Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||
Titolo: | Modifiche al D.Lgs. 30/2007 in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini UE e loro familiari - Schema di D.Lgs. n. 210 (art. 1, co. 5, L. 62/2005) | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 178 | ||
Data: | 28/01/2008 | ||
Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XV LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Atti del Governo |
Modifiche al D.Lgs. 30/2007 |
Schema di D.Lgs. n. 210 |
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n. 178 |
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28 gennaio 2008 |
DIPARTIMENTO istituzioni
SIWEB
Ha collaborato alla redazione del dossier l’Ufficio rapporti con l’Unione Europea
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: AC0352.doc
INDICE
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Conformità con la norma di delega
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Impatto sui destinatari delle norme
§ Il decreto legislativo 30/2007, di recepimento della direttiva 2004/38/CE
Lo schema di decreto legislativo
§ Premessa
§ Dichiarazione di presenza nel territorio nazionale
§ Requisiti per il soggiorno e l’iscrizione anagrafica
§ Allontanamento per motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza
§ Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno
§ Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento
Modificazioni apportate al D.Lgs. n. 30 del 2007 dallo schema di decreto legislativo
Schema di D.Lgs. n. 210
§ Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, di attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri
Normativa di riferimento
Normativa nazionale
§ Costituzione della Repubblica (artt. 76 e 87)
§ Codice di procedura civile (art. 737)
§ Legge 5 agosto 1978, n. 468. Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (artt. 7, 11-ter)
§ Legge 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (2) (3).
§ Legge 27 maggio 1991, n. 176. Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (artt. 9, 10, 11, 21, 22)
§ D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (art. 13)
§ Legge 18 aprile 2005, n. 62. Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 (art. 1)
§ D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30. Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri
§ D.L. 29 dicembre 2007, n. 249. Misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza (in corso di conversione in legge)
Normativa comunitaria
§ Dir. 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE
Numero dello schema di decreto legislativo |
210 |
Titolo |
Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, di attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri |
Norma di delega |
Art. 1, comma 5, L. 18 aprile 2005, n. 62 |
Settore d’intervento |
Stranieri comunitari |
Numero di articoli |
2 |
Date |
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§ presentazione |
11 gennaio 2008 |
§ assegnazione |
14 gennaio 2008 |
§ termine per l’espressione del parere |
23 febbraio 2008 |
§ scadenza della delega |
10 ottobre 2008 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali); XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea) |
Rilievi di altre Commissioni |
V Commissione (Bilancio) |
Lo schema di decreto legislativo, composto di due articoli, reca modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 30/2007, che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2004/38/CE, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
L’articolo 1 reca diverse modifiche testuali al D.Lgs. 30/2007, principalmente volte a precisare i requisiti per il soggiorno e l’iscrizione anagrafica dei cittadini dell’Unione europea, nonché a ridefinire i presupposti e le modalità di esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri comunitari e dei loro familiari, quando detto allontanamento sia disposto per motivi di pubblica sicurezza.
Più in particolare, la lettera a) reca modifiche all’art. 5 del decreto al fine di prevedere per il cittadino dell’UE la facoltà di dichiarare presso un ufficio di polizia la propria presenza nel territorio nazionale. In mancanza di tale dichiarazione si presume (salva prova contraria), che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi.
La lettere b) e c) modificano gli articoli 7 e 9 del D.Lgs. 30/2007, al fine di precisare che, ai fini del riconoscimento del diritto di soggiorno del cittadino UE per un periodo superiore a tre mesi e della sua iscrizione nell’anagrafe dei residenti, il requisito della disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé stesso e per i propri familiari, attualmente previsto, sia riferito a risorse derivanti da fonti lecite e dimostrabili.
La lettera d) integra l’art. 18, co. 2, del D.Lgs. 30/2007, precisando che il provvedimento di allontanamento costituisce causa di cancellazione anagrafica.
La lettera e) sostituisce integralmente gli articoli 20, 21 e 22 del D.Lgs. 30/2007, modificando ed integrando la disciplina dell’allontanamento dal territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari.
Con riferimento alla disciplina dell’allontanamento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (art. 20 del D.Lgs. 30/2007) si prevede, in particolare:
§ una maggiore specificazione dei presupposti dell’allontanamento (co. 2 del testo introdotto dallo schema)
§ la devoluzione al prefetto della competenza ad adottare i provvedimenti di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza (art. 20, co. 7, del testo introdotto dallo schema);
§ l’incremento della durata massima del divieto di reingresso per i destinatari dei provvedimenti di allontanamento (art. 20, co. 8, del testo introdotto dallo schema);
§ l’esecuzione immediata da parte del questore dei provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari destinatari di un precedente provvedimento di allontanamento (art. 20, co. 10, del testo introdotto dallo schema);
§ la disciplina della domanda di revoca del provvedimento di allontanamento (art. 20, co. 11, del testo introdotto dallo schema);
§ l’inasprimento delle sanzioni per il rientro nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso (art. 20, co. 12, del testo introdotto dallo schema).
Per quanto riguarda, invece, l’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il soggiorno, il nuovo testo dell’articolo 21 del D.Lgs. 30/2007 prevede, in particolare, che al cittadino allontanato sia consegnata una attestazione di ottemperanza all’allontanamento da consegnare a un consolato italiano. È conseguentemente introdotta una contravvenzione per sanzionare il comportamento del cittadino comunitario che sia individuato sul territorio nazionale oltre il termine previsto dal provvedimento di allontanamento e non abbia consegnato l’attestazione.
Il nuovo testo dell’articolo 22 del D.Lgs. 30/2007 in materia di tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di allontanamento tiene conto delle modifiche ed integrazioni apportate dallo schema alla disciplina di detti provvedimenti, attribuendo in particolare al tribunale in composizione monocratica la competenza sui ricorsi avverso i provvedimenti di allontanamento adottati dal prefetto ai sensi dell’articolo 20 (come già avviene per i provvedimenti adottati dal prefetto ai sensi dell’articolo 21).
L’articolo 2 dello schema reca, invece, la copertura finanziaria del provvedimento.
Lo schema di decreto legislativo è accompagnato, oltre che dalla relazione illustrativa, dalla relazione tecnica[1] e dalle relazioni sull’analisi tecnico-normativa (ATN) e sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).
Lo schema di decreto è adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1, comma 5, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)[2]; ai sensi del quale entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui agli allegati A e B della medesima legge comunitaria, il Governo può emanare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi stessi.
Con riferimento al D.Lgs. 30/2007[3], adottato in virtù della delega conferita ai sensi l’art. 1, comma 1 e 3, allegato B, della L. 62/2005 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 27 marzo 2007, il termine per la delega scadrà quindi il 10 ottobre 2008.
L’art. 1, comma 5, della L. 62/2005 prevede inoltre che la delega debba esercitarsi nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi, nonché con le medesime procedure, previsti dalla legge stessa per l’emanazione del decreto legislativo oggetto di integrazione e correzione.
Per effetto del richiamo contenuto in tale disposizione, in particolare, lo schema in esame deve essere trasmesso, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camere per l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari. Decorsi 40 giorni dalla data di trasmissione, il decreto è emanato anche in assenza del parere.
Per quanto attiene, in particolare, ai princìpi e criteri direttivi della delega si evidenzia che con riferimento ai profili finanziari l’art. 2, co. 1, lett. d), della L. 62/2005 prevede che “eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183[4], per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro”.
Al riguardo si segnala che l’articolo 2 dello schema in esame, che reca la copertura finanziaria del provvedimento, prevede invece l’utilizzo di risorse stanziate nell’ambito del fondo speciale di parte corrente, a valere sull’accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
Il contenuto del provvedimento appare riferibile a diverse materie rientranti nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione.
In particolare, con riferimento ai diversi aspetti del provvedimento, sembrano assumere rilievo le seguenti materie:
§ “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (art. 117, secondo comma, lett. a), della Costituzione);
§ “immigrazione” (art. 117, secondo comma, lett. b), della Costituzione);
§ “ordine pubblico e sicurezza” (art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione);
§ “anagrafi” (art. 117, secondo comma, lett. i), della Costituzione);
§ “giurisdizione e norme processuali; ordinamento […] penale; giustizia amministrativa” (art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione).
Il 12 dicembre 2006 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[5] ex art. 226 del TCE[6] per mancata attuazione della direttiva 2004/38/CE, il cui termine di recepimento scadeva il 24 aprile 2006.
La procedura di infrazione risulta in fase di archiviazione in seguito all’adozione del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, recante attuazione della direttiva in questione.
Il 15 novembre 2007, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, anche in riferimento ai recenti avvenimenti italiani.
In particolare, il Parlamento,
§ esprime il proprio dolore per l'assassinio della signora Giovanna Reggiani, avvenuto a Roma il 31 ottobre scorso 2007, e presenta sentite condoglianze ai suoi familiari;
§ ribadisce il valore della libertà di circolazione delle persone quale principio fondamentale dell'Unione, parte costitutiva della cittadinanza europea ed elemento fondamentale del mercato interno;
§ riafferma l'obiettivo di fare dell'Unione e delle collettività uno spazio in cui ogni persona possa vivere vedendosi garantito un elevato livello di sicurezza, libertà e giustizia;
§ osserva che la direttiva 2004/38/CE circoscrive la possibilità di espellere un cittadino dell’Unione entro limiti molto ben definiti, specificando in particolare che:
- in base all’articolo 27, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di residenza solo per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica e tali motivi non possono essere invocati per fini economici, ogni misura presa deve rispettare il principio di proporzionalità e deve essere adottata esclusivamente in relazione al comportamento della persona nei riguardi della quale è applicata e non basarsi su considerazioni di prevenzione generale.
- in base all’articolo 28, ogni espulsione deve essere preceduta da una valutazione della situazione personale dell’interessato, tenendo conto di elementi quali la durata del suo soggiorno nel territorio dello Stato membro, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare ed economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante;
- in base all’articolo 30, il provvedimento di espulsione deve essere notificato per iscritto alla persona interessata secondo modalità che gli consentano di comprenderne il contenuto e le conseguenze. L’interessato deve essere informato in modo preciso e completo circa i motivi della decisione, l’organo giudiziario o l’autorità amministrativa dinanzi al quale può opporre ricorso e il temine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, il termine impartito per lasciare il territorio, in ogni caso non inferiore ad un mese dalla data di notificazione;
- in base all’articolo 31, la persona interessata deve avere accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante e deve avere il diritto di richiedere un’ordinanza provvisoria di sospensione dell’esecuzione, che deve essere garantita, salvo nei casi specificamente definiti;
- in base all’articolo 36, le sanzioni determinate dagli Stati membri devono essere effettive e proporzionate;
- in base al punto 16 del preambolo e all’articolo 14, i cittadini possono essere allontanati qualora diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, a condizione tuttavia che ogni caso individuale sia esaminato approfonditamente. Inoltre, l’onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale non è di per sé condizione sufficiente a giustificare un’ espulsione automatica.
§ ribadisce che qualsiasi legislazione nazionale deve rispettare rigorosamente tali limiti e garanzie, compreso l'accesso a un ricorso alle vie legali contro l'allontanamento e all'esercizio dei diritti della difesa e che qualsiasi eccezione definita dalla direttiva 2004/38/CE deve essere interpretata in modo restrittivo; ricorda che le espulsioni collettive sono proibite dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
§ si compiace della visita effettuata dal Primo ministro rumeno in Italia e della dichiarazione congiunta di Romano Prodi e Călin Popescu-Tăriceanu; manifesta il proprio appoggio all'appello del Presidente del Consiglio e del Primo ministro per l'impegno dell'Unione a favore dell'integrazione sociale delle popolazioni meno avvantaggiate e della cooperazione fra gli Stati membri in termini di gestione dei movimenti della loro popolazione, in particolare mediante programmi di sviluppo e di aiuto sociale inclusi nei Fondi strutturali;
§ invita la Commissione a presentare senza ritardi una valutazione esauriente dell'attuazione e del corretto recepimento, da parte degli Stati membri, della direttiva 2004/38/CE nonché a presentare proposte, a norma dell'articolo 39 di tale direttiva;
§ fatte salve le competenze della Commissione, incarica la propria commissione parlamentare competente di effettuare entro il 1°giugno 2008, in collaborazione con i parlamenti nazionali, una valutazione dei problemi di recepimento di tale direttiva in modo da mettere in evidenza le migliori prassi nonché le misure che potrebbero portare a discriminazioni tra i cittadini europei;
§ invita gli Stati membri a superare qualsiasi esitazione e a procedere più rapidamente al rafforzamento degli strumenti di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale a livello dell'Unione per garantire una lotta efficace contro la criminalità organizzata e la tratta degli esseri umani, fenomeni di dimensione transnazionale, garantendo, al contempo, un quadro uniforme di garanzie procedurali;
§ respinge il principio della responsabilità collettiva e ribadisce con forza la necessità di lottare contro qualsiasi forma di razzismo e xenofobia e qualsiasi forma di discriminazione e stigmatizzazione basate sulla nazionalità e sull'origine etnica, come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali;
§ ricorda alla Commissione che è urgente presentare una proposta di direttiva orizzontale contro tutte le discriminazioni menzionate all'articolo 13 Trattato CE[7], prevista nel programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2008;
§ ritiene che la protezione dei diritti dei Rom e la loro integrazione costituiscano una sfida per l'Unione nel suo complesso e invita la Commissione ad agire senza indugio elaborando una strategia globale per l'inclusione sociale dei Rom, facendo ricorso, segnatamente, alle linee di bilancio disponibili nonché ai Fondi strutturali per sostenere le autorità nazionali, regionali e locali nei loro sforzi atti a garantire l'inclusione sociale dei Rom;
§ propone l'istituzione di una rete di organizzazioni che si occupino dell'integrazione sociale dei Rom nonché la promozione di strumenti volti ad aumentare la consapevolezza in materia di diritti e doveri dei Rom, ivi compreso lo scambio di migliori prassi; considera, a questo proposito, molto importante una collaborazione intensa e strutturata con il Consiglio d'Europa;
§ ritiene che le recenti dichiarazioni rilasciate alla stampa italiana da Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione, in occasione dei gravi episodi verificatisi a Roma, siano contrarie allo spirito e alla lettera della direttiva 2004/38/CE, direttiva che gli si chiede di rispettare pienamente.
Lo schema prevede che i provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari, riferiti sia a motivi di ordine pubblico e sicurezza sia alla cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, siano adottati tenendo conto anche delle segnalazioni motivate del sindaco del luogo di residenza o di dimora del cittadino comunitario (art. 20, co. 14, e art. 21, co. 2, del D.Lgs. 30/2007, nel testo riformulato dalla lettera e) dell’art. 1, co. 1, dello schema).
Il comma 5-bis dell’articolo 5 del D.Lgs. 30/2007, aggiunto dall’art. 1, co. 1, lett. a) dello schema, rimette a un decreto del ministro dell’interno, da adottare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della disposizione, l’individuazione delle modalità per la dichiarazione di presenza sul territorio nazionale, ivi disciplinata.
L’articolo 21, comma 2, quinto periodo, del D.Lgs. 30/2007, come sostituito dall’art. 1, co. 1, lett. e) dello schema, dispone che con decreto del ministro dell’interno e del ministro degli affari esteri siano stabilite le modalità relative all’attestazione dell’obbligo di adempimento dell’allontanamento.
Il provvedimento ricorre alla tecnica della novellazione, apportando modifiche testuali al D.Lgs. 30/2007.
Per quanto riguarda i rapporti con il disposto del D.L. 249/2007, in corso di conversione, si rinvia al paragrafo che segue.
Lo schema in esame riprende nella sostanza, con formulazione in parte diversa, alcune fra le disposizioni che erano contenute nel D.L. 181/2007[8], decaduto per decorrenza dei termini di conversione, ovvero erano state inserite nel testo di detto decreto a seguito dell’esame del disegno di legge di conversione al Senato.
Il D.L. 181/2007 era stato presentato per la conversione in legge al Senato della Repubblica (A.S. 1872) e approvato, con modificazioni, da tale ramo del Parlamento. Il 17 dicembre 2007 le Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) della Camera concludevano l’esame del provvedimento (A.C. 3292), conferendo ai relatori il mandato a riferire all’Assemblea in senso favorevole sul testo del provvedimento approvato dal Senato[9]. Il 19 dicembre, mentre in Assemblea era in corso la discussione sulle linee generali del provvedimento, il Governo ha annunciato in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo la decisione di non insistere per la conversione in legge del decreto[10]. Il seguito dell’esame del provvedimento non ha pertanto avuto luogo ed i termini per la conversione del decreto-legge sono scaduti il 1° gennaio 2008[11].
Talune delle disposizioni recate dal D.L. 181/2007 o in esso inserite nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione sono nella sostanza riprese – con formulazione diversa – dal D.L. 249/2007[12], attualmente in corso di conversione (A.C. 3325)[13], approvato dal Consiglio dei ministri nella stessa riunione in cui è stato approvato lo schema in esame.
In particolare, si segnalano le disposizioni contenute negli articoli 3-7 del decreto, che prevedono due ulteriori ipotesi di allontanamento dei cittadini di Stati membri dell’Unione per motivi di prevenzione del terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, recando una specifica disciplina del relativo procedimento e degli strumenti di tutela giurisdizionale.
Al riguardo si evidenzia che lo schema in esame prevede (art. 20, co. 13, del D.Lgs. 30/2007, nel testo riformulato) un espresso rinvio – per la disciplina dei provvedimenti di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza – a quanto disposto dal D.L. 249/2007.
Sotto il profilo della tecnica legislativa, anche ai fini di una maggiore organicità della disciplina dell’allontanamento dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, potrebbe valutarsi l’opportunità di un migliore coordinamento tra le norme recate dal D.Lgs 30/2007 e quelle attualmente contenute nel D.L. 249/2007, anche attraverso l’inserimento dei contenuti di tale ultimo provvedimento, nella formulazione eventualmente risultante dalla legge di conversione, nell’ambito del decreto legislativo che, nel recepire la normativa comunitaria in materia, regola in termini più complessivi il diritto di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione.
Come evidenziato anche dall’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) allegata allo schema in esame, i destinatari del provvedimento sono i cittadini di Paesi membri dell’Unione europea ed i loro familiari, anche se cittadini di un Paese extracomunitario, nonché le Pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento di adozione ed esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale.
Il comma 1 dell’articolo 21 del D.Lgs. 30/2007, come sostituito dall’art. 1, co. 1, lettera e), dello schema in esame, nel menzionare i provvedimenti di allontanamento “di cui all’articolo 1”, rinvia ad una disposizione che, invece, si riferisce alle finalità del D.Lgs. 30/2007.
Per ulteriori osservazioni su aspetti specifici del testo, si rinvia alle schede di lettura.
La direttiva 2004/38/CE[14] ha come obiettivi quelli di
§ agevolare i cittadini dell’Unione nell’esercizio del diritto a circolare e a soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
§ ridurre allo stretto necessario le formalità amministrative;
§ definire meglio lo status dei familiari;
§ circoscrivere le possibilità di rifiuto o revoca del diritto di soggiorno.
Il diritto d’ingresso e soggiorno dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri era disciplinato da un corpus legislativo formato da due regolamenti e nove direttive. La presente direttiva modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68[15] ed abroga le direttive 64/221/CEE[16], 68/360/CEE[17], 72/194/CEE[18], 73/148/CEE[19], 75/34/CEE[20], 75/35/CEE[21], 90/364/CEE[22], 90/365/CEE[23] e 93/96/CEE[24].
La direttiva disciplina:
§ le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;
§ il diritto di soggiorno permanente;
§ le restrizioni ai diritti sopra menzionati per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
Occorre sottolineare che ai fini dell’art. 2 della direttiva, la definizione di “familiare” deve altresì includere il partner, definito come colui che ha contratto con il cittadino dell’Unione un’“unione registrata” sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio.
Il successivo art. 3, inoltre, prescrive che lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevoli l’ingresso e il soggiorno di altre categorie di familiari (a carico o conviventi) non comprese tra quelli (titolari di un diritto soggettivo all’ingresso e soggiorno) di cui al punto 2 dell’art. 2, nonché del “partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata”. Per tali soggetti, l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno deve seguire un esame approfondito della situazione personale, e dev’essere giustificato dallo Stato membro ospitante.
Il punto 6) della premessa alla direttiva precisa al riguardo che “per preservare l’unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l’ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell’Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione”.
Qualsiasi cittadino dell’Unione ha il diritto di recarsi in uno Stato membro munito di una carta d’identità o di un passaporto validi. In ogni caso, non può essere imposto alcun visto di uscita o di ingresso. Se il cittadino in questione non dispone di documenti di viaggio, lo Stato membro ospitante gli concede ogni agevolazione affinché egli ottenga o faccia pervenire i documenti richiesti. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, dotati di passaporto, beneficiano dello stesso diritto del cittadino che accompagnano. Ai fini di rendere appieno operante il principio della libera circolazione dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, coloro che hanno già ottenuto la carta di soggiorno (vedi infra) potranno essere esentati dall’obbligo di munirsi di visto d’ingresso a norma del regolamento (CE) n. 539/2001[25] o, infine, a norma della legislazione nazionale applicabile. Il permesso di soggiorno è considerato equivalente al visto di breve durata.
Per i soggiorni inferiori a tre mesi, la sola formalità imposta al cittadino dell’Unione è il possesso di un documento d’identità o di un passaporto valido (artt. 4, 5, 6). Lo Stato membro ospitante può prescrivere all’interessato di dichiarare la sua presenza sul territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
Il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi resta soggetto ad alcune condizioni:
§ esercitare un’attività in qualità di lavoratore subordinato o autonomo; o
§ disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno. A questo proposito, gli Stati dell’Unione possono fissare l’ammontare delle risorse considerate sufficienti; o
§ seguire un corso di studi o di formazione professionale in qualità di studente, disponendo di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante;
§ essere un familiare di un cittadino dell’Unione facente parte di una delle categorie sopra menzionate.
Il permesso di soggiorno per i cittadini dell’Unione è soppresso. Tuttavia, lo Stato membro ospitante può chiedere al cittadino l’iscrizione presso le autorità competenti entro un periodo che non può essere inferiore a tre mesi dal suo ingresso. L’attestato di iscrizione viene immediatamente rilasciato dietro presentazione:
§ di una carta di identità o un passaporto validi;
§ di una dichiarazione o qualsiasi altro mezzo, a scelta del cittadino, comprovante che egli soddisfa le condizioni sopraelencate;
I familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro devono chiedere una “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione”, che ha di norma validità di cinque anni (artt. 7, 8, 9, 10, 11). Il decesso, la partenza dal territorio dello Stato membro ospitante del cittadino dell’Unione così come il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento della unione registrata non pregiudicano il diritto di soggiorno dei familiari, qualora ricorrano le condizioni stabilite dagli artt. 12 e 13.
Qualsiasi cittadino dell’Unione acquisisce il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante dopo avervi risieduto legalmente e in via continuativa per un periodo di cinque anni. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze superiori per l’assolvimento degli obblighi militari, né da un’assenza di dodici mesi complessivi dovuta a motivi rilevanti (gravidanza, malattia, formazione, distacco per motivi di lavoro presso un altro Stato membro). Tale diritto non è più soggetto ad alcuna condizione, se non quella relativa ad assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi. Le stesse disposizioni si applicano ai familiari dell’interessato, non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, che hanno legalmente risieduto cinque anni con il suddetto nello Stato in questione.
La direttiva riconosce ai cittadini dell’Unione che svolgono un’attività di lavoro subordinato o autonomo e ai loro familiari il diritto di soggiorno permanente prima dello scadere dei cinque anni consecutivi di residenza se determinate condizioni si verificano (art. 17). Il documento che attesta il soggiorno permanente ha durata illimitata. Esso è rilasciato, su domanda, al cittadino dell’Unione nel più breve tempo possibile (art. 19), mentre ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che siano titolari del diritto di soggiorno permanente, entro sei mesi a partire dalla presentazione della domanda, la carta di soggiorno permanente, rinnovabile di diritto ogni dieci anni (art. 20). Il cittadino può provare la continuità della sua residenza con qualsiasi mezzo ammesso dallo Stato membro ospitante (art. 21).
Qualsiasi cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, così come i familiari, gode di pari trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d’applicazione del trattato. Tuttavia, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad accordare il diritto a prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno alle persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi o ai loro familiari né il diritto ad una borsa di mantenimento ai titolari del diritto di soggiorno recatisi nel territorio nazionale per motivi di studio (art. 24). I familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza, se titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente potranno esercitare un’attività come lavoratori subordinati o autonomi (art. 23).
Le limitazioni alla libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, incluso l’Allontanamento dal territorio dello Stato membro, possono essere motivate da ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica. In nessun caso, la decisione può essere dettata da ragioni economiche. Tutti i provvedimenti relativi alla libertà di circolazione e di soggiorno devono basarsi sul comportamento personale dell’interessato. L’esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare tali provvedimenti. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Al fine di verificare se l’interessato costituisca veramente un pericolo, lo Stato membro ospitante può chiedere informazioni allo Stato membro di origine ed eventualmente ad altri Stati membri. La scadenza del documento che ha consentito al cittadino l’ingresso nel paese non costituisce motivo sufficiente a giustificarne l’allontanamento (art. 27).
In ogni caso, prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio, lo Stato membro deve valutare alcuni elementi quali la durata della residenza nel suo territorio dell’interessato, l’età di quest’ultimo, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e il grado di integrazione sociale nel paese che lo ha accolto così come i suoi legami con il paese d’origine.
Il soggetto che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente non può essere allontanato se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Solo in casi eccezionali, per “motivi imperativi di pubblica sicurezza”, può essere disposto l’allontanamento di un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato nei dieci anni precedenti nello Stato ospitante o che sia minorenne (salvo che l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino: art. 28).
