Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||
Altri Autori: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Commissione affari costituzionali - Politiche legislative e attività istituzionale nella XIV legislatura - Parte prima | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 2 Progressivo: 1 | ||
Data: | 19/05/2006 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
Documentazione e ricerche
Commissione AFFARI COSTITUZIONALI
Politiche legislative e attività istituzionale
nella XIV legislatura
n. 2/1
Parte prima
Maggio 2006
Il “dossier di inizio legislatura” si propone di fornire un quadro sintetico delle principali politiche e degli interventi normativi che hanno interessato nella XIV legislatura nei settori di competenza delle Commissioni permanenti.
Il dossier si compone di due volumi:
§ parte prima (Note di sintesi; Politiche legislative e attività istituzionale; Questioni all’esame dell’Unione europea);
§ parte seconda (Schede di approfondimento).
Alla redazione del dossier hanno partecipato il Servizio Commissioni e l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.
DIPARTIMENTO istituzioni
SIWEB
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File: AC0001.doc
INDICE
Temi di interesse e di intervento (a cura del Servizio studi)
§ Affari costituzionali e ordinamento della Repubblica
§ Diritti e libertà fondamentali
§ Pubblica amministrazione; semplificazione normativa e amministrativa
§ Ordine pubblico e sicurezza; forze di polizia; protezione civile
L’attività della Commissione Affari Costituzionali (a cura del Servizio commissioni)
Politiche legislative e attività istituzionale
affari costituzionali e ordinamento della repubblica
Riforma dell’ordinamento della Repubblica
§ Dal nuovo Titolo V al progetto di “devoluzione”
§ La riforma dell’ordinamento della Repubblica
Altre leggi e iniziative costituzionali
§ Le leggi costituzionali entrate in vigore
§ I progetti di legge costituzionale esaminati dalle Camere
§ Forma di governo e riforma elettorale
§ La questione dei seggi vacanti
§ La revisione dei collegi uninominali
Altre modifiche in materia elettorale
§ Il voto degli italiani all’estero
§ Altri interventi sulla disciplina delle elezioni
§ Altri interventi sulla disciplina della campagna elettorale e sul finanziamento della politica
Rapporti Stato-autonomie territoriali
§ Il nuovo Titolo V e la sua attuazione
§ Gli orientamenti della Corte costituzionale
Immunità parlamentari e delle alte cariche
§ La legge di attuazione dell’art. 68 della Costituzione
§ Iniziative parlamentari per la riforma dell’art. 68
Disciplina dei conflitti di interessi
Iniziative in materia di grazia e amnistia
§ L’attuazione dell’art. 87 Cost. sulla concessione della grazia
§ La riforma dell’art. 89 Cost. nel progetto di revisione costituzionale
§ Il conflitto di attribuzioni tra il Presidente della Repubblica e il ministro della giustizia
§ La modifica dell’art. 79 Cost. in materia di amnistia e indulto
Diritti e libertà fondamentali
Immigrazione, asilo e cittadinanza
§ La disciplina dell’immigrazione
§ La riforma della legge sulla cittadinanza
Pari opportunità e non discriminazione
Attuazione del Servizio civile
Iniziative in materia di libertà religiosa
§ Il disegno di legge sulla libertà religiosa
§ Le modifiche alle intese con le confessioni religiose
§ La giurisprudenza della Corte costituzionale
Diritti e libertà: altre iniziative
§ Garante dei diritti dei detenuti
§ Carta europea delle lingue regionali o minoritarie
Pubblica Amministrazione; semplificazione normativa e amministrativa
§ La ricostituzione di due ministeri (D.L. n. 217 del 2001)
§ La sostanziale riapertura delle deleghe recate dalla “Bassanini 1” (L. 137 del 2002)
§ L’organizzazione interna dei ministeri (D.Lgs. n. 287 del 2002 e regolamenti di organizzazone)
§ Il riordino della dirigenza statale
§ La riforma della Scuola superiore della P.A.
§ La carriera dirigenziale penitenziaria
Norme sull’azione amministrativa
§ La riforma della legge n. 241 del 1990
§ Le nuove norme sulla dichiarazione di inizio attività e sul silenzio assenso
§ L’evolversi degli interventi sulla “Società dell’informazione”
§ Il Codice dell’amministrazione digitale
Semplificazione e riassetto normativo
§ Il riassetto normativo e la codificazione
§ Interventi sulla qualità della normazione; AIR e VIR
Disciplina dei servizi pubblici locali
Ordine pubblico e sicurezza; forze di polizia; protezione civile
Sicurezza pubblica: misure antiterrorismo
Servizi di informazione e sicurezza
Vittime di terrorismo e criminalità
Sicurezza sussidiaria; polizia locale
§ Il progetto di riforma della sicurezza sussidiaria
§ Iniziative in tema di polizia locale
Indagine sul G8; Commissioni d’inchiesta
§ L’indagine conoscitiva sui fatti di Genova
§ Commissioni parlamentari di inchiesta
Coordinamento della protezione civile
§ L’attribuzione al Presidente del Consiglio della titolarità della funzione di protezione civile
Riordino del Corpo dei Vigili del fuoco
§ La riforma del rapporto d’impiego del personale del Corpo dei Vigili del fuoco
§ Il riassetto delle disposizioni concernenti le funzioni e i compiti del Corpo dei vigili del fuoco
§ Le altre misure concernenti il Corpo dei Vigili del fuoco
§ Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare
§ Istituzione del “Giorno del ricordo”
§ Istituzione del “Giorno della libertà”
§ Istituzione della “Festa dei nonni”
§ Celebrazioni per il sessantennale della Resistenza
§ Altre proposte esaminate dalle Camere
§ Celebrazioni nazionali istituite nella XIII legislatura
Questioni all’esame dell’Unione europea
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)
§ Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa
§ L’allargamento e i Balcani occidentali
§ La politica europea di vicinato
§ Prospettive finanziarie dell’UE 2007-2013
§ Il programma dell’Aja per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia
§ La proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno
§ Servizi sociali di interesse generale
Sin dall’entrata in vigore, nell’autunno del 2001, della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, il Parlamento e le forze politiche affrontarono il tema del riordino istituzionale sotto i due profili delle misure di legislazione ordinaria da adottare per dare attuazione alla riforma e degli ulteriori interventi sul testo costituzionale atti a correggere o integrare la riforma medesima.
Il primo dei due profili si è concretizzato, in termini legislativi, principalmente attraverso la c.d. legge “La Loggia”[1] (L. 131/2003), finalizzata all’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica al nuovo assetto costituzionale.
Le disposizioni della legge concernono principalmente:
§ l’esercizio della potestà legislativa regionale e normativa degli enti locali;
§ la partecipazione in materia comunitaria[2] e l’attività internazionale delle Regioni;
§ le procedure per il conferimento delle competenze amministrative ai diversi livelli di governo e il loro esercizio;
§ l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ex art. 120, co. 2°, Cost.;
§ l’adeguamento delle norme di procedura dei giudizi di legittimità costituzionale alle previsioni di cui ai nuovi artt. 123, co. 2°, e 127 Cost.;
§ l’istituzione, in luogo del Commissario di Governo, di un Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie;
§ l’applicazione della riforma alle Regioni a statuto speciale.
Tra le deleghe legislative recate dalla legge, quella per la ricognizione dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioniha trovato attuazione con riguardo a un limitato numero di materie; non è stata esercitata quella volta a individuare le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e adeguare al nuovo Titolo V la disciplina sugli enti locali.
Non ha sinora trovato piena attuazione legislativa l’art. 119 Cost., concernente l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni e delle autonomie locali.
Sul piano della procedura parlamentare, le due Camere hanno da subito affrontato l’esigenza di dare attuazione al nuovo disposto costituzionale verificando in itinere il fondamento costituzionale di tutti i progetti di legge al proprio esame. È invece rimasto inapplicato l’art. 11 della legge costituzionale di riforma, che avrebbe consentito l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle autonomie regionali e locali.
Va inoltre ricordato come le questioni interpretative aperte dalla nuova disciplina costituzionale abbiano determinato un notevole incremento del contenzioso Stato-Regioni; in conseguenza di ciò, le pronunce della Corte costituzionale in materia hanno assunto un ruolo determinante, contribuendo a sciogliere delicati nodi interpretativi e introducendo princìpi e criteri che hanno gradualmente indirizzato la lettura della riforma costituzionale da parte degli altri operatori istituzionali, ivi incluso il Parlamento nella sua attività legislativa.
Nel corso della legislatura è inoltre proseguito il processo di attuazione, da parte delle Regioni, della riforma costituzionale approvata con L.Cost. 1/1999[3], che ha richiesto l’approvazione dei nuovi statuti e delle leggi elettorali delle Regioni. La L. 165/2004[4] ha contribuito a tale processo individuando, come prevede l’art. 122 Cost., i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni sono chiamate a definire il proprio sistema di elezione.
Tra le misure legislative concernenti le autonomie locali, si ricordano:
§ le tre leggi istitutive delle nuove province di Monza e della Brianza (L. 146/2004), di Fermo (L. 147/2004) e di Barletta-Andria-Trani (L. 148/2004);
§ la nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali, oggetto di due successivi interventi, operati novellando le norme recate in materia dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000[5]).
Quanto al secondo profilo di intervento, quello di rango costituzionale, esso si è concretizzato, nella prima parte della legislatura, nell’esame parlamentare della proposta governativa comunemente denominata “devoluzione”, consistente nell’attribuzione alle Regioni della possibilità di “attivare” la loro competenza legislativa esclusiva nell’ambito di alcune materie (assistenza ed organizzazione sanitaria, profili organizzativi dell’istruzione, gestione degli istituti scolastici e definizione della parte dei programmi di interesse della Regione, nonché polizia locale).
Il progetto, fortemente dibattuto in ambito parlamentare e nel Paese, giungeva sino all’approvazione in prima deliberazione da parte di entrambe le Camere; ma l’evolversi degli orientamenti politici sul tema, anche all’interno delle forze di maggioranza, conduceva ad una pausa e quindi all’abbandono del testo approvato a favore dell’elaborazione di un’ipotesi di riforma di assai più ampio respiro. Quest’ultima ipotesi, maturata tra le forze politiche della maggioranza nell’estate del 2003 e tradottasi in un disegno di legge costituzionale governativo, pur comprendendo in sé la “devoluzione” assumeva la forma di un assai più ampio progetto di revisione dell’intera Parte II della Costituzione, concernente l’ordinamento della Repubblica.
Il disegno di legge costituzionale, presentato al Senato il 17 ottobre 2003, veniva esaminato ed emendato da entrambe le Camere nel corso dei successivi dodici mesi. L’esame in seconda deliberazione, ex art. 138 Cost., si svolgeva nell’autunno del 2005. Sulla legge costituzionale (approvata a maggioranza assoluta ma inferiore ai due terzi dei componenti le Camere in seconda deliberazione), è stato richiesto il referendum popolare, ai sensi del citato art. 138 Cost.; la data del voto è stata fissata al 25-26 giugno 2006.
Il testo approvato dalle Camere consta di 57 articoli, e sostituisce o modifica la maggior parte degli articoli che compongono la Parte II della Costituzione.
In estrema sintesi, e per limitarsi agli aspetti innovativi di più immediata evidenza, se ne può dar conto come segue.
La composizione e le funzioni del Parlamento mutano in direzione del superamento dell’attuale “bicameralismo perfetto”. Il numero dei parlamentari si riduce (i senatori passano da 315 a 252 e i deputati da 630 a 500, oltre ai 18 eletti all’estero e a 3 deputati a vita nominati dal Capo dello Stato). Il Senato è rinominato “Senato federale della Repubblica” e diviene, nell’intento del legislatore costituzionale, l’organo di raccordo, a livello nazionale, tra i livelli rappresentativi regionali e quello statale. Al fine di garantire tale raccordo, i senatori sono eletti in ciascuna Regione contestualmente al rispettivo consiglio regionale (se questo si scioglie decadono anche i senatori eletti nella Regione). Partecipano ai lavori del Senato federale (senza diritto di voto) i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali.
Il procedimento legislativo muta anch’esso profondamente, introducendosi per la maggior parte delle materie una procedura a prevalenza monocamerale: La Camera esamina i progetti di legge nelle materie sulle quali lo Stato ha competenza legislativa esclusiva; il Senato federale quelli concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. L’altro ramo del Parlamento può proporre modifiche al progetto di legge, ma la decisione definitiva spetta alla Camera competente in via principale. Per alcune materie di particolare rilievo resta ferma la procedura bicamerale, ma in caso di disaccordo la stesura del testo può essere affidata a una commissione composta da 30 deputati e 30 senatori, ferma restando la votazione finale da parte di entrambe le Camere.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rinominato Primo ministro, nomina e revoca i ministri e gode di forti prerogative nei confronti della Camera dei deputati, della quale può chiedere lo scioglimento: non nei confronti del Senato federale, tuttavia, al quale non è più legato dal rapporto di fiducia. Il Primo ministro è nominato dal Presidente della Repubblica in base ai risultati elettorali della Camera. Il candidato premier, formalmente collegato alle candidature per l’elezione della Camera, è in tal modo indirettamente designato dagli elettori unitamente alla sua maggioranza.
Il rigido legame tra Primo ministro e maggioranza espressa dalle elezioni emerge da vari aspetti del testo. In particolare: non è più previsto il voto di fiducia iniziale sul Governo; la Camera può bensì votare la sfiducia al Governo, ma ciò comporta il suo scioglimento; essa può sostituire il Primo ministro ricorrendo a una mozione di “sfiducia costruttiva”, che può essere tuttavia presentata e approvata solo dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni. il Primo ministro è tenuto alle dimissioni non solo qualora una mozione di sfiducia sia approvata, ma anche quando la sua reiezione si debba al voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni.
Il testo introduce varie disposizioni a garanzia delle opposizioni parlamentari.
In correlazione ai poteri attribuiti al Primo ministro, si riducono quelli del Capo dello Stato, che peraltro esercita alcune nuove funzioni (ad es., nomina dei presidenti delle Autorità indipendenti, del presidente del CNEL e del vicepresidente del CSM). Mutano altresì i requisiti e le modalità di elezione, affidate a un nuovo organo, l’Assemblea della Repubblica, composto dai membri delle due Camere e da un’ampia rappresentanza regionale.
Quanto ai rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie locali, essi sono espressamente presidiati dai princìpi di “leale collaborazione” e di “sussidiarietà”. In quest’ottica, il testo costituzionale valorizza il sistema delle Conferenze Stato-autonomie.
A parte il recepimento della c.d. “devoluzione”, la riformulazione dell’art. 117 Cost. ridefinisce, a volte attraverso un ulteriore “ritaglio” di materie, l’assetto delle competenze legislative tra Stato e Regioni. Una particolare procedura affidata al Parlamento in seduta comune consente l’annullamento delle leggi regionali contrarie all’interesse nazionale.
Tra le numerose altre disposizioni incidenti sul Titolo V, si ricorda la possibilità attribuita agli enti locali di ricorrere alla Corte costituzionale avverso leggi, statali o regionali, lesive delle proprie competenze, in casi e modi da definire con legge costituzionale, e la disposizione transitoria che “alleggerisce” l’iter per la formazione, nei cinque anni dall’entrata in vigore della riforma, di nuove Regioni con almeno un milione di abitanti.
Tra le altre novità, le più rilevanti concernono la composizione della Corte costituzionale e del CSM, il riconoscimento costituzionale del ruolo delle Autorità indipendenti, il procedimento di revisione costituzionale (consentendosi in ogni caso il ricorso al referendum confermativo).
Due altre leggi costituzionali sono state approvate nel corso della legislatura:
§ la prima (L.Cost. 1/2002[6]) ha disposto la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, con ciò attribuendo l’elettorato attivo e passivo ai membri e discendenti di casa Savoia e determinando il venir meno del divieto di entrare e soggiornare nel territorio nazionale disposto per gli ex Re di Casa Savoia, le loro consorti e i loro discendenti maschi;
§ la seconda (L.Cost. 1/2003[7]) ha aggiunto un periodo all’art. 51, 1° co. Cost., che sancisce il pari diritto dei cittadini dell’uno e l’altro sesso nell’accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. Il nuovo periodo stabilisce che “a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
Tra le iniziative di revisione costituzionale che non hanno concluso il loro iter parlamentare si ricordano quelle incidenti sull’art. 9 Cost., con una disposizione esplicitamente rivolta alla tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, sull’art. 27 Cost., al fine di espungere dal testo costituzionale la residua possibilità di reintroduzione della pena di morte, e sull’art. 48 Cost., volte ad estendere il diritto di voto ai cittadini stranieri.
In materia elettorale, la legislatura si apre e si chiude con due importanti interventi normativi: la disciplina del voto degli italiani all’estero e la riforma del sistema elettorale per Camera e Senato.
Il primo (L. 459/2001[8]) ha dato attuazione alle due modifiche costituzionali che nella precedente legislatura avevano attribuito ai cittadini italiani residenti all’estero[9] il diritto di eleggere sei senatori e dodici deputati nell’ambito di una apposita circoscrizione Estero, consentendo l’esercizio del voto per corrispondenza e prevedendo l’attribuzione dei seggi alle liste secondo il metodo proporzionale.
Il secondo – inserito in forma emendativa in un testo unificato (A.C. 2620 e abb.) all’esame della I Commissione della Camera, che recava in origine limitate modifiche al sistema vigente – è l’attuale L. 270/2005[10] che, novellando in più parti i testi unici per l’elezione di Camera e Senato, ha introdotto un nuovo sistema elettorale.
In luogo del preesistente sistema misto a prevalenza maggioritaria il nuovo sistema è orientato in senso interamente proporzionale, con premio di maggioranza e articolate soglie di sbarramento per liste e coalizioni.
La legge prevede inoltre che le forze politiche possano collegarsi tra loro in coalizioni, presentino un programma e indichino il nome del loro capo o dell’(unico) capo della coalizione. Alla Camera, la coalizione di liste (o la lista non coalizzata) più votata che non abbia già conseguito almeno 340 seggi, gode di un premio di maggioranza tale da farle raggiungere tale numero di seggi. Al Senato, i seggi sono ripartiti e assegnati in ambito regionale, e le soglie di sbarramento e il premio alla coalizione o lista più votata sono definiti Regione per Regione. Sia alla Camera sia al Senato, l’elettore esprime un solo voto per la lista di candidati prescelta; non è prevista l’espressione di preferenze.
