Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: G8 + 5 Climate Change Dialogue Forum dei legislatori Washington, 14-15 febbraio 2007
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 43
Data: 08/02/2007
Descrittori:
FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA   INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

servizio studi

segreteria generale
ufficio rapporti con l’ue

 

Documentazione e ricerche

G8 + 5 Climate Change Dialogue

Forum dei legislatori

 

Washington, 14-15 febbraio 2007

 

 

 

 

 

 

n. 43

 

8 febbraio 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento Ambiente

 

SIWEB

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: Am0046.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Il Protocollo di Kyoto  3

§      Il commercio dei diritti di emissione  7

§      Il ruolo delle fonti energetiche rinnovabili11

§      I risultati della Conferenza di Nairobi13

§      Cenni alle iniziative europee in materia di cambiamento climatico.15

§      Le iniziative della Commissione ambiente in materia di cambiamento climatico  16

La posizione europea sul cambiamento climatico (a cura dell'Ufficio rapporti con l'Unione europea)19

§      1. Gli obiettivi strategici19

§      2. Altre iniziative  23

Documentazione allegata

§      Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011. Parere approvato dalla VIII Commissione.

-       Seduta del 19 luglio 2006  27

§      Audizione del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, sugli orientamenti del Governo italiano in vista della Conferenza mondiale sul clima di Nairobi.

-       Seduta del 25 ottobre 2006  31

§      Risoluzione Realacci  n. 7-00064  59

-       Seduta del 25 ottobre 2006  65

§      Risoluzione Realacci e Capezzone n. 7-00103  67

-       Seduta del 30 gennaio 2007  71

§      Comunicazione della Commissione Realizzare un mercato globale del carbonio – Relazione a norma dell’articolo 30 della direttiva 2003/87/CE Com (2006) 676  75

§      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serrra Com (2006) 818  75

§      Comunicazione della Commissione Una politica energetica per l’Europa Com (2007) 1  133

§      Comunicazione della Commissione Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius La via da percorrere fino al 2020 e oltre Com (2007) 2  165

§      Documento di lavoro dei servizi e della Commissione Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius La via da percorrere fino al 2020 e oltre – Sintesi della valutazione d’impatto Sec (2007) 7  181

 

 


Schede di lettura


 

Il Protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi industrializzati ed i Paesi con economia in transizione a ridurre le emissioni di gas in grado di alterare l’effetto serra del pianeta entro il 2012.

 

 

Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC[1]). Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra.

I paesi industrializzati (elencati nell’Annex I del Protocollo) si impegnano a ridurre le proprie emissioni entro il 2012. Il protocollo di Kyoto non prevede vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 paesi che include i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei PVS.

Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas, ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).

Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:

-   il miglioramento dell’efficienza energetica

-   la correzione delle imperfezioni del mercato (attraverso incentivi fiscali e sussidi)

-   la promozione dell’agricoltura sostenibile

-   la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti

-   l’informazione a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (cd “comunicazioni nazionali”)

La misura complessiva di riduzione deve essere del 5,2% rispetto ai livelli di emissione del 1990. L’onere, tuttavia, è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito, dei livelli di efficienza energetica.

 

 

Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:

§      l’emission trading (commercio dei diritti di emissione)[2], in base al quale i paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono “vendere” tale surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che - al contrario - non riescano a raggiungere gli obiettivi assegnati;

§      la joint implementation(attuazione congiunta degli obblighi individuali)[3], secondo cui gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purchè venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units”(ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;

§      i clean development mechanisms(meccanismi per lo sviluppo pulito)[4] , il cui fine è quello di fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.

 

In base all’accordo le riduzioni dovranno essere conseguite nelle seguenti misure percentuali:

 

Protocollo di Kyoto

Impegni assunti[5]

Riduzione (entro il 2008-2012) dei gas serra rispetto ai livelli del 1990

Stati membri UE

8%

USA

7%

Giappone

6%

Canada

6%

Totale paesi Annex I

5,2%[6]

 

Il Protocollo di Kyoto riconosce all’Unione europea (che ha provveduto a ratificarlo in data 31 maggio 2002) la facoltà di ridistribuire tra i suoi Stati membri gli obiettivi ad essa imposti, a condizione che rimanga invariato il risultato finale. Con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri (raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998) sono state fissate le seguenti percentuali di riduzione:

Austria

-13%

Italia

-6,5%

Belgio

-7,5%

Lussemburgo

-28%

Danimarca

-21%

Paesi Bassi

-6%

Finlandia

0%

Portogallo

+27%

Francia

0%

Regno Unito

-12,5%

Germania

-21%

Spagna

+15%

Grecia

+25%

Svezia

+4%

Irlanda

+13%

 

 

 

Il protocollo è diventato vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005 in seguito al deposito dello strumento di ratifica da parte della Russia, con notevole ritardo rispetto alla firma del protocollo medesimo, causato dall'uscita dal Protocollo degli USA, che rappresentano da soli il 36% delle emissioni dei Paesi industrializzati.

 

Si ricorda, infatti, che l’art. 24 del Protocollo ne ha previsto l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990.

La ratifica dell’Italia

Per quanto riguarda l’Italia, la ratifica del protocollo di Kyoto è avvenuta con la legge 1° giugno 2002, n. 120, la quale reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

 

L’art. 2, comma 1, dispone, infatti, che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro il 30 settembre 2002, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati, è tenuto a presentare al CIPE un piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimento ed una relazione contenente lo stato di attuazione e la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998.

Nel medesimo comma viene previsto, inoltre, che la suddetta relazione debba riguardare anche lo stato di attuazione dei programmi finanziati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio in attuazione del decreto-legge 30 dicembre 1999, n. 500 e del D.M. ambiente 20 luglio 2000, n. 337, nonché dei programmi pilota previsti dal successivo comma 3, in cui si prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro il 30 marzo di ogni anno, individui, con proprio decreto e di concerto con i ministri interessati e con la Conferenza unificata Stato-regioni-città, i programmi pilota da attuare a livello nazionale ed internazionale per la riduzione delle emissioni e l'impiego di piantagioni forestali per l'assorbimento del carbonio[7] e che (comma 4) entro il 30 novembre di ogni anno il Ministro dell’ambiente trasmetta al Parlamento una relazione sulla loro attuazione.

 

In attuazione di tali disposizioni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ha provveduto ad elaborare il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010[8] (per consentire all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012, come prevede il Protocollo di Kyoto), nonché la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998, recante le “linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”.

Tali documenti, approvati con la delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 123[9], contengono, secondo quanto previsto dalla legge di ratifica, l'individuazione delle politiche e delle misure finalizzate al contenimento ed alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Nella legge di ratifica viene specificato che tali azioni devono tendere al raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni mediante il miglioramento dell'efficienza energetica del sistema economico nazionale e un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, all'aumento degli assorbimenti di gas serra derivanti dalle attività e dai cambiamenti di uso del suolo e forestali, alla piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal Protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri Paesi industrializzati (joint implementation) e con quelli in via di sviluppo (clean development mechanism), e, infine, all’accelerazione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per l’introduzione dell’idrogeno quale combustibile e per la realizzazione di impianti per la produzione di energie alternative pulite (biomasse, biogas, combustibile derivato dai rifiuti, impianti eolici, fotovoltaici, solari).

Per il finanziamento di tali misure è da ultimo intervenuto l’art. 1, commi 1110-1115, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007), che ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., di un Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009[10].

 

Il commercio dei diritti di emissione

L’uso di tale strumento è volto a raggiungere gli obiettivi del Protocollo a costi più vantaggiosi attraverso il ricorso a meccanismi di mercato. Il presupposto su cui si basa la previsione di riduzione dei costi globali è fondato sulle forti variazioni nei costi di riduzione delle emissioni fra i vari paesi e fra i vari processi industriali. Attraverso la commercializzazione dei permessi di emissione, lo stesso mercato provvederà ad allocarli nel modo più efficiente, riducendo i costi globali rispetto a meccanismi più rigidi quali la tassazione o la semplice definizione di limiti.

La piena entrata in vigore a livello internazionale dell'emission trading è prevista nel 2008, ma molti governi, organizzazioni governative e società stanno conducendo prove e sperimentazioni per verificarne le modalità di funzionamento.

La direttiva 2003/87/CE

Un’importante iniziativa in tal senso è stata intrapresa dall’Unione europea con l’emanazione della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica.

Tale direttiva, che rappresenta la prima fase attuativa del Programma europeo sul cambiamento climatico (European Climate Change Programme - ECCP) lanciato nel giugno del 2000 dalla Commissione Europea, prevede l’istituzione di un mercato delle emissioni su scala europea a partire dal 2005 da affiancare all’emission trading previsto su scala globale dal Protocollo.

La direttiva si applica alle emissioni provenienti dalle attività indicate nell'allegato I e ai gas a effetto serra elencati nell'allegato II. In particolare alle emissioni di anidride carbonica provenienti da attività di combustione energetica, produzione e trasformazione dei metalli ferrosi, lavorazione di prodotti minerari, produzione di pasta per carta, carta e cartoni.

Gli obblighi previsti per gli impianti da essa regolati sono:

1)      possedere un permesso all’emissione in atmosfera di gas serra[11];

2)      rendere alla fine dell’anno un numero di quote (o diritti) d’emissione pari alle emissioni di gas serra rilasciate durante l’anno[12].

 

Le quote d’emissioni vengono rilasciate dall’autorità nazionale competente (ANC) all’operatore di ciascun impianto regolato dalla direttiva sulla base di un piano di allocazione nazionale; ogni quota (cd. European Unit Allowance – EUA) dà diritto al rilascio di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente.

Il piano di allocazione nazionale (redatto in conformità ai criteri previsti dall’allegato III della direttiva) prevede l’assegnazione di quote a livello d’impianto per periodi di tempo predeterminati (il primo è individuato dalla direttiva nel triennio 2005-2007, mentre i successivi nei quinquenni 2008-2012, 2013-2017, ecc).

Esso, inoltre, deve essere coerente con gli obiettivi di riduzione nazionale, con le previsioni di crescita delle emissioni, con il potenziale di abbattimento e con i principi di tutela della concorrenza.

Una volta rilasciate, le quote possono essere vendute o acquistate[13]. Tali transazioni devono poi essere registrate nell’ambito di un registro nazionale.

La restituzione delle quote d’emissione avviene attraverso il registro nazionale ed è effettuata annualmente dagli operatori degli impianti in numero pari alle emissioni reali certificate da un soggetto terzo accreditato dall’ANC.

Con la Decisione della Commissione n. 156 del 29 gennaio 2004 sono state fissate le linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE.

Si ricorda, inoltre, che la direttiva 2004/101/CE (cd. direttiva linking) ha riconosciuto i meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto (Joint Implementation e Clean Developmnet Mechanism) all’interno dell’ETS, stabilendo la validità dei crediti di emissione (ottenuti grazie all’attuazione di tali progetti) per rispondere agli obblighi di riduzione delle emissioni[14].

L’attuazione nell’ordinamento italiano e l’assegnazione delle quote di emissione

Per quanto riguarda l’Italia, con il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216 sono state recepite nell’ordinamento nazionale sia la direttiva 2003/87/CE, sia la direttiva 2004/101, ed inoltre si è provveduto ad inglobare nel testo, al fine di predisporre un quadro normativo unitario, le disposizioni dettate dal D.L. n. 273/2004[15], che era stato emanato (nelle more del recepimento della direttiva 2003/87/CE) al fine di consentire l’avvio a partire già dal 2005 del sistema previsto dalla direttiva stessa.

Il campo di applicazione del decreto (art. 2) riguarda le emissioni provenienti dalle attività indicate nell’allegato A e relative ai gas-serra elencati nell’allegato B

I punti salienti del citato decreto sono:

§         l’obbligo di autorizzazione per gli impianti rientranti nel campo di applicazione del decreto stesso, in linea con le disposizioni del corrispondente articolo della direttiva;

§         la disciplina procedurale per il rilascio, da parte dell’ANC per l’attuazione della direttiva, dell’autorizzazione ad emettere gas serra (artt. 5-6);

§         l’individuazione di una procedura che, in linea con le disposizioni della direttiva, conduce dall’approvazione del Piano nazionale di assegnazione (PNA) all’assegnazione e al successivo rilascio delle quote di emissioni ai singoli impianti (artt. 10-11);

§         l’istituzione, presso la Direzione RAS del Ministero dell’ambiente, del “Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE”, cui vengono affidate le funzioni di ANC (art. 8);

§         l’istituzione del Registro nazionale delle emissioni e delle quote d’emissioni presso la succitata direzione RAS, che svolge le funzioni di amministratore del registro (art. 14);

 

In data 23 febbraio 2006 il Ministero dell'ambiente, dopo un lungo e travagliato iter[16], ha emanato il decreto DEC/RAS/074/2006, recante l'assegnazione e il rilascio delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 sulla base della Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 (allegata al medesimo decreto) che rappresenta la versione definitiva e revisionata del piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione (PNA), come risultante a seguito delle integrazioni e delle prescrizioni dettate dalla Commissione europea, che individua il numero di quote complessivo, a livello di settore e di impianto, per l’attuazione della direttiva.

Il 18 dicembre 2006 i ministri dell'ambiente e dello sviluppo economico hanno approvato (con decreto DEC/RAS/1448/2006) il PNA delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012[17] e lo hanno trasmesso alla Commissione europea[18] per il prescritto parere ai fini della predisposizione del successivo schema di decisione di assegnazione, che dovrà essere sottoposto al parere delle commissioni parlamentari competenti.

In tale piano si legge che “La decisione di ratifica del Protocollo di Kyoto impone all’Italia di ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra del 6,5% rispetto ai livelli del 1990, ciò implica che le emissioni medie nel periodo 2008-2012 non potranno superare 485,7 MtCO2eq/anno. L’inventario nazionale delle emissioni di gas ad effetto serra relativo all’anno 2006 evidenzia che al 2004 le emissioni totali di gas ad effetto serra (580,7 MtCO2eq) sono aumentate del 11,8% rispetto ai livelli del 1990 (519,5 MtCO2eq). Pertanto la distanza che al 2004 separa il Paese dal raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto è pari a 95,0 MtCO2eq”.

Di conseguenza nello stesso piano si afferma che “l’assegnazione delle quote nel periodo 2008-2012 dovrà essere parte del più generale impegno di riduzione delle emissioni e le quote assegnate dovranno essere ridotte rispetto a quelle del periodo 2005-2007” e che tale approccio è conforme con quanto indicato dalla Commissione europea nella Comunicazione “Orientamenti complementari sui Piani nazionali di assegnazione per il periodo di scambio 2008-2012 nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione della UE”[19].

Viene altresì indicata in 209,0 MtCO2/anno la quantità totale media annua che si intende assegnare nel periodo 2008-2012 (tale valore rappresenta una riduzione di 14,1 MtCO2/anno rispetto all’assegnazione 2005-2007) che viene ritenuta coerente con l’obiettivo di Kyoto.

L’Italian Carbon Fund (ICF)

Si segnala, infine, che anche la Banca mondiale ha intrapreso un programma di emission trading attraverso l’istituzione del Community Development Carbon Fund, con il quale verranno acquistati - nei Paesi in via di sviluppo – certificati legati alla riduzione delle emissioni di gas serra generate da progetti selezionati e monitorati dalla Banca stessa. Secondo alcuni, con questa operazione la Banca Mondiale “si candida a giocare un ruolo centrale nel futuro commercio mondiale dei certificati di emissione della CO2[20].

Tale iniziativa si affianca ad altre analoghe[21] tra cui quella che nell’ottobre 2003 ha portato alla stipula di un accordo tra il Ministero dell’ambiente e la Banca Mondiale volto ad istituire l’Italian Carbon Fund per l’acquisto di crediti di emissione da progetti che generino riduzioni di emissioni di gas serra (compatibili con i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto e con il nuovo sistema europeo di emission trading) ed apportino benefici all’ambiente globale, promuovendo nel contempo la diffusione di tecnologie moderne ed energia pulita in paesi in via di sviluppo e con economie in transizione.

Tale fondo è un partenariato pubblico-privato (dal 1° gennaio 2004 il Fondo è aperto alla partecipazione di aziende private ed agenzie pubbliche italiane) amministrato dalla Banca Mondiale e dotato di un capitale iniziale di 15 milioni di dollari messi a disposizione dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. L’attuale capitalizzazione ha quasi raggiunto i 155 milioni di dollari[22].

L’impegno finanziario profuso dal Ministero dell’ambiente nell’ICF si affianca a quello risultante dalla partecipazione dell’Italia al citato Community Development Carbon Fund per un importo di 7,7 milioni di dollari.

Il ruolo delle fonti energetiche rinnovabili

Un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Protocollo può venire dallo sviluppo del settore delle energie alternative. In tale ambito il principale riferimento normativo comunitario è costituito dalla recente direttiva 2001/77/CE relativa all’energia elettrica da fonti rinnovabili volta a favorire un aumento del contributo delle fonti energetiche rinnovabili nella produzione di elettricità e porre le basi di un quadro comunitario in materia che consenta di contemperare le due esigenze di garantire la sicurezza e la diversificazione dell'approvvigionamento energetico e la tutela dell'ambiente.

Con l’approvazione della direttiva 2001/77/CE del Parlamento e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, l’Unione europea ha stabilito per ogni Stato membro gli obiettivi da raggiungere nell’ambito della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; per l’Italia l’obiettivo da raggiungersi entro il 2010 è fissato al 25% di energia elettrica prodotta.

Con la circolare emanata nel 2002 dal Ministro delle attività produttive[23] avente per oggetto Obiettivi indicativi nazionali di consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili per il periodo 2003-2012 e misure adottate o previste a livello nazionale per conseguire i medesimi obiettivi, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, della direttiva 2001/77/CE è stato precisato che gli obiettivi indicati nel Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra: 2003-2010 (consistenti nel raggiungimento, entro il 2010, di una quota di produzione pari a 75TWh) “sono coerenti con le indicazioni dell’allegato alla direttiva, e dunque il disposto della direttiva medesima è soddisfatto”.

 

In proposito si ricorda nuovamente che il già richiamato Piano rappresenta il principale strumento programmatico per il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. In tale Piano (analogamente a quanto si riscontra negli altri Paesi), uno degli strumenti fondamentali individuati per il raggiungimento degli obiettivi citati è proprio costituito dallo sviluppo delle fonti rinnovabili.

 

La direttiva 2001/77/CE è stata recentemente recepita dall’Italia con il decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387[24] che ha ulteriormente innalzato l’obbligo - stabilito dal decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (cd. decreto Bersani) - di immettere nella rete nazionale una quota di energia generata in nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili ed ha definito nuove regole di riferimento per la promozione delle fonti medesime.

L’articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 387/2003, reca la seguente definizione delle fonti rinnovabili, con cui si intendono “le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas)”.

Gli incentivi

Il principale meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da rinnovabili è costituito dai cd. certificati verdi, introdotto nell’ordinamento nazionale dall’art. 11 del d.lgs. n. 79 del 1999.

 

Si ricorda che tale meccanismo incentivante ha previsto a decorrere dal 2002 l’obbligo, a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica una quota minima di elettricità, prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il primo aprile 1999.

Tale quota, inizialmente fissata al 2%, è stata poi innalzata dal d.lgs. n. 387/2003 (art. 4), che ne ha stabilito un incremento annuo dello 0,35% per il triennio 2004-2006, demandando a successivi decreti la fissazione degli ulteriori incrementi per i trienni successivi.

 

Il meccanismo dei certificati verdi non rappresenta, tuttavia, l’unica forma nazionale di sostegno al settore delle energie rinnovabili.

In attuazione del disposto dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 387/03, il DM 28 luglio 2005 (come integrato dal DM 6 febbraio 2006) del Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministero dell’ambiente, definisce criteri di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica da fonte solare coerenti con le disposizioni della direttiva 2003/54/CE, introducendo una nuova modalità di incentivazione per la produzione di energia da impianti fotovoltaici con taglie comprese tra 1 kW e 1000 kW di potenza elettrica, ricorrendo al cosiddetto “conto energia”, in sostituzione del precedente sistema di incentivazione basato esclusivamente su contributi in conto capitale - erogati a livello regionale, nazionale o comunitario sotto varie forme - e idoneo a finanziare il 50-75 % del costo di investimento[25].

Si segnalano, in tema di incentivazione delle fonti rinnovabili, anche la recente emanazione del decreto legislativo n. 128 del 30 maggio 2005 di attuazione della direttiva 2003/30/CE relativa alla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti, nonché l’istituzione per il 2005 (prevista dall’art. 1, comma 248, della legge n. 311/2004 - legge finanziaria 2005) di un Fondo per la promozione delle risorse rinnovabili, con una dotazione finanziaria di 10 milioni di euro, finalizzato al cofinanziamento di studi e ricerche relative all’utilizzo del vettore idrogeno, prodotto a partire da fonti rinnovabili, nell’ambito di nuovi sistemi di locomozione atti a ridurre le emissioni inquinanti al fine del miglioramento della qualità ambientale, in particolare all’interno dei centri urbani.

L’art. 1, comma 1117, della legge finanziaria 2007 prevede che gli incentivi pubblici a favore delle fonti rinnovabili siano destinati esclusivamente alla produzione di energia elettrica prodotta dalle suddette fonti, così come definite dalla direttiva 2001//77/CE, escludendo - in tal modo - la concessione di incentivi all'energia ricavata dalla frazione non biodegradabile dei rifiuti.

Si ricorda, inoltre, la previsione introdotta dalla medesima legge finanziaria (art. 1, comma 350) finalizzata a vincolare per gli edifici di nuova costruzione il rilascio del permesso di costruire all’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, che garantiscano una produzione energetica non inferiore a 0,2 kilowatt per ciascuna unità abitativa, nonché le agevolazioni finalizzate al risparmio energetico in edilizia recate dai commi 344-349 e 351-352 dell’articolo 1 della stessa legge.

I risultati della Conferenza di Nairobi

In Kenya, a Nairobi, si è tenuta, dal 6 al 17 novembre 2006, la dodicesima Conferenza delle Parti (COP12[26]) e la Seconda Conferenza, dall'entrata in vigore del Protocollo, delle Parti che lo hanno ratificato (COP/MOP2[27]).

Nella stessa sede hanno avuto luogo anche le seconde sessioni dei cd. gruppi ad hoc per i nuovi impegni che i paesi industrializzati dovranno assumere dopo il 2012 (AWG-COM) e per il dialogo a lungo termine sull'obiettivo ultimo della UNFCCC (AWG-DIAL).

Durante lo svolgimento della COP-12 gli argomenti discussi hanno riguardato essenzialmente la gestione dei meccanismi e delle attività previste nella Convenzione UNFCCC. Sono stati altresì affrontati argomenti quali la lotta alla deforestazione, spesso illegale, nei paesi in via di sviluppo, di cui non si tiene conto nel protocollo di Kyoto; nonché le emissioni di gas serra derivanti dal trasporto aereo e marittimo, attualmente non conteggiate nel Protocollo.

La COP/MOP2 ha invece affrontato alcuni problemi critici per l'attuazione del Protocollo di Kyoto tra cui la definizione delle procedure sanzionatorie per i paesi che al 2012 risulteranno inadempienti nel raggiungimento dei loro obiettivi di riduzione.

Il principale argomento in discussione è stato tuttavia quello (affrontato nell’ambito dell’AWG-COM) della modifica dell'attuale protocollo di Kyoto (in base all'art. 9 dello stesso protocollo) in una versione emendata che contenga nuovi impegni e nuove modalità di attuazione per il periodo successivo al 2012[28], quando l'attuale protocollo di Kyoto sarà scaduto. Dopo lunghe ed accese discussioni si è tuttavia convenuto di rinviare la questione al 2008, dopo che sarà acquisito il quarto rapporto dell'IPCC (che sarà pubblicato nel corso del 2007) e le prime conclusioni sulle strategie a lungo termine che il gruppo di lavoro ad hoc sul dialogo (AWG-DIAL) avrà raggiunto.

È stato inoltre concordato che il nuovo protocollo che entrerà in vigore successivamente al 2012 dovrà contenere chiari obiettivi per l'adattamento ai cambiamenti climatici comprese le modalità di cooperazione, in questo campo, tra paesi sviluppati ed in via di sviluppo.

Nell’ambito del gruppo relativo al dialogo a lungo termine (AWG-DIAL) la discussione è partita dal recente Rapporto Stern sui possibili danni alle economie nazionali e al prodotto lordo internazionale causati dai cambiamenti del clima. La discussione proseguirà prossimamente su due punti prioritari: le questioni dell'adattamento ai cambiamenti climatici, e le questioni delle nuove tecnologie per combattere i cambiamenti del clima.


 

Il Rapporto Stern[29]

Tale rapporto, coordinato da Nicholas Stern, economista ed attuale consigliere del Governo Britannico, evidenzia come il costo degli effetti del cambiamento climatico possa far supporre una caduta del PIL mondiale tra il 5% ed il 20% e come l’attuazione di misure finalizzate ad evitare un aumento di più di due gradi centigradi della temperatura media, rappresenterebbe appena l’1% del PIL mondiale. Questo Rapporto elenca anche quali potrebbero essere le conseguenze del cambiamento climatico in diverse regioni del mondo, se si arrivasse a superare il suddetto aumento di temperatura, limite che si considera come massimo affinché siano ancora possibili forme di “contenimento”.

 

Si segnala, inoltre, che nel corso del Meeting ad alto livello dei ministri e capi di stato sono state evidenziate alcune priorità, tra cui l’urgenza di procedere dopo il 2012 a riduzioni più drastiche delle emissioni di gas serra.

 

Si ricorda, in proposito, che nel corso della Conferenza è stato presentato un documento che afferma che, per essere stabilizzate, le emissioni nella atmosfera debbono essere ridotte di almeno il 50% rispetto al 2000, sebbene non indichi in che data. La Germania ha proposto una riduzione del 30% entro il 2020, mentre la Finlandia a nome della UE ha ribadito la sua proposta di una riduzione fino al 60% entro il 2050. Altri paesi, tra cui gli USA, pur riconoscendo la necessità di raggiungere importanti obiettivi di riduzione non ritengono che la strada dei vincoli e degli obblighi sia percorribile.

Cenni alle iniziative europee in materia di cambiamento climatico.

Sulla base della comunicazione “Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici” (COM(2005)35, del 9 febbraio 2005), nonché delle indicazioni fornite dal Consiglio ambiente del marzo 2005 e dal Consiglio europeo del 22-23 marzo 2005, il 24 ottobre 2005 la Commissione ha avviato la seconda fase del programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP II)[30], volto a definire la politica comunitaria in materia per il periodo successivo al 2012.

Nell’ambito del programma, strumento principale della strategia europea per l’attuazione del Protocollo di Kyoto, la Commissione intende valutare la possibilità di intraprendere nuove azioni per sfruttare le soluzioni economicamente efficaci disponibili per l’abbattimento delle emissioni, in sinergia con la strategia di Lisbona[31]: in questo contesto l’attenzione è rivolta all’efficienza energetica, alle fonti rinnovabili, ai trasporti e alla cattura e stoccaggio del carbonio.

In merito ai cambiamenti climatici si è espresso anche il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 che, nelle sue conclusioni, ha auspicato il raggiungimento di un accordo per il periodo successivo al 2012 coerentemente con l'obiettivo di un aumento mondiale massimo della temperatura di 2°C rispetto ai livelli dell'epoca preindustriale.

Un interessante rapporto, diffuso dall’Agenzia europea dell’ambiente (Climate change and a european low-carbon energy system[32]), propone una valutazione delle tendenze in atto e un'analisi degli scenari possibili di riduzione delle emissioni attuabile attraverso la cooperazione internazionale e descrive le possibili azioni per un eventuale passaggio ad un sistema energetico a basso impiego di carbone. Tale rapporto si presenta come un contributo rispetto al dibattito politico globale circa le strategie possibili per il periodo Post-Kyoto, avviato ufficialmente con la Cop11/Mop1 di Montreal.

Ma ancora più rilevante appare il nuovo “pacchetto energia” proposto dalla Commissione europea con le comunicazioni, del 10 gennaio 2007, COM(2007)1 An energy policy for Europe  e COM(2007)2 Limiting Global Climate Change to 2 degrees Celsius - The way ahead for 2020 and beyond. Con tali comunicazioni, infatti, la Commissione europea ha proposto un pacchetto completo di misure per istituire una nuova politica energetica per l'Europa finalizzata a combattere i cambiamenti climatici e a rafforzare la sicurezza energetica e la competitività dell'Unione europea.

In particolare la Commissione propone che l'Unione europea si impegni ora ad abbattere le emissioni di gas serra di almeno il 20% entro il 2020, soprattutto attraverso misure energetiche[33].

 

Per approfondimenti, si rinvia al capitolo La posizione europea sul cambiamento climatico.

Le iniziative della Commissione ambiente in materia di cambiamento climatico

Nel mese di luglio 2006, la Commissione ha esaminato, per le parti di propria competenza, il Documento di programmazione economico-finanziaria 2007-2011. Su tale documento, nella seduta del 19 luglio, la Commissione ha espresso parere favorevole con diverse osservazioni, relative, in particolare, al rilancio di una forte iniziativa politica di carattere strutturale, finalizzata al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto, all’inserimento nei successivi documenti di programmazione della previsione di un aggiornamento sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e sui relativi indirizzi, all’implementazione delle più rilevanti politiche ambientali.

In occasione della «Conferenza mondiale sul clima» di Nairobi (6/17 novembre 2006) si è svolta, presso la VIII Commissione (Ambiente) l’audizione del Ministro dell’ambiente, del territorio e del mare (25 ottobre 2006), il quale ha ribadito l’impegno italiano, all’interno del più ampio contesto europeo, di lavorare affinché l'aumento della temperatura del pianeta non superi l’aumento di temperatura oltre il quale gli effetti sulla terra e sul clima sarebbero tali da non consentire la sopravvivenza dell'attuale sistema di vita degli esseri umani e, tra i possibili interventi, ha segnalato la necessità di misure nel settore del trasporto.

 

Nella seduta dell’VIII Commissione del 25 ottobre 2006, la Commissione ha approvato una risoluzione, a prima firma dell’on. Realacci, volta ad indirizzare l'attività del Governo su tematiche di importanza strategica per il futuro del pianeta quali quelle sul cambiamento climatico. Sulla risoluzione, sottoscritta da deputati appartenenti a gruppi di maggioranza e di opposizione, si è registrato un unanime orientamento positivo da parte dei gruppi.

Tra gli impegni contenuti nella risoluzione si segnalano: l’adozione, insieme all’UE e nel suo ambito, di politiche e misure dirette ad affrontare il periodo successivo al 2012; il sostegno degli sforzi tesi a trovare un'intesa in questo «G7» con 6 Paesi (Stati Uniti, Canada, Russia, Giappone, Cina e India), che insieme all'Unione europea producono il 75 per cento delle emissioni mondiali di gas serra; il sostegno della ricerca, il cambiamento tecnologico e l'economia della conoscenza; l’aggiornamento della delibera CIPE 123/2002 e del relativo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra e l’adozione di iniziative volte ad integrare tale Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra in un programma nazionale energetico-ambientale, concordato con le Regioni, definito con il Parlamento, che assicuri il coordinamento, l'aggiornamento ed il monitoraggio dei risultati, al fine di avere un quadro unitario coerente, di riferimento e di indirizzo; il rafforzamento della ricerca ed il supporto tecnico alla diffusione delle politiche e delle misure che concorrono alla riduzione delle emissioni di gas serra, all'aumento dell'efficienza e del risparmio energetico, alla diffusione della produzione e dell'uso di fonti rinnovabili; a prestare grande attenzione al settore dei trasporti, della mobilità e della logistica; il riconoscimento di un’effettiva priorità all’efficienza e al risparmio energetico e la promozione dello sviluppo di tutte le fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia elettrica, di calore e di carburanti; il sostegno della piccola cogenerazione distribuita, di energia elettrica e di calore e dello sviluppo dei distretti agro-energetici; il sostegno della ricerca e della sperimentazione della cattura e del sequestro sicuro della CO2.

Nella seduta del 30 gennaio, le Commissioni ambiente e attività produttive della Camera hanno inoltre approvato una risoluzione (degli onorevoli Realacci, Capezzone ed altri), volta ad impegnare il Governo a convocare una Conferenza nazionale su clima ed energia, nella quale adottare un approccio integrato, nonché a coinvolgere nella preparazione della medesima Conferenza il Parlamento, tutti i Ministeri interessati, le istituzioni regionali e locali, le forze economiche e sociali e gli organismi scientifici.

 

Si segnala inoltre che è attualmente all’esame delle commissioni riunite 10ª (Industria) e 13ª (Territorio e ambiente) del Senato, la proposta di legge a prima firma Ronchi (AS 786) recante “Norme per l'attuazione del protocollo di Kyoto con lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dell' efficienza, dell'innovazione del sistema energetico e della mobilità”.

 

Si segnala, infine, che sul tema del cambiamento climatico e sulla necessità della sua integrazione con le varie politiche di settore, la Commissione ambiente (in congiunta con le Commissioni competenti per le varie politiche) sta svolgendo una serie di audizioni ai fini della presentazione di una relazione all’Assemblea, ai sensi dell’articolo 143 del regolamento della Camera.

Nella seduta del 7 febbraio, presso le Commissioni ambiente e attività produttive, si è svolta la prima di tali audizioni (del Ministro dello sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, sugli orientamenti del suo dicastero in merito alle politiche riguardanti i cambiamenti climatici, l’energia e lo sviluppo sostenibile).


La posizione europea sul cambiamento climatico
(a cura dell'Ufficio rapporti con l'Unione europea)

1. Gli obiettivi strategici

Il 10 gennaio 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius – La via da percorrere fino al 2020 e oltre” (COM(2007)2), destinata al Consiglio europeo di primavera dl 2007, che dovrebbe decidere in merito ad un approccio integrato e completo nell’ambito delle politiche dell’UE nei settori dell’energia e dei cambiamenti climatici.

La comunicazione fa seguito a quella dell’ottobre 2005 “Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici” (COM(2005)35), che proponeva raccomandazioni concrete sulle politiche climatiche dell’UE e definiva i principali elementi che dovevano costituire la futura strategia climatica dell’UE. Con la comunicazione del 2005 la Commissione ha lanciato la seconda fase del programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP II) – avviato nel giugno 2000 quale strumento principale della strategia europea per l’attuazione del protocollo di Kyoto - volta a definire la politica comunitaria in materia di cambiamento climatico per il periodo successivo al 2012.