Dal punto di vista della sanità pubblica, le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose (art. 29).
Il provvedimento di rifiuto dell’ingresso o di allontanamento dal territorio deve essere notificato all’interessato, deve essere motivato e i mezzi di ricorso disponibili ed i termini entro cui agire devono esservi indicati. Fatta eccezione per casi urgenti, il termine ultimo per lasciare il territorio non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notifica (art. 30). La direttiva prevede il diritto dell’interessato ad accedere ai mezzi di impugnazione giurisprudenziale e, all’occorrenza, amministrativa e reca una serie di garanzie procedurali (art. 31). Il provvedimento di divieto di ingresso può essere revocato su domanda; l’interessato può presentare una domanda di riesame della sua situazione decorso un congruo periodo, e comunque dopo tre anni (art. 32).
Tra le disposizioni finali recate dalla direttiva si segnalano le seguenti:
§ art. 35: gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio;
§ art. 36: gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali adottate in attuazione della direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione;
§ art. 37: le disposizioni della direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno più favorevoli ai beneficiari del testo;
§ art. 39: entro il 30 aprile 2008 la Commissione presenta al Parlamento e al Consiglio una relazione relativa all’applicazione della presente direttiva e, all’occorrenza, ogni opportuna nuova proposta;
§ art. 40: il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato al 30 aprile 2006.
Il decreto legislativo 30/2007 reca attuazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Esso è stato adottato in virtù della norma di delega conferita al governo nell’art. 1, commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)[26].
Il decreto, in conformità all’atto normativo europeo, prevede la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, stabilendo pertanto la normativa diretta a sostituire interamente la precedente disciplina adottata con il D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea.
Il provvedimento (articolo 1) disciplina le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell’Unione europea e dei familiari che li accompagnano o li raggiungono, i presupposti del diritto di soggiorno permanente, nonché le limitazioni ai predetti diritti per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
Un particolare rilievo assume il recepimento degli articoli 2 e 3 della direttiva.
Come si è già accennato nella relativa scheda di lettura, tali articoli – recanti, rispettivamente, le definizioni dei termini usati nel testo e l’individuazione dei titolari del diritto di ingresso e soggiorno – individuano, nell’ambito dei familiari destinatari della direttiva medesima, il partner del cittadino dell’Unione europea.
La direttiva configura un vero e proprio diritto soggettivo all’ingresso e soggiorno per coloro che soddisfano le caratteristiche necessarie per essere definiti partner ai sensi dell’art. 2, lettera b), punto 2: tale condizione deve tuttavia risultare da un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro e diviene vincolante solo qualora lo Stato membro ospitante abbia una legislazione che equipari l’unione registrata al matrimonio, nel rispetto delle condizioni previste da tale legislazione.
In Italia tale previsione normativa non appare oggi applicabile, poiché manca nel nostro ordinamento una specifica disciplina giuridica delle “unioni di fatto” ed un riconoscimento giuridico delle “unioni civili” previste dagli ordinamenti di alcuni Paesi dell’Unione europea.
Peraltro, il comma 2, lett. b), dell’articolo 3 della direttiva, riferendosi alla (diversa) figura del “partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata”, pur non configurando per essa un diritto soggettivo pieno, prevede che lo Stato membro ospitante – conformemente alla sua legislazione nazionale, ne agevoli l’ingresso e il soggiorno.
Con riguardo a tale questione, come sottolinea la relazione illustrativa che accompagna lo schema di decreto presentato alle Camere per il prescritto parere, la scelta operata è stata quella di utilizzare quale modalità di recepimento l’integrale e testuale riproposizione degli artt. 2 e 3 della direttiva 2004/38/CE nei corrispondenti articoli 2 e 3 del decreto: ciò – precisa la relazione, “al fine di evitare che con il provvedimento venissero introdotti istituti non previsti dal nostro ordinamento”.
Gli articoli 4, 5 e 6 disciplinano il diritto di libera circolazione nell’ambito dell’Unione Europea a favore del cittadino dell’Unione europea e dei suoi familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Il diritto è condizionato esclusivamente al possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio, per il cittadino europeo, ovvero al possesso del passaporto valido, per il suo familiare extracomunitario. Per questi ultimi è anche richiesto il visto d’ingresso, quando previsto dalla normativa vigente. Il visto non è richiesto nei casi in cui il familiare, non cittadino europeo, sia in possesso della carta di soggiorno.
L’articolo 7 riconosce il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi al cittadino dell’Unione che sia lavoratore subordinato o autonomo, ovvero quando l’interessato disponga per sé e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti per il periodo del soggiorno non divenendo un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato e di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi. Analogo diritto è riconosciuto anche a chi frequenti un corso di studi o di formazione professionale presso un istituto pubblico o privato. Anche in tal caso il diritto di soggiorno è subordinato alla titolarità di una assicurazione sanitaria e alla dimostrazione di disporre di risorse economiche sufficienti per il periodo del soggiorno. Infine il diritto di soggiorno è riconosciuto al familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che accompagna o raggiunge il cittadino dell’Unione cui è riconosciuto il diritto di soggiorno. E’ prevista la conservazione del diritto di soggiorno a favore del cittadino comunitario, già lavoratore subordinato o autonomo, nei casi d’inabilità temporanea al lavoro per malattia o infortunio ovvero in stato di disoccupazione involontaria, dopo aver lavorato nello Stato per oltre un anno. Nell’eventualità, invece, in cui la disoccupazione involontaria si è verificata durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, il cittadino dell’Unione conserva il diritto di soggiorno per un solo anno.
A tutela dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, nei casi di rifiuto o revoca del diritto di ingresso e soggiorno è ammesso ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui dimora lo straniero il quale provvede sentito l’interessato pronunciandosi in camera di consiglio ai sensi dell’art. 737 del codice di procedura civile (articolo 8).
L’iscrizione anagrafica del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari rinviano alla normativa generale in materia[27]. Trascorsi tre mesi, dall’ingresso nel territorio nazionale, l’interessato deve chiedere l’iscrizione al comune. Per l’iscrizione, oltre l’ordinaria documentazione prevista dalla normativa vigente per i cittadini italiani, è anche richiesta una documentazione specifica secondo le condizioni cui è collegato il diritto di soggiorno (articolo 9).
L’articolo 10 disciplina la carta di soggiorno per il familiare del cittadino dell’Unione con cittadinanza di Stato extracomunitario: trascorsi tre mesi dall’ingresso nel territorio nazionale, il familiare interessato deve fare richiesta alla questura del luogo di residenza per il rilascio della carta di soggiorno.
La carta di soggiorno ha validità quinquennale anche nell’eventualità di assenze temporanee non superiori a sei mesi e, nel caso di periodi maggiori, quando l’assenza è dovuta all’assolvimento di obblighi militari o è dovuta a rilevanti motivi quali gravidanza e maternità o malattia grave.
Nel caso di decesso o partenza dallo Stato del cittadino dell’Unione, l’articolo 11 garantisce la conservazione del diritto di soggiorno a favore dei suoi familiari, cittadini di Stati membri dell’Unione europea, purché questi abbiano acquisito il “diritto di soggiorno permanente” (vedi infra) oppure abbiano i requisiti che consentono il riconoscimento del diritto di soggiorno autonomo (attività lavorativa ovvero polizza assicurativa e disponibilità di risorse economiche, etc.).
Per i familiari non cittadini dell’Unione, la conservazione del diritto di soggiorno è consentita a condizione di aver soggiornato nel territorio nazionale per almeno un anno e purché i familiari abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente o esercitino una attività lavorativa o dimostrino di possedere risorse economiche sufficienti e una polizza assicurativa sanitaria.
Nell’eventualità che non si sia verificata la condizione del soggiorno per almeno un anno, lo schema di decreto rinvia all’applicazione della disposizione di cui all’articolo 30, comma 5, del testo unico n. 286/1998 che, con disposizione valevole in via generale per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea regolarmente soggiornanti, prevede, nelle medesime ipotesi, il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo o per studio purché ne ricorrano le condizioni. Si è ritenuto necessario estendere tale disposizione anche ai familiari di cittadini comunitari in quanto, in assenza di tale specifica previsione, per il caso in esame sarebbe stata prevista una normativa più favorevole ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea rispetto alla regolamentazione prevista per i comunitari.
Specifiche disposizioni sono previste in caso di divorzio o annullamento del matrimonio del cittadino dell’Unione europea (articolo 12).
Il diritto di soggiorno è conservato ai sensi della disposizione in esame fino a quando gli interessati hanno le risorse economiche stabilite in modo da non diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato o fin quando non costituiscano un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica (articolo 13).
Qualsiasi cittadino dell’Unione europea, così come i suoi familiari, che abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato, gode del diritto di soggiorno permanente.
Gli articoli 14 e 15, che contengono le previsioni al riguardo, accolgono quanto stabilito in materia dalla direttiva 2004/38/CE. Relativamente all’attestazione della titolarità, l’articolo 16 prevede che la richiesta dell’interessato, accompagnata dalla documentazione attestante le condizioni stabilite, venga inoltrata al Comune di residenza che rilascia, entro trenta giorni, l’attestato che certifica la titolarità del diritto di soggiorno permanente. E’ poi stabilito che l’attestato potrà essere sostituito da una istruzione contenuta nel microchip della carta d’identità elettronica ai sensi del decreto legislativo n. 82/2005[28].
I familiari extracomunitari del cittadino dell’Unione europea possono presentare richiesta alla questura competente che entro 90 giorni rilascia una “Carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei” (articolo 17).
Lo schema di decreto rinvia alla legislazione vigente in ordine ai mezzi di prova per i requisiti richiesti per il mantenimento del soggiorno e per le deroghe relative al diritto di soggiorno permanente. La continuità del soggiorno è comunque interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti dell’interessato (articolo 18). Conformemente alla normativa in vigore, ai cittadini dell’Unione ed ai loro familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza, è consentito lo svolgimento di qualsiasi attività economica autonoma o subordinata escluse quelle attività che la legge, conformemente ai Trattati dell’Unione europea ed alla normativa comunitaria, riserva ai cittadini italiani. In linea con quanto disposto dalla direttiva 2004/38/CE, lo schema di decreto stabilisce che per i primi tre mesi di soggiorno i cittadini comunitari e i loro familiari non godono del diritto a prestazioni d’assistenza sociale (articolo 19).
I provvedimenti restrittivi in questione sono adottati nel rispetto del principio della proporzionalità ed in relazione ai comportamenti della persona che comunque devono rappresentare una minaccia reale ed attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La valutazione è fatta con riferimento a comportamenti concreti e non è di per sé sufficiente l’esistenza di condanne penali. Nell’adottare il provvedimento di allontanamento, deve comunque tenersi conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Italia e dell’importanza dei suoi legami con il paese di origine. Per i cittadini comunitari ed i loro familiari che hanno acquisito il diritto di soggiorno permanente, l’allontanamento è disposto esclusivamente per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica. Invece l’allontanamento di coloro che hanno soggiornato nel territorio dello Stato per oltre dieci anni e per i minorenni può essere disposto esclusivamente per quei motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato. Salva la possibilità, per i minorenni, di adottare l’allontanamento nel caso in cui questo è necessario nell’interesse del minore stesso come previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite del fanciullo.
L’allontanamento previsto dalla disposizione è adottato con provvedimento del Ministro dell’interno. Il provvedimento deve essere motivato, ed è prevista la notificazione con l’indicazione dei mezzi di impugnazione e della durata del divieto di reingresso per un periodo massimo di tre anni. Sempre nel provvedimento deve essere indicato il termine, non inferiore ad un mese, entro il quale lasciare il territorio nazionale, salvo i casi di comprovata urgenza. La violazione del divieto di reingresso è sanzionata con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda de 500 a 5.000 euro, prevedendo in tale ipotesi anche l’allontanamento immediato. L’esecuzione immediata dell’allontanamento da parte del questore è altresì disposta nel caso in cui il provvedimento è fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato ovvero quando il destinatario si è trattenuto sul territorio dello Stato oltre il termine fissato dal provvedimento (articolo 20).
L’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno (articolo 21) è invece previsto, per il cittadino dell’Unione e i suoi familiari, indipendentemente dalla loro nazionalità, nei casi in cui vengono a mancare le condizioni che hanno determinato il diritto di soggiorno. In tali ipotesi, l’allontanamento è disposto con provvedimento motivato del prefetto notificato all’interessato. Nell’adottare il provvedimento si deve tener conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Italia e dell’importanza dei suoi legami con il paese di origine. Per queste ipotesi di allontanamento il provvedimento non può prevedere un divieto di reingresso.
L’articolo 22 dello schema di decreto prevede i mezzi di tutela avverso il provvedimento di allontanamento adottato dal Ministro (articolo 20) o dal prefetto (articolo 21). Per il provvedimento del Ministro, basato sui motivi di ordine e sicurezza pubblica, il ricorso può essere presentato al T.A.R. del Lazio. Con la disposizione si è voluto ribadire quanto già previsto per le espulsioni adottate con provvedimento del Ministro. Il ricorso può essere presentato anche dall’estero e può contenere l’istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento. Il provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto è invece ricorribile avanti al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha adottato.
Il ricorso deve essere presentato, a pena d’inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica e deciso nei successivi trenta giorni.
Unitamente al ricorso può essere presentata anche l’istanza di sospensione dell’allontanamento. In tal caso l’efficacia dell’allontanamento è sospesa fino alla decisione della relativa istanza, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale. Il tribunale provvede in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c..
L’articolo 23 estende l’applicabilità delle norme contenute nel decreto legislativo, se più favorevoli, ai familiari di cittadini italiani di diversa cittadinanza.
L’articolo 24 prevede la norma di copertura finanziaria con un onere derivante valutato in 14,5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2007, a carico della disponibilità del Fondo di rotazione di cui alla legge 183/1987[29] cui risorse sono assegnate all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e al Fondo sanitario nazionale.
L’articolo 25 reca le norme finali e dispone l’abrogazione delle disposizioni già vigenti in materia, in particolar modo quelle recate dal testo unico approvato con D.P.R. 54/2002.
Lo schema in esame, composto di due articoli, riprende nella sostanza, con formulazione in parte diversa, disposizioni che erano contenute nel D.L. 181/2007[30], decaduto per decorrenza dei termini di conversione, ovvero erano state inserite nel testo di detto decreto a seguito dell’esame del disegno di legge di conversione al Senato.
Il D.L. 181/2007 recava diverse modifiche testuali al D.Lgs. 30/2007, principalmente volte a ridefinire i presupposti e le modalità di esecuzione degli allontanamenti dal territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza, introducendo tra l’altro la nozione di “motivi imperativi di pubblica sicurezza”.
Il decreto-legge, presentato per la conversione in legge al Senato della Repubblica (A.S. 1872), era stato approvato, con modificazioni, da tale ramo del Parlamento il 6 dicembre 2007. Il 17 dicembre le Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) della Camera concludevano l’esame del disegno di legge di conversione (A.C. 3292), conferendo ai relatori il mandato a riferire all’Assemblea in senso favorevole sul testo approvato dal Senato[31]. Il 19 dicembre, mentre in Assemblea era in corso la discussione sulle linee generali, il Governo ha annunciato in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo la decisione di non insistere per la conversione in legge del decreto[32]. Il seguito dell’esame del provvedimento non ha pertanto avuto luogo ed i termini per la conversione del decreto-legge sono scaduti il 1° gennaio 2008[33].
Talune delle disposizioni recate dal D.L. 181/2007 o in esso inserite nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione sono nella sostanza riprese – con formulazione diversa – dal D.L. 249/2007[34], attualmente in corso di conversione (A.C. 3325)[35], approvato dal Consiglio dei ministri nella stessa riunione in cui è stato approvato lo schema in esame.
In particolare, si segnalano le disposizioni contenute negli articoli 3-7 del decreto, che prevedono due ulteriori ipotesi di allontanamento dei cittadini di Stati membri dell’Unione per motivi di prevenzione del terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, recando una specifica disciplina del relativo procedimento e degli strumenti di tutela giurisdizionale, in larga misura coincidente con quella introdotta dal presente schema.
L’articolo 1, comma 1, lettera a) aggiunge un comma all’art. 5 del D.Lgs. 30/2007, ai sensi del quale il cittadino dell’Unione o il suo familiare che abbia fatto ingresso in Italia, può dichiarare presso un ufficio di polizia la propria presenza nel territorio nazionale. Tale adempimento non è obbligatorio; la sua mancanza, peraltro, fa sorgere la presunzione giuridica di carattere relativo (che ammette, quindi, la prova contraria), che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi.
Le modalità della dichiarazione saranno fissate con decreto del ministro dell’interno entro trenta giorni dall’entrata in vigore della disposizione.
Con riferimento ai profili attuativi della disposizione si segnala che nella relazione tecnica allegata allo schema si evidenzia come la disposizione in esame non comporti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in quanto il modello della dichiarazione sarà reso disponibile agli uffici interessati attraverso il sito internet del Ministero dell’interno, con modalità analoghe a quelle già utilizzate per altri moduli.
L’onere di dichiarazione e la correlata presunzione si collegano al diritto, riconosciuto ai cittadini dell’Unione (e ai familiari) dall’art. 6 del D.Lgs. 30/2007 (che riprende il disposto dell’art. 6 della direttiva) di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio (o, per i familiari, di un passaporto valido).
Come evidenziato anche nella relazione illustrativa che accompagna lo schema in esame, l’art. 5, co. 5, della direttiva dà allo Stato membro la possibilità di “prescrivere all’interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie”.
Le lettere b) e c) dell’articolo 1, comma 1, modificano l’elencazione dei requisiti posti dall’art. 7 e dall’art. 9 del D.Lgs. 30/2007 ai fini, rispettivamente, del soggiorno del cittadino dell’Unione nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi e dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti. Ad entrambi i fini, il requisito della disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé stesso e per i propri familiari, prescritto dalla vigente disciplina (e la relativa documentazione) è integrato con la precisazione che tali risorse devono derivare da fonti lecite e dimostrabili.
In proposito si ricorda che ai fini del riconoscimento del diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi l’art. 7 del D.Lgs. 30/2007 richiede al cittadino dell’Unione la disponibilità per sé stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti a non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale. Il successivo art. 9 – nel disciplinare i requisiti da attestare ai fini dell’iscrizione anagrafica per il cittadino comunitario – precisa che, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’art. 7, co. 1, lettera b), si rende necessaria la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del T.U. in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1988), oltre alla titolarità di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale. Detta norma fissa i parametri per la determinazione del reddito minimo richiesto allo straniero extracomunitario che richieda il ricongiungimento familiare. In base a tale disposizione, è necessario dimostrare la titolarità di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore:
§ all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare,
§ al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari,
§ al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari.
§ al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici.
Attraverso tale rinvio, pertanto, sembrerebbe, che il requisito della liceità della fonte di reddito fosse già previsto dall’art. 9 del D.Lgs. 30/2007 prima della novella in esame.
La lettera d) integra l’art. 18, co. 2, del D.Lgs. 30/2007, ove si prevede che la continuità del soggiorno sia interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata, precisando che tale provvedimento di allontanamento costituisce causa di cancellazione anagrafica.
L’articolo 1, comma 1, lettera e) sostituisce gli articoli 20, 21 e 22 del D.Lgs. 30/2007 dettando una nuova ed organica disciplina dell’allontanamento del cittadino dell’Unione europea sia sotto il profilo di una precisazione dei presupposti per l’applicazione del provvedimento sia per quanto attiene alla procedura dell’allontanamento stesso.
La relazione illustrativa evidenzia al riguardo che le modifiche apportate al D.Lgs. 30/2007 sono in particolare volte ad assicurare, entro i limiti fissati dalla direttiva europea recepita. “celerità ed effettività all’esecuzione degli allontanamenti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza”.
Con riferimento alla disciplina dell’allontanamento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza[36], recata dall’art. 20 del D.Lgs. 30/2007, lo schema apporta modifiche ed integrazioni riferite ai presupposti e al procedimento per l’adozione del provvedimento di allontanamento, alle sue caratteristiche, nonché alle modalità di esecuzione del provvedimento stesso.
Con riferimento ai presupposti dell’allontanamento, lo schema in esame, con una nuova formulazione del comma 2 dell’art. 20, precisa in via generale che i provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza non possono essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona interessata. Alla luce di tale criterio dovranno dunque essere interpretate le condizioni che, ai sensi delle ulteriori modifiche apportate all’articolo, giustificano l’allontanamento.
Al riguardo, la relazione illustrativa allegata al provvedimento evidenzia come tale precisazione sia stata introdotta in ossequio al dettato della normativa comunitaria. L’art. 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE stabilisce infatti che i provvedimenti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza “sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati”.
La nuova formulazione del comma 3 dell’articolo 20 esclude inoltre – a differenza del testo vigente – la rilevanza dello stato di salute del cittadino comunitario ai fini della valutazione in ordine all’adozione di un provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
La relazione illustrativa del Governo non fornisce indicazioni in ordine alla soppressione operata al comma 3, che peraltro non trova riscontro nelle disposizioni relative all’allontanamento per la cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno del cittadino dell’Unione europea. Anche nel nuovo testo dell’art. 21 del D.Lgs. 30/2007, infatti, si prevede (co. 2) che ai fini dell’adozione del provvedimento si tenga conto – tra l’altro – dello stato di salute dell’interessato.
Al riguardo si segnala, inoltre, che l’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva n. 2004/38/CE richiama espressamente lo stato di salute tra gli elementi dei quali lo Stato membro ospitante deve tenere conto prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dal comma 14 dell’articolo 20, che riprende sostanzialmente il contenuto di disposizioni inserite nel corso dell’esame in Senato del D.L. 181/2007, successivamente decaduto[37]. In base al nuovo comma 14, nell’adozione dei provvedimenti di allontanamento, il ministro o il prefetto dovranno, infatti, tenere conto anche di eventuali segnalazioni motivate effettuate dal sindaco del comune di residenza o di dimora del cittadino comunitario destinatario del provvedimento.
In base al codice civile, per residenza s’intende il luogo in cui la persona ha la dimora abituale (art. 43). Il concetto di dimora non è invece definito a livello codicistico; la dottrina ritiene che esso indichi il “luogo ove una persona si trova sia pure momentaneamente purché in via non passeggera” (Gazzoni).
In base al comma 1 dell’art. 20 – sostanzialmente non modificato dallo schema – il diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere in generale limitato solo per motivi “di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”.
L’art. 20, co. 4, nel testo vigente, consente l’allontanamento nei confronti dei cittadini della UE titolari del diritto di soggiorno permanente, solo per “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”. In base al testo modificato, l’allontanamento può essere disposto per “gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”.
Si ricorda che, in base all’art. 14 del D.Lgs. 30/2007, il cittadino dell’Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente, così come il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro che abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell’Unione[38].
In base all’art. 28 della direttiva 2004/38/CE lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare qualunque sia la cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio, se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
Nei riguardi dei cittadini dell’Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni, il testo vigente (art. 20, co. 5) condiziona l’allontanamento alla sussistenza di “motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato”. Il testo modificato, invece, individua il presupposto per l’allontanamento nell’esistenza di “motivi di sicurezza dello Stato”, ovvero di “motivi imperativi di pubblica sicurezza”.
In base all’art. 28 della direttiva, le tipologie di cittadini sopra citate non possono essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo che la decisione sia adottata per “motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato”.
Resta salva, nel testo modificato, la possibilità di allontanamento del minore disposta nel suo stesso interesse, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176.
Con riferimento ai “motivi imperativi di pubblica sicurezza”, si evidenzia come il comma 5 dell’articolo 20, nel testo riformulato dallo schema, non menzioni espressamente tali ultimi motivi, facendo riferimento ai “motivi di cui al comma 13”. Detta disposizione contiene, a sua volta, un rinvio alla disciplina dell’allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza contenuta nel D.L. 249/2007, attualmente in corso di conversione.
Al riguardo si ricorda che l’articolo 4 del D.L. 249/2007, riproducendo sostanzialmente la disciplina recata dall’art. 1-ter introdotto dal Senato nel D.L. 181/2007 (in seguito decaduto[39]) nel corso dell’esame del d.d.l. di conversione, introduce, accanto alla disciplina dell’allontanamento dal territorio nazionale dei cittadini di (altri) Stati membri dell’Unione europea per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, l’ulteriore fattispecie dell’allontanamento immediato per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Il successivo articolo 5 sanziona penalmente il caso in cui il destinatario dei provvedimenti di allontanamento ai sensi del decreto-legge in commento rientri nel territorio dello Stato in violazione del divieto di reingresso, mentre l’articolo 6 disciplina l’allontanamento del cittadino dell’Unione o di un suo familiare che sia sottoposto a procedimento penale. L’articolo 7 prevede i mezzi di tutela avverso i provvedimenti di allontanamento per motivi di prevenzione del terrorismo o per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Sotto il profilo della tecnica legislativa, anche ai fini di una maggiore organicità della disciplina dell’allontanamento dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, potrebbe valutarsi l’opportunità di un migliore coordinamento tra le norme recate dal D.Lgs 30/2007 e quelle attualmente contenute nel D.L. 249/2007, anche attraverso l’inserimento dei contenuti di tale ultimo provvedimento, nella formulazione eventualmente risultante dalla legge di conversione, nell’ambito del decreto legislativo che, nel recepire la normativa comunitaria in materia, regola in termini complessivi il diritto di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione.
In questo contesto, dovrebbe altresì valutarsi l’esigenza di estendere il rinvio contenuto nell’articolo 20, co. 13, del D.Lgs. 30/2007, come riformulato dallo schema in esame, anche alla disciplina dell’allontanamento per motivi di prevenzione del terrorismo disciplinata dall’art. 3 del D.L. 249/2007.