Tra le altre, numerose, misure adottate in materia elettorale, si ricordano:
§ le due leggi che hanno modificato la disciplina dell’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia: la L. 78/2004[11] che ha recepito le novità introdotte dalla decisione 2002/772/CE e tra queste l’incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo e quella di deputato o di senatore, e la L. 90/2004[12] che, tra le varie disposizioni, ha disposto l’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e ha stabilito che nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti in lista;
§ la L. 62/2002[13] che ha reintrodotto la possibilità di votare in due giorni, estendendo le operazioni di voto anche alla giornata del lunedì;
§ la L. 313/2003, che ha modificato la L. 28/2000 sulla c.d. “par condicio” introducendo una distinta disciplina per le emittenti radiotelevisive locali;
§ la L. 61/2004[14], che ha sostanzialmente depenalizzato alcuni reati collegati alle operazioni elettorali;
§ la L. 47/2005, che mira a dare una soluzione alla questione, sorta dopo le elezioni politiche del 2001, della mancata assegnazione di alcuni seggi nella quota proporzionale a causa dell’insufficienza di candidature;
§ alcune disposizioni contenute nel D.L. 273/2005[15] e nel citato D.L. 1/2006, che hanno inciso sulla disciplina dei rimborsi per spese elettorali anche modificandone i limiti, e in materia di finanziamento dei partiti politici.
Con l’approvazione della L. 140/2003[16] trova un esito legislativo la questione concernente l’attuazione dell’art. 68 Cost. in materia di immunità parlamentare che aveva impegnato il Parlamento nelle precedenti legislature. La legge reca una normativa organica in materia, volta a regolare gli aspetti sostanziali e procedurali connessi all’applicazione dei princìpi sanciti dall’art. 68 Cost. nel testo modificato dalla L.Cost. 3/1993.
L’art. 1 della legge, introdotto nel corso dell’esame al Senato, escludeva le cinque più alte cariche dello Stato (il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Corte costituzionale) dalla sottoposizione a processo penale per qualsiasi reato, anche relativo a fatti antecedenti l’assunzione delle cariche, fino alla cessazione delle medesime. Successivamente, la sent. 24/2004 della Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale del menzionato art. 1 per violazione degli artt. 3 e 24 Cost..
La questione dei conflitti di interessi per i titolari di cariche di governo ai quali facciano capo, al contempo, attività economiche di rilevante portata, già affrontata nelle precedenti due legislature, ha trovato una definizione legislativa nella XIV legislatura, con la L. 215/2004[17].
In sintesi, la legge:
§ reca una disciplina delle incompatibilità, elencando le cariche, gli uffici e le attività la cui titolarità o il cui esercizio risulta incompatibile con la titolarità di cariche di Governo;
§ definisce il conflitto di interessi come la situazione che si determina quando il titolare di cariche di Governo partecipa all’adozione di un atto o omette un atto dovutotrovandosi in una situazione di incompatibilità, o se l’atto o l’omissione presentano un’“incidenza specifica e preferenziale” sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, con danno per l’interesse pubblico;
§ ribadisce la validità delle norme generali poste a tutela della concorrenza, le cui violazioni sono sanzionate anche quando compiute dall’impresa facente capo al titolare di cariche di Governo avvalendosi di atti posti in essere da questo;
§ pone in capo a chi assume la titolarità di cariche di Governo specifici obblighi di comunicazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato o all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e definisce le funzioni di controllo e vigilanza attribuite alle due Autorità. Queste riferiscono in merito, ogni sei mesi, al Parlamento, e lo informano degli accertamenti effettuati e delle eventuali sanzioni irrogate.
Nell’ambito del dibattito sul ricorso agli strumenti di clemenza previsti dall’ordinamento (grazia, amnistia e indulto) che ha interessato le forze politiche nel corso della legislatura, merita qui ricordare – oltre al tentativo di modifica dell’art. 79 Cost. – la proposta di legge A.C. 4237, presentata dall’on. Boato e sottoscritta da deputati appartenenti a quasi tutte le forze politiche, la quale ha mirato a ridefinire con legge ordinaria la procedura di concessione della grazia sciogliendo il nodo interpretativo concernente i rispettivi poteri del Capo dello Stato e del ministro della giustizia (successivamente risolto da una recentissima pronunzia della Corte costituzionale), nel senso di affidare esplicitamente al solo Presidente della Repubblica il potere di iniziativa e di decisione in materia. La proposta di legge ha avuto un iter travagliato, che si è concluso con il suo rigetto da parte dell’Assemblea della Camera.
È giunta infine ad approvazione, nella prima parte della legislatura, la L. 44/2002[18], che ha ridefinito la composizione (riducendone il numero) e modificato il sistema elettorale per i membri togati del CSM.
La condizione giuridica dello straniero è stata oggetto, nella XIV legislatura, di importanti modifiche ad opera della L. 189/2002[19], la c.d. “legge Bossi-Fini”, che ha modificato in più punti il testo unico vigente in materia (D.Lgs. 286/1998[20]).
La principale finalità perseguita dalla riforma è quella di permettere la duratura permanenza sul territorio nazionale dello straniero soltanto in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa. A tale scopo, essa condiziona il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato alla sottoscrizione di un contratto di soggiorno – previamente stipulato conun datore di lavoro in Italia presso lo sportello unico per l’immigrazione – il quale deve contenere la garanzia, da parte del datore di lavoro, della disponibilità di un’adeguata sistemazione alloggiativa per il dipendente e l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il suo rientro nel Paese di provenienza.
Forma altresì oggetto di attenzione la programmazione di attività di formazione professionale e di istruzione da svolgersi nei Paesi di origine.
Al fine di contrastare le immigrazioni clandestine e i relativi traffici, la riforma inasprisce l’apparato delle sanzioni penali, generalizza il ricorso all’espulsione mediante accompagnamento coatto alla frontiera e ne modifica vari aspetti procedurali, inasprendo tra l’altro le pene per lo straniero espulso che rientri illegalmente nel territorio dello Stato.
La disciplina in materia di espulsioni è stata in seguito modificata dal D.L. 241/2004[21] anche a seguito di due sentenze della Corte costituzionale (222 e 223/2004). L’art. 3 del D.L. 144/2005[22] ha successivamente introdotto la nuova fattispecie di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo, sottoposta in parte ad un regime diverso dalle altre forme di espulsione.
Tra le altre misure introdotte dalla “Bossi-Fini” si può ricordare l’istituzione di un Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio dell’attuazione delle norme contenute nel testo unico; l’introduzione di alcune limitazioni alla disciplina dei ricongiungimenti familiari; la regolarizzazione dei cittadini stranieri in posizione irregolare che svolgono le mansioni di collaboratori domestici e di prestatori di assistenza familiare. Con un provvedimento di poco posteriore, il D.L. 195/2002[23], la possibilità di legalizzazione è stata estesa anche agli altri lavoratori. In base ai due provvedimenti sono stati regolarizzati nel 2003 oltre 630.000 lavoratori stranieri.
La riforma è diventata pienamente operativa con l’adozione, tra il 2003 e la fine del 2004, dei previsti regolamenti attuativi.
La L. 189/2002 è intervenuta anche in materia di diritto di asilo, con specifiche misure principalmente volte ad evitare che l’asilo sia impropriamente utilizzato per aggirare le disposizioni sull’immigrazione. Una proposta di riforma organica dell’intera disciplina dell’asilo è stata anch’essa affrontata e discussa in ambito parlamentare (AA.C. 1238 e abb., esaminate dalla I Commissione della Camera), senza però pervenire all’approvazione di un testo definitivo.
Oltre alle già menzionate proposte di revisione costituzionale in materia di voto degli stranieri, va ricordato l’inizio della discussione parlamentare circa la riforma dell’accesso alla cittadinanza, inteso quale strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento (AA.C. 204 e abb.-A).
La questione del principio della parità tra i sessi è stata in primo luogo affrontata con riguardo al tema della promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive, attraverso la già detta modifica dell’art. 51, primo comma, della Costituzione e le disposizioni, anch’esse già ricordate, relative alla presenza di entrambi i sessi nelle liste di candidati per le elezioni del Parlamento europeo.
Nell’ultima parte della legislatura, il Governo ha trasmesso alle Camere per il prescritto parere lo schema di Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, in attuazione della delega per il riassetto normativo del settore da ultimo contenuta nell’art. 6 della L. 246/2005.
In recepimento della disciplina comunitaria in materia di tutela contro ogni forma di discriminazione, sono stati adottati due decreti legislativi (D.Lgs. 215 e 216/2003) recanti disposizioni volte a garantire la non discriminazione; il primo in generale, il secondo in materia di lavoro; e più di recente, il D.Lgs. 145/2005 in materia di parità tra uomini e donne nel campo del lavoro e della formazione e promozione professionali.
Va infine ricordata la riforma complessiva della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna operante presso il Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio, effettuata dal D.Lgs. 226/2003.
Di poco preceduto dal D.P.C.M. 453/2001[24], recante il regolamento generale di disciplina per gli obiettori di coscienza, nella prima parte della legislatura è intervenuto il D.Lgs. 77/2002[25] che, dando attuazionealla delega recata dalla L. 64/2001, ha disciplinato nei suoi vari aspetti il Servizio civile nazionale.
Correlativamente, l’art. 3 della L. 3/2003[26] sopprimeva l’Agenzia per il servizio civile (prevista dall’art. 10, co.7-9, del D.Lgs. 303/1999[27], ma di fatto mai istituita), con ciò confermando il mantenimento dei compiti di organizzazione, attuazione e svolgimento del Servizio civile in capo all’Ufficio nazionale per il servizio civile presso la Presidenza del Consiglio. I D.P.R. 31 luglio 2003 e 12 dicembre 2003 provvedevano in seguito alla riorganizzazione di tale ufficio.
Il complesso delle norme recate dal D.Lgs. 77/2002 era destinato ad entrare in vigore dal 1° giugno 2004, ma il termine è stato prorogato, da ultimo, al 1° gennaio 2006 dal D.L. 266/2004[28]. Nel frattempo, l’art. 12 del D.L. 115/2005[29], nel disporre la cessazione anticipata del servizio militare di leva, disponeva analogamente che anche il personale che svolge servizio civile sostitutivo (ex art. 1, co. 104, della L. 662/1996) potesse presentare domanda per cessare anticipatamente dal servizio di leva a decorrere dal 1º luglio 2005.
Fra il 2002 e il 2005 la Camera dei deputati ha discusso, senza ultimarne l’esame, un disegno di legge governativo e due progetti di iniziativa parlamentare recanti norme in materia di libertà religiosa. Il testo (A.C. 2531 e abb.) riproponeva, con alcune modifiche, quello di un progetto di legge del precedente Governo non pervenuto ad approvazione definitiva nella XIII legislatura. Superando la dizione di “culti ammessi nello Stato”, rappresentativa della concezione pre-costituzionale fatta propria dalla L. 1159/1929, il progetto di riforma dava attuazione ai princìpi costituzionali in materia, dettando le norme generali a tutela della libertà di coscienza e di religione, definendo la posizione giuridica delle confessioni e associazioni religiose e dotando di una base legislativa la materia della stipulazione delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose, finora disciplinata soltanto dalla prassi.
Tra gli altri progetti di legge concernenti i diritti e le libertà fondamentali, che non hanno concluso il loro iter nel corso della XIV legislatura, si ricordano:
§ il testo unificato di tre proposte di legge (anche di iniziativa di esponenti dell’opposizione) istitutive di un’autorità Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (A.C. 411 e abb.-A);
§ il testo unificato di cinque progetti di legge (uno governativo e quattro di iniziativa parlamentare) recanti l’autorizzazione alla ratifica e varie norme di esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992.
La XIV legislatura si apre con l’emanazione del D.L. 217/2001[30], il quale, intervenendo sulla recente riforma dell’assetto dei Ministeri attuativa della “legge Bassanini 1”[31] (ci si riferisce in particolare ai D.Lgs. 300/1999 e 303/1999[32]), ricostituisce il Ministero delle comunicazioni e il Ministero della salute (già “della sanità”), in precedenza accorpati, rispettivamente, nel Ministero delle attività produttive e nel Ministero del lavoro, della sanità e delle politiche sociali.
La successiva L. 137/2002[33] riapre, nella sostanza, alcune fra le deleghe recate dalla L. 59/1997 consentendo l’adozione di interventi correttivi e integrativi in materia di organizzazione ed articolazione delle competenze dei ministeri e della Presidenza del Consiglio. Sulla base della L. 137/2002 è stato adottato il D.Lgs. 287/2002[34], che apporta modifiche alla struttura organizzativa dei ministeri, offrendo a ciascun ministero l’alternativa, quali strutture di primo livello, tra i dipartimenti e le direzioni generali (in presenza di queste ultime può essere istituito l’ufficio del Segretario generale). Sono stati inoltre adottati decreti legislativi “correttivi” del D.Lgs. 300/1999 relativi alle seguenti amministrazioni: ambiente, attività produttive, beni culturali, comunicazioni, economia, infrastrutture, interno e lavoro.
Lo svolgersi della legislatura è stato poi scandito dall’adozione dei provvedimenti di rango secondario attuativi del riordino: i regolamenti di organizzazione dei ministeri e i regolamenti che disciplinano gli uffici di diretta collaborazione dei ministri.
Nella fase iniziale della XIV legislatura il Ministro per la funzione pubblica pro tempore, Franco Frattini, aveva prospettato[35] l’elaborazione di un testo organico di riforma del sistema delle autorità amministrative indipendenti che individuasse alcuni “princìpi di regolazione comune”. Benché tuttavia il dibattito politico sulla questione sia più volte emerso nel corso della legislatura, un disegno di legge di riforma non è mai giunto alla discussione delle Camere. Modifiche riguardo al ruolo ed alle funzioni di singole autorità indipendenti sono state comunque previste nell’ambito di interventi di riforma di singoli settori, mentre l’art. 1, co. 65 ss., della legge finanziaria 2006[36] ha da ultimo apportato modifiche al sistema di finanziamento di alcune autorità amministrative, prevedendo che esso vada in parte a carico del mercato di competenza.
La L. 15/2005[37] e, successivamente, l’art. 3 del D.L. 35/2005[38] hanno apportato rilevanti modificazioni alla disciplina generale dell’attività amministrativa, oggi regolata principalmente dalla L. 241/1990[39].
Fra i tratti essenziali della L. 15/2005 – che ha ripreso in parte le linee di una riforma avviata dalla maggioranza pro tempore nel corso della precedente legislatura – si ricordano il riconoscimento della possibilità per le pubbliche amministrazioni di utilizzare gli strumenti di diritto privato anche nel perseguimento dei propri fini istituzionali; l’obbligo di comunicazione al cittadino dei motivi che ostino all’accoglimento della sua istanza; la compressione dell’area delle invalidità giuridiche degli atti amministrativi mediante l’individuazione di vizi a carattere meramente formale che non comportano la loro caducazione; l’adeguamento della disciplina sulla conferenza di servizi al nuovo assetto costituzionale delle autonomie; la ridefinizione, per alcuni aspetti, delle norme sull’accesso ai documenti amministrativi.
L’art. 3, co. 1, del D.L. 35/2005 (c.d. “decreto-legge sulla competitività”) ha nuovamente novellato la L. 241/1990, ampliando l’ambito di applicabilità della denuncia di inizio attività (rinominata dichiarazione di inizio attività) e la disciplina concernente la conclusione del procedimento amministrativo, il silenzio-assenso, l’autocertificazione, la disciplina sanzionatoria, la giurisdizione in materia di accesso ai documenti amministrativi.
Il tema della “società dell’informazione” ha caratterizzato in misura rilevante le politiche legislative nel corso della XIV legislatura.
Sul piano organizzativo, alla nomina di un ministro senza portafoglio per l’innovazione e le tecnologie ha fatto riscontro la creazione di un apposito Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’istituzione di un Comitato dei ministri per la Società dell’informazione e la trasformazione della preesistente Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (AIPA) nel Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA). Gli obiettivi generali in materia sono stati definiti con le Linee guida adottate dal Governo.
Varie disposizioni, aventi prevalentemente natura finanziaria, destinate a sostenere il processo di sviluppo della Società dell’informazione nella pubblica amministrazione e nel Paese, si sono susseguite nelle diverse leggi finanziarie. Altre hanno avuto finalità organizzative ed ordinamentali: tra queste si ricordano i regolamenti concernenti la diffusione della carta nazionale dei servizi (D.P.R. 117/2004[40]) la trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata[41] e l’Indice nazionale delle anagrafi[42], struttura di particolare importanza anche ai fini della realizzazione del progetto della carta d’identità elettronica.
Ma l’intervento legislativo di maggiore ampiezza si è concretizzato nell’adozione del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005[43]). Il Codice ha operato un riassetto sistematico delle disposizioni in materia di attività digitale delle pubbliche amministrazioni, con l’intento di offrire un quadro legislativo adeguato a promuovere e disciplinare la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non solo nelle pubbliche amministrazioni, ma anche tra cittadini e imprese.
Tra i princìpi generali fissati dal Codice, vanno ricordati il diritto dei cittadini e delle imprese a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni centrali, e il principio secondo cui le pubbliche amministrazioni gestiscono di norma i procedimenti amministrativi utilizzando tecnologie informatiche.
Le due leggi di semplificazione adottate, nel corso della XIV legislatura, in attuazione dell’art. 20 della citata L. 59/1997, pur ponendosi per vari aspetti nel solco del processo di semplificazione e riassetto normativo avviato nella precedente legislatura, per altri profili determinano un nuovo orientamento di tale processo.
L’art. 20 della L. 59/1997 aveva introdotto la legge annuale di semplificazione quale strumento periodico di razionalizzazione dei procedimenti amministrativi. La legge di semplificazione per il 2001 (L. 229/2003) ha, all’art. 1, interamente riscritto l’art. 20, e con ciò ha innovato le metodologie di razionalizzazione normativa sino allora perseguite, spostandone l’asse dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi (attraverso la delegificazione delle norme di riferimento), al riassetto normativo ed alla codificazione.
La progressiva codificazione delle materie oggetto di riassetto, da operare mediante decreti legislativi e regolamenti governativi, rappresenta il punto di arrivo dell’opera di riordino normativo, da effettuare secondo i princìpi e criteri generali indicati dalla L. 229/2003 e dalle successive leggi di semplificazione, alcuni tra i quali mirano a “liberalizzare” le attività economiche eliminando per quanto possibile gli interventi amministrativi autorizzatori, riducendo l’ambito delle funzioni amministrative, promuovendo interventi di autoregolazione etc..