 

La comunicazione propone che l’UE persegua, nell’ambito di negoziati internazionali, un obiettivo di riduzione dei gas serra pari al 30% rispetto ai valori del 1990, che i paesi industrializzati dovranno conseguire entro il 2020: in tal modo, la Commissione ritiene che sarà possibile contenere l’aumento della temperatura entro il limite dei 2°C in tutto il mondo. Secondo la Commissione, fino a che non sarà concluso un accordo internazionale, e fatta salva la posizione che assumerà nell’ambito dei negoziati internazionali, l’UE dovrebbe fin d’ora assumersi l’impegno risoluto e unilaterale di abbattere le emissioni dei gas serra di almeno il 20% entro il 2020 ricorrendo al sistema UE di scambio delle quote di emissione, ad altre politiche in materia di cambiamenti climatici nonché a interventi nel contesto della politica energetica. Dopo il 2020 le emissioni prodotte dai paesi in via di sviluppo supereranno quelle dei paesi industrializzati; nel frattempo, il tasso di crescita delle emissioni complessive dei paesi in via di sviluppo dovrebbe cominciare a rallentare e, a partire dal 2020, dovrebbe verificarsi un calo in termini assoluti.

Entro il 2050 le emissioni globali dovranno essere abbattute fino al 50% rispetto al 1990; ciò significa che i paesi industrializzati dovranno ridurle del 60-80%, ma le emissioni dovranno diminuire sensibilmente anche in molti paesi in via di sviluppo.

La Commissione ribadisce che gli strumenti di mercato, come il sistema UE di scambio delle quote di emissione, saranno un elemento determinante per far sì che l’Europa e altri paesi conseguano gli obiettivi previsti al più basso costo possibile. La comunicazione ritiene, infine, auspicabile che l’UE e gli Stati membri decidano di incrementare sensibilmente gli investimenti destinati alle attività di ricerca e sviluppo nei settori della produzione di energia e del risparmio energetico.

Sotto il profilo internazionale, la Commissione ribadisce che la battaglia contro i cambiamenti climatici si può vincere solo con un intervento di scala planetaria e pertanto ritiene che per l’UE il raggiungimento di un accordo  per raggiungere l’obiettivo dei 2°C dovrebbe essere la priorità internazionale a tutti i livelli.

 

Contestualmente alla comunicazione, la Commissione ha presentato, il 10 gennaio 2007, un pacchetto integrato di misure volte a definire una nuova politica energetica per l’Europa mirata a contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici e a rafforzare la sicurezza energetica e la competitività dell’UE[34].

Il “pacchetto energia” - costituito dalla comunicazioneUna politica energetica per l’Europa” (COM(2007)1) che presenta il riesame strategico della politica energeticadell’Unione europea e da un piano d’azione energetico in dieci punti - è inteso a creare le condizioni per il raggiungimento del nuovo obiettivo strategico: ridurre almeno del 20 %, entro il 2020,  le emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell’UE rispetto ai livelli del 1990, all’interno di un’azione internazionale volta a raggiungere l’obiettivo di ridurre del 30 % le emissioni di gas serra a livello globale, di cui l’UE deve farsi promotrice.

Il riesame strategico della politica energetica europea

Il riesame strategico operato nella comunicazione “Una politica energetica per l’Europa” intende definire una politica energetica forte ed efficace, capace di fornire soluzioni alle sfide poste dai cambiamenti climatici, dalla crescente dipendenza dalle importazioni e dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici, di fronte alle quali gli Stati membri sono sempre più interdipendenti. La Commissione ritiene che l’azione dell’UE deve essere immediatae avere tra gli obiettivi a lungo termine, oltre alla sicurezza delle forniture, anche la crescita economica e il benessere dei cittadini. In questo senso sono fondamentali gli stimoli che possono venire dal mercato interno dell’energia e dagli investimenti nei settori dell’efficienza energetica, dell’energia rinnovabile e delle tecnologie energetiche a basso tenore di carbonio.

La Commissione, anche sulla base dei risultati della consultazione sul Libro verde “energia”[35], ritiene che una politica energetica europea incentrata su un’azione immediata per ridurre i gas serra consentirebbe di ottenere un minor consumo energetico, di usare energia più pulita, di limitare la crescente esposizione della UE alla volatilità e al rialzo dei prezzi del petrolio e del gas, di creare un mercato energetico comunitario più competitivo e di stimolare l’innovazione tecnologica e l’occupazione.

Il piano d’azione energetico

Il piano d’azione in dieci punti presenta un primo pacchetto di misure che intendono contribuire a trasformare l’Europa in un’economia dal profilo energetico altamente efficiente e a basse emissioni di CO2. In particolare, l’UE dovrebbe assumere la leadership mondiale e catalizzare una nuova rivoluzione industriale che acceleri il passaggio ad una crescita economica con basse emissioni, aumentando drasticamente la produzione e il consumo di energia locale a basse emissioni.

La nuova politica energetica proporrà di integrare gli aspetti energetici di altre politiche e sarà aggiornata, ogni due anni, da una relazione della Commissione sul riesame strategico energetico.

Sistema per lo scambio delle quote di emissione

Ribadendo quanto affermato nella comunicazione “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius”la Commissione afferma che il meccanismo di scambio dei diritti di emissione è e deve rimanere un meccanismo chiave per incentivare le riduzioni di emissioni di carbonio e che potrebbe essere utilizzato come base per le iniziative internazionali di lotta ai cambiamenti climatici. La Commissione ritiene fondamentale la revisione del sistema per lo scambio delle quote di emissione per conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra fissati dal pacchetto energia.

 

Per quanto riguarda la lotta ai cambiamenti climatici, in particolare, la Commissione  invita  il Consiglio europeo e il Parlamento a:

 

La Commissione chiederà al Consiglio europeo dell'8-9 marzo 2007 di sostenere il suo approccio e le proposte illustrate nella comunicazione.

 

In merito ai cambiamenti climatici il Consiglio ambiente del 9 marzo 2006, nelle sue conclusioni, ha sottolineato tra l’altro, l’esigenza di garantire coerenza tra le questioni relative all’energia e quelle relative al clima, sfruttando le sinergie tra promozione della sicurezza energetica, offerta di energia sostenibile, innovazione e riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Sull’argomento si è espresso anche il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 che, nelle sue conclusioni, ha auspicato il raggiungimento di un accordo per il periodo successivo al 2012 coerente con l'obiettivo di un aumento mondiale massimo della temperatura di 2°C. Il Consiglio europeo ha inoltre esortato la Commissione a presentare senza indugio una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle esperienze acquisite attraverso l'attuazione della direttiva che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità[36], che tenga conto della situazione delle piccole e medie imprese e sia corredata, se del caso, di proposte.

Il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2006 ha adottato conclusioni sui cambiamenti climatici in cui, ribadendo che si tratta di un problema che richiede soluzioni a livello mondiale, si è impegnato a prendere in esame nella riunione della primavera 2007[37] le opzioni per un accordo globale post-2012 coerente con l'obiettivo dell'UE di un aumento mondiale massimo della temperatura di 2°C. Alla luce dell'incidenza della politica in materia di energia e di cambiamenti climatici sul piano politico, economico e delle relazioni esterne, il Consiglio europeo attende inoltre con interesse un dibattito integrato su tali questioni nella riunione della primavera 2007.

Il Consiglio ambiente del 18 dicembre 2006 ha adottato conclusioni in materia di cambiamenti climatici. Nel corso della riunione si è tenuto un dibattito sulla strategia idonea a raggiungere l’accordo globale post-2012. Il Consiglio ha invitato gli Stati membri a proporre orientamenti in vista del Consiglio europeo di primavera.

1.1 Future iniziative strategiche

Tra le iniziative strategiche per il 2007 la Commissione preannunzia la presentazione del Libro verde sul cambiamento climatico dopo il 2012, su cui verrà avviata una consultazione pubblica: il documento contribuirà ad individuare gli ambiti in cui è necessario intervenire a livello comunitario per favorire l’adeguamento dell’Unione europea alle sempre maggiori ripercussioni dei cambiamenti climatici.

A conclusione della consultazione sul Libro verde, sarà presentato il Libro bianco “Verso un programma europeo di adattamento al cambiamento climatico”. La Commissione, anche tenendo conto dei risultati della consultazione, individuerà le azioni specifiche da adottare in materia di adattamento ai cambiamenti. Parallelamente alle iniziative volte ad invertire il senso del processo di cambiamento climatico in corso attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra, la Commissione sottolinea la necessità di azioni urgenti per adattarsi ai cambiamenti previsti per la regione europea.

2. Altre iniziative

Mercato globale del carbonio –sistema UE di scambio

Il 13 novembre 2006 la Commissione ha adottato una comunicazione sulla creazione di un mercato mondiale del carbonio ai sensi dell’articolo 30 della direttiva 2003/87/CEE[38], in cui si prevede una revisione del sistema di scambi di quote ed emissioni di gas a effetto serra che dovrebbe essere applicato a partire dal 2013.

Gli assi portanti della revisione prevista dalla Commissione sono:

·         l’ampliamento del campo di applicazione del sistema ad altri settori come quello dell’aviazione nonché ad altri gas a effetto serra diversi dal CO2, come il protossido di azoto (N2O) indotto della produzione di ammoniaca e il metano prodotto da miniere di carbone;

·         l’armonizzazione del sistema per la tipologia degli impianti coperti dagli scambi di quote, per il trattamento da riservare ai nuovi impianti immessi sul mercato e a quelli che cessano l’attività;

·          un controllo rigoroso dell’applicazione del sistema attraverso l’elaborazione di indirizzi in materia di sorveglianza.

La comunicazione sottolinea la necessità che il sistema UE di scambio, inteso come strumento di mercato, sia semplificato ed ampliato per poter ridurre le emissioni di gas serra all’insegna dell’efficacia economica e far sì che funga da modello per sistemi analoghi in altre regioni del mondo.

La Commissione intende presentare durante il secondo semestre 2007 una proposta di revisione della direttiva 2003/87/CE, al termine di un’ampia consultazione pubblica.

Impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici

Il 20 dicembre 2006 la Commissione ha presentato la proposta di direttiva che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (COM(2006)818.

La proposta di direttiva fa seguito a una comunicazione del settembre 2005[39] nella quale la Commissione concludeva che il modo migliore per far fronte alle emissioni del settore aereo, da un punto di vista economico e ambientale, era quello di includerlo nel sistema europeo di scambio delle quote di emissione. Questa posizione era stata successivamente avallata anche dal Consiglio e dal Parlamento europeo. La proposta intende garantire parità di trattamento a tutti gli operatori aerei, siano essi comunitari o stranieri. A partire dal 2011 rientreranno nel sistema tutti i voli nazionali e internazionali effettuati tra aeroporti dell’UE edal 2012 il sistema sarà esteso anche a tutti i voli internazionali in arrivo e in partenza dagli aeroporti dell’UE. Per contenere il rapido aumento delle emissioni dovute al trasporto aereo, il numero totale delle quote di emissione assegnate sarà limitato ad un tetto massimo, pari al livello medio delle emissioni registrate nel periodo 2004-2006. Gli Stati membri potranno vendere all’asta una parte delle quote, ma la maggior parte di esse sarà rilasciata a titolo gratuito. La proposta di direttiva rientra in un approccio globale che punta ad affrontare il problema delle emissioni del trasporto aereo e che comprende anche attività di ricerca su tecnologie più pulite e una migliore gestione del traffico aereo.

La proposta di direttiva verrà esaminata secondo la procedura di codecisione.

 

 

 


Documentazione allegata

 


VIII COMMISSIONE PERMANENTE

(Ambiente, infrastrutture e lavori pubblici)

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SEDUTA DI MERCOLEDI’ 19 LUGLIO 2006

 

 

 


ALLEGATO 3

Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,

esaminato il documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1), con il relativo allegato contenente il «Programma infrastrutture», ai sensi della legge n. 443 del 2001;

osservato che il citato documento allegato al DPEF fornisce al Parlamento una serie di dati conoscitivi di rilievo sull'attuazione del programma stesso, e che tali dati richiedono un impegno importante del Governo nella programmazione delle misure di sviluppo infrastrutturale;

preso atto con favore che il DPEF preveda, in questo specifico settore, la necessità di definire «chiare priorità sulla base di un'attenta valutazione delle risorse finanziarie disponibili e di piani settoriali», anche mediante un percorso interistituzionale condiviso;

rilevata, peraltro, l'opportunità di distinguere gli elementi ricognitivi contenuti nell'allegato rispetto agli impegni prioritari che il Governo intende assumere, anche in termini di finanziamento, per la realizzazione di opere infrastrutturali sul territorio nazionale;

sottolineata la specifica attenzione prestata dal DPEF al rilancio della politica per la casa, che richiede, in particolare, uno sforzo programmatorio per la riqualificazione urbana e le politiche di riduzione del disagio abitativo;

rilevata l'esigenza che il Governo presti particolare attenzione alle problematiche ambientali, inserendo tale obiettivo all'interno delle linee-guida della politica economica per la corrente legislatura, con specifico riferimento al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto;

valutato negativamente, al riguardo, che al termine della XIV legislatura il Governo abbia stabilito di sopprimere la disposizione di cui all'articolo 3, comma 2-ter, del decreto-legge n. 273 del 2004, che prevedeva l'inserimento nel DPEF di un aggiornamento sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e sui relativi indirizzi, indicando in particolare le proposte di modifica e di integrazione del Piano nazionale ai fini dell'assegnazione delle quote di emissioni;

esprime

 

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:

a) preso atto degli impegnativi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra previsti dal Protocollo di Kyoto, sia rilanciata una forte iniziativa politica di carattere strutturale, finalizzata al raggiungimento di tali obiettivi secondo un approccio di sostenibilità dello sviluppo, che consenta di integrare tra di loro le diverse politiche pubbliche e, in particolare, le politiche ambientali, industriali, produttive, energetiche e infrastrutturali, in un percorso condiviso che affronti - tra gli altri - anche il problema degli oneri connessi all'attuazione del Protocollo medesimo e, a tale proposito, confermi l'impegno per il rilancio di una politica delle fonti rinnovabili e per la convocazione di una Conferenza energetica nazionale;

b) nell'ambito di detta iniziativa politica, si riservi - all'interno dei prossimi documenti di programmazione - la debita importanza alla previsione di un aggiornamento sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e sui relativi indirizzi, all'interno delle linee-guida della politica economica generale, eventualmente provvedendo a reinserire nell'ordinamento la citata disposizione di cui all'articolo 3, comma 2-ter, del decreto-legge n. 273 del 2004;

c) siano, altresì, poste in essere le opportune misure per implementare tutte le più rilevanti politiche ambientali, con specifico riferimento alla difesa del suolo, alla prevenzione dal dissesto idrogeologico ed alla bonifica dei siti inquinati, in un contesto di pianificazione degli interventi coordinato e condiviso con gli organismi territoriali competenti, che contempli, inoltre, il superamento della fase commissariale nella gestione dei rifiuti, il rilancio dell'azione pubblica sulla raccolta differenziata e il rafforzamento della tutela del mare, dando piena applicazione all'accordo di Barcellona sulla gestione integrata della fascia costiera;

d) siano adeguatamente sostenute, sotto il profilo operativo e finanziario, le politiche di rilancio del sistema dei parchi nazionali e delle riserve naturali, anche individuando eventuali meccanismi che consentano di allentare i vincoli, eccessivamente stringenti, che derivano alle aree protette, e ai comuni in esse ricadenti, dalla rigida applicazione delle regole previste dal «patto di stabilità» interno;

e) sia sviluppato, con ogni possibile sforzo, il programma di investimenti pubblici per l'ammodernamento infrastrutturale del Paese, mediante una intensa e ragionata attività di programmazione, che garantisca, per un verso, il coinvolgimento delle realtà regionali e territoriali e, per altro verso, il costante controllo e monitoraggio del Parlamento su tali dinamiche programmatorie, in un quadro di coordinamento istituzionale degli indirizzi strategici relativi alle politiche infrastrutturali che privilegi la mobilità sostenibile e l'equilibrio intermodale, con un riequilibrio del divario infrastrutturale nel Mezzogiorno;

f) in questo ambito, sia comunque garantita una chiara distinzione tra la ricognizione delle opere e dei lavori su tutto il territorio nazionale, che devono necessariamente comprendere il completamento degli schemi idrici del Mezzogiorno, e l'indicazione delle effettive priorità, per le quali il Governo sarà tenuto a individuare - dopo avere acquisito l'orientamento delle regioni e degli enti territoriali interessati - i relativi fabbisogni, nonché gli strumenti giuridici e finanziari per farvi fronte;

g) nel quadro programmatorio generale degli investimenti infrastrutturali, in cui diviene indifferibile completare la riforma urbanistica, sia altresì previsto uno specifico impegno dell'Esecutivo per l'adozione di una legge di principi in materia di governo del territorio;

h) siano adottati specifici impegni per la realizzazione degli interventi di rilancio delle politiche abitative e di riqualificazione delle aree urbane, garantendo, in particolare, l'adeguato rifinanziamento delle misure esistenti (con particolare riferimento ai fondi relativi ai cosiddetti «contratti di quartiere») e la messa a sistema di politiche di sostegno a favore delle fasce sociali più deboli e di politiche di rilancio dell'offerta, anche attraverso misure dirette ad agevolare interventi di recupero e di nuova edilizia residenziale pubblica finalizzati ad una locazione agevolata e selettiva; nella medesima direzione siano stabilizzati e resi permanenti gli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie.

 


COMMISSIONE VIII

Ambiente, territorio e lavori pubblici

Resoconto stenografico

 

AUDIZIONE

SEDUTA DI MERCOLEDI’ 25 OTTOBRE 2006

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI

 

 


Audizione del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, sugli orientamenti del Governo italiano in vista della «Conferenza mondiale sul clima» di Nairobi.

 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, sugli orientamenti della Governo italiano in vista della «Conferenza mondiale sul clima» di Nairobi.

Innanzitutto, ringrazio il ministro Pecoraro Scanio che, nonostante la fase convulsa dei lavori parlamentari legati alla presentazione del disegno di legge finanziaria per il 2007, ha accolto l'invito - giunto da vari componenti della Commissione - ad esporci la posizione con cui il Governo italiano parteciperà alla Conferenza di Nairobi, che verte su un tema che ci sta molto a cuore.

Prima di dare la parola al ministro, invito i colleghi a prendere visione della risoluzione che è in distribuzione presso la Commissione e che saremo chiamati a discutere al termine dell'odierna audizione. Tale risoluzione - sottoscritta da gran parte dei deputati presenti - ricalca, in forma pressoché identica, un analogo atto di indirizzo sulla Conferenza di Nairobi, già presentato al Senato lo scorso 17 ottobre e sostenuto da tutti gli schieramenti politici presenti in quella sede. Sollecito, dunque, i colleghi che desiderassero sottoscrivere il documento, a darne tempestiva comunicazione, con l'auspicio che esso venga fatto proprio dall'intera Commissione, per contribuire, così, insieme al Senato, ad indirizzare l'attività del Governo su tematiche di importanza strategica per il futuro del pianeta.

Approfitto, inoltre, della presenza del ministro per segnalare che, tra gli emendamenti presentati dalla Commissione al disegno di legge finanziaria, ve n'è uno da noi formulato e volto a recuperare una misura già ottenuta, dall'allora opposizione, nella passata legislatura. Si tratta di una misura volta ad inserire in maniera organica nel DPEF una valutazione dello stato di avanzamento delle politiche di Kyoto e delle misure concrete che il Governo avesse inteso adottare in quella direzione. Tale valutazione si è poi stemperata (incidendo in misura più debole in questo DPEF), a seguito dell'abrogazione - avvenuta a Camere sciolte, ad opera del vecchio Governo - di quella disposizione. Invito, pertanto, il Ministero dell'ambiente a prestare attenzione in tal senso, perché quello strumento consentirebbe di infondere maggiore forza alle politiche di Kyoto, che altrimenti correrebbero il rischio di essere trattate con grande attenzione in sede internazionale ma con scarsa cogenza in Italia, quando si tratta di affrontare i problemi pratici che la politica sottopone al nostro paese.

Do ora la parola al ministro.

ALFONSO PECORARO SCANIO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Vi ringrazio, innanzitutto perché è molto importante un'attenzione del Parlamento a tutto ciò che riguarda non solo il Protocollo di Kyoto, ma, in generale, il problema dei cambiamenti climatici.

Colgo l'occasione per segnalare che, lunedì scorso, in sede di Consiglio dei ministri dell'ambiente dell'Unione europea, è stata definita la posizione comune con cui l'Unione europea si presenterà a Nairobi. Ad animare il documento è stato il desiderio di veder finalmente riconosciuto all'Unione europea un ruolo di guida nell'impegno globale per arginare le conseguenze (particolarmente rilevanti, secondo la comunità scientifica) - del mutamento climatico in atto.

Per ottenere questo risultato, occorre partire da un impegno fondamentale, che il Governo italiano intende sostenere e che è previsto anche nel suo programma - in accordo con le esigenze della comunità mondiale, avvalorate dal mondo scientifico - , ossia quello di lavorare affinché l'aumento della temperatura del pianeta non superi i 2 gradi rispetto alla media delle ere del periodo preindustriale. La preoccupazione molto forte e unanimemente consapevole della comunità scientifica a livello mondiale, infatti, è che un aumento della temperatura planetaria superiore ai 2 gradi centigradi possa provocare, sulla terra e sul clima, effetti tali da non consentire la sopravvivenza dell'attuale sistema di vita degli esseri umani, con la conseguenza che il pianeta rischierebbe di sopravvivere con qualche specie in meno.

Abbiamo quindi l'esigenza di «socializzare», innanzitutto, questo dato ormai acclarato.

Da ciò si ricava il motivo per cui, a livello internazionale (come è avvenuto, da ultimo, alla Conferenza del G8 di San Pietroburgo), in una dichiarazione comune della Merkel, di Chirac, di Prodi e di Blair, è stato sottoscritto l'impegno ad arrivare, entro il 2050, ad un taglio significativo di oltre il 50 per cento delle emissioni di CO2. Un aumento medio della temperatura di due gradi centigradi, infatti - è bene ricordarlo -, può comportare, alle latitudini maggiori, difficoltà particolarmente significative.

Per evitare un aumento della temperatura superiore a due gradi centigradi, si stima che le concentrazioni dei maggiori gas serra in atmosfera debbano stabilizzarsi attorno alle 400-450 parti per milione (ppm). Ciò - rispetto ai valori del 1990 - corrisponde ad un taglio di emissioni pari - a circa il 60-75 per cento, da raggiungere entro il 2050; si prevede, altresì, un traguardo temporale intermedio (il 2020) entro cui le emissioni di CO2 dovranno essere abbattute del 30 per cento. Questi sono i dati di cui anche l'Unione europea tiene conto. A fronte di tali prospettive, appare evidente che il semplice raggiungimento degli obiettivi fissati nel primo periodo di applicazione del Protocollo di Kyoto rappresenta un primo passaggio verso politiche energetiche importanti; tuttavia, tale risultato deve essere perseguito con interventi molto più energici di quelli attuali.

In tale quadro, abbiamo l'esigenza di operare, anche in Italia, sulla base di un piano nazionale, per ridurre le emissioni in misura consistente tra il 2008 e il 2012, in accordo con le scadenze stabilite dal Protocollo di Kyoto. I tagli - che dovranno riguardare vari settori di intervento, conformemente a quanto previsto dalla direttiva n. 87 del 2003 -, includono, ovviamente, la conseguente riduzione delle quote di emissione assegnate al settore industriale negli anni precedenti (riduzione pari a 24 milioni di tonnellate annue). Con grande fatica, abbiamo raggiunto un'intesa con il Ministero dello sviluppo economico per definire il quadro totale delle emissioni di CO2 del settore industriale, con il risultato di portarne l'ammontare a 200 milioni di tonnellate annue (contro le 224 precedenti). A ciò, si aggiungono i 6 milioni di tonnellate che andranno all'asta e che potranno essere acquistate dalle aziende in Italia: questo consentirà di reinvestire quanto ricavato in misure di efficienza energetica, volte all'abbattimento dei livelli di CO2.

Per il momento, si tratta di una proposta considerato che il riparto dettagliato delle assegnazioni tra i vari comparti del settore industriale è ancora oggetto di definizione. Il fatto, però, che l'Italia abbia lanciato questo segnale e l'azione svolta, lunedì, nel Consiglio dei ministri dell'ambiente, hanno consentito di ottenere un primo importante successo per il nostro paese. Come richiesto da molti operatori, soprattutto del mondo dell'industria, il commissario Dimas ha dichiarato, a verbale - su mia richiesta, al Consiglio dei ministri -, che per l'Unione europea, e dunque per i piani nazionali di allocazione delle quote (i quali sono ancora in fase di presentazione e saranno esaminati nel mese di novembre dalla Commissione), i valori di riferimento per le emissioni effettive saranno quelli registrati nel il 2005 e non le stime che, come sapete, avevano portato ad una sovrallocazione delle emissioni tedesche e francesi. Il nostro settore industriale, peraltro, contestava duramente il fatto che Francia e Germania avessero dichiarato, in base a tali stime, di emettere più CO2 di quella effettivamente prodotta, e che quindi potessero persino vendere le emissioni in sovrallocazione, mentre l'Italia era realmente gravata dal problema di rilasciare una quota di emissioni nettamente superiore a quella assegnata.

Se, però, la richiesta di aumentare le emissioni italiane, avanzata in un primo tempo anche da alcuni uffici del Governo, era obiettivamente insostenibile (volendo andare a Nairobi a chiedere alla Cina, all'India e agli Stati Uniti di tagliare la CO2), diversa valutazione deve darsi alla scelta infine compiuta dal nostro paese, come dimostrano i risultati recentemente conseguiti. Non appena l'Italia ha dato atto di un impegno ad adeguarsi alle scelte migliori a livello internazionale, si è riscosso il primo successo, ossia l'impegno ufficiale della Commissione europea a non consentire questa sovrallocazione, e quindi a reintrodurre un elemento di competitività. Giustamente, rispettiamo la necessità di ridurre le emissioni CO2, ma non possiamo consentire le sovrallocazione, ed è giusto che l'Unione europea lavori in questa direzione. Ciò è importante perché abbiamo bisogno, come primo presupposto significativo, di lavorare in tale comparto.

Secondo obiettivo importante per l'Italia è intervenire nel settore del trasporto. I grandi comparti che contribuiscono all'emissione di CO2, oltre al settore industriale - che svolge un ruolo importante soprattutto nel campo termoelettrico -, sono infatti quello dei trasporti e quello dell'abitazione.

Ritengo, peraltro, che - anche ai fini del lavoro in corso in sede di esame del disegno di legge finanziaria - possa essere utile l'impegno dei parlamentari della Commissione ambiente, affinché, anche nei comparti dei trasporti e dell'abitazione (housing, in inglese), vi siano i presupposti per effettuare un considerevole taglio delle emissioni (avendo questi settori subito ulteriori aumenti negli ultimi anni).

Ci chiediamo, dunque, quale sia la nostra esigenza. Certamente, avvertiamo l'esigenza nazionale che l'Italia avvii e realizzi una politica virtuosa di taglio effettivo delle emissioni di CO2, in grado di operare sui tre grandi comparti di riferimento. Senza dubbio, dovremo realizzare anche un intervento insieme al settore agricolo - ne ho parlato con il commissario all'agricoltura dell'Unione europea - per catturare la CO2 (obiettivo, almeno in parte, agevolato, visto che madre natura è da sempre in grado di recuperare l'anidride carbonica attraverso i processi di fotosintesi clorofilliana), anche utilizzando sistemi innovativi integrando i fondi stanziati per il piano dello sviluppo rurale e cercando non solo di puntare su opere di forestazione e manutenzione corretta dei boschi, ma anche di prestare attenzione a tutta la produzione agricola, ed in generale al settore vegetale e alla sua naturale capacità di assorbimento di anidride carbonica (aspetto molto spesso sottovalutato).

Quindi, mentre, da un lato, ci poniamo, l'obiettivo dell'efficienza energetica (per utilizzare al meglio l'energia, facendo uso di energie rinnovabili, capaci di ridurre la produzione di CO2), dall'altro, abbiamo un'importante azione da svolgere in tutto il pianeta, e non solo nel nostro paese, nel segmento nazionale che può essere interessato.

Certamente, sono state ridotte, in termini percentuali, rispetto alle ipotesi iniziali, le quote di emissioni acquistabili all'estero; per l'esattezza, nel piano di allocazione, si prevede - per il settore termoelettrico - la possibilità di ricorrere all'estero per una quota massima di emissioni pari al 25 per cento, contro il 50 per cento richiesto, che era obiettivamente eccessivo. La proposta contenuta nel programma del Governo era addirittura più rigorosa di queste previsioni (si stabiliva che la quota da acquistare all'estero non fosse superiore al 20 per cento); tuttavia, pur di concludere la trattativa si è deciso di spostare la soglia al 25 per cento. Un altro aspetto importante riguarda il nostro modo di partecipare all'impegno internazionale. È altresì fondamentale che nella legge finanziaria sia previsto un fondo rotativo, presso la Cassa depositi e prestiti, di 200 milioni di euro all'anno per i prossimi tre anni, al fine di promuovere politiche di efficienza energetica e risparmio. Ci auguriamo, soprattutto, che tale fondo rotativo possa attivare una cifra maggiore - in termini di ritorno degli investimenti - rispetto ai 200 milioni di euro previsti in dotazione: se ciò avvenisse, le risorse liberate potrebbero essere fruttuosamente impiegate (ad esempio, per gli enti locali che intendessero investire sul trasporto elettrico).

So che il lavoro parlamentare ha prodotto degli esiti positivi, come l'istituzione di un fondo ad hoc per il trasporto pubblico: sarebbe molto importante che, su questo fronte e in tutte le iniziative realizzate nei vari settori, si concentrasse l'attenzione sull'obiettivo di Kyoto, che dev'essere un obiettivo di politica economica generale, non a latere.

Nel mare magnum della manovra finanziaria, in cui anche ai ministeri sfuggono una serie di emendamenti e di necessità, vigileremo perché la proposta avanzata dalla Commissione - già appoggiata, in passato, con ampia convergenza - venga accolta, allo scopo di introdurre nel DPEF e, mi auguro, in futuro, in tutti gli strumenti economici possibili, un riferimento stabile all'applicazione del Protocollo di Kyoto. Auspico che l'attenzione agli impegni del Protocollo possa divenire pari o addirittura superiore a quella per volta a verificare il rispetto del patto di stabilità, essendo più urgente l'azione da intraprendere: sono, infatti, il clima del pianeta e la sua preservazione ad essere messi in pericolo.

Da questo punto di vista, chiederei al presidente Realacci e ai commissari di valutare l'iniziativa - che tramite il ministero vorrei promuovere - di invitare i parlamentari membri delle Commissioni ambiente di Camera e Senato ad un incontro con gli esperti dell'Agenzia europea sull'ambiente: ritengo infatti necessario un aggiornamento - come fanno i ministri, che hanno maggiori contatti a livello europeo -, sulla reale situazione del cambiamento climatico.

Dico questo perché, ad ogni riunione del Consiglio dei ministri a cui partecipo a Bruxelles, tale situazione mi sembra più delicata. La collega della Danimarca, ad esempio, è impressionata dal livello di velocità dello scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia (ormai studiato con attenzione dalla Commissione del Senato degli Stati Uniti d'America, che vi si reca periodicamente). Personalmente, temo che la scarsa conoscenza dei dati scientifici e di quello che sta accadendo sia diffusa perfino tra i dirigenti politici. Sicuramente, la comunità scientifica fornisce molte notizie, ma se i politici non colgono l'urgenza della vicenda, temo abbiano poi difficoltà a tradurle.

Un ulteriore aspetto che, prima o poi, Parlamento e Governo dovranno valutare è quello relativo alle procedure di adattamento al cambiamento climatico in atto: troppo spesso parliamo di mitigation senza renderci conto del fatto che il mutamento del clima è già avvenuto. Ad esempio, il fatto che L'ICRAM (l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, che è organismo del ministero) abbia registrato, quest'estate, una temperatura di 29 gradi sulla superficie del mare dello stretto di Messina - quindi in una zona dove l'acqua si muove, non in un'area di mare fermo - evidenzia quanto sta avvenendo anche ai nostri livelli.

Andiamo a Nairobi, ovviamente, con il serio obiettivo di lavorare per convincere i paesi delle nuove economie emergenti, come la Cina e l'India, o paesi come gli Stati Uniti e l'Australia, che hanno avuto in passato grossi problemi sul Protocollo di Kyoto, ad aderire in modo sostanziale e sostanzioso come capacità di taglio delle emissioni di CO2 nella seconda fase: per noi questo è molto importante. Negli Stati Uniti, c'è bisogno di una grande attenzione verso quanto sta emergendo nei vari territori, perché, al di là delle decisioni dell'amministrazione federale, molti Stati, sia della costa atlantica sia della costa pacifica, stanno autonomamente elaborando piani per il taglio delle emissioni. Mi riferisco a Stati retti sia da governatori democratici sia da governatori repubblicani: quindi, non si tratta di un problema di schieramento politico, ma di una scelta che si sta diffondendo anche negli Stati Uniti. Ovviamente, si dovrà lavorare ancora molto su questo fronte.

Nei confronti della Cina e dell'India, esiste, poi, una necessità molto forte, e ormai anche una consapevolezza diffusa. La Cina ha varato misure rigorose di attenzione all'ambiente negli ultimi piani quinquennali, a causa dell'incalzante peggioramento del disastro ambientale, ormai riscontrabile ad occhio nudo.

Per lavorare in questa direzione, però, dobbiamo essere credibili. È per questo, ad esempio, che abbiamo cercato di costruire un carbon found specifico per i paesi africani, oggi quasi del tutto esclusi dalla realizzazione dei progetti CDM, in gran parte finanziati dalla Banca mondiale, soprattutto nel continente asiatico. I CDM sono i meccanismi flessibili, quelli con cui si comprano e si vendono le emissioni e si attuano iniziative. Quasi tutti i fondi mondiali del mercato delle emissioni hanno come destinatari unicamente sei paesi, e quelli africani rimangono sostanzialmente esclusi. Da parte sua, l'Unione europea, di fatto, negli ultimi anni, non ha promosso iniziative sul fronte che più sta a cuore ai paesi africani, quello della forestazione, o meglio della lotta contro la deforestazione. La deforestazione, attualmente, contribuisce ad incrementare dal 20 al 25 per cento le emissioni di CO2 all'anno.