In proposito, si ricorda che il Comitato per la legislazione nel parere sul d.d.l. di conversione del D.L. 249/2007 (A.C. 3325)[40] ha evidenziato come “dovrebbe valutarsi l’opportunità di riformulare le disposizioni contenute negli articoli da 3 a 7 del decreto-legge in termini di novella al decreto legislativo n. 30 del 2007”, raccomandando al Governo di aver cura di utilizzare in modo coordinato, ove possibile, gli strumenti normativi a sua disposizione nella materia in esame, alla luce anche della possibilità di fare ricorso alla potestà legislativa delegata di tipo integrativo e correttivo afferente il D.Lgs. 30/2007.
Sotto il profilo della formulazione delle disposizioni, si segnala che ai commi 4 e 5 dell’articolo 20 del D.Lgs. 30/2007, come sostituito dall’art. 1, co. 1, lettera e), si fa riferimento rispettivamente, all’articolo 14 “del decreto legislativo” e ai beneficiari del diritto di soggiorno di cui al “decreto legislativo”. Trattandosi con tutta evidenza di riferimenti interni all’atto normativo, si osserva che la Circolare del Presidente della Camera del 20 aprile 2001, sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi (par. 1.9.1), evidenzia che il ricorso ad analoghe espressioni si giustifichi solo in quanto nello stesso testo sono presenti riferimenti ad altre fonti normative e può quindi generarsi incertezza interpretativa.
Tali modifiche testuali appaiono funzionali a una riclassificazione dei presupposti definiti dal testo previgente (motivi di ordine e di sicurezza pubblica; motivi di pubblica sicurezza ridondanti in rischio per la sicurezza dello Stato) in più distinti e autonomi presupposti, ciascuno di per sé legittimante l’allontanamento:
§ motivi di ordine pubblico;
§ motivi di sicurezza dello Stato;
§ motivi di pubblica sicurezza;
§ motivi imperativi di pubblica sicurezza (come evidenziato, peraltro, per la disciplina di tale ultima fattispecie il comma 13 dell’art. 20 fa rinvio al D.L. 249/2007).
Il testo in esame non reca una definizione delle categorie testé elencate.
Tale riclassificazione incide, come si dirà, sia sulla titolarità del potere di allontanamento sia sulle modalità di esercizio di tale potere.
Quanto alla titolarità del potere di allontanamento, la nuova formulazione del comma 7 dell’articolo 20 delineano un “doppio binario”.
Spettano al ministro dell’interno i provvedimenti di allontanamento disposti:
§ per motivi di ordine pubblico;
§ per motivi di sicurezza dello Stato;
Competono invece al prefetto(co. 7-bis), i provvedimenti disposti:
§ per motivi di pubblica sicurezza.
La competenza territoriale del prefetto è individuata secondo la residenza o dimora del destinatario del provvedimento.
Il principale elemento di innovazione in tema di competenza all’allontanamento risiede peraltro nella attribuzione della relativa titolarità al prefetto ove i motivi legittimanti attengano alla pubblica sicurezza (art. 20, co. 7-bis). Nel testo previgente, infatti, i poteri di allontanamento erano attribuiti in tutti i casi al Ministro dell’interno.
La relazione governativa afferma al riguardo che la devoluzione al Prefetto della competenza in ordine all’adozione dei provvedimenti di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza, in linea con le altre innovazioni introdotte dallo schema in esame, ha lo scopo di rendere più celeri le procedure di allontanamento nei casi esso consegua a motivi di pubblica sicurezza.
Il Governo segnala che, a livello sistematico, il potere prefettizio di allontanamento trova un precedente legislativo nell’art. 13 del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
La disposizione richiamata stabilisce, infatti, (co. 1) che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell’interno può disporre l’espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al ministro degli affari esteri. L’espulsione è invece disposta dal prefetto quando lo straniero, tra l’altro (co. 2, lett. c)) , rientri nella categoria delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, ovvero in quella degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
Peraltro, già l’art. 21 del D.Lgs. 30/2007 attribuiva (co. 2) al Prefetto la competenza ad adottare i provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari e dei loro familiari nel caso in cui il provvedimento fosse motivato dal venir meno delle condizioni che determinano il diritto al soggiorno nel territorio nazionale.
Quanto ai fondamentali caratteri del provvedimento di allontanamento il nuovo testo dell’art. 20, co. 8, reca una disciplina uniforme per i provvedimenti adottati dal ministro dell’interno e dal prefetto.
In particolare; si prevede che l’allontanamento:
§ sia disposto con atto motivato, salvo che alla motivazione ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato[41];
§ se il destinatario del provvedimento non comprende la lingua italiana, sia accompagnato da una sintesi del suo contenuto redatta –anche attraverso l’utilizzo di appositi formulari, sufficientemente dettagliati – in una lingua comprensibile dall’interessato o, comunque, in francese, inglese, spagnolo o tedesco, sulla base delle preferenze indicate dall’interessato.
Si segnala, peraltro, che nella relazione tecnica allegata allo schema in esame si evidenzia come la comunicazione del modulo nelle lingue indicate (francese, inglese, spagnolo o tedesco) si renderà necessaria solo “nel caso di mancanza di interpreti al momento disponibili per la lingua compresa dal destinatario”.
Al riguardo, si segnala che il testo vigente dell’art. 7 prevede invece che il provvedimento di allontanamento sia (integralmente) “tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese”.
In proposito si osserva che, nella seduta della I Commissione (Affari costituzionali) della Camera del 15 gennaio 2008, il sottosegretario di Stato per l’internoMarcella Lucidi ha fornito un chiarimento circa le concrete modalità di attuazione di un’analoga disposizione contenuta nell’art. 3, co. 2, del D.L. 249/2007, riferita all’allontanamento per motivi di prevenzione del terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza. In tale sede, il rappresentante del governo ha evidenziato come la disposizione in esame riproduce un’analoga norma contenuta nel regolamento di attuazione del testo unico delle norme e delle disposizioni in materia di immigrazione e condizione dello straniero, con la sola differenza che nel citato regolamento, trattandosi di provvedimenti destinati a cittadini extracomunitari, si prevede l’arabo, anziché il tedesco, accanto ad inglese, francese e spagnolo[42]. Al riguardo, il sottosegretario ha inoltre chiarito come, in concreto, dopo l’adozione del provvedimento, una sintesi del suo contenuto venga resa disponibile al destinatario nella lingua da lui parlata ovvero, ove questo non fosse possibile, in una delle principali lingue europee, a scelta del destinatario stesso.
§ sia notificato all’interessato;
§ debba riportare le modalità di impugnazione;
§ salvi i casi di esecuzione immediata dell’allontanamento, introdotti dal successivo comma 9, debba indicare il termine per lasciare il territorio nazionale;
§ debba indicare la durata del divieto di reingresso in Italia.
Quanto agli effetti del provvedimento di allontanamento, i commi 8 e 9 dell’articolo 20, nel testo riformulato dallo schema, distinguono tra provvedimenti adottati per motivi di sicurezza dello Stato e provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o pubblica sicurezza.
Con riferimento all’esecuzione del provvedimenti di allontanamento, il nuovo testo dell’articolo 20 conferma che di norma all’allontanamento si provveda mediante intimazione ad abbandonare il territorio nazionale entro un termine fissato dal provvedimento, che non può essere inferiore a un mese dalla data della notifica. Tale termine può, peraltro, essere derogato in presenza di casi di “comprovata urgenza”. Per quanto attiene agli effetti della deroga, la nuova formulazione del comma 8 dell’art. 20 ne precisa la portata con maggiore precisione rispetto al testo vigente della disposizione, che si limita a fare salvi i casi di comprovata urgenza, prevedendo che il termine possa essere ridotto a dieci giorni.
Il successivo comma 9 stabilisce tuttavia che, ove ricorrano motivi imperativi di pubblica sicurezza, il provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore.
Il testo non chiarisce con quali modalità il questore debba provvedere all’esecuzione dell’allontanamento. L’art. 13, co. 4 del D.Lgs. 286/1998 (che nel silenzio potrebbe ritenersi applicabile), precisa come l’espulsione dello straniero non appartenente all’Unione europea debba essere eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Tale questione applicativa si poneva, peraltro, già con riferimento al comma 9 dell’art. 20 del testo vigente, il quale già contemplava analoghe fattispecie di esecuzione immediata dell’allontanamento.
Innovando rispetto alla disciplina vigente, il testo prevede invece espressamente, tramite rinvio all’art. 13, co. 5-bis, del D.Lgs. 286/1998, che il rimedio giurisdizionale esperibile avverso il provvedimento di allontanamento eseguito dal questore per motivi imperativi di pubblica sicurezza è il medesimo previsto per gli stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea.
L’art. 13 del T.U. disciplina l’espulsione amministrativa dello straniero. Il comma 5-bis prevede che, nei casi di espulsione con accompagnamento alla frontiera, il questore comunica immediatamente e, comunque, entro 48 ore (decorrenti dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria) al giudice di pace territorialmente competente, il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento. L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida[43], che avviene in udienza camerale, con decreto motivato, entro le 48 ore successive, garantito il contraddittorio. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei CPT (centri di permanenza temporanea) salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida.
La relazione illustrativa allegata allo schema evidenzia al riguardo come il richiamo della disciplina della convalida “vale a garantire il rispetto dei principi costituzionali in materia di esecuzione dei rimpatri conformemente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2004”, che – come si è detto – aveva evidenziato la necessità che il giudizio di convalida dovesse svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione.
A tale proposito va peraltro segnalato che l’articolo 2 del D.L. 249/2007, riprendendo il testo dell’art. 1-ter del D.L. 181/2007, introdotto nel corso dell’esame al Senato, trasferisce al tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze attualmente riconosciute al giudice di pace dal testo unico sull’immigrazione.
Il questore dispone inoltre l’allontanamento immediato dal territorio dello Stato anche nei casi in cui:
§ l’intimato non abbandoni il territorio dello Stato entro il termine in precedenza assegnato in sede di intimazione (art. 20, co. 10, nel testo novellato, la disposizione è peraltro già contenuta nel co. 9 del testo vigente);
§ il destinatario del provvedimento rientri nel territorio dello Stato in violazione del divieto di reingresso (art. 20, co. 12, nel testo novellato, la disposizione è peraltro già contenuta nel co. 8 del testo vigente).
Anche con riferimento a dette fattispecie il testo prevede, attraverso il rinvio all’art. 13, co. 5-bis, del D.Lgs. 286/1998, la presenza di un giudizio di convalida coincidente con quello previsto in caso di espulsione con accompagnamento alla frontiera di stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea.
Per quanto attiene al divieto di reingresso nel territorio nazionale, il comma 8 – come si è detto – distingue tra provvedimenti adottati per motivi di sicurezza dello Stato e provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o pubblica sicurezza. Infatti, il termine non può essere superiore:
§ a 10 anni per l’allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato;
§ a 5 anni per gli altri casi di allontanamento.
Innovando rispetto alla disciplina vigente, il comma 11 dell’articolo 20 introduce una procedura che consente al cittadino dell’Unione destinatario del provvedimento di allontanamento di chiedere la revoca del divieto di reingresso, qualora ritenga di poter dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione, purché sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, o comunque almeno tre anni, dall’esecuzione del provvedimento.
Sulla domanda decide entro sei mesi con atto motivato l’autorità che ha emanato il provvedimento. Durante l’esame della domanda l’interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale.
La direttiva 2004/38/CE (art. 32) prevede che la persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio per motivi d’ordine pubblico o pubblica sicurezza possa presentare una domanda di revoca del divieto d’ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l’ingresso nel territorio. Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa. La persona interessata non ha diritto d’ingresso nel territorio dello Stato membro durante l’esame della sua domanda.
Il comma 12 dell’articolo 20 dispone invece in ordine alle conseguenze della violazione del divieto di reingresso, riprendendo – con significative modifiche – il contenuto del comma 8 del testo vigente.
In particolare, si prevede che quest’ultimo caso configuri un’ipotesi di delitto, punito con la reclusione fino a tre anni. Sul punto, lo schema innova rispetto al testo previgente, che prevedeva per la stessa condotta una fattispecie contravvenzionale, punita con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000.
Si ricorda, quanto alle ulteriori conseguenze processuali della innovazione in esame, che possono essere disposte misure cautelari coercitive solo ove si proceda per delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a tre anni. L’applicazione della custodia cautelare in carcere, peraltro, è possibile ove si proceda per un delitto punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (art. 280 c.p.p.). Pertanto, l’introduzione della nuova ipotesi di delitto non pare comportare l’applicabilità di misure cautelari di tipo coercitivo.
Come già segnalato, il cittadino comunitario che sia rientrato nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è nuovamente allontanato, con esecuzione immediata, sottoposta a convalida secondo le procedure previste dall’articolo 13, co. 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies del testo unico sull’immigrazione, di cui al citato D.Lgs. 286/1998.
In altri termini, si rinvia alla analoga disciplina già vigente per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e per gli apolidi. Tale disciplina si basa sulla necessità di un nulla-osta da parte dell’autorità giudiziaria.
In proposito, si osserva che per quanto riguarda gli allontanamenti che non conseguano alla violazione del divieto di reingresso non è invece richiamata la disciplina del T.U. sull’immigrazione relativa ai rapporti tra espulsione e procedimenti penali in corso.
In tali casi, pertanto, anche qualora il cittadino da espellere sia sottoposto a procedimento penale, non si richiede il nulla-osta dell’autorità giudiziaria.
In particolare, il co. 3 del suddetto art. 13 afferma che quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l’espulsione, richiede il nulla osta all’autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali, valutate in relazione:
§ all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e
§ all’interesse della persona offesa.
In tal caso l’esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l’autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali.
Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all’espulsione. Il nulla osta si intende concesso qualora l’autorità giudiziaria non provveda entro 15 giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea.
Ai sensi del co. 3-bis, nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all’atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai sensi del co. 3.
Secondo il co. 3-ter, le disposizioni di cui al co. 3 si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti. Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l’estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all’esecuzione dell’espulsione. Il provvedimento è immediatamente comunicato al questore.
Il co. 3-quater prevede che nei casi previsti dai commi precedenti, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. È sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell’art. 240 c.p. (cose che costituiscono il prezzo del reato e cose la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituiscono reato). Si applicano le disposizioni di cui ai commi 13, 13-bis, 13-ter e 14.
I commi 13, 13-bis, 13-ter e 14, richiamati dal comma 3-quater dell’art. 13 citato, contengono una disciplina del reingresso che differisce da quella di cui all’art. 20 del D.Lgs. 30/2007 (e alla direttiva 2004/38). Pertanto parrebbe che il rinvio al comma 3-quater non dovrebbe essere interpretato nel senso di ricomprendere anche l’ultimo periodo.
Infine, ai sensi dell’art. 3-quinquies, se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l’art. 345 c.p.p.. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest’ultima è ripristinata a norma dell’art. 307 c.p.p..
Per i motivi suindicati, anche il rinvio al comma 3-quinquies sembrerebbe porre qualche problema di coordinamento con la disciplina del reingresso per i cittadini dell’Unione europea.
È integralmente sostituito anche l’articolo 21 del D.Lgs. 30/2007, che disciplina l’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. Le innovazioni introdotte rispetto al testo vigente paiono, in particolare, volte a precisare con maggiore dettaglio i presupposti dell’allontanamento e a rafforzare l’effettività degli allontanamenti disposti.
In particolare, al comma 1 si specifica che il provvedimento di allontanamento “di cui all’articolo 1”, che può adottarsi nei casi in cui vengano a mancare i requisiti necessari al riconoscimento del diritto di soggiorno, si riferisce alle fattispecie previste dagli articoli 6, 7 e 13 del D.Lgs. 30/2007. Resta salvo – come attualmente previsto – quanto disposto dagli art. 11 e 12 del D.Lgs. 30/2007 in ordine al mantenimento dei diritto di soggiorno dei familiari non comunitari in caso di decesso o partenza del coniuge cittadino dell’Unione o di divorzio o annullamento del matrimonio.
Come evidenziato nella sezione relativa al quadro normativo (v. supra), l’art. 6 disciplina il diritto di soggiorno per un periodo inferiore a 3 mesi. Al riguardo, si segnala peraltro che l’art. 6 prevede che tale diritto di soggiorno non sia sottoposto ad alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio ovvero, per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, di un passaporto in corso di validità.
L’art. 7 regola, invece, il diritto di soggiorno per un periodo superiore a 3 mesi, prevedendo che esso sia sottoposto alternativamente alle seguenti condizioni:
§ esercizio di un’attività in qualità di lavoratore subordinato o autonomo;
§ disponibilità di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno;
§ iscrizione ad un corso di studi o di formazione professionale presso un istituto pubblico o privato. Anche in questo caso il diritto di soggiorno è subordinato alla titolarità di una assicurazione sanitaria e alla dimostrazione di disporre di risorse economiche sufficienti per il periodo del soggiorno;
§ essere un familiare che raggiunge o accompagna un cittadino dell’Unione facente parte di una delle categorie sopra menzionate.
È inoltre prevista la conservazione del diritto di soggiorno a favore del cittadino comunitario, già lavoratore subordinato o autonomo, nei casi d’inabilità temporanea al lavoro per malattia o infortunio ovvero in stato di disoccupazione involontaria, dopo aver lavorato nello Stato per oltre un anno. Nell’eventualità, invece, in cui la disoccupazione involontaria si è verificata durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, il cittadino dell’Unione conserva il diritto di soggiorno per un solo anno. Il diritto di soggiorno è altresì conservato nel caso in cui il lavoratore segua un corso di formazione professionale collegato all’attività svolta in precedenza.
Ai sensi dell’articolo 13, si prevede la conservazione del diritto di soggiorno:
§ per i titolari di diritto di soggiorno fino a 3 mesi fino a che gli interessati hanno le risorse economiche stabilite in modo da non diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato o fin quando non costituiscano un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica;
§ per gli altri titolari di diritto di soggiorno finché si mantengono le condizioni richieste dal D.Lgs. per il riconoscimento del diritto stesso.
Si prevede peraltro che i provvedimenti di allontanamento, ad eccezione di quelli per motivi di ordine e sicurezza pubblica, non possano essere adottati nei confronti di cittadini comunitari che siano lavoratori autonomi o subordinati o che stiano ricercando un posto di lavoro e dimostri tale sua condizione con le modalità stabilite dal D.Lgs. n. 30.
Quanto alla portata delle modifiche introdotte, in assenza di indicazioni al riguardo nella relazione illustrativa, potrebbe ritenersi che esse intendano escludere in modo espresso la possibilità di procedere all’allontanamento di cittadini comunitari titolari del diritto di soggiorno permanente di cui agli articoli 14 e 15 del D.Lgs. 30/2007.
Sotto il profilo della formulazione della disposizione, dovrebbe valutarsi l’opportunità di sopprimere, nella riformulazione del comma 1 dell’articolo 21 del D.Lgs. 30/2007, il riferimento ai provvedimenti di allontanamento “di cui all’articolo 1”, in quanto tale ultima disposizione disciplina non già l’allontanamento dei cittadini comunitari, bensì le finalità del D.Lgs. 30/2007.
Sempre in relazione ai presupposti dell’allontanamento, la nuova formulazione del comma 2 dell’articolo 21 prevede che il relativo provvedimento sia adottato anche su segnalazione motivata del sindaco del comune di residenza o di dimora del cittadino comunitario destinatario del provvedimento, analogamente a quanto previsto dal nuovo comma 14 dell’art. 20 del D.Lgs. 30/2007 per gli allontanamenti per motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza.
Quanto invece ai caratteri del provvedimento di allontanamento, si prevede – anche in questo caso in conformità alle modifiche introdotte alla disciplina prevista per gli allontanamenti per motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza – che, se il destinatario del provvedimento non comprende la lingua italiana, il provvedimento non sia più (integralmente) tradotto, ma accompagnato da una sintesi del suo contenuto redatta, anche attraverso l’utilizzo di appositi formulari, sufficientemente dettagliati, in una lingua comprensibile dall’interessato o, comunque, in francese, inglese, spagnolo o tedesco, sulla base delle preferenze indicate dall’interessato.
Per un’analisi più approfondita della portata di tale disposizione si rinvia all’illustrazione delle modifiche apportate all’art. 20, co. 8, del D.Lgs. 30/2007 (v. supra).
Rilevanti innovazioni sono apportate ai commi 2 e 3 dell’articolo 21 allo scopo – esplicitato dalla relazione governativa di accompagnamento – di garantire l’ottemperanza all’allontanamento del cittadino dell’Unione quando vengono a mancare le condizioni che determinano il soggiorno”.
Al riguardo, si prevede infatti (co. 2) che unitamente al provvedimento di allontanamento sia consegnata al cittadino comunitario da allontanare anche una “attestazione di obbligo di adempimento” dell’allontanamento, secondo modalità stabilite con decreto del ministro dell’interno e del ministro degli affari esteri. Detta attestazione deve essere presentata presso un consolato italiano (in base al tenore letterale della disposizione non sembra necessario si tratti del consolato del Paese di cittadinanza dell’allontanato).
È conseguentemente introdotta (co. 3) una specifica fattispecie contravvenzionale, sanzionata con l’arresto da un mese a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 euro, che ricorre allorquando l’allontanato sia individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di allontanamento, e non abbia provveduto alla presentazione dell’attestazione di cui sopra.
Al riguardo, la relazione illustrativa evidenzia che la disciplina introdotta intende garantire maggiore efficacia al provvedimento di allontanamento nel rispetto delle disposizioni della direttiva comunitaria, la quale esclude che in caso di allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno possa prevedersi un divieto di reingresso (art. 15, paragrafo, 3 della direttiva 2004/38/CE)[44]. La relazione sottolinea come, alla luce di tale previsione, l’esecuzione dell’allontanamento da parte del questore sarebbe un inutile dispendio di risorse umane e finanziarie, in quanto l’allontanato potrebbe comunque rientrare immediatamente sul territorio nazionale.
Lo schema apporta infine alcune modifiche all’articolo 22 del D.Lgs. 30/2007, in materia di ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento, che conseguono alle modifiche apportate dai commi precedenti.
Il testo previgente dell’art. 22 prevedeva che il provvedimento del ministro, basato su motivi di ordine e sicurezza pubblica, potesse essere impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
Il provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto – nei casi in cui fossero venute a mancare le condizioni che avevano determinato il diritto di soggiorno – era invece ricorribile innanzi al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha emanato.
Il testo modificato dell’art. 22 specifica che il ricorso al TAR del Lazio è esperibile nel caso di provvedimenti di allontanamento adottati dal Ministro dell’interno. I provvedimenti prefettizi di espulsione per motivi di pubblica sicurezza sono impugnabili, analogamente a quelli per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, con ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che l’ha adottato.
È invece stato soppresso l’inciso, contenuto nel comma 4 del testo vigente dell’articolo 22, volto a precisare che la decisione sul ricorso da parte del tribunale debba intervenire entro 30 giorni dalla presentazione del ricorso stesso.
Quanto alle formalità per la presentazione del ricorso, la nuova formulazione del comma 3 dell’articolo 22 (che corrisponde al comma 5 del testo vigente) precisa che i ricorsi debbano sempre essere personalmente sottoscritti dall’interessato e possano essere presentati attraverso una qualunque rappresentanza diplomatica o consolare italiana (e non necessariamente attraverso quella presente nel Paese di origine del cittadino allontanato).
Si è inoltre esplicitato (art. 22, co. 4, nel testo riformulato) che l’istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento prevista dal comma 7 del testo vigente riguarda i ricorsi avverso i provvedimenti di espulsione per motivi di pubblica sicurezza e per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. Si stabilisce inoltre che – analogamente a quanto già previsto per i casi in cui l’allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale – la presentazione dell’istanza di sospensione non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato nel caso in cui esso si basi su motivi di sicurezza dello Stato. Tale eccezione alla sospensione dell’esecutorietà dell’allontanamento era attualmente prevista con riferimento ai “motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato”.
Il comma 8, infine, precedentemente stabiliva che al cittadino comunitario o al suo familiare cui fosse stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento erano consentiti l’ingresso e il soggiorno in Italia per partecipare alle fasi essenziali del procedimento, salvo che la loro presenza potesse procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine e alla sicurezza pubblica.
Conformemente alle modifiche apportate nelle restanti parti del testo, al comma 6 del testo riformulato (che corrisponde al vigente comma 8) la dicitura “all’ordine e alla sicurezza pubblica” è stata sostituita con: “all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica” ed è stato previsto che l’ingresso e il soggiorno in Italia può essere consentito per partecipare al procedimento (e non solo alle sue “fasi essenziali”).
L’articolo 2 quantifica gli oneri finanziari recati dal provvedimento e dispone in ordine alla loro copertura.
Il comma 1 individua il maggiore onere derivante dal provvedimento (valutato in 250.000 euro per l’anno 2008, 225.000 euro per l’anno 2009 e 200.000 euro per l’anno 2010) nella predisposizione della traduzione del provvedimento di allontanamento prevista dall’art. 1, co. 1, lettera e), dello schema (in particolare, rilevano al riguardo le previsioni contenute nella nuova formulazione dell’art. 20, co. 8, e dell’art. 21, co. 2, del D.Lgs. 30/2007).
Più in dettaglio la relazione tecnica che accompagna il provvedimento evidenzia come la disposizione in esame obbliga l’amministrazione a predisporre formulari almeno nelle 23 lingue ufficiali dell’Unione europea. Detti formulari, peraltro, dovranno comunque essere completati caso per caso con gli elementi specificamente riferibili alle singole fattispecie di allontanamento. Per gli anni successivi al 2008, la relazione tecnica evidenzia come si ponga la necessità di provvedere alla predisposizione dei formulari anche in alcune lingue non rientranti tra quelle ufficiali dell’Unione. Tale traduzione, che sarà limitata alle lingue maggiormente diffuse, si rende infatti necessaria per consentire la comunicazione anche ai familiari che non siano cittadini comunitari e non conoscano una delle lingue ufficiali dell’Unione.