La legge di semplificazione per il 2005 (L. 246/2005[44]), oltre ad integrare l’art. 20 della L. 59/1997 con ulteriori princìpi e criteri direttivi, porta a regime l’esperienza, avviata a titolo sperimentale nella XIII legislatura, dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) ed introduce il nuovo strumento della (successiva) verifica di impatto della regolamentazione (VIR) ed introduce una particolare procedura volta ad una drastica riduzione e semplificazione del corpus legislativo (c.d. “norma taglialeggi”), che prevede, al termine di un processo di ricognizione delle disposizioni legislative statali vigenti, l’abrogazione generalizzata delle disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, salvo quelle ritenute indispensabili dal Governo con propri decreti legislativi.
L’art. 1 del D.L. 4/2006[45] ha infine istituito un Comitato interministeriale di indirizzo per le politiche di semplificazione e di qualità della regolazione, che dovrebbe fare da “cabina di regia” per le attività delle diverse amministrazioni statali.
La dirigenza pubblica, già oggetto di rilevanti interventi legislativi nel corso delle due precedenti legislature, è stata interessata, nella prima parte della XIV legislatura, da un’ulteriore riforma di iniziativa del Governo, tradottasi nella L. 145/2002[46].
Al principale scopo di introdurre elementi di maggiore flessibilità, la nuova disciplina ha in primo luogo inciso sul regime degli incarichi di funzioni dirigenziali; ha inoltre disposto l’automatica cessazione degli incarichi di vertice – e dunque la necessità di confermarli o rinnovarli espressamente – decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo (un analogo meccanismo di revisione è stato introdotto per le nomine di competenza governativa in strutture esterne ai Ministeri). La legge ha inoltre soppresso il ruolo unico dei dirigenti prevedendo la costituzione di distinti ruoli presso ogni amministrazione. Sono state introdotte nuove norme in materia di responsabilità dirigenziale e di mobilità tra amministrazioni pubbliche e tra settore pubblico e privato.
Ulteriori disposizioni in materia di incarichi dirigenziali sono state introdotte dall’art. 14-sexies del D.L. 115/2005[47].
La L. 154/2005[48] ha inciso sul rapporto di impiego del personale dirigente e direttivo penitenziario, prevedendone l’inquadramento in una specifica carriera dirigenziale penitenziaria sottratta alla generale disciplina contrattuale del “comparto Ministeri”. La delega conferita in materia al Governo è stata esercitata con il D.Lgs. 63/2006[49]. È stato ricondotto nell’ambito della disciplina di diritto pubblico anche il rapporto di impiego del personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ad opera della L. 252/2004 e del D.Lgs. 217/2005.
Il D.Lgs. 381/2003[50] ha apportato alcune modifiche al modello organizzativo e funzionale della Scuola Superiore della pubblica amministrazione – la competenza sulla quale è ricondotta dal Dipartimento della Funzione pubblica alla Presidenza del Consiglio – con particolare riguardo al riassetto organizzativo degli organi di vertice.
Nel corso della XIV legislatura (così come nella precedente), numerosi interventi hanno in vario modo interessato le forze di polizia.
A inizio legislatura, il D.Lgs. 477/2001[51] ha apportato alcune modifiche alle riforme del 2000-2001 in materia di personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato.
Varie disposizioni, annualmente recate dalle leggi finanziarie, hanno previsto stanziamenti per le forze di polizia con finalità diverse, principalmente riconducibili all’armonizzazione o alla valorizzazione dei trattamenti economici di determinate categorie di personale, ovvero all’incremento degli organici – anche in deroga al generale blocco delle assunzioni – motivato da specifiche esigenze di sicurezza pubblica (attuazione della legislazione su immigrazione e asilo, contrasto del crimine organizzato e del terrorismo, sviluppo delle attività di controllo del territorio secondo modelli di polizia di prossimità: c.d. “poliziotto di quartiere”).
Vari decreti-legge hanno introdotto misure analoghe, finalizzate:
§ all’assunzione o al mantenimento in servizio di personale della Polizia di Stato per finalità anche in questo caso di sicurezza pubblica (D.L. 147/2003[52]; D.L. 45/2005[53]; D.L. 253/2003[54]; D.L. 272/2005[55]; D.L. 135/2006[56]);
§ a sanare sperequazioni relative al trattamento economico di categorie omogenee di personale appartenenti alle diverse Forze di polizia (D.L. 238/2004[57]; D.L. 45/2005);
§ all’ammodernamento e al potenziamento dei mezzi delle forze di polizia (D.L. 45/2005).
Con il D.Lgs. 193/2003[58] è stato introdotto il sistema dei parametri stipendiali (in luogo dei previgenti livelli stipendiali) per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate.
Ulteriori interventi hanno avuto prevalente finalità ordinamentale, incidendo ad es. sulle modalità di valutazione annuale dei dirigenti (D.L. 238/2004) o sui ruoli dirigenziali medici e tecnici della Polizia di Stato (D.L. 45/2005).
La L. 3/2003[59] ha previsto una delega al Governo (non esercitata) per la revisione delle norme in materia di sanzioni e di procedure disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza.
Non hanno invece concluso l’esame parlamentare le proposte di legge miranti un organico riordino dei ruoli (A.C. 3437 e abb.).
Il D.L. 83/2002[60] ha mirato a rafforzare le misure di protezione delle personalità ritenute a rischio, prevedendo l’istituzione nell’ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno di un apposito Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS).
Il più volte citato D.L. 45/2005 ha operato una revisione organizzativa del Dipartimento della pubblica sicurezza, finalizzata a un miglior coordinamento delle forze di polizia (con l’istituzione della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato).
Nel quadro delle misure legislative volte a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica di fronte alle minacce del terrorismo internazionale – misure il più delle volte a carattere penalistico o processuale, particolare rilievo assumono quelle, di varia natura, raccolte nel D.L. 144/2005[61], adottato dopo gli attentati di Londra del luglio 2005 e convertito in legge dalle due Camere in pochi giorni.
Tra le molte misure introdotte con il decreto-legge si possono ricordare:
§ l’introduzione di nuovi strumenti di indagine o l’ampliamento di quelli esistenti (ad es., l’estensione dell’ambito di applicabilità dei c.d. colloqui investigativi; la possibilità di autorizzare il SISMI e il SISDE ad effettuare intercettazioni; la costituzione di unità investigative interforze per le indagini di polizia giudiziaria su gravi delitti di terrorismo; le nuove norme sulla documentazione dei dati di traffico telefonico e telematico;
§ l’introduzione di misure concernenti i cittadini stranieri (come il “permesso di soggiorno a fini investigativi” o l’“espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo”);
§ la previsione o l’aggravamento degli strumenti di autorizzazione o vigilanza e controllo su determinate attività economiche (gli esercizi pubblici di telefonia e Internet; la protezione informatica delle infrastrutture critiche informatizzate di interesse nazionale; le attività di volo);
§ sono introdotte nuove fattispecie delittuose e ulteriori norme penali o processuali di vario genere (sull’identificazione dell’indagato; sui casi di arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza, sulle misure di prevenzione; sulla definizione delle “condotte con finalità di terrorismo” etc.;
§ sono introdotte misure di varia natura volte a ridurre gli “oneri amministrativi impropri” a carico della polizia giudiziaria.
Ulteriori misure sono state introdotte dal successivo D.L. 272/2005[62] (c.d. “decreto Olimpiadi”).
Vari interventi di diversa portata hanno inciso, nel corso della XIV legislatura, sul quadro legislativo concernente le provvidenze per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e per le vittime del dovere. Il più ampio è costituito dalla L. 206/2004[63], rivolta alle vittime del terrorismo, che ha, tra l’altro, innalzato l’entità massima sia della speciale elargizione sia dell’assegno vitalizio previsti in favore delle vittime o dei loro familiari, ed ha ridisciplinato o introdotto ex novo altri benefici, quali l’assistenza psicologica a carico dello Stato, il diritto al patrocinio legale gratuito, alcuni benefici pensionistici. Svariate altre disposizioni hanno riguardato specifiche categorie di soggetti (vittime di Nassiriya e di Istanbul: D.L. 337/2003[64]; vittime di Ustica: art. 1, co. 272, della legge finanziaria 2006; vittime del dovere: art. 1, co. 562-565, della stessa legge; vittime della strage di Kindu del 1961: L. 91/2006). Una delega per il riassetto delle disposizioni in materia è stata disposta dalla legge di semplificazione 2005.
Un’organica proposta governativa di riforma dei servizi di informazione e sicurezza è stata esaminata dalle Camere a partire dalla primavera del 2002 (A.S. 1513), ma non ha concluso il suo iter. Il testo ridefiniva attribuzioni e composizione degli organismi operanti nel settore; disciplinava il reclutamento di personale esterno; regolava l’acquisizione di informazioni presso le pubbliche amministrazioni e l’autorità giudiziaria; prevedeva una causa di giustificazione speciale per il personale dei Servizi che ponga in essere condotte costituenti reato autorizzate, a determinate condizioni, in quanto indispensabili per il raggiungimento delle finalità istituzionali; ridisegnava infine la materia del segreto di Stato.
Tra gli altri progetti di riforma che non hanno ultimato il loro iter parlamentare si ricordano:
§ il testo unificato (A.C. 4209 e abb.) recante una disciplina organica delle attività di sicurezza esperibili da soggetti privati (vigilanza privata, investigazioni private, ricerca e raccolta di informazioni, recupero stragiudiziale di crediti per conto terzi, trasporto e scorta valori, servizi di custodia e di sicurezza secondaria), attività complessivamente definite di “sicurezza sussidiaria”;
§ le numerose proposte di legge concernenti l’ordinamento della polizia locale (A.C. 2 e abb.), il cui esame ha impegnato a più riprese la I Commissione della Camera lungo l’intera legislatura.
Il D.L. 343/2001[65] è intervenuto sull’ordinamento della protezione civile, abolendo l’Agenzia di protezione civile (in capo alla quale i D.Lgs. 300/1999 e 303/1999 avevano accorpato le funzioni tecnico-operative in precedenza ripartite fra strutture della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’interno) e riassegnando al Dipartimento della protezione civile il coordinamento di tutte le attività relative al settore,ferme restando le competenze assegnate a Regioni ed enti locali dal D.Lgs. 112/1998. Il successivo D.L. 90/2005[66] ha completato il quadro normativo rafforzando la funzione di guida delle politiche di protezione civile assegnata al Presidente del Consiglio.
La L. 252/2004[67] e il successivo D.Lgs. 217/2005[68] hanno ridisegnato il rapporto di impiego del personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che passa dal regime privatistico ad un’autonoma disciplina di diritto pubblico. Il D.Lgs. 139/2006[69] ha in seguito provveduto al riassetto delle disposizioni relative alle funzioni e ai compiti del Corpo.
Una serie di puntuali misure, concernenti prevalentemente l’assegnazione di risorse e l’incremento delle dotazioni organiche, è stata infine disposta da alcune leggi finanziarie, al dichiarato fine di porre il Corpo in condizioni di far fronte non solo alle tradizionali funzioni assolte, ma anche ai nuovi compiti correlati agli attuali possibili rischi derivanti dall’uso di armi non convenzionali (nucleari, batteriologiche o chimiche) da parte del terrorismo internazionale.
L’ambito di competenza della I Commissione è particolarmente ampio e riguarda una pluralità di settori normativi.
La I Commissione, secondo quanto previsto dalla circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996, ha infatti competenza nelle seguenti materie: affari costituzionali; disciplina delle fonti del diritto e problemi della legislazione; affari della Presidenza del Consiglio, esclusa l'editoria; disciplina generale del procedimento amministrativo; organizzazione generale dello Stato, comprese l'istituzione, la riforma e la soppressione di Ministeri e di autorità amministrative indipendenti; disciplina delle funzioni della Corte dei conti; ordinamento, stato giuridico ed economico dei dirigenti pubblici e delle categorie equiparate; ordinamento regionale; ordinamento degli enti locali; disciplina generale degli enti pubblici; questioni relative alla cittadinanza; immigrazione; disciplina dei servizi di informazione e sicurezza; ordine pubblico e polizia di sicurezza; ordinamento, stato giuridico ed economico delle forze di polizia; affari del culto.
La delimitazione degli ambiti di competenza della I Commissione, nonostante la loro particolare ampiezza, è da ritenersi sufficientemente chiara e consolidata; ciò è confermato dal fatto che nel corso della XIV legislatura si è registrato un solo caso di conflitto di competenza su un provvedimento assegnato alla competenza primaria della I Commissione (Istituzione del garante per l’infanzia e l’adolescenza), sul quale è stata rivendicata la competenza di altra Commissione (XII); il conflitto si è risolto con la riassegnazione del provvedimento alle Commissioni riunite.
In soli quattro casi le Commissioni competenti in sede consultiva su progetti di legge assegnati alla I Commissione in sede referente hanno deliberato di chiedere al Presidente della Camera l’assegnazione del provvedimento ai sensi dell’articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, ai fini dell’espressione di un parere rinforzato.
La I Commissione non ha mai sollevato conflitti di competenza con riferimento a progetti di legge assegnati ad altre Commissioni.
Per quanto riguarda i cd. conflitti di competenza “negativi”, la Commissione ha sottoposto alla Presidenza della Camera (in occasione dell’esame di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge recante proroga di termini) la questione della opportunità dell’assegnazione alla Commissione medesima di provvedimenti plurisettoriali, che contengono prevalentemente disposizioni ricadenti sotto ambiti di competenza primaria di altre Commissioni. In tale occasione è stata, tuttavia, confermata la prassi secondo la quale i provvedimenti aventi un contenuto eterogeneo, e quindi non riconducibile alla competenza prevalente di una o due Commissioni permanenti, sono assegnati alla I Commissione, qualora rivestano carattere prevalentemente ordinamentale.
Con specifico riferimento alle competenze della Commissione in materia di ordine pubblico e sicurezza e di ordinamento, stato giuridico ed economico delle forze di polizia, in sede di Giunta per il Regolamento si è svolta una riflessione – non pervenuta a deliberazioni di carattere conclusivo - sulla opportunità di sottrarre tale ambito di competenza alla I Commissione al fine di attribuirlo ad una istituenda “Commissione Affari interni” (proposta di modificazione al Regolamento n. 2, di iniziativa dei deputati Violante ed altri) ovvero di ricondurlo alla competenza della IV Commissione, con conseguente modifica della denominazione di quest’ultima in quella di “Commissione difesa e sicurezza” (proposta di modificazione al Regolamento n. 3, di iniziativa dei deputati Ramponi ed altri).
Concorre a definire il quadro generale delle competenze della I Commissione, la specifica competenza consultiva ad essa assegnata dall’articolo 75 del Regolamento, con riferimento agli aspetti di legittimità costituzionale dei progetti di legge e sotto il profilo delle competenze normative e della legislazione generale dello Stato.
Tale competenza consultiva, con deliberazione assunta dalla Giunta per il Regolamento in data 16 ottobre 2001, in vista della entrata in vigore della legge costituzionale recante modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, è stata specificamente indirizzata alla verifica circa la sussistenza della competenza del legislatore statale in relazione al contenuto delle iniziative legislative all’esame sia delle Commissioni permanenti sia dell’Assemblea. A tale ultimo fine è stato previsto, in via sperimentale, che la I Commissione sia chiamata ad esprimere il parere di competenza anche sulle proposte emendative presentate in Assemblea, sotto il profilo delle competenze legislative di cui all’articolo 117 della Costituzione.
Rispetto al complesso delle attività svolte dalla Commissione affari costituzionali, anche nella XIV legislatura, come nelle precedenti, assumono una particolare rilevanza i dati relativi all’attività legislativa.
Nel corso della XIV legislatura la I Commissione ha, infatti, approvato 95 progetti di legge, di cui 85 in sede referente e dieci in sede legislativa. A tale dato è da aggiungere quello relativo ai 13 progetti di legge licenziati in sede referente congiuntamente con altre Commissioni. Di questi 108 provvedimenti 76 sono divenuti legge.
Con riferimento all’istruttoria legislativa, la I Commissione ha fatto frequentemente ricorso allo strumento dell’indagine conoscitiva, ai sensi dell’articolo 79, comma 5, del regolamento. Sulle dieci indagini conoscitive svolte dalla Commissione nel corso della legislatura, nove sono state deliberate nell’ambito dell’esame di progetti di legge.
Particolarmente numerose (103) sono state le audizioni informali svolte dalla Commissione con riferimento a provvedimenti sottoposti al suo esame.
Sempre ai fini di un più compiuto svolgimento dell’istruttoria legislativa, la Commissione ha richiesto il prescritto parere al Comitato per la legislazione, nei casi previsti dall’articolo 16-bis, commi 4 e 6-bis, del regolamento; a tale procedura si è fatto ricorso con riguardo a 12 provvedimenti, corrispondenti a circa il 23 per cento dei progetti di legge complessivamente sottoposti dalle Commissioni permanenti al vaglio del Comitato nel corso della XIV legislatura.
La Commissione ha anche fatto ricorso in quattro casi allo strumento della richiesta di dati e informazioni al Governo, anche con la predisposizione di apposite relazioni tecniche.
Quanto all’attività consultiva svolta dalla I Commissione, nel corso della XIV legislatura si è registrato un notevole incremento nel numero dei pareri espressi, pur a fronte di una diminuzione dei progetti di legge licenziati dalle Commissioni. Si è passati infatti dai 1.041 pareri resi nel corso della XIII legislatura ai 1.358 pareri della XIV legislatura.
Questo notevole incremento dell’attività consultiva è sostanzialmente riconducibile alla richiamata decisione della Giunta per il regolamento che ha attribuito alla I Commissione il compito di esprimere il proprio parere, sotto il profilo della ripartizione delle competenze legislative e amministrative tra lo Stato e le regioni, anche sugli emendamenti presentati in riferimento ai progetti di legge all’esame dell’Assemblea.
Cospicua, seppur numericamente più contenuta, è stata altresì l’attività svolta dalla I Commissione nelle altre sedi.
In particolare, con riferimento all’esame di schemi di atti normativi del Governo, la Commissione ha espresso dodici pareri su schemi di decreto legislativo (di cui cinque a Commissioni riunite) e 27 su schemi di regolamento. La Commissione ha inoltre espresso dieci pareri su atti del Governo aventi diversa natura e uno su una proposta di nomina.
In sede ispettiva la Commissione ha svolto 64 interrogazioni a risposta immediata nell’arco di 22 sedute.
