa predisposto congiuntamente dal Ministero dell’ambiente e dalla Banca mondiale e disponibile all’indirizzo internet http://carbonfinance.org/docs/ItalianCarbonFundItalianLanguage.pdf, nonché al recente Carbon Finance Unit Annual Report 2006 della Banca mondiale, disponibile all’indirizzo web http://carbonfinance.org/docs/CFU_AR_2006.pdf.

[24]   Cfr. http://europa.eu.int/comm/energy/res/legislation/doc/electricity/member_states/it_2002_report_it.pdf

[25]   Costituita da 189 Paesi.

[26]   Costituita da 157 Paesi.

[27]   Si ricorda che l’impegno di aprire i negoziati per estendere il protocollo di Kyoto anche al periodo successivo al 2012 (in linea con quanto stabilito dall'art. 3.9 del Protocollo stesso) è stato assunto nel corso della COP11 – COP/MOP1 tenutasi a Montreal nel 2005. Nella stessa sede si è deciso di affidare tali negoziati a un gruppo di lavoro creato ad hoc, fra i paesi industrializzati al fine di considerare ulteriori obiettivi di riduzione per il periodo successivo al 2012, ed è stata inoltre sollecitata una conclusione di tali accordi il più veloce possibile, in modo da garantire che non vi sia alcun "buco" tra i due periodi di riferimento (2008/2012 e post 2012), che crei incertezza nel mercato delle emissioni.

[28]   Il testo completo del rapporto è consultabile all’indirizzo internet www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/sternreview_index.cfm.

[29] Intergovernmental Panel on Climate Change.

[30] La gravità delle conseguenze dei cambiamenti climatici è riaffermata nella quarta relazione tecnica presentata dall’IPCC ( Intergovernamental Panel on Climate Change) il 6 aprile 2007, dal titolo “Climate change Impacts, Adaptation  and Vulnerability”.

[31]Il Consiglio europeo ha approvato gli elementi individuati dal Consiglio ambiente del 20 febbraio 2007. Il Consiglio ambiente ha adottato conclusioni sul tema “Obiettivi dell’UE per l’ulteriore sviluppo del regime climatico internazionale oltre il 2012”, in cui ribadisce l’impegno fermo e indipendente dell’Unione europea nella riduzione dell’emissioni di gas  a effetto serra, da attuare attraverso politiche comunitarie e ripartizione degli oneri concordata e riafferma  il ruolo guida dell’UE nella ricerca di un accordo globale sui cambiamenti climatici.

[32] La comunicazione fa seguito a quella dell’ottobre 2005 “Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici” (COM(2005)35), che proponeva raccomandazioni concrete sulle politiche climatiche dell’UE e definiva i principali elementi che dovevano costituire la futura strategia climatica dell’UE. Con la comunicazione del 2005 la Commissione ha lanciato la seconda fase del programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP II) – avviato nel giugno 2000 quale strumento principale della strategia europea per l’attuazione del protocollo di Kyoto - volta a definire la politica comunitaria in materia di cambiamento climatico per il periodo successivo al 2012

[33] Dal 1° gennaio 2005 è in vigore il sistema europeo di scambio delle quote di emissione, disciplinato dalla direttiva 2003/87/CE. Nell’ambito di tale sistema, gli Stati membri sono tenuti a presentare il piano nazionale relativo al periodo 2008-2012; la Commissione dovrà approvare i piani, richiedendone eventualmente modifiche se non sono conformi ai criteri convenuti.

 

[34] Il Libro verde sull’energia (COM(2006)105), presentato l’8 marzo 2006, stabilisce gli obiettivi strategici della sostenibilità, competitività e sicurezza dell’approvvigionamento energetico

[35] Direttiva 2003/96/CE, come modificata dalle direttive 2004/74/CE e 2004/75/CE

[36]Comunicazione della Commissione “Realizzare un mercato globale del carbonio – relazione a norma dell’articolo 30 della direttiva 2003/87/CE” (COM(2006)676

[37]Comunicazione della Commissione “Ridurre l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici” (COM(2005)459).

[38] I paesi in questione sono  Bulgaria, Cipro, Estonia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta e Polonia

[39]    Fonte – Agenzia europea dell'Ambiente. Altri dati provengono dalla Commissione europea, se non diversamente specificato.

[40]    "World Energy Outlook 2006" dell'AIE.

[41]    Tasso di cambio considerato di 1,25 dollari per euro rispetto ad un prezzo del petrolio di 60 dollari (valore attuale) nel 2030.

[42]    Consiglio europeo sulle energie rinnovabili “Renewable Energy Targets for Europe: 20% by 2020”.

[43]    "Una strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura", COM(2006) 105 def. dell'8 marzo 2006; Documento di lavoro dei servizi della Commissione, relazione di sintesi dell'analisi del dibattito sul Libro verde "Una strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura", SEC(2006) 1500.

[44]    Comunicazione delle Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, COM(2007) 2.

[45]    Comunicazione sulle ristrutturazioni del 31 marzo 2005, COM(2005) 120.