Lo stesso comma dispone che la copertura sia operata attingendo all’accantonamento relativo al Ministero dell’interno nell’ambito dell’unità previsionale di base “Oneri comuni di parte corrente”, istituita all’interno del programma “Fondi di riserva e speciali” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.
Per quanto attiene alla formulazione letterale della disposizione relativa alla copertura finanziaria, si segnala che la V Commissione (Bilancio) della Camera, pronunciandosi su analoga disposizione recata dal d.d.l. di conversione del D.L. 249/2007 (A.C. 3325), ha evidenziato l’opportunità che la clausola di copertura fosse riformulata in modo tale che risultasse inequivoco il riferimento al Fondo speciale di parte corrente. Pertanto, ai fini del rispetto dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, il parere favorevole[45] sul provvedimento è stato condizionato a una riformulazione della clausola che precisasse che gli oneri trovano copertura “nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008”.
Con riferimento ai profili attinenti alla conformità della disposizione con i principi e criteri direttivi della delega si segnala che l’art. 2, co. 1, lett. d), della L. 62/2005[46] prevede che “eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183[47], per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro”.
Il comma 2 reca una clausola di salvaguardia finanziaria, affidando al Ministro dell’interno il monitoraggio degli oneri derivanti dal provvedimento, anche ai fini dell’adozione, da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, dei provvedimenti correttivi di cui all’art. 11-ter, co. 7, della legge di contabilità (L. 468/1978).
L’art. 11-ter, co. 7, della L. 468/1978, come modificato dal D.L. 194/2002 (cd. decreto-legge “tagliaspese”), impegna i ministri di settore ad informare tempestivamente il Ministro dell’economia e delle finanze degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni di spesa che si verifichino nel corso dell’attuazione di provvedimenti legislativi. Il Ministro dell’economia è quindi tenuto a riferire al Parlamento con una propria relazione, che individui le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini di eventuali conseguenti iniziative legislative. Il Ministro dell’economia e delle finanze può promuovere la procedura suddetta allorché riscontri che l’attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari.
È prevista, inoltre, sempre a fini di salvaguardia, la trasmissione alle Camere degli eventuali decreti adottati dal Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’art. 7, co. 2°, n. 2), della L. 468/1978. Si tratta dei decreti mediante i quali il Ministro dell’economia e finanze provvede ad aumentare gli stanziamenti di capitoli di spesa aventi carattere obbligatorio, con risorse prelevate a valere sul Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine[48].
La tabella che segue pone a confronto il testo originario del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, recante Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e il testo del medesimo decreto legislativo risultante dalle modificazioni apportate dallo schema di decreto legislativo in esame.
Le differenze tra i due testi sono evidenziate in carattere neretto.
D.Lgs.
30/2007 |
D.Lgs.
30/2007 |
[…] |
[…] |
Art. 5 |
Art. 5 |
Diritto di ingresso. |
Diritto di ingresso. |
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell’Unione in possesso di documento d’identità valido per l’espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, sono ammessi nel territorio nazionale. |
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell’Unione in possesso di documento d’identità valido per l’espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, sono ammessi nel territorio nazionale. |
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, nei casi in cui è richiesto. Il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10 in corso di validità esonera dall’obbligo di munirsi del visto. |
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, nei casi in cui è richiesto. Il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10 in corso di validità esonera dall’obbligo di munirsi del visto. |
3. I visti di cui al comma 2 sono rilasciati gratuitamente e con priorità rispetto alle altre richieste. |
3. I visti di cui al comma 2 sono rilasciati gratuitamente e con priorità rispetto alle altre richieste. |
4. Nei casi in cui è esibita la carta di soggiorno di cui all’articolo 10 non sono apposti timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea. |
4. Nei casi in cui è esibita la carta di soggiorno di cui all’articolo 10 non sono apposti timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea. |
5. Il respingimento nei confronti di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, sprovvisto dei documenti di viaggio o del visto di ingresso, non è disposto se l’interessato, entro ventiquattro ore dalla richiesta, fa pervenire i documenti necessari ovvero dimostra con altra idonea documentazione, secondo la legge nazionale, la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione. |
5. Il respingimento nei confronti di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, sprovvisto dei documenti di viaggio o del visto di ingresso, non è disposto se l’interessato, entro ventiquattro ore dalla richiesta, fa pervenire i documenti necessari ovvero dimostra con altra idonea documentazione, secondo la legge nazionale, la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione. |
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5-bis. In ragione della prevista durata del suo soggiorno, il cittadino dell’Unione o il suo familiare può presentarsi ad un ufficio di polizia per dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Qualora non sia stata effettuata tale dichiarazione di presenza, si presume, salvo prova contraria, che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi. |
[…] |
[…] |
Art. 7 |
Art. 7 |
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi. |
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi. |
1. Il cittadino dell’Unione ha diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi quando: |
1. Il cittadino dell’Unione ha diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi quando: |
a) è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato; |
a) è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato; |
b) dispone per sè stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
b) dispone per sè stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, derivanti da fonti lecite e dimostrabili, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per sè stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per sè stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; |
d) è familiare, come definito dall’articolo 2, che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c). |
d) è familiare, come definito dall’articolo 2, che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c). |
2. Il diritto di soggiorno di cui al comma 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alle condizioni di cui al comma 1, lettere a), b) o c). |
2. Il diritto di soggiorno di cui al comma 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alle condizioni di cui al comma 1, lettere a), b) o c). |
3. Il cittadino dell’Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno di cui al comma 1, lettera a) quando: |
3. Il cittadino dell’Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno di cui al comma 1, lettera a) quando: |
a) è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; |
a) è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio; |
b) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività lavorativa per oltre un anno nel territorio nazionale ed è iscritto presso il Centro per l’impiego, ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa; |
b) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività lavorativa per oltre un anno nel territorio nazionale ed è iscritto presso il Centro per l’impiego, ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa; |
c) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, ovvero si è trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, è iscritto presso il Centro per l’impiego ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. In tale caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno; |
c) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, ovvero si è trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, è iscritto presso il Centro per l’impiego ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. In tale caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno; |
d) segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito. |
d) segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito. |
[…] |
[…] |
Art. 9 |
Art. 9 |
Formalità amministrative per i cittadini dell’Unione ed i loro familiari. |
Formalità amministrative per i cittadini dell’Unione ed i loro familiari. |
1. Al cittadino dell’Unione che intende soggiornare in Italia, ai sensi dell’articolo 7 per un periodo superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954, n. 1228, ed il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. |
1. Al cittadino dell’Unione che intende soggiornare in Italia, ai sensi dell’articolo 7 per un periodo superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954, n. 1228, ed il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. |
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, l’iscrizione è comunque richiesta trascorsi tre mesi dall’ingresso ed è rilasciata immediatamente una attestazione contenente l’indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonché la data della richiesta. |
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, l’iscrizione è comunque richiesta trascorsi tre mesi dall’ingresso ed è rilasciata immediatamente una attestazione contenente l’indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonché la data della richiesta. |
3. Oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, per l’iscrizione anagrafica di cui al comma 2, il cittadino dell’Unione deve produrre la documentazione attestante: |
3. Oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, per l’iscrizione anagrafica di cui al comma 2, il cittadino dell’Unione deve produrre la documentazione attestante: |
a) l’attività lavorativa, subordinata o autonoma, esercitata se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera a); |
a) l’attività lavorativa, subordinata o autonoma, esercitata se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera a); |
b) la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché la titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b); |
b) la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, derivanti da fonti lecite e dimostrabili, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché la titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b); |
c) l’iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto dalla vigente normativa e la titolarità di un’assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi, nonché la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c). |
c) l’iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto dalla vigente normativa e la titolarità di un’assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi, nonché la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c). |
4. Il cittadino dell’Unione può dimostrare di disporre, per sè e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica, anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. |
4. Il cittadino dell’Unione può dimostrare di disporre, per sè e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica, anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. |
5. Ai fini dell’iscrizione anagrafica, oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, i familiari del cittadino dell’Unione europea che non hanno un autonomo diritto di soggiorno devono presentare, in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445: |
5. Ai fini dell’iscrizione anagrafica, oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, i familiari del cittadino dell’Unione europea che non hanno un autonomo diritto di soggiorno devono presentare, in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445: |
a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità, nonché il visto di ingresso quando richiesto; |
a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità, nonché il visto di ingresso quando richiesto; |
b) un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico; |
b) un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico; |
c) l’attestato della richiesta d’iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell’Unione. |
c) l’attestato della richiesta d’iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell’Unione. |
6. Salvo quanto previsto dal presente decreto, per l’iscrizione anagrafica ed il rilascio della ricevuta di iscrizione e del relativo documento di identità si applicano le medesime disposizioni previste per il cittadino italiano. |
6. Salvo quanto previsto dal presente decreto, per l’iscrizione anagrafica ed il rilascio della ricevuta di iscrizione e del relativo documento di identità si applicano le medesime disposizioni previste per il cittadino italiano. |
7. Le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell’Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell’articolo 6, comma 7, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio. |
7. Le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell’Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell’articolo 6, comma 7, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio. |
[…] |
[…] |
Art. 18 |
Art. 18 |
Continuità del soggiorno. |
Continuità del soggiorno. |
1. La continuità del soggiorno, ai fini del presente decreto legislativo, nonché i requisiti prescritti dagli articoli 13, 14, 15 e 16 possono essere comprovati con le modalità previste dalla legislazione vigente. |
1. La continuità del soggiorno, ai fini del presente decreto legislativo, nonché i requisiti prescritti dagli articoli 13, 14, 15 e 16 possono essere comprovati con le modalità previste dalla legislazione vigente. |
2. La continuità del soggiorno è interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata. |
2. La continuità del soggiorno è interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata, che costituisce causa di cancellazione anagrafica. |
[…] |
[…] |
Art. 20. |
Art. 20. |
Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico. |
Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza. |
1. Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. |
1. Il diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. |
2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. |
2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità e non possono essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell’interessato che rappresentino una minaccia concreta e attuale all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza. La esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. |
3. Nell’adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare e economica, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell’importanza dei suoi legami con il Paese d’origine. |
3. Nell’adottare un provvedimento di cui al comma 1 si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, della sua situazione familiare e economica, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell’importanza dei suoi legami con il Paese d’origine. |
4. I cittadini dell’Unione europea ed i loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 14 possono essere allontanati dal territorio dello Stato solo per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica. |
4. I titolari del diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 14 del decreto legislativo possono essere allontanati dal territorio nazionale solo per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. |
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5. I beneficiari del diritto di soggiorno di cui al decreto legislativo che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni possono essere allontanati solo per motivi di sicurezza dello Stato e per i motivi di cui al comma 13, salvo quando l’allontanamento sia necessario nell’interesse stesso del minore, secondo quanto contemplato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176. |
6. Le malattie o le infermità che possono giustificare limitazioni alla libertà di circolazione sul territorio nazionale sono solo quelle con potenziale epidemico individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreché siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini italiani. Le malattie che insorgono successivamente all’ingresso nel territorio nazionale non possono giustificare l’allontanamento del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari. |
6. Le malattie o le infermità che possono giustificare limitazioni alla libertà di circolazione sul territorio nazionale sono solo quelle con potenziale epidemico individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreché siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini italiani. Le malattie che insorgono successivamente all’ingresso nel territorio nazionale non possono giustificare l’allontanamento. |
7. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale di cui ai comma 1, 4 e 5 è adottato dal Ministro dell’interno con atto motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, e tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e della durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a 3 anni. Il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica, fatti salvi i casi di comprovata urgenza. |
7. I provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato sono adottati dal Ministro dell’interno. I provvedimenti di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza sono adottati dal prefetto del luogo di residenza o dimora del destinatario. 8. I provvedimenti di allontanamento di cui al presente articolo sono adottati con atti motivati, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato. Se il destinatario non comprende la lingua italiana, il provvedimento è accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari, sufficientemente dettagliati, redatti in una lingua a lui comprensibile o comunque in una delle lingue francese, inglese, spagnolo o tedesco secondo la preferenza indicata dall’interessato. Il provvedimento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e, salvo quanto previsto al comma 9, indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica e, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni. Il provvedimento indica anche la durata del divieto di reingresso che non può essere superiore a dieci anni nei casi di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e a cinque anni negli altri casi. |
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9. Per motivi di sicurezza dello Stato, il provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore e si procede alla convalida del provvedimento con il quale è disposta l’esecuzione immediata dell’allontanamento secondo le procedure di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
8. Il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000 ed è nuovamente allontanato con accompagnamento immediato. |
Vedi comma 12 |
9. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare allontanato si trattiene nel territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di cui al comma 7, ovvero quando il provvedimento è fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato, il questore dispone l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale.
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10. Qualora l’allontanato si trattiene nel territorio dello Stato oltre il termine fissato nei provvedimenti di cui al comma 8, il questore dispone l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale. Si procede alla convalida del provvedimento con il quale è disposta l’esecuzione immediata dell’allontanamento secondo le procedure di cui all’articolo 13, comma 5-bis, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
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11. Il destinatario del provvedimento di allontanamento può presentare domanda di revoca del divieto di reingresso dopo che, dall’esecuzione del provvedimento, sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, e in ogni caso decorsi tre anni. Nella domanda devono essere addotti gli argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne il reingresso nel territorio nazionale. Sulla domanda, entro sei mesi dalla sua presentazione, decide con atto motivato l’autorità che ha emanato il provvedimento di allontanamento. Durante l’esame della domanda l’interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale. |
Vedi comma 8 |
12. Il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è punito con la reclusione fino a tre anni ed è nuovamente allontanato con esecuzione immediata. Si procede alla convalida del provvedimento con il quale è disposta l’esecuzione immediata dell’allontanamento secondo le procedure di cui all’articolo 13, commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater, 3-quinques e 5-bis, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. |
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13. I provvedimenti di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza sono regolati dalle disposizioni del decreto legge 29 dicembre 2007, n. 249. |
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14. I provvedimenti di allontanamento di cui al presente articolo sono adottati tendendo conto anche delle segnalazioni motivate del sindaco del luogo di residenza o di dimora del destinatario del provvedimento. |
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Art. 21. |
Art. 21. |
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. |
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. |
1. Il provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e dei loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell’interessato, salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12. |
1. Il provvedimento di allontanamento di cui all’articolo 1 può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell’interessato ai sensi degli articoli 6, 7 e 13 e salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12. |
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato dal Prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, con atto motivato e notificato all’interessato. Il provvedimento è adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell’interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine ed è tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese, e riporta le modalità di impugnazione, nonché il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese. Il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale. |
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato dal prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, anche su segnalazione motivata del sindaco del luogo di residenza o dimora, con atto motivato e notificato all’interessato. Il provvedimento è adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell’interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine. Il provvedimento riporta le modalità di impugnazione, nonché il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese. Se il destinatario non comprende la lingua italiana, il provvedimento è accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari, sufficientemente dettagliati, redatti in una lingua a lui comprensibile o comunque in una delle lingue francese, inglese, spagnolo o tedesco, secondo la preferenza indicata dall’interessato. Unitamente al provvedimento di allontanamento è consegnata all’interessato una attestazione di obbligo di adempimento dell’allontanamento, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno e del Ministro degli affari esteri, da presentare presso un consolato italiano. Il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale. |
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3. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare allontanato sia individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di allontanamento, senza aver provveduto alla presentazione dell’attestazione di cui al comma 2, è punito con l’arresto da un mese a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 euro. |
Art. 22. |
Art. 22. |
Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento. |
Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento. |
1. Avverso il provvedimento di cui all’articolo 20 è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma. |
1. Avverso il provvedimento di allontanamento adottato dal Ministro dell’interno può essere presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma. |
2. Il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la procura speciale al patrocinante legale è rilasciata avanti all’autorità consolare. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento. |
Vedi comma 3. |
3. Il ricorso di cui al comma 1 può essere accompagnato da una istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di cui al presente comma, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato. |
Vedi comma 4. |
4. Avverso il provvedimento di allontanamento di cui all’articolo 21 può essere presentato ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha disposto. Il ricorso è presentato, a pena d’inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica del provvedimento di allontanamento e deciso entro i successivi trenta giorni. |
2. Avverso il provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto può essere presentato ricorso entro venti giorni dalla notifica a pena di inammissibilità, al tribunale in composizione monocratica in cui ha sede l’autorità che lo ha adottato. La parte può state in giudizio personalmente (vedi comma 6 del testo vigente). |
5. Il ricorso può essere sottoscritto personalmente dall’interessato e può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la sottoscrizione è autenticata dai funzionari presso le rappresentanze diplomatiche che ne certificano l’autenticità e ne curano l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento. |
3. I ricorsi di cui ai commi precedenti, sottoscritti personalmente dall’interessato, possono essere presentati anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana; in tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza. La procura speciale al patrocinante legale è rilasciata davanti all’autorità consolare presso cui sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento. Vedi anche il comma 2 del testo vigente. |
6. La parte può stare in giudizio personalmente. |
Vedi comma 2, ultimo periodo. |
7. Contestualmente al ricorso può essere presentata istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di sospensione, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale. |
4. I ricorsi di cui ai commi 1 e 2 possono essere accompagnati da una istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di cui al presente comma, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di sicurezza dello Stato. Vedi anche il comma 3 del testo vigente. |
Vedi comma 9 |
5. Sul ricorso di cui al comma 2, il tribunale decide a norma degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Qualora i tempi del procedimento dovessero superare il termine entro il quale l’interessato deve lasciare il territorio nazionale ed è stata presentata istanza di sospensione ai sensi del comma 4, il giudice decide con priorità sulla stessa prima della scadenza del termine fissato per l’allontanamento. |
8. Al cittadino comunitario o al suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, cui è stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento è consentito, a domanda, l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale per partecipare alle fasi essenziali del procedimento di ricorso, salvo che la sua presenza possa procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine e alla sicurezza pubblica. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta dell’interessato. |
6. Al cittadino comunitario o al suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, cui è stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento è consentito, a domanda, l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale per partecipare al procedimento di ricorso, salvo che la sua presenza possa procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta dell’interessato. |
9. Il tribunale decide a norma degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Qualora i tempi del procedimento dovessero superare il termine entro il quale l’interessato deve lasciare il territorio nazionale ed è stata presentata istanza di sospensione ai sensi del comma 7, il giudice decide con priorità sulla stessa prima della scadenza fissata per l’allontanamento. |
Vedi comma 5 |
10. Nel caso in cui il ricorso è respinto, l’interessato presente sul territorio dello Stato deve lasciare immediatamente il territorio nazionale. |
7. Nel caso in cui il ricorso è respinto, l’interessato presente sul territorio dello Stato deve lasciare immediatamente il territorio nazionale. |
[…] |
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Costituzione
della Repubblica
(artt. 76 e 87)
Art. 76
L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
Art. 87
Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
Può inviare messaggi alle Camere.
Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.
Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.
Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.
Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
Presiede il Consiglio superiore della magistratura.
Può concedere grazia e commutare le pene.
Conferisce le onorificenze della Repubblica.
Codice di procedura
civile
(art. 737)
Capo VI
Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio (1)
Art. 737
Forma della domanda e del provvedimento.
I provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato [c.c. 98, 112, 155, 186, 187, 274, 288, 313, 336, 338, 1092, 1105; c.p.c. 28, 373, 721, 725, 732, 739, 741, 742, 742-bis, 783, 802], salvo che la legge disponga altrimenti [c.p.c. 49, 711, 724, 728, 736, 749, 779] (2) (3).
-----------------------
(1) Vedi, anche, l’art. 13 del testo unico in materia di spese di giustizia di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 21-27 novembre 1974, n. 267 (Gazz. Uff. 4 dicembre 1974, n. 317), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 737 e seguenti c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. La stessa Corte, con sentenza 16-30 gennaio 2002, n. 1 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all’art. 111 Cost.
Vedi, anche, l’art. 8, comma 2, del D.Lgs. 29 marzo 1993, n. 119, sul cambiamento di generalità per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia.
(3) Per la definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia vedi gli artt. 25, 26 e 27, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2004.
Legge 5 agosto 1978, n. 468.
Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di
bilancio
(artt. 7, 11-ter)
(1) (2) (3)
--------------------------------------------
(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 22 agosto 1978, n. 233.
(2) Vedi, anche, il D.Lgs. 7 agosto 1997, n. 279.
(3) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:
- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 6 febbraio 1998, n. 16/98;
- Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica: Circ. 15 maggio 1998, n. 44; Circ. 2 agosto 1999, n. 42; Circ. 3 aprile 2000, n. 17; Circ. 27 marzo 2001, n. 19; Circ. 20 marzo 2001, n. 16;
- Ministero del tesoro: Circ. 16 dicembre 1996, n. 223057; Circ. 26 maggio 1997, n. 149569; Circ. 2 giugno 1997, n. 42; Circ. 22 agosto 1997, n. 65; Circ. 25 settembre 1997, n. 191614; Circ. 22 gennaio 1998, n. 4;
- Ministero dell’economia e delle finanze: Circ. 16 ottobre 2001, n. 33; Circ. 25 marzo 2002, n. 15; Circ. 15 novembre 2002, n. 35; Circ. 26 febbraio 2003, n. 11; Circ. 31 marzo 2003, n. 18; Circ. 2 aprile 2003, n. 22; Ris. 2 dicembre 2003, n. 216/E; Circ. 5 febbraio 2004, n. 6; Circ. 5 aprile 2004, n. 11; Circ. 5 aprile 2004, n. 12; Circ. 7 aprile 2005, n. 13;
- Ministero dell’interno: Circ. 12 dicembre 1998, n. F.L.35/98;
- Ministero della pubblica istruzione: Circ. 24 maggio 1996, n. 202; Circ. 15 luglio 1996, n. 345; Circ. 20 gennaio 1998, n. 23;
- Ministero delle finanze: Circ. 15 ottobre 1997, n. 265/P; Circ. 16 marzo 1998, n. 86/D;
- Ministero per i beni culturali e ambientali: Circ. 29 aprile 1997, n. 7;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Circ. 24 agosto 1998, n. DIE/ARE/1/3123; Circ. 25 settembre 1998, n. DIE/ARE/1/3484;
- Ragioneria generale dello Stato: Circ. 18 marzo 1996, n. 27; Circ. 6 giugno 1996, n. 46; Circ. 21 marzo 1997, n. 22; Circ. 28 marzo 1997, n. 26.
(omissis)
Art. 7
Fondo di riserva per le spese obbligatorie e di ordine.
Nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro è istituito, nella parte corrente, un «Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine» le cui dotazioni sono annualmente determinate, con apposito articolo, dalla legge di approvazione del bilancio.
Con decreti del Ministro del tesoro, da registrarsi alla Corte dei conti, sono trasferite dal predetto fondo ed iscritte in aumento sia delle dotazioni di competenza che di cassa dei competenti capitoli le somme necessarie:
1) per il pagamento dei residui passivi di parte corrente, eliminati negli esercizi precedenti per perenzione amministrativa, [in caso di richiesta da parte degli aventi diritto, con reiscrizione ai capitoli di provenienza, ovvero a capitoli di nuova istituzione nel caso in cui quello di provenienza sia stato nel frattempo soppresso] (41);
2) per aumentare gli stanziamenti dei capitoli di spesa aventi carattere obbligatorio o connessi con l’accertamento e la riscossione delle entrate.
Allo stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro è allegato l’elenco dei capitoli di cui al precedente numero 2), da approvarsi, con apposito articolo, dalla legge di approvazione del bilancio.
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(41) Le parole tra parentesi quadre sono state abrogate dall’art. 6, D.P.R. 24 aprile 2001, n. 270.
(omissis)
Art. 11-ter
Copertura finanziaria delle leggi.
1. In attuazione dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime. La copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate, è determinata esclusivamente attraverso le seguenti modalità (57):
a) mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali previsti dall’articolo 11-bis, restando precluso sia l’utilizzo di accantonamenti del conto capitale per iniziative di parte corrente, sia l’utilizzo per finalità difformi di accantonamenti per regolazioni contabili e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali;
b) mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa; ove dette autorizzazioni fossero affluite in conti correnti o in contabilità speciali presso la Tesoreria statale, si procede alla contestuale iscrizione nello stato di previsione della entrata delle risorse da utilizzare come copertura;
c) [a carico o mediante riduzione di disponibilità formatesi nel corso dell’esercizio sui capitoli di natura non obbligatoria, con conseguente divieto, nel corso dello stesso esercizio, di variazioni volte ad incrementare i predetti capitoli. Ove si tratti di oneri continuativi pluriennali, nei due esercizi successivi al primo, lo stanziamento di competenza dei suddetti capitoli, detratta la somma utilizzata come copertura, potrà essere incrementato in misura non superiore al tasso di inflazione programmato in sede di relazione previsionale e programmatica. A tale forma di copertura si può fare ricorso solo dopo che il Governo abbia accertato, con la presentazione del disegno di legge di assestamento del bilancio, che le disponibilità esistenti presso singoli capitoli non debbano essere utilizzate per far fronte alle esigenze di integrazione di altri stanziamenti di bilancio che in corso di esercizio si rivelino sottostimati. In nessun caso possono essere utilizzate per esigenze di altra natura le economie che si dovessero realizzare nella categoria «interessi» e nei capitoli di stipendi del bilancio dello Stato. Le facoltà di cui agli articoli 9 e 12, primo comma, non possono essere esercitate per l’iscrizione di somme a favore di capitoli le cui disponibilità siano state in tutto o in parte utilizzate per la copertura di nuove o maggiori spese disposte con legge] (58);
d) mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate; resta in ogni caso esclusa la copertura di nuove e maggiori spese correnti con entrate in conto capitale.