Con riguardo invece a questioni di competenza della Commissione non immediatamente inerenti all’attività legislativa, sono state svolte nel corso della XIV legislatura 16 audizioni formali di Ministri o Sottosegretari ai sensi dell’articolo 143 del regolamento.
L’analisi dei dati statistici relativi all’attività svolta dalla Commissione affari costituzionali nel corso della XIV legislatura evidenzia come essa sia stata al tempo stesso connotata da una spiccata preponderanza dell’attività legislativa rispetto a quella di indirizzo e di controllo, e da una particolare rilevanza della funzione consultiva, presentando, pertanto, caratteristiche peculiari rispetto alle altre Commissioni permanenti.
Quanto all’attività legislativa, l’elevato numero dei provvedimenti licenziati è strettamente connesso alla titolarità di un ambito di competenze materiali particolarmente esteso e di accentuata rilevanza politico-istituzionale, che interessa trasversalmente diversi settori dell’ordinamento.
Con particolare riferimento al procedimento di revisione costituzionale, è da rilevare che, mentre nella precedente legislatura l’istituzione della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali aveva determinato una sorta di “sospensione temporanea” della competenza della I Commissione in materia, nel corso della XIV legislatura la I Commissione ha svolto ordinariamente le proprie funzioni referenti sui progetti di legge costituzionale.
In questo ambito, il provvedimento che ha maggiormente impegnato la Commissione è stato quello di riforma della parte seconda della Costituzione, al quale sono state dedicate complessivamente 27 sedute in sede referente, cui sono da aggiungere le sedute riservate allo svolgimento dell’indagine conoscitiva deliberata nell’ambito della relativa istruttoria legislativa, nel corso della quale sono state svolte 36 audizioni di docenti universitari in materie pubblicistiche.
La Commissione ha licenziato anche altri progetti di legge costituzionale aventi contenuto più limitato e relativi alla cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, relativa alle limitazioni poste a carico dei discendenti di Casa Savoia (legge costituzionale n. 1 del 2002), alla modifica dell’articolo 51 della Costituzione, in materia di pari opportunità tra donne e uomini ai fini dell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (legge costituzionale n. 1 del 2003), alla modifica dell’articolo 9 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente, e alla modifica dell’articolo 27, quarto comma, della Costituzione, sul divieto della pena di morte (questi ultimi due entrambi approvati dalla Camera, ma non conclusi dal Senato).
La Commissione ha altresì esaminato, senza tuttavia licenziare un testo per l’Assemblea, progetti di legge di modifica, rispettivamente, degli articoli 11 (in materia di partecipazione dell'Italia all'Unione europea), 48 (concernente l’esercizio di voto da parte di stranieri), 66 (in materia di verifica dei poteri) e 117 della Costituzione (recante la devoluzione di poteri legislativi alle regioni).
Per quanto riguarda, invece, l’attività legislativa ordinaria, la Commissione ha licenziato, in sede referente, 93 provvedimenti, di cui 34 disegni di legge di conversione di decreti-legge e quattro recanti delega legislativa al Governo. Nell’ambito dei provvedimenti di urgenza ex articolo 77 della Costituzione, 22 hanno recato disposizioni prevalentemente riconducibili ai diversi ambiti normativi di competenza della I Commissione, mentre in 12 casi si è trattato di provvedimenti aventi un contenuto dal carattere eterogeneo o comunque riferito alla proroga o al differimento di termini legislativi in scadenza.
I provvedimenti licenziati dalla Commissione hanno riguardato, nel loro complesso, l’intero ambito di competenze alla stessa afferenti.
Alla materia “affari costituzionali” sono riconducibili, oltre ai progetti di legge costituzionale, anche una serie di provvedimenti legislativi ordinari di particolare rilievo sotto il profilo politico-istituzionale. A tale ambito sono ascrivibili, infatti, i provvedimenti recanti disposizioni per l’esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero (legge 459/2001), sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura (legge 44/2002), per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione (legge 140/2003), in materia di risoluzione dei conflitti di interessi (legge 215/2004) e di riforma della disciplina per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (legge 270/2005). La materia elettorale è stata poi interessata da una serie di interventi di minore rilievo, che hanno riguardato specifici aspetti del procedimento elettorale. Alla stessa materia “affari costituzionali” è ascrivibile, infine, il provvedimento di attuazione dell’articolo 87 della Costituzione in materia di esercizio del potere di grazia, licenziato dalla Commissione e respinto dall’Assemblea.
Quanto, in particolare, al settore normativo “disciplina delle fonti del diritto e problemi della legislazione”, sono state approvate le due leggi di semplificazione per il 2001 (legge 229/2003) e per il 2005 (legge 246/2005), mentre con riguardo alla “disciplina generale del procedimento amministrativo, è stata modificata la normativa dettata in materia dalla legge n. 241 del 1990 (legge 15/2005).
La materia “organizzazione generale dello Stato” è stata invece interessata da più provvedimenti legislativi, tra i quali il più significativo è la legge delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri (legge 137/2002).
Con riferimento alla “disciplina dell’ordinamento e dello stato giuridico dei dirigenti”, oltre alla legge di riforma della dirigenza pubblica (legge 145/2002), è stata istituita la nuova carriera dirigenziale penitenziaria (legge 154/2005).
Con riferimento alla materia dell’”ordinamento regionale e degli enti locali”, i provvedimenti di maggior rilievo licenziati dalla Commissione sono stati quelli volti all’attuazione delle nuove disposizioni costituzionali sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei titolari di cariche elettive regionali (legge 165/2004) e all’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica al nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione (legge 131/2003).
Quanto alle questioni relative alla “cittadinanza”, nel corso della legislatura è stata approvata una nuova disciplina per l’acquisizione della cittadinanza da parte degli italiani residenti nelle Repubbliche di Croazia e Slovenia (legge 124/2006). In tale ambito la Commissione ha esaminato, senza pervenire alla conclusione del relativo iter, oltre alle già citate proposte di modifica dell’articolo 48 della Costituzione, anche progetti di legge ordinari volti a modificare la vigente disciplina in materia di acquisizione della cittadinanza.
In materia di “immigrazione”, l’intervento principale è stato rappresentato dall’approvazione della riforma della normativa in materia di immigrazione e di asilo (legge 189/2002). Tale riforma è stata accompagnata da una serie di interventi di carattere più limitato, attuati mediante il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza in cinque occasioni. In materia di disciplina del diritto di asilo, la Commissione ha altresì licenziato per l’Assemblea un testo unificato volto a definire una normativa organica, in attuazione dell’articolo 10 della Costituzione.
Per quanto riguarda la “disciplina dei servizi di informazione e di sicurezza”, la Commissione ha avviato l’esame in sede referente di un disegno di legge di riforma, all’uopo svolgendo un’indagine conoscitiva, senza tuttavia pervenire alla definizione di un testo per l’Assemblea.
Numerosi sono stati i provvedimenti in materia di “ordine pubblico e sicurezza” e di “ordinamento e stato giuridico e economico delle forze di polizia”. Gli interventi in questo ambito sono stati prevalentemente adottati per mezzo della decretazione d’urgenza, in sei occasioni, e sono stati esaminati in congiunta con altre Commissioni nei casi in cui hanno investito prevalentemente profili inerenti al diritto penale sostanziale e processuale (II Commissione) ovvero all’ordinamento e lo stato giuridico e economico delle forze armate (IV Commissione).
Per quanto riguarda, infine, la materia “affari di culto”, la Commissione ha concluso, in sede referente, l’esame di un disegno di legge governativo in materia di libertà religiosa, il cui iter non è stato poi esaurito dall’Assemblea.
L’attività della I Commissione è stata inoltre fortemente caratterizzata dalla sua missione di Commissione “filtro”, esplicata attraverso l’esercizio di una attività consultiva di tipo generale e orizzontale nei confronti delle altre Commissioni permanenti su tutti i progetti di legge da queste esaminati in sede referente o legislativa. Tale attività consultiva ha conosciuto, nell’arco della XIV legislatura, un considerevole rilievo sia sotto il profilo procedurale sia da un punto di vista meramente quantitativo.
Il rafforzamento del ruolo consultivo della I Commissione va soprattutto ricondotto alla sua specializzazione quale sede di verifica del rispetto del riparto delle competenze normative tra lo Stato e le regioni stabilito dalla Costituzione.
Per quanto riguarda l’attività conoscitiva svolta al di fuori dell’istruttoria legislativa, particolare rilievo ha assunto l’indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, effettuata congiuntamente alla I Commissione del Senato.
La Commissione ha inoltre proceduto a numerose audizioni formali di Ministri, sia sulle linee programmatiche dei rispettivi dicasteri, sia, con specifico riferimento al Ministro dell’interno, su questioni connesse all’ordine pubblico e alla sicurezza.
Quanto all'attività di cooperazione con organismi sovranazionali e internazionali, rappresentanti della Commissione hanno partecipato a diverse iniziative promosse, tra gli altri, dalla Commissione per le libertà dei cittadini, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, nella prospettiva di porre le basi per uno scambio di informazioni permanente fra le omologhe Commissioni parlamentari degli Stati membri.
Componenti della Commissione hanno inoltre partecipato, con cadenza annuale, ai lavori dell’Assemblea plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Numerosi sono stati, infine, gli incontri della Commissione con delegazioni parlamentari estere in visita in Italia.
Il tema delle riforme istituzionali ha attraversato e caratterizzato l’intero corso della XIV legislatura.
Sin dall’indomani dello svolgimento del referendum sulla legge di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione (L.Cost. 3/2001[70]), e dalla conseguente entrata in vigore di questa nel novembre 2001, il dibattito politico si concentrò, da un lato, sulle misure da adottare per assicurare l’attuazione della riforma e risolvere alcuni nodi interpretativi (sul punto, v. capitolo Rapporti Stato-autonomie territoriali); dall’altro, sugli interventi di rango costituzionale atti a correggere o integrare le linee della riforma in senso “federalista”, ovvero ad inserirla in un più ampio disegno di revisione dell’ordinamento istituzionale.
La prima, rilevante iniziativa al riguardo si è concretizzata nella proposta di riforma all’epoca indicata, nel dibattito politico, con il termine “devoluzione” (o, in inglese, “devolution”).
Il disegno di legge governativo presentato al Senato il 26 febbraio 2002 (A.S. 1187) inseriva un nuovo quinto comma nell’articolo 117 della Costituzione, ai sensi del quale le Regioni “attivano la competenza legislativa esclusiva” nelle materie sanitaria (con riguardo all’assistenza e all’organizzazione), scolastica (quanto ai profili organizzativi, di gestione degli istituti e di definizione della parte dei programmi di interesse della Regione) e della polizia locale.
Nei mesi successivi il progetto di riforma formava oggetto di accesa e approfondita discussione presso i due rami del Parlamento e nel Paese, giungendo sino ad essere approvato in prima deliberazione, con poche modifiche, sia dal Senato (5 dicembre 2002) sia dalla Camera (14 aprile 2003).
L’iter del progetto di riforma, tuttavia, non proseguiva ulteriormente, poiché gli orientamenti politici sul tema, anche all’interno delle forze di maggioranza, erano nel frattempo evoluti in direzione di riforme di più ampio respiro.
Interveniva in quel periodo un’ulteriore ipotesi di revisione costituzionale, elaborata in ambito governativo e quasi interamente concentrata su una integrale riscrittura dell’art. 117 Cost., al dichiarato fine di correggere alcuni aspetti problematici della riforma varata alla fine della precedente legislatura.
Il nuovo art. 117 proposto ridisegnava il sistema delle competenze legislative rivedendo la collocazione di varie materie nell’ambito della potestà esclusiva dello Stato o della Regione (tra le materie di competenza esclusiva regionale erano ad ogni modo incluse quelle elencate nel precedente progetto di “devoluzione”) e contestualmente sopprimendo la competenza legislativa “concorrente”, ritenuta responsabile di avere innescato un pesante contenzioso costituzionale.
La potestà esclusiva delle Regioni era comunque subordinata al principio dell’“interesse nazionale”, esplicitamente reintrodotto nel testo costituzionale.
Lo schema del disegno di legge costituzionale, approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione dell’11 aprile 2003, non è stato tuttavia mai trasmesso alle Camere, risultando ben presto superato da un terzo, ben più ampio e definitivo progetto di revisione dell’intera Parte II della Costituzione, concernente l’ordinamento della Repubblica.
Tale progetto, che ingloba la “devolution” e rinuncia ad alcuni degli aspetti più innovativi del secondo testo sopra indicato (come la scomparsa della competenza concorrente), va per altro verso ben al di là della ridefinizione dei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali, affrontando temi quali il bicameralismo, la forma di Governo, le attribuzioni del Capo dello Stato, la composizione della Corte costituzionale etc..
Il Governo ha presentato al Senato il relativo disegno di legge costituzionale il 17 ottobre 2003 (A.S. 2544). Sia il Senato sia, successivamente, la Camera (A.C. 4862) hanno apportato numerose modifiche, approvandolo quindi nel medesimo testo in prima deliberazione, rispettivamente, il 25 marzo e il 15 ottobre 2004, ed in seconda deliberazione, ai sensi dell’art. 138 Cost., il 20 ottobre (Camera) ed il 16 novembre 2005 (Senato).
La legge costituzionale, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005, non è tuttavia entrata in vigore, essendo stata richiesta la sottoposizione a referendum popolare, ai sensi del citato art. 138 Cost., che si svolgerà i prossimi 25 e 26 giugno 2006[71].
Nella formulazione finale risultante dall’esame parlamentare, la legge costituzionale risulta composta da 57 articoli (a fronte dei 35 dell’originario progetto governativo), che sostituiscono o modificano 50 degli 80 articoli che compongono la Parte II della Costituzione, vi inseriscono 3 nuovi articoli e novellano altresì 4 articoli appartenenti ad altre leggi costituzionali.
Questi alcuni tra i principali elementi di novità introdotti dal progetto di revisione costituzionale (per approfondimenti, v. parte II, scheda Ordinamento della Repubblica – Il testo approvato dalle Camere).
Tra le principali linee direttrici del testo di riforma costituzionale figura in primo luogo la riforma del bicameralismo la quale, abbandonando il sistema del c.d. bicameralismo “perfetto”, introduce significative differenze tra le due Camere con riguardo a composizione e funzioni.
Quanto alla composizione, si prevede il ridimensionamento del numero dei parlamentari: i senatori passano da 315 a 252 e i deputati da 630 a 500 (oltre a 18 deputati eletti all’estero e a tre deputati a vita nominati dal Presidente della Repubblica).
La Camera, eletta per cinque anni[72], può essere sciolta anticipatamente su richiesta del Primo ministro (non così il Senato). Tale differenza appare correlata a quella che vede intercorrere il rapporto fiduciario solo con la Camera (v. infra).
Trasformazioni più profonde interessano il Senato, che muta la sua denominazione in “Senato federale della Repubblica”: in tale organo si intende realizzare il raccordo, a livello nazionale, tra le potestà normative delle autonomie territoriali e quelle dello Stato (v. infra). i senatori vengono eletti in ciascuna Regione contestualmente al rispettivo consiglio regionale (pertanto il Senato nel suo complesso non ha più una durata predefinita, ma è soggetto a rinnovi parziali). Se il consiglio regionale si scioglie decadono anche i senatori eletti in quella Regione. Il Senato federale non può essere sciolto anticipatamente.
Partecipano ai lavori del Senato federale, ma senza diritto di voto, rappresentanti delle Regioni e degli enti locali.
Il Senato federale è, per altro verso, integrato dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle province autonome in occasione dell’elezione di quattro giudici della Corte costituzionale.
I rapporti tra Senato federale ed autonomie territoriali sono definiti anche attraverso un apposito nuovo articolo (il 127-ter), dedicato al coordinamento interistituzionale da parte del Senato, ed emergono in varie altre disposizioni. In particolare si ricorda che il quorum di validità per le deliberazioni del Senato federale è modificato rispetto all’attuale, in quanto occorre che siano presenti i senatori espressi da almeno un terzo delle Regioni (per ulteriori differenze tra le due Camere, v. infra il paragrafo relativo ai rapporti Governo-Parlamento).
La riforma del bicameralismo ed il superamento dell’attuale “bicameralismo perfetto” – in virtù del quale ciascun progetto di legge deve essere approvato, in eguale testo, da entrambi i rami del Parlamento – si esprime anche in rilevanti modifiche del procedimento legislativo.
Essenzialmente, viene introdotto un criterio generale in base al quale il procedimento legislativo è, di norma e in prevalenza, “monocamerale”.
La Camera dei deputati esamina i progetti di legge nelle materie (espressamente elencate nella Costituzione) sulle quali lo Stato ha competenza legislativa esclusiva, mentre il Senato federale quelli concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie (anche queste indicate dalla Costituzione) di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. L’altro ramo del Parlamento può proporre modifiche al progetto di legge, ma la decisione definitiva spetta alla Camera competente in via principale.
Per alcune materie di particolare rilievo resta fermo il procedimento bicamerale, ma in caso di disaccordo l’elaborazione del testo può essere affidata dai Presidenti delle Camere a una commissione composta da 30 deputati e 30 senatori, ferma restando la votazione finale da parte di entrambe le Camere.
Per eventuali questioni di competenza che possano sorgere tra le due Camere, si prevede che la soluzione sia rimessa ai rispettivi Presidenti, i quali, d’intesa tra loro, possono deferire la questione ad un Comitato paritetico: si precisa al riguardo che la decisione adottata “non è sindacabile in alcuna sede”.
Il potere del Presidente del Consiglio dei ministri, denominato “Primo ministro”, si accresce fortemente nei confronti sia dei ministri, che può nominare e revocare, sia della Camera, della quale può chiedere lo scioglimento: il relativo decreto presidenziale è adottato “su richiesta del Primo Ministro, che ne assume l’esclusiva responsabilità”[73]. Non così invece per il Senato federale, al quale, come accennato, non è più legato dal rapporto di fiducia[74].
Il Primo ministro è nominato dal Presidente della Repubblica in base ai risultati elettorali della Camera. Il candidato premier è infatti collegato ai candidati alla Camera, e viene in tal modo indirettamente designato dagli elettori unitamente alla sua maggioranza.
Non si prevede più, come attualmente, che ciascuna Camera si esprima con un voto di fiducia su ogni nuovo Governo; in luogo di ciò, il Primo ministro illustra il programma di legislatura e la composizione del Governo: il programma è sottoposto al voto della sola Camera dei deputati (gli effetti del voto non sono precisati).