È chiaro, quindi, che una forte azione è necessaria, e il Governo italiano intende sostenerla, avendo avviato, per quanto riguarda la tutela delle foreste, rapporti con l'Indonesia, con alcuni paesi africani e con il Governo brasiliano. Occorre incentivare un'azione volta a bloccare la deforestazione e ad attivare piani di rimboschimento e di forestazione laddove è possibile, perché questo è un modo molto forte di intervenire. In questo senso, bisogna rivedere anche il meccanismo dei CDM e valorizzare, soprattutto, un sistema di vero aiuto internazionale, che non si traduca semplicemente nell'acquisto delle emissioni, senza investimenti seri per quanto riguarda le energie rinnovabili. In moltissime parti del pianeta, presso alcune comunità isolate - lo stiamo facendo con alcune cooperazioni internazionali in materia ambientale -, l'energia solare, l'eolico, l'autoproduzione rappresentano una rilevante soluzione, perché tali collettività non hanno reti elettriche né possibilità di allacciarsi ad esse: sostenere misure del genere, quindi, è un modo particolarmente responsabile di intervenire, e non solo al fine di promuovere iniziative di cooperazione.

Un'ultima considerazione riguarda le tecnologie emergenti per la cattura e il sequestro del carbonio. Di questo si è trattato anche nella posizione comune dell'Unione europea. Giustamente, è necessario incentivare la ricerca sul sistema per catturare il carbonio, misura recentemente collegata alla promozione dell'uso del carbone. Su tale fronte, vi è però un problema da risolvere, inerente alla collocazione del carbonio sequestrato: in altri termini, tutte le tecnologie utili al sequestro del carbonio debbono essere valutate in rapporto all'esistenza di un luogo in cui depositare questo materiale. Ad oggi, non esiste assolutamente chiarezza sulla collocazione geologica del carbonio sequestrato.

Quanto all'Unione europea, essa ha deciso di dare mandato alla Commissione di effettuare un'analisi dei costi e dei benefici, tenendo presente, però, che la posizione nostra e della comunità internazionale non è quella di incentivare l'uso del carbone e, poi, di incentivare il sequestro del carbonio. Tuttavia, un intervento simile, nella misura in cui fosse utile a ridurre le emissioni di CO2 derivanti dall'attuale uso del carbone, potrebbe rappresentare una misura positiva, fermare stando l'esigenza di non allontanarsi dalla via maestra delle fonti rinnovabili e della riduzione della produzione di CO2. La grande preoccupazione che si nutre al riguardo è quella di dare un segnale sbagliato: il nostro timore è che - a forza di ricevere rassicurazioni sull'efficienza di un sistema in grado di portare il carbone a «x» gradi sotto zero, in seguito all'installazione di un determinato apparecchio sulle ciminiere -, si finisca per accantonare l'enorme problema di non aver ancora trovato una soluzione scientificamente valida a livello internazionale su dove stivare il carbonio sequestrato.

Sicuramente, è giusto che la ricerca progredisca - nessuno vuole bloccarla a livello europeo - ed è positivo fare esperimenti, stiamo attenti, però, a non diffondere un messaggio potenzialmente devastante, soprattutto in paesi dotati di grandi miniere di carbone, come la Cina. In tal senso, occorrerà valutare tutti i rischi correlati ad una visione eccessivamente semplificatoria, proprio per non doverci trovare, in futuro, ad affrontare un fenomeno troppo complesso da gestire: non vogliamo che le risorse per la ricerca e l'innovazione siano deviate dai progetti sulle fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, verso una soluzione forse parziale, ma non certo esaustiva per ridurre le emissioni di CO2.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua puntuale relazione; qualora fosse disponibile in forma scritta, apprezzeremmo se ce ne consegnasse una copia.

ALFONSO PECORARO SCANIO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Sono davvero spiacente, ma non ho con me una relazione scritta, presidente. Tuttavia, manifesto sin d'ora la mia disponibilità a trasmettere agli uffici la documentazione necessaria, in modo che la Commissione disponga di tutti gli elementi per una valutazione compiuta del tema in esame.

PRESIDENTE. La ringrazio, ministro. Vorrei inoltre farle presente che, nella necessaria ottica di utilizzare l'innovazione e la ricerca anche ai fini del contenimento delle emissioni di anidride carbonica, l'emendamento, approvato dalla nostra Commissione, volto a sostituire gli shopper di plastica con materie prime di origine vegetale rappresenta una importante misura: esso, infatti, contribuisce in maniera non irrilevante alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, perché quella materia prima viene ottenuta catturando CO2 nella fase di crescita.

Nel ringraziare ancora il ministro per la sua relazione, do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

PAOLO CACCIARI. Condivido molto l'impostazione del ministro ed anche la proposta di risoluzione che il presidente della Commissione ci ha sottoposto. Vorrei quindi entrare subito nel merito del tema in discussione, facendo alcuni velocissimi rilievi.

A mio avviso, dovremmo essere più espliciti. Ci presentiamo alla Conferenza delle parti con un bilancio pesantemente negativo del sistema Italia e con un vero fallimento delle ipotesi concertative industriali e governative che si sono svolte negli anni passati. Infatti, anziché diminuire, il nostro bilancio di CO2 e di gas climalteranti è aumentato, tanto che il percorso prospettato in questa sede dal ministro sarà addirittura più difficile di per quello di altri paesi che hanno cominciato prima e più seriamente di noi a porsi il problema delle alterazioni climatiche. Quindi, visto che spesso citiamo la perdita di competitività del sistema produttivo italiano, sottolineo come essa, dovuta all'inerzia e alla sottovalutazione di questo problema, rappresenta uno degli aspetti più gravi dell'economia italiana.

Dobbiamo, tuttavia, ribadire l'esigenza di uscire dai desiderata e dalla determinazione di obiettivi, per dotarci degli strumenti ordinari, come giustamente rilevava il ministro. Sinceramente, non capisco come possiamo intraprendere un percorso così arduo senza un adeguato piano energetico nazionale. Infatti, il piano energetico nazionale di cui disponiamo è addirittura preistorico, risalendo ai tempi in cui il petrolio costava 10 euro, mentre ormai siamo arrivati a 70 euro. Questo è sufficiente a dimostrare anche l'inettitudine dei nostri apparati tecnico-scientifici industriali (l'ENI, l'ENEL), che sono stati incapaci di prospettare ai decisori politici la situazione vera, reale, nascondendo la realtà energetica del nostro paese. Quindi, ritengo che senza un piano energetico nazionale sarà difficile raggiungere gli obiettivi che lei ci ha prospettato.

Infine, aggiungo un'ultima sottolineatura. Riferendosi agli Stati Uniti d'America, lei parlava delle encomiabili iniziative che stanno portando avanti. Al riguardo, vorrei soprattutto ricordare le encomiabili iniziative del sistema dei comuni e degli enti locali statunitensi e di tutto il mondo. C'è una rete delle città costiere che si muove da anni, tanto che all'ultimo COP9 di Milano una presenza interessante è stata proprio quella della rete internazionale dei comuni, degli enti locali e delle città costiere.

A proposito di adattamenti, sappiamo che l'eustatismo provocato dall'effetto del mutamento climatico colpirà, per prime, le coste dove è insediata metà della popolazione mondiale, con problemi eufemisticamente definiti di «adattamento» che, in realtà, si stanno già configurando come problemi sociali, prima ancora che ambientali: incredibili migrazioni bibliche dovute all'aumento del cuneo salino. Seppure in scala, anche in Italia abbiamo problemi drammatici. Quindi, dato che non servono solamente politiche industriali e politiche statali, ma anche diffuse iniziative di cultura energetica che riguardino gli stili di vita, i comportamenti quotidiani che devono entrare - dallo shopper al Suv - nella cultura di una civiltà che si fa carico responsabilmente della propria impronta ecologica, attivare il sistema degli enti locali è un'esigenza imprescindibile.

Sempre a proposito di adattamenti, lancio, infine, uno spot: ci sono varie politiche e forme diverse di adattamento. Un primo tipo di adattamento, ad esempio, è quello di chi si toglie la giacca quando fa caldo, o di chi costruisce dighe intorno all'Italia se aumenta il livello del mare. Questi sono adattamenti stupidi, costosi e senza senso. È invece auspicabile una politica di adattamento che vada ad incidere sull'origine dei problemi e che tenti di prevenire i disastri ambientali. Sto pensando - credo l'abbiate capito - al MOSE e a cosa avviene sul delta del Po, dal Tagliamento a Ravenna. Bisogna scegliere se indossare i paraocchi e far finta di non capire che il problema è planetario, magari utilizzando le risorse sufficienti a finanziare un piano di rientro nei parametri a livello nazionale solo per costruire dighe per difendere la perla dell'Adriatico, abbandonando alla forza della natura il resto del Polesine e dell'alto Adriatico, oppure investire in politiche energetiche che abbiano un senso.

Ecco in che modo i vari aspetti si intrecciano con il clima, e mi rivolgo al presidente della Commissione, prima ancora che al ministro, sollecitando un'interlocuzione con tutto il Governo. I mutamenti climatici sono la risultante di politiche industriali, di politiche dei trasporti, di politiche di costruzione, di regolamenti edilizi. O questo dato viene assunto a livello interdisciplinare in un piano energetico-ambientale, oppure rischiamo di andare a Nairobi - pur avendo evitato, grazie all'abilità e all'attenzione del ministro, l'ennesima dichiarazione di insolvenza da parte dell'Unione europea - nella stessa identica situazione.

Rammento, infine, ai colleghi e al ministro che nel disegno di legge finanziaria sono contenute previsioni gravi, che contraddicono quanto detto oggi dal ministro; infatti, non è che contraddire le dichiarazioni del ministro stabilire che il maggiore introito delle tasse derivanti dall'aumento del prezzo del petrolio non venga destinato alle politiche energetiche e di rientro, ma alle politiche volte ad aumentare la capacità di produzione di energia del nostro paese. Bisogna ammetterlo, perché non si realizzano queste politiche inseguendo la domanda energetica in termini inerziali.

Non possiamo inseguire la domanda acriticamente: dobbiamo intervenire su di essa e ridurla, anziché assecondarla con la creazione di un fondo. Con la mano destra, realizziamo il fondo per il Protocollo di Kyoto e, con la sinistra, il fondo per aumentare i rigassificatori e gli impianti di produzione energetica: si tratta di una contraddizione che lascia interdetti.

PRESIDENTE. È condivisibile quanto ha detto il collega Cacciari. Voglio peraltro ricordare che il senso dell'inserimento, nel DPEF, della valutazione sullo stato di avanzamento di Kyoto è quello di rendere questa politica meno parcellizzata, e più generale.

GUIDO DUSSIN. Presidente, su una serie di iniziative, possiamo garantire sin d'ora il nostro supporto alle indicazioni del ministro, nella prospettiva della Conferenza mondiale sul clima. Tra i comparti che egli citava - trasporti, abitazione e produzione energetica, termoelettrica in particolare -, con riferimento a quello dell'abitazione, saremo ben favorevoli a sposare in toto il binomio casa-clima, ma anche le riforme che passeranno attraverso il concetto di gestione del territorio a livello locale. Ritengo positivo diffondere una cultura «polverizzata», in modo tale che sia assorbita da tutti. Siamo convinti che la gestione non debba essere mantenuta a livello centrale. Certamente, compete al livello centrale fornire alcune indicazioni da trasferire, poi, sul territorio, come abbiamo riscontrato nella provincia di Bolzano, per citare un esempio a voi noto. Sicuramente, inoltre, anche il risparmio di energia passa attraverso una riqualificazione del tessuto urbanistico, nonché dell'intero assetto territoriale. Partirei, quindi, da alcuni concetti, avendo, peraltro, ben presente che, attraverso l'energia alternativa, non potremo ottenere risparmi energetici considerevoli. Non sarà, dunque, solo questa la soluzione; sicuramente, però, essa risponde ad una tendenza e ad una formazione culturale che faranno solo del bene al paese.

Per questi motivi, mentre siamo consapevoli delle misure con le quali potremmo arrecare un beneficio al territorio, non constatiamo motivi di catastrofismo nella nostra realtà. Sicuramente, la situazione è fortemente migliorabile, anche nel settore dei trasporti. Dobbiamo, però, fornire un'indicazione generale delle opere che vogliamo realizzare e di quello che vogliamo attuare nel nostro paese. A livello mondiale, concordiamo sul fatto che la riduzione delle emissioni passi attraverso questo comparto fondamentale, nonché attraverso l'assorbimento di CO2 da parte del settore agricolo, cosa che è sicuramente auspicabile. Dirò di più: ritengo che la riduzione delle emissioni passi anche attraverso una determinata gestione del ciclo dei rifiuti. Reputo necessario recuperare tutte le materie prime immesse nel ciclo dei rifiuti, le quali non sono altro che materie prime riciclabili, capaci di determinare un risparmio nella produzione di energia. Bisogna incentivare molto questo aspetto, che passa attraverso una cultura, anche locale, del vivere in modo educato nel territorio, anche se gli esempi italiani, di alcune regioni in particolare, non ci fanno ben sperare.

Prima dell'inizio di questa seduta, dicevo al presidente della Commissione che sarebbe positivo riconsiderare l'idea di una riforma del settore delle aziende municipalizzate, degli enti collaterali e dei vari consorzi che ruotano attorno al mondo delle nostre province o delle nostre regioni. Pensare ad una riforma di questo tipo sarebbe molto positivo, tanto per il settore dell'acqua, quanto per quelli dell'aria e dei rifiuti, settori che vanno riconsiderati con la consapevolezza che, al momento, le migliori gestioni proponibili nel panorama nazionale sono quelle in house.

Se, poi, a questo modello aggiungessimo anche la vivacità del privato, allora la gestione in house rimarrebbe in mano alle aziende municipalizzate di comuni, province o regioni, e sicuramente ne ricaveremmo un beneficio. Riconsiderare questo settore - è un invito che rivolgo alla Commissione, al ministro Pecoraro Scanio e ai titolari degli altri ministeri - nel quadro di una riforma realmente proponibile, e capace di dare chiarezza a tutte le regioni, è quanto sinceramente auspichiamo.

Su alcune battaglie, dunque, la Lega Nord sarà sicuramente dalla parte giusta: Il sistema del nord, dove la nostra presenza è ben viva, è infatti molto fragile: per questo motivo dobbiamo tutelarlo ancora di più del resto del paese. Nel ringraziarla per l'attenzione, signor ministro, le rivolgo i miei auguri per la Conferenza alla quale parteciperà.

PRESIDENTE. Ringrazio il collega Dussin, che è, giustamente, orgoglioso per il livello di raccolta differenziata dei rifiuti raggiunto dalla sua provincia.

PAOLO CACCIARI. Treviso esclusa, presidente.

PRESIDENTE. La raccolta differenziata è una di quelle politiche virtuose che determinano, fra l'altro, anche l'effetto di ridurre le emissioni di CO2.

GRAZIA FRANCESCATO. Signor ministro, noi Verdi accogliamo con grande gioia lo sprazzo verde speranza che si è acceso con la «quasi intesa» raggiunta sul piano dell'allocazione nazionale, ma riteniamo che non basti. Credo che vi sia un grosso lavoro da fare perché ereditiamo dal precedente Governo una situazione pesante (+13 per cento di emissioni di gas serra), e dobbiamo lavorare intorno a due fattori chiave: il fattore «t» e il fattore «c». Il fattore «t» è il fattore «tempo». Quando, nel 1986 - all'epoca, ero una giornalista ambientalista -, andai ad intervistare Lester Brown al Worldwatch Institute e gli chiesi quale sarebbe stato il primo problema, la prima crisi ecologica globale, mi rispose che sarebbe stato, vent'anni più tardi, il cambiamento climatico.

Il problema è che questo cambiamento è molto più veloce di quanto pensiamo e oggi noi Verdi ambientalisti, che venivamo considerati catastrofisti, siamo superati quanto a catastrofismo dagli scienziati, come diceva prima il ministro, e addirittura da giornali tutt'altro che attenti ai temi ambientali, come Newsweek, che questa settimana ha pubblicato, in copertina, l'immagine di una rana-arlecchino, ossia una ranocchia multicolore degna di Versace, prima vittima del mutamento climatico. Ce n'erano 110 specie in America Latina, ma sono state spazzate via per due terzi. Si tratta di un dato importante, di una sorta di indicatore. Questa rana, infatti, non può sopportare l'aumento di temperatura, per tutta una serie di motivi. La campana oggi suona per la ranocchia e per centinaia di altre specie, come l'orso polare e un'incredibile quantità di uccelli, ma suonerà presto anche per noi. Addirittura - e questo lo segnala anche il rapporto pubblicato ieri dal WWF internazionale -, stanno scomparendo interi ecosistemi, quindi non solo specie. Per esempio, le foreste del Rainford, nel Queensland, forse saranno il primo ecosistema vittima in blocco del cambiamento climatico: dobbiamo renderci conto dell'estrema urgenza di un intervento. In Finlandia, dove vado tutti gli anni, questa estate si sono susseguiti tre mesi di siccità, cosa mai successa prima nella storia di quel paese, perché il cambiamento climatico globale colpisce moltissimo, come sapete, proprio nelle fasce dell'estremo nord e dell'estremo sud del pianeta.

Alla luce di ciò, ci chiediamo come intervenire; ma qui entra in gioco il fattore «c», ossia fattore «complessità». A noi, naturalmente, non basta qualche luce verde che si accende nella legge finanziaria. Va benissimo l'articolo 160, va benissimo se riusciremo a far passare l'emendamento che sposta dalle spese militari ai trasporti pubblici la mobilità sostenibile (speriamo in 400 milioni di euro, ma ce ne daranno meno); questo, però, non basta. Dobbiamo realizzare un'integrazione tra politiche economiche, sociali ed ambientali, e ha perfettamente ragione il collega Cacciari quando afferma che gli obiettivi di Kyoto debbono incunearsi dentro un piano energetico nazionale che tenga conto di tutto questo e che punti moltissimo sugli altri settori, finora non presi in considerazione, come quello dei trasporti o quello edilizio, che conta moltissimo. Siamo d'accordo sul fatto che ci può dare una mano l'agricoltura, che è stata sempre considerata una cenerentola, ma tutto sommato è uno dei pochi comparti virtuosi, perché è riuscito ad effettuare il taglio delle emissioni.

Da tutti i paesi in via di sviluppo del mondo, inoltre, ci viene segnalato il problema della deforestazione, a cui non diamo abbastanza importanza e che pure incide dal 18 per cento in su, addirittura fino al 25 per cento, sull'emissione dei gas serra: di questo dobbiamo tenere conto.

A fronte di ciò, credo sia allora necessario puntare, con grande decisione, sul risparmio energetico e sulle fonti rinnovabili. Non è vero che queste ultime non possano colmare il divario; al riguardo, ci attestiamo - a livello mondiale - già al 14 per cento. In California, nel 2010, cioè fra pochi anni, le emissioni arriveranno al 20 per cento; come dice l'Economist, non i Verdi, quel che si fa in California oggi, molto probabilmente, si farà nel mondo domani.

La strada è aperta, dobbiamo accelerare moltissimo e lavorare sulle prossime manovre finanziarie affinché siano in grado di integrare veramente economia e ambiente. Non ci limitiamo a farle gli auguri per la «sua» Conferenza, perché è la «nostra» Conferenza, nel senso che è la Conferenza di tutti noi, non solo della Commissione ambiente ma di tutti i cittadini del pianeta.

ANGELO PICANO. Mi limiterò a formulare due sole osservazioni.

Il ministro diceva che il cambiamento del clima è ineluttabile e che dobbiamo prepararci ad un tenore di vita adattato alle evoluzioni in atto. Certamente, questo non dipende solo dalle emissioni di CO2, ma anche dalle alterne vicende geologiche della terra, tanto che si dice che la corrente del Golfo potrebbe portare alla glaciazione dell'Inghilterra.

Una osservazione più concreta e pratica riguarda quanto abbiamo letto, nelle settimane scorse, a proposito di una immensa nube tossica tra l'India e la Cina. Se ci si reca a visitare le capitali del Terzo mondo, si comprende immediatamente quale sia l'intensità dello smog. Ci chiediamo, dunque, se i paesi sviluppati, oltre che preoccuparsi di realizzare macchine ecologicamente più avanzate, non debbano anche preoccuparsi di vietare l'esportazione di macchine vecchie e di motori obsoleti, responsabile di spostare da un luogo all'altro del pianeta l'inquinamento (ad esempio, dall'Italia all'Egitto), che poi torna indietro. Bisogna, allora, vietare l'esportazione di macchine che inquinano, a meno di non fornirle di una marmitta catalitica o di un altro dispositivo in grado di contenere in maniera soddisfacente le emissioni di gas tossici. In caso contrario, si assisterebbe ad un mero spostamento da un territorio ad un altro delle emissioni dannose, senza evitare che ricadano immediatamente sulla nostra terra.

O i paesi industriali avanzati compiono un gigantesco sforzo, effettuando un massiccio investimento nella ricerca, per dotare le macchine obsolete di apparecchiature in grado di impedire le emissioni, oppure si deve vietare l'esportazione di tali macchine, se si intende promuovere una politica globale di contenimento delle emissioni evitando che i gas si spostino per poi ricadere anche nel nostro paese.

ADRIANO PAROLI. Confermiamo pienamente il nostro appoggio e l'intenzione di dare un contributo positivo all'attività del ministro, rispetto ai contenuti della posizione che ci ha illustrato in questa sede e che porterà a Nairobi, sebbene vorremmo più consistenza, più concretezza e meno ideologia. Mi perdoni, ministro, per queste parole, ma ritengo che, purtroppo, spesso si sia agito in tale direzione, che reputo negativa anche per lei.

Nel fare questa premessa, intendiamo anche rassicurare il ministro, che andrà a Nairobi: sarà infatti risparmiato dal ricevere il «premio fossile», quindi - si metta il cuore in pace - non dovrà porsi il problema di portare obiettivi «altissimi», che pure il nostro paese dovrebbe porsi, dotandosi, però, anche degli strumenti per raggiungerli.

Vi è, peraltro, una certa preoccupazione rispetto al limite da lei richiamato, quello del taglio di 200 milioni di tonnellate annue di CO2 Non si capisce come potrà essere raggiunto l'accordo con il Ministero dello sviluppo economico, aspetto che impedisce di considerare questo limite come un vero risultato. Se si tratta di un obiettivo, ben venga. Siamo consapevoli che il problema delle emissioni di CO2 e del cambiamento climatico è prioritario, per cui è necessario sacrificare alcuni obiettivi di sviluppo. Però, facciamo attenzione, perché - come il ministro Pecoraro Scanio ha giustamente rilevato - esistono diverse soluzioni che devono essere proposte.

Personalmente, credo di poter comprendere anche la strada americana: gli Stati Uniti, infatti, dall'anno scorso, hanno dimostrato un maggiore interesse per il Protocollo di Kyoto e un'accresciuta propensione a condividere alcuni passaggi ed alcune strategie. Sottolineo altresì come, di fronte a tanti proclami da parte dell'Europa, gli americani abbiano stanziato ben altre somme per la tecnologia, per la ricerca e per dotare le aziende di dispositivi in grado di abbattere le emissioni.

Vorrei, dunque, che si spendessero meno parole e maggiori energie. Al riguardo, concordo con quanto affermato dall'onorevole Cacciari circa la necessità di maggiori risorse, perché, trattandosi di un compito prioritario in un ambito fondamen tale - sebbene i Verdi siano eccessivamente catastrofisti -, è meglio essere preoccupati che non esserlo. A questo riguardo, alla Conferenza di Nairobi, si verificherà quanto avvenuto anche lo scorso anno, anche se in maniera un po' estemporanea, ovvero l'introduzione di una doppia assemblea, di una doppia assise, perché ci sarà la conferenza tra le parti e, in contemporanea, i lavori di coloro che hanno recepito il Protocollo di Kyoto e devono ottemperarvi. Ritengo sia molto importante - chiedo al ministro Pecoraro Scanio di impegnarsi in tal senso - che il nostro paese sia impegnato in prima fila per mantenere un contatto sempre più stretto tra questi due momenti. In particolare, chiedo al ministro Pecoraro Scanio che l'Italia sia più incisiva e diretta anche nei confronti dei paesi emergenti. Mi riferisco all'atteggiamento adottato nei riguardi di Cina, India e di altri paesi emergenti, nonché a quello assunto nei confronti di paesi che si stanno sviluppando e che stanno, quindi, spendendo molto in termini di emissioni.

Oggi, proprio per le ragioni citate dall'onorevole Francescato, si deve essere più incisivi, non ci si può limitare a chiedere un impegno, ma bisogna adoperarsi perché quell'impegno diventi realmente concreto. Non possiamo permetterci di risparmiare su piccole cose, di fare sacrifici, quando poi vi sono paesi che ancora non adottano neanche le più semplici precauzioni. Non condivido la teoria secondo la quale noi abbiamo già inquinato per cui, adesso, toccherebbe a loro farlo, perché l'errore dei paesi occidentali non deve ripetersi laddove lo sviluppo è ancora in atto. Ritengo che su questo la politica italiana possa dare un importante contributo, esigendo con rigore che questi paesi adottino effettive soluzioni.

Per concludere, sulla questione degli esperti, accolgo positivamente l'ipotesi di lavorare, come Commissione, insieme al ministero, ma vorrei che emergesse davvero - e torno all'inizio del mio intervento - una valutazione obiettiva e che gli esperti non fossero solo persone che la pensano in un certo modo, ma venissero considerati anche i pareri di esperti le cui posizioni siano diverse. Spesso, le commissioni hanno una certa impronta, per cui non vorrei che venissero istituiti momenti di ascolto di esperti con il mero intento di avallare posizioni già prese. Se le valutazioni saranno davvero obiettive, saremo in prima fila, al fianco del ministro Pecoraro Scanio e di tutta la Commissione, affinché queste valutazioni possano diventare operative per i decisori politici.

VITTORIO ADOLFO. Presidente, intervengo per esprimere la nostra adesione al documento presentato ed anticipato nella giornata di ieri, che riporta naturalmente una posizione già assunta al Senato.

È opportuno rispettare gli impegni del Protocollo di Kyoto, quindi, anche l'Italia deve fare la sua parte e deve, nel contesto europeo, mantenere gli impegni assunti. Naturalmente, per fare questo, occorre affrontare diversi problemi, concernenti la casa, il trasporto, i rifiuti, l'agricoltura, dunque, un insieme di settori che vanno riconsiderati nella stesura di un nuovo piano energetico nazionale. Bisogna nuovamente stabilire quali siano gli obiettivi decennali da perseguire e, naturalmente, finanziarne il raggiungimento, perché senza risorse finanziarie non si possono ottenere risultati.

Questa è una dichiarazione di voto, presidente. Personalmente, non intendo entrare nello specifico dei vari argomenti, perché ritengo che l'oggetto dell'incontro odierno sia aderire ad un protocollo di intesa, peraltro condiviso da tutti, nell'auspicio di un percorso per il raggiungimento di obiettivi che dobbiamo conseguire attraverso la formalizzazione e la redazione di un nuovo piano energetico nazionale.

RENATO GALEAZZI. Ringrazio il ministro Pecoraro Scanio e il presidente Realacci per questa occasione, che ci induce ad affrontare una riflessione planetaria. Il tema, ovviamente, è di grande spessore. Non possiamo formulare soluzioni, oggi, in questa Commissione, ma ritengo importante sottolineare l'importanza della risoluzione comune, trasversalmente accolta alla Camera e al Senato, condivisa da entrambi gli schieramenti: Ciò significa che il problema ambientale non riguarda né schieramenti, né tanto meno ideologie.

Siamo di fronte ad un problema molto serio, che non intendo drammatizzare, ma che i dati in nostro possesso dimostrano essere di non facile soluzione, non solo alla luce della riflessione ecumenica secondo cui misuriamo la qualità della nostra vita dalla nostra ricchezza. Infatti, oggi tutto viene ricondotto ad un problema di PIL: più alto è il PIL, più il paese vive meglio, più ha risorse e, in maniera proporzionale, migliora la qualità della vita.

Questo non è vero, non si tratta solo di un problema di PIL, perché si può vivere meglio anche con un PIL più basso. Occorre, piuttosto, riconsiderare la nostra maniera di vivere. Se il modello, in questo dopoguerra, è stata l'american way of life, dovremmo valutare un' «ecological way of life». Ciò comporta la necessità di dibattere su temi che interessano il cittadino fin dalla mattina, quando si fa la doccia, quando prende l'autobus o il treno, quando produce rifiuti. Ho due figli che si dichiarano Verdi, non per età, ma per preoccupazione: del resto, se nel mare Adriatico ci sono dei pesci tropicali, è innegabile che qualcosa è successo.

Allora - dico questo adottando lo stesso punto di vista che occorre assumere per tutti i grandi problemi inerenti al modo di vivere dei continenti -, è difficile dire al cittadino cinese che non avrà mai la Punto, ma, se diamo una Punto a tutti i cinesi, dobbiamo realizzare macchine diverse, magari alimentate da una pasticca di materiale nucleare, se possibile, o di qualche altro combustibile meno dannoso.

Dobbiamo trovare un'energia non inquinante, questa è una sfida rivolta alle tecnologie.

Non voglio dilungarmi, perché il tema sarebbe molto complesso e - qualcuno ha citato Asimov - fra due mila anni non ci ricorderemo nemmeno più da che pianeta siamo partiti.

PRESIDENTE. Era la Fondazione.

RENATO GALEAZZI. La Fondazione 2.

Mentre il mondo prende, dunque, coscienza di questo problema - permettetemi di ricordare che in questo, come in altri paesi, ci sono stati molti scettici -, è stato determinante non avere aderito al Protocollo di Kyoto e non aver svolto una politica convincente in questa direzione da parte di tutti i paesi, a prescindere dalle collocazioni internazionali.

È vero che, come diceva il saggio cinese, se ognuno pulisse davanti alla sua casa, tutta la città sarebbe pulita. In merito, l'Italia dovrebbe riuscire a realizzare qualcosa insieme a tutta l'Europa, perché mi sembra importante che ci sia una politica europea in questo senso, una politica mirata a questo vantato sviluppo ecosostenibile. Ciò significa maggiori incentivi (qualche misura è stata prevista nella manovra finanziaria), ma anche più ricerca, perché si ritiene che saranno le nuove tecnologie a risolvere il problema dei batteri che divorano l'anidride carbonica o della compressione dell'anidride carbonica. Auspichiamo, dunque, più ricerca, più tecnologie, ma, direi, anche più repressione, perché le due misure procedono insieme.

È altresì necessario riconsiderare le nostre case, affinché siano veramente ecocompatibili, e rivedere i nostri trasporti,: il fatto di vivere in un paese in cui il 95 per cento del trasporto è su gomma la dice lunga sulle misure da adottare, soprattutto quando si consideri che l'alta velocità, per esempio, stenta ancora ad essere approvata.

Alcuni gruppi di cittadini manifestano persino contro gli impianti eolici, quindi, al di là di alcune posizioni integraliste, ritengo che su questi temi dovremmo avere una politica unitaria, per raggiungere dei risultati concreti e fare di più nei prossimi dieci o vent'anni. Ben venga, perciò, questa risoluzione, ben venga l'incontro di Nairobi, sotto l'assunto, però, che essi siano intesi solo come punto di partenza per un altro appuntamento ancora più specifico.

CAMILLO PIAZZA. Sarò brevissimo, presidente, perché il mio intervento si limiterà alla formulazione di una sola domanda in ordine alla questione energetica.

È emerso che la somma annualmente pagata dai cittadini italiani all'ENEL - ossia l'ammontare della bolletta energetica - corrisponde a circa 2 miliardi di euro all'anno. Al riguardo, vorrei sapere se il ministero sia a conoscenza di come questi soldi vengano spesi dai nostri enti gestori di elettricità, oppure se la Commissione abbia intenzione di convocare l'ENEL ed altri enti gestori, per capire, vista l'addizionale sull'energia a seguito dell'accordo di Kyoto, come questi due miliardi di euro vengano spesi per ridurre le emissioni di CO2 in Italia.

Forse, non è lei, ministro Pecoraro Scanio, a dover rispondere, ma il ministro Bersani, però sarebbe positivo che la Commissione convocasse gli enti gestori dell'elettricità per valutare queste spese.

PRESIDENTE. Incisiva ed efficace domanda, che mi sembra anche un ottimo suggerimento.

ADRIANO PAROLI. A me sembra un suggerimento, più che una domanda, presidente...

PRESIDENTE. Un suggerimento da accogliere immediatamente, al termine dell'audizione, in sede di ufficio di presidenza: avevamo già deciso di convocare in questa sede il ministro Bersani, dopo la Conferenza di Nairobi, anche per capire le ricadute di quell'appuntamento, ma l'idea di convocare i grandi enti energetici per capire l'utilizzo dei fondi mi sembra molto interessante.

Prima di dare la parola al ministro per la replica, vorrei svolgere alcune considerazioni.

Abbiamo parlato di grandi temi che, come sapete, incrociano politiche trasversali e grandi questioni planetarie. Il collega Picano si è allontanato, ma è vero che, quando si risvegliano grandi paesi come l'India e la Cina, o si creano nubi di inquinamento che addirittura passano l'oceano e arrivano in altri continenti, si tratta di questioni che lanciano una grande sfida ala politica, la quale, nella misura in cui si riveli inidonea ad affrontare tali fenomeni, diventa un gioco poco interessante.

Ricordiamoci che non siamo di fronte soltanto a vincoli, ma anche a straordinarie opportunità dal punto di vista dell'innovazione, della ricerca e della competitività in campo economico. È già accaduto in altri settori che chi è arrivato prima ha segnato dei punti, e questo significa molto in rapporto ai grandi paesi emergenti, perché portare loro non solo prodotti, ma anche tecnologie, innovazioni e sistemi è un modo di aiutarli ma anche di rendere più competitiva la nostra economia.

Si tratta di una grande sfida europea: Kyoto è in piedi perché l'Europa ha scommesso su Kyoto, con livelli di coerenza differenziati - l'Italia non è certo la prima della classe -, ritenendolo un impegno utile al mondo. Quindi, vi è una forte valenza politica in questi accordi, come momenti intermedi rispetto ad obiettivi fondamentali da perseguire. Il Protocollo di Kyoto era nato come un chip di buona volontà da parte dei paesi più industrializzati, per spingere anche gli altri paesi ad assumersi le loro responsabilità. In questi termini, ritengo che la Conferenza di Nairobi sia un punto di svolta, nel senso che sottolineare ancora l'importanza dell'impegno di Kyoto serve anche ad aprire una trattativa vera con i grandi paesi emergenti. Quindi, l'Europa gioca un ruolo fondamentale in questa vicenda.