2. I disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture, con la specificazione, per la spesa corrente e per le minori entrate, degli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, della modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e dell’onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti. Nella relazione sono indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari (59).
3. Le Commissioni parlamentari competenti possono richiedere al Governo la relazione di cui al comma 2 per tutte le proposte legislative e gli emendamenti al loro esame ai fini della verifica tecnica della quantificazione degli oneri da essi recati.
4. I disegni di legge di iniziativa regionale e del CNEL devono essere corredati, a cura dei proponenti, da una relazione tecnica formulata nei modi previsti dal comma 2.
5. Per le disposizioni legislative in materia pensionistica la relazione di cui ai commi 2 e 3 contiene un quadro analitico di proiezioni finanziarie almeno decennali, riferite all’andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari. Per le disposizioni legislative in materia di pubblico impiego la relazione contiene i dati sul numero dei destinatari, sul costo unitario, sugli automatismi diretti e indiretti che ne conseguono fino alla loro completa attuazione, nonché sulle loro correlazioni con lo stato giuridico ed economico di categorie o fasce di dipendenti pubblici omologabili. Per le disposizioni legislative recanti oneri a carico dei bilanci di enti appartenenti al settore pubblico allargato la relazione riporta la valutazione espressa dagli enti interessati.
6. Ogni quattro mesi la Corte dei conti trasmette al Parlamento una relazione sulla tipologia delle coperture adottate nelle leggi approvate nel periodo considerato e sulle tecniche di quantificazione degli oneri. La Corte riferisce, inoltre, su richiesta delle Commissioni parlamentari competenti nelle modalità previste dai Regolamenti parlamentari, sulla congruenza tra le conseguenze finanziarie dei decreti legislativi e le norme di copertura recate dalla legge di delega (60).
6-bis. Le disposizioni che comportano nuove o maggiori spese hanno effetto entro i limiti della spesa espressamente autorizzata nei relativi provvedimenti legislativi. Con decreto dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, è accertato l’avvenuto raggiungimento dei predetti limiti di spesa. Le disposizioni recanti espresse autorizzazioni di spesa cessano di avere efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto per l’anno in corso alla medesima data (61).
6-ter. Per le Amministrazioni dello Stato, il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anche attraverso gli uffici centrali del bilancio e le ragionerie provinciali dello Stato, vigila sulla corretta applicazione delle disposizioni di cui al comma 6-bis. Per gli enti ed organismi pubblici non territoriali gli organi interni di revisione e di controllo provvedono agli analoghi adempimenti di vigilanza e segnalazione al Parlamento e al Ministero dell’economia e delle finanze (62).
7. Qualora nel corso dell’attuazione di leggi si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa o di entrata indicate dalle medesime leggi al fine della copertura finanziaria, il Ministro competente ne dà notizia tempestivamente al Ministro dell’economia e delle finanze, il quale, anche ove manchi la predetta segnalazione, riferisce al Parlamento con propria relazione e assume le conseguenti iniziative legislative. La relazione individua le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri autorizzati dalle predette leggi. Il Ministro dell’economia e delle finanze può altresì promuovere la procedura di cui al presente comma allorché riscontri che l’attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari. La stessa procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri (63) (64).
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(57) Alinea così modificato dal comma 1 dell’art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come sostituito dalla relativa legge di conversione
(58) Lettera abrogata dall’art. 1-bis, D.L. 20 giugno 1996, n. 323, nel testo aggiunto dalla relativa legge di conversione.
(59) Comma così modificato dall’art. 3, L. 25 giugno 1999, n. 208.
(60) Comma così modificato dall’art. 13, L. 29 luglio 2003, n. 229.
(61) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come sostituito dalla relativa legge di conversione. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il Decr. 5 maggio 2003, il Decr. 15 luglio 2003 e il Decr. 1° giugno 2006.
(62) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come sostituito dalla relativa legge di conversione.
(63) Comma così modificato dal comma 2 dell’art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(64) Articolo aggiunto dall’art. 7, L. 23 agosto 1988, n. 362 (Gazz. Uff. 25 agosto 1988, n. 199, S.O.).
(omissis)
Legge 23 agosto 1988, n. 400.
Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri (2) (3).
(1) (2) (3)
---------------------------------------------
(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 12 settembre 1988, n. 214, S.O.
(2) Vedi, anche, il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303.
(3) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:
- I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 23 gennaio 1997, n. 13; Circ. 6 aprile 1998, n. 76;
- Ministero dei trasporti e della navigazione: Circ. 18 novembre 1996, n. 7;
- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 21 novembre 1996, n. 5/27319/70/OR;
- Ministero del tesoro: Circ. 6 agosto 1998, n. 70;
- Ministero delle finanze: Circ. 9 maggio 1996, n. 111/E; Circ. 13 agosto 1996, n. 199/E; Circ. 16 settembre 1996, n. 225/E; Circ. 31 dicembre 1996, n. 307/E; Circ. 28 maggio 1998, n. 134/E; Circ. 4 giugno 1998, n. 141/E; Circ. 26 giugno 1998, n. 168/E; Circ. 27 agosto 1998, n. 209/E;
- Ministero per i beni culturali e ambientali: Circ. 4 ottobre 1996, n. 117;
- Ministero della pubblica istruzione: Circ. 3 aprile 1996, n. 135; Circ. 3 aprile 1996, n. 133; Circ. 17 aprile 1996, n. 147; Circ. 3 ottobre 1996, n. 627; Circ. 17 ottobre 1996, n. 654; Circ. 16 dicembre 1996, n. 750; Circ. 19 febbraio 1998, n. 60;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Circ. 27 marzo 1997, n. 62; Circ. 3 giugno 1997, n. 117; Circ. 18 giugno 1997, n. 116; Circ. 5 gennaio 1998, n. DIE/ARE/1/51; Circ. 30 gennaio 1998, n. DIE/ARE/1/452; Circ. 16 febbraio 1998, n. DIE/ARE/1/687; Circ. 5 marzo 1998, n. DIE/ARE/1/994; Circ. 5 marzo 1998, n. DIE/ARE/1/995; Circ. 12 marzo 1998, n. AGP/2/584/SF.49.2/CH; Circ. 19 marzo 1998, n. DIE/ARE/1/12.03; Circ. 14 maggio 1998, n. DIE/ARE/1/1942; Circ. 24 agosto 1998, n. DIE/ARE/1/3124; Circ. 25 settembre 1998, n. DIE/ARE/1/3484; Circ. 17 giugno 1998, n. AGP/1/2/2154/98/AR2.1; Circ. 5 maggio 1988, n. AGP/1/2/1531/98/AR.2.1; Circ. 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi: Circ. 17 febbraio 1999, n. DAGL041290/10.3.1;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Dipartimento per la funzione pubblica e gli affari regionali: Circ. 27 novembre 1995, n. 22/95; Circ. 16 maggio 1996, n. 30692; Circ. 12 dicembre 1996, n. 610.
(omissis)
Art. 17
Regolamenti.
1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare:
a) l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari (30);
b) l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;
c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;
d) l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge;
e) [l’organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali] (31).
2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari (32).
3. Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.
4. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di «regolamento», sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
4-bis. L’organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2, su proposta del Ministro competente d’intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei princìpi posti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con i contenuti e con l’osservanza dei criteri che seguono:
a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell’organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l’amministrazione;
b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali;
c) previsione di strumenti di verifica periodica dell’organizzazione e dei risultati;
d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;
e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell’ambito degli uffici dirigenziali generali (33).
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(30) Lettera così modificata dall’art. 11, L. 5 febbraio 1999, n. 25.
(31) Lettera abrogata dall’art. 74, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e dall’art. 72, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
(32) La Corte costituzionale, con sentenza 7-22 luglio 2005, n. 303 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 23, 70, 76 e 77 della Costituzione.
(33) Comma aggiunto dall’art. 13, L. 15 marzo 1997, n. 59.
(omissis)
Legge 27 maggio 1991, n. 176.
Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New
York il 20 novembre 1989
(artt. 9, 10, 11, 21, 22)
(1) (2) (3)
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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 giugno 1991, n. 135, S.O.
(2) Si riporta soltanto il testo della traduzione non ufficiale. Vedi, anche, i protocolli opzionali alla presente convenzione resi esecutivi con L. 11 marzo 2002, n. 46.
(3) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:
- Ministero della sanità: Circ. 22 aprile 1998, n. DPS-X40/98/1010;
- Ministero per la pubblica istruzione: Circ. 2 settembre 1998, n. 371.
Art. 1
1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989.
Art. 2
1. Piena ed intera esecuzione è data alla convenzione di cui all'articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore in conformità a quanto disposto dall'articolo 49 della convenzione stessa.
Art. 3
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
TRADUZIONE NON UFFICIALE
CONVENZIONE SUI DIRITTI DEL FANCIULLO
Preambolo
Gli Stati parti alla presente Convenzione
Considerando che, in conformità con i principi proclamati nella Carta delle Nazioni Unite il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana nonché l'uguaglianza ed il carattere inalienabile dei loro diritti sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace nel mondo,
Tenendo presente che i popoli delle Nazioni Unite hanno ribadito nella Carta la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo e nella dignità e nel valore della persona umana ed hanno risolto di favorire il progresso sociale e di instaurare migliori condizioni di vita in una maggiore libertà,
Riconoscendo che le Nazioni Unite, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e nei Patti internazionali relativi ai Diritti dell'Uomo hanno proclamato ed hanno convenuto che ciascuno può avvalersi di tutti i diritti e di tutte le libertà che vi sono enunciate, senza distinzione di sorta in particolare di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di ogni altra opinione, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di ogni altra circostanza,
Rammentando che nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, le Nazioni Unite hanno proclamato che l'infanzia ha diritto ad un aiuto e ad una assistenza particolari,
Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società ed ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l'assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività,
Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione,
In considerazione del fatto che occorra preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella Società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà,
Tenendo presente che la necessità di concedere una protezione speciale al fanciullo è stata enunciata nella Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo e nella Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo adottata dall'Assemblea Generale il 20 novembre 1959 e riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici - in particolare negli articoli 23 e 24 - nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali - in particolare all'articolo 10 - e negli Statuti e strumenti pertinenti delle Istituzioni specializzate e delle Organizzazioni internazionali che si preoccupano del benessere del fanciullo,
Tenendo presente che, come indicato nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita,
Rammentando le disposizioni della Dichiarazione sui principi sociali e giuridici applicabili alla protezione ed al benessere dei fanciulli, considerati soprattutto sotto il profilo delle prassi in materia di adozione e di collocamento familiare a livello nazionale e internazionale; dell'Insieme delle regole minime delle Nazioni Unite relative all'amministrazione della giustizia minorile (Regole di Beijing) e della Dichiarazione sulla protezione delle donne e dei fanciulli in periodi di emergenza e di conflitto armato,
Riconoscendo che vi sono in tutti i paesi del mondo fanciulli che vivono in condizioni particolarmente difficili e che è necessario prestare ad essi una particolare attenzione,
Tenendo debitamente conto dell'importanza delle tradizioni e dei valori culturali di ciascun popolo per la protezione e lo sviluppo armonioso del fanciullo,
Riconoscendo l'importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i paesi, in particolare nei paesi in via di sviluppo,
Hanno convenuto quanto segue:
(omissis)
Art. 9
1. Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattano o trascurano il fanciullo oppure se vivono separati ed una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo.
2. In tutti i casi previsti al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le Parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni.
3. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori e da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del fanciullo.
4. Se la separazione è il risultato di provvedimenti adottati da uno Stato Parte, come la detenzione, l'imprigionamento, l'esilio, l'espulsione o la morte (compresa la morte, quale che ne sia la causa, sopravvenuta durante la detenzione) di entrambi i genitori o di uno di essi, o del fanciullo, lo Stato parte fornisce dietro richiesta ai genitori, al fanciullo oppure, se del caso, ad un altro membro della famiglia, le informazioni essenziali concernenti il luogo dove si trovano il familiare o i familiari, a meno che la divulgazione di tali informazioni possa mettere a repentaglio il benessere del fanciullo. Gli Stati parti vigilano inoltre affinché la presentazione di tale domanda non comporti di per sé conseguenze pregiudizievoli per la persona o per le persone interessate.
Art. 10
1. In conformità con l'obbligo che incombe agli Stati parti in virtù del paragrafo 1 dell'articolo 9, ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno Stato Parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare sarà considerata con uno spirito positivo, con umanità e diligenza, Gli Stati parti vigilano inoltre affinché la presentazione di tale domanda non comporti conseguenze pregiudizievoli per gli autori della domanda e per i loro familiari.
2. Un fanciullo i cui genitori risiedono in Stati diversi ha diritto ad intrattenere rapporti personali e contatti diretti regolari con entrambi i suoi genitori, salvo circostanze eccezionali.
A tal fine, ed in conformità con l'obbligo incombente agli Stati parti, in virtù del paragrafo 1 dell'articolo 9, gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo e dei suoi genitori di abbandonare ogni paese, compreso il loro e di fare ritorno nel proprio paese. Il diritto di abbandonare ogni paese può essere regolamentato solo dalle limitazioni stabilite dalla legislazione, necessarie ai fini della protezione della sicurezza interne, dell'ordine pubblico, della salute o della moralità pubbliche, o dei diritti e delle libertà di altrui, compatibili con gli altri diritti riconosciuti nella presente Convenzione.
Art. 11
1. Gli Stati parti adottano provvedimenti per impedire gli spostamenti ed i non-ritorni illeciti di fanciulli all'estero.
2. A tal fine, gli Stati parti favoriscono la conclusione di accordi bilaterali o multilaterali oppure l'adesione ad accordi esistenti.
(omissis)
Art. 21
Gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l'adozione, si accertano che l'interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia, e:
a) Vigilano affinché l'adozione di un fanciullo sia autorizzata solo dalle Autorità competenti le quali verificano, in conformità con la legge e con le procedure applicabili ed in base a tutte le informazioni affidabili relative al caso in esame, che l'adozione può essere effettuata in considerazione della situazione del bambino in rapporto al padre ed alla madre, genitori e rappresentanti legali e che, ove fosse necessario, le persone interessate hanno dato il loro consenso all'adozione in cognizione di causa, dopo aver acquisito i pareri necessari;
b) Riconoscono che l'adozione all'estero può essere presa in considerazione come un altro mezzo per garantire le cure necessarie al fanciullo, qualora quest'ultimo non possa essere messo a balia in una famiglia, oppure in una famiglia di adozione oppure essere allevato in maniera adeguata;
c) Vigilano, in caso di adozione all'estero, affinché il fanciullo abbia il beneficio di garanzie e di norme equivalenti a quelle esistenti per le adozioni nazionali;
d) Adottano ogni adeguata misura per vigilare affinché, in caso di adozione all'estero, il collocamento del fanciullo non diventi fonte di profitto materiale indebito per le persone che ne sono responsabili;
e) Ricercano le finalità del presente articolo stipulando accordi o intese bilaterali o multilaterale rali a seconda dei casi, e si sforzano in questo contesto di vigilare affinché le sistemazioni di fanciulli all'estero siano effettuate dalle autorità o dagli organi competenti.
Art. 22
1. Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché un fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre e dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell'uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti.
2. A tal fine, gli Stati parti collaborano, a seconda di come lo giudichino necessario, a tutti gli sforzi compiuti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e le altre organizzazioni intergovernative o non governative competenti che collaborano con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, per proteggere ed aiutare i fanciulli che si trovano in tale situazione e per ricercare i genitori o altri familiari di ogni fanciullo rifugiato al fine di ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia. Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al fanciullo sarà concessa, secondo i principi enunciati nella presente Convenzione, la stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo definitivamente oppure temporaneamente privato del suo ambiente familiare per qualunque motivo.
(omissis)
D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero
(art. 13)
(1) (2) (3)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 agosto 1998, n. 191, S.O.
(2) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:
- I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 17 dicembre 1998, n. 258; Circ. 26 marzo 1999, n. 67; Circ. 3 giugno 1999, n. 123; Circ. 20 febbraio 2001, n. 44; Circ. 27 marzo 2001, n. 75; Circ. 22 marzo 2002, n. 56; Circ. 9 giugno 2003, n. 99; Circ. 8 luglio 2003, n. 122; Msg. 19 febbraio 2004, n. 4674;
- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 24 marzo 1999, n. 23/99; Circ. 30 marzo 1999, n. 27/99; Circ. 12 aprile 1999, n. 31/99; Circ. 30 luglio 1999, n. 63/99; Circ. 13 settembre 1999, n. 69/99; Circ. 2 dicembre 1999, n. 81/99; Circ. 17 febbraio 2000, n. 11/2000; Circ. 5 giugno 2000, n. 34/2000; Circ. 12 luglio 2000, n. 47/2000; Circ. 21 luglio 2000, n. 54/2000; Circ. 27 luglio 2000, n. 3562; Circ. 28 luglio 2000, n. 55/2000; Circ. 29 settembre 2000, n. 67/2000; Lett.Circ. 2 ottobre 2000, n. 4851; Circ. 23 novembre 2000, n. 82/2000; Circ. 22 gennaio 2001, n. 13/2001; Nota 30 gennaio 2001, n. VII/A3-1/210; Circ. 5 febbraio 2001, n. 20/2001; Circ. 23 febbraio 2001, n. 25/2001; Lett.Circ. 23 febbraio 2001, n. VII/3/I/381; Circ. 28 febbraio 2001, n. 26/2001; Circ. 8 marzo 2001, n. 30/2001;
- Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Lett.Circ. 2 luglio 2001, n. VII/3.1/1234; Circ. 12 luglio 2001, n. 69/2001; Circ. 6 agosto 2001, n. 78/2001; Circ. 30 ottobre 2001, n. 84/2001; Circ. 14 gennaio 2002, n. 2/2002; Circ. 21 gennaio 2002, n. 4/2002; Circ. 13 marzo 2002, n. 15/2002; Circ. 8 ottobre 2002, n. 51/2002;
- Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato: Circ. 4 aprile 2000, n. 3484/C;
- Ministero dell’interno: Circ. 27 maggio 1999, n. 300/C/227729/12/207; Circ. 27 maggio 1999, n. 3123/50; Circ. 22 marzo 2000, n. 300/C/2000; Nota 31 ottobre 2002; Circ. 7 novembre 2000, n. 300/C/2000/5464/A/12.229.52/1DIV; Circ. 12 settembre 2000, n. 300/C/2000/4761/A/12.214.19/1DIV; Circ. 24 agosto 2000, n. 300/C/2000/4742/A/12.229.52/1DIV; Circ. 2 agosto 2000, n. 300C/2000/4038/A/12.229.52/1DIV; Circ. 12 aprile 2001, n. 1650/50; Circ. 4 dicembre 2002, n. 48145/30-I.A.; Circ. 19 giugno 2003, n. 14/2003; Circ. 28 aprile 2004, n. 400/C/2004/500/P/10.2.45.1;
- Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca: Nota 13 novembre 2002, n. 9551; Nota 3 aprile 2003, n. 1576; Nota 16 dicembre 2003, n. 3969;
- Ministero della sanità: Circ. 31 marzo 1999, n. 400.3/114.9/1290; Circ. 24 marzo 2000, n. 5; Circ. 14 aprile 2000, n. DPS/III/L.40/00-1259;
- Ministero della università e della ricerca scientifica e tecnologica: Circ. 3 agosto 1999, n. 1315/22-SP;
- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Circ. 13 febbraio 2003.
(3) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-6 aprile 2005, n. 140 (Gazz. Uff. 13 aprile 2005, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.
(omissis)
Art. 13
Espulsione amministrativa.
(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 11)
1. Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell’interno può disporre l’espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri (82).
2. L’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero:
a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell’articolo 10 (83);
b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo (84) (85) (86);
c) appartiene a taluna delle categorie indicate nell’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituto dall’articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall’articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (87) (88) (89).
2-bis. Nell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonchè dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine (90).
3. L’espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato. Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l’espulsione, richiede il nulla osta all’autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all’interesse della persona offesa. In tal caso l’esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l’autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali. Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all’espulsione con le modalità di cui al comma 4. Il nulla osta si intende concesso qualora l’autorità giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea, ai sensi dell’articolo 14 (91) (92) (93) (94).
3-bis. Nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all’atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’articolo 391, comma 5, del codice di procedura penale, o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai sensi del comma 3 (95).
3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti. Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l’estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all’esecuzione dell’espulsione. Il provvedimento è immediatamente comunicato al questore (96).
3-quater. Nei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. È sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell’articolo 240 del codice penale. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 13, 13-bis, 13-ter e 14 (97) (98) (99).
3-quinquies. Se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l’articolo 345 del codice di procedura penale. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest’ultima è ripristinata a norma dell’articolo 307 del codice di procedura penale (100).
3-sexies. [Il nulla osta all’espulsione non può essere concesso qualora si proceda per uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nonché dall’articolo 12 del presente testo unico] (101).
4. L’espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5 (102) (103).
5. Nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni. Il questore dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest’ultimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento (104) (105).
5-bis. Nei casi previsti ai commi 4 e 5 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al tribunale ordinario in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera. L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza. Si applicano le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8, in quanto compatibili. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l’osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l’interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui all’articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il tribunale ordinario in composizione monocratica deve provvedere alla convalida decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria (106) (107).
5-ter. Al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5, ed all’articolo 14, comma 1, le questure forniscono al tribunale ordinario in composizione monocratica, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo (108).
6. [Negli altri casi, l’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni, e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione dell’ufficio di polizia di frontiera. Quando l’espulsione è disposta ai sensi del comma 2, lettera b), il questore può adottare la misura di cui all’articolo 14, comma 1, qualora il prefetto rilevi, tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, il concreto pericolo che quest’ultimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento] (109).
7. Il decreto di espulsione e il provvedimento di cui al comma 1 dell’articolo 14, nonché ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola (110) (111) (112) (113).
8. Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al tribunale ordinario in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il tribunale ordinario in composizione monocratica accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Il ricorso di cui al presente comma può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. La sottoscrizione del ricorso, da parte della persona interessata, è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l’autenticità e ne curano l’inoltro all’autorità giudiziaria. Lo straniero è ammesso all’assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all’autorità consolare. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’àmbito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete (114) (115).
9. [Il ricorso, a cui deve essere allegato il provvedimento impugnato, è presentato al pretore del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. Nei casi di espulsione con accompagnamento immediato, sempreché sia disposta la misura di cui al comma 1 dell’articolo 14, provvede il pretore competente per la convalida di tale misura. Il pretore accoglie o rigetta il ricorso decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro dieci giorni dalla data di deposito del ricorso, sentito l’interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile] (116).
10. [Il ricorso di cui ai commi 8, 9 e 11 può essere sottoscritto anche personalmente. Nel caso di espulsione con accompagnamento immediato, il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nello Stato di destinazione, entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento; in tali casi, il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente dalla parte alla presenza dei funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari, che provvedono a certificarne l’autenticità e ne curano l’inoltro all’autorità giudiziaria. Lo straniero, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni, nonché, ove necessario, da un interprete] (117).
11. Contro il decreto di espulsione emanato ai sensi del comma 1 è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma.
12. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, lo straniero espulso è rinviato allo Stato di appartenenza, ovvero, quando ciò non sia possibile, allo Stato di provenienza.
13. Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell’articolo 29 (118) (119) (120).
13-bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni (121).
13-ter. Per i reati previsti dai commi 13 e 13-bis è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo (122).
14. Salvo che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni. Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia (123) (124).
15. Le disposizioni di cui al comma 5 non si applicano allo straniero che dimostri sulla base di elementi obiettivi di essere giunto nel territorio dello Stato prima della data di entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40. In tal caso, il questore può adottare la misura di cui all’articolo 14, comma 1.
16. L’onere derivante dal comma 10 del presente articolo è valutato in lire 4 miliardi per l’anno 1997 e in lire 8 miliardi annui a decorrere dall’anno 1998 (125) (126) (127) (128) (129).
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(82) Vedi anche l’art. 3, comma 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(83) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(84) Lettera così sostituita dall’art. 5, D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, come sostituito dalla relativa legge di conversione.
(85) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(86) La Corte costituzionale, con ordinanza 6-19 dicembre 2006, n. 431 (Gazz. Uff. 27 dicembre 2006, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, «applicato in correlazione» con i successivi artt. 5, comma 5, e 13, comma 2, lettera b), nel testo risultante dalle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 13 e 16 della Costituzione.
(87) Vedi anche l’art. 3, comma 1, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(88) La Corte costituzionale, con ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 146 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 35 della Costituzione. La stessa Corte, chiamata, di nuovo, a pronunciarsi sulla stessa questione senza addurre profili o argomenti nuovi con ordinanza 9-16 maggio 2002, n. 200 (Gazz. Uff. 22 maggio 2002, n. 20, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 2.
(89) La Corte costituzionale, con sentenza 14-23 dicembre 2005, n. 463 (Gazz. Uff. 28 dicembre 2005, n. 52, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 2, e 5, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione.
(90) Comma aggiunto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.
(91) Comma così sostituito dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. In deroga a quanto disposto dal presente comma vedi il comma 2 dell’art. 3, D.L. 27 luglio 2005, n. 144. Vedi, anche il comma 6 dello stesso art. 3.