La Camera può votare la sfiducia al Governo, ma ciò comporta il suo scioglimento. Essa può sostituire il Primo ministro ricorrendo a una mozione di “sfiducia costruttiva”, che può essere tuttavia presentata e approvata solo dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni.
Il rigido collegamento tra Primo ministro e maggioranza espressa dalle elezioni emerge anche dalla disposizione che obbliga il Primo ministro alle dimissioni non solo nel caso in cui la mozione di sfiducia sia approvata, ma anche quando la sua reiezione si debba al voto determinante di deputati non appartenenti a tale maggioranza.
È prevista e disciplinata sia la “questione di fiducia” sia la possibilità per il Governo di chiedere, alla Camera dei deputati, il “voto bloccato” (sugli articoli e finale) su un provvedimento nel testo da esso proposto o fatto proprio (qualora sia decorso il termine fissato per il relativo esame).
Si segnala infine l’introduzione di varie disposizioni a garanzia delle minoranze che, con specifico riguardo alla Camera dei deputati (in correlazione con le modifiche sulla forma di governo), possono configurarsi come una forma di “statuto dell’opposizione”. Peraltro, maggioranze qualificate per l’elezione dei Presidenti delle Camere e per l’adozione dei regolamenti parlamentari vengono introdotte in Costituzione per entrambi i rami del Parlamento.
In primo luogo, sono sostanzialmente modificate sia le modalità di elezione, sia le funzioni del Capo dello Stato.
All’elezione provvede, in luogo del Parlamento in seduta comune integrato da tre delegati per ciascuna Regione, un nuovo organo, denominato Assemblea della Repubblica e composto dai membri delle due Camere e da un’ampia rappresentanza delle autonomie regionali. La maggioranza qualificata richiesta per l’elezione è rafforzata e l’età minima per essere eletti si abbassa da cinquanta a quaranta anni.
Tra i poteri attribuiti al Capo dello Stato, alcuni vengono meno (ad es., nomina dei ministri; autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge governativi) o si affievoliscono (la nomina del Primo ministro è espressamente condizionata al risultato elettorale, ed è sostanzialmente trasferito al Primo ministro il potere di scioglimento della Camera); altri si aggiungono a quelli esistenti (ad es., nomina dei presidenti delle Autorità indipendenti, del presidente del CNEL e del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, etc.).
I princìpi di “leale collaborazione” e di “sussidiarietà” sono espressamente posti alla base dell’esercizio di tutte le funzioni attribuite agli enti locali, alle Regioni e allo Stato. In quest’ottica, sono espressamente menzionati in Costituzione la Conferenza Stato-Regioni ed il sistema delle Conferenze Stato-autonomie, quali strumenti per realizzare i principi richiamati e per promuovere accordi e intese.
È recepita nel testo, come si è detto, la così detta “devoluzione”, cioè l’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune materie (organizzazione sanitaria, polizia amministrativa locale e, per taluni aspetti, istruzione) in aggiunta a quella su tutte le materie non espressamente riservate allo Stato o alla competenza concorrente Stato-Regioni. Sono altresì ridefinite e “riallocate”, spesso a favore dello Stato, alcune tra le materie previste dal vigente art. 117 Cost..
È reintrodotto, e attribuito al Parlamento in seduta comune, il potere di annullare le leggi regionali contrarie all’interesse nazionale, ed è prevista una “clausola di salvaguardia” che consente allo Stato di sostituirsi, in casi particolari, a Regioni ed enti locali nell’attività legislativa o amministrativa.
A Roma, capitale della Repubblica, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia anche normativa, nelle materie di competenza regionale: queste ultime sono demandate allo statuto della Regione Lazio.
Gli enti locali potranno ricorrere alla Corte costituzionale avverso leggi, statali o regionali, lesive delle proprie competenze (come già ora possono fare le Regioni), nei casi e modi da definire con legge costituzionale.
Altre disposizioni riguardano alcuni profili della forma di governo
regionale, il procedimento per l’istituzione di Città metropolitane e il
procedimento di approvazione degli statuti
delle Regioni ad autonomia speciale
(da adottare, con legge costituzionale, previa
intesa con
Viene infine introdotto nel testo costituzionale il riconoscimento, nell’ambito del principio di sussidiarietà orizzontale, degli enti di autonomia funzionale, che devono essere favoriti “anche attraverso misure fiscali”; l’ordinamento generale di tali enti è rimesso a una legge dello Stato (di competenza della Camera).
Tra le altre novità introdotte, le più rilevanti concernono la composizione della Corte costituzionale e le modalità di elezione del CSM, il riconoscimento costituzionale del ruolo delle Autorità amministrative indipendenti[75], il procedimento di revisione costituzionale (risultando sempre possibile il ricorso al referendum, indipendentemente dall’ampiezza della maggioranza parlamentare che abbia approvato la legge in seconda deliberazione).
Con specifico riferimento alla composizione della Corte costituzionale, se è confermato il numero complessivo dei giudici (quindici), essi sono eletti non più dal Parlamento in seduta comune, ma separatamente dal Senato federale (integrato dai presidenti delle Giunte delle Regioni e delle province autonome) – cui spetta la nomina di quattro giudici – e dalla Camera – cui spetta la nomina di tre giudici. Il numero della componente di nomina parlamentare è dunque portato a sette, mentre viene ridotto il numero dei membri nominati dal Presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature (quattro ciascuno).
Il testo della legge di revisione costituzionale reca infine un’articolata disciplina transitoria, differenziata in relazione alle diverse parti della riforma. In particolare, solo una parte delle disposizioni introdotte sono immediatamente applicabili a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale, (tra le quali pressoché tutte quelle modificative del titolo V), mentre la maggior parte della restante disciplina troverà applicazione con riferimento alla prima legislatura successiva all’entrata in vigore della riforma.
Ancora successiva è l’applicazione della parte concernente la riduzione del numero dei deputati e dei senatori e la “contestualità piena” tra elezioni dei senatori e dei Consigli regionali (a partire dalla legislatura che interverrà dopo il quinto anno successivo alla prima formazione della Camera e del Senato federale secondo il nuovo ordinamento).
Tra gli interventi modificativi della Carta costituzionale che hanno impegnato il Parlamento nella XIV legislatura, quello di gran lunga più ampio e profondo ha interessato (e in gran parte riscritto) la Parte II della Costituzione, concernente l’ordinamento della Repubblica (su di esso, v. capitolo Riforma dell’ordinamento della Repubblica).
Non sono tuttavia mancate le iniziative legislative volte a modificare, con riguardo ad aspetti puntuali, altre parti della Carta costituzionale.
Tali iniziative hanno condotto, in due casi, all’approvazione definitiva e all’entrata in vigore di leggi costituzionali o di revisione costituzionale; in altri casi, l’iter parlamentare, pur se giunto a volte ad una fase avanzata, non si è concluso prima dello scioglimento delle Camere.
Nel corso della XIV legislatura sono entrate in vigore due leggi costituzionali:
§ la L.Cost. 1/2002[76] che, disponendo la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, ha attribuito l’elettorato attivo e passivo ai membri e ai discendenti di casa Savoia e ha determinato il venir meno del divieto di entrare e soggiornare nel territorio nazionale disposto per gli ex Re di Casa Savoia, le loro consorti e i loro discendenti maschi (v. parte II, scheda Leggi costituzionali – Casa Savoia (XIII disp. trans. fin.));
§ la L.Cost. 1/2003[77], che ha aggiunto un periodo all’articolo 51, primo comma, della Costituzione, ai sensi del quale “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Il nuovo periodo è volto a stabilire che “a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” (v. parte II, scheda Pari opportunità – La modifica dell’art. 51 Cost.).
È da segnalare che, tra i progetti di revisione costituzionale esaminati nel corso della legislatura, alcuni incidono sulla parte del testo costituzionale dedicato ai Princìpi fondamentali (artt. 1-12). Si tratta dei seguenti:
§ testo unificato degli A.S. 553 ed abb., approvato in prima deliberazione dal Senato, modificato dalla Camera (A.C. 4307) ed in stato di relazione per l’Assemblea al Senato al momento dello scioglimento delle Camere: Il progetto di legge costituzionale integra l’art. 9 Cost. – il cui secondo comma tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione – con un nuovo terzo comma, ai sensi del quale la Repubblica “tutela l’ambiente e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, “protegge le biodiversità e promuove il rispetto degli animali” (v. parte II, scheda Iniziative costituzionali – Tutela dell’ambiente (art. 9));
§ testo unificato degli A.C. 750 ed abb., approvato in prima deliberazione dalla Camera e licenziato per l’Assemblea, senza modifiche, dalla Commissione affari costituzionali del Senato (A.S. 1286): allo scopo di costituzionalizzare un principio già presente nell’ordinamento (art. 1, L. 482/1999), il progetto di riforma aggiunge due commi all’art. 12 della Costituzione, nel primo dei quali si stabilisce che “la lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica”. Il secondo comma introdotto precisa che è compito della Repubblica valorizzare gli idiomi locali (v. parte II, scheda Iniziative costituzionali – Italiano lingua ufficiale (art. 12)).
§ A.C. 2218 (on. Cè ed altri), che modifica l’art. 11 Cost. al fine di esplicitare i princìpi e le condizioni della partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea[78], e di prevedere che ulteriori “limitazioni di sovranità” siano approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera e siano sottoposte a referendum popolare. La proposta di legge costituzionale, esaminata dalla 1ª Commissione della Camera in sede referente nella primavera del 2002, è stata ritirata dai presentatori il 6 novembre 2003.
Merita inoltre menzione il testo unificato delle proposte di legge A.C. 1436 ed abb., approvato dalla Camera in prima deliberazione ed esaminato dalla 1ª Commissione del Senato (A.S. 1472), nel quale si prevedeva di espungere dal testo costituzionale la pur ipotetica possibilità di reintroduzione della pena di morte nei casi previsti dalle leggi militari di guerra, oggi contemplata dal quarto comma dell’art. 27 Cost. (v. parte II, scheda Iniziative costituzionali – Pena di morte (art. 27)).
L’intendimento dichiarato dei proponenti era, per l’appunto, quello di adeguare la Costituzione all’abolizione totale della pena di morte già disposta dalla L. 589/1994, legge che ha soppresso ogni riferimento a tale pena nel codice penale militare di guerra.
Vanno altresì ricordate le seguenti ulteriori proposte di revisione costituzionale, in relazione alle quali l’esame in prima deliberazione, avviato presso l’una o l’altra Camera, non è giunto a conclusione:
§ A.C. 2750 (on. Boato ed altri), volta a modificare il primo comma dell’art. 79 Cost. riducendo il quorum richiesto per l’approvazione delle leggi che concedono l’amnistia o l’indulto. Nel testo vigente, l’art. 79 richiede la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, nel voto su ogni articolo e nella votazione finale. L’A.C. 2750 richiede la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nel voto finale, senza fissare quorum per l’approvazione di ciascun articolo. Il 18 novembre 2002 l’Assemblea della Camera svolse la discussione generale sul testo licenziato dalla I Commissione, senza successivamente proseguire l’esame (v. capitolo Iniziative in materia di grazia e amnistia);
§ A.C. 3219, esaminato dalla 1ª Commissione del Senato congiuntamente all’A.C. 1635 (entrambe di iniziativa parlamentare) e licenziato per l’Assemblea il 15 marzo 2005, in materia di tutela della persona anziana: il testo integra il secondo comma dell’art. 31 Cost. (ai sensi del quale la Repubblica “protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”), aggiungendo gli anziani fra le persone oggetto di specifica protezione e tutela;
§ otto proposte di legge costituzionale (A.C. 1464 e abb.), concernenti il riconoscimento del diritto di voto ai cittadini stranieri: Le proposte di legge costituzionale, integrando la disciplina recata dall’art. 48 Cost. in materia di titolarità ed esercizio del diritto di voto, estendono agli stranieri regolarmente residenti in Italia il diritto di elettorato attivo e, in alcuni casi, anche di quello passivo. Alcune tra le proposte limitano tale estensione al voto amministrativo. Una di esse (A.C. 5410), di iniziativa dell’Assemblea regionale siciliana, novella in tal senso anche lo Statuto speciale della regione[79] (v. parte II, scheda Immigrazione – Il diritto di voto degli stranieri). L’esame presso la I Commissione della Camera si sviluppò tra il gennaio e il dicembre 2004, parallelamente all’esame di varie proposte di legge ordinaria (A.C. 204 ed abb.) e ad una proposta di legge costituzionale (A.C. 4786) in materia di cittadinanza (v. parte II, scheda Immigrazione – L’accesso alla cittadinanza). Nella seduta del 28 aprile 2004 fu nominato un comitato ristretto; si procedette altresì a varie audizioni informali;
§ A.C. 2382 ed altre tre proposte di iniziativa parlamentare, che – intervenendo sugli artt. 66 e 134 Cost. – modificano la competenza attribuita alle Camere in ordine alla verifica dei poteri dei loro membri disponendo che esse deliberino sulle elezioni contestate entro i termini fissati dai rispettivi regolamenti; ove a ciò non provvedano, e in ogni caso contro le decisioni assunte dalle Camere stesse, l’interessato può proporre ricorso alla Corte costituzionale (la sola proposta A.C. 2382 prevede che l’organo competente a giudicare i titoli di ammissione dei membri delle Camere sia il Consiglio di Stato, contro le pronunce del quale è ammesso ricorso, per violazione di legge, alla Corte costituzionale). La I Commissione della Camera dedicò alle proposte alcune sedute nel luglio 2002;
§ A.S. 1014 ed altri quattro disegni di legge costituzionale (esaminati dalla 1ª Commissione del Senato nel corso di cinque sedute, tra il 10 giugno 2003 e il 26 febbraio 2004), che recano modifiche all’art. 68 Cost. affrontando in modo diversificato la materia dell’immunità parlamentare (v. capitolo Immunità parlamentari e delle alte cariche).
Il 28 ottobre 2003, infine, la I Commissione della Camera dei deputati iniziava l’esame in sede referente di tre proposte di legge costituzionale (A.C. 4394 ed abb.) che prevedevano l’indizione di un referendum nell’ambito del procedimento di autorizzazione alla ratifica del trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa (v. scheda Il Trattato costituzionale, nel dossier relativo alla Commissione Politiche dell’Unione europea). Dopo la seduta del 10 febbraio 2005 la Commissione non proseguiva l’esame dei provvedimenti, anche in considerazione della sopravvenuta approvazione, da parte della Camera, del disegno di legge ordinaria di ratifica ed esecuzione del Trattato.
Riforma della Costituzione e riforma elettorale hanno proceduto distintamente ed in parallelo nel corso dell’intera legislatura, ma il dibattito sulla materia elettorale ha avuto una prima, lunga, fase nella quale le proposte di intervento erano intese unicamente a correggere e migliorare il sistema vigente.
Solo verso il termine della legislatura, con la riforma costituzionale alla sua seconda e definitiva lettura, le modifiche hanno preso l’aspetto di una riforma di sistema, tendenzialmente coerente con la forma di governo che verrebbe introdotta nell’eventualità di una conferma referendaria del nuovo testo costituzionale.
L’art. 92 Cost. nel testo recato dalle Modifiche alla parte seconda della Costituzione – la riforma costituzionale approvata in seconda deliberazione dalle Camere nel novembre 2005 (v. parte II, scheda Ordinamento della Repubblica – Il testo approvato dalle Camere) – fissa infatti due princìpi, nel prefigurare un futuro sistema per l’elezione della Camera che si armonizzi con la forma di governo da essa delineata:
§ l’elezione dei deputati deve favorire la formazione di una maggioranza collegata al candidato alla carica di Primo ministro;
§ questi, a sua volta, si candida a quella carica in collegamento con (raggruppamenti di) candidati, o con liste di candidati.
I due princìpi si ritrovano attuati e fondanti (compatibilmente con la Costituzione vigente) nel nuovo sistema di elezione della Camera introdotto dalla L. 270/2005[80] (v. parte II, scheda Sistema elettorale – La legge n. 270 del 2005):
§ la lista o la coalizione che supera le altre anche di un solo voto ottiene comunque il 55 per cento dei seggi della Camera;
§ la previa indicazione da parte delle forze politiche del “capo” delle rispettive liste o coalizioni, prevista dal nuovo art. 14-bis, terzo comma, del testo unico per l’elezione della Camera, configura nei fatti (pur se non nell’attenta formulazione del testo) una sua “candidatura a governare”.
Il Presidente della Repubblica, nel potere di incarico che pure, a Costituzione invariata, resta incondizionato[81], trova così un candidato già indicato dalle forze politiche e sostenuto dall’esito del voto.
Una qualche connessione tra riforma della Costituzione e riforma elettorale della XIV legislatura si può forse rinvenire anche nella scelta del premio di maggioranza regionale effettuata per il sistema di elezione del Senato. Scelta che intende rispettare l’elezione “a base regionale” disposta dall’art. 57 Cost., ma che finisce poi per rendere casuale il concorso del Senato alla formazione della maggioranza “nazionale”, e avvicinare di converso questo sistema di elezione a quello prefigurato dalla riforma costituzionale approvata, dove il Senato federale – che non ha rapporto fiduciario con il Governo – è eletto in ambito regionale senza necessità di un “risultato nazionale”.
Sembra dunque indubbio che il riformatore della L. 270/2005 abbia avuto presente la forma di governo (e, in sottofondo, anche la forma di Stato) prefigurate dal testo costituzionale approvato dalle due Camere.
Ritornando alla fase di avvio della XIV legislatura, va ricordato che le prime proposte di modifica della legge elettorale allora vigente miravano ad eliminare il meccanismo dello scorporo dei voti tra maggioritario e proporzionale e a far si che l’elettore nei collegi uninominali potesse riconoscere il candidato da votare anche attraverso i simboli posti sulla scheda accanto al nome.
Questo, a detta dei proponenti, avrebbe consentito all’elettore di votare riconoscendo chiaramente l’appartenenza politica del candidato e avrebbe avuto come conseguenza la riduzione – almeno – del divario tra voto uninominale e voto proporzionale. Il dibattito politico parlamentare si è svolto perciò su due temi e due proposte entrambe avanzate per porre riparo al fenomeno delle c.d. “liste civetta”.