Suggerisco ai parlamentari, che sono anche esponenti politici, di considerare cosa accade negli altri paesi. Forse anche per comodità, forse anche per popolarità, questo tema è diventato centrale nella promozione di personaggi politici e nel conflitto dell'opinione pubblica negli altri Stati. Perfino negli Stati Uniti, come ricordava il ministro, il fatto che Schwarzenegger adotti misure in tal senso non dipende soltanto dalla sua convinzione personale, su cui non ho notizie dirette,così come non dipendono soltanto dalla sua convinzione personale gli sforzi compiuti da Al Gore sullo stesso versante, o il fatto che Hillary Clinton, per rilanciarsi, si rechi in Alaska insieme al senatore conservatore.

Se guardiamo all'Inghilterra, il dato è impressionante. Vorrei segnalarvi - qualora vi fosse sfuggito - che, all'ultimo congresso del partito laburista inglese, Blair ha dedicato ampio spazio a questo tema: due giovani emergenti hanno caratterizzato la propria posizione sul tema dell'ambiente e dell'Europa, c'è stato un siparietto ad un certo punto, un' interruzione del congresso...

MAURIZIO ACERBO. Mi perdoni la domanda, ma chi sarebbero i giovani emergenti?

 

PRESIDENTE. Mi sfuggono i nomi. Si tratta di due trentenni, che hanno interrotto il congresso promuovendo un confronto fra Livingstone e il sindaco di Los Angeles sulle politiche di sostenibilità urbana, cosa che non accade normalmente nei congressi italiani.

Clinton, nel suo intervento, ha dedicato un certo spazio a questo tema; il conservatore Cameron è riuscito a sottrarre la novità a Blair proprio sposando i temi ambientali, anche nella simbologia. Infatti, gira in bicicletta e, in una fase calda dello scontro politico in Inghilterra, ha girato in Norvegia con i cani da slitta per verificare lo stato dell'inquinamento; del resto, è noto che, in Inghilterra, i liberaldemocratici hanno sui temi ambientali posizioni spesso più spinte rispetto al partito laburista.

Si tratta, dunque, di un tema molto presente nell'agenda politica dei paesi dell'Occidente, che si sta imponendo anche nei paesi emergenti (nella stessa in Cina, ormai, esistono problemi «fisici» al riguardo); non si tratta solo di un problema di opinione, ma cominciano ad emergere questioni significative. Vi sono, pertanto, tutti gli elementi perché esso divenga effettivamente l'asse di una politica non difensiva e subita, bensì ambiziosa.

Da questo punto di vista, sicuramente, l'audizione del ministro Bersani e il ruolo della Commissione potranno svolgere una importante funzione. Questa maggioranza, del resto, si era impegnata ad indire una Conferenza nazionale sull'energia. Ritengo, pertanto, che nei primi mesi dell'anno prossimo vi debba essere un passaggio di questo tipo, per evitare che tali politiche stentino a mettersi in rete.

Do ora la parola al ministro per la replica.

ALFONSO PECORARO SCANIO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Vi ringrazio e vi comunico sin d'ora di aver formalmente chiesto al Presidente del Consiglio Prodi e al ministro Bersani di indire la Conferenza nazionale sull'energia. Come ministro dell'ambiente, ho messo nero su bianco tale richiesta, e spero che, in tempi brevi, questo momento di incontro e riflessione possa essere definito. In caso di ritardo, il Ministero dell'ambiente adotterà comunque una propria iniziativa sui temi della strategia energetica; pur non potendo porre mano da solo al piano energetico nazionale, promuoverà un momento di riflessione sui temi del risparmio energetico e delle energie rinnovabili. È ancora oggetto di dibattito se l'impianto di riferimento debba definirsi «piano energetico» - termine che forse accentuerebbe troppo la pianificazione - oppure «strategia»; la cosa fondamentale, però, è realizzare un progetto energetico nazionale chiaro, ovviamente insieme alle regioni, attori che non possono essere tenuti fuori, perché essenziali nel conseguire, su tale fronte, un obiettivo comune.

Mi sono permesso di scrivere, oltre che a Prodi e a Bersani, anche ad Errani, nella sua qualità di presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, perché abbiamo bisogno di questa strategia. La stessa iniziativa avviata per i rigassificatori, che ho chiesto ed ottenuto divenisse un momento di coordinamento governativo - poi chiamato «cabina di regia» -, per capire quali sono le richieste in campo, in realtà si è tenuta una sola volta, a fronte della necessità di un intervento urgente sui rigassificatori. Questo è sbagliato: la necessità di stabilire momenti di coordinamento ed incontro permanenti è infatti dovuta non già ad un'emergenza, ma al rischio che si sovrappongano elementi di disordine in tema di energia, disordine non gradito neppure agli operatori del settore energetico. Persino gli imprenditori, che alcuni immaginano accalorati nel voler realizzare chissà quante cose, subiscono negativamente il disordine derivante dalle decine di domande di costruzione di centrali elettriche negli scorsi anni: molti presentano domande senza neppure avere la capacità di costruire una centrale.

Si è, quindi, creata addirittura una «economia del protocollo»: qualcuno presenta la domanda per l'installazione di una centrale e poi vende il numero di protocollo della domanda stessa. Questo è, ovviamente, malcostume energetico, non è serietà, e non serve né alle imprese, né alle realtà territoriali, perché al paese è necessario avere un quadro generale serio della strategia energetica nazionale.

Non bisogna confondere la cosiddetta liberalizzazione dei mercati con il caos e l'anarchia totale. A maggior ragione, in occasione della discussione sulle modalità di conseguimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, è prioritario avere un elemento di razionalità in questo settore. Per quanto mi riguarda, poiché vi è un impegno scritto nel programma, ho sollecitato in questa direzione il Presidente del Consiglio e tutti i più diretti interlocutori, e ritengo importante un'azione parlamentare, perché è evidente che le strategie energetiche vanno discusse non solo in sede governativa, ma anche in sede parlamentare, dove si può parlare in modo trasparente, per evitare di dar luogo ad una mera sommatoria di istanze diverse, regione per regione, comparto per comparto, creando una situazione non chiara.

Intendo precisare che ho grande attenzione anche per le città. Infatti, non ho citato le regioni perché voglio dimenticare le città e le province; quindi concordo con l'onorevole Cacciari. Ovviamente, tutto ciò che si può fare in Parlamento per spostare, nel quadro della manovra finanziaria, più risorse, in modo razionale e coerente, verso l'efficienza energetica e gli obiettivi di Kyoto non può che incontrare il favore del Ministero dell'ambiente. Se, dunque, verrà posta in essere una iniziativa parlamentare in tal senso, forniremo tutto il supporto tecnico richiestoci.

Voglio, inoltre, rassicurare l'onorevole Dussin che, per quanto riguarda la bioedilizia e la casa in generale, è necessario un intervento forte: la manovra finanziaria già prevede alcuni interventi sul versante dell'efficienza energetica. Va però chiarito che tale intervento deve riguardare anche le piccole case, e non solo le grandi cubature.

Questo sistema deve essere, ovviamente, incentivato: come Ministero dell'ambiente, abbiamo rivolto sollecitazioni al Ministero dell'economia e delle finanze, ma alcune norme risentono molto di una impostazione che non è ambientale, bensì finanziaria.

Poiché, inoltre, il quadro degli interventi da effettuare è giunto in Consiglio dei ministri non collegialmente, ma frammentato per ministeri, sarà il Parlamento la sede appropriata per contemperare le distinte esigenze : purtroppo, infatti, al di là dell'impegno, la realtà è che la manovra finanziaria scaturisce da una sommatoria di comparti ministeriali e, per la velocità e le modalità con cui viene formulata, il Parlamento deve rappresentare la sede capace di rendere più coerente quella cornice (sebbene, naturalmente, noi faremo la nostra parte all'interno del Governo). È chiaro che, se il Ministero dell'ambiente ottiene di prevedere, nella manovra finanziaria, il fondo rotativo per Kyoto ma, in un altro settore, si assegnano risorse senza prestare attenzione alla riduzione delle emissioni di CO2, allora, il quadro si complica, con il rischio di dar vita ad un impianto complessivo incapace di funzionare.

Concordo, inoltre, sull'esigenza di rivolgere un'attenzione particolare alla gestione delle aziende municipalizzate, e mi auguro vi sia l'occasione, anche in sede parlamentare, per favorire un servizio pubblico efficiente e di qualità trasparente. Non è detto, infatti, che sempre il privato sia meglio del pubblico, come non è detto che il pubblico sia meglio del privato; ma sicuramente c'è stato, negli ultimi tempi, nella gestione di alcuni servizi, un pregiudizio di efficacia ed efficienza del privato. Possiamo quindi lavorare perché ci sia una forte attenzione soprattutto a beni comuni di particolare rilevanza, come l'acqua, ma anche in molti settori dell'energia.

L'onorevole Francescato ha sollevato il tema della complessità, e ciò significa che dobbiamo usare più strumenti per affrontare il cambiamento climatico, non possiamo ridurci ad utilizzarne uno solo, ma dobbiamo fare in modo che tutti gli strumenti siano coerenti.

Posso rassicurare l'onorevole Picano che la Cina e l'India non comprano le nostro auto superinquinanti: il vero problema, a volte, lo abbiamo in alcuni paesi limitrofi, perché gli standard richiesti da paesi come la Cina e l'India oggi sono più elevati.

Ha ragione il presidente della Commissione a sottolineare che, se le nostre aziende producono efficienza energetica, hanno maggiore facilità di esportazione, perché ormai, col terrore dell'eccesso di inquinamento, i nuovi impianti industriali che la Cina ordina in Europa si avvalgono già di tecnologie progettate allo scopo di contenere al massimo la produzione di CO2; non si tratta certo dei vecchi impianti superinquinanti sparsi per l'Europa.

Ciò non toglie, però, che la nostra azione deve indurre la Cina, l'India e tutti i grandi paesi di nuova industrializzazione a ridurre le emissioni di anidride carbonica.

A Ginevra, ho incontrato il nuovo ambasciatore italiano presso il WTO (con cui spero di lavorare), al quale ho chiesto quale azione possiamo intraprendere nella sede dell'Organizzazione mondiale del commercio per ottenere un riconoscimento del dumping ambientale. Proprio perché dobbiamo essere rigorosi nel chiedere alle aziende italiane di rispettare gli standard del Protocollo di Kyoto, dobbiamo pretendere che, in tutte le sedi internazionali, venga resa impossibile una competizione che non tenga conto, in altri paesi, oltre che del dumping sociale (spesso citato per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e dei cittadini), anche del dumping ambientale. Se altri paesi, infatti, non tengono conto della necessità di contribuire alla riduzione del riscaldamento climatico, chiediamo, in sede di WTO, che siano aperti dei capitoli anche in tema di dumping ambientale.

In proposito, ho allertato il nostro nuovo ambasciatore a Ginevra, che, ripeto, sono andato ad incontrare personalmente.

Spero che, anche grazie alla pressione politica, si riesca ad introdurre questi concetti dentro i meccanismi del mercato globale: se tale obiettivo non fosse conseguito, ci troveremmo a discutere solo di una generica liberalizzazione degli scambi, il WTO sarebbe totalmente incapace di intervenire sulle materie ambientali e sociali, mentre le aziende continuerebbero a lamentarsi di dover abbassare i livelli di inquinamento e di dover competere. Il problema si può risolvere in due modi: riducendo gli standard delle aziende o cercando, invece, di lavorare anche sul WTO, per imporre alcuni parametri ambientali e sociali nell'organizzazione mondiale del commercio. Se vogliamo salvare il pianeta, la linea è quella di imporre questi standard, e non quella di abbassare complessivamente gli standard ambientali e sociali delle imprese che operano nell'Unione europea. Mi sembra che il nuovo ambasciatore abbia ben chiaro che il Governo sta lavorando in questa direzione. Posso rassicurare il collega Paroli che si può reggere perfettamente sui 200 milioni di tonnellate. In realtà, la proposta iniziale del Ministero dell'ambiente, era di 194 milioni di tonnellate, come chiedeva l'Unione europea; per rispondere alle grandi esigenze e difficoltà del nostro settore economico, si è arrivati, però, a 200 milioni più sei. È sicuramente un taglio rispetto alle emissioni, ma è chiaro che, se vogliamo affermare la necessità di eliminare le sovrallocazioni della Germania e della Francia e vogliamo andare a Nairobi, dobbiamo lavorare con i nostri comparti industriali perché si effettui davvero l'abbattimento delle emissioni di CO2.

Quando parlavo di esperti, non mi riferivo ad esperti di parte; il ministero vorrebbe promuovere un'iniziativa con l'Agenzia europea dell'ambiente, quindi con autorità scientifiche validate a livello internazionale, perché non intendiamo aprire un dibattito tra il 99 per cento degli scienziati, che ritiene che il cambiamento climatico rappresenti un problema reale, e l'uno per cento di «negazionisti», che hanno diritto di esprimere la loro opinione, ma renderebbero accademico il dibattito. Desidero fare riferimento soltanto alle autorità già riconosciute, che sono l'Autorità internazionale dell'energia delle Nazioni Unite e l'Agenzia europea dell'ambiente (che è un'autorità riconosciuta, altrimenti non la proporrei), e potremmo limitarci al dibattito politico. Se il Ministero dell'ambiente promuove questa iniziativa, con l'intento di estenderla alle Commissioni parlamentari, è ovvio che vengano invitate ad intervenire autorità scientifiche indipendenti, già riconosciute in sede internazionale.

Concludo dicendo che, per quanto riguarda le osservazioni formulate da alcuni colleghi, in particolare dall'onorevole Galeazzi, occorre incidere anche sugli stili di vita. Ciò significa, però, anche una forte iniziativa che produca un cambio di rotta sul versante dell'informazione ai cittadini - ho sollecitato questo anche in sede di Commissione europea -, perché non è sufficiente la pubblicità dietro gli autobus con l'immagine della terra. Bisogna riuscire ad attivare le scuole e tutti i settori, fornendo anche gli strumenti adeguati per ottenere un diverso atteggiamento.

Condivido la richiesta dell'onorevole Piazza volta a verificare come l'ENEL amministra i fondi e, soprattutto, come le nostre risorse in generale vengono utilizzate. Abbiamo già assistito al grave caso del CIP6, ossia al fatto che i fondi per le energie rinnovabili sono finiti altrove, e non intendiamo che ciò si ripeta. Stiamo evitando che a ciò si sostituiscano i certificati verdi utilizzati in modo anomalo, e ho allertato il ministro dello sviluppo economico in tale direzione, perché, al di là delle volontà dei ministri, esistono apparati ministeriali che hanno una loro tradizione inerziale e che tendono a prestare scarsa attenzione alle energie rinnovabili.

Credo che, da questo punto di vista, sia necessaria un'attenzione forte, e vi assicuro che il Ministero dell'ambiente la garantirà. Il Parlamento è molto importante, e ritengo che audizioni e confronti con altri settori del Governo sarebbero molto utili per far capire che il problema di Kyoto, il problema dell'efficienza energetica, non riguarda esclusivamente il Ministero dell'ambiente, bensì una linea politica ed economica complessiva. Lavoriamo, infatti, in campo economico e, come evidenziava il presidente Realacci, molte di queste sono opportunità di innovazione, non soltanto vincoli. Chi continua a ribadire che il Protocollo di Kyoto ha un costo eccessivo, evidentemente, non si chiede quale sia il prezzo per evitare il surriscaldamento e la distruzione del pianeta.

Allora, vorrei che si evitassero i catastrofismi, ma si tenesse conto che i dati emersi, a livello mondiale, parlano di innalzamento delle acque degli oceani e del mare. Il problema non è dunque quanto costi Kyoto, ma quanto pagheremmo in futuro non intervenendo ora su questi elementi. Costa, è evidente, ma costa molto di più non fare nulla nella direzione della riduzione del cambiamento climatico; costa anche in termini economici, oltre che in termini sociali, perché l'innalzamento del livello dell'acqua del mare o degli oceani ha un prezzo, anche economico, enorme, cento volte superiore a qualunque costo di Kyoto, forse anche mille volte superiore.

Il problema, come sempre, è scegliere se investire sulla prevenzione o spendere per gli inevitabili interventi successivi. Il dibattito europeo e il dibattito internazionale vertono prevalentemente su questi temi. Il Governo britannico pone come priorità nazionale la riduzione delle emissioni di CO2; se lo facesse anche il nostro paese, probabilmente, potremmo almeno metterci al passo con il principale dibattito a livello internazionale.

Posso anche anticipare che, come Governo, il parere sulla risoluzione presentata dalle varie forze politiche rappresentate in Commissione è favorevole. Una risoluzione approvata da questa Commissione parlamentare non potrà che rafforzare la posizione rappresentata dal Governo in sede internazionale, a nome non soltanto di una parte politica o di una coalizione, ma dell'Italia intera. Sono contento che, anche da parte delle forze dell'opposizione ci sia, su questo, una convergenza, perché la rilevanza del tema necessita di un largo consenso. Nell'applicazione, ci sarà poi qualche differenza di valutazione; dobbiamo, però, dimostrare un maggiore coraggio su questi temi, perché ne abbiamo bisogno.

 

PRESIDENTE. Ringrazio sentitamente il ministro Pecoraro Scanio, anche per aver anticipato il parere favorevole sulla risoluzione che verrà discussa dalla Commissione al termine dell'audizione. Credo sia utile, essendo un testo sostanzialmente condivisibile, adottare - alla Camera e al Senato - un atto di indirizzo di analogo contenuto, per affrontare l'appuntamento di Nairobi e, in generale, le scadenze successive.

Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle ore 15,40.

 

 



 

Atto Camera

 

 

Risoluzione in Commissione 7-00064

presentata da

ERMETE REALACCI

 

martedì 24 ottobre 2006 nella seduta n.058

 

La VIII Commissione,

premesso che:

dal 6 al 17 novembre 2006 si terrà a Nairobi la II Conferenza delle parti (157 Paesi) che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto (MOP2) sia per proseguire il confronto avviato alla Conferenza del 2005 a Montreal che per aggiornare il protocollo e individuare i nuovi impegni al termine del primo periodo di verifica 2008-2012;

contemporaneamente, nella stessa sede e negli stessi giorni, si terrà anche l'XI Conferenza delle parti che hanno ratificato la Convenzione sui cambiamenti climatici (189 Paesi), la COP 11, che comprende anche Paesi che non hanno ratificato il protocollo, ma che hanno accettato di proseguire il confronto per definire le modalità di raggiungimento dell'obiettivo a lungo termine della Convenzione, per promuovere la ricerca e lo sviluppo di tecnologie volte a limitare l'impatto sul clima delle emissioni di gas serra e per favorire l'accesso a tali tecnologie anche ai Paesi in via di sviluppo;

la Commissione europea, nella comunicazione COM-2005-35 al Consiglio ed al Parlamento europeo, ha affermato: «I cambiamenti climatici sono una realtà. (...) I dieci anni più caldi mai registrati sono tutti concentrati dal 1991 in poi. Le concentrazioni di gas serra sono le più elevate degli ultimi 450.000 anni. (...) L'Unione europea è riuscita ad abbattere le proprie emissioni del 3 per cento rispetto al 1990, ma manca ancora molto per raggiungere l'obiettivo di riduzione dell'8 per cento fissato dal Protocollo di Kyoto. (...) Anche se le politiche già adottate saranno attuate, è probabile che le emissioni su scala planetaria aumenteranno nei prossimi vent'anni, imponendo riduzioni delle emissioni mondiali pari almeno al 15 per cento rispetto ai valori del 1990 entro il 2050. Tra il 2030 e il 2065 il contributo cumulativo dei paesi sviluppati e quello dei paesi in via di sviluppo dovrebbe essere lo stesso. Si può pertanto dedurre che se l'Unione europea dimezzasse le proprie emissioni entro il 2050, non ci sarebbero conseguenze significative sulle concentrazioni atmosferiche se altri paesi responsabili di ingenti emissioni non procederanno ad analoghi tagli consistenti»;

mentre le emissioni globali dal 1990 al 2003 sono aumentate del 18 per cento, le trattative internazionali sul clima registrano notevoli difficoltà: gli Stati Uniti mantengono le loro riserve sul Protocollo di Kyoto al quale continuano a non aderire; i Paesi in via di sviluppo sono in genere restii a contenere le proprie emissioni di gas serra: le misure per ridurre le emissioni di gas serra sono onerose, ma molto meno onerose delle conseguenze dei cambiamenti climatici sia nei paesi industrializzati che in quelli di nuova industrializzazione;

in Italia, Paese che ha ratificato il Protocollo di Kyoto con la legge 1o giugno 2002, n. 120, secondo i dati ufficiali, trasmessi al Segretariato della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici il 14 aprile 2006, le emissioni dei gas serra nel 2004 sono salite a 583,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (Mt CO2 eq.), a fronte di un impegno di riduzione delle emissioni a 485,8, con una distanza dall'obiettivo del Protocollo di Kyoto pari a 97,7 Mt CO2 eq.: un aumento del 13 per cento a fronte di un impegno di riduzione, entro il 2008-2012, del 6,5 per cento;

gli aumenti più consistenti di emissioni di gas serra dal 1990 al 2004 in Italia hanno riguardato il settore dei trasporti (da 104 Mt CO2 a 132,6, con un aumento del 27,5 per cento) ed il settore della produzione di energia termoelettrica (da 108,9 Mt CO2 a 127,3, con un aumento del 17 per cento). Nel settore dei trasporti l'aumento delle emissioni di CO2 negli ultimi anni sembra frenare (dal 2000 al 2004 l'aumento è stato del 6,5 per cento), nel settore termoelettrico invece sembra accelerare (dal 2000 al 2004 l'aumento è stato dell'8,5 per cento). Nel settore civile e terziario dal 1990 al 2004 l'aumento è stato pari al 10,6 per cento. Sostanzialmente in linea con l'obiettivo di Kyoto risultano i settori dell'industria manifatturiera e delle costruzioni con un calo delle emissioni nel periodo citato del 3,8 per cento, e quello dell'agricoltura, con un calo delle emissioni del 6,8 per cento;

il mancato raggiungimento dell'obiettivo di riduzione di emissioni di gas serra per l'Italia comporterebbe un costo non solo ambientale, ma anche economico, rilevante. Il periodo di verifica degli obiettivi di Kyoto inizia nel 2008; oggi il prezzo della tonnellata di CO2 presenta incertezza e variabilità ancora notevoli, ma è ragionevolmente prevedibile che si stabilizzerà verso l'alto. Supponendo un costo medio dei meccanismi flessibili pari a 15 euro la tonnellata, se la distanza dall'obiettivo si confermasse intorno ai 100 milioni di tonnellate, l'Italia dovrebbe sborsare circa 1,5 miliardi di euro l'anno, fra acquisti di diritti di emissione e progetti di cooperazione per realizzare tali riduzioni all'estero. Se poi, come pare necessario e probabile, dopo il 2012 vi fossero ulteriori e ancora più impegnativi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e l'Italia vi giungesse impreparata, i costi potrebbero diventare veramente proibitivi;

i settori regolati dalla direttiva 2003/87/CE, che contribuiscono per circa il 38 per cento delle emissioni totali dei gas di serra nazionali, sulla base dello schema del Piano di Assegnazione 2008-2012 avviato in consultazione con i settori interessati nel luglio del 2006, rispetto all'assegnazione 2005-2007, sono chiamati ad una impegnativa riduzione di emissioni: tale impegno, oneroso, riflette, da una parte, i ritardi accumulati da una parte di essi, ma dall'altra anche i ritardi in altri settori, non regolati dalla citata direttiva, come i trasporti ed il settore civile;

le emissioni di gas serra derivano in larga parte dall'uso di combustibili fossili (nel 2005 l'Italia ne ha consumati 185,9 Mtep, cioè milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) importati per il 91 per cento. Il costo dell'energia primaria importata è stato nel 2005 pari a circa 36,5 miliardi di euro. Tenendo conto del mix attuale dei combustibili fossili consumati in Italia, l'obiettivo di Kyoto comporterebbe una riduzione dal 15 al 20 per cento del consumo di combustibili fossili (in relazione, a quali combustibili si riducono di più, dato il diverso contenuto di CO2 nelle emissioni). Ciò comporterebbe una riduzione della bolletta energetica del Paese circa della stessa percentuale: dai 5 ai 7 miliardi di euro all'anno;

tali riduzioni dei consumi di combustibili fossili andrebbero ricercate nel settore dei trasporti (che consuma il 60 per cento del petrolio che l'Italia importa), in quello dell'energia elettrica, degli usi civili e del terziario, con misure di efficienza energetica e di risparmio, con sviluppo del cabotaggio, del trasporto su ferro e collettivo, con un maggiore e consistente impegno per la produzione e l'uso di fonti rinnovabili e pulite per generare energia elettrica, calore e carburanti, con possibili ricadute positive tecnologiche, produttive e occupazionali,

impegna il Governo:

ad operare, insieme all'Unione europea e nel suo ambito, per affrontare il secondo periodo, dopo il 2008-2012, con politiche e misure, concordate in ambito internazionale, più efficaci ed incisive, necessarie per contrastare l'aumento delle concentrazioni di gas che concorrono ad un preoccupante cambiamento del clima, ridurre in modo adeguato tali emissioni, attuare misure di prevenzione e di adattamento;

ad operare al fine di ampliare la partecipazione alle iniziative in atto per affrontare cambiamenti climatici secondo il principio della responsabilità comune, differenziata negli oneri;

poiché 6 Paesi (Stati Uniti, Canada, Russia, Giappone, Cina e India), insieme all'Unione europea producono il 75 per cento delle emissioni mondiali di gas serra, a sostenere gli sforzi tesi ad attivare e a trovare un'intesa in questo «G7» per il clima;

a sostenere la ricerca e il cambiamento tecnologico, l'economia della conoscenza, poiché le misure necessarie per far fronte al cambiamento climatico influiranno sulle modalità di produzione e di utilizzo dell'energia nel mondo e stanno promuovendo innovazione, cambiamenti di beni, servizi e consumi, determinando anche nuove condizioni per la competitività economica sui mercati;

ad attuare il Protocollo di Kyoto come occasione per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e la fattura delle importazioni energetiche del Paese, per l'innovazione nel settore dei trasporti, della mobilità e della logistica, il risparmio delle famiglie nei consumi civili e domestici, l'innovazione del sistema di produzione di energia elettrica e di calore, l'efficienza energetica, l'innovazione tecnologica e l'occupazione;

ad attivarsi perché siano aggiornati la delibera CIPE 123/2002 ed il relativo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra in modo da far fronte alla accresciuta distanza (97,7 Mt CO2) dall'obiettivo di Kyoto;

ad adottare iniziative volte ad integrare tale Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra in un programma nazionale energetico-ambientale, concordato con le Regioni, definito con il Parlamento, che assicuri il coordinamento, l'aggiornamento ed il monitoraggio dei risultati, al fine di avere un quadro unitario coerente, di riferimento e di indirizzo;

a rafforzare la ricerca ed il supporto tecnico alla diffusione delle politiche e delle misure che concorrono alla riduzione delle emissioni di gas serra, all'aumento dell'efficienza e del risparmio energetico, alla diffusione della produzione e dell'uso di fonti rinnovabili;

a prestare grande attenzione al settore dei trasporti, della mobilità e della logistica, in cui le misure per la riduzione della congestione del traffico urbano e delle emissioni locali che suscitano preoccupazioni, come le polveri sottili e il potenziamento, l'adeguamento, l'ammodernamento del sistema ferroviario e di quello portuale, rilevanti per il Paese, hanno ricadute decisive anche per la riduzione delle emissioni di gas serra;

a fare dell'efficienza e del risparmio energetico una effettiva priorità, poiché consente una riduzione sempre più rilevante dei costi di produzione, con un recupero di competitività, e un significativo risparmio per le famiglie, oltre a ridurre le emissioni di gas serra;

a promuovere con maggiore efficacia lo sviluppo di tutte le fonti energetiche rinnovabili (idriche, geotermiche, eoliche, solari, biomasse) per la produzione di energia elettrica, di calore e di carburanti, attivandosi per superare i certificati verdi e l'incentivazione delle fonti non rinnovabili assimilate, con un sistema incentivante, differenziato per fonte, senza tetti, accessibile, certo e di lunga durata, ed adottando iniziative per assicurare il collegamento con le reti di distribuzione e per introdurre procedure di localizzazione e di autorizzazione più semplici, in grado di garantire le necessarie valutazioni ambientali, territoriali ed economiche, in tempi più rapidi, con trasparenza per i cittadini e per gli operatori;

a sostenere, in rapporto con le piccole e medie imprese largamente prevalenti nel sistema produttivo nazionale, con particolare riferimento ai loro distretti, la piccola cogenerazione distribuita, di energia elettrica e di calore, che consente maggiore efficienza e più alti rendimenti, migliora le condizioni di concorrenza, con benefici economici ed ambientali;

a sostenere lo sviluppo dei distretti agro-energetici in modo che l'agricoltura possa valorizzare sia le risorse rinnovabili disponibili sul territorio (solare, idrica, eolica) sia quelle direttamente producibili o ricavabili dalle proprie attività (biogas, biocarburanti, biomasse), da attività di forestazione e manutenzione dei boschi, in modo da produrre, insieme ai benefici ambientali, un'integrazione del reddito per gli agricoltori, contrastando l'abbandono delle campagne in corso;

a sostenere la ricerca e la sperimentazione della cattura e del sequestro sicuro della CO2, che potrebbe consentire un utilizzo pulito dei combustibili fossili e dell'idrogeno (un vettore potenzialmente in grado di consentire l'accumulo ed il trasporto dell'energia rinnovabile ed un suo successivo uso pulito con impieghi ad elevata efficienza energetica).

(7-00064) «Realacci, De Angelis, Francescato, Pedulli, Margiotta, Galeazzi, Iannuzzi, Mariani, Chianale, Benvenuto, Fasciani, Di Cagno Abbrescia, Mele, Picano, Acerbo, Adolfo, Lupi, Paroli, Germanà, Osvaldo Napoli, Tortoli, Mondello, Stradella, Cacciari, Foti, Dussin, Mereu, Gentili, Misiti».

 


COMMISSIONE VIII

Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

SEDUTA DI MERCOLEDI’ 25 OTTOBRE 2006

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI


 

RISOLUZIONI

Mercoledì 25 ottobre 2006. - Presidenza del presidente Ermete REALACCI. - Interviene il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio.

La seduta comincia alle 15.40.

7-00064 Realacci: Misure per l'attuazione del Protocollo di Kyoto in vista della Conferenza mondiale sul clima di Nairobi.

(Discussione e approvazione).

La Commissione inizia la discussione.

Ermete REALACCI, presidente, illustra la risoluzione in titolo, rilevando che essa riproduce, in misura pressoché integrale, un analogo atto di indirizzo già presentato al Senato lo scorso 17 ottobre e sostenuto da tutti gli schieramenti politici dell'altro ramo del Parlamento. Nel segnalare che la risoluzione in discussione è stata sottoscritta da deputati appartenenti a gruppi di maggioranza e di opposizione, osserva che tale atto testimonia il comune interesse del Parlamento in ordine a queste tematiche, che rivestono un'importanza strategica per il futuro del pianeta. Raccomanda, quindi, l'approvazione della risoluzione 7-00064.

Il Ministro Alfonso PECORARO SCANIO, anche sulla scorta di quanto rilevato nel corso dell'audizione testé svolta, esprime l'orientamento favorevole del Governo sui contenuti della risoluzione in titolo.

Ermete REALACCI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, intende constatare con estremo favore che, anche alla luce degli interventi svolti nel corso dell'audizione del Ministro, appena conclusasi, si registra un unanime orientamento positivo da parte dei gruppi sul testo della risoluzione.

La Commissione approva, quindi, la risoluzione in titolo.

La seduta termina alle 15.45.