(92) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 marzo 2006, n. 142 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 3-quater, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 13, comma 3-quater, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
(93) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 280 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-bis, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione.
(94) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(95) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(96) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(97) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Vedi, anche, l’art. 6, D.L. 29 dicembre 2007, n. 249.
(98) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 marzo 2006, n. 142 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 3-quater, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 13, comma 3-quater, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
(99) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 marzo 2006, n. 143 (Gazz. Uff. 12 aprile 2006, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, introdotto dall’art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, sollevate in riferimento all’art. 24 della Costituzione.
(100) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(101) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189 e successivamente abrogato dall’art. 3, comma 7, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(102) Comma così sostituito dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(103) La Corte costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4 e 5, come sostituito dall’art. 12, comma 1, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 13, 24 e 111 della Costituzione.
(104) Comma così sostituito dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(105) La Corte costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4 e 5, come sostituito dall’art. 12, comma 1, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 13, 24 e 111 della Costituzione.
(106) Gli attuali commi 5-bis e 5-ter sostituiscono l’originario comma 5-bis - aggiunto dall’art. 2, D.L. 4 aprile 2002, n. 51, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione - ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, come modificato dalla relativa legge di conversione. Successivamente il presente comma è stato così modificato dall’art. 2, D.L. 29 dicembre 2007, n. 249. Peraltro, la Corte costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28 - Prima serie speciale), aveva dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità dell’originario comma 5-bis, nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di convalida dovesse svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa. In deroga a quanto disposto dal presente comma vedi il comma 2 dell’art. 3, D.L. 27 luglio 2005, n. 144. Vedi, anche, il comma 6 dello stesso art. 3.
(107) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-17 marzo 2006, n. 110 (Gazz. Uff. 22 marzo 2006, n. 12, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, come modificato dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
(108) Gli attuali commi 5-bis e 5-ter sostituiscono l’originario comma 5-bis - aggiunto dall’art. 2, D.L. 4 aprile 2002, n. 51, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione - ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241. Successivamente il presente comma è stato così modificato dall’art. 2, D.L. 29 dicembre 2007, n. 249.
(109) Comma abrogato dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(110) La Corte costituzionale, con sentenza 8-21 luglio 2004, n. 257 (Gazz. Uff. 28 luglio 2004, n. 29, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione;
ha infine dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 7, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 24 e 27 della Costituzione.
(111) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 283 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 2, lettere a) e b), 3 e 7, 13-bis e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, commi primo, secondo e terzo, e 24 della Costituzione.
(112) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-21 novembre 2006, n. 388 (Gazz. Uff. 29 novembre 2006, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, nelle parti riguardanti l’arresto obbligatorio e l’obbligatorietà del rito direttissimo, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione; inoltre ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, in relazione all’art. 13, comma 7, nella parte in cui non prescrive l’obbligatoria traduzione dell’ordine di espulsione dello straniero in una lingua conosciuta dallo stesso, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
(113) La Corte costituzionale, con ordinanza 5-16 marzo 2007, n. 84 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
(114) Comma prima sostituito dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189 e poi così modificato dal comma 2 dell’art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241 e dall’art. 2, D.L. 29 dicembre 2007, n. 249.
(115) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 280 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-bis, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione.
(116) Comma prima sostituito dall’art. 3, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Gazz. Uff. 27 aprile 1999, n. 97) e poi abrogato dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(117) Comma così modificato dall’art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall’art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell’art. 302 dello stesso decreto. Vedi, anche, l’art. 142 del citato D.P.R. n. 115 del 2002. Successivamente il presente comma è stato abrogato dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(118) Gli attuali commi 13, 13-bis e 13-ter hanno sostituito l’originario comma 13 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Successivamente il comma 13 è stato così modificato dal comma 2-ter dell’art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.
(119) La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-6 aprile 2005, n. 142 (Gazz. Uff. 13 aprile 2005, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, sollevata in riferimento agli artt. 24, 27, 104 e 111 della Costituzione.
(120) La Corte costituzionale, con ordinanza 20 giugno-1° luglio 2005, n. 261 (Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, come modificato dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
(121) Gli attuali commi 13, 13-bis e 13-ter hanno sostituito l’originario comma 13 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Successivamente il comma 13-bis è stato così modificato dal comma 2-ter dell’art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. La Corte costituzionale, con sentenza 14-28 dicembre 2005, n. 466 (Gazz. Uff. 4 gennaio 2006, n. 1 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità del secondo periodo del presente comma 13-bis, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal citato art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(122) Gli attuali commi 13, 13-bis e 13-ter hanno sostituito l’originario comma 13 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Successivamente il comma 13-ter è stato così sostituito dal comma 2-ter dell’art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(123) Comma così sostituito dal comma 1 dell’art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.
(124) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 luglio 2006, n. 280 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 8, e 14, comma 5-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, e 113, secondo comma, della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 14, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 35 e 36 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-bis, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 24 della Costituzione.
(125) Vedi, anche, il comma 2-bis dell’art. 1, D.L. 14 settembre 2004, n. 241, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(126) La Corte costituzionale, con ordinanza 16-29 dicembre 2004, n. 439 (Gazz. Uff. 5 gennaio 2005, n. 1, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, come modificato dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
(127) La Corte costituzionale, con ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 363 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), con ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 376 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 17 come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 104 e 111 della Costituzione.
(128) La Corte costituzionale, con ordinanza 28 settembre-4 ottobre 2005, n. 375 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), ha dichiarato dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 24 e 111 della Costituzione.
(129) La Corte costituzionale, con ordinanza 8-17 marzo 2006, n. 109 (Gazz. Uff. 22 marzo 2006, n. 12, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 27 della Costituzione.
(omissis)
Legge 18 aprile 2005, n. 62.
Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004
(art. 1)
(1)
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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 aprile 2005, n. 96, S.O.
Capo I
Disposizioni generali sui procedimenti per l’adempimento degli obblighi comunitari
Art. 1
Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi (2) dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.
2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all’attuazione delle direttive elencate nell’allegato A, sono trasmessi, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.
4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione della direttiva 2003/10/CE, della direttiva 2003/20/CE, della direttiva 2003/35/CE, della direttiva 2003/42/CE, della direttiva 2003/59/CE, della direttiva 2003/85/CE, della direttiva 2003/87/CE, della direttiva 2003/99/CE, della direttiva 2003/122/Euratom, della direttiva 2004/8/CE, della direttiva 2004/12/CE, della direttiva 2004/17/CE, della direttiva 2004/18/CE, della direttiva 2004/22/CE, della direttiva 2004/25/CE, della direttiva 2004/35/CE, della direttiva 2004/38/CE, della direttiva 2004/39/CE, della direttiva 2004/67/CE e della direttiva 2004/101/CE sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari che devono essere espressi entro venti giorni.
5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 5-bis (3).
5-bis. [Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per l’attuazione delle direttive 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2 e con la procedura prevista dal presente articolo, può emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui, rispettivamente, all’articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE, e all’articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE] (4).
6. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano entrano in vigore, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. A tale fine i decreti legislativi recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute.
7. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome.
8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per il parere definitivo che deve essere espresso entro venti giorni.
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(2) Per la proroga del termine vedi il comma 2 dell’art. 10, L. 6 febbraio 2007, n. 13 - Legge comunitaria 2006.
(3) Comma così modificato dall’art. 16, L. 25 gennaio 2006, n. 29 - Legge comunitaria 2005.
(4) Comma aggiunto dall’art. 16, L. 25 gennaio 2006, n. 29 - Legge comunitaria 2005 - e abrogato dall’art. 1, L. 20 giugno 2007, n. 77.
(omissis)
D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30.
Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini
dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel
territorio degli Stati membri
(1) (3)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 27 marzo 2007, n. 72.
(2) L’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge, aveva aggiunto nel presente decreto l’art. 20-bis.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
Vista la legge 18 aprile 2005, n. 62, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 2004, che ha delegato il Governo a recepire la citata direttiva 2004/38/CE, compresa nell’elenco di cui all’allegato B della legge stessa;
Visto il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54;
Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 10 novembre 2006;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 19 gennaio 2007;
Sulla proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell’economia e delle finanze, della giustizia, del lavoro e della previdenza sociale e per gli affari regionali e le autonomie locali;
Emana il seguente decreto legislativo:
Art. 1
Finalità.
1. Il presente decreto legislativo disciplina:
a) le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione, ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell’Unione europea e dei familiari di cui all’articolo 2 che accompagnano o raggiungono i medesimi cittadini;
b) il diritto di soggiorno permanente nel territorio dello Stato dei cittadini dell’Unione europea e dei familiari di cui all’articolo 2 che accompagnano o raggiungono i medesimi cittadini;
c) le limitazioni ai diritti di cui alle lettere a) e b) per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
Art. 2
Definizioni.
1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:
a) «cittadino dell’Unione»: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;
b) «familiare»:
1) il coniuge;
2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
c) «Stato membro ospitante»: lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno.
Art. 3
Aventi diritto.
1. Il presente decreto legislativo si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonchè ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b), che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.
2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all’articolo 2, comma 1, lettera b), se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente;
b) il partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell’Unione.
3. Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.
Art. 4
Diritto di circolazione nell’ambito dell’Unione europea.
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell’Unione in possesso di documento d’identità valido per l’espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, hanno il diritto di lasciare il territorio nazionale per recarsi in un altro Stato dell’Unione.
2. Per i soggetti di cui al comma 1, minori degli anni diciotto, ovvero interdetti o inabilitati, il diritto di circolazione è esercitato secondo le modalità stabilite dalla legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza.
Art. 5
Diritto di ingresso.
1. Ferme le disposizioni relative ai controlli dei documenti di viaggio alla frontiera, il cittadino dell’Unione in possesso di documento d’identità valido per l’espatrio, secondo la legislazione dello Stato membro, ed i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ma in possesso di un passaporto valido, sono ammessi nel territorio nazionale.
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, nei casi in cui è richiesto. Il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10 in corso di validità esonera dall’obbligo di munirsi del visto.
3. I visti di cui al comma 2 sono rilasciati gratuitamente e con priorità rispetto alle altre richieste.
4. Nei casi in cui è esibita la carta di soggiorno di cui all’articolo 10 non sono apposti timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea.
5. Il respingimento nei confronti di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, sprovvisto dei documenti di viaggio o del visto di ingresso, non è disposto se l’interessato, entro ventiquattro ore dalla richiesta, fa pervenire i documenti necessari ovvero dimostra con altra idonea documentazione, secondo la legge nazionale, la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione.
Art. 6
Diritto di soggiorno fino a tre mesi.
1. I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell’Unione, in possesso di un passaporto in corso di validità, che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 5, comma 2.
3. Fatte salve le disposizioni di leggi speciali conformi ai Trattati dell’Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, i cittadini di cui ai commi 1 e 2, nello svolgimento delle attività consentite, sono tenuti ai medesimi adempimenti richiesti ai cittadini italiani.
Art. 7
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi.
1. Il cittadino dell’Unione ha diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi quando:
a) è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
b) dispone per sè stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per sè stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione, e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
d) è familiare, come definito dall’articolo 2, che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c).
2. Il diritto di soggiorno di cui al comma 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell’Unione, purchè questi risponda alle condizioni di cui al comma 1, lettere a), b) o c).
3. Il cittadino dell’Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno di cui al comma 1, lettera a) quando:
a) è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività lavorativa per oltre un anno nel territorio nazionale ed è iscritto presso il Centro per l’impiego, ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa;
c) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, ovvero si è trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, è iscritto presso il Centro per l’impiego ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. In tale caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno;
d) segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito.
Art. 8
Ricorsi avverso il mancato riconoscimento del diritto di soggiorno.
1. Avverso il provvedimento di rifiuto e revoca del diritto di cui agli articoli 6 e 7, è ammesso ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo ove dimora il richiedente, il quale provvede, sentito l’interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
Art. 9
Formalità amministrative per i cittadini dell’Unione ed i loro familiari.
1. Al cittadino dell’Unione che intende soggiornare in Italia, ai sensi dell’articolo 7 per un periodo superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954, n. 1228, ed il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, l’iscrizione è comunque richiesta trascorsi tre mesi dall’ingresso ed è rilasciata immediatamente una attestazione contenente l’indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonchè la data della richiesta.
3. Oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, per l’iscrizione anagrafica di cui al comma 2, il cittadino dell’Unione deve produrre la documentazione attestante:
a) l’attività lavorativa, subordinata o autonoma, esercitata se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera a);
b) la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè la titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b);
c) l’iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto dalla vigente normativa e la titolarità di un’assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi, nonchè la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sè e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, se l’iscrizione è richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c).
4. Il cittadino dell’Unione può dimostrare di disporre, per sè e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica, anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
5. Ai fini dell’iscrizione anagrafica, oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, i familiari del cittadino dell’Unione europea che non hanno un autonomo diritto di soggiorno devono presentare, in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445:
a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità, nonchè il visto di ingresso quando richiesto;
b) un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico;
c) l’attestato della richiesta d’iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell’Unione.
6. Salvo quanto previsto dal presente decreto, per l’iscrizione anagrafica ed il rilascio della ricevuta di iscrizione e del relativo documento di identità si applicano le medesime disposizioni previste per il cittadino italiano.
7. Le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell’Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell’articolo 6, comma 7, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio.
Art. 10
Carta di soggiorno per i familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea
1. I familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, di cui all’articolo 2, trascorsi tre mesi dall’ingresso nel territorio nazionale, richiedono alla questura competente per territorio di residenza la «Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione», redatta su modello conforme a quello stabilito con decreto del Ministro dell’interno da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. Fino alla data di entrata in vigore del predetto decreto, è rilasciato il titolo di soggiorno previsto dalla normativa vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
2. Al momento della richiesta di rilascio della carta di soggiorno, al familiare del cittadino dell’Unione è rilasciata una ricevuta secondo il modello definito con decreto del Ministro dell’interno di cui al comma 1.
3. Per il rilascio della Carta di soggiorno, è richiesta la presentazione:
a) del passaporto o documento equivalente, in corso di validità, nonchè del visto di ingresso, qualora richiesto;
b) di un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico;
c) dell’attestato della richiesta d’iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell’Unione;
d) della fotografia dell’interessato, in formato tessera, in quattro esemplari.
4. La carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione ha una validità di cinque anni dalla data del rilascio.
5. La carta di soggiorno mantiene la propria validità anche in caso di assenze temporanee del titolare non superiori a sei mesi l’anno, nonchè di assenze di durata superiore per l’assolvimento di obblighi militari ovvero di assenze fino a dodici mesi consecutivi per rilevanti motivi, quali la gravidanza e la maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato; è onere dell’interessato esibire la documentazione atta a dimostrare i fatti che consentono la perduranza di validità.
6. Il rilascio della carta di soggiorno di cui al comma 1 è gratuito, salvo il rimborso del costo degli stampati e del materiale usato per il documento.
Art. 11
Conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell’Unione europea.
1. Il decesso del cittadino dell’Unione o la sua partenza dal territorio nazionale non incidono sul diritto di soggiorno dei suoi familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro, a condizione che essi abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 14 o siano in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 7, comma 1.
2. Il decesso del cittadino dell’Unione non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, sempre che essi abbiano soggiornato nel territorio nazionale per almeno un anno prima del decesso del cittadino dell’Unione ed abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 14 o dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per sè e per i familiari di risorse sufficienti, affinchè non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato durante il loro soggiorno, nonchè di una assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi nello Stato, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 9, comma 3.
3. Nell’ipotesi di cui al comma 2, quando non sussiste il requisito del soggiorno nel territorio nazionale per almeno un anno si applica l’articolo 30, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
4. La partenza del cittadino dell’Unione dal territorio nazionale o il suo decesso non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l’affidamento, indipendentemente dal requisito della cittadinanza, se essi risiedono nello Stato e sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, e fino al termine degli studi stessi.
Art. 12
Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio e di annullamento del matrimonio.
1. Il divorzio e l’annullamento del matrimonio dei cittadini dell’Unione non incidono sul diritto di soggiorno dei loro familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro, a condizione che essi abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 14 o soddisfino personalmente le condizioni previste all’articolo 7, comma 1.
2. Il divorzio e l’annullamento del matrimonio con il cittadino dell’Unione non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro a condizione che essi abbiano acquisito il diritto al soggiorno permanente di cui all’articolo 14 o che si verifichi una delle seguenti condizioni:
a) il matrimonio è durato almeno tre anni, di cui almeno un anno nel territorio nazionale, prima dell’inizio del procedimento di divorzio o annullamento;
b) il coniuge non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha ottenuto l’affidamento dei figli del cittadino dell’Unione in base ad accordo tra i coniugi o a decisione giudiziaria;
c) l’interessato risulti parte offesa in procedimento penale, in corso o definito con sentenza di condanna, per reati contro la persona commessi nell’ambito familiare;
d) il coniuge non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia, in base ad un accordo tra i coniugi o a decisione giudiziaria, di un diritto di visita al figlio minore, a condizione che l’organo giurisdizionale ha ritenuto che le visite devono obbligatoriamente essere effettuate nel territorio nazionale, e fino a quando sono considerate necessarie.
3. Nei casi di cui al comma 2, quando non si verifichi alcuna delle condizioni di cui alle lettere a), b), c) e d), si applica l’articolo 30, comma 5, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, salvo che gli interessati abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui al successivo articolo 14, il loro diritto di soggiorno è comunque subordinato al requisito che essi dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sè e per i familiari di risorse sufficienti, affinchè non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato durante il soggiorno, nonchè di una assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi nello Stato, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 9, comma 3.
Art. 13
Mantenimento del diritto di soggiorno.
1. I cittadini dell’Unione ed i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6, finchè hanno le risorse economiche di cui all’articolo 9, comma 3, che gli impediscono di diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante e finchè non costituiscano un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica.
2. I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 11 e 12, finchè soddisfano le condizioni fissate negli stessi articoli.
3. Ferme le disposizioni concernenti l’allontanamento per motivi di ordine e sicurezza pubblica, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari, qualora;
a) i cittadini dell’Unione siano lavoratori subordinati o autonomi;
b) i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato per cercare un posto di lavoro. In tale caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere iscritti nel Centro per l’impiego da non più di sei mesi, ovvero di aver reso la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento dell’attività lavorativa, di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall’articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297 e di non essere stati esclusi dallo stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 4 del medesimo decreto legislativo n. 297 del 2002.
Art. 14
Diritto di soggiorno permanente.
1. Il cittadino dell’Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente non subordinato alle condizioni previste dagli articoli 7, 11, 12 e 13.
2. Salve le disposizioni degli articoli 11 e 12, il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell’Unione.
3. La continuità del soggiorno non è pregiudicato da assenze che non superino complessivamente sei mesi l’anno, nonchè da assenze di durata superiore per l’assolvimento di obblighi militari ovvero da assenze fino a dodici mesi consecutivi per motivi rilevanti, quali la gravidanza e la maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un Paese terzo.
4. Il diritto di soggiorno permanente si perde in ogni caso a seguito di assenze dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi.
Art. 15
Deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attività nello Stato membro ospitante e dei loro familiari.
1. In deroga all’articolo 14 ha diritto di soggiorno permanente nello Stato prima della maturazione di un periodo continuativo di cinque anni di soggiorno:
a) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, nel momento in cui cessa l’attività, ha raggiunto l’età prevista ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione di vecchiaia, o il lavoratore subordinato che cessa di svolgere un’attività subordinata a seguito di pensionamento anticipato, a condizione che abbia svolto nel territorio dello Stato la propria attività almeno negli ultimi dodici mesi e vi abbia soggiornato in via continuativa per oltre tre anni. Ove il lavoratore appartenga ad una categoria per la quale la legge non riconosce il diritto alla pensione di vecchiaia, la condizione relativa all’età è considerata soddisfatta quando l’interessato ha raggiunto l’età di 60 anni;
b) il lavoratore subordinato o autonomo che ha soggiornato in modo continuativo nello Stato per oltre due anni e cessa di esercitare l’attività professionale a causa di una sopravvenuta incapacità lavorativa permanente. Ove tale incapacità sia stata causata da un infortunio sul lavoro o da una malattia professionale che dà all’interessato diritto ad una prestazione interamente o parzialmente a carico di un’istituzione dello Stato, non si applica alcuna condizione relativa alla durata del soggiorno;
c) il lavoratore subordinato o autonomo che, dopo tre anni d’attività e di soggiorno continuativi nello Stato, eserciti un’attività subordinata o autonoma in un altro Stato membro, pur continuando a risiedere nel territorio dello Stato, permanendo le condizioni previste per l’iscrizione anagrafica.
2. Ai fini dell’acquisizione dei diritti previsti nel comma 1, lettere a) e b), i periodi di occupazione trascorsi dall’interessato nello Stato membro in cui esercita un’attività sono considerati periodi trascorsi nel territorio nazionale.
3. I periodi di iscrizione alle liste di mobilità o di disoccupazione involontaria, così come definiti dal decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, o i periodi di sospensione dell’attività indipendenti dalla volontà dell’interessato e l’assenza dal lavoro o la cessazione dell’attività per motivi di malattia o infortunio sono considerati periodi di occupazione ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1.
4. La sussistenza delle condizioni relative alla durata del soggiorno e dell’attività di cui al comma 1, lettera a) e lettera b), non sono necessarie se il coniuge è cittadino italiano, ovvero ha perso la cittadinanza italiana a seguito del matrimonio con il lavoratore dipendente o autonomo.
5. I familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, del lavoratore subordinato o autonomo, che soggiornano con quest’ultimo nel territorio dello Stato, godono del diritto di soggiorno permanente se il lavoratore stesso ha acquisito il diritto di soggiorno permanente in forza del comma 1.
6. Se il lavoratore subordinato o autonomo decede mentre era in attività senza aver ancora acquisito il diritto di soggiorno permanente a norma del comma 1, i familiari che hanno soggiornato con il lavoratore nel territorio acquisiscono il diritto di soggiorno permanente, qualora si verifica una delle seguenti condizioni:
a) il lavoratore subordinato o autonomo, alla data del suo decesso, abbia soggiornato in via continuativa nel territorio nazionale per due anni;
b) il decesso sia avvenuto in seguito ad un infortunio sul lavoro o ad una malattia professionale;
c) il coniuge superstite abbia perso la cittadinanza italiana a seguito del matrimonio con il lavoratore dipendente o autonomo.
7. Se non rientrano nelle condizioni previste dal presente articolo, i familiari del cittadino dell’Unione di cui all’articolo 11, comma 2, e all’articolo 12, comma 2, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.
Art. 16
Attestazione di soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione europea.
1. A richiesta dell’interessato, il comune di residenza rilascia al cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea un attestato che certifichi la sua condizione di titolare del diritto di soggiorno permanente. L’attestato è rilasciato entro trenta giorni dalla richiesta corredata dalla documentazione atta a provare le condizioni, rispettivamente previsti dall’articolo 14 e dall’articolo 15.
2. L’attestato di cui al comma 1 può essere sostituito da una istruzione contenuta nel microchip della carta di identità elettronica di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, secondo le regole tecniche stabilite dal Ministero dell’interno.
Art. 17
Carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
1. Ai familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea, che abbiano maturato il diritto di soggiorno permanente, la Questura rilascia una «Carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini europei».
2. La richiesta di Carta di soggiorno permanente è presentata alla Questura competente per territorio di residenza prima dello scadere del periodo di validità della Carta di soggiorno di cui all’articolo 10 ed è rilasciata entro 90 giorni, su modello conforme a quello stabilito con decreto del Ministro dell’interno.
3. Il rilascio dell’attestazione è gratuito, salvo il rimborso del costo degli stampati o del materiale utilizzato.
4. Le interruzioni di soggiorno che non superino, ogni volta, i due anni consecutivi, non incidono sulla validità della carta di soggiorno permanente.
Art. 18
Continuità del soggiorno.
1. La continuità del soggiorno, ai fini del presente decreto legislativo, nonchè i requisiti prescritti dagli articoli 13, 14, 15 e 16 possono essere comprovati con le modalità previste dalla legislazione vigente.
2. La continuità del soggiorno è interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata.
Art. 19
Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente.
1. I cittadini dell’Unione e i loro familiari hanno diritto di esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell’Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, riserva ai cittadini italiani.
2. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal Trattato CE e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base al presente decreto, nel territorio nazionale gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.
3. In deroga al comma 2 e se non attribuito autonomamente in virtù dell’attività esercitata o da altre disposizioni di legge, il cittadino dell’Unione ed i suoi familiari non godono del diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, comunque, nei casi previsti dall’articolo 13, comma 3, lettera b), salvo che tale diritto sia automaticamente riconosciuto in forza dell’attività esercitata o da altre disposizioni di legge.
4. La qualità di titolare di diritto di soggiorno e di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con qualsiasi mezzo di prova previsto dalla normativa vigente.
Art. 20
Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico (3).
1. Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.
3. Nell’adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare e economica, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell’importanza dei suoi legami con il Paese d’origine.
4. I cittadini dell’Unione europea ed i loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 14 possono essere allontanati dal territorio dello Stato solo per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica (4).
5. I cittadini dell’Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni possono essere allontanati solo per motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato, salvo quando l’allontanamento sia necessario nell’interesse stesso del minore, secondo quanto contemplato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176 (5).
6. Le malattie o le infermità che possono giustificare limitazioni alla libertà di circolazione sul territorio nazionale sono solo quelle con potenziale epidemico individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità, nonchè altre malattie infettive o parassitarie contagiose, semprechè siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini italiani. Le malattie che insorgono successivamente all’ingresso nel territorio nazionale non possono giustificare l’allontanamento del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari.
7. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale di cui ai comma 1, 4 e 5 è adottato dal Ministro dell’interno con atto motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, e tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese. Il provvedimento di allontanamento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e della durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a 3 anni. Il provvedimento di allontanamento indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica, fatti salvi i casi di comprovata urgenza (6).
8. Il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000 ed è nuovamente allontanato con accompagnamento immediato (7).
9. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare allontanato si trattiene nel territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di cui al comma 7, ovvero quando il provvedimento è fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato, il questore dispone l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale (8) (9).
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(3) La rubrica era stata sostituita dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(4) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(5) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(6) Il presente comma era stato sostituito dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge. Il citato articolo 1 aveva inoltre aggiunto i commi 7-bis e 7-ter.
(7) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(8) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(9) Vedi, anche, l’art. 3, D.L. 29 dicembre 2007, n. 249.
Art. 21
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno.
1. Il provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea e dei loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell’interessato, salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12.
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato dal Prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, con atto motivato e notificato all’interessato. Il provvedimento è adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell’interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine ed è tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese, e riporta le modalità di impugnazione, nonchè il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese. Il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale (10).
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(10) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge. Il citato articolo 1 aveva inoltre aggiunto il comma 2-bis.
Art. 22
Ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento.
1. Avverso il provvedimento di cui all’articolo 20 è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (11).
2. Il ricorso può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la procura speciale al patrocinante legale è rilasciata avanti all’autorità consolare. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento.
3. Il ricorso di cui al comma 1 può essere accompagnato da una istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di cui al presente comma, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato (12).
4. Avverso il provvedimento di allontanamento di cui all’articolo 21 può essere presentato ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che lo ha disposto. Il ricorso è presentato, a pena d’inammissibilità, entro venti giorni dalla notifica del provvedimento di allontanamento e deciso entro i successivi trenta giorni (13).
5. Il ricorso può essere sottoscritto personalmente dall’interessato e può essere presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di provenienza dall’interessato. In tale caso la sottoscrizione è autenticata dai funzionari presso le rappresentanze diplomatiche che ne certificano l’autenticità e ne curano l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana. Presso le stesse autorità sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento.
6. La parte può stare in giudizio personalmente.
7. Contestualmente al ricorso può essere presentata istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento. Fino all’esito dell’istanza di sospensione, l’efficacia del provvedimento impugnato resta sospesa, salvo che provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale (14).
8. Al cittadino comunitario o al suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, cui è stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento è consentito, a domanda, l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale per partecipare alle fasi essenziali del procedimento di ricorso, salvo che la sua presenza possa procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine e alla sicurezza pubblica. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta dell’interessato (15).
9. Il tribunale decide a norma degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Qualora i tempi del procedimento dovessero superare il termine entro il quale l’interessato deve lasciare il territorio nazionale ed è stata presentata istanza di sospensione ai sensi del comma 7, il giudice decide con priorità sulla stessa prima della scadenza fissata per l’allontanamento.
10. Nel caso in cui il ricorso è respinto, l’interessato presente sul territorio dello Stato deve lasciare immediatamente il territorio nazionale.
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(11) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(12) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(13) Il presente comma era stato modificato dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(14) Il presente comma era stato sostituito dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
(15) Il presente comma era stato sostituito dall’art. 1, D.L. 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge.
Art. 23
Applicabilità ai soggetti non aventi la cittadinanza italiana che siano familiari di cittadini italiani.
1. Le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana.
Art. 24
Norma finanziaria.
1. Agli oneri derivanti dagli articoli 2, 3, 7, 11, 14 e 15, valutati in 14,5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007, si provvede a carico del Fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, le cui risorse sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate all’I.N.P.S. e al Fondo sanitario nazionale.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente decreto legislativo, ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, ovvero delle misure correttive da assumere, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera i-quater), della medesima legge. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, n. 2), della legge 5 agosto 1978, n. 468, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al precedente periodo, sono tempestivamente trasmesse alle Camere, corredati di apposite relazioni illustrative.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 25
Norme finali e abrogazioni.
1. Le amministrazioni competenti provvederanno, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, a diffondere tramite i propri siti internet i contenuti del presente decreto.
2. Alla data di entrata in vigore del presente decreto sono o restano abrogati il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1965, n. 1656, il decreto legislativo 18 gennaio 2002, n. 52, il decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 53, il decreto del Presidente della Repubblica 18 gennaio 2002, n. 54.
3. Il comma 4 dell’articolo 30 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è abrogato.
D.L. 29 dicembre 2007, n. 249.
Misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e
per motivi imperativi di pubblica sicurezza
(in corso di conversione in legge)
(1)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 2 gennaio 2008, n. 1.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Visto il decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale;
Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di integrare gli strumenti di prevenzione e contrasto del terrorismo internazionale, con particolare riguardo a quelli di cui all’articolo 3 del predetto decreto-legge, introducendo disposizioni finalizzate sia ad assicurare l’effettività delle espulsioni ivi previste, nel rispetto delle garanzie costituzionali, sia a disciplinare, con i medesimi obiettivi di effettività e di rafforzamento delle garanzie, l’allontanamento dei cittadini comunitari per motivi di prevenzione del terrorismo;
Ritenuta, altresì, la necessità e l’urgenza di disciplinare parimenti l’immediata esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea adottati per motivi imperativi di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alla specifica individuazione dei motivi che ne legittimano l’adozione, considerando che il recente ampliamento dello spazio di applicazione degli accordi di Schengen rafforza l’esigenza di una immediata risposta operativa nei casi di particolare gravità;
Ritenuta, pertanto, la necessità e l’urgenza di realizzare un quadro normativo volto a dare completa e puntuale applicazione ai meccanismi di tutela per le limitazioni alla libertà personale conseguenti all’esecuzione dei provvedimenti di espulsione e di allontanamento, così da assicurare un più intenso e complessivo sistema di garanzie giurisdizionali, con la specifica individuazione del giudice competente, fin dalla fase di immediata applicazione dei provvedimenti;
Tenuto conto che le disposizioni del presente provvedimento innovano sostanzialmente quelle del decreto-legge 1° novembre 2007, n. 181, e sono fondate su autonomi presupposti di necessità e urgenza;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 dicembre 2007;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri e dell’economia e delle finanze;
Emana
il seguente decreto-legge:
Art. 1
Misure in tema di espulsione dal territorio nazionale per motivi di prevenzione del terrorismo.
1. All’articolo 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 è sostituito dai seguenti:
«2. Nei casi di cui al comma 1, il decreto di espulsione è immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato. L’esecuzione del provvedimento è disposta dal questore ed è sottoposta alla convalida da parte del tribunale in composizione monocratica secondo le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 286 del 1998.
2-bis. Se il destinatario del provvedimento è sottoposto a procedimento penale, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies del decreto legislativo n. 286 del 1998.»;
b) i commi 5 e 6 sono abrogati.
Art. 2
Autorità giudiziaria competente in tema di espulsione di stranieri e di allontanamento di cittadini dell’Unione europea.
1. Agli articoli 13, 13-bis e 14 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, di seguito denominato: «decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», le parole: «giudice di pace», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «tribunale ordinario in composizione monocratica».
Art. 3
Allontanamento dei cittadini dell’Unione europea per motivi di prevenzione del terrorismo.
1. Oltre a quanto previsto dall’articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, il Ministro dell’interno può disporre, con atto motivato, l’allontanamento del cittadino dell’Unione europea o dei suoi familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, nelle circostanze di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. Il provvedimento è adottato nel rispetto del principio di proporzionalità e non può essere motivato da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell’interessato. L’esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.
2. Il provvedimento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere inferiore a cinque anni e superiore a dieci anni. Se il destinatario non comprende la lingua italiana, il provvedimento è accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari, sufficientemente dettagliati, redatti in una lingua a lui comprensibile o comunque in una delle lingue francese, inglese, spagnolo o tedesco, secondo la preferenza indicata dall’interessato. L’allontanamento è immediatamente eseguito dal questore e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
3. Il destinatario del provvedimento può presentare domanda di revoca del divieto di reingresso dopo che, dall’esecuzione del provvedimento, sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, e in ogni caso decorsi tre anni. Nella domanda devono essere addotti gli argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietare il reingresso nel territorio nazionale. Sulla domanda, entro sei mesi dalla sua presentazione, decide con atto motivato l’autorità che ha emanato il provvedimento di allontanamento. Durante l’esame della domanda l’interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale.
Art. 4
Allontanamento immediato dei cittadini dell’Unione europea per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
1. Il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi imperativi di pubblica sicurezza nei confronti del cittadino dell’Unione europea o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, è adottato nel rispetto del principio di proporzionalità e non può essere motivato da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell’interessato che rappresentino una minaccia concreta e attuale alla pubblica sicurezza. L’esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.
2. I motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono quando la persona da allontanare, sia essa cittadino dell’Unione europea o familiare di cittadino dell’Unione europea che non abbia la cittadinanza di uno Stato membro, abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona ovvero all’incolumità pubblica, rendendo urgente l’allontanamento perchè la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza.
3. Ai fini dell’adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza, si tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, consumati o tentati, contro la vita o l’incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti alle fattispecie indicate nell’articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, di eventuali ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per i medesimi delitti, ovvero dell’appartenenza a taluna delle categorie di cui all’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o di cui all’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonchè di misure di prevenzione disposte da autorità straniere o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere.
4. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato con atto motivato dal prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, ovvero dal Ministro dell’interno qualora il destinatario abbia soggiornato nel territorio nazionale nei dieci anni precedenti o sia minorenne. Per le modalità di adozione del provvedimento e di comunicazione al destinatario si applicano le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, ma il divieto di reingresso non può avere durata superiore ai cinque anni.
5. Per la revoca del divieto di reingresso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 3.
Art. 5
Sanzioni per la violazione del divieto di reingresso conseguente all’allontanamento.
1. Il destinatario del provvedimento di allontanamento, adottato per motivi imperativi di pubblica sicurezza, che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è punito con la reclusione fino a tre anni ed è nuovamente allontanato con esecuzione immediata, alla quale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
2. Si applica la pena della reclusione fino a quattro anni, se il fatto avviene in violazione del provvedimento di allontanamento emesso a norma dell’articolo 3.
Art. 6
Procedimento penale pendente a carico del destinatario del provvedimento di allontanamento.
1. Qualora il destinatario del provvedimento di allontanamento di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto sia sottoposto a procedimento penale, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
2. Nei casi di cui al comma 1, il questore può disporre il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea.
3. Non si dà luogo alla sentenza di cui all’articolo 13, comma 3-quater, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, qualora si proceda per i reati di cui all’articolo 380 del codice di procedura penale.
4. Quando il procedimento penale pendente sia relativo ai reati di cui all’articolo 380 del codice di procedura penale, si può procedere all’allontanamento solo nell’ipotesi in cui il soggetto non sia sottoposto a misura cautelare detentiva per qualsiasi causa.
5. In deroga alle disposizioni sul divieto di reingresso, il destinatario del provvedimento di allontanamento, sottoposto ad un procedimento penale ovvero parte offesa nello stesso, può essere autorizzato a rientrare nel territorio dello Stato, dopo l’esecuzione del provvedimento, per il tempo strettamente necessario all’esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o di compiere atti per i quali è necessaria la sua presenza. Salvo che la presenza dell’interessato possa procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica, l’autorizzazione è rilasciata dal questore, anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare, su documentata richiesta del destinatario del provvedimento di allontanamento, o del suo difensore.
Art. 7
Tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di allontanamento.
1. Avverso i provvedimenti di allontanamento adottati dal Ministro dell’interno ai sensi dell’articolo 3, può essere presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
2. Avverso i provvedimenti di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza può essere presentato ricorso entro venti giorni dalla notifica, a pena di inammissibilità, al tribunale in composizione monocratica in cui ha sede l’autorità che lo ha adottato. Il tribunale decide a norma degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
3. I ricorsi di cui ai commi 1 e 2, sottoscritti personalmente dall’interessato, possono essere presentati anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana; in tale caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza. La procura speciale al patrocinante legale è rilasciata avanti all’autorità consolare presso cui sono eseguite le comunicazioni relative al procedimento.
4. I ricorsi di cui ai commi 1 e 2 possono essere accompagnati da una istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento; la presentazione dell’istanza non ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato.
5. Al cittadino comunitario o al suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, cui è stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento è consentito, a domanda, l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale per partecipare al procedimento di ricorso, salvo che la sua presenza possa procurare gravi turbative o grave pericolo all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana su documentata richiesta dell’interessato.
Art. 8
Disposizione finanziaria.
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 1, comma 1, lettera a), valutati in euro 30.000 annui a decorrere dal 2008, e dall’attuazione dell’articolo 3, comma 2, valutati in euro 120.000 per l’anno 2008, euro 108.000 per l’anno 2009 ed euro 96.000 a decorrere dall’anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’unità previsionale di base «Oneri comuni di parte corrente», istituita nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali», dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
2. Il Ministro dell’interno provvede al monitoraggio degli oneri di cui al comma 1, informando tempestivamente il Ministero dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, n. 2), della legge 5 agosto 1978, n. 468, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al periodo precedente, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative.
Art. 9
Entrata in vigore.
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Dir. 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei
cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare
liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento
(CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE,
73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE
(1) (2) (3)
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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 30 aprile 2004, n. L 158. Entrata in vigore il 30 aprile 2004. Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
(2) Termine di recepimento: 30 aprile 2006. Direttiva recepita con D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30.
(3) Testo rilevante ai fini del SEE.
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare gli articoli 12, 18, 40, 44, e 52,
vista la proposta della Commissione (4),
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (5),
visto il parere del Comitato delle regioni (6),
deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251 del trattato (7),
considerando quanto segue:
(1) La cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal trattato e le disposizioni adottate in applicazione dello stesso.
(2) La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato.
(3) La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.
(4) Per superare tale carattere settoriale e frammentario delle norme concernenti il diritto di libera circolazione e soggiorno e allo scopo di facilitare l’esercizio di tale diritto, occorre elaborare uno strumento legislativo unico per modificare parzialmente il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità e per abrogare i seguenti testi legislativi: la direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità; la direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi; la direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno; la direttiva 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale e la direttiva 93/96/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti.
(5) Il diritto di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Ai fini della presente direttiva, la definizione di «familiare» dovrebbe altresì includere il partner che ha contratto un’unione registrata, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio.
(6) Per preservare l’unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l’ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell’Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione.
(7) Occorre definire chiaramente la natura delle formalità connesse alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri, senza pregiudizio delle disposizioni applicabili in materia di controlli nazionali alle frontiere.
(8) Al fine di facilitare la libera circolazione dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, coloro che hanno già ottenuto una carta di soggiorno dovrebbero essere esentati dall’obbligo di munirsi di un visto d’ingresso a norma del regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo o, se del caso, della legislazione nazionale applicabile.
(9) I cittadini dell’Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, fatto salvo un trattamento più favorevole applicabile ai richiedenti lavoro, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
(10) Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.
(11) Il diritto fondamentale e personale di soggiornare in un altro Stato membro è conferito direttamente dal trattato ai cittadini dell’Unione e non dipende dall’aver completato le formalità amministrative.
(12) Per soggiorni superiori a tre mesi, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di richiedere l’iscrizione del cittadino dell’Unione presso le autorità competenti del luogo di residenza, comprovata da un attestato d’iscrizione rilasciato a tal fine.
(13) Il requisito del possesso della carta di soggiorno dovrebbe essere limitato ai familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro per i soggiorni di durata superiore ai tre mesi.
(14) I documenti giustificativi richiesti dalle autorità competenti ai fini del rilascio dell’attestato d’iscrizione o di una carta di soggiorno dovrebbero essere indicati in modo tassativo onde evitare che pratiche amministrative o interpretazioni divergenti costituiscano un indebito ostacolo all’esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari.
(15) È necessario inoltre tutelare giuridicamente i familiari in caso di decesso del cittadino dell’Unione, di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione di una unione registrata. È quindi opportuno adottare misure volte a garantire che, in tali ipotesi, nel dovuto rispetto della vita familiare e della dignità umana e a determinate condizioni intese a prevenire gli abusi, i familiari che già soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante conservino il diritto di soggiorno esclusivamente su base personale.
(16) I beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Pertanto una misura di allontanamento non dovrebbe essere la conseguenza automatica del ricorso al sistema di assistenza sociale. Lo Stato membro ospitante dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell’ammontare dell’aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all’allontanamento. In nessun caso una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte di giustizia, eccetto che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
(17) Un diritto di un soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione che hanno scelto di trasferirsi a tempo indeterminato nello Stato membro ospitante rafforzerebbe il senso di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione e costituisce un essenziale elemento di promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione. Occorre quindi istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell’Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento.
(18) Per costituire un autentico mezzo di integrazione nella società dello Stato membro ospitante in cui il cittadino dell’Unione soggiorna, il diritto di soggiorno permanente non dovrebbe, una volta ottenuto, essere sottoposto ad alcuna condizione.
(19) Occorre preservare alcuni vantaggi propri dei cittadini dell’Unione che siano lavoratori subordinati o autonomi e dei loro familiari, che permettono loro di acquisire un diritto di soggiorno permanente prima di aver soggiornato cinque anni nello Stato membro ospitante, in quanto costituiscono diritti acquisiti conferiti dal regolamento (CEE) n. 1251/70 della Commissione, del 29 giugno 1970, relativo al diritto dei lavoratori di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego e dalla direttiva 75/34/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1974, relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rimanere sul territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un’attività non salariata.
(20) In conformità del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, ogni cittadino dell’Unione e i suoi familiari il cui soggiorno in uno Stato membro è conforme alla presente direttiva dovrebbero godere in tale Stato membro della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d’applicazione del trattato, fatte salve le specifiche disposizioni previste espressamente dal trattato e dal diritto derivato.
(21) Dovrebbe spettare tuttavia allo Stato membro ospitante decidere se intende concedere a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o per un periodo più lungo in caso di richiedenti lavoro, o sussidi per il mantenimento agli studi, inclusa la formazione professionale, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente.
(22) Il trattato consente restrizioni all’esercizio del diritto di libera circolazione per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Per assicurare una definizione più rigorosa dei requisiti e delle garanzie procedurali cui deve essere subordinata l’adozione di provvedimenti che negano l’ingresso o dispongono l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari la presente direttiva dovrebbe sostituire la direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
(23) L’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi d’ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante. Occorre pertanto limitare la portata di tali misure conformemente al principio di proporzionalità, in considerazione del grado d’integrazione della persona interessata, della durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, dell’età, delle condizioni di salute, della situazione familiare ed economica e dei legami col paese di origine.
(24) Pertanto, quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l’allontanamento. Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di pubblica sicurezza, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell’Unione che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello Stato membro ospitante, in particolare qualora vi siano nati e vi abbiano soggiornato per tutta la vita. Inoltre, dette circostanze eccezionali dovrebbero valere anche per le misure di allontanamento prese nei confronti di minorenni, al fine di tutelare i loro legami con la famiglia, conformemente alla Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite, del 20 novembre 1989.
(25) Dovrebbero altresì essere dettagliatamente specificate le garanzie procedurali in modo da assicurare, da un lato, un elevato grado di tutela dei diritti del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari in caso di diniego d’ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro e, dall’altro, il rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati.
(26) In ogni caso il cittadino dell’Unione e i suoi familiari dovrebbero poter presentare ricorso giurisdizionale ove venga loro negato il diritto d’ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro.
(27) In linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia, che vieta agli Stati membri di adottare provvedimenti permanenti di interdizione dal loro territorio nei confronti dei beneficiari della presente direttiva, dovrebbe essere confermato il diritto del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari, nei confronti dei quali sia stato emanato un provvedimento di interdizione dal territorio di uno Stato membro, di presentare una nuova domanda dopo il decorso di un congruo periodo e, in ogni caso, dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di interdizione.
(28) Per difendersi da abusi di diritto o da frodi, in particolare matrimoni di convenienza o altri tipi di relazioni contratte all’unico scopo di usufruire del diritto di libera circolazione e soggiorno, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di adottare le necessarie misure.
(29) La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare le norme nazionali più favorevoli.
(30) Allo scopo di esaminare come agevolare ulteriormente l’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno la Commissione dovrebbe preparare una relazione valutando l’opportunità di presentare tutte le necessarie proposte in tal senso, in particolare l’estensione del periodo di soggiorno senza condizioni.
(31) La presente direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In conformità con il divieto di discriminazione contemplato nella Carta gli Stati membri dovrebbero dare attuazione alla presente direttiva senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza etnica, patrimonio, nascita, handicap, età o tendenze sessuali,
hanno adottato la presente direttiva (8):
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(4) Pubblicata nella G.U.C.E. 25 settembre 2001, n. C 270 E.
(5) Pubblicato nella G.U.C.E. 21 giugno 2002, n. C 149.
(6) Pubblicato nella G.U.C.E. 12 agosto 2002, n. C 192.
(7) Parere del Parlamento europeo dell’11 febbraio 2003 (G.U.U.E. C 43 E del 19.2.2004), posizione comune del Consiglio del 5 dicembre 2003 (G.U.U.E. C 54 E del 2.3.2004) e posizione del Parlamento europeo del 10 marzo 2004.
(8) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo I
Disposizioni generali
Articolo 1 (9)
Oggetto.
La presente direttiva determina:
a) le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;
b) il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;
c) le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
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(9) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 2 (10)
Definizioni.
Ai fini della presente direttiva, si intende per:
1) «cittadino dell’Unione»: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;
2) «familiare»:
a) il coniuge;
b) il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
c) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
3) «Stato membro ospitante»: lo Stato membro nel quale il cittadino dell’Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno.
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(10) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 3 (11)
Aventi diritto.
1. La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.
2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all’articolo 2, punto 2, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente;
b) il partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.
Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.
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(11) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo II
Diritto di uscita e di ingresso
Articolo 4 (12)
Diritto di uscita.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro.
2. Nessun visto di uscita né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti alle persone di cui al paragrafo 1.
3. Gli Stati membri rilasciano o rinnovano ai loro cittadini, ai sensi della legislazione nazionale, una carta d’identità o un passaporto dai quali risulti la loro cittadinanza.
4. Il passaporto deve essere valido almeno per tutti gli Stati membri e per i paesi di transito diretto tra gli stessi. Qualora la legislazione di uno Stato membro non preveda il rilascio di una carta d’identità, il periodo di validità del passaporto, al momento del rilascio o del rinnovo, non può essere inferiore a cinque anni.
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(12) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 5 (13)
Diritto d’ingresso.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto.
Nessun visto d’ingresso né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti al cittadino dell’Unione.
2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono soltanto assoggettati all’obbligo del visto d’ingresso, conformemente al regolamento (CE) n. 539/2001 o, se del caso, alla legislazione nazionale. Ai fini della presente direttiva il possesso della carta di soggiorno di cui all’articolo 10, in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere tale visto.
Gli Stati membri concedono a dette persone ogni agevolazione affinché ottengano i visti necessari. Tali visti sono rilasciati il più presto possibile in base a una procedura accelerata e sono gratuiti.
3. Lo Stato membro ospitante non appone timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, qualora questi esibisca la carta di soggiorno di cui all’articolo 10.
4. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro sia sprovvisto dei documenti di viaggio o, eventualmente, dei visti necessari, lo Stato membro interessato concede, prima di procedere al respingimento, ogni possibile agevolazione affinché possa ottenere o far pervenire entro un periodo di tempo ragionevole i documenti necessari, oppure possa dimostrare o attestare con altri mezzi la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione.
5. Lo Stato membro può prescrivere all’interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L’inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
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(13) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo III
Diritto di soggiorno
Articolo 6 (14)
Diritto di soggiorno sino a tre mesi.
1. I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell’Unione.
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(14) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 7 (15)
Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi.
1. Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a) di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o
b) di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o
c) - di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale,
- di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o
d) di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c).
2. Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alla condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c).
3. Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:
a) l’interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b) l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;
c) l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;
d) l’interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito.
4. In deroga al paragrafo 1, lettera d) e al paragrafo 2, soltanto il coniuge, il partner che abbia contratto un’unione registrata prevista all’articolo 2, punto 2, lettera b) e i figli a carico godono del diritto di soggiorno in qualità di familiari di un cittadino dell’Unione che soddisfa le condizioni di cui al paragrafo 1, lettera c). L’articolo 3, paragrafo 2, si applica ai suoi ascendenti diretti e a quelli del coniuge o partner registrato.
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(15) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 8 (16)
Formalità amministrative per i cittadini dell’Unione.
1. Senza pregiudizio dell’articolo 5, paragrafo 5, per soggiorni di durata superiore a tre mesi lo Stato membro ospitante può richiedere ai cittadini dell’Unione l’iscrizione presso le autorità competenti.
2. Il termine fissato per l’iscrizione non può essere inferiore a tre mesi dall’ingresso. Un attestato d’iscrizione è rilasciato immediatamente. Esso contiene l’indicazione precisa del nome e del domicilio della persona iscritta e la data dell’avvenuta iscrizione. L’inadempimento dell’obbligo di iscrizione rende l’interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
3. Per il rilascio dell’attestato d’iscrizione, gli Stati membri possono unicamente prescrivere al
- cittadino dell’Unione cui si applica l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di esibire una carta d’identità o un passaporto in corso di validità, una conferma di assunzione del datore di lavoro o un certificato di lavoro o una prova dell’attività autonoma esercitata,
- cittadino dell’Unione cui si applica l’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), di esibire una carta d’identità o un passaporto in corso di validità e di fornire la prova che le condizioni previste da tale norma sono soddisfatte,
- cittadino dell’Unione cui si applica l’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), di esibire una carta d’identità o un passaporto in corso di validità, di fornire la prova di essere iscritto presso un istituto riconosciuto e di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi e di esibire la dichiarazione o altro mezzo equivalente di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c). Gli Stati membri non possono esigere che detta dichiarazione indichi un importo specifico delle risorse.