Il consistente ricorso alle “liste civetta” nelle ultime elezioni allo scopo di evitare gli effetti dello scorporo aveva avuto come effetto l’avvio della legislatura con una Camera priva del suo plenum, essendo venuti a mancare ad una delle liste (quella di Forza Italia) 12 candidati rispetto ai 62 seggi ai quali aveva diritto (v. parte II, scheda Sistema elettorale – La questione dei seggi vacanti). Secondo l’art. 11 del regolamento di attuazione della legge elettorale[82] quei seggi avrebbero dovuto essere ripartiti, proporzionalmente, fra le altre liste ammesse. La Camera però ha ritenuto di dover disattendere quella disposizione in quanto norma regolamentare incidente su materia coperta da riserva di legge.
Non offrendo la legge elettorale allora vigente una soluzione alternativa che consentisse di assegnare i seggi vacanti, essi sono rimasti tali per l’intera legislatura.
E tuttavia una nuova legge (L. 4 aprile 2005, n. 47) è intervenuta ad integrare la disciplina introducendo, accanto al meccanismo del collegamento tra candidati nei collegi uninominali e liste nella quota proporzionale, il concetto di coalizione di liste, individuabile tramite le candidature uninominali caratterizzate dal medesimo contrassegno. Questa definizione di “coalizione” ha definito un criterio in base al quale sono stati assegnati i seggi che si sono resi vacanti nel prosieguo della legislatura.
All’inizio della XIV legislatura una seconda questione metteva il Parlamento innanzi all’esigenza di dover intervenire legislativamente sul sistema elettorale: la revisione del numero e il ridisegno dei collegi uninominali (v. parte II, scheda Sistema elettorale – La revisione dei collegi uninominali).
La revisione era richiesta dalle stesse leggi istitutive (nn. 276 e 277/1993) per via della nuova determinazione della popolazione fatta dal censimento generale del 2001[83]; era ancor più necessaria per ripristinare il rapporto fra seggi maggioritari e quota proporzionale alterato dalla introduzione della disciplina sul voto degli italiani all’estero (v. parte II, scheda Elezioni – Voto degli italiani all’estero) che aveva sottratto 12 deputati e 6 senatori alla rappresentanza eletta nelle circoscrizioni del territorio nazionale.
Entrambe queste cause concorrevano a modificare il numero dei seggi spettanti a ciascuna circoscrizione e, all’interno di queste, la ripartizione tra seggi da attribuire con metodo uninominale e seggi da attribuire con metodo proporzionale. Bisognava cioè determinare quali fossero le circoscrizioni alle quali i seggi venivano sottratti e come si sarebbe modificato di conseguenza il numero dei collegi uninominali.
Inoltre, la riduzione del numero dei seggi/collegi in talune circoscrizioni e lo spostamento della popolazione rilevato dal censimento 2001 richiedevano che le circoscrizioni dei collegi uninominali fossero ridisegnate per rispondere al parametro (indicato dalla legge) dello scostamento massimo del 10 per cento in più o in meno rispetto al valore medio della popolazione nei collegi della circoscrizione.
Le leggi elettorali prevedevano che all’inizio di ciascuna legislatura i Presidenti delle Camere procedessero al rinnovo della Commissione tecnica per la revisione dei collegi uninominali e che questa presentasse poi ai Presidenti la sua proposta di revisione. Secondo la normativa allora vigente, sia per dare seguito ad una proposta formulata dalla Commissione tecnica, sia per procedere su diversa iniziativa, il numero e le circoscrizioni territoriali dei collegi uninominali avrebbero potuto essere modificati soltanto con atto avente forza di legge.
Sin dall’inizio dei propri lavori la Commissione tecnica aveva richiesto alle Camere di indicare i criteri secondo i quali essa avrebbe dovuto procedere alla definizione della nuova proposta di assetto dei collegi uninominali. Erano possibili infatti più criteri nella determinazione dei collegi uninominali da assegnare a ciascuna circoscrizione e si sarebbe potuto procedere alla determinazione delle nuove circoscrizioni secondo più criteri, pervenendo a soluzioni molto diverse fra loro, tutte formalmente rispettose dei parametri indicati dalla legge.
La Commissione tecnica ne riferì alla Commissione affari costituzionali della Camera e questa chiese in proposito l’avviso del ministro dell’interno. Nel frattempo aveva preso corpo anche il procedimento di revisione delle due leggi elettorali e per molto tempo i due procedimenti percorsero strade parallele.
Nel frattempo, per garantire che si potesse procedere alla elezione delle Camere in caso di scioglimento anticipato, il Governo emanò un decreto-legge con il quale determinava un nuovo assetto dei collegi uninominali nella regione Molise la quale, per via della assegnazione dei seggi alla circoscrizione Estero, aveva perso il seggio proporzionale e avrebbe votato soltanto per l’elezione dei candidati nei collegi uninominali (D.L. 26 aprile 2005, n. 64).
La disciplina introdotta dal decreto-legge non fu rinnovata alla sua scadenza (settembre 2005) perché nel frattempo la Commissione affari costituzionali della Camera aveva intrapreso la parte finale del procedimento che avrebbe portato alla modifica delle due leggi elettorali tramite l’approvazione della L. 270/2005.
L’intervento legislativo definitivo e di più ampia portata è stato inserito in forma emendativa in un testo unificato (A.C. 2620 e abb.), all’esame della I Commissione della Camera, che recava in origine limitate modifiche al sistema vigente. Si tratta della più volte citata L. 270/2005[84] che, novellando in più parti i testi unici per l’elezione di Camera e Senato, ha introdotto un nuovo sistema elettorale (v. parte II, scheda Sistema elettorale – La legge n. 270 del 2005).
In luogo del preesistente sistema misto a prevalenza maggioritaria (assegnazione, in ciascuna circoscrizione territoriale, di tre quarti dei seggi con criterio maggioritario in altrettanti collegi uninominali; assegnazione dei restanti seggi con metodo proporzionale), il nuovo sistema è orientato in senso interamente proporzionale, con premio di maggioranza e articolate soglie di sbarramento per liste e coalizioni.
Ai fini dell’elezione della Camera la legge prevede, in estrema sintesi, che:
§ i partiti politici che intendono presentare liste di candidati possono collegarsi tra loro in coalizioni; i partiti che si candidano a governare presentano il loro programma e indicano il nome del loro leader. I partiti collegati in coalizione depositano lo stesso programma e indicano il nome del capo della coalizione;
§ l’elettore esprime un solo voto per la lista di candidati prescelta; non è prevista l’espressione di preferenze;
§ i seggi sono ripartiti proporzionalmente in ambito nazionale[85], tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento previste dalla legge. Sono previste soglie di sbarramento per le coalizioni nel loro complesso (10% del totale dei voti validi[86]), per le liste che non facciano parte di una coalizione ammessa alla ripartizione (4%), e per le liste che ne facciano parte, ai fini della ripartizione dei seggi già assegnati alla coalizione (2%[87]).
§ alla coalizione di liste (o alla lista non coalizzata) più votata, qualora non abbia già conseguito almeno 340 seggi, è attribuito un premio di maggioranza tale da farle raggiungere tale numero di seggi;
§ l’assegnazione dei seggi spettanti in ogni circoscrizione alle coalizioni e alle liste ha luogo secondo un complesso meccanismo ispirato anch’esso a criteri di proporzionalità e accompagnato da procedure di correzione.
La disciplina proposta per l’elezione del Senato è analoga a quella già descritta con riguardo alla Camera, ma presenta alcune differenze legate alla natura dell’organo, che è eletto “su base regionale” (art. 57, co. 1°, Cost.). Queste le principali:
§ i seggi sono ripartiti e assegnati in ambito regionale, e le soglie di sbarramento (più elevate[88]) sono anch’esse riferite al totale dei voti conseguiti nella Regione;
§ è assegnato Regione per Regione anche il premio alla coalizione o lista singola più votata, con l’attribuzione del 55% dei seggi spettanti alla Regione, qualora essa non abbia già conseguito tale risultato.
Mentre resta ferma la disciplina elettorale per gli italiani all’estero, sono previste specifiche disposizioni per talune Regioni (Molise, Valle D’Aosta e Trentino-Alto Adige) caratterizzate da bassa popolazione o dalla presenza di consistenti minoranze linguistiche.
Altre norme della legge incidono sulla disciplina delle ineleggibilità, sulle modalità di presentazione delle candidature e sulla nomina degli scrutatori (per i quali viene meno il sistema del sorteggio).
Due leggi di revisione costituzionale approvate nella XIII legislatura (L.Cost. 1/2000[89] e 1/2001[90]) hanno attribuito ai cittadini italiani residenti all’estero il diritto di eleggere, nell’ambito di una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati.
L’art. 3 della L.Cost. 1/2001 ha demandato alla legge ordinaria il compito di stabilire le modalità per l’attribuzione dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero e le modificazioni delle norme per l’elezione delle Camere conseguenti alla variazione del numero dei seggi assegnati nel territorio nazionale.
Nella XIV legislatura, con l’approvazione della L. 459/2001[91], cui è seguito il D.P.R. 104/2003[92], è stata attuata questa previsione costituzionale (v. parte II, scheda Elezioni – Voto degli italiani all’estero). La L. 459/2001 ha stabilito inoltre che, con le medesime modalità previste per le elezioni politiche, i cittadini italiani all’estero possano esprimere il proprio voto anche nei referendum abrogativi e in quelli costituzionali indetti rispettivamente sulla base dell’art. 75 e dell’art. 138 della Costituzione.
Questi i tratti essenziali della disciplina sul voto degli italiani all’estero: la circoscrizione Estero è suddivisa in quattro ripartizioni, in ciascuna delle quali è eletto almeno un senatore e un deputato, mentre gli altri due seggi per il Senato e gli altri otto per la Camera sono distribuiti tra le stesse ripartizioni in proporzione al numero dei cittadini che vi risiedono, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Possono candidarsi per l’elezione dei senatori e dei deputati da eleggere all’estero esclusivamente i cittadini che siano residenti ed elettori in una delle ripartizioni della circoscrizione Estero.
Il voto per i senatori e per i deputati da eleggere all’estero si esercita normalmente per corrispondenza in tutti gli Stati con cui il Governo Italiano ha raggiunto intese per garantire l’esercizio del diritto di voto in condizioni idonee.
In alternativa, l’elettore residente all’estero può scegliere di votare in Italia; in questo caso, egli deve rientrare nel territorio nazionale e votare per i candidati che si presentano nella circoscrizione relativa alla sezione elettorale nazionale in cui è iscritto.
L’attribuzione dei seggi alle liste è effettuata con il metodo proporzionale dei quozienti interi e dei più alti resti proclamando eletti, in corrispondenza dei seggi attribuiti a ciascuna lista, i candidati della lista stessa secondo l’ordine dei voti di preferenza conseguiti.
Limitatamente alle elezioni politiche del 2006 e al referendum costituzionale che si svolgerà il 25 giugno prossimo, il D.L. 1/2006[93] ha ammesso a votare nella circoscrizione Estero anche gli italiani che si trovano temporaneamente all’estero per motivi di servizio (dipendenti di amministrazioni statali e familiari; professori universitari e ricercatori) o per missioni internazionali.
Sul piano organizzativo, si ricorda che alcune disposizioni contenute in decreti-legge e in leggi finanziarie hanno destinato risorse per il completamento della rilevazione dei dati sui cittadini italiani all’estero e per l’aggiornamento degli schedari consolari, ai fini della realizzazione dell’elenco dei cittadini italiani residenti all’estero risultante dall’unificazione dei dati delle AIRE[94] comunali e quelli delle anagrafi consolari.
La disciplina dell’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia è stata modificata in prossimità delle elezioni svoltesi nel 2004 da due provvedimenti approvati nello stesso anno.
Il 4 dicembre 2002 è iniziato presso la I Commissione del Senato l’esame in sede referente di alcuni progetti di legge di iniziativa parlamentare tendenti a modificare la L. 18/1979[95] (A.S. 340 e altri) e diretti principalmente ad una revisione delle circoscrizioni elettorali e all’individuazione di nuovi criteri per l’assegnazione dei seggi alle stesse, al fine di determinare una maggiore rappresentatività di alcune Regioni presso il Parlamento europeo. L’11 febbraio 2004 il relatore ha presentato un testo unificato. Il 26 febbraio, per recepire la decisione del Consiglio 2002/772, CE, Euratom, di modifica della disciplina comunitaria recata dall’Atto del 1976 relativo alla elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo[96], il Governo ha presentato un proprio disegno di legge (A.S. 2791), che la Commissione ha adottato come testo base. Il 16 marzo si è poi convenuto, al fine di giungere all’approvazione definitiva, seppure parziale, del disegno di legge entro il 31 marzo 2004, di stralciare quegli articoli del testo del Governo che costituivano applicazione immediata delle norme precettive della decisione 2002/772/CE, in modo da renderle applicabili alle imminenti elezioni europee fissate per il 12 e 13 giugno 2004.
La L. 78/2004[97], in attuazione alla decisione 2002/772/CE, Euratom, ha recepito la principale novità da essa introdotta, sancendo l’incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo e quella di deputato o di senatore.
Sulla base di quanto disposto dalla decisione del Consiglio del 2002 e integrando quelle già presenti nell’Atto del 1976, la legge 78/2004 ha stabilito ulteriori incompatibilità tra il mandato europeo e diverse cariche in ambito comunitario (membro del Tribunale di primo grado delle Comunità, membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, mediatore delle Comunità europee, funzionario o agente, in servizio, della Banca centrale europea.
La L. 90/2004[98] ha individuato ulteriori incompatibilità tra il mandato europeo e alcune cariche elettive territoriali (presidente di provincia e sindaco di comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti) e ha esplicitato anche nella legge ordinaria l’incompatibilità in capo al consigliere regionale prevista dall’art. 122 Cost..
Per incentivare la presenza di candidature femminili nelle liste, la legge ha introdotto, con esclusivo riferimento alle elezioni europee e limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge, il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e ha stabilito che nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista (v. parte II, scheda Pari opportunità – Altri provvedimenti e iniziative).
Oltre a modificare le norme per la sottoscrizione delle liste di candidati e per l’espressione delle preferenze (che sono portate a tre in tutte le circoscrizioni), la legge ha dettato disposizioni per consentire, limitatamente al 2004, lo svolgimento contemporaneo delle elezioni europee e di quelle amministrative e per effettuare un test sperimentale di conteggio informatizzato del voto.
Con l’intento di dare una soluzione alla questione, sorta dopo le elezioni politiche del 2001, della mancata assegnazione dei seggi della quota proporzionale non attribuiti per insufficienza di candidature, è stata approvata la L. 47/2005[99] (v. parte II, scheda Sistema elettorale – La questione dei seggi vacanti).
In materia di reati elettorali è intervenuta la legge 61/2004[100], che ha sostanzialmente depenalizzato alcuni reati collegati alle operazioni elettorali, in particolare all’autenticazione delle firme per la presentazione delle liste e delle candidature, stabilendo che siano puniti con sanzioni amministrative pecuniarie.
In relazione alla disciplina del procedimento elettorale si sono registrati diversi interventi normativi di impatto limitato: ripristinando il sistema vigente prima del 1993, la L. 62/2002[101] ha reintrodotto, nelle elezioni politiche e amministrative e nelle consultazioni referendarie, la possibilità di votare in due giorni, estendendo le operazioni di voto anche alla giornata del lunedì.
La L. 17/2003[102] ha rimosso il requisito di iscrizione nello stesso comune per l’accompagnatore dell’elettore disabile che necessita di assistenza per l’espressione del voto. Il D.L. 1/2006 ha consentito (art. 1) agli elettori con gravi patologie, che si trovano in una condizione di intrasportabilità e di dipendenza vitale da apparecchiature mediche, di esprimere il voto presso l’abitazione in cui dimorano, stabilendo che il presidente dell’ufficio elettorale provveda alla raccolta domiciliare del voto.
Lo stesso provvedimento ha ammesso ai seggi elettorali osservatori dell’OSCE.
Il D.L. 75/2006[103] ha modificato la disposizione dei contrassegni sulle schede per le elezioni politiche ponendoli in linea orizzontale anziché in verticale come previsto dalla recente L. 270/2005[104] (sulla quale v. parte II, scheda Sistema elettorale – La legge n. 270 del 2005).
Prima che venisse approvata la L. 270/2005, è stato adottato il D.L. 64/2005[105] con lo scopo di consentire, in caso di scioglimento anticipato delle Camere e di mancata conclusione del procedimento di revisione dei collegi elettorali, richiesto in conseguenza delle variazioni della popolazione risultanti dal censimento generale del 2001 e della nuova disciplina sul voto degli italiani all’estero (v. parte II, scheda Sistema elettorale – La revisione dei collegi uninominali), la distribuzione dei seggi da assegnare con il metodo proporzionale in ciascuna circoscrizione, anche in deroga al rapporto 75%/25% previsto dalle leggi elettorali per le due Camere.
In occasione delle elezioni amministrative ed europee del 2004, delle regionali del 2005 e delle recenti elezioni politiche sono state effettuate sperimentazioni del conteggio informatizzato del voto, disposte rispettivamente dalla legge 90/2004 (art. 8) e dai decreti-legge 8/2005[106] e 1/2006 (v. parte II, scheda Amministrazione digitale – La “Società dell’informazione”).
L’accorpamento delle consultazioni elettorali in un’unica data (“election day”) ha reso necessari interventi legislativi specifici, volti a superare gli ostacoli di natura tecnica esistenti. Tra questi, si segnala la L. 90/2004[107] che ha consentito l’abbinamento delle elezioni europee del 2004 con le amministrative, e il D.L. 8/2005, concernente lo svolgimento contemporaneo, nel 2005, delle elezioni amministrative e di quelle delle regioni ordinarie.
Tra le iniziative legislative il cui esame, avviato presso l’una o l’altra Camera, non è giunto a conclusione si ricordano:
§ alcune proposte di legge di revisione costituzionale (A.C. 1464 e altre) volte ad estendere il diritto di voto agli immigrati regolari; la I Commissione della Camera non ha completato l’esame delle proposte (v. parte II, scheda Immigrazione – Il diritto di voto degli stranieri);
§ un disegno di legge approvato dalla Camera e trasmesso al Senato (A.S. 3410), che non ne ha ultimato l’esame, recante disposizioni in materia di ineleggibilità e incompatibilità dei magistrati (con riferimento al mandato di parlamentare nazionale ed europeo, di amministratore regionale e locale, di membro del Governo) e, in particolare, in merito al ricollocamento dei magistrati che si sono candidati alle elezioni politiche o amministrative e non sono stati eletti o che debbono rientrare in ruolo successivamente alla scadenza del mandato elettorale;
§ la proposta di legge A.C. 4870, approvata dal Senato il 31 marzo 2004, che intende consentire la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i sindaci di comuni con popolazione sino a 3.000 abitanti; il comitato ristretto nominato dalla I Commissione della Camera il 21 ottobre 2004 non ha concluso i propri lavori (v. capitolo Rapporti Stato-autonomie territoriali);
§ la proposta di legge A.C. 6141 (Violante ed altri) diretta a consentire lo svolgimento contestuale delle elezioni politiche e amministrative del 2006. La I Commissione, approvando un emendamento interamente soppressivo dell’articolo unico della proposta di legge, ha sostanzialmente conferito mandato al relatore a riferire all’Assemblea in senso contrario su di essa.