 

Atto Camera

 

 

Risoluzione in Commissione 7-00103

presentata da

ERMETE REALACCI

 

lunedì 22 gennaio 2007 nella seduta n.095

 

Le Commissioni riunite VIII e X,

premesso che:

la Commissione europea, nella comunicazione COM-2005-35 al Consiglio ed al Parlamento europeo, ha affermato: «I cambiamenti climatici sono una realtà. (...) I dieci anni più caldi mai registrati sono tutti concentrati dal 1991 in poi. Le concentrazioni di gas serra sono le più elevate degli ultimi 450.000 anni. (...) L'Unione europea è riuscita ad abbattere le proprie emissioni del 3 per cento rispetto al 1990, ma manca ancora molto per raggiungere l'obiettivo di riduzione dell'8 per cento fissato dal Protocollo di Kyoto. (...). Anche se le politiche già adottate saranno attuate, è probabile che le emissioni su scala planetaria aumenteranno nei prossimi vent'anni, imponendo riduzioni delle emissioni mondiali pari almeno al 15 per cento rispetto ai valori del 1990 entro il 2050. Tra il 2030 e il 2065 il contributo cumulativo dei paesi sviluppati e quello dei paesi in via di sviluppo dovrebbe essere lo stesso. Si può pertanto dedurre che se l'Unione europea dimezzasse le proprie emissioni entro il 2050, non ci sarebbero conseguenze significative sulle concentrazioni atmosferiche se altri paesi responsabili di ingenti emissioni non procederanno ad analoghi tagli consistenti»;

negli ultimi mesi sono arrivate ulteriori conferme istituzionali sulla minaccia dei cambiamenti climatici:

nel mese di ottobre 2006 il Governo britannico ha presentato lo Stern Review on the Economics of Climate Change, rapporto curato dall'economista Nicholas Stern, ex dirigente della Banca mondiale, secondo cui i cambiamenti climatici potrebbero causare danni economici pari al 20 per cento del PIL mondiale;

nei giorni scorsi la Commissione europea ha adottato una Comunicazione al Consiglio dei capi di stato e di governo ed al Parlamento europeo denominata Limiting Global Climate Change to 2 Degrees Celsius - Policy Options for the EU and the World for 2020 and Beyond, partendo dalla constatazione che il cambiamento del clima è in atto e confermando la sua determinazione a limitare l'aumento della temperatura globale media rispetto al livello pre-industriale a 2 gradi centigradi. È stato allegato alla comunicazione lo studio Peseta sugli effetti del global warming, che analizza due scenari alternativi, il primo in assenza di politiche di riduzione e il secondo con iniziative isolate di contenimento delle emissioni climalteranti: secondo questo studio ci sarebbero ingenti impatti sull'agricoltura (fino a un meno 22 per cento della produzione agricola negli stati del Sud dell'Europa), sulla salute (con numero di morti per eccessi climatici fino a 86 mila in più rispetto all'atteso), sulla pesca, sull'innalzamento del livello dei mari e sull'erosione costiera (fino a 42 miliardi di euro di danni) e sul turismo;

in Italia le emissioni dei gas serra nel 2004 sono salite a 583,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (Mt CO2 eq.), a fronte di un impegno di riduzione delle emissioni a 485,8, con una distanza dall'obiettivo del Protocollo di Kyoto pari a 97,7 Mt CO2 eq.: un aumento del 13 per cento a fronte di un impegno di riduzione, entro il 2008-2012, del 6,5 per cento;

gli aumenti più consistenti di emissioni di gas serra dal 1990 al 2004 in Italia hanno riguardato il settore dei trasporti (da 104 Mt CO2 a 132,6, con un aumento del 27,5 per cento) ed il settore della produzione di energia termoelettrica (da 108,9 Mt CO2 a 127,3, con un aumento del 17 per cento). Nel settore civile e terziario dal 1990 al 2004 l'aumento è stato pari al 10,6 per cento. Sostanzialmente in linea con l'obiettivo di Kyoto risultano i settori dell'industria manifatturiera e delle costruzioni con un calo delle emissioni nel periodo citato del 3,8 per cento, e quello dell'agricoltura, con un calo delle emissioni del 6,8 per cento;

il mancato raggiungimento dell'obiettivo di riduzione di emissioni di gas serra per l'Italia comporterebbe un costo non solo ambientale, ma anche economico, rilevante. Supponendo un costo medio dei meccanismi flessibili pari a 15 euro per tonnellata, se la distanza dall'obiettivo si confermasse intorno ai 100 milioni di tonnellate, l'Italia dovrebbe sborsare circa 1,5 miliardi di euro all'anno. Se poi, come pare necessario e probabile, dopo il 2012 vi fossero ulteriori e ancora più impegnativi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e l'Italia vi giungesse impreparata, i costi potrebbero diventare veramente proibitivi;

le emissioni di gas serra derivano in larga parte dall'uso di combustibili fossili (nel 2005 l'Italia ne ha consumati 185,9 Mtep, cioè milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) importati per il 91 per cento. Il costo dell'energia primaria importata è stato nel 2005 pari a circa 36,5 miliardi di euro. Tenendo conto del mix attuale dei combustibili fossili consumati in Italia, l'obiettivo di Kyoto comporterebbe una riduzione dal 15 al 20 per cento del consumo di combustibili fossili. Ciò comporterebbe una riduzione della bolletta energetica del Paese circa della stessa percentuale: dai 5 ai 7 miliardi di euro all'anno;

 

impegna il Governo:

 

a) convocare una Conferenza nazionale su clima ed energia, nella quale adottare un approccio integrato, che tenga prioritariamente conto delle questioni legate ai cambiamenti climatici, alle politiche della mobilità, al risparmio e all'efficienza energetica, al potenziamento delle fonti rinnovabili, alla sicurezza degli approvvigionamenti, all'innovazione e ricerca, anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto;

b) coinvolgere con la massima tempestività, nella preparazione della Conferenza, il Parlamento, tutti i Ministeri interessati, le istituzioni regionali e locali, le forze economiche e sociali e gli organismi scientifici.

(7-00103) «Realacci, Capezzone, Gentili, Lomaglio, Cacciari, Chianale, Benvenuto, De Angelis»


COMMISSIONE RIUNITE

Ambiente, territorio e lavori pubblici e Attività produttive, commercio e turismo

 

SEDUTA DI MARTEDI’ 30 GENNAIO 2007

 


RISOLUZIONI

Martedì 30 gennaio 2007. - Presidenza del presidente dell'VIII Commissione Ermete REALACCI. - Intervengono i sottosegretari di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Gianni Piatti, e per lo sviluppo economico, Paolo Giaretta.

La seduta comincia alle 13.05.

7-00103 Realacci e Capezzone: Conferenza nazionale su clima ed energia.

(Discussione e approvazione).

Le Commissioni iniziano la discussione.

Ermete REALACCI, presidente, rileva preliminarmente che la seduta odierna rappresenta la prima di una serie di occasioni in cui le Commissioni VIII e X potranno collaborare per affrontare congiuntamente le questioni che riguardano, in linea generale, i problemi dei cambiamenti climatici e delle politiche energetiche, dando vita ad un lavoro che - a livello parlamentare - eviti di riprodurre le frammentazioni, talvolta artificiose, che possono crearsi all'interno delle strutture ministeriali.

Illustra, quindi, la risoluzione in titolo, alla quale si sono aggiunte nel frattempo diverse firme da parte di altri componenti delle due Commissioni, rilevando come essa si ponga soprattutto lo scopo di chiedere al Governo l'avvio di un'azione comune tra ministeri, al fine di giungere ad una Conferenza nazionale unica su clima ed energia, che coinvolga tutti i livelli istituzionali interessati, incluso il Parlamento, oltre che gli altri organismi scientifici, tecnici ed economico-sociali.

Nel ricordare, infine, che ulteriori elementi e dati informativi sulla materia potranno giungere dall'ormai imminente pubblicazione del «Rapporto IPPC» nell'ambito delle Nazioni Unite, sottolinea la necessità del pieno coinvolgimento - nel percorso di preparazione della Conferenza - di tutti gli attori coinvolti, al fine di costruire una politica concertata e condivisa per far fronte all'evoluzione in atto dei cambiamenti climatici.

Il sottosegretario Gianni PIATTI esprime un orientamento favorevole sulla risoluzione in titolo, ricordando come in seno al Consiglio dei ministri si sia già convenuto di muoversi nella direzione indicata dagli indirizzi parlamentari. Rileva, quindi, l'opportunità di garantire il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali e scientifici interessati, anche al fine di fare il punto sulle reali prospettive energetiche del Paese.

Dichiara, pertanto, che è interesse del Governo correlare i problemi energetici con le prospettive di carattere ambientale, tanto che un approccio simile è quello che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta seguendo nella revisione delle disposizioni in materia di valutazione ambientale integrata.

Salvatore MARGIOTTA (Ulivo) esprime, a nome del suo gruppo, l'apprezzamento per la risoluzione in discussione, che risulta condivisibile nel metodo, proponendo un approccio integrato tra le diverse sedi parlamentari ed istituzionali. Quanto ai profili di merito, evidenzia che le premesse dell'atto di sindacato ispettivo presentato dai presidenti delle due Commissioni contiene dati scientifici particolarmente utili per approfondire le riflessioni sul problema, anche a fronte di talune informazioni errate prodotte di recente, che tendono a fornire elementi conoscitivi insufficienti ad inquadrare la questione nella sua reale drammaticità.

Osserva che la risoluzione in titolo intende porre a confronto tra loro gli aspetti climatici strettamente intesi ed i possibili danni economici che il fenomeno può produrre, pari a circa il venti per cento del PIL mondiale; occorre pertanto intervenire su questi fattori, anche per creare i presupposti per un rilancio del quadro economico e produttivo nel suo complesso. Nel ribadire la necessità di un approccio globale al problema e di un'interrelazione trasversale tra le varie politiche, richiama l'esigenza che il Governo sappia sviluppare la propria azione in tutti i campi, dalla ricerca tecnologica all'innovazione, dallo sviluppo territoriale all'educazione ambientale, attivando ogni possibile iniziativa utile ad intervenire con determinazione sulla questione dei cambiamenti climatici.

Roberto TORTOLI (FI) rileva che il tema dei cambiamenti climatici ha un enorme rilievo e va affrontato con pragmatismo e serietà. In tale quadro, giudica la risoluzione in titolo particolarmente opportuna sul versante del dispositivo, concernente gli impegni al Governo, mentre riterrebbe utile un maggiore approfondimento in merito alle premesse, esprimendo l'esigenza di valutare con attenzione i dati e gli elementi conoscitivi in esse contenuti. Dichiara, infatti, che il suo gruppo nutre taluni dubbi su un quadro informativo che tende a prefigurare uno scenario di assoluta drammaticità in ordine ai cambiamenti climatici, che rischia di creare un eccessivo allarme nell'opinione pubblica.

In conclusione, riconoscendo pienamente condivisibile la necessità di una politica energetica comune in ambito comunitario, prospetta l'opportunità che le Commissioni riunite, oltre a quanto già deciso e in via di attuazione, possano svolgere anche una apposita audizione dei rappresentanti dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che potrebbero fornire un quadro informativo più completo rispetto alle problematiche testé richiamate.

Maurizio BERNARDO (FI)giudica apprezzabile il coinvolgimento della X Commissione nella discussione della risoluzione in oggetto, in quanto la stessa riguarda temi che coinvolgono, fra l'altro, l'intero sistema produttivo pubblico e privato. Considera inoltre apprezzabili gli impegni di carattere generale previsti dalla risoluzione, richiamando peraltro l'attenzione sulla necessità che la politica energetica nel nostro Paese sia affrontata attraverso la predisposizione di un disegno unitario.

Ricorda infatti che nel corso dell'attuale legislatura sono stati discussi o sono stati presentati una serie di provvedimenti riguardanti il tema dell'energia senza però che vi fosse un coordinamento delle varie iniziative, sottolineando altresì che l'importanza di disporre di un quadro giuridico unitario in materia energetica è stata recentemente posta in risalto anche dal Commissario europeo per l'energia Piebelgs in una recente audizione presso il Senato della Repubblica.

Manuela DI CENTA (FI), precisa di non esprimere giudizi in relazione agli elementi di carattere informativo contenuti nella premessa della risoluzione, dei quali ritiene di non avere sufficiente conoscenza, ma esprime apprezzamento per gli impegni contenuti nell'atto stesso, concordando con l'obiettivo di organizzare la Conferenza nazionale su clima e energia con il coinvolgimento più ampio dei Ministeri interessati, delle regioni, degli enti locali, del Parlamento, delle forze economiche e sociali. Il surriscaldamento del pianeta e i mutamenti del clima sono realtà purtroppo del tutto evidenti, l'umanità sta perdendo i ghiacciai e la neve: queste sono perdite del cuore, ma costituiscono altresì una perdita concreta per l'economia nazionale, dato che gli introiti degli imprenditori del settore hanno subito una forte contrazione a seguito dei fenomeni climatici in discussione. Annuncia infine l'intenzione di sottoscrivere la risoluzione in esame.

Ermete REALACCI, presidente, pur essendo personalmente contrario ad atteggiamenti di tipo catastrofistico, rileva che i dati contenuti nelle premesse sono tratti da autorevoli rapporti prodotti a livello internazionale e comunitario; tali dati, peraltro, vengono spesso scavalcati anche dal susseguirsi degli eventi concreti, come potrebbe accadere alla luce del contenuto dell'imminente «Rapporto IPPC».

Roberto TORTOLI (FI) chiede, a nome del suo gruppo, la votazione per parti separate della risoluzione n. 7-00103, preannunciando che il gruppo di Forza Italia voterà a favore della parte dispositiva e si asterrà nella votazione delle premesse.

Ermete REALACCI, presidente, avverte che sarà ora posta in votazione, per parti separate, la risoluzione in titolo, nel senso di votare dapprima la parte relativa alle premesse e successivamente la parte dispositiva.

Le Commissioni approvano, con distinte votazioni, le premesse e la parte dispositiva della risoluzione n. 7-00103.

La seduta termina alle 13.30.


 


 

 

COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

Bruxelles, 10.1.2007

COM(2007) 1definitivo

 

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO EUROPEO E AL PARLAMENTO EUROPEO

UNA POLITICA ENERGETICA PER L'EUROPA

{SEC(2007) 12}


INDICE

1.1........ Sostenibilità..................................................................................................................

1.2........ Sicurezza dell'approvvigionamento................................................................................

1.3........ Competitività................................................................................................................

2.   Un obiettivo strategico per guidare la politica energetica dell'Europa.......................................

3.   Piano d'azione.......................................................................................................................

3.1........ Il mercato interno dell'energia........................................................................................

3.2........ Solidarietà tra Stati membri e sicurezza dell'approvvigionamento di petrolio, gas e elettricità

3.3........ L'impegno a lungo termine per la riduzione delle emissioni di gas serra e il sistema comunitario di scambio di diritti di emissione..................................................................................................................

3.4........ Un programma ambizioso di misure a favore dell'efficienza energetica a livello comunitario, nazionale, locale e internazionale................................................................................................................

3.5........ Un obiettivo a più lungo termine per le fonti di energia rinnovabili....................................

3.6........ Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche..............................................

3.7........ Verso un uso di combustibili fossili a basse emissioni di CO2..........................................

3.8........ Il futuro dell'energia nucleare.........................................................................................

3.9........ Una politica energetica internazionale che persegue attivamente gli interessi dell'Europa...

3.10...... Monitoraggio e notifiche efficaci....................................................................................

4........... Portare avanti il lavoro..................................................................................................

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO EUROPEO E AL PARLAMENTO EUROPEO

 

UNA POLITICA ENERGETICA PER L'EUROPA

"A tal fine, i ministri hanno convenuto i seguenti obiettivi:……. mettere a disposizione delle economie europee una quantità maggiore di energia a prezzi più convenienti …."

Dichiarazione di Messina, 1955

1.1. Le sfide

L'energia costituisce un elemento fondamentale per il funzionamento dell'Europa. Purtroppo i giorni dell'energia a buon mercato sembrano essere finiti. Tutti i membri dell'Unione europea devono adesso affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici, dalla crescente dipendenza dalle importazioni e dai prezzi più elevati dell'energia. Inoltre l'interdipendenza degli Stati membri comunitari, in materia di energia come in numerosi altri settori, non fa che aumentare - un'interruzione dell'approvvigionamento di energia in un paese ha immediate conseguenze in altri paesi.

L'Europa deve agire adesso per garantire un'energia sostenibile, sicura e competitiva. Così facendo l'UE ritornerebbe alle sue origini. Nel 1952 con il trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e nel 1957 con il trattato Euratom, gli Stati membri fondatori avvertirono l'esigenza di adottare un approccio comune nel settore dell'energia. I mercati energetici e le considerazioni geopolitiche sono notevolmente cambiati da allora, ma l'esigenza di un'azione comunitaria è più pressante che mai. Se l'UE non agisce, anche i suoi obiettivi in altre aree, tra cui la Strategia di Lisbona e gli Obiettivi di sviluppo del millennio, saranno più difficili da conseguire. La nuova politica energetica europea deve essere ambiziosa, competitiva e a lungo termine – a beneficio di tutti gli europei.

1.1.1.1 Sostenibilità

L'energia è all'origine dell'80% di tutte le emissioni di gas serra nell'UE[40], ed è alla base dei cambiamenti climatici e, in massima parte, dell'inquinamento atmosferico. L'UE si è impegnata ad affrontare questa problematica - riducendo le emissioni nell'UE e a livello mondiale per portarle ad un valore che limiterebbe l'aumento delle temperature mondiali a 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, con le politiche vigenti in materia di energia e trasporti, le emissioni di CO2 nell'UE, invece di diminuire, aumenterebbero di circa il 5% da qui al 2030 e le emissioni mondiali aumenterebbero del 55%. Le attuali politiche energetiche dell'Unione europea in materia di energia non sono sostenibili.


1.2.1.2 Sicurezza dell'approvvigionamento

L'Europa dipende sempre più dalle importazioni di idrocarburi. Se si manterranno le tendenze attuali la sua dipendenza dalle importazioni di energia passerebbe dal 50% del consumo energetico totale attuale dell'UE al 65% nel 2030. La dipendenza dalle importazioni di gas dovrebbe aumentare dal 57% all'84% entro il 2030 e dalle importazioni di petrolio dall'82% al 93%.

Questa dipendenza comporta rischi politici ed economici in quanto la pressione sulle risorse energetiche mondiali è particolarmente forte. L'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) prevede che la domanda mondiale di petrolio aumenterà del 41% da qui al 2030. Non si sa come questa domanda sarà soddisfatta: l'AIE nell'edizione del 2006 del suo "World Energy Outlook" dichiara che la capacità e la volontà dei maggiori produttori di gas e petrolio di aumentare gli investimenti per far fronte alla crescente domanda sono del tutto incerte[41]. Aumenta il rischio di un'interruzione dell'approvvigionamento

Oltretutto non esistono ancora i meccanismi che garantiscono la solidarietà tra gli Stati membri qualora si verifichi una crisi energetica e vari Stati membri dipendono, in larga misura o completamente, da un unico fornitore di gas.

Nello stesso tempo, la domanda di energia elettrica dell'UE, ipotizzando una situazione stabile, aumenta di circa 1,5% l'anno. Anche in presenza di un'adeguata politica in materia di efficienza energetica, per la sola produzione saranno necessari, nei prossimi 25 anni, investimenti pari a 900 miliardi di euro. La prevedibilità e i mercati interni del gas e dell'elettricità efficaci, che ancora non esistono, sono indispensabili per realizzare gli investimenti a lungo termine necessari.

1.3.1.3 Competitività

L'UE risente sempre più degli effetti della volatilità dei prezzi, degli aumenti di prezzo nei mercati energetici internazionali e delle conseguenze della graduale concentrazione delle riserve di idrocarburi nelle mani di pochi. I potenziali effetti sono considerevoli: se, per esempio, il petrolio aumentasse a 100 $ il barile nel 2030, la fattura delle importazioni totali di energia dell'UE-27 aumenterebbero di circa 170 miliardi, equivalente ad un aumento annuo pari a 350 euro per ciascun cittadino dell'UE[42]. Solo una minima parte di questo trasferimento di ricchezza risulterebbe in posti di lavoro supplementari nell'Unione europea.

Previa l'istituzione della politica e dei quadri legislativi adeguati, il mercato interno dell'energia potrebbe incentivare prezzi e risparmi energetici equi e competitivi, nonché maggiori investimenti. Tuttavia, non sono ancora riunite tutte le condizioni necessarie e ciò impedisce ai cittadini e all'economia dell'Unione europea di beneficiare pienamente dei vantaggi della liberalizzazione dell'energia. Occorre stabilire un orizzonte di più lungo termine per le restrizioni sulle emissioni di carbonio al fine di incentivare gli investimenti necessari nel settore dell'elettricità.

Il rafforzamento degli investimenti, in particolare a favore dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili, dovrebbe creare posti di lavoro e promuovere l'innovazione e l'economia


della conoscenza nell'UE. L'Unione europea è già il leader mondiale nel settore delle energie rinnovabili con un fatturato di 20 miliardi di euro e 300 000 posti di lavoro[43]. Possiede il potenziale per guidare il mercato mondiale delle tecnologie energetiche a basse emissioni carbonio in rapida crescita. Nel settore dell'energia eolica, ad esempio, le imprese UE dominano il 60% del mercato mondiale. La volontà dell'Europa di continuare a guidare la lotta mondiale contro i cambiamenti climatici offre la possibilità di orientare meglio i programmi di ricerca mondiali. Occorre mantenere tutte le opzioni al fine di garantire lo sviluppo di tecnologie emergenti.

Nello stesso tempo, in tutte le fasi della concezione e dell'attuazione delle singole misure, si deve tenere conto della dimensione sociale della politica energetica europea. Questa politica dovrebbe contribuire in generale alla crescita e all'occupazione in Europa sul lungo termine, ma potrebbe avere un impatto considerevole su alcuni prodotti e processi del commercio internazionale, in particolare per i settori industriali ad alta intensità energetica.

2.2 Un obiettivo strategico per guidare la politica energetica dell'Europa

Il punto di partenza di una politica energetica europea comporta tre aspetti diversi: lotta contro i cambiamenti climatici, limitazione della vulnerabilità esterna dell'UE nei confronti delle importazioni di idrocarburi e promozione dell'occupazione e della crescita, in modo da fornire ai consumatori un'energia sicura a prezzi accessibili.

Alla luce dei numerosi contributi pervenuti durante il periodo di consultazione sul suo Libro verde[44], la Commissione propone, nella presente analisi strategica della situazione energetica, che la politica energetica si fondi sugli elementi seguenti:

·un obiettivo per l'Unione europea, nei negoziati internazionali, di ridurre del 30% le emissioni di gas serra dal qui al 2020 (rispetto ai livelli del 1990); inoltre le emissioni di gas serra a livello mondiale dovranno, da qui al 2050, essere ridotte del 50% rispetto al 1990 e ciò presuppone riduzioni che vanno dal 60 all'80% nei paesi industrializzati nello stesso periodo;

·un impegno da parte dell'UE di conseguire comunque una riduzione di almeno 20% dei gas serra nel 2020 rispetto ai valori del 1990.

Questi elementi sono al centro della comunicazione della Commissione "Limiting Climate Change to 2° - Policy Options for the EU and the world for 2020 and beyond"[45].

Il rispetto dell'impegno preso dall'UE di agire subito sui gas serra dovrebbe essere al centro della nuova politica energetica europea per tre motivi: (i) le emissioni di CO2 dovute all'utilizzazione dell'energia costituiscono l'80% delle emissioni di gas serra nell'UE, ridurre le emissioni significa utilizzare meno energia e utilizzare più energia pulita prodotta a livello


locale; (ii) limitare la crescente esposizione dell'UE alla volatilità e all'aumento dei prezzi del petrolio e del gas e (iii) promuovere l'istituzione di un mercato energetico più competitivo a livello dell'UE, incentivare l'innovazione e le tecnologie e promuovere l'occupazione.

Considerati nell'insieme, questo obiettivo strategico e le misure concrete per conseguirlo (illustrate qui di seguito) rappresentano il nucleo centrale di una nuova politica energetica europea.

3.3. Piano d'azione

Per conseguire l'obiettivo strategico summenzionato occorre trasformare l'Europa in un'economia ad elevata efficienza energetica e basse emissioni di CO2, favorendo una nuova rivoluzione industriale che acceleri la transizione verso una crescita a basse emissioni di carbonio e producendo, nel corso degli anni, un aumento spettacolare della quantità di energia locale a basse emissioni prodotta ed utilizzata. La sfida consiste nel farlo in un modo che ottimizzi gli incrementi di competitività potenziali per l'Europa e limiti i potenziali costi.

Le misure esistenti in settori come l'energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, i biocarburanti, l'efficienza energetica e il mercato interno dell'energia hanno già prodotto risultati importanti, ma non sono sufficientemente coerenti per garantire la sostenibilità, la sicurezza dell'approvvigionamento e la competitività. Nessun elemento della politica può apportare da solo tutte le risposte e per questo i vari aspetti devono essere considerati nel loro insieme. Ad esempio, come già menzionato, occorre tenere conto della dimensione sociale in tutte le fasi di concezione e attuazione delle singole misure[46]; inoltre sarà necessario sviluppare ulteriormente lo sfruttamento dei mari e degli oceani per conseguire gli obiettivi energetici dell'UE, dato il loro potenziale di sostegno alla produzione di energia e alla diversificazione delle vie e dei modi di trasporto dell'energia[47]. In primo luogo si tratterà per gli Stati membri di approvare una visione strategica e un piano d'azione per i prossimi tre anni al preciso scopo di procedere verso un'alleanza internazionale di paesi sviluppati al fine, quanto meno, di ridurre le emissioni globali dei gas serra del 30% entro il 2020 e contribuire in modo significativo alla riduzione delle emissioni dei gas serra nell'UE di 20% da qui al 2020. Questo approccio comporterà un attento monitoraggio e l'elaborazione di relazioni sui progressi realizzati nonché uno scambio efficace di buone pratiche e una costante trasparenza – attraverso la presentazione regolare, da parte della Commissione, di un aggiornamento dell'analisi strategica della politica energetica.

Le misure presentate qui di seguito non solo metteranno l'UE sulla strada che le consentirà di diventare un'economia della conoscenza a basse emissioni di carbonio, ma renderanno più sicuro l'approvvigionamento energetico e contribuiranno a rafforzare gradualmente la competitività.

3.1.3.1 Il mercato interno dell'energia

Un vero mercato interno dell'energia è indispensabile per conseguire i tre obiettivi dell'Europa in materia di energia presentati qui di seguito.


·§      Competitività: un mercato competitivo permetterà di ridurre i costi per i cittadini e le imprese e favorirà l'efficienza energetica e gli investimenti.

·§      Sostenibilità: un mercato competitivo è essenziale affinché gli strumenti economici producano i loro effetti, in particolare il sistema di scambio di quote di emissione. I gestori delle reti di trasporto, inoltre, devono avere interesse a promuovere il collegamento a fonti rinnovabili, la produzione combinata di calore ed energia elettrica e la produzione su piccolissima scala che incentiverebbero l'innovazione ed incoraggerebbero le piccole imprese e i cittadini a prendere in considerazione fonti di approvvigionamento non tradizionali.

·§      Sicurezza dell'approvvigionamento: l'esistenza di un mercato interno dell'energia efficace e competitivo può offrire notevoli vantaggi in termini di sicurezza dell'approvvigionamento e di servizio pubblico dotato di norme rigorose. La separazione effettiva delle reti dalle parti aperte alla concorrenza nei settori del gas e dell'elettricità incentiva concretamente le imprese ad investire in nuove infrastrutture e in nuove capacità di interconnessione e produzione, e consente pertanto di evitare nuovi black-out e impennate dei prezzi immotivate. Un vero mercato unico favorisce la diversità.

La CE ha già adottato una serie di misure[48] destinate ad istituire un mercato interno dell'energia che offra veramente delle opzioni a tutti i consumatori dell'UE, cittadini o imprese, nuovi sbocchi alle imprese e più scambi transfrontalieri.

La comunicazione sul mercato interno dell'energia[49] e la relazione finale sull'indagine settoriale in materia di concorrenza[50] dimostrano che le regole e le misure attuali non hanno ancora consentito di conseguire questi obiettivi. Questa assenza di progressi sembra indurre gli Stati membri ad imporre massimali generalizzati dei prezzi dell'elettricità e del gas. In funzione dei livelli di questi massimali e della loro portata generale o meno, possono impedire al mercato interno dell'energia di funzionare ed eliminano anche qualsiasi segnale di prezzo circa l'esigenza di nuove capacità, determinando sottoinvestimenti e futuri problemi di approvvigionamento. Inoltre possono ostacolare la penetrazione nel mercato dei nuovi operatori, ivi compresi quelli che offrono energia pulita.

Alla luce delle numerose osservazioni pervenute nel periodo di consultazione sul Libro verde, la Commissione ritiene che questa situazione debba cambiare. Occorre adottare una serie coerente di misure al fine di istituire entro tre anni una Rete europea del gas e dell'elettricità e istituire un mercato energetico veramente concorrenziale su scala europea.

A tal fine, la Commissione ha stabilito i requisiti seguenti.


3.1.1.3.1.1 Separazione (unbundling)

La relazione sul mercato interno e l'indagine settoriale indicano che esiste un rischio di discriminazione e abuso quando le imprese controllano nello stesso tempo le reti energetiche e la produzione o la vendita di energia, proteggendo i mercati nazionali e impedendo la concorrenza. Una situazione di questo tipo scoraggia anche le imprese verticalmente integrate ad investire adeguatamente nelle loro reti, in quanto aumentando la capacità della rete la concorrenza che esiste sul loro "mercato domestico" aumenta e i prezzi di mercato scendono.

La Commissione ritiene che si possano considerare due opzioni per porre rimedio a tale situazione: il ricorso ad un operatore di rete del tutto indipendente (sistema in cui l'impresa verticalmente integrata rimane proprietaria degli attivi di rete e percepisce per questi una remunerazione regolamentata, ma non ne assicura l'esercizio, la manutenzione o lo sviluppo) o la separazione della proprietà (il famoso unbundling) (in cui le imprese di rete sono completamente separate dalle imprese di distribuzione e produzione)[51].

Le informazioni economiche disponibili suggeriscono che la separazione della proprietà costituisce il mezzo più efficace per garantire una scelta ai consumatori e incentivare gli investimenti, in quanto crea una rete di imprese che non sono condizionate da interessi legati alla fornitura/produzione che condizionano le loro decisioni in materia di investimenti; la separazione non richiede una regolamentazione dettagliata, complessa e vincolante e non impone modifiche amministrative sproporzionate.

L'approccio che prevede un gestore di rete indipendente sarebbe preferibile allo statu quo, ma la sua realizzazione comporta una regolamentazione dettagliata, complessa e vincolante ed è meno efficace per eliminare gli elementi che scoraggiano gli investimenti nelle reti.

Inoltre è opportuno riesaminare le disposizioni relative alla separazione delle attività di distribuzione, che attualmente esentano i distributori con meno di 100 000 clienti dalla maggior parte dei requisiti di separazione.

3.1.2.3.1.2 Regolamentazione efficace

Innanzitutto occorre armonizzare i livelli di potere e di indipendenza dei regolatori dell'energia, sulla base del massimo (e non del minimo) denominatore comune dell'UE. In seguito occorre affidare loro il compito di promuovere non solo l'adeguato sviluppo del loro mercato nazionale, ma anche quello del mercato interno dell'energia.

Si devono altresì armonizzare le norme tecniche necessarie per consentire l'adeguato funzionamento del commercio transfrontaliero. Su questo aspetto si sono fatti pochissimi passi avanti. L'istituzione dell'ERGEG (Gruppo europeo dei regolatori per il gas e l'elettricità) e la regolamentazione dell'elettricità e del gas non hanno garantito la governance necessaria. La maggior parte delle norme tecniche pertinenti differiscono ancora da uno Stato membro all'altro, rendendo gli scambi transfrontalieri difficili, se non impossibili. Tre opzioni meritano di essere considerate.


·§      Evoluzione progressiva dell'approccio attuale: rafforzare la collaborazione tra i regolatori nazionali imponendo agli Stati membri di assegnare ai regolatori nazionali un obiettivo comunitario e introdurre un meccanismo che consenta alla Commissione di esaminare alcune decisioni dei regolatori nazionali che hanno un impatto sul mercato interno dell'energia[52].

·§      Rete europea di regolatori indipendenti (“ERGEG+”): nell'ambito di questo sistema, sarebbe ufficializzato il ruolo dell'ERGEG che dovrebbe strutturare delle decisioni vincolanti per i regolatori e gli operatori del mercato interessati, come gli operatori di rete, le borse elettriche o i generatori di energia, riguardanti aspetti tecnici particolari e meccanismi relativi alle questioni transfrontaliere.

·§      Istituzione di un nuovo organo unico a livello comunitario incaricato, in particolare, di adottare decisioni individuali per il mercato comunitario del gas e dell'elettricità riguardanti aspetti tecnici e di regolamentazione importanti per consentire un funzionamento efficace egli scambi transfrontalieri[53].

Esiste una relazione tra separazione e regolazione. I mercati in cui non si è arrivati alla separazione della proprietà richiedono una regolamentazione più dettagliata, complessa e prescrittiva. In tali situazioni i regolatori nazionali devono disporre di poteri più vincolanti ed ampi per evitare qualsiasi discriminazione. Tuttavia, i regolatori non potranno mai eliminare completamente gli ostacoli che scoraggiano gli investimenti adeguati nelle reti in cui non vige la separazione della proprietà.

Per quanto riguarda le tre opzioni, la Commissione ritiene che la prima, ossia l'evoluzione progressiva dell'approccio attuale, non basterebbe, soprattutto perché i progressi continuerebbero a basarsi su un accordo volontario tra i 27 regolatori nazionali i cui interessi sono spesso divergenti. Pertanto l'approccio minimo in grado di determinare progressi rapidi e reali nell'armonizzazione degli aspetti tecnici necessari per l'adeguato funzionamento del commercio transfrontaliero sarebbe l'approccio ERGEG+.

In attesa che sia presa e attuata una decisione ufficiale, i regolatori dovrebbero essere incoraggiati a collaborare più strettamente per utilizzare i poteri di cui beneficiano in un modo più efficace, su base volontaria.

3.1.3.3.1.3 Trasparenza

La trasparenza è indispensabile per un corretto funzionamento del mercato. Attualmente gli operatori di reti di trasporto comunicano informazioni di vari livelli, rendendo la concorrenza per i nuovi operatori più agevole in alcuni mercati rispetto ad altri. Inoltre, alcuni regolatori impongono ai produttori una maggiore trasparenza per quanto concerne la disponibilità di produzione rispetto ad altri; tale obbligo può contribuire ad evitare la manipolazione dei


prezzi. Occorre stabilire requisiti minimi che tutte le imprese UE dovranno rispettare, simili a quelli adottati nel settore delle telecomunicazioni[54].

3.1.4.3.1.4 Infrastrutture

Il piano di interconnessione prioritario[55] stabilisce cinque priorità:

·§      individuare le infrastrutture mancanti più importanti da qui al 2013 e garantire un sostegno politico paneuropeo per colmare le lacune;

·§      nominare quattro coordinatori europei per seguire quattro dei più importanti progetti prioritari: il collegamento della rete elettrica tra Germania, Polonia e Lituania; i collegamenti con i parchi eolici off-shore in Europa settentrionale; le interconnessioni elettriche tra Francia e Spagna; e il gasdotto Nabucco, che trasporta gas dal Mar Caspio all'Europa centrale;

·§      stabilire di comune accordo un periodo massimo di 5 anni entro il quale le procedure di pianificazione e approvazione dovranno essere completate per i progetti definiti "di interesse europeo" nell'ambito degli orientamenti relativi alle reti transeuropee nel settore dell'energia;

·§      valutare la necessità di aumentare il finanziamento delle reti transeuropee di energia, in particolare per agevolare l'integrazione nella rete dell'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili; e

·§      istituire un nuovo meccanismo e una nuova struttura comunitari per gli operatori di reti di trasporto (TSO) responsabili della pianificazione coordinata delle reti.

3.1.5.3.1.5 Sicurezza delle reti

Per rafforzare l'affidabilità del sistema elettrico dell'UE e prevenire i black out, le esperienze recenti hanno evidenziato la necessità di norme di sicurezza comuni minime e vincolanti per le reti dell'Unione europea. Uno dei compiti del nuovo meccanismo e della nuova struttura comunitari per gli operatori delle reti di trasporto dovrebbe essere proprio proporre norme di questo tipo che diventerebbero vincolanti, previa l'approvazione dei regolatori di energia.