[46]    Comunicazione della Commissione "Verso una politica marittima dell’Unione: una visione europea degli oceani e dei mari", COM(2006) 275.

[47]    Tra cui le seconde direttive concernenti l'apertura del mercato, i regolamenti destinati ad armonizzare le norme tecniche necessarie per consentire il funzionamento degli scambi transfrontalieri e le direttive concernenti la sicurezza dell'approvvigionamento.

[48]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle prospettive del mercato interno del gas e dell'elettricità, COM(2006) 841.

[49]    Comunicazione della Commissione "Sector Enquiry under Art. 17 of Regulation 1/2003 on the gas and electricity markets (final report)", COM(2006) 851.

[50]    Questo è già stato realizzato per l'elettricità in Danimarca, Finlandia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Romania, Spagna, Slovacchia, Slovenia e Svezia e per il gas in Danimarca, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Romania, Spagna e Svezia. Il GRT separato è anche proprietario delle rete.

[51]    Come già indicato, questa idea si ispira all'approccio già utilizzato nel settore delle comunicazioni elettroniche e in relazione alle deroghe sull'accesso dei terzi alle nuove infrastrutture di gas e elettricità.

[52]    Nell'ambito del progetto di accordo interistituzionale relativo all'inquadramento delle agenzie europee di regolazione (COM(2005) 59 def.), un organismo di questo tipo può essere incaricato di applicare norme comunitarie a casi particolari. A tal fine, l’agenzia ha il potere di adottare decisioni individuali che producono effetti giuridici vincolanti nei confronti di terzi (articolo 4).

[53]    Direttiva 2002/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica.

[54]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: Piano di interconnessione prioritario, COM(2006) 846.

[55]    Direttiva 2004/67/CE del Consiglio, del 26 aprile 2004, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale, GU L 127 del 29.4.2004, pagg. 92–96.

[56]      Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità, COM(2006) 545 del 19 ottobre 2006.

[57]    Vedi anche Mantenere l’Europa in movimento - una mobilità sostenibile per il nostro continente. Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea COM(2006) 314 del 22 giugno 2006.

[58]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: "Follow up actions of the Green Paper: report on progress in renewable electricity", COM(2006) 849.

[59]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio "Renewable Energy Roadmap: Renewable Energies in the 21st century; building a sustainable future", COM(2006) 848.

[60]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: "Biofuels progress report", COM(2006) 845.

[61]    Vedi anche la comunicazione della Commissione: "Towards a European Strategic Energy Technology Plan ", COM(2006) 847.

[62]    Comunicazione della Commissione: Sustainable Power Generation from fossil fuels: aiming at near zero emission by 2020, COM(2006) 843.

[63]    La piattaforma tecnologica europea per delle centrali elettriche a combustibili fossili a zero emissioni (ZEP TP) comprende, nelle principali raccomandazioni del suo programma strategico di ricerca adottato ala fine del 2006, un invito alla rapida realizzazione di 10-12 progetti di centrali elettriche di dimostrazione su ampia scala dotate di sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio.

[64]    Secondo il "World Energy Outlook" dell'AIE le nuove centrali nucleari potrebbero produrre elettricità ad un costo compreso tra 4,9 e 5,7 centesimi di dollaro per kWh (da 3,9 a 4,5 centesimi di euro al tasso di cambio vigente a metà novembre 2006) a condizione che i rischi legati alla costruzione e all'esercizio siano attenuati; in tali condizioni, con un costo di 10 dollari per tonnellata di CO2 emessa, il nucleare è competitivo rispetto alle centrali a carbone.

[65]    Progetto di programma nucleare indicativo, COM(2006) 844.

[66]    Documento della Commissione europea e dell'Alto rappresentante "An external policy to serve Europe's energy interests, giugno 2006 S160/06; seguito dalla comunicazione "Le relazioni esterne nel settore dell'energia: dai principi all’azione, COM(2006) 590 def.

[67]    137 miliardi di dollari l'anno per i paesi in via di sviluppo importatori di petrolio rispetto ad un aiuto pubblico allo sviluppo di 84 miliardi di dollari nel 2005, netto alleggerimento addizionale del debito. Vedi "The Vulnerability of African Countries to Oil Price Shocks: Major factors and Policy Options. The Case of Oil Importing Countries". Rapporto ESMAP 308/05, Banca mondiale, agosto 2005.

[68]    SEC(2007)12; pagina web http://ec.europa.eu/energy/energy_policy/index_en.htm

[69]    Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sullo sviluppo della politica europea di vicinato, COM(2006) 726 def. del 4.12.2006.

[70]    I valori relativi ai biocarburanti si riferiscono alle tecniche di produzione meno costose

[71]    Assumendo un prezzo del petrolio pari a 48 $/barile e 70 $/barile, rispettivamente

[72]    Il riesame strategico della politica energetica presentato dalla Commissione e adottato in concomitanza con la presente comunicazione annovera tra i possibili contributi anche provvedimenti nell'ambito della politica commerciale.