La disciplina della propaganda elettorale e del finanziamento delle campagne elettorali è stata oggetto di vari interventi legislativi di carattere puntuale (v. parte II, scheda Elezioni – Campagna elettorale e finanziamenti).
La L. 313/2003[108] ha novellato in misura rilevante la L. 28/2000[109], che regolamenta la comunicazione politica e l’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali, introducendo una specifica e distinta disciplina per le emittenti radiofoniche e televisive locali.
La L. 112/2004[110] ha individuato, tra i principi generali in materia di informazione radiotelevisiva che la RAI è tenuta ad osservare, la garanzia dell’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità (v. parte II, scheda Il servizio pubblico radiotelevisivo, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti).
Alcune disposizioni hanno inciso sulla disciplina dei rimborsi per spese elettorali e sui limiti delle stesse e sul finanziamento dei partiti politici: il D.L. 273/2005[111] ha elevato il limite dei finanziamenti privati ai partiti oltre la quale sussiste l’obbligo di effettuare una dichiarazione congiunta con il soggetto donatore al Presidente della Camera; il D.L. 1/2006 (artt. 3-ter e 3-quater) ha innalzato i limiti massimi di spesa per la campagna elettorale dei singoli candidati e dei partiti che partecipano all’elezione.
Con riferimento agli strumenti tradizionali di propaganda elettorale, infine, è stato affermato il principio della responsabilità personale nell’affissione di manifesti politici e della non sussistenza della responsabilità solidale del committente (L. 311/2004[112], art. 1, co. 480-483).
L’8 novembre 2001 entrava in vigore la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante Modificazioni del titolo V della parte seconda della Costituzione, sulla quale il 7 ottobre si era svolto con esito favorevole il referendum previsto dall’art. 138 Cost..
Tra gli aspetti più innovativi della complessa riforma costituzionale si possono ricordare, per limitarsi a quelli riguardanti più da vicino il riparto delle competenze tra Stato e autonomie territoriali:
§ l’attribuzione allo Stato, alle Regioni e agli enti locali di una “pari dignità” quali enti costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.);
§ l’inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la doppia elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato e di quelle in cui la potestà legislativa è esercitata in modo concorrente dallo Stato (che detta i soli “princìpi fondamentali”) e dalle Regioni, e con l’attribuzione a queste di una competenza legislativa piena (“residuale”) su tutte le altre materie (art. 117, co. 2°-4°, Cost.);
§ la riduzione della potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di sua legislazione esclusiva, ampliandosi quella delle Regioni e degli enti locali (art. 117, co. 6°, Cost.);
§ l’attribuzione delle competenze amministrative in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, superandosi con ciò il principio del parallelismo tra competenze legislative e amministrative (art. 118 Cost.);
§ l’attribuzione a Regioni ed enti locali dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost);
§ la soppressione del visto sulle leggi regionali e dei controlli preventivi sugli atti delle Regioni e degli enti locali prevedendosi tuttavia – a date condizioni – un generale potere sostitutivo del Governo, nonché la possibilità per lo Stato e le Regioni di ricorrere alla Corte costituzionale avverso leggi, rispettivamente, regionali e statali (artt. 120, co. 2°, e 127 Cost.).
L’entrata in vigore del nuovo Titolo V ha posto, sin dall’inizio della legislatura, la pressante esigenza – accentuata dall’assenza di una disciplina transitoria – di introdurre norme e prassi che adeguassero l’ordinamento della Repubblica al nuovo quadro costituzionale e ne rendessero in concreto applicabili le disposizioni, anche sciogliendo alcuni nodi interpretativi di immediata evidenza.
Per quanto invece riguarda le iniziative di rango costituzionale volte a modificare le linee della riforma o ad inserirla in un più ampio disegno di revisione in senso “federalista” – iniziative che hanno trovato esito nelle rilevanti innovazioni introdotte dalla legge di riforma della Parte II della Costituzione – si rinvia al capitolo Riforma dell’ordinamento della Repubblica.
Sul piano della legislazione ordinaria, all’esigenza di “attuare e chiarire” si è inteso far fronte, principalmente, attraverso la L. 131/2003[113] (c.d. legge “La Loggia”: v. parte II, scheda Titolo V e norme di attuazione). La legge reca disposizioni concernenti:
§ l’esercizio della potestà legislativa regionale e della potestà normativa degli enti locali;
§ la partecipazione delle Regioni in materia comunitaria[114] e l’attività internazionale delle Regioni;
§ le procedure per il conferimento delle competenze amministrative ai diversi livelli di governo e il loro esercizio;
§ l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ex art. 120, co. 2°, Cost.;
§ l’adeguamento delle norme di procedura dei giudizi di legittimità costituzionale alle previsioni di cui ai nuovi artt. 123, co. 2°, e 127 Cost.;
§ l’istituzione, in luogo del Commissario di Governo, di un Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie;
§ l’applicazione della riforma alle Regioni a statuto speciale.
La legge delega, tra l’altro, il Governo ad operare (entro l’11 giugno 2006) una ricognizione dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni (art. 1, co. 4). La delega legislativa (sulla quale ha inciso la Corte costituzionale che, nella sent. 280/2004, ne ha sottolineato la natura meramente ricognitiva), è stata sinora esercitata con riguardo alle materie:
§ “professioni” (D.Lgs. 30/2006);
§ “armonizzazione dei bilanci pubblici” (D.Lgs. 170/2006);
§ “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” (D.Lgs. 171/2006).
Risulta in corso di adozione il decreto legislativo concernente la materia “governo del territorio”.
Un’altra delega legislativa, avente ad oggetto l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 117, co. 2°, lett. p), Cost., nonché l’adeguamento al nuovo Titolo V delle disposizioni vigenti in materia di enti locali, non ha trovato attuazione entro il termine per l’esercizio, fissato da ultimo al 31 dicembre 2005.
Non ha sinora trovato piena attuazione legislativa nemmeno l’art. 119 Cost., concernente l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni e delle autonomie locali (v. capitoli Art. 119 Cost.: il federalismo fiscale e Verso il federalismo fiscale, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio).
Sul piano della procedura parlamentare, le due Camere hanno da subito affrontato l’esigenza di dare immediata attuazione al nuovo disposto costituzionale, che esige una verifica in itinere del fondamento costituzionale di tutti i progetti di legge al proprio esame. La Giunta per il regolamento della Camera ha affidato tale compito alla Commissione affari costituzionali, nell’esercizio della sua funzione consultiva che ha esteso, in via sperimentale, anche agli emendamenti presentati in Assemblea; analogo orientamento ha assunto la Giunta per il regolamento del Senato.
Non ha invece trovato attuazione – malgrado l’attività istruttoria svolta in tale direzione su iniziativa delle Giunte per il Regolamento delle due Camere – l’art. 11 della legge costituzionale di riforma, che avrebbe consentito l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle autonomie regionali e locali e l’attribuzione a tale Commissione del potere di incidere significativamente, con i propri pareri, sull’iter di approvazione delle leggi statali riguardanti le materie di competenza legislativa concorrente e l’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali.
Un ruolo determinante, nella prima stagione dell’attività legislativa di Stato e Regioni susseguente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V, ha esercitato la giurisprudenza della Corte costituzionale (v. parte II, scheda Titolo V e giurisprudenza costituzionale). Va infatti ricordato come le questioni interpretative aperte dalla nuova disciplina costituzionale abbiano determinato un considerevole contenzioso tra Stato e Regioni, soprattutto con riferimento al numero dei ricorsi in via d’azione dell’uno o delle altre contro leggi, rispettivamente, regionali o statali. In tale contesto le pronunce della Corte, oltre a sciogliere alcuni nodi cruciali – definendo i termini e i limiti della legittimità costituzionale di provvedimenti importanti per l’attuazione dell’indirizzo politico-legislativo del Governo, quali ad es. la “legge-obiettivo” o le disposizioni sul condono edilizio – hanno introdotto princìpi e criteri interpretativi, a volte innovativi, utili a consentire una lettura coerente e sistematica della riforma costituzionale; princìpi e criteri che l’attività consultiva delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato ha a volte anticipato, a volte fatto propri successivamente.
Ci si riferisce, a titolo d’esempio:
§ all’esistenza, nell’attuale art. 117 Cost., di profili di “trasversalità” propri di alcune materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, che la Corte ha a volte chiamato “materie-funzioni” o “non materie” (come la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; la “tutela della concorrenza”; la “tutela dell’ambiente”): si tratta di profili che possono rilevare – anche solo sotto l’aspetto delle finalità degli interventi – in ambiti materiali affidati alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni; con riguardo ad essi, dunque, pur in ambiti devoluti alla competenza regionale si legittimerebbe l’intervento legislativo dello Stato;
§ all’esigenza di non considerare meccanicamente ascrivibile alla potestà residuale delle Regioni ogni ambito di intervento legislativo non testualmente compreso negli elenchi di cui all’art. 117 Cost.;
§ all’applicazione del principio di sussidiarietà al riparto delle competenze legislative, oltre che amministrative, tra Stato e Regioni: in base a tale orientamento, chiaramente definito a partire dalla nota sent. 303/2003, la legge statale – a determinate condizioni – può attribuire allo Stato funzioni amministrative anche in materie di competenza regionale e, in ossequio al principio di legalità, è in tal caso abilitata a organizzarle e regolarle;
§ all’opportunità comunque di introdurre strumenti e procedure di cooperazione e concertazione, atti a valorizzare la leale collaborazione tra Stato e Regioni ed il concorso di queste ultime alle decisioni centrali, anche per evitare o superare i problemi che potrebbero nascere da una troppo astrattamente rigida ripartizione delle competenze legislative; tale opportunità diviene per lo Stato un obbligo nell’ipotesi (illustrata al punto precedente) di deroga di riparto di competenze sulla base del principio di sussidiarietà[115], ovvero quando un determinato ambito di intervento legislativo evidenzi una inscindibile “concorrenza di competenze” (esclusive, concorrenti, residuali) di Stato e Regioni (cfr. sent. 50/2005) tale da non consentire la soluzione delle questioni di competenza sulla base di criteri rigidi[116].
Interventi rilevanti della giurisprudenza costituzionale hanno poi riguardato anche l’applicazione del principio di autonomia finanziaria delle Regioni di cui all’art. 119 Cost., sotto il duplice profilo dell’autonomia di entrata e di spesa.
Sotto il primo profilo, e in attesa dell’attuazione dell’art. 119 Cost., al legislatore statale, nel disciplinare i tributi regionali e locali, è fatto comunque divieto di “procedere in senso inverso” sopprimendo, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dall’ordinamento vigente alle Regioni e agli enti locali (sent. 37/2004). Quanto al secondo profilo, la Corte non ha ritenuto ammissibili gli interventi finanziari a destinazione vincolata per Regioni ed enti locali, se afferenti a materie di competenza regionale, salvo che rientrino tra gli speciali interventi in favore di enti determinati, consentiti dall’art. 119, co. 5°, Cost. (sent. 16/2004); analogamente si è espressa per le misure finanziarie destinate a soggetti privati.
Per altro verso, secondo la Corte (sent. 417/2005) il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ma solo con “disciplina di principio” e “per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari”; di converso, l’imposizione con legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa si risolve “in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area […] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali”.
Con riguardo alla potestà legislativa concorrente, la Corte costituzionale sembra limitare la possibilità per lo Stato di adottare nelle materie concorrenti anche la disciplina di dettaglio derogabile (“cedevole”) da parte del legislatore regionale e, confermando la propria giurisprudenza precedente, ribadisce che, in assenza di leggi cornice, la Regione può desumere i princìpi fondamentali dal complesso della legislazione statale vigente in materia[117]. La Corte ha poi precisato che la nozione di “principio fondamentale” non può avere carattere di rigidità e di universalità, poiché le “materie” hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. Spetta quindi al legislatore operare le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l’interprete deve valutare nella loro obiettività, senza essere condizionato in modo decisivo da eventuali autoqualificazioni (sent. 50/2005).
Va ricordato come, nei cinque anni della legislatura, le Regioni a statuto ordinario abbiano proseguito – ma solo una parte di esse ha portato a compimento[118] – il processo di riscrittura dello statuto regionale e di ridefinizione della forma di governo e del sistema elettorale regionale, secondo quanto previsto dalla riforma costituzionale approvata con L.Cost. 1/1999[119].
Il legislatore statale è intervenuto in tale processo con la L. 165/2004[120], nella quale, dando attuazione all’art. 122, co. 1° Cost., nel testo modificato dalla riforma del 1999, individua i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni sono chiamate a definire con propria legge il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali. La stessa L. 165/2004 fissa in cinque anni la durata degli organi elettivi regionali.
Tra le altre misure legislative concernenti le autonomie locali, assumono particolare rilievo:
§ le tre leggi istitutive delle nuove province di Monza e della Brianza (L. 146/2004), di Fermo (L. 147/2004) e di Barletta-Andria-Trani (L. 148/2004);
§ l’art. 7 del D.L. 80/2004[121], che reca varie modifiche al testo unico sugli enti locali concernenti le ipotesi di esclusione dall’elettorato passivo, la sospensione di diritto dalle cariche elettive e i casi di ineleggibilità ed incompatibilità per le cariche di sindaco, di presidente di provincia e di assessore;
§ la nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali (v. capitolo Disciplina dei servizi pubblici locali);
§ l’esame (non giunto a conclusione) di progetti di legge volti a consentire lo svolgimento di un terzo mandato consecutivo ai sindaci[122], modificando in tal senso l’art. 51 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000), e di progetti di legge che, modificando la legge 25 maggio 1970, n. 352, intendevano ridisciplinare lo svolgimento del referendum previsto dall’art. 132 Cost. per il distacco di comuni e province da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione[123].
Nel corso della XIV legislatura giunge ad un esito legislativo, con l’approvazione della L. 140/2003[124] (v. scheda Immunità – La legge attuativa dell’art. 68 Cost.), la questione concernente la disciplina di attuazione dell’articolo 68 della Costituzione, in materia di immunità parlamentari; questione sviluppatasi nel corso delle precedenti legislature, a partire della riforma dell’art. 68 recata dalla L.Cost. 3/1993[125], dapprima attraverso una serie di decreti-legge reiterati, quindi con l’esame – non giunto in porto – di un progetto di legge nel corso della XIII legislatura.
Questi, in sintesi, i principali aspetti della disciplina:
§
al fine
di definire l’ambito di applicazione del principio della insindacabilità per le opinioni
espresse o i voti dati nell’esercizio delle funzioni parlamentari (primo
comma dell’art. 68 Cost.), sono individuati gli atti parlamentari e le attività esterne al Parlamento, ma
connesse alla funzione di parlamentare, alle quali può ritenersi applicabile la
garanzia dell’insindacabilità (sulla giurisprudenza
della Corte costituzionale in materia, prima e dopo
§ sotto il profilo procedurale, l’applicabilità dell’art. 68, co. 1°, Cost. può essere rilevata d’ufficio o eccepita in qualsiasi procedimento giurisdizionale (penale, civile, amministrativo, di conto, etc.) e nei procedimenti disciplinari. Qualora il giudice non accolga l’eccezione, dispone la trasmissione degli atti alla Camera di appartenenza del parlamentare e sospende il procedimento per un massimo di 90 giorni, salva la possibilità di una proroga, al più, di 30 giorni disposta dalla Camera interessata;
§
la questione può essere sottoposta alla Camera
di appartenenza anche direttamente dal
parlamentare interessato: in tal caso,
§ nel caso in cui la pronuncia della Camera riconosca l’insindacabilità, il giudice si adegua a tale pronuncia emettendo sentenza conforme, mentre il pubblico ministero richiede l’archiviazione;
§ quanto ai provvedimenti restrittivi della libertà (ivi incluse le intercettazioni, i sequestri di corrispondenza e l’acquisizione di tabulati di comunicazioni), l’autorità che ha emanato il singolo atto deve presentare alla Camera di appartenenza del parlamentare la richiesta di autorizzazione all’esecuzione. In attesa dell’autorizzazione, l’esecuzione dell’atto rimane sospesa;
§ è affrontato anche il tema delle intercettazioni (telefoniche o ambientali) disposte nell’ambito di procedimenti giudiziari riguardanti terzi, alle quali membri del Parlamento abbiano preso parte (e dei relativi tabulati): se il giudice per le indagini preliminari ritiene ininfluenti ai fini giudiziari tali conversazioni, ne dispone la distruzione totale o parziale. Se invece ritiene necessario utilizzarle nel procedimento, il giudice richiede l’autorizzazione alla Camera di appartenenza del parlamentare. Le intercettazioni acquisite in difformità da tali norme sono processualmente inutilizzabili.
Nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge attuativo dell’art. 68 Cost. (A.S. 2191, futura L. 140/2003) veniva introdotto un nuovo articolo 1 (v. scheda Immunità – Le alte cariche dello Stato), ai sensi del quale il Presidente della Repubblica (fatta salva la sua responsabilità ex art. 90 Cost.), i Presidenti delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri (salva la responsabilità per reati ministeriali ex art. 96 Cost.) e il Presidente della Corte costituzionale non possono essere sottoposti a processo penale per qualsiasi reato, anche relativo a fatti antecedenti l’assunzione delle cariche, fino alla cessazione delle medesime.
Lo stesso articolo sospende i processi penali che, alla data di entrata in vigore della legge, siano in corso in ogni fase, stato o grado e per qualsiasi reato (fatto comunque salvo il disposto degli artt. 90 e 96 Cost.). Nelle fattispecie dette trova applicazione l’art. 159 del codice penale, in materia di sospensione della prescrizione.
La disposizione illustrata formava oggetto, sia nel corso dell’esame parlamentare sia successivamente, di un vivace dibattito in ambito politico e dottrinario, anche con riguardo ai profili di costituzionalità.