3.1.6.3.1.6 Adeguamento delle capacità di produzione di elettricità e di approvvigionamento di gas

Nel corso dei prossimi 25 anni, l'Europa dovrà investire 900 miliardi di euro in nuove capacità di produzione elettrica. Il gas rimane un ottimo combustibile, visto la sua elevata efficienza energetica, ma richiederà anch'esso degli investimenti pari a 150 miliardi di euro destinati alle centrali elettriche a gas e 220 miliardi di euro supplementari destinati alle infrastrutture. Per garantire un livello adeguato di nuovi investimenti, occorre innanzitutto fare in modo che il mercato interno dell'energia funzioni correttamente e lanci adeguati segnali in materia di investimento. Inoltre, è necessario anche un controllo accurato


dell'equilibrio tra offerta e domanda al fine di individuare eventuali carenze. Si tratterà di un ruolo fondamentale del nuovo ufficio dell'Osservatorio dell'energia (cfr. qui di seguito).

3.1.7.3.1.7 L'energia in qualità di servizio pubblico

L'energia è essenziale per tutti i cittadini europei. La legislazione europea in vigore prevede già il rispetto di oneri di servizio pubblico. L'Unione europea deve però compiere passi avanti nella lotta contro la "povertà energetica". La Commissione elaborerà una Carta del cliente nel settore dell'energia che si prefiggerà quattro grandi obiettivi:

·§      contribuire all'istituzione di regimi di aiuto per consentire ai cittadini dell'UE più vulnerabili di far fronte all'aumento dei prezzi dell'energia;

·§      migliorare il livello minimo di informazione di cui dispongono i cittadini per aiutarli a scegliere tra i vari fornitori e le opzioni di approvvigionamento;

·§      ridurre le formalità amministrative che i clienti devono svolgere per cambiare fornitore;

·§      proteggere i clienti dalle pratiche di vendita sleali.

3.2.3.2 Solidarietà tra Stati membri e sicurezza dell'approvvigionamento di petrolio, gas e elettricità

Il mercato interno dell'energia rafforza l'interdipendenza degli Stati membri in materia di approvvigionamento di elettricità e di gas. Nonostante gli obiettivi stabiliti in materia di efficienza energetica e di utilizzazione di fonti di energia rinnovabili, il petrolio e il gas continueranno a soddisfare oltre la metà del fabbisogno energetico dell'Unione, determinando una forte dipendenza dalle importazioni in entrambi i settori (oltre il 90% per il petrolio e circa l'80% per il gas nel 2030). La produzione di elettricità si baserà in larga misura sul gas. In assenza di progressi tecnologici straordinari, il petrolio manterrà una posizione dominate nel settore dei trasporti. La sicurezza dell'approvvigionamento di questi due combustibili resterà, pertanto, fondamentale per l'economia dell'UE.

L'Unione europea vanta solidi e fruttuosi rapporti con i fornitori di gas tradizionali all'interno dello Spazio economico europeo (SEE), in particolare la Norvegia, all'esterno, in particolare la Russia e l'Algeria, e confida nel rafforzamento di tali rapporti in futuro. Tuttavia per l'UE è importante promuovere la diversità in termini di fonti di approvvigionamento, fornitori, itinerari di trasporto e metodi di trasporto. Occorre inoltre istituire meccanismi adeguati per garantire la solidarietà tra Stati membri in caso di crisi energetica, tanto più che vari Stati membri dipendono, in larga misura o completamente, da un unico fornitore di gas.

La sicurezza energetica dovrebbe essere incentivata in diversi modi:

·§      Occorrono misure per aiutare gli Stati membri, che dipendono in misura eccessiva da un unico fornitore di gas, a diversificare le loro fonti di approvvigionamento. La Commissione controllerà l'attuazione della direttiva sulla sicurezza dell'approvvigionamento di gas[56], da poco recepita negli ordinamenti nazionali, e ne valuterà l'efficacia. Occorrerà elaborare progetti per trasportare il gas proveniente da altre


·§      regioni, istituire nuovi "hub" (snodi) del gas in Europa centrale e nei paesi Baltici, avvalersi in modo più adeguato delle possibilità di stoccaggio strategico ed agevolare la costruzione di nuovi terminali di gas naturale liquefatto. Si dovrebbero anche esaminare le modalità per rafforzare i meccanismi di solidarietà in caso di crisi, come la rete di "corrispondenti dell'energia" e il gruppo di coordinamento per il gas. D'altra parte l'istituzione di riserve strategiche di gas contribuirebbe a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento. I considerevoli investimenti in capacità di stoccaggio e condotte nuove, necessarie per garantire un livello più elevato di sicurezza, devono essere valutati rispetto ai costi che ciò comporterebbe per i consumatori.

·§      Il meccanismo dell'UE in materia di riserve petrolifere strategiche, coordinato con le riserve di altri paesi dell'OCSE attraverso l'AIE, funziona adeguatamente e dovrebbe essere mantenuto. Si potrebbe tuttavia migliorare il modo in cui l'UE gestisce il suo contributo a questo meccanismo. I requisiti imposti agli Stati membri in materia di rendicontazione dovrebbero essere rinforzati; occorrerebbe analizzare più da vicino l'adeguatezza delle riserve e garantire un miglior coordinamento quando l'AIE invita a sbloccare delle riserve. La Commissione analizzerà queste problematiche nel 2007.

·Le interconnessioni elettriche (cfr. il punto 3.1.4) e delle norme rigorose e vincolanti in materia di affidabilità costituiranno il terzo elemento di questo approccio, in particolare per affrontare i problemi legati alla sicurezza dell'approvvigionamento di elettricità.

3.3.3.3 L'impegno a lungo termine per la riduzione delle emissioni di gas serra e il sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione

L'UE è tradizionalmente a favore del ricorso a strumenti economici per internalizzare i costi esterni, in quanto consentono al mercato di stabilire le modalità di reazione più efficaci e meno costose. In particolare, nella comunicazione Limiting Climate Change to 2° - Policy Options for the EU and the world for 2020 and beyond, la Commissione ha spiegato che il meccanismo di scambio dei diritti di emissione è e deve rimanere un meccanismo chiave per incentivare le riduzioni di emissioni di carbonio e che potrebbe essere utilizzato come base per le iniziative internazionali di lotta contro i cambiamenti climatici. La Commissione sta attualmente riesaminando il sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione affinché tutte le sue possibilità possano essere sfruttate in modo ottimale: ciò è fondamentale per creare gli incentivi necessari per indurre dei cambiamenti nei modi di produzione e di consumo dell'energia in Europa.

3.4.3.4 Un programma ambizioso di misure a favore dell'efficienza energetica a livello comunitario, nazionale, locale e internazionale

Per i cittadini europei, l'efficienza energetica è l'elemento saliente di una politica energetica europea. Il miglioramento dell'efficienza energetica può contribuire notevolmente allo sviluppo sostenibile, alla competitività e alla sicurezza dell'approvvigionamento.

Il 19 ottobre 2006 la Commissione ha adottato un piano d'azione per l'efficienza energetica[57] le cui misure specifiche dovrebbero permettere all'UE di imboccare la strada giusta per conseguire l'obiettivo chiave consistente a ridurre, da qui al 2020, del 20% il consumo globale


di energia primaria. In caso di successo, l'UE dovrebbe riuscire a consumare quasi il 13% di energia in meno rispetto a oggi, con un risparmio di 100 miliardi di euro e di circa 780 miliardi di tonnellate di CO2 l'anno. Ciò richiederà sforzi notevoli in termini di cambiamento di comportamenti, ma anche di investimenti supplementari.

Le misure principali sono:

·§      incentivare l'impiego di veicoli efficienti sotto il profilo dei consumi, fare un uso migliore dei trasporti pubblici e garantire che i consumatori sostengano i costi reali dei trasporti[58];

·§      introdurre norme più rigorose e una migliore etichettatura delle apparecchiature;

·§      migliorare rapidamente il rendimento energetico degli edifici esistenti dell'UE e impegnarsi affinché nella costruzione di nuovi edifici le "case a bassissimo consumo energetico" diventino la norma;

·§      garantire un uso coerente della politica fiscale per favorire un uso più efficiente dell'energia;

·§      migliorare l'efficienza della produzione, del trasporto e della distribuzione di calore e elettricità;

·§      concludere un nuovo accordo internazionale sull'efficienza energetica al fine di incoraggiare l'impegno comune.

Un nuovo accordo internazionale sull'efficienza energetica

Un accordo di questo tipo potrebbe riunire i paesi dell'OCSE e i principali paesi in via di sviluppo (come la Cina, l'India e il Brasile) al fine di limitare l'utilizzo di prodotti che non soddisfano dei criteri minimi e stabilire approcci comuni per i risparmi energetici. Nel 2007 l'UE potrebbe presentare ufficialmente una proposta che potrebbe essere discussa e portata avanti nell'ambito di una grande conferenza internazionale sull'efficienza energetica durante la presidenza tedesca del G8. L'obiettivo potrebbe essere firmare l'accordo durante le Olimpiadi di Pechino. Le potenzialità di risparmio energetico e di riduzione della CO2 sono enormi – secondo l'AIE il miglioramento dell'efficienza energetica da solo consentirebbe una riduzione pari a circa il 20% delle attuali emissioni mondiali di CO2 .

3.5.3.5 Un obiettivo a più lungo termine per le fonti energetiche rinnovabili

Nel 1997 l'Unione europea ha iniziato a adottare misure affinché la percentuale di energia derivante da fonti rinnovabili arrivasse, entro il 2010, al 12% dell'insieme di fonti energetiche utilizzate, percentuale che costituiva un raddoppio rispetto ai livelli del 1997. Da allora la produzione di energia da fonti rinnovabili è aumentata del 55%, ma l'UE probabilmente non conseguirà l'obiettivo che si era prefissata. Verosimilmente la quota dell'energia da fonti rinnovabili non supererà il 10% nel 2010. Il motivo principale del mancato conseguimento degli obiettivi stabiliti in materia di energia rinnovabile - oltre ai costi attualmente più elevati delle fonti di energia rinnovabili rispetto alle fonti di energia "tradizionali" – è l'assenza di un


quadro strategico coerente ed efficace nell'Unione europea e di una visione di lungo termine stabile. Per questi motivi, solo pochi Stati membri hanno realizzato veri progressi in questo settore, e non è stato possibile conseguire la massa critica necessaria per generalizzare la produzione di energia a partire da fonti rinnovabili che adesso è confinata in alcuni settori economici.

L'UE deve accelerare il ritmo per offrire una visione a lungo termine credibile del futuro delle fonti energetiche rinnovabili nel suo territorio, basandosi sugli strumenti esistenti, in particolare la direttiva sulle fonti di energia rinnovabili. Si tratta di un passo fondamentale per conseguire gli obiettivi attuali[59] e suscitare ulteriori investimenti, innovazione e nuovi posti di lavoro. La politica in materia di energie rinnovabili deve raccogliere una sfida: occorre trovare il giusto equilibrio tra installare, oggi, grandi capacità di produzione e attendere che i ricercatori trovino, domani, soluzioni adeguate per ridurne i costi. Nella ricerca di questo equilibrio occorre tenere conto dei fattori seguenti:

·§      oggi l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili è generalmente più costoso dell'uso degli idrocarburi, ma lo scarto si sta riducendo – soprattutto se tiene conto anche dei costi dei cambiamenti climatici;

·§      le economie di scala possono determinare una riduzione dei costi delle energie rinnovabili ma ciò richiede oggi importanti investimenti;

·§      le energie rinnovabili contribuiscono a migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico dell'UE aumentando la parte di energia "domestica", diversificano il mix energetico e le fonti delle importazioni, aumentano la quota di energie provenienti da regioni politicamente stabili e creano nuovi posti di lavoro in Europa;

·§      le fonti di energia rinnovabili emettono una quantità ridotta di gas serra o non ne emettono affatto e la maggior parte di esse apportano notevoli benefici in termini di qualità dell'aria.

Alla luce delle informazioni pervenute nel corso della consultazione pubblica e della valutazione d'impatto, la Commissione propone nella sua Tabella di marcia per le fonti di energia rinnovabili[60] di assumere l'impegno di portare la quota delle fonti di energia rinnovabili nel mix energetico complessivo dell'UE da meno 7 % (attualmente) a 20% entro il 2020. Gli obiettivi per il dopo 2020 sarebbero valutati alla luce dei progressi tecnologici realizzati.

Come fare?

Il conseguimento dell'obiettivo del 20% presuppone una fortissima crescita nei tre settori delle energie rinnovabili: energia elettrica, biocarburanti, riscaldamento e raffreddamento. In tutti i settori, i quadri strategici istituiti in alcuni paesi hanno consentito di ottenere risultati che dimostrano che ciò è possibile.

Le fonti rinnovabili possono potenzialmente fornire circa un terzo dell'elettricità dell'UE da qui al 2020. L'energia eolica copre attualmente circa il 20% del fabbisogno di elettricità in


Danimarca, 8% in Spagna e 6% in Germania. Quanto ad altre energie nuove – energia fotovoltaica, energia solare termica, energia maremotrice e energia delle onde – il loro costo dovrebbe diminuire rispetto agli elevati livelli attuali.

Nel settore del riscaldamento e del raffreddamento, si prevedono dei progressi per una serie di tecnologie. La Svezia, ad esempio, possiede oltre 185 000 pompe di calore geotermiche. La Germania e l'Austria sono state le prime a ricorrere in modo significativo all'energia solare per il riscaldamento. Se altri paesi raggiungessero livelli analoghi, la quota dell'energia da fonti rinnovabili per il riscaldamento e il raffreddamento arriverebbe al 50%.

Per quanto riguarda i biocarburanti, il bioetanolo rappresenta già il 4% del mercato degli idrocarburi in Svezia, e la Germania è il numero uno mondiale del biodiesel con il 6% del mercato diesel. Entro il 2020 i biocarburanti potrebbero costituire fino al 14% dei carburanti destinati ai trasporti.

Questo obiettivo del 20% è veramente ambizioso e richiederà un grande impegno da parte di tutti gli Stati membri. Il contributo di ciascun Stato membro per il conseguimento di tale obiettivo dovrà tenere conto delle varie situazioni e dei punti di partenza nazionali, ivi compresa la tipologia dei mix energetici. Gli Stati membri dovrebbero beneficiare di un margine di manovra per promuovere le energie rinnovabili più adatte al loro potenziale e alle loro priorità specifiche. Le modalità di conseguimento degli obiettivi nazionali degli Stati membri dovrebbero essere definite nei piani d'azione nazionali notificati alla Commissione. Questi piani dovrebbero presentare gli obiettivi e le misure settoriali corrispondenti agli obiettivi nazionali globali concordati. Concretamente, nell'attuazione dei loro piani, gli Stati membri dovranno stabilire per l'elettricità, i biocarburanti, il riscaldamento e il raffreddamento i loro obiettivi che saranno esaminati dalla Commissione al fine di garantire che l'obiettivo globale sia conseguito. Nel 2007 la Commissione illustrerà questa struttura in un nuovo pacchetto legislativo sulle fonti energetiche rinnovabili.

Una caratteristica particolare di questo quadro è la necessità di uno sviluppo minimo e coordinato dei biocarburanti nell'insieme dell'UE. Anche se oggi i biocarburanti sono più cari di altre forme di energia rinnovabile e lo resteranno anche nel prossimo futuro, costituiscono per i prossimi 15 anni l'unico strumento disponibile per ridurre notevolmente la dipendenza nei confronti del petrolio nel settore dei trasporti. Nella sua tabella di marcia per le energie rinnovabili e nella sua relazione sull'attuazione della direttiva "Biocarburanti"[61], la Commissione propone pertanto di stabilire un obiettivo minimo vincolante per i biocarburanti che dovrebbero rappresentare il 10% dei carburanti destinati ai veicoli da qui al 2020 e fare in modo che i biocarburanti utilizzati siano, per loro natura, sostenibili sia nel territorio dell'UE che altrove. L'UE dovrebbe invitare i paesi terzi e i loro produttori a conseguire tale obiettivo. Il pacchetto legislativo del 2007 sulle fonti di energia rinnovabili comprenderà inoltre delle misure specifiche destinate ad agevolare la penetrazione nel mercato dei biocarburanti e dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento alimentati da energie rinnovabili. La Commissione proseguirà e rafforzerà l'uso delle energie rinnovabili nell'ambito di altre politiche e misure di accompagnamento, al fine di istituire un vero mercato interno delle energie rinnovabili nell'Unione europea.

Quanto costerà?


Per giungere ad una percentuale del 20% per le energie rinnovabili, occorrerà sostenere un costo annuo medio supplementare di circa 18 miliardi di euro, vale a dire un aumento pari a circa 6% della fattura totale delle importazioni di energia dell'UE prevista per il 2020. Questo calcolo si basa su un prezzo del petrolio di 48 dollari il barile nel 2020; qualora il costo dovesse aumentare a 78 dollari il sovraccosto medio annuo scenderebbe a 10,6 miliardi di euro. Se si tiene conto del prezzo della tonnellata di carbonio di oltre 20 euro, l'obiettivo del 20% avrebbe un costo praticamente pari a quello che comporterebbe il ricorso a fonti energetiche "tradizionali", ma consentirebbe di creare numerosi posti di lavoro in Europa e sviluppare nuove imprese tecnologiche europee.

3.6.3.6 Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche

L'Europa persegue due obiettivi principali in materia di tecnologie energetiche: ridurre il costo delle energie pulite e fare in modo che l'industria europea conquisti una posizione di punta nel settore delle tecnologie a basse emissioni di carbonio, in rapida crescita. Per realizzare questi obiettivi la Commissione proporrà nel 2007 un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche[62]. Questo piano si baserà su una visione a lungo termine al fine di raccogliere la sfida di passare ad un sistema energetico a basse emissioni di carbonio, tutelando nel contempo la competitività.

-       Da qui al 2020, le tecnologie dovranno consentire di realizzare l'obiettivo del 20% di energia prodotta da energie rinnovabili, con un considerevole aumento della quota delle energie rinnovabili meno costose (ivi compresi i parchi eolici off-shore e i biocarburanti di seconda generazione).

-       Da qui al 2030, l'energia elettrica e il calore dovranno essere prodotti in più larga misura da fonti a basse emissioni di carbonio e in grandi centrali elettriche alimentate da combustibili fossili ad emissioni ridottissime, dotate di sistemi di cattura e stoccaggio del CO2. I trasporti dovranno gradualmente essere adattati ai biocarburanti di seconda generazione e alle celle a combustibile a idrogeno.

-       Per il 2050 e oltre, il passaggio del sistema energetico europeo alle tecnologie a basse emissioni di carbonio larga misura da fonti energetiche rinnovabili, dall'utilizzo sostenibile del carbone, del gas e dell'idrogeno e, per gli Stati membri che lo desiderano, dalla fissione nucleare di quarta generazione.

Immaginiamo per il futuro un'Europa che vanta un'economia energetica fiorente e sostenibile, che ha sfruttato tutte le opportunità legate ai pericoli dei cambiamenti climatici e della mondializzazione, che gode di una posizione di primo piano in un insieme diversificato di tecnologie energetiche, pulite ed efficaci e a basse emissioni ed è diventata un motore di prosperità, crescita e creazione di posti di lavoro. Affinché questa visione diventi realtà, l'Unione europea deve agire rapidamente e in maniera concertata, concordando e attuando un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche, dotato di risorse realistiche. Nell'ambito del Settimo programma quadro di ricerca, nell'UE la spesa annuale per le ricerche nel settore dell'energia dovrebbe aumentare del 50% nel corso dei prossimi sette anni, ma ciò non basterà a garantire i progressi necessari. Il piano tecnologico deve essere ambizioso, deve coordinare meglio le spese a livello comunitario e nazionale e stabilire obiettivi chiari, con


tabelle di marcia (roadmaps) e tappe fondamentali (milestones) ben definite. Dovrebbe avvalersi di tutti gli strumenti comunitari disponibili, tra cui le "iniziative tecnologiche congiunte" e l'Istituto europeo della tecnologia.

Una tale iniziativa mirata potrebbe perseguire le priorità seguenti:

-       migliorare l'efficienza energetica di edifici, apparecchiature, attrezzature, processi industriali e sistemi di trasporto;

-       sviluppare i biocarburanti, in particolare quelli di seconda generazione, per farne delle alternative perfettamente competitive con gli idrocarburi;

-       garantire in tempi brevi la competitività dei grandi parchi eolici off-shore e preparare la creazione di una super-rete europea off-shore competitiva;

-       rendere l'energia fotovoltaica competitiva al fine di sfruttare l'energia solare;

-       utilizzare le tecnologie delle celle a combustibile e dell'idrogeno e sfruttarne i vantaggi nei trasporti e per la produzione decentrata di energia;

-       sviluppare tecnologie per l'uso sostenibile del gas e dell'elettricità , in particolare la cattura e lo stoccaggio del carbonio (vedi qui di seguito);

-       l'UE dovrebbe mantenere la sua leadership tecnologia nel settore dei reattori nucleari di quarta generazione e nella futura tecnologia di fusione, al fine di incentivare la competitività, la sicurezza interna ed esterna dell'energia nucleare e di ridurre il livello dei rifiuti.

Questi obiettivi settoriali dovrebbero essere completati da tappe fondamentali specifiche e da un aumento delle spese di ricerca nel settore dell'energia. La Commissione proporrà un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche per il Consiglio europeo che si svolgerà nella primavera del 2008.

3.7.3.7 Verso un futuro di combustibili fossili a basse emissioni di CO2

Il carbone e il gas garantiscono il 50% dell'approvvigionamento di elettricità nell'UE e costituiranno indubbiamente una parte fondamentale del nostro mix energetico. Le riserve a lungo termine sono considerevoli, ma, rispetto al gas, il carbone produce circa il doppio di emissioni di CO2. Occorrerà mettere a punto tecnologie del carbone molto meno inquinanti e tecnologie per l'abbattimento della CO2. Inoltre lo sviluppo di tecnologie pulite per il carbone e di cattura e stoccaggio del carbonio è fondamentale a livello internazionale. L'AIE prevede, da qui al 2030, il raddoppio dell'elettricità prodotta dal carbone con il conseguente rilascio di circa 5 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 40% dell'aumento previsto delle emissioni di CO2 legate all'energia a livello mondiale. Oltre al piano tecnologico strategico europeo per le tecnologie energetiche, saranno necessarie altre iniziative per catalizzare le azioni e le attività di ricerca internazionali riguardanti la cattura e lo stoccaggio di CO2.

Per svolgere un ruolo di leadership a livello mondiale, l'UE deve elaborare una visione chiara per l'introduzione delle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, istituire un quadro


regolamentare propizio al loro sviluppo e investire più e meglio nella ricerca, lanciando anche iniziative a livello internazionale. In futuro il sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione dovrà anche integrare la cattura e lo stoccaggio.

Come indicato nella comunicazione sulla produzione di elettricità sostenibile[63], la Commissione nel 2007 avvierà dei lavori per:

·§      progettare un meccanismo destinato a incentivare la costruzione e l'esercizio, entro il 2015, di al massimo 12 dimostratori, su grande scala, per tecnologie sostenibili di combustibili fossili per la produzione commerciale di elettricità nell'UE[64];

·§      dare una chiara indicazione sulle date a partire delle quali le centrali elettriche a carbone e gas dovranno dotarsi di sistemi di cattura e stoccaggio del CO2. In base alle informazioni disponibili, la Commissione ritiene che, in linea di massima, entro il 2020 tutte le nuove centrali elettriche al carbone dovranno essere dotate di tali sistemi, mentre le centrali esistenti sarebbe equipaggiate in seguito progressivamente. Benché sia troppo presto per pronunciarsi con certezza in merito, la Commissione spera di essere grado di formulare delle raccomandazioni rigorose non appena possibile.

3.8.3.8 Il futuro dell'energia nucleare

Attualmente circa un terzo dell'elettricità e 15% dell'energia consumata nell'UE proviene dal nucleare che costituisce una delle principali fonti di energia a non produrre biossido di carbonio (CO2) in Europa. L'energia nucleare è stato uno degli strumenti di riduzione delle emissioni di CO2 nell'UE e potrebbe anche far parte, per gli Stati membri che lo desiderino, di uno scenario energetico, per i prossimi decenni, in cui sarà imperativo ridurre considerevolmente le emissioni

L'energia nucleare è meno sensibile alle fluttuazioni del prezzo del combustibile rispetto alla produzione di energia dal carbone e dal gas, in quanto l'uranio rappresenta una piccola parte del costo totale della produzione di energia elettrica, mentre le riserve disponibili bastano per vari decenni e sono presenti nell'insieme del pianeta.

Come indicato nella tabella allegata al presente documento, che descrive i vantaggi e gli inconvenienti delle varie fonti energetiche, l'energia nucleare è una delle fonti di energia a basse emissioni di carbonio meno costose attualmente disponibili nell'Unione europea e i suoi costi sono relativamente stabili[65]. La prossima generazione di reattori nucleari dovrebbe permettere di ridurre ulteriormente questi costi.

Spetta ad ogni Stato membro decidere se ricorrere all'energia nucleare. Tuttavia, qualora il livello di energia nucleare diminuisse nell'UE, questa riduzione deve assolutamente essere


sincronizzata con l'introduzione di altre fonti energetiche a basse emissioni di carbonio per la produzione di elettricità, altrimenti l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra e di miglioramento della sicurezza di approvvigionamento non potrà essere conseguito.

Nel contesto energetico attuale, l'AIE prevede un aumento del consumo di elettricità di origine nucleare nel mondo da 368 GW nel 2005 a 416 GW nel 2030. Mantenere e sviluppare la posizione di leadership dell'UE in questo settore comporta pertanto dei vantaggi economici.

Come risulta dal nuovo programma nucleare indicativo[66], a livello di UE, si dovrebbe sviluppare ulteriormente, conformemente alla legislazione comunitaria, il quadro più avanzato per l'energia nucleare negli Stati membri che optano per questo tipo di energia, nel rispetto delle norme più rigorose di sicurezza e protezione e di non proliferazione, come previsto dal trattato Euratom. L'energia nucleare, tuttavia, solleva anche problematiche importanti in materia di rifiuti e di smantellamento, è opportuno pertanto includere la gestione dei rifiuti nucleari e la questione dello smantellamento nei futuri lavori comunitari. L'UE dovrebbe inoltre impegnarsi affinché queste norme così rigorose siano rispettate a livello internazionale. Per fare dei passi avanti in materia, la Commissione propone di istituire un gruppo ad alto livello sulla sicurezza e la protezione nucleari incaricato di elaborare progressivamente una posizione comune e, in un secondo tempo, delle nuove regole comunitarie in materia di sicurezza e protezione nucleari.

3.9.3.9 Una politica energetica internazionale che persegue attivamente gli interessi dell'Europa

L'Unione europea non può conseguire da sola gli obiettivi fissati in materia di energia e di cambiamenti climatici. In futuro l'UE sarà all'origine solo del 15% delle nuove emissioni di CO2 e, da qui al 2030, secondo i nuovi obiettivi, l'UE consumerà meno del 10% dell'energia mondiale. Pertanto le sfide della sicurezza dell'approvvigionamento energetico e dei cambiamenti climatici non potranno essere raccolte dalla Comunità europea o dai suoi Stati membri individualmente. L'UE deve collaborare con i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, nonché con i consumatori e i produttori di energia, per garantire un'energia competitiva, sostenibile e sicura.

L'Unione europea e gli Stati membri devono perseguire questi obiettivi esprimendosi con "una voce sola" e istituendo delle vere e proprie partnership per tradurre questi obiettivi in una politica esterna coerente. L'energia deve in effetti diventare un elemento centrale di tutte le relazioni esterne dell'Unione europea; si tratta infatti di un fattore cruciale di sicurezza geopolitica, stabilità economica, sviluppo sociale e un elemento centrale delle attività internazionali destinate a lottare contro i cambiamenti climatici. L'UE deve pertanto stabilire, nel settore dell'energia, rapporti fruttuosi con tutti i suoi partner internazionali, basati sulla fiducia reciproca, la cooperazione e l'interdipendenza. Ciò presuppone rapporti di ampia portata geografica e profondi, sulla base di accordi che comportano disposizioni importanti in materia energetica.

Il Consiglio europeo ha approvato la prospettiva di un quadro a lungo termine per la dimensione energetica esterna stabilito congiuntamente dalla Commissione e dal Consiglio[67]


e ha convenuto di istituire una rete di corrispondenti per la sicurezza energetica che garantirà un sistema di allarme tempestivo e rafforzerà la capacità dell'Unione europea di reagire prontamente nelle situazioni esterne di pressione sulla sicurezza energetica.

L'UE si esprime già con una sola voce nei negoziati di accordi internazionali, in particolare nel settore del commercio. Gli attuali e futuri accordi internazionali, bilaterali o multilaterali, possono essere utilizzati più efficacemente per stabilire impegni giuridicamente vincolanti. Questi impegni possono riguardare persino la liberalizzazione reciproca delle condizioni degli scambi o degli investimenti nei mercati a monte e a valle, nonché la concessione dell'accesso alle condotte da parte di paesi situati lungo le catene di transito e di trasporto. D'altra parte possono servire a promuovere il commercio internazionale di biocarburanti prodotti con procedimenti sostenibili o di beni ambientali, o la tariffazione delle emissioni di carbonio a livello internazionale.

Adesso l'Unione europea deve passare dalla teoria alla pratica. Il primo passo per "parlare con una voce sola" consiste nello stabilire obiettivi chiari e i mezzi per un coordinamento efficace. Le analisi strategiche regolari nel settore dell'energia costituiranno il quadro generale per dibattiti frequenti su questioni energetiche esterne in seno alle istituzioni dell'UE. Una politica energetica esterna efficace dell'UE, nei prossimi tre anni, deve incentrarsi in via prioritaria sugli aspetti elencati qui di seguito.

·§      La Comunità europea e i suoi Stati membri dovrebbero svolgere un ruolo propulsore nell'elaborazione degli accordi internazionali, tra cui il futuro trattato sulla Carta dell'energia e il regime applicabile alla politica climatica nel periodo post-2012.

·§      I rapporti tra l'Unione europea e i suoi vicini nel settore dell'energia sono fondamentali per la sicurezza e la stabilità dell'Europa. L'Unione europea deve mirare a creare intorno a sé una vasta rete di paesi, agendo sulla base di regole o principi condivisi derivanti dalla sua politica energetica.

·§      Il rafforzamento dei rapporti con i nostri fornitori di energia esterni, sviluppando ulteriormente partnership globali basate sull'interesse reciproco, la trasparenza, la prevedibilità e la reciprocità.

·§      Proseguimento di rapporti energetici più stretti con altri grandi consumatori, nell'ambito dell'AIE e del G8 o nel quadro di una cooperazione bilaterale rafforzata.

·§      Lo sviluppo dell'utilizzazione di strumenti finanziari, nell'ambito di una cooperazione rafforzata con la BEI e la BERS e dell'istituzione di un fondo di investimento per la politica di vicinato, al fine di migliorare la sicurezza energetica dell'Unione europea.

·§      Il miglioramento delle condizioni d'investimento in progetti internazionali, impegnandosi, ad esempio, per istituire un quadro giuridico chiaramente definito e trasparente e nominare dei coordinatori europei incaricati di rappresentare gli interessi dell'Unione europea in progetti internazionale di rilievo.

·§      La promozione della non proliferazione nonché della sicurezza e della protezione nucleari, in particolare nell'ambito di una cooperazione consolidata con l'Agenzia internazionale dell'energia atomica.


Le modalità d'azione dettagliate per il conseguimento di questi obiettivi, discusse attentamente dal Consiglio europeo nel corso del vertice di Lahti e del Consiglio europeo di dicembre 2006, sono riportate nell'allegato della presente analisi. La Commissione, tuttavia ritiene opportuno realizzare anche le due azioni prioritarie illustrate qui di seguito.

-       Un partenariato energetico globale Africa-Europa. L'importanza dell'Africa in quanto fornitore di energia si è considerevolmente rafforzata nel corso negli ultimi anni, ma il suo potenziale è ancora ampio. Il dialogo dovrebbe vertere anche sulla sicurezza dell'approvvigionamento, il trasferimento tecnologico nel campo delle energie rinnovabili, lo sfruttamento sostenibile delle risorse, la trasparenza dei mercati energetici e il rispetto dei principi di una buona governance. Il dialogo dovrebbe essere avviato mediante un evento congiunto di altissimo livello.

-       Come già indicato, un accordo internazionale nel settore dell'efficienza energetica.

3.9.1.3.9.1 L'integrazione delle politiche dell'Unione europea nei settori dell'energia e dello sviluppo: una soluzione vantaggiosa per tutti

I prezzi elevati dell'energia penalizzano in particolar modo i paesi in via di sviluppo. Alcuni paesi ne traggono vantaggio in quanto produttori, ma altri vedono il beneficio degli aiuti allo sviluppo che ricevono annullato dall'aumento del costo delle importazioni di energia[68]. L'Africa e altre regioni del mondo in via di sviluppo hanno assolutamente interesse, come l'Europa, a rafforzare la diversificazione e migliorare l'efficienza energetica – ciò può contribuire notevolmente agli Obiettivi di sviluppo per il millennio. L'Unione europea si impegna pertanto ad aiutare i paesi in via di sviluppo a promuovere un approvvigionamento e un consumo energetico sostenibili e sicuri.

Per concretizzare tale impegno, l'Unione europea deve privilegiare la fornitura di servizi energetici poco costosi, affidabili e sostenibili ai meno abbienti, ricorrendo in particolare alle energie rinnovabili e allo sviluppo di tecnologie pulite ed efficienti per la produzione di gas e petrolio. L'Africa offre una possibilità straordinaria di utilizzare, in modo competitivo, delle tecnologie legate alle energie rinnovabili. Può infatti saltare la fase della costruzione di costose reti di trasporto dell'energia e passare "con un solo balzo" alla nuova generazione di fonti e tecnologie pulite, decentralizzate e a basse emissioni di carbonio, come è già avvenuto per le telecomunicazioni mobili. Si tratta di una soluzione vantaggiosa per tutti che consente di rafforzare la penetrazione dell'energia rinnovabile e pulita e portare l'energia elettrica ad alcune delle comunità più povere del pianeta. Nell'Africa subsahariana, in cui le percentuali di accesso all'energia elettrica sono tra le più basse del mondo, sarà necessario un particolare sforzo.

L'UE si avvarrà a tal fine dei vari strumenti di cui dispone, ossia il 10° Fondo di sviluppo europeo, il partenariato UE-Africa per le infrastrutture che riguarda progetti regionali in materia di produzione e trasporto dell'energia, lo strumento ACP-UE per l'energia, il programma CE COOPENER e il suo successore e infine il programma EUROSOLAR per l'America Latina.