4. Gli Stati membri si astengono dal fissare l’importo preciso delle risorse che considerano sufficienti, ma devono tener conto della situazione personale dell’interessato. In ogni caso, tale importo non può essere superiore al livello delle risorse al di sotto del quale i cittadini dello Stato membro ospitante beneficiano di prestazioni di assistenza sociale o, qualora non possa trovare applicazione tale criterio, alla pensione minima sociale erogata dallo Stato membro ospitante.
5. Ai fini del rilascio dell’attestato d’iscrizione ai familiari del cittadino dell’Unione che siano essi stessi cittadini dell’Unione gli Stati membri possono prescrivere di presentare i seguenti documenti:
a) carta d’identità o passaporto in corso di validità;
b) un documento che attesti la qualità di familiare o l’esistenza di un’unione registrata;
c) se opportuno, l’attestato d’iscrizione del cittadino dell’Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;
d) nei casi di cui all’articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatti;
e) nei casi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), un documento rilasciato dall’autorità competente del paese di origine o di provenienza attestante che gli interessati sono a carico del cittadino dell’Unione o sono membri del nucleo familiare di quest’ultimo, o la prova che gravi motivi di salute del familiare impongono la prestazione di un’assistenza personale da parte del cittadino dell’Unione;
f) nei casi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), la prova di una relazione stabile con il cittadino dell’Unione.
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(16) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 9 (17)
Formalità amministrative per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
1. Quando la durata del soggiorno previsto è superiore a tre mesi, gli Stati membri rilasciano una carta di soggiorno ai familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
2. Il termine entro il quale deve essere presentata la domanda per il rilascio della carta di soggiorno non può essere inferiore a tre mesi dall’arrivo.
3. L’inadempimento dell’obbligo di richiedere la carta di soggiorno rende l’interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
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(17) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 10 (18)
Rilascio della carta di soggiorno.
1. Il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione», che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda. Una ricevuta della domanda di una carta di soggiorno è rilasciata immediatamente.
2. Ai fini del rilascio della carta di soggiorno, gli Stati membri possono prescrivere la presentazione dei seguenti documenti:
a) un passaporto in corso di validità;
b) un documento che attesti la qualità di familiare o l’esistenza di un’unione registrata;
c) l’attestato d’iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, qualsiasi prova del soggiorno nello Stato membro ospitante del cittadino dell’Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;
d) nei casi di cui all’articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatti;
e) nei casi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), un documento rilasciato dall’autorità competente del paese di origine o di provenienza attestante che gli interessati sono a carico del cittadino dell’Unione o membri del nucleo familiare di quest’ultimo, prova che gravi motivi di salute del familiare impongono la prestazione di un’assistenza personale da parte del cittadino dell’Unione;
f) nei casi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera c), la prova di una relazione stabile con il cittadino dell’Unione.
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(18) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 11 (19)
Validità della carta di soggiorno.
1. La carta di soggiorno di cui all’articolo 10, paragrafo 1, ha un periodo di validità di cinque anni dalla data del rilascio o è valida per il periodo di soggiorno previsto del cittadino dell’Unione se tale periodo è inferiore a cinque anni.
2. La validità della carta di soggiorno non è pregiudicata da assenze temporanee non superiori a sei mesi l’anno, né da assenze di durata superiore per l’assolvimento di obblighi militari, né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.
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(19) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 12 (20)
Conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell’Unione.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell’Unione o la sua partenza dal territorio dello Stato membro ospitante non incidono sul diritto di soggiorno dei suoi familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, le persone interessate devono soddisfare personalmente le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).
2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell’Unione non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che hanno soggiornato nello Stato membro ospitante per almeno un anno prima del decesso del cittadino dell’Unione.
Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il loro soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.
I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale.
3. La partenza del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante o il suo decesso non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l’effettivo affidamento, indipendentemente dalla sua cittadinanza, se essi risiedono nello Stato membro ospitante e sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, finché non terminano gli studi stessi.
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(20) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 13 (21)
Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell’unione registrata.
1. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio dei cittadini dell’Unione o lo scioglimento della loro unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non incidono sul diritto di soggiorno dei loro familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, gli interessati devono soddisfare le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).
2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:
a) il matrimonio o l’unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b); o
b) il coniuge o partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha ottenuto l’affidamento dei figli del cittadino dell’Unione in base ad accordo tra i coniugi o i partner di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria; o
c) situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno;
d) il coniuge o il partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia, in base ad un accordo tra i coniugi o conviventi di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria, di un diritto di visita al figlio minore, a condizione che l’organo giurisdizionale abbia ritenuto che le visite devono obbligatoriamente essere effettuate nello Stato membro ospitante, e fintantoché siano considerate necessarie.
Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.
I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale.
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(21) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 14 (22)
Mantenimento del diritto di soggiorno.
1. I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.
2. I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.
In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell’Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente.
3. Il ricorso da parte di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento.
4. In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora:
a) i cittadini dell’Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure
b) i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo.
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(22) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 15 (23)
Garanzie procedurali.
1. Le procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica.
2. Lo scadere della carta d’identità o del passaporto che ha consentito l’ingresso nello Stato membro ospitante e il rilascio dell’attestato d’iscrizione o della carta di soggiorno non giustifica l’allontanamento dal territorio.
3. Lo Stato membro ospitante non può disporre, in aggiunta ai provvedimenti di allontanamento di cui al paragrafo 1, il divieto d’ingresso nel territorio nazionale.
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(23) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo IV
Diritto di soggiorno permanente
Sezione I
Acquisizione
Articolo 16 (24)
Norma generale per i cittadini dell’Unione e i loro familiari.
1. Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante.
3. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.
4. Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi.
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(24) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 17 (25)
Deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attività nello Stato membro ospitante e dei loro familiari.
1. In deroga all’articolo 16, ha diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante prima della maturazione di un periodo continuativo di cinque anni di soggiorno:
a) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, nel momento in cui cessa l’attività, ha raggiunto l’età prevista dalla legislazione dello Stato membro ospitante ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione di vecchiaia, o il lavoratore subordinato il quale cessa di svolgere un’attività subordinata a seguito di pensionamento anticipato, a condizione che vi abbia svolto la propria attività almeno negli ultimi dodici mesi e vi abbia soggiornato in via continuativa per oltre tre anni.
Per talune categorie di lavoratori autonomi cui la legislazione dello Stato membro ospitante non riconosce il diritto alla pensione di vecchiaia la condizione relativa all’età è considerata soddisfatta quando il beneficiario ha raggiunto l’età di 60 anni;
b) il lavoratore subordinato o autonomo che ha soggiornato in modo continuativo nello Stato membro ospitante per oltre due anni e cessa di esercitare l’attività professionale a causa di una sopravvenuta incapacità lavorativa permanente.
Ove tale incapacità sia stata causata da un infortunio sul lavoro o da una malattia professionale che dà all’interessato diritto ad una prestazione interamente o parzialmente a carico di un’istituzione dello Stato membro ospitante, non si applica alcuna condizione relativa alla durata del soggiorno;
c) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, dopo tre anni d’attività e di soggiorno continuativi nello Stato membro ospitante, eserciti un’attività subordinata o autonoma in un altro Stato membro, pur continuando a soggiornare nel territorio del primo Stato e facendovi ritorno in linea di principio ogni giorno o almeno una volta alla settimana.
Ai fini dell’acquisizione dei diritti previsti alle lettere a) e b), i periodi di occupazione trascorsi dall’interessato nello Stato membro in cui esercita un’attività sono considerati periodi trascorsi nello Stato membro ospitante.
I periodi di disoccupazione involontaria, debitamente comprovati dall’ufficio del lavoro competente, o i periodi di sospensione dell’attività indipendenti dalla volontà dell’interessato e l’assenza dal lavoro o la cessazione dell’attività per motivi di malattia o infortunio sono considerati periodi di occupazione.
2. La sussistenza delle condizioni relative alla durata del soggiorno e dell’attività di cui al paragrafo 1, lettera a), e della condizione relativa alla durata del soggiorno di cui al paragrafo 1, lettera b), non è necessaria se il coniuge o il partner del lavoratore autonomo o subordinato, di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), è cittadino dello Stato membro ospitante o se ha perso la cittadinanza di tale Stato membro a seguito di matrimonio con il lavoratore autonomo o subordinato.
3. I familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, del lavoratore subordinato o autonomo, che soggiornano con quest’ultimo nel territorio dello Stato membro ospitante, godono del diritto di soggiorno permanente in detto Stato membro se il lavoratore stesso ha acquisito il diritto di soggiorno permanente nel territorio di detto Stato in forza del paragrafo 1.
4. Se tuttavia il lavoratore subordinato o autonomo decede mentre era in attività senza aver ancora acquisito il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante a norma del paragrafo 1, i familiari che soggiornano assieme al lavoratore nel territorio di detto Stato hanno il diritto di soggiorno permanente nello Stato stesso, a condizione che:
a) il lavoratore subordinato o autonomo, alla data del suo decesso, avesse soggiornato in via continuativa nel territorio di questo Stato membro per due anni; o
b) il decesso sia avvenuto in seguito ad un infortunio sul lavoro o ad una malattia professionale; o
c) il coniuge superstite abbia perso la cittadinanza di tale Stato a seguito del suo matrimonio con il lavoratore subordinato o autonomo.
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(25) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 18 (26)
Acquisizione del diritto di soggiorno permanente da parte di taluni familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
Senza pregiudizio dell’articolo 17, i familiari del cittadino dell’Unione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, e all’articolo 13, paragrafo 2, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.
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(26) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo IV
Diritto di soggiorno permanente
Sezione II
Formalità amministrative
Articolo 19 (27)
Documento che attesta il soggiorno permanente per i cittadini dell’Unione.
1. Gli Stati membri, dopo aver verificato la durata del soggiorno, su presentazione della domanda rilasciano al cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno permanente un documento che attesta tale soggiorno permanente.
2. Il documento che attesta il soggiorno permanente è rilasciato nel più breve tempo possibile.
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(27) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 20 (28)
Carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.
1. Gli Stati membri rilasciano ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che sono titolari del diritto di soggiorno permanente, una carta di soggiorno permanente entro sei mesi dalla presentazione della domanda. La carta di soggiorno permanente è rinnovabile di diritto ogni dieci anni.
2. La domanda di carta di soggiorno permanente è presentata prima dello scadere della carta di soggiorno. L’inadempimento dell’obbligo di richiedere la carta di soggiorno può rendere l’interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.
3. Le interruzioni di soggiorno che non superino, ogni volta, i due anni, non incidono sulla validità della carta di soggiorno permanente.
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(28) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 21 (29)
Continuità del soggiorno.
La continuità del soggiorno, ai fini della presente direttiva, può essere comprovata con qualsiasi mezzo di prova ammesso dallo Stato membro ospitante. La continuità del soggiorno è interrotta da qualsiasi provvedimento di allontanamento validamente eseguito nei confronti della persona interessata.
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(29) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo V
Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente
Articolo 22 (30)
Campo di applicazione territoriale.
Il diritto di soggiorno e il diritto di soggiorno permanente si estendono a tutto il territorio dello Stato membro ospitante. Limitazioni territoriali del diritto di soggiorno e del diritto di soggiorno permanente possono essere stabilite dagli Stati membri soltanto nei casi in cui siano previste anche per i propri cittadini.
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(30) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 23 (31)
Diritti connessi.
I familiari del cittadino dell’Unione, qualunque sia la loro cittadinanza, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente in uno Stato membro hanno diritto di esercitare un’attività economica come lavoratori subordinati o autonomi.
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(31) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 24 (32)
Parità di trattamento.
1. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.
2. In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari.
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(32) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 25 (33)
Disposizioni generali riguardanti i documenti di soggiorno.
1. Il possesso di un attestato d’iscrizione di cui all’articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non può in nessun caso essere un prerequisito per l’esercizio di un diritto o il completamento di una formalità amministrativa, in quanto la qualità di beneficiario dei diritti può essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova.
2. I documenti menzionati nel paragrafo 1 sono rilasciati a titolo gratuito o dietro versamento di una somma non eccedente quella richiesta ai cittadini nazionali per il rilascio di documenti analoghi.
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(33) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 26 (34)
Controlli.
Gli Stati membri possono controllare l’osservanza di qualunque obbligo derivante dal diritto nazionale che imponga alle persone aventi una cittadinanza diversa di portare sempre con sé l’attestato d’iscrizione o la carta di soggiorno, a condizione che i propri cittadini siano soggetti allo stesso obbligo per quanto riguarda il possesso della carta d’identità. In caso d’inosservanza di tale obbligo, gli Stati membri possono applicare le stesse sanzioni che irrogano ai propri cittadini in caso di violazione dell’obbligo di portare con sé la carta d’identità.
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(34) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo VI
Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica
Articolo 27 (35)
Principi generali.
1. Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.
2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.
Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.
3. Al fine di verificare se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, in occasione del rilascio dell’attestato d’iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, entro tre mesi dalla data di arrivo dell’interessato nel suo territorio o dal momento in cui ha dichiarato la sua presenza nel territorio in conformità dell’articolo 5, paragrafo 5, ovvero al momento del rilascio della carta di soggiorno, lo Stato membro ospitante può, qualora lo giudichi indispensabile, chiedere allo Stato membro di origine, ed eventualmente agli altri Stati membri, informazioni sui precedenti penali del cittadino dell’Unione o di un suo familiare. Tale consultazione non può avere carattere sistematico. Lo Stato membro consultato fa pervenire la propria risposta entro un termine di due mesi.
4. Lo Stato membro che ha rilasciato il passaporto o la carta di identità riammette senza formalità nel suo territorio il titolare di tale documento che è stato allontanato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di salute pubblica da un altro Stato membro, quand’anche il documento in questione sia scaduto o sia contestata la cittadinanza del titolare.
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(35) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 28 (36)
Protezione contro l’allontanamento.
1. Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi legami con il paese d’origine.
2. Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.
3. Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:
a) abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o
b) sia minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989.
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(36) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 29 (37)
Sanità pubblica.
1. Le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreché esse siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini dello Stato membro ospitante.
2. L’insorgere di malattie posteriormente ad un periodo di tre mesi successivi alla data di arrivo non può giustificare l’allontanamento dal territorio.
3. Ove sussistano seri indizi che ciò è necessario, lo Stato membro può sottoporre i titolari del diritto di soggiorno, entro tre mesi dalla data di arrivo, a visita medica gratuita al fine di accertare che non soffrano di patologie indicate al paragrafo 1. Tali visite mediche non possono avere carattere sistematico.
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(37) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 30 (38)
Notificazione dei provvedimenti.
1. Ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.
2. I motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento nei suoi confronti sono comunicati all’interessato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.
3. La notifica riporta l’indicazione dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa dinanzi al quale l’interessato può opporre ricorso e il termine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, l’indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione.
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(38) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 31 (39)
Garanzie procedurali.
1. L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.
2. Laddove l’impugnazione o la richiesta di revisione del provvedimento di allontanamento sia accompagnata da una richiesta di ordinanza provvisoria di sospensione dell’esecuzione di detto provvedimento, l’effettivo allontanamento dal territorio non può avere luogo fintantoché non è stata adottata una decisione sull’ordinanza provvisoria, salvo qualora:
- il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale, o
- le persone interessate abbiano precedentemente fruito di una revisione, o
- il provvedimento sia fondato su motivi imperativi di pubblica sicurezza di cui all’articolo 28, paragrafo 3.
3. I mezzi di impugnazione comprendono l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall’articolo 28.
4. Gli Stati membri possono vietare la presenza dell’interessato nel loro territorio per tutta la durata della procedura di ricorso, ma non possono vietare che presenti di persona la sua difesa, tranne qualora la sua presenza possa provocare gravi turbative dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza o quando il ricorso o la revisione riguardano il divieto d’ingresso nel territorio.
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(39) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 32 (40)
Effetti nel tempo del divieto di ingresso nel territorio.
1. La persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio per motivi d’ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del divieto d’ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l’ingresso nel territorio.
Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa.
2. La persona di cui al paragrafo 1 non ha diritto d’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato durante l’esame della sua domanda.
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(40) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 33 (41)
Allontanamento a titolo di pena o misura accessoria.
1. Lo Stato membro ospitante può validamente adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio a titolo di pena o di misura accessoria ad una pena detentiva soltanto nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 27, 28 e 29.
2. Se il provvedimento di allontanamento di cui al paragrafo 1 è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, lo Stato membro verifica che la minaccia che l’interessato costituisce per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza sia attuale e reale, e valuta l’eventuale mutamento obiettivo delle circostanze intervenuto successivamente all’adozione del provvedimento di allontanamento.
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(41) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Capo VII
Disposizioni finali
Articolo 34 (42)
Pubblicità.
Gli Stati membri diffondono le informazioni relative ai diritti e agli obblighi dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nel settore disciplinato dalla presente direttiva, in particolare mediante campagne di sensibilizzazione effettuate tramite i media e altri mezzi di comunicazione nazionali e locali.
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(42) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 35 (43)
Abuso di diritto.
Gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio. Qualsiasi misura di questo tipo è proporzionata ed è soggetta alle garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31.
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(43) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 36 (44)
Sanzioni.
Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali adottate in attuazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni previste sono effettive e proporzionate. Gli Stati membri notificano alla Commissione tali disposizioni entro il 30 aprile 2006 e provvedono a comunicare immediatamente le eventuali successive modifiche.
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(44) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 37 (45)
Disposizioni nazionali più favorevoli.
Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva.
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(45) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 38 (46)
Abrogazione.
1. Gli articoli 10 e 11 del regolamento (CEE) n. 1612/68 sono abrogati con effetto dal 30 aprile 2006.
2. Le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE sono abrogate con effetto dal 30 aprile 2006.
3. I riferimenti fatti agli articoli e alle direttive abrogati si intendono fatti alla presente direttiva.
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(46) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 39 (47)
Relazione.
Entro il 30 aprile 2008 la Commissione presenta al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione sull’applicazione della presente direttiva corredata, all’occorrenza, di opportune proposte, in particolare sull’opportunità di prorogare il periodo nel quale il cittadino dell’Unione e i suoi familiari possono soggiornare senza condizioni nel territorio dello Stato membro ospitante. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili ai fini della relazione.
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(47) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 40 (48)
Recepimento.
1. Gli Stati membri adottano e pubblicano entro il 30 aprile 2006 le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva nonché della tabella di concordanza tra tali disposizioni e la presente direttiva.
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(48) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 41 (49)
Entrata in vigore.
La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
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(49) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
Articolo 42 (50)
Destinatari.
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Bruxelles (51), addì 29 aprile 2004.
Per il Parlamento europeo
Il Presidente
P. COX
Per il Consiglio
Il Presidente
M. McDOWELL
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(50) Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.
(51) Luogo della firma così sostituito dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 agosto 2007, n. L 204.
[1] Tale adempimento è espressamente richiesto dall’art. 1, comma 4, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004) per lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2004/38/CE ed è richiamato – ai fini dell’adozione dei decreti recanti disposizioni integrative e correttive – dal comma 5 del medesimo articolo 1.
[2] L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee.
[3] D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
[4] Più precisamente, si tratta del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie.
[5] Procedura di infrazione n. 2006/46.
[6] Il parere motivato rappresenta la seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario.
[7] L’art. 13 TCE stabilisce che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
[8] D.L. 1o novembre 2007, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza.
[9] Commissioni riunite I e II, resoconto sommario della seduta di lunedì 17 dicembre 2007.
[10] Camera dei deputati – Resoconto stenografico dell’Assemblea. Seduta n. 261 di mercoledì 19 dicembre 2007.
[11] Per la notizia della mancata conversione v. il comunicato del Ministero della Giustizia, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 2 gennaio 2008, n. 1. Per un’illustrazione del contenuto del D.L. 181/2007, si rinvia al dossier Progetti di legge n. 298 (dicembre 2007) del Servizio studi. L’iter del relativo d.d.l. di conversione è raccolto nel dossier Progetti di legge n. 298/1.
[12] D.L. 29 dicembre 2007, n. 249, Misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
[13] Per un’illustrazione del contenuto del D.L. 249/2007, si rinvia al dossier Progetti di legge n. 299 (8 gennaio 2008) del Servizio studi.
[14] Dir. 2004/38/CE del 29 aprile 2004, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri,che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE.
[15] Reg. (CEE) n. 1612/68, del 15 ottobre 1968, Regolamento del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.
[16] Dir. 64/221/CEE del 25 febbraio 1964, Direttiva del Consiglio per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
[17] Dir. 68/360/CEE del 15 ottobre 1968, Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità.
[18] Dir. 72/194 CEE del 18 maggio 1972, Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva del 25 febbraio 1964 (64/221/CEE) per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, ai lavoratori che esercitano il diritto di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.
[19] Dir. 73/148/CEE del 21 maggio 1973, Direttiva del Consiglio relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi.
[20] Dir. 75/34/CEE del 17 dicembre 1974, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rimanere sul territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un’attività non salariata.
[21] Dir. 75/35/CEE del 17 dicembre 1974, Direttiva del Consiglio che estende il campo di applicazione della direttiva 64/221/CEE per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, ai cittadini di uno Stato membro che esercitano il diritto di rimanere nel territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un’attività non salariata.
[22] Dir. 90/364/CEE del 28 giugno 1990, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno.
[23] Dir. 90/365/CEE del Consiglio del 28 giugno 1990, Direttiva relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la loro attività professionale.
[24] Dir. 93/96/CEE del 29 ottobre 1993, Direttiva del Consiglio relativa al diritto di soggiorno degli studenti.
[25] Regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (modificato da ultimo dal Regolamento (CE) n. 851/2005 del Consiglio, del 2 giugno 2005).
[26] L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
[27] D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente.
[28] D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.
[29] L. 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.
[30] D.L. 1o novembre 2007, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza.
[31] Commissioni riunite I e II, resoconto sommario della seduta di lunedì 17 dicembre 2007.
[32] Camera dei deputati – Resoconto stenografico dell’Assemblea. Seduta n. 261 di mercoledì 19 dicembre 2007.
[33] Per la notizia della mancata conversione v. il comunicato del Ministero della Giustizia, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 2 gennaio 2008, n. 1. Per un’illustrazione del contenuto del D.L. 181/2007, si rinvia al dossier Progetti di legge n. 298 (dicembre 2007) del Servizio studi. L’iter del relativo d.d.l. di conversione è raccolto nel dossier Progetti di legge n. 298/1.
[34] D.L. 29 dicembre 2007, n. 249, Misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
[35] Per un’illustrazione del contenuto del D.L. 249/2007, si rinvia al dossier Progetti di legge n. 299 (8 gennaio 2008) del Servizio studi.
[36] Con riferimento alla dizione “motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza” si segnala che la novella in esame inserisce nella rubrica dell’art. 20 il riferimento all’allontanamento per motivi di “pubblica sicurezza”. Il testo vigente della rubrica faceva, infatti, riferimento ai soli motivi di ordine pubblico, ancorché l’art. 20 contemplasse anche la disciplina dell’allontanamento per questioni connesse alla pubblica sicurezza.
[37] Si tratta, in particolare, del comma 7-sexies dell’art. 20 del D.Lgs. 30/2007, come inserito dalla lettera d) dell’art. 1, co. 1, del D.L. 181/2007.
[38] Gli artt. 11 e 12 del D.Lgs. 30/2007 dettano norme specifiche relativamente alla conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell’Unione europea ovvero in caso di divorzio e di annullamento del matrimonio.
[39] Per un’illustrazione del contenuto del D.L. 181/2007, si rinvia al dossier Progetti di legge n. 298 (dicembre 2007) del Servizio studi. L’iter del relativo d.d.l. di conversione è raccolto nel dossier Progetti di legge n. 298/1.
[40] Camera dei deputati – Comitato per la legislazione. Resoconto della seduta di martedì 15 gennaio 2008.
[41] Al riguardo, si segnala che in base al testo del co. 7-bis dell’art. 20 del D.Lgs 30/2007, inserito dal D.L. 181/2007, successivamente decaduto, il provvedimento di allontanamento disposto dal Prefetto doveva in ogni caso essere motivato, a differenza di quello adottato dal Ministro dell’interno, che poteva essere apodittico per motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.
[42] L’art. 3, co. 3, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede infatti che “Se lo straniero non comprende la lingua italiana il provvedimento che dispone il respingimento, il decreto di espulsione, il provvedimento di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno, quello di rifiuto della conversione del titolo di soggiorno, la revoca od il rifiuto della carta di soggiorno sia “accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato”.
[43] La disciplina previgente non prevedeva un controllo giurisdizionale necessariamente antecedente l’esecuzione dell’espulsione, ben potendo accadere che la decisione del giudice sulla convalida arrivasse a straniero già espulso dal territorio nazionale. Con la sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del comma 5-bis dell’art. 13 del TU nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa.
[44] In tal senso dispone anche l’art. 21, co. 2, del D.Lgs. 30/2007.
[45] Camera dei deputati – V Commissione (Bilancio). Resoconto della seduta di martedì 15 gennaio 2008.
[46] Applicabile anche al presente schema in virtù del rinvio contenuto nell’art. 1, co. 5, della L. 62/2005, in base al quale anche i decreti integrativi e correttivi sono adottati nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla medesima legge.
[47] Più precisamente, si tratta del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie.
[48] Si ricorda che allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e finanze è allegato l’elenco dei capitoli relativi a spese obbligatorie, per i quali è possibile l’utilizzo del Fondo di riserva delle spese obbligatorie e d’ordine.