3.10.3. 10 Monitoraggio e notifiche efficaci

Il monitoraggio, la trasparenza e la notifica saranno gli elementi fondamentali dello sviluppo progressivo di una politica energetica europea efficace. La Commissione propone di istituire un Ufficio dell'osservatorio dell'energia in seno alla Direzione generale dell'energia e dei trasporti. Questo ufficio dovrebbe svolgere funzioni essenziali in relazione all'offerta e alla domanda di energia in Europa, in particolare rafforzando la trasparenza per quanto riguarda le future esigenze di investimenti nell'UE per le infrastrutture e gli impianti di produzione di elettricità e gas. Inoltre, mediante esercizi di valutazione comparativa e scambi di buone pratiche, garantirà il successo degli Stati membri nel loro impegno per modificare il loro mix energetico, al fine di contribuire efficacemente al conseguimento degli obiettivi energetici dell'Unione europea.

La Commissione definirà le responsabilità specifiche dell'osservatorio e proporrà nel 2007 una base giuridica per il finanziamento delle sue attività. Nel contempo esaminerà e semplificherà gli obblighi vigenti (per sé stessa e gli Stati membri) in materia di informazione e notifica nel campo dell'energia.

4.4. Portare avanti il lavoro

La presente analisi strategica illustra una serie di misure necessarie per realizzare gli obiettivi di un'energia sostenibile, sicura e competitiva. La prima tappa consiste nell'ottenere decisioni chiare dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo per quanto concerne l'approccio strategico e un piano d'azione per consentire all'Unione di conseguire obiettivi ambiziosi, ampi e di lungo termine. Le future analisi strategiche possono aiutare l'Unione europea a perfezionare e aggiornare il suo piano d'azione in modo da tenere conto delle evoluzioni – in primo luogo, ovviamente, i progressi tecnologici e l'azione internazionale di lotta contro i cambiamenti climatici. La riduzione delle emissioni in Europa e nel mondo è indissociabile dalla politica energetica europea.

Se l'Unione conseguisse gli obiettivi specifici proposti per quanto concerne l'efficienza energetica e le energie rinnovabili, sarebbe sulla buona strada per ridurre le emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 e, su questa scia, per ridurle drasticamente entro il 2050, conformemente agli obiettivi stabiliti. Un'azione risoluta oggi consentirà di progredire per ottenere la stabilizzazione della nostra dipendenza dalle importazioni, investimenti in tempo utile, nuovi posti di lavoro e un progresso nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio. L'UE guiderebbe così il mondo verso una nuova rivoluzione industriale.

La Commissione invita pertanto il Consiglio europeo e il Parlamento a:

·§      approvare, nei negoziati internazionali, l'obiettivo per l'UE di ridurre del 30% le emissioni dei gas serra entro il 2020 (rispetto ai livelli del 1990);

·§      approvare sin d'ora l'impegno da parte dell'UE di conseguire, in ogni caso, una riduzione di almeno il 20% delle emissioni di gas serra dei paesi sviluppati da qui al 2020 (rispetto ai livelli del 1990);

·§      confermare la necessità di misure supplementari affinché i vantaggi potenziali dei mercati interni del gas e dell'elettricità diventinouna realtà per l'insieme dei cittadini e delle imprese europei. In particolare:

·§      impegnarsi a separare ulteriormente per rafforzare la concorrenza, aumentare gli investimenti ed ampliare le opzioni disponibili per i consumatori, mediante la separazione della proprietà o il gestore indipendente della rete. Alla luce degli elementi di cui dispone, la Commissione ritiene cha la separazione della proprietà sia il modo più efficace di garantire una scelta ai consumatori e di incoraggiare gli investimenti. Sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo del 9 marzo e della posizione del Parlamento europeo, la Commissione presenterà rapidamente una proposta legislativa.

·§      Garantire una regolamentazione efficace in ogni Stato membro mediante l'armonizzazione dei poteri e dell'indipendenza dei regolatori dell'energia, sulla base del massimo denominatore comune nell'Unione europea, e l'affidamento ai regolatori del compito di sviluppare il mercato interno dell'energia e i mercati nazionali.

·§      Accelerare l'armonizzazione delle norme tecniche necessarie per consentire l'adeguato funzionamento del commercio transfrontaliero e garantire la promozione del mercato europeo istituendo un organismo unico a livello comunitario o, perlomeno, mediante una rete europea di regolatori indipendenti che dovrebbe tenere adeguatamente conto degli interessi europei e vedrebbe un'adeguata partecipazione della Commissione.

·§      Istituire nel 2007 un nuovo meccanismo e una nuova struttura comunitari per gli operatori di reti di trasporto responsabili della pianificazione coordinata delle reti, che riferisce anche ai regolatori nazionali e alla Commissione; questi operatori dovrebbero anche essere tenuti a proporre norme di sicurezza minime per la rete che, una volta approvate dai regolatori e dalla Commissione, diventerebbero giuridicamente vincolanti.

·§      Approvare la presentazione nel 2007, da parte della Commissione, di norme minime in materia di trasparenza.

·§      Accogliere favorevolmente una nuova Carta del cliente nel settore dell'energia.

·§      Realizzare ulteriori progressi nella costruzione di nuove interconnessioni fondamentali; sottolineare la necessità di nominare dei coordinatori europei per seguire i progetti prioritari più problematici e invitare la Commissione a presentare, nel 2007, una proposta legislativa ufficiale che fissi un periodo massimo di 5 anni nel corso del quale le procedure di pianificazione e approvazione dovranno essere portate a termine per i progetti di interesse europeo.

·§      Appoggiare la necessità di realizzare ulteriori progressi per garantire la solidarietà tra gli Stati membri in caso di crisi energetica o di interruzione dell'approvvigionamento. Occorre a tal fine istituire meccanismi efficaci. Accogliere favorevolmente l'intenzione della Commissione di presentare nel 2007 una comunicazione sulle riserve strategiche che preveda, qualora opportuno, misure più rigorose.

·§      Sottolineare che l'Unione deve innanzitutto intensificare i suoi sforzi a favore di un'azione mondiale contro i cambiamenti climatici. Accogliere con favore l'intenzione della Commissione di approfittare di tutte le occasioni, nei negoziati internazionali, bilaterali o


·multilaterali, per promuovere la lotta contro i cambiamenti climatici, coordinare le politiche energetiche e intensificare la cooperazione in materia di tecnologie pulite.

·Approvare l'obiettivo di ridurre, in modo efficiente rispetto ai costi, il consumo di energia dell'Unione europea del 20% entro il 2020, conformemente al piano d'azione della Commissione sull'efficienza energetica e appoggiare l'intenzione della Commissione di adottare misure concrete per conseguire questo obiettivo, in particolare:

-       stabilire ed aggiornare regolarmente dei requisiti minimi di efficienza per le apparecchiature che consumano energia,

-       realizzare ulteriori risparmi energetici negli edifici, avvalendosi e sviluppando il quadro fornito dalla direttiva sul rendimento energetico degli edifici;

-       valorizzare il considerevole potenziale di efficienza energetica dei trasporti, utilizzando varie misure, anche legislative se del caso;

-       migliorare il comportamento di tutti i consumatori di energia sul piano dell'efficienza e dei risparmi energetici, dimostrando in particolare i vantaggi offerti dalle tecnologie disponibili o dai comportamenti;

-       continuare a migliorare l'efficienza della produzione di elettricità, in particolare promuovendo le tecnologie di produzione combinata di calore e elettricità ad elevata efficienza.

·§      Approvare l'obiettivo vincolante del 20% per la quota delle energie rinnovabili nel consumo energetico globale dell'Unione europea da qui al 2020 e di almeno 10% per i biocarburanti. Invitare la Commissione a presentare una nuova direttiva che traduca questi obiettivi in pratica nel 2007 e fissi obiettivi nazionali e la procedura di sviluppo dei piani d'azione nazionali per realizzarli.

·§      Sottolineare l'esigenza di un piano strategico ambizioso e mirato per le tecnologie energetiche e sostenere l'intenzione della Commissione di proporre ufficialmente questo piano nel 2007.

·§      Confermare che urge disporre di una prospettiva chiara su quando i dispositivi di cattura e stoccaggio della CO2 dovranno essere installati nelle centrali a carbone e a gas dell'Unione europea; istituire un meccanismo per incentivare la costruzione e l'utilizzo di al massimo 12 dimostratori su grande scala di tecnologie sostenibili dei combustibili fossili per la produzione commerciale di elettricità nell'Unione europea.

·§      Appoggiare l'intenzione della Commissione di istituire un gruppo comunitario ad alto livello sulla sicurezza e la protezione nucleari incaricato di sviluppare progressivamente una posizione comune e, in un secondo tempo, delle regole comunitarie nuove in materia di sicurezza e protezione nucleari, a sostegno degli sforzi degli Stati membri che hanno scelto di continuare ad avvalersi dell'energia nucleare.

·§      Ribadire l'importanza di "parlare con una voce sola" sulle questioni energetiche internazionali. Oltre alla necessità di concretizzare le conclusioni del vertice di Lahti e del Consiglio europeo di dicembre 2006, (i) approvare la proposta di un partenariato energetico globale e sostenere l'intenzione della Commissione di avviarlo con un evento


·congiunto di altissimo livello nel corso del 2007 e (ii) accogliere favorevolmente l'intenzione della Commissione di concludere un accordo internazionale sull'efficienza energetica e presentare al Consiglio e al Parlamento la base di un accordo di questo tipo nel primo semestre del 2007.

·§      Approfittare dei negoziati internazionali per promuovere metodi sostenibili di produzione e il commercio internazionale di beni e servizi ambientali ed energetici.

·§      Rallegrarsi dell'intenzione della Commissione di presentare una nuova analisi strategica della politica energetica ogni due anni e proporre, nel 2007, una base giuridica ufficiale per finanziare i lavori di un Ufficio dell'osservatorio dell'energia in seno alla Commissione, incaricato di coordinare e migliorare la trasparenza dei mercati energetici dell'UE.

Allegato 1: Priorità della politica energetica internazionale dell'UE

Allegato 2: Vantaggi e inconvenienti delle diverse fonti di energia elettrica, sulla base dei prezzi attuali del petrolio, del gas e del carbone        

Allegato 3: Vantaggi e inconvenienti delle diverse fonti di energia per il riscaldamento

Allegato 4: Vantaggi e inconvenienti delle diverse fonti di energia per il trasporto stradale

Le fonti delle cifre contenute negli allegati sono indicate nel documento di lavoro dei servizi della Commissione: dati della politica energetica dell'Unione europea[69].


Allegato 1

4.1.4.1 Priorità della politica energetica internazionale dell'Unione europea

La politica energetica esterna dell'UE nei prossimi tre anni deve incentrarsi in via prioritaria sugli aspetti elencati qui di seguito:

·§      La promozione di accordi internazionali, in particolare il regime applicabile alla politica climatica nel periodo post-2012, l'estensione dello scambio dei diritti di emissione ai partner mondiali, il futuro trattato sulla Carta dell'energia, nonché lo sviluppo e la diffusione di tecnologie pulite per le energie rinnovabili. Ciò presuppone il rafforzamento del coordinamento tra l'UE e gli Stati membri nei consessi internazionali e di migliorare la collaborazione con l'Agenzia internazionale dell'energia. L'UE parteciperà anche ad iniziative multilaterali, tra cui la partnership della Banca mondiale mirante alla riduzione del gas flaring (pratica, nell'estrazione del greggio, che consiste nel bruciare del gas naturale a cielo aperto) e l'iniziativa a favore della trasparenza delle industrie estrattive. Per rafforzare la coerenza, l'UE dovrebbe anche impegnarsi, se del caso, a aderire alle organizzazioni internazionali pertinenti.

·§      L'istituzione di rapporti energetici con i paesi confinanti dell'Unione europea, sulla scia della recente proposta della Commissione relativa allo sviluppo della politica europea di vicinato (PEV)[70] anche nel settore dell'energia, con un eventuale trattato energetico UE-PEV cui, a lungo termine, potrebbero aderire tutti i paesi vicini interessati. Il trattato che istituisce la Comunità dell'energia costituisce già la base di un mercato energetico regionale che dovrebbe mirare ad estendersi progressivamente al di fuori del territorio dell'Unione e dei Balcani occidentali, per integrare dei paesi limitrofi come la Moldova, la Norvegia, la Turchia e l'Ucraina. Occorre migliorare i rapporti energetici con l'Egitto ed altri fornitori e paesi di transito del Mashrek/Maghreb, nonché con la Libia. Sia la Norvegia che l'Algeria meritano una particolare attenzione e rapporti definiti su misura.

·§      La riduzione delle minacce di eventuali interruzioni di approvvigionamento o di una distruzione fisica di infrastrutture energetiche critiche al di fuori del territorio dell'Unione europea mediante uno scambio di migliori pratiche con tutti i partner dell'Unione e le organizzazioni internazionali interessate, sulla base delle azioni relative alle infrastrutture interne menzionate nella recente comunicazione della Commissione su un programma europeo di protezione delle infrastrutture.

·§      Il rafforzamento delle relazioni con la Russia mediante la negoziazione di un nuovo accordo quadro solido e completo che istituisca, a vantaggio di entrambe le parti, un vero partenariato nel settore dell'energia per creare le condizioni necessarie per nuovi investimenti. Questo accordo dovrebbe porre l'accento sui vantaggi reciproci che la Russia e l'Unione europea ne trarranno a lungo termine e integrare i principi del mercato, del trattato sulla Carta dell'energia e del progetto di protocollo sul transito.

·§      L'approfondimento del dialogo e delle relazioni con i principali produttori di energia e i paesi di transito, nell'ambito di organizzazioni come l'OPEP e il Consiglio di cooperazione del Golfo o mediante la completa attuazione dei protocolli di accordo con l'Azerbaigian e il


·Kazakistan. Stabilimento di nuovi contatti con altri importanti produttori dell'Asia centrale come il Turkmenistan e l'Uzbekistan. Inoltre occorre assolutamente agevolare il trasporto delle risorse energetiche del mar Caspio verso l'Unione europea. La Commissione presenterà anche una comunicazione sulla cooperazione con il mar Nero nel corso della primavera del 2007. Questo aspetto della strategia dovrebbe contemplare anche paesi molto più distanti (America latina e Caraibi, ad esempio) per ottimizzare la diversificazione geografica dell'approvvigionamento energetico. Si dovrebbero inoltre esaminare nuove fonti di energia, avviando il dialogo con il Brasile per integrare i biocarburanti, e organizzando nel 2007 una conferenza internazionale sui biocarburanti.

·§      Istituzione di una nuova partnership Africa-Europa nel settore dell'energia. L'importanza dell'Africa in quanto fornitore di energia continua ad aumentare e i rapporti devono passare attraverso un dialogo globale che comprenda la sicurezza dell'approvvigionamento, il trasferimento tecnologico nelle energie rinnovabili, lo sfruttamento sostenibile delle risorse, la trasparenza dei mercati energetici e il rispetto dei principi di una buona governance. Il dialogo dovrebbe essere avviato mediante un evento congiunto di altissimo livello.

·§      Il miglioramento dei rapporti con altri importanti consumatori di energia. In particolare, i rapporti con partner come gli Stati Uniti dovrebbero continuare a riguardare settori come la promozione di mercati mondiali dell'energia aperti e competitivi, l'efficienza energetica, la cooperazione nel campo della regolamentazione e la ricerca. Le misure già adottate nei confronti della Cina dovrebbero essere ulteriormente sviluppate ponendo l'accento sulle tecnologie avanzate del carbone a "bassissime emissioni", i risparmi energetici e le energie rinnovabili. Sarebbe opportuno adottare un approccio analogo con l'India.

·§      La promozione della non proliferazione, e della sicurezza e della protezione nucleari, in particolare nell'ambito di una cooperazione rafforzata con l'Agenzia dell'energia atomica e con il nuovo strumento per la cooperazione in materia di sicurezza nucleare.

§      La realizzazione di questi obiettivi presuppone la ridefinizione dei rapporti con questi partner per porre l'energia in una posizione centrale. Oltre al dialogo e ai negoziati internazionali per difendere i suoi obiettivi strategici, l'Unione europea dispone di una serie di strumenti che dovrebbe utilizzare al meglio, tra cui:

·§      Nei negoziati commerciali, l'UE parla già "con una voce sola" e la sua competenza è incontestabile. Gli accordi internazionali in materia commerciale e di investimenti, bilaterali o multilaterali, possono essere utilizzati più efficacemente per stabilire strumenti giuridicamente vincolanti. Possono contribuire alla creazione delle condizioni necessarie per un aumento degli investimenti e una produzione e una concorrenza più sostenibili. Forte degli strumenti e dei mandati adeguati, l'Unione europea sarà in grado, ad esempio, di operare meglio a favore della liberalizzazione reciproca delle condizioni degli investimenti e degli scambi sui mercati a monte e a valle, ed eventualmente per ottenere l'accesso alle condotte. Lo stesso vale per la promozione di una tariffazione internazionale delle emissioni di carbonio o del commercio dei biocarburanti.

·§      Miglioramento della cooperazione con la BEI e la BERS per utilizzare strumenti finanziariche consentiranno di sostenere i partenariati energetici mediante azioni concrete, finanziando progetti importanti quali il corridoio energetico che attraversa la regione del Mar Caspio o i progetti Africa subahariana–Maghreb–UE. I progetti energetici potrebbero costituire un elemento fondamentale nei fondi di investimento proposti a favore della politica di vicinato, concepiti per mobilitare da 4 a 5 volte l'importo del finanziamento disponibile nell'ambito dello strumento europeo per la politica di vicinato.

·§      La promozione di condizioni più favorevoli per gli investimenti nei progetti internazionali, grazie ad un quadro chiaramente definito e trasparente e con il sostegno dei coordinatori europei. Innanzitutto si dovrebbe nominare un coordinatore europeo per il gasdotto Nabucco, dal Bacino del Mar Caspio fino all'Austria e all'Ungheria. In futuro si potrebbe pensare di nominare dei coordinatori per dei progetti riguardanti il trasporto di energia da paesi partner come la Turchia, l'Asia centrale e l'Africa del Nord. 


Allegato 2: Vantaggi e inconvenienti delle varie fonti di energia elettrica

Fonti energetiche

Tecnologia considerata per la stima dei costi

Costo nel 2005

(euro/MWh)

Costo previsto per il 2030

(euro/MWh)

Emissioni di gas serra

(Kg CO2eq/MWh)

Dipendenza dell'UE-27 dalle

importazioni

Efficienza

Sensibilità al prezzo del combustibile

Riserve accertate

/

Produzione annua

Fonte AIE

2005

2030

Gas naturale

Turbina a gas a ciclo aperto

45 – 70

55-85

440

57%

84%

40%

Molto elevata

64 anni

Turbina a gas a ciclo combinato (CCGT)

35 - 45

40-55

400

50%

Molto elevata

Petrolio

Motore diesel

70 - 80

80-95

550

82%

93%

30%

Molto elevata

42 anni

Carbone

Combustibile polverizzato con desolforazione dei gas di scappamento

30 - 40

45-60

800

39%

59%

40-45%

Media

155 anni

Combustione a letto fluido circolante (CFBC)

35 - 45

50-65

800

40-45%

Media

Gassificazione integrata a ciclo combinato (IGCC)

40 - 50

55-70

750

48%

Media

Energia nucleare

Reattore ad acqua leggera

40 - 45

40 - 45

15

Quasi 100% per il minerale d'uranio

33%

Bassa

Riserve ragionevoli: 85 anni

Biomassa

Centrale a biomassa

25 - 85

25 - 75

30

nessuna

30 - 60%

Media

Energie rinnovabili

Energia eolica

Terrestre

35 - 175

28 - 170

30

95-98%

Nessuna

35 – 110

28 – 80

Off shore

50 - 170

50 - 150

10

95-98%

60 – 150

40 – 120

Idroelettricità

Grande

25 - 95

25 - 90

20

95-98%

Piccola (<10MW)

45 - 90

40 - 80

5

95-98%

Energia solare

Fotovoltaica

140 - 430

55 -260

100

/


Allegato 3: Vantaggi e inconvenienti delle varie fonti di energia per il riscaldamento

Fonti energetiche

Quota di mercato dell'UE-25 per fonte energetica

 Prezzo di mercato

(euro/tep )

Costo del ciclo di vita

(euro/tep )

Emissioni di gas serra

(t CO2eq/tep )

Dipendenza dell'UE dalle importazioni

2005

2030

Combustibili fossili

Gasolio da riscaldamento

20%

525

(0,45 euro/l)

300-1300

3.1

82%

93%

Gas naturale

33%

230 – 340

(20-30 euro/MWh)

2.1

57%

84%

Carbone

1,8%

70

(100 euro/tec)

4

39%

59%

Biomassa

Trucioli

5,7%

280

545-1300

0.4

0

?

Pellet

540

630-1300

0.4

0

?

Energia elettrica

31%

550 - 660

(50-60 euro/MWh)

550 - 660

0 to 12

<1%

?

Energia solare

0,2%

/

680-2320

Ridottissime

0

0

Energia geotermica

0,4%

/

230-1450

Ridottissime

0

0


Allegato 4: Vantaggi e inconvenienti delle varie fonti di energia per il trasporto stradale

 

 Prezzo di mercato

(euro/tep)

Emissioni di CO2

(t CO2/tep)[71]

 

2005

2030

Benzina e diesel

398-582[72]

3,6–3,7

82%

93%

Gas naturale

230–340

(NB: richiede un veicolo appositamente adattato e un sistema di distribuzione specifico)

3,0

57%

84%

Biocarburante domestico

609-742

1,9–2,4

0%

0%

Bioetanolo tropicale

327-540

0,4

100%

100%

Biocarburante di seconda generazione

898–1 109

0,3–0,9

/

15%

 


 

 


COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

Bruxelles, 10.1.2007

COM(2007)2 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius

La via da percorrere fino al 2020 e oltre

{SEC(2007) 7}

{SEC(2007) 8}


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius

La via da percorrere fino al 2020 e oltre

1.           Sintesi

I cambiamenti climatici sono una realtà e occorre intervenire con urgenza per limitarli in modo che siano gestibili. L'UE deve adottare i provvedimenti necessari al proprio interno e assumere una posizione leader in ambito internazionale per garantire che l'innalzamento della temperatura media a livello mondiale non superi di oltre 2 °C i livelli dell'era preindustriale.

La presente comunicazione e la scheda d'impatto che l'accompagna indicano che si tratta di un obiettivo realizzabile sotto il profilo tecnico ed economicamente sostenibile, a condizione che i principali responsabili delle emissioni agiscano tempestivamente. I benefici, infatti, superano di gran lunga i costi.

La presente comunicazione è destinata al Consiglio europeo di primavera del 2007, che dovrebbe decidere in merito ad un approccio integrato e completo nell'ambito delle politiche dell'UE nei settori dell'energia e dei cambiamenti climatici. Fa seguito alla comunicazione del 2005 "Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici", che proponeva raccomandazioni concrete sulle politiche climatiche dell'UE e definiva i principali elementi che dovevano costituire la futura strategia climatica dell'UE. Nel definire le prossime fasi della nostra politica sui cambiamenti climatici, il Consiglio europeo dovrebbe adottare decisioni che favoriscano l'instaurazione delle condizioni necessarie a raggiungere un nuovo accordo globale che faccia seguito ai primi impegni derivanti dal protocollo di Kyoto dopo il 2012.

La presente comunicazione propone che l'UE persegua, nell'ambito di negoziati internazionali, un obiettivo di riduzione dei gas serra pari al 30% rispetto ai valori del 1990, che i paesi industrializzati dovranno conseguire entro il 2020: in questo modo sarà possibile contenere l'aumento della temperatura entro il limite dei 2 °C in tutto il mondo. Fino a che non sarà concluso un accordo internazionale, e fatta salva la posizione che assumerà nell'ambito dei negoziati internazionali, l'UE dovrebbe fin d'ora assumersi l'impegno risoluto e unilaterale di abbattere le emissioni dei gas serra di almeno il 20% entro il 2020 ricorrendo al sistema UE di scambio delle quote di emissione, ad altre politiche in materia di cambiamenti climatici e a interventi nel contesto della politica energetica. Questo approccio permetterà all'UE di dimostrare la propria posizione di leader a livello internazionale nelle questioni riguardanti il clima, oltre a segnalare all'industria che il sistema UE di scambio delle quote andrà avanti anche oltre il 2012, incoraggiando così gli investimenti nelle tecnologie per l'abbattimento delle emissioni e le alternative a basse emissioni di carbonio.

Dopo il 2020 le emissioni prodotte dai paesi in via di sviluppo supereranno quelle dei paesi industrializzati; nel frattempo, il tasso di crescita delle emissioni complessive dei paesi in via di sviluppo dovrebbe cominciare a rallentare e, a partire dal 2020, dovrebbe verificarsi un calo in termini assoluti. Questo obiettivo potrà essere raggiunto senza compromettere la crescita economica e la lotta alla povertà, grazie ad un'ampia rosa di misure nei settori dei trasporti e dell'energia, che presentano notevoli possibilità di riduzione delle emissioni e potranno, di per sé, anche apportare benefici immediati sotto il profilo sociale ed economico.

Entro il 2050 le emissioni globali dovranno essere abbattute fino al 50% rispetto al 1990; ciò significa che i paesi industrializzati dovranno ridurle del 60-80%. Ma le emissioni dovranno diminuire sensibilmente anche in molti paesi in via di sviluppo.

Gli strumenti di mercato come il sistema UE di scambio delle quote di emissione saranno un elemento determinante per far sì che l'Europa e altri paesi conseguano gli obiettivi previsti al più basso costo possibile. La disciplina che entrerà in vigore dopo il 2012 dovrebbe consentire di collegare tra loro sistemi analoghi di scambio dei diritti di emissione in vigore in vari ambiti nazionali e in questo contesto il sistema di scambio dell'UE dovrebbe rappresentare il fulcro del futuro mercato globale del carbonio. Il sistema UE continuerà ad accettare i crediti derivanti dai progetti nell'ambito del meccanismo di sviluppo pulito (CDM) e dell'attuazione congiunta (JI) previsti dal protocollo di Kyoto, anche dopo il 2012.

È auspicabile che l'UE e gli Stati membri decidano di incrementare sensibilmente gli investimenti destinati alle attività di ricerca e sviluppo nei settori della produzione di energia e del risparmio energetico.

2.           La sfida del clima: realizzare l'obiettivo dei 2 °C

Dati scientifici affidabili dimostrano che è ormai imprescindibile intervenire con urgenza per far fronte ai cambiamenti climatici. Studi recenti, come il rapporto Stern, ribadiscono che la mancanza di intervento avrà costi molto ingenti, non solo economici, ma anche sociali e ambientali, che ricadranno in particolare sulle fasce più povere della popolazione, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati. L'inazione avrà inoltre gravi implicazioni in termini di sicurezza, sia in ambito locale che mondiale. Gran parte delle soluzioni possibili esiste già, ma ora i governi sono chiamati ad adottare le politiche necessarie per metterle in atto. Sotto questo profilo, oltre al fatto che i costi correlati sono gestibili, si può affermare che la lotta ai cambiamenti climatici avrà anche notevoli benefici sotto altri aspetti.

L'UE si pone l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media mondiale entro 2 °C prendendo come riferimento i valori preindustriali. Ciò limiterà gli effetti dei cambiamenti climatici e l'eventualità di sovvertimenti massicci e irreversibili dell'ecosistema mondiale. Il Consiglio ha sottolineato che, per ottenere tale risultato, le concentrazioni dei gas serra in atmosfera dovranno rimanere al di sotto delle 550 ppmv di CO2 equivalente: se si stabilizzano le concentrazioni sul lungo termine a circa 450 ppmv di CO2 equivalente, c'è il 50% di probabilità di riuscita. A tal fine, da qui al 2025 le emissioni dei gas serra dovranno stabilizzarsi, per poi ridursi fino al 50% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. Il Consiglio ha concordato sul fatto che i paesi industrializzati dovranno proseguire sulla strada intrapresa e ridurre le proprie emissioni del 15-30% per il 2020. Il Parlamento europeo, a sua volta, ha proposto un obiettivo di riduzione del CO2 per l'UE del 30% per il 2020 e del 60-80% entro il 2050.

La presente comunicazione individua le possibili soluzioni finalizzate ad adottare misure efficaci e realistiche all'interno dell'UE e su scala mondiale che permettano di conseguire l'obiettivo dei 2 ºC. L'andamento delle emissioni dei gas serra presentato nella valutazione d'impatto rappresenta uno scenario economicamente efficace per realizzare l'obiettivo, partendo dal presupposto che entro il 2020 i paesi industrializzati riducano del 30% le proprie emissioni rispetto ai valori del 1990. La valutazione dimostra inoltre che le riduzioni ottenute dai paesi industrializzati, da sole, non basteranno. Secondo i dati disponibili, infatti, nel 2020 le emissioni dei paesi in via di sviluppo supereranno quelle del mondo industrializzato e tale aumento renderà vane le riduzioni conseguibili nei paesi industrializzati oltre quella data. Per un intervento efficace contro i cambiamenti climatici sarà dunque necessario diminuire l'incremento delle emissioni di gas serra prodotte dai paesi in via di sviluppo e invertire la tendenza per le emissioni connesse alla deforestazione.

Una politica sostenibile ed efficace a favore delle foreste rafforza inoltre il contributo che queste danno alla riduzione complessiva delle concentrazioni di gas serra.

3.           I costi dell'inazione e dell'azione

Nella comunicazione del 2005 "Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici" la Commissione ha dimostrato che i benefici derivanti dal contenimento dei cambiamenti climatici sono superiori ai costi degli interventi necessari. Studi recenti hanno confermato che i cambiamenti climatici hanno vaste ripercussioni, dall'agricoltura alla pesca, dalla desertificazione alla biodiversità, dalle risorse idriche alla mortalità legata alla calura o al clima rigido, dalle zone costiere ai danni derivanti dalle alluvioni.

L'impatto dei cambiamenti climatici sarà probabilmente disomogeneo; alcune regioni dell'UE saranno particolarmente colpite. Nell'Europa meridionale, ad esempio, i cambiamenti climatici faranno verosimilmente diminuire la resa delle colture, aumentare la mortalità dovuta alla calura e avranno ripercussioni negative sul turismo nella stagione estiva.

Il rapporto Stern stabilisce che i cambiamenti climatici sono il risultato del più ampio fallimento del mercato mai registrato a livello mondiale. Il fatto di non aver considerato i costi dei cambiamenti climatici nei prezzi di mercato che determinano il nostro comportamento economico implica enormi costi economici e sociali. Secondo il rapporto, i costi dell'inazione – che possono variare dal 5 al 20% del PIL mondiale – ricadranno esageratamente sui ceti più poveri, che hanno anche minori capacità di adattamento, e ciò acuirà l'impatto sociale dei cambiamenti climatici.

Nel 2030 il PIL mondiale dovrebbe essere circa doppio rispetto al 2005. La crescita del PIL nei paesi in via di sviluppo maggiormente responsabili delle emissioni rimarrà più elevata di quella dei paesi industrializzati. La valutazione d'impatto mostra che l'intervento contro i cambiamenti climatici a livello mondiale è pienamente compatibile con la crescita su scala mondiale. Nel periodo 2013-2030 gli investimenti in un'economia a basse emissioni di carbonio richiederanno circa lo 0,5% del PIL mondiale totale, il che ridurrà la crescita di quest'ultimo soltanto dello 0,19% annuo fino al 2030, una percentuale relativa del tasso di crescita previsto del PIL (+2,8%). Si può affermare che si tratti di una sorta di premio assicurativo da versare per ridurre sensibilmente il rischio di danni irreversibili conseguenti ai cambiamenti climatici. Occorre inoltre sottolineare un fattore ancora più importante e cioè che tali cifre sovrastimano molto l'impegno richiesto, perché non tengono conto dei benefici sanitari connessi, della maggiore sicurezza energetica e della riduzione dei danni dovuti al fatto di aver evitato i cambiamenti climatici.

4.           I benefici dell'azione, legame con altre politiche

Negli ultimi tre anni il prezzo del petrolio e del gas è raddoppiato e quello dell'elettricità lo ha seguito a ruota; il prezzo dell'energia dovrebbe rimanere elevato e aumentare nel tempo. Il Piano d'azione per l'efficienza energetica che la Commissione ha presentato di recente dimostra che c'è una valida motivazione economica per adottare politiche che migliorino l'efficienza complessiva dell'uso delle risorse, anche senza tener conto delle riduzioni delle emissioni che ne deriverebbero.

La valutazione d'impatto mette in luce che l'intervento dell'UE per combattere i cambiamenti climatici dovrebbe aumentare notevolmente la sicurezza energetica dell'UE: basti pensare che, per il 2030, le importazioni di petrolio e di gas dovrebbero ridursi del 20% circa ciascuna rispetto alla situazione di status quo. La possibilità di integrare le politiche energetiche con quelle sui cambiamenti climatici garantirà, pertanto, che queste si rafforzino a vicenda.

L'azione contro i cambiamenti climatici riduce, inoltre, l'inquinamento atmosferico. Se, ad esempio, nell'UE le emissioni di CO2 diminuissero del 10% entro il 2020, i benefici in termini sanitari sarebbero enormi (le stime parlano di importi compresi tra 8 e 27 miliardi di euro). Tali politiche dovrebbero pertanto agevolare il conseguimento degli obiettivi fissati nella strategia dell'UE sull'inquinamento atmosferico.

Benefici di questo tipo riguardano anche altri paesi: secondo le stime, nel 2030 gli Stati Uniti, la Cina e l'India dovrebbero importare come minimo il 70% del petrolio che consumano. Potrebbero inoltre insorgere tensioni geopolitiche dovute allo scarseggiare delle risorse. Al contempo, l'inquinamento atmosferico è in aumento, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ridurre le emissioni dei gas serra in altri paesi migliorerà la loro sicurezza sotto il profilo energetico e la qualità dell'aria.

5.           Interventi in ambito UE

(a) Fissare obiettivi di riduzione delle emissioni

Nell'UE il potenziale per ridurre le emissioni di gas serra è ancora enorme. Il riesame strategico della politica energetica dell'UE propone interventi per sfruttare gran parte di tale potenziale. Inoltre, le misure adottate nell'ambito del Programma europeo per il cambiamento climatico e altre iniziative in corso continueranno a ridurre le emissioni dopo il 2012.

L'UE potrà conseguire gli obiettivi che si è fissata in termini di cambiamenti climatici solo attraverso un accordo internazionale. Gli interventi all'interno dell'UE hanno dimostrato che è possibile tagliare le emissioni di gas serra senza compromettere la crescita economica e che le tecnologie e gli strumenti politici necessari a tal fine esistono già. L'UE continuerà ad intervenire al proprio interno per combattere i cambiamenti climatici e questo le permetterà di dare l'esempio nel contesto dei negoziati internazionali.

Sarebbe opportuno che il Consiglio decidesse che l'UE e gli Stati membri propongano, per il 2020, una riduzione del 30% delle emissioni dei gas serra da parte dei paesi industrializzati; tale proposta dovrebbe inserirsi in un accordo internazionale finalizzato a contenere il surriscaldamento del pianeta a 2 ºC al di sopra dei livelli preindustriali. Fino a che non si arriverà ad un accordo internazionale, e fatta salva la posizione che assumerà nell'ambito dei negoziati internazionali, l'UE dovrebbe fin d'ora assumersi l'impegno risoluto e unilaterale di abbattere le emissioni dei gas serra di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 facendo ricorso al sistema UE di scambio delle quote di emissione, ad altre politiche in materia di cambiamenti climatici e a interventi nel contesto della politica energetica. In questo modo verrà lanciato un segnale all'industria europea, che potrà contare sul fatto che ci sarà una forte domanda di quote anche dopo il 2012, e saranno incentivati gli investimenti nelle tecnologie di abbattimento delle emissioni e nelle alternative a basse emissioni di carbonio.

(b) Azioni derivanti dalla politica energetica dell'UE

In linea con il riesame strategico della politica energetica dell'UE, l'adozione delle misure concrete illustrate di seguito permetterà di disporre di un sistema energetico competitivo, più sostenibile e sicuro, con una forte riduzione delle emissioni dei gas serra prodotti dall'UE nel 2020. Sarà auspicabile:

migliorare del 20% l'efficienza energetica dell'UE entro il 2020;

incrementare la percentuale dell'energia ricavata da fonti rinnovabili fino al 20% entro il 2020;

adottare una politica sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio (Carbon Capture and Storage - CCS) che sia sicura sotto il profilo ambientale e che comprenda la costruzione di dodici impianti dimostrativi di vasta scala in Europa entro il 2015.

(c) Rafforzare il sistema UE di scambio delle quote di emissione

Il 45% delle emissioni di CO2 dell'UE rientra nel sistema UE di scambio delle quote; a partire dal 2013 tale percentuale dovrebbe aumentare. Nell'ambito del riesame del sistema UE di scambio sarebbe opportuno valutare almeno le soluzioni indicate di seguito che mirano a rafforzarne il ruolo.

L'assegnazione delle quote dovrebbe riguardare un periodo superiore ai cinque anni attuali: in tal modo si garantirebbe la prevedibilità necessaria per poter prendere decisioni sugli investimenti a lungo termine.

Il sistema dovrebbe essere esteso ad altri gas e settori.

Le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio devono essere riconosciute e ammesse nel sistema di scambio.

Occorre armonizzare il processo di assegnazione delle quote tra i vari Stati membri, anche attraverso un più ampio ricorso alle aste, per evitare distorsioni della concorrenza in Europa.

È opportuno collegare il sistema UE di scambio delle quote ad altri sistemi analoghi a carattere vincolante (ad esempio quelli esistenti in California e in Australia).

(d) Limitare le emissioni dei trasporti

Le emissioni del settore dei trasporti dell'UE hanno continuato ad aumentare, annullando buona parte dei risultati ottenuti nei settori dei rifiuti, dell'industria manifatturiera e dell'energia. Segue un elenco degli interventi per il comparto.

Sarebbe opportuno che il Consiglio e il Parlamento adottassero la proposta della Commissione che mira ad includere il trasporto aereo nel sistema UE di scambio delle quote.

Il Consiglio dovrebbe adottare la proposta della Commissione per correlare le tasse automobilistiche ai livelli di emissione del CO2.

Per affrontare il problema delle emissioni di CO2 prodotte dalle auto, nella comunicazione di prossima pubblicazione riguardante il conseguimento dell'obiettivo di emissione fissato dall'UE per il 2012, pari a 120 g CO2/km secondo un approccio coerente e completo, verranno proposte altre misure. Sarà inoltre valutata la possibilità di ottenere ulteriori riduzioni dopo il 2012.

Occorre rafforzare le misure che incidono sulla domanda, come quelle definite nel Libro bianco sulla politica europea dei trasporti fino al 2010 e nel riesame della stessa.

È opportuno contenere maggiormente le emissioni di gas serra prodotte dal trasporto merci su strada e per via navigabile, tenuto conto della dimensione internazionale.

È necessario ridurre le emissioni di CO2 rilasciate nell'intero ciclo di vita dei carburanti da trasporto, ad esempio accelerando lo sviluppo dei biocarburanti sostenibili ed in particolare di quelli di seconda generazione.

(e) Riduzione delle emissioni di gas serra in altri settori

Edilizia residenziale e commerciale

Il consumo di energia degli edifici potrà essere ridotto fino al 30% se si amplierà il campo di applicazione della direttiva sul rendimento energetico degli edifici e se si introdurranno requisiti UE di prestazione che incentivino un'edilizia a bassissimo consumo di energia (e che ne favoriscano l'espansione entro il 2015). Poiché i cambiamenti climatici colpiranno le fasce più sfavorite della società, i governi dovrebbero prevedere politiche energetiche specifiche per l'edilizia popolare.

Gas diversi dal CO2

Per affrontare il problema delle emissioni dei gas diversi dal CO2, che rappresentano il 17% delle emissioni dell'UE, sarebbe opportuno proporre vari interventi, quali:

una migliore attuazione delle misure previste dalla politica agricola comune e dal piano d'azione dell'UE per le foreste, in modo da ridurre le emissioni prodotte dalle attività agricole dell'UE e da promuovere il sequestro biologico;

la definizione di limiti di emissione per il metano prodotto dai motori a gas e dovuto alla produzione di carbone, petrolio e gas o l'inclusione di tali emissioni nel sistema UE di scambio delle quote;

l'ulteriore limitazione o il divieto di utilizzo dei gas fluorurati;

la riduzione delle emissioni di protossido di azoto derivanti dalla combustione e l'inclusione delle emissioni di N2O prodotte dai grandi impianti nel sistema UE di scambio delle quote.

(f) Ricerca e sviluppo tecnologico

Nell'ambito del Settimo programma quadro comunitario, i finanziamenti destinati alla ricerca nei settori dell'ambiente, dell'energia e dei trasporti nel periodo 2007‑2013 sono aumentati, passando a 8,4 miliardi di euro. Tali finanziamenti dovrebbero essere utilizzati al più presto, per incentivare lo sviluppo di tecnologie pulite nel campo dell'energia e dei trasporti da diffondere il più rapidamente possibile e per accrescere ancora le conoscenze sui cambiamenti climatici e i relativi impatti. Dopo il 2013 il bilancio destinato a tali attività dovrebbe aumentare ancora e sarebbe opportuno intraprendere iniziative analoghe in ambito nazionale. Il piano d'azione strategico per le tecnologie energetiche e il piano d'azione per le tecnologie ambientali dovrebbero avere piena attuazione; occorre infine promuovere maggiormente i partenariati pubblico-privato.

(g) Politica di coesione

Gli orientamenti strategici in materia di coesione, adottati nell'ottobre del 2006, incentivano i trasporti e l'energia sostenibili nonché le tecnologie e le innovazioni ambientali attraverso le sovvenzioni erogate dai fondi strutturali e dal Fondo di coesione. Questi provvedimenti dovrebbero essere inseriti nei programmi operativi.

(h) Altri provvedimenti

L'UE dovrebbe valutare tutte le soluzioni possibili per ridurre le emissioni di gas serra e garantire che le misure da adottare sia tra loro coerenti sotto il profilo economico e ambientale. Nel secondo rapporto del Gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente, si proponeva di analizzare la praticabilità di tutti i potenziali interventi che potrebbero offrire gli incentivi necessari per incoraggiare i partner commerciali dell'UE ad intraprendere misure efficaci per l'abbattimento delle emissioni dei gas serra[73].

L'UE dovrebbe incentivare anche la sensibilizzazione del pubblico in generale alle ripercussioni che le proprie azioni hanno in termini di cambiamenti climatici e coinvolgere i cittadini nell'impegno a limitare tali impatti.

6.           Interventi in ambito internazionale nella lotta ai cambiamenti climatici

La battaglia contro i cambiamenti climatici si può vincere solo con un intervento di scala planetaria, ma per raggiungere l'obiettivo dei 2 ºC il dibattito internazionale deve andare oltre la retorica e arrivare a negoziati in cui si discuta di impegni concreti. Per l'UE il raggiungimento di un accordo in questo senso dovrebbe essere la priorità internazionale a tutti i livelli: per esercitare tutto il suo peso dovrebbe organizzarsi e presentare, negli anni, una posizione e una politica unitaria dell'UE e un approccio coerente e convincente, come richiede un impegno di questa portata. Tutto ciò renderà necessari metodi di lavoro diversi in termini di coordinamento e di azione internazionale.

Un accordo del genere si può raggiungere solo così. In paesi come gli Stati Uniti e l'Australia, che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto, aumenta la consapevolezza dei pericoli insiti nei cambiamenti climatici e ciò ha dato vita a iniziative regionali per contenere le emissioni dei gas serra. Le imprese, più che alcuni governi, stanno facendo propria una visione di lungo termine e stanno diventando l'elemento trainante nella lotta ai cambiamenti climatici; a tal fine chiedono un quadro politico coerente, stabile ed efficiente che orienti le decisioni in materia di investimenti. Molte delle tecnologie di riduzione delle emissioni di gas serra esistono già o sono in fase avanzata di sviluppo e sono in grado di abbattere le emissioni (cfr. grafico 1). Ciò che serve ora è l'appoggio dei principali responsabili delle emissioni per giungere ad un accordo di lungo termine che ne garantisca un maggiore sviluppo e diffusione.

 

Fonte: CCR-IPTS, POLES

6.1         Come devono intervenire i paesi industrializzati

I paesi industrializzati sono responsabili del 75% dell'attuale concentrazione di gas serra di origine industriale nell'atmosfera e del 51% se si tiene conto della deforestazione (concentrata in massima parte nei paesi in via di sviluppo). Essi hanno inoltre la capacità tecnologica e finanziaria per ridurre le proprie emissioni: per questo dovrebbero dare il contributo maggiore nei prossimi dieci anni.

Il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra dei paesi industrializzati che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto è ancora superiore a quello dell'UE. Al fine di conseguire l'obiettivo dei 2 °C, e nel contesto di un accordo internazionale che si applichi dopo il 2012, l'Unione europea dovrebbe proporre ai paesi industrializzati d'impegnarsi a ridurre del 30% le proprie emissioni rispetto ai valori del 1990 entro il 2020.

I sistemi di scambio delle emissioni saranno uno strumento cruciale per consentire ai paesi sviluppati di realizzare i traguardi fissati in maniera economicamente efficace. Sistemi analoghi a quello dell'UE sono in fase di preparazione anche in altri paesi. I vari sistemi nazionali di scambio con livelli comparabili di rigorosità dovrebbero essere connessi tra loro, per ridurre i costi legati all'adempimento degli obblighi.

Il regime che entrerà in vigore dopo il 2012 deve prevedere norme vincolanti ed efficaci per verificare e far applicare gli impegni assunti: in tal modo verrà a crearsi un clima di fiducia nel fatto che tutti i paesi manterranno i rispettivi impegni e che non ci saranno inversioni di rotta come quelle rilevate di recente.

6.2         Interventi nei paesi in via di sviluppo

Nel futuro immediato è opportuno che i paesi industrializzati intervengano in maniera decisa per abbattere le proprie emissioni. Ma le economie dei paesi in via di sviluppo e, di conseguenza, le emissioni prodotte crescono in termini assoluti e relativi ed entro il 2020 rappresenteranno più del 50% delle emissioni globali (cfr. grafico 2). Ne consegue che un'azione anche più incisiva, ma intrapresa solo dai paesi industrializzati, non solo perderà di efficacia, ma non sarà semplicemente sufficiente, anche se questi paesi riusciranno ad abbattere drasticamente le proprie emissioni. È pertanto indispensabile che anche i paesi in via di sviluppo, e soprattutto le principali economie emergenti, comincino a ridurre al più presto l'aumento delle proprie emissioni e ad abbattere le emissioni in termini assoluti dopo il 2020. Occorre inoltre agire con incisività per arrestare le emissioni risultanti dalla deforestazione. Questo obiettivo è perfettamente realizzabile senza compromettere in alcun modo la crescita economica e la lotta alla povertà. Crescita economica e lotta alle emissioni di gas serra sono due elementi perfettamente compatibili. Nella valutazione d'impatto si stima che il PIL complessivo dei paesi in via di sviluppo "che dispongono di una politica climatica" nel 2020 dovrebbe risultare leggermente inferiore (-1%) rispetto al PIL generato in assenza di una politica climatica. In realtà, la differenza è ancora più esigua, se non addirittura inesistente, perché le stime non tengono conto dei danni connessi ai cambiamenti climatici che vengono evitati. Nello stesso periodo, si prevede che il PIL di Cina e India raddoppierà e che quello del Brasile aumenterà del 50% circa. Lo sforzo di coinvolgere i paesi in via di sviluppo a fare qualcosa sarà più convincente se tutti i principali paesi industrializzati che producono le emissioni ridurranno sensibilmente le proprie.

 

Fonte: CCR-IPTS, POLES

Molti paesi in via di sviluppo stanno già intervenendo per ridurre sensibilmente la crescita delle emissioni di gas serra che producono attraverso politiche a livello di economia, sicurezza o ambiente locale e hanno a loro disposizione molte soluzioni che presentano benefici superiori ai costi.

L'aumento della produttività legata all'utilizzo dell'energia, oggi bassa, consente di dare una risposta alle crescenti preoccupazioni per i costi dell'energia e la sicurezza.

Le politiche riguardanti le energie rinnovabili sono spesso efficaci sotto il profilo economico, in particolare per soddisfare il fabbisogno di energia elettrica delle zone rurali.

Le politiche in materia di qualità dell'aria presentano vantaggi per la salute delle persone.

Il metano emesso dalle discariche, dai letti di carbone, dai rifiuti organici in decomposizione e da altre fonti e poi recuperato è una fonte di energia a basso costo.

Tutte queste politiche possono essere rafforzate con uno scambio di buone pratiche in fase di elaborazione e pianificazione e di cooperazione tecnologica. In tal modo i paesi in via di sviluppo saranno in grado di svolgere un ruolo di maggiore peso nell'ambito delle attività di abbattimento delle emissioni su scala mondiale. L'UE continuerà le proprie attività di cooperazione in questo senso, approfondendole.

Ci sono varie soluzioni possibili per coinvolgere i paesi in via di sviluppo in un'azione più incisiva.

 

(a) Un nuovo approccio al meccanismo CDM

Il meccanismo di sviluppo pulito (CDM) del protocollo di Kyoto deve essere razionalizzato ed esteso. Per il momento, genera crediti nel caso di investimenti in progetti di abbattimento delle emissioni che si realizzano nei paesi in via di sviluppo; tali crediti possono essere utilizzati dai paesi industrializzati per rispettare i propri obiettivi di riduzione e in tal modo si creano importanti flussi di capitali e di tecnologie. Il CDM potrebbe essere esteso a interi settori nazionali, generando crediti di emissione se tutto il settore nazionale fosse in grado di superare uno standard predefinito di emissione. Un meccanismo di portata più ampia potrà però funzionare unicamente in presenza di una maggiore domanda di crediti e ciò accadrà solo se tutti i paesi industrializzati si assumeranno consistenti impegni di riduzione.

(b) Migliore accesso ai finanziamenti

Nei paesi in via di sviluppo le previsioni indicano che, per sostenere la crescita economica, gli investimenti per la generazione di nuova elettricità dovrebbero superare i 130 miliardi di euro l'anno; gran parte di queste risorse proverrà dai principali paesi in via di sviluppo medesimi. I nuovi impianti saranno operativi per decine d'anni e determineranno le emissioni dei gas serra dopo il 2050. Per questo dovrebbero essere impianti all'avanguardia; questa è dunque un'occasione unica per ridurre le emissioni nei paesi in via di sviluppo.

Per abbattere drasticamente le emissioni di CO2 nel settore dell'energia elettrica serviranno altri investimenti pari a circa 25 miliardi di euro l'anno. Questo divario non potrà essere colmato con il CDM, anche se questo avesse una portata più ampia come proposto in precedenza, e nemmeno con gli aiuti allo sviluppo. Sarà invece necessaria una combinazione di CDM, aiuti allo sviluppo, meccanismi di finanziamento innovativi (come il Fondo globale per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili proposto dall'UE), prestiti mirati di istituti finanziari internazionali e l'impegno dei paesi in via di sviluppo che hanno i mezzi per contribuire. Più rapidamente verrà colmato il divario e meno aumenteranno le emissioni dei paesi in via di sviluppo.

(c) Approcci settoriali

Un'altra soluzione potrebbe essere l'introduzione di scambi di emissione a livello di imprese di tutto un settore, laddove esista la capacità di monitorare le emissioni e di garantire il rispetto degli impegni, soprattutto per i settori ad alto consumo energetico come la produzione di energia elettrica, gli impianti di lavorazione dell'alluminio, del ferro, dell'acciaio, del cemento, le raffinerie e l'industria della carta e della pasta per carta, che sono in massima parte soggetti alla concorrenza internazionale. Tali sistemi di scambio potrebbero essere di scala nazionale o mondiale: nel caso di regimi nazionali, nei paesi in via di sviluppo dovrebbero essere collegati con quelli esistenti nei paesi industrializzati e gli obiettivi definiti per ciascun settore partecipante dovrebbero essere gradualmente inaspriti fino ad avvicinarsi a quelli dei paesi industrializzati. Un approccio di questo tipo servirebbe anche a limitare il trasferimento di impianti ad alte emissioni da paesi che impongono obblighi di riduzione verso paesi che non lo fanno.

 

 

(d) Limiti di emissione quantificati

I paesi che raggiungono un grado di sviluppo paragonabile a quello dei paesi industrializzati dovrebbero assumersi impegni di riduzione sulla base del rispettivo grado di sviluppo, delle emissioni pro capite, del potenziale di riduzione delle emissioni e della propria capacità tecnica e finanziaria di attuare altre misure di limitazione e riduzione delle emissioni.

(e) Assenza di impegni per i paesi meno sviluppati

I paesi meno sviluppati saranno quelli che subiranno maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici. Poiché emettono quantità ridotte di gas serra non dovrebbero essere vincolati a ridurre le proprie emissioni. L'UE rafforzerà ancora la propria cooperazione con i paesi meno sviluppati per aiutarli ad affrontare i problemi posti dai cambiamenti climatici, in particolare attraverso iniziative volte a migliorare la sicurezza alimentare, la capacità di monitorare i cambiamenti climatici, la gestione del rischio di catastrofi, la loro preparazione e risposta in caso di disastri. Oltre agli aiuti allo sviluppo necessari per affrontare le problematiche dei cambiamenti climatici, serviranno altri finanziamenti per permettere ai paesi più vulnerabili di adattarsi al fenomeno. L'UE e altri paesi dovrebbero infine aiutarli a partecipare maggiormente ai progetti nell'ambito del CDM.

Altri elementi

In un futuro accordo internazionale dovrebbero figurare anche gli elementi descritti di seguito.

§      Il cambiamento tecnologico necessita una maggiore cooperazione internazionale a livello di ricerca e sviluppo tecnologico. L'UE dovrebbe accelerare fortemente la propria cooperazione in ambito tecnologico e di ricerca con i paesi terzi, anche istituendo progetti di dimostrazione di vasta scala in determinati paesi in via di sviluppo, in particolare per la cattura e lo stoccaggio geologico del carbonio. La cooperazione internazionale nel campo della ricerca dovrebbe servire anche a quantificare gli impatti dei cambiamenti climatici in ambito regionale e locale e a predisporre le opportune strategie di adattamento e mitigazione degli effetti. Le attività di ricerca dovrebbero infine approfondire aspetti quali le interazioni tra gli oceani e i cambiamenti climatici.

§      Le emissioni derivanti dalla perdita netta di copertura forestale devono cessare definitivamente nel giro di vent'anni e successivamente ci deve essere un'inversione di tendenza. Tra le possibili soluzioni per combattere la deforestazione vi sono politiche forestali efficaci (di scala internazionale e nazionale) abbinate ad incentivi economici. Servono rapidamente dei sistemi pilota di vasta scala che consentano di esaminare quali siano gli approcci più efficaci in grado di abbinare gli interventi in ambito nazionale al sostegno internazionale.

§      Le iniziative finalizzate a favorire l'adattamento alle inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici dovranno essere parte integrante del futuro accordo mondiale sul clima. La necessità di adeguarsi agli impatti del fenomeno dovrebbe essere un elemento da considerare nelle decisioni sugli investimenti pubblici e privati. Partendo dall'attuazione del piano d'azione UE su cambiamenti climatici e sviluppo, che dovrà essere riesaminato nel 2007, l'UE dovrebbe rafforzare il processo di cooperazione con i paesi in via di sviluppo per quanto riguarda le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici e mitigazione dei relativi effetti.

§      La conclusione di un accordo internazionale su norme di efficienza energetica che coinvolga i principali paesi produttori di apparecchiature avrà vantaggi in termini di accesso al mercato e servirà ad abbattere le emissioni di gas serra.


 



[1]    http://unfccc.int

[2]    Previsto dall’art. 3 del Protocollo.

[3]    Prevista dall’art. 6 del Protocollo.

[4]    Previsti dall’art. 12 del Protocollo.

[5]    Le percentuali di responsabilità nelle emissioni globali sono le seguenti: gli Stati membri UE sono responsabili del 22,1%, gli USA del 30,3%, il Giappone del 3,7%, il Canada del 2,3%.

[6]    La percentuale di riduzione globale che il Protocollo si prefigge quale obiettivo è scesa - dopo l’abbandono del negoziato da parte degli Stati Uniti - dal 5,2% al 3,8%.

[7]    I programmi pilota sono stati definiti: con il DM 3 novembre 2004 (programmi pilota a livello nazionale), con il D.M. 2 febbraio 2005 (programmi pilota a livello nazionale in materia di afforestazione e riforestazione) e con il D.M. 11 febbraio 2005 (programmi pilota a livello internazionale).

[8]    Tale Piano è consultabile all’indirizzo internet:

www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/docs/delibera_cipe_19_12_02_n123.pdf.

[9]    Pubblicata nella G.U. n. 68 del 22 marzo 2003 e consultabile anche all’indirizzo internet http://www2.minambiente.it/sito/settori_azione/pia/docs/deliberaCIPE_19_12_02.pdf.

[10]   Un successivo decreto interministeriale, da emanare entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge (1° aprile 2007) dovrà individuare le modalità per l'erogazione dei finanziamenti e definire le priorità per l’individuazione delle misure finanziate.

[11]   Tale permesso è rilasciato dall’autorità nazionale competente previa verifica da parte della stessa della capacità dell’operatore dell’impianto di monitorare nel tempo le proprie emissioni di gas serra.

[12]   La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 Euro nel periodo 2005-2007 e di 100 Euro nei periodi successivi; le emissioni oggetto di sanzione non sono esonerate dall’obbligo di resa di quote.

[13]   Ogni anno i gestori degli impianti regolati dalla direttiva 2003/87 sono tenuti a restituire un numero di quote corrispondenti alle emissioni reali prodotte. L’eventuale surplus di quote (differenza positiva tra le quote assegnate ad inizio anno e le emissioni effettivamente immesse in atmosfera) potrà essere accantonato o venduto sul mercato, mentre il deficit potrà essere coperto attraverso l’acquisto delle quote. Gli Stati membri dovranno quindi assicurare la libera circolazione delle quote di emissioni all’interno della Comunità Europea consentendo lo sviluppo effettivo del mercato europeo dei diritti di emissione.

[14]   In particolare dei CERs a partire dal 2005 e delle ERUs a partire dal 2008.

[15]   Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 316.

[16]   Le versioni del PNA che si sono via via succedute sono consultabili nel sito web del Ministero, all’indirizzo

www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/pnac02_schema_assegnazione.asp.

[17]    Cfr. http://www2.minambiente.it/Sito/settori_azione/pia/att/pna_c02/pna_c02.asp.

[18] Cfr. http://ec.europa.eu/environment/climat/2nd_phase_ep.htm.

[19]    COM(2005)703 def.

[20]   Si veda, ad esempio, L. De Simone, A. Nobili “Con i certificati verdi ed emission trading sviluppo economico sempre più sostenibile”, in Ambiente e sicurezza – Supplemento n. 4/2003.

[21]   Una rassegna delle iniziative della Banca Mondiale in materia è contenuta nel sito http://carbonfinance.org.

[22]   Per approfondimenti si rinvia al documento di presentazione dell’iniziativa predisposto congiuntamente dal Ministero dell’ambiente e dalla Banca mondiale e disponibile all’indirizzo internet http://carbonfinance.org/docs/ItalianCarbonFundItalianLanguage.pdf, nonché al recente Carbon Finance Unit Annual Report 2006 della Banca mondiale, disponibile all’indirizzo web http://carbonfinance.org/docs/CFU_AR_2006.pdf.

[23]   Cfr. http://europa.eu.int/comm/energy/res/legislation/doc/electricity/member_states/it_2002_report_it.pdf

[24]   Pubblicato nella G.U. 31 gennaio 2004, n. 25, S.O.

[25]   Tali programmi non sono tuttavia ancora estinti. Si pensi al bando del Ministero dell'ambiente per le piccole e medie imprese, finalizzato al cofinanziamento (tramite le risorse indicate all'art. 5, comma 1, del D.M. n. 337 del 20 luglio 2000) di interventi che prevedono l'installazione di impianti per la produzione di energia elettrica e/o di calore da fonte rinnovabile, di cui al comunicato pubblicato nella G.U. n. 12 del 16 gennaio 2007.

[26]   Costituita da 189 Paesi.

[27]   Costituita da 157 Paesi.

[28]   Si ricorda che l’impegno di aprire i negoziati per estendere il protocollo di Kyoto anche al periodo successivo al 2012 (in linea con quanto stabilito dall'art. 3.9 del Protocollo stesso) è stato assunto nel corso della COP11 – COP/MOP1 tenutasi a Montreal nel 2005. Nella stessa sede si è deciso di affidare tali negoziati a un gruppo di lavoro creato ad hoc, fra i paesi industrializzati al fine di considerare ulteriori obiettivi di riduzione per il periodo successivo al 2012, ed è stata inoltre sollecitata una conclusione di tali accordi il più veloce possibile, in modo da garantire che non vi sia alcun "buco" tra i due periodi di riferimento (2008/2012 e post 2012), che crei incertezza nel mercato delle emissioni.

[29]   Il testo completo del rapporto è consultabile all’indirizzo internet www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/sternreview_index.cfm.

[30]   Il programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP), strumento principale della strategia europea per l’attuazione del protocollo di Kyoto, è stato presentato dalla Commissione l’8 marzo 2000 (COM(2000)88). La Commissione ha presentato, nell’ottobre 2001 e nell’aprile 2003, due relazioni sull’attuazione di tale programma.

[31]   Il Consiglio europeo straordinario di Lisbona (23-24 marzo 2000) ha concordato un obiettivo strategico per l’Unione del nuovo decennio: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

[32]   http://reports.eea.europa.eu/eea_report_2005_1/en.

[33]   Dal comunicato stampa della Commissione europea disponibile all’indirizzo internet http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/07/29&format=PDF&aged=0&language=IT&guiLanguage=en.

[34]   Gli obiettivi strategici della sostenibilità, competitività e sicurezza dell’approvvigionamento energetico sono stati delineati nel Libro verde sull’energia (COM(2006)105), presentato l’8 marzo 2006.

[35] Vedi nota precedente.

[36]   Dal 1° gennaio 2005 è in vigore il sistema europeo di scambio delle quote di emissione, disciplinato dalla direttiva 2003/87/CE. Nell’ambito di tale sistema, gli Stati membri sono tenuti a presentare il piano nazionale relativo al periodo 2008-2012; la Commissione dovrà approvare i piani, richiedendone eventualmente modifiche se non sono conformi ai criteri convenuti.

[37]   Il Consiglio europeo di primavera si svolgerà l’8 e 9 marzo 2007.

[38]   Comunicazione della Commissione “Realizzare un mercato globale del carbonio – relazione a norma dell’articolo 30 della direttiva 2003/87/CE” (COM(2006)676

[39]Comunicazione della Commissione “Ridurre l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici” (COM(2005)459).

[40]    Fonte – Agenzia europea dell'Ambiente. Altri dati provengono dalla Commissione europea, se non diversamente specificato.

[41]    "World Energy Outlook 2006" dell'AIE.

[42]    Tasso di cambio considerato di 1,25 dollari per euro rispetto ad un prezzo del petrolio di 60 dollari (valore attuale) nel 2030.

[43]    Consiglio europeo sulle energie rinnovabili “Renewable Energy Targets for Europe: 20% by 2020”.

[44]    "Una strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura", COM(2006) 105 def. dell'8 marzo 2006; Documento di lavoro dei servizi della Commissione, relazione di sintesi dell'analisi del dibattito sul Libro verde "Una strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura", SEC(2006) 1500.

[45]    Comunicazione delle Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, COM(2007) 2.

[46]    Comunicazione sulle ristrutturazioni del 31 marzo 2005, COM(2005) 120.

[47]    Comunicazione della Commissione "Verso una politica marittima dell’Unione: una visione europea degli oceani e dei mari", COM(2006) 275.

[48]    Tra cui le seconde direttive concernenti l'apertura del mercato, i regolamenti destinati ad armonizzare le norme tecniche necessarie per consentire il funzionamento degli scambi transfrontalieri e le direttive concernenti la sicurezza dell'approvvigionamento.

[49]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle prospettive del mercato interno del gas e dell'elettricità, COM(2006) 841.

[50]    Comunicazione della Commissione "Sector Enquiry under Art. 17 of Regulation 1/2003 on the gas and electricity markets (final report)", COM(2006) 851.

[51]    Questo è già stato realizzato per l'elettricità in Danimarca, Finlandia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Romania, Spagna, Slovacchia, Slovenia e Svezia e per il gas in Danimarca, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Romania, Spagna e Svezia. Il GRT separato è anche proprietario delle rete.

[52]    Come già indicato, questa idea si ispira all'approccio già utilizzato nel settore delle comunicazioni elettroniche e in relazione alle deroghe sull'accesso dei terzi alle nuove infrastrutture di gas e elettricità.

[53]    Nell'ambito del progetto di accordo interistituzionale relativo all'inquadramento delle agenzie europee di regolazione (COM(2005) 59 def.), un organismo di questo tipo può essere incaricato di applicare norme comunitarie a casi particolari. A tal fine, l’agenzia ha il potere di adottare decisioni individuali che producono effetti giuridici vincolanti nei confronti di terzi (articolo 4).

[54]    Direttiva 2002/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica.

[55]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: Piano di interconnessione prioritario, COM(2006) 846.

[56]    Direttiva 2004/67/CE del Consiglio, del 26 aprile 2004, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale, GU L 127 del 29.4.2004, pagg. 92–96.

[57]      Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità, COM(2006) 545 del 19 ottobre 2006.

[58]    Vedi anche Mantenere l’Europa in movimento - una mobilità sostenibile per il nostro continente. Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea COM(2006) 314 del 22 giugno 2006.

[59]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: "Follow up actions of the Green Paper: report on progress in renewable electricity", COM(2006) 849.

[60]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio "Renewable Energy Roadmap: Renewable Energies in the 21st century; building a sustainable future", COM(2006) 848.

[61]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: "Biofuels progress report", COM(2006) 845.

[62]    Vedi anche la comunicazione della Commissione: "Towards a European Strategic Energy Technology Plan ", COM(2006) 847.

[63]    Comunicazione della Commissione: Sustainable Power Generation from fossil fuels: aiming at near zero emission by 2020, COM(2006) 843.

[64]    La piattaforma tecnologica europea per delle centrali elettriche a combustibili fossili a zero emissioni (ZEP TP) comprende, nelle principali raccomandazioni del suo programma strategico di ricerca adottato ala fine del 2006, un invito alla rapida realizzazione di 10-12 progetti di centrali elettriche di dimostrazione su ampia scala dotate di sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio.

[65]    Secondo il "World Energy Outlook" dell'AIE le nuove centrali nucleari potrebbero produrre elettricità ad un costo compreso tra 4,9 e 5,7 centesimi di dollaro per kWh (da 3,9 a 4,5 centesimi di euro al tasso di cambio vigente a metà novembre 2006) a condizione che i rischi legati alla costruzione e all'esercizio siano attenuati; in tali condizioni, con un costo di 10 dollari per tonnellata di CO2 emessa, il nucleare è competitivo rispetto alle centrali a carbone.

[66]    Progetto di programma nucleare indicativo, COM(2006) 844.

[67]    Documento della Commissione europea e dell'Alto rappresentante "An external policy to serve Europe's energy interests, giugno 2006 S160/06; seguito dalla comunicazione "Le relazioni esterne nel settore dell'energia: dai principi all’azione, COM(2006) 590 def.

[68]    137 miliardi di dollari l'anno per i paesi in via di sviluppo importatori di petrolio rispetto ad un aiuto pubblico allo sviluppo di 84 miliardi di dollari nel 2005, netto alleggerimento addizionale del debito. Vedi "The Vulnerability of African Countries to Oil Price Shocks: Major factors and Policy Options. The Case of Oil Importing Countries". Rapporto ESMAP 308/05, Banca mondiale, agosto 2005.

[69]    SEC(2007)12; pagina web http://ec.europa.eu/energy/energy_policy/index_en.htm

[70]    Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sullo sviluppo della politica europea di vicinato, COM(2006) 726 def. del 4.12.2006.

[71]    I valori relativi ai biocarburanti si riferiscono alle tecniche di produzione meno costose

[72]    Assumendo un prezzo del petrolio pari a 48 $/barile e 70 $/barile, rispettivamente

[73]    Il riesame strategico della politica energetica presentato dalla Commissione e adottato in concomitanza con la presente comunicazione annovera tra i possibili contributi anche provvedimenti nell'ambito della politica commerciale.