A distanza di non molti mesi dall’entrata in vigore della legge
Il dibattito politico-istituzionale in materia di immunità parlamentare ha dato luogo, nel corso della XIV legislatura, anche alla presentazione di vari progetti di legge di revisione costituzionale, a firma di rappresentanti sia della maggioranza, sia dell’opposizione.
Il 10 giugno 2003, mentre si apre la fase finale
dell’iter di approvazione della legge
attuativa dell’art. 68 Cost. (con l’avvio dell’esame
in seconda lettura alla Camera),
I disegni di legge, tutti di iniziativa parlamentare, affrontano in modo diversificato la materia dell’immunità parlamentare. In particolare:
§ l’A.C. 2304 (sen. Pastore), riprendendo nella sostanza la formula approvata il 4 giugno 2003 dal Parlamento europeo con l’approvazione del progetto di Statuto dei deputati del Parlamento europeo[126], prevede che il procedimento penale avviato nei confronti di un membro del Parlamento sia sospeso su richiesta della Camera di appartenenza; analogamente dispone l’A.C. 2333 (sen. Crema ed altri);
§ quest’ultimo, nonché l’A.C. 1014 (sen. Consolo ed altri) e l’A.C. 1733 (sen. Falcier), ridefiniscono l’area oggettiva dell’insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati; l’A.C. 1014 reintroduce altresì, con alcuni limiti, l’istituto dell’autorizzazione a procedere, mentre l’A.C. 1733 interviene in materia di libertà personale e riservatezza delle conversazioni del parlamentare;
§ l’A.C. 1852 (sen. Cossiga) ripropone il testo dell’art. 68 Cost. antecedente alla riforma intervenuta nel 1993.
La 1ª Commissione del Senato ha esaminato in sede referente i disegni di legge nel corso di cinque sedute, tra il 10 giugno 2003 e il 26 febbraio 2004. In quest’ultima seduta l’esame veniva rinviato – in attesa di valutare gli eventuali sviluppi del dibattito sul tema sia a livello europeo, sia nell’ambito della riforma dell’ordinamento della Repubblica, allora in corso di discussione in Assemblea – e non veniva più ripreso nel prosieguo della legislatura.
Tra le proposte di legge costituzionale presentate alla Camera (delle quali non è stato avviato l’esame) alcune[127] miravano sostanzialmente a reintrodurre nell’ordinamento l’istituto dell’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, secondo il modello antecedente alla riforma costituzionale del 1993; altre – con diverse formulazioni ed effetti – prevedevano la possibilità, per la Camera di appartenenza, di sospendere l’esercizio dell’azione penale o la prosecuzione del procedimento a carico di un parlamentare sino al termine della legislatura[128].
La questione dei conflitti di interessi dei titolari di incarichi di governo ha trovato per la prima volta una definizione legislativa nel nostro ordinamento nella XIV legislatura.
Il tentativo di disciplinare la materia era già stato affrontato nelle precedenti due legislature senza giungere ad esiti legislativi, nonostante che l’iter parlamentare fosse giunto, in entrambi casi, all’avanzata fase della deliberazione da parte di una delle due Camere.
La L. 215/2004[129] (v. scheda Conflitti di interessi – La legge n. 215 del 2004) prende le mosse da un’iniziativa governativa (A.C. 1707) presentata alla Camera il 4 ottobre 2001; ad essa sono state abbinate altre cinque proposte presentate da esponenti di opposizione. La legge è stata poi deliberata a seguito di un lungo iter, arricchito, in entrambe le Camere, con audizioni di accademici ed esperti.
Composta da dieci articoli, la L. 215/2004 affronta il tema dei conflitti di interessi che possono riguardare determinati titolari di incarichi pubblici i quali siano, al contempo, titolari di attività economiche di rilevante portata.
I punti salienti della disciplina concernono, in sintesi, i seguenti profili:
§ i destinatari della normativa sono individuati nei “titolari di cariche di Governo”, categoria che ricomprende il Presidente del Consiglio e i ministri, i vice ministri, i sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del Governo: ad essi viene imposto di dedicarsi esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e di astenersi dal compimento di atti “in situazione di conflitto di interessi”;
§ viene recata una disciplina delle incompatibilità, elencando le cariche, gli uffici e le attività la cui titolarità o il cui esercizio risulta incompatibile con la titolarità di cariche di Governo;
L’incompatibilità, in particolare, riguarda:
- la titolarità di ogni altra carica o ufficio pubblico, fatta eccezione per le cariche o gli uffici inerenti alle funzioni svolte dal soggetto in quanto titolare di cariche di Governo, per il mandato parlamentare e per le cariche che risultano compatibili con il mandato parlamentare;
- le cariche, le funzioni o i compiti di gestione in enti di diritto pubblico, anche economici, in società aventi fini di lucro, in attività di rilievo imprenditoriale, in associazioni o società tra professionisti; l’esercizio di attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di Governo; l’esercizio di qualsiasi tipo di impiego o lavoro pubblico o privato.
Per effetto della successiva L. 88/2005[130],che ha inciso sul regime delle incompatibilità previsto dalla L. 215, è venuta meno l’incompatibilità tra le cariche di Governo e quella di amministratore locale, come disciplinata dal Testo unico in materia di enti locali[131].
§ si propone una definizione di conflitto di interessi: esso si determina, secondo l’impostazione prescelta dalla legge, quando il titolare di cariche di Governo partecipa all’adozione di un atto o omette un atto dovutotrovandosi in una delle situazioni di incompatibilità sopra richiamate,ovvero se l’atto o l’omissione presentano un’“incidenza specifica e preferenziale” sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, con danno per l’interesse pubblico;
§ viene ribadita la validità delle norme generali poste a tutela della concorrenza, stabilendo, tra l’altro, che la violazione del divieto di atti e comportamenti che costituiscano o mantengano una posizione dominante nel settore delle comunicazioni è sanzionata anche quando sia compiuta dall’impresa facente capo al titolare di cariche di Governo avvalendosi di atti posti in essere dal titolare medesimo;
§ in capo a chi assume la titolarità di cariche di Governo è posto l’obbligo di dichiarare all’Autorità garante della concorrenza e del mercato o all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per i settori di sua competenza, l’eventuale titolarità di cariche o attività incompatibili e tutti i dati relativi alle attività patrimoniali di cui sia titolare;
§ vengono definite le competenze delle succitate autorità di garanzia e i confini dei relativi poteri d’azione. Le due Autorità comunicano ogni sei mesi alle Camere, attraverso apposite relazioni, lo stato delle attività di controllo e vigilanza che sono ad esse attribuite; esse inoltre, informano il Parlamento degli accertamenti effettuati e delle eventuali sanzioni irrogate.
Successivamente all’approvazione della L. 215/2004, è intervenuto il D.L. 233/2004[132], che ha adeguato il testo della legge alle disposizioni della L. 112/2004[133], con cui sono state dettate norme di principio sull’assetto del sistema radiotelevisivo ed è stato istituito il sistema integrato delle comunicazioni (v. capitolo Il riassetto del sistema radiotelevisivo, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti).
Il quadro normativo esposto è stato completato dalle deliberazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato[134] e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[135] con le quali gli organismi, secondo quanto previsto dalla legge, hanno definito i criteri di accertamento e le procedure istruttorie relative all’applicazione della L. 215.
Le stesse Autorità hanno svolto i compiti ad esse assegnati, presentando alle Camere le relazioni previste entro i termini stabiliti[136].
Si ricorda infine che tra maggio e novembre 2005 la I Commissione della Camera ha elaborato il testo unificato di tre proposte di legge (A.C. 1567 e abb.) disciplinanti l’attività di relazione istituzionale svolta nei confronti del Parlamento e del Governo (si tratta dell’attività comunemente definita di lobbying), prevedendo l’iscrizione in appositi registri pubblici dei soggetti che intendono svolgere tale attività. L’esame in sede referente non è giunto tuttavia sino al mandato a riferire in Assemblea.
Nel corso della XIV legislatura le Camere hanno esaminato alcuni provvedimenti relativi agli strumenti di clemenza previsti dall’ordinamento – la grazia, l’amnistia e l’indulto – senza tuttavia giungere all’approvazione di nessuno di essi, ad eccezione della L. 207/2003, relativa alla sospensione condizionata della pena (il cosiddetto “indultino”).
L’esame di tali provvedimenti si inserisce nel dibattito apertosi negli ultimi anni in materia, anche in relazione alle parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II nella sua visita al Parlamento italiano il 14 novembre 2002.
In questo capitolo verranno esaminate le proposte concernenti l’attuazione dell’art. 87 Cost., sulla concessione della grazia, e la modifica dell’art. 87 Cost. relativa la legge di concessione dell’amnistia e dell’indulto.
Per quanto riguarda la L. 207/2003, si rinvia alla scheda Sospensione dell’esecuzione della pena, nel dossier relativo alla Commissione Giustizia.
Si rinvia alla scheda Grazia e amnistia – La concessione della grazia per una ricostruzione della disciplina e della procedura di concessione della grazia, nonché degli orientamenti dottrinari anteriori alla pronunzia della Corte costituzionale (v. infra) sul relativo conflitto di attribuzioni.
L’istituto della grazia, il cui potere di concessione è attribuito al Presidente della Repubblica dall’art. 87, co. 11°, Cost., è stata oggetto della proposta di legge A.C. 4237, presentata dall’on. Boato e sottoscritta da deputati appartenenti a quasi tutte le forze politiche[137].
La proposta di legge ha avuto un iter travagliato, che si è concluso con il suo rigetto da parte dell’Assemblea della Camera.
Il testo originale della proposta è volto a dare attuazione all’art. 87 Cost. abrogando le vigenti disposizioni procedurali in materia, recate dall’art. 681 del codice di procedura penale, e sostituendoli con una nuova disciplina. Il principio alla base della riforma è quello secondo cui spetta esclusivamente al Presidente della Repubblica il potere di iniziativa e di decisione in materia di grazia, potere che – nella prassi – il Capo dello Stato ha in passato condiviso con il ministro della giustizia.
I principali elementi innovativi che la proposta di legge mira ad introdurre sono i seguenti:
§ il Presidente della Repubblica concede la grazia anche in assenza di proposta;
§ il decreto presidenziale di grazia è controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri in luogo del ministro della giustizia;
§ le informazioni necessarie ai fini dell’esercizio del potere presidenziale sono raccolte dal ministro della giustizia su richiesta del Capo dello Stato, e a questi trasmesse in via riservata.
Nel corso dell’esame in sede referente presso la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera, il testo originario della proposta di legge è stato profondamente cambiato, pur mantenendo fermi alcuni dei motivi ispiratori, tra cui la centralità del ruolo del Presidente della Repubblica.
Innanzitutto, sul piano sistematico si è ricondotto la disciplina della materia nell’ambito del procedimento penale codificato, modificando l’art. 681 c.p.p. (mentre la proposta Boato prevedeva la sua abrogazione e sostituzione con una norma speciale).
In conseguenza della reviviscenza dell’art. 681, viene ristabilita una serie di passaggi procedurali connessi alla grazia, tra cui la presentazione della richiesta da parte del condannato, condizione assente nel testo della proposta originaria.
Viene, inoltre, ripristinata la controfirma del Ministro della giustizia, in quanto la Commissione ha ritenuto la controfirma del Presidente del Consiglio in radicale contraddizione con il dettato costituzionale. Infatti, l’art. 89, primo comma, Cost., richiede, ai fini della validità degli atti presidenziali, la controfirma del ministro proponente (e per gli atti sostanzialmente presidenziali, il termine “proponente” è stato sempre inteso come “competente”). La controfirma del Presidente del Consiglio dei ministri è bensì prevista, dal secondo comma dello stesso art. 89, per gli atti legislativi e per “gli altri [atti] indicati dalla legge”, ma in aggiunta (e non in sostituzione) a quella del ministro competente per materia[138].
Rimane l’affermazione del potere del Presidente della Repubblica, ma mentre il testo originale prevedeva espressamente che il Capo dello Stato “concede la grazia e commuta le pene, anche in assenza di domanda e proposta”, il nuovo testo dispone genericamente un potere di iniziativa autonomo del Presidente della Repubblica, sufficiente ad avviare il procedimento della concessione della grazia. Procedimento che viene rinnovato rispetto a quello del vigente art. 681 c.p.p. semplificandolo e rendendolo più celere.
Al momento del passaggio in Assemblea, sono emerse forti contrarietà al provvedimento nel suo complesso che hanno portato all’approvazione di alcuni emendamenti che ne hanno radicalmente mutato il contenuto, tanto da spingere alcuni dei presentatori della proposta di legge a ritirare la propria firma.
In particolare, tale cambiamento è il risultato del combinato disposto di due proposte emendative: l’una volta a riaffermare il potere di proposta del ministro della giustizia, l’altra che elimina la possibilità di iniziativa del Presidente della Repubblica.
Infine, l’Assemblea ha respinto l’articolo unico della proposta di legge che quindi, come da prassi, è stata considerata respinta nel suo complesso (Camera dei deputati, seduta 440 del 17 marzo 2004).
Lo stesso giorno in cui la Camera respingeva la proposta di legge di attuazione dell’art. 87 Cost., veniva approvato l’art. 24 del disegno di legge di riforma della parte II della Costituzione, in quel momento in corso di esame in prima lettura al Senato (A.S. 2544, A.C. 4862; sul disegno di legge, v. capitolo Riforma dell’ordinamento della Repubblica).
L’art. 24 (corrispondente all’art. 21 del testo originale) nel riformulare l’art. 89 Cost., annovera la concessione della grazia tra gli atti presidenziali per i quali non è richiesta né la proposta, né la controfirma ministeriale, accanto ad altri atti quali i messaggi alle Camere, lo scioglimento della Camera dei deputati e gli atti di nomina (dei senatori a vita, dei giudici costituzionali ecc.)
Successivamente, la Camera dei deputati ha respinto l’art. 24 (seduta del 12 ottobre 2004) ripristinando il contenuto vigente dell’art. 89 Cost. che prevede la controfirma di tutti gli atti presidenziali. Il dibattito che ha preceduto il voto si è concentrato proprio sul potere di concessione della grazia e alcuni degli oratori intervenuti hanno espresso la loro perplessità nella soppressione della controfirma ministeriale sui provvedimenti di grazia.
Le vicende parlamentari sopra sommariamente descritte sono da leggersi anche in connessione con il conflitto che ha visto opposti il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il ministro della giustizia Roberto Castelli sul caso della concessione della grazia a Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, condannati per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi compiuto a Milano nel 1972.
Il Presidente della Repubblica, dopo aver esaminato la documentazione risultante dall’istruttoria relativa alla domanda di grazia presentata da Bompressi, nel novembre 2004 comunicava al ministro della giustizia la propria determinazione di concedere la grazia e lo invitava a predisporre il relativo decreto.
In seguito al diniego opposto dal Guardasigilli, che ha ritenuto la richiesta non condivisibile “né sotto il profilo costituzionale, né nel merito”, atteso che la Costituzione porrebbe in capo al ministro della giustizia la responsabilità di formulare la proposta di grazia, il Capo dello Stato ha promosso un ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
La Corte costituzionale ha accolto il ricorso del Presidente della Repubblica e ha dichiarato che il ministro della giustizia non può impedire la prosecuzione del procedimento per la concessione della grazia. La Corte ha perciò annullato la lettera del Ministro della giustizia del 24 novembre del 2004 (sentenza 3-18 maggio 2006, n. 200).
La I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha approvato, nell’ottobre 2002, la proposta di legge costituzionale A.C. 2750 (on. Boato ed altri, sottoscritta da esponenti di quasi tutte le forze politiche) volta a modificare il primo comma dell’articolo 79 Cost.
Tale disposizione, nella riformulazione operata nel 1992, stabilisce che l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La modifica proposta prevede, invece, che le leggi in questione debbano essere approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera (senza fissare una maggioranza qualificata per l’approvazione di ciascun articolo), atteso che – secondo l’opinione dei proponenti - l’introduzione di un quorum così elevato ha di fatto impedito l’approvazione, dal 1992 ad oggi, di leggi di amnistia o di indulto, nonostante la presentazione di numerose proposte di legge in tal senso.
L’attuale formulazione dell’art. 79 Cost. risulta dalla sostituzione dell’articolo originario operata dall’art. 1 della L.Cost. 1/1992[139]. Il testo dell’articolo approvato dal Costituente e in vigore fino al 21 marzo 1992 era il seguente: “L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica su legge di delegazione delle Camere. Non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla proposta di delegazione”[140].
La proposta di legge – esaminata congiuntamente alla pdl A.C. 456 (on. Cento) volta a ripristinare l’originario procedimento costituzionale – è stata approvata senza modifiche dalla I Commissione (Affari costituzionali) della Camera il 31 ottobre 2002.
Tuttavia, l’iter parlamentare si è presto interrotto – si è registrata, infatti, una sola seduta dell’Assemblea plenaria[141], in cui si è svolta la discussione generale – a causa del mancato accordo tra le forze politiche sull’opportunità di abbassare il quorum. In particolare, le argomentazioni di coloro che sono stati contrari alla riforma dell’art. 79 Cost. si sono incentrate sulla considerazione dell’attualità dei motivi che avevano portato nel 1992 ad innalzare il quorum: l’esigenza, in primo luogo, di limitare il frequente ricorso a provvedimenti di amnistia e indulto (venti tra il 1948 e il 1991) e, inoltre, l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, con l’introduzione nell’ordinamento di riti alternativi, la cui efficacia sarebbe stata notevolmente affievolita dall’aspettativa di imminenti provvedimenti di clemenza.
La disciplina giuridica dell’immigrazione è stata oggetto, nel corso della XIV legislatura, di modifiche di rilievo ad opera della legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, la cosiddetta legge “Bossi – Fini” dal nome del ministro delle riforme istituzionali e del Vicepresidente del Consiglio dei ministri pro tempore.
La L.189/2002 è intervenuta nella regolamentazione sia dell’immigrazione economica, ossia dei cittadini stranieri che emigrano per motivi di lavoro, sia di quella originata dalla ricerca di protezione umanitaria dei richiedenti asilo. Inoltre, ha disposto una regolarizzazione dei lavoratori immigrati occupati in “nero”.
Tuttavia, mentre nel caso dell’immigrazione economica, la L.189/2002 ha inciso con una pluralità di disposizioni, coordinate tra loro, su un corpus normativo consolidato, costituito dal testo unico sull’immigrazione del 1998[142] (vedi il testo a fronte tra il D.Lgs. 286/1998 e le modifiche apportate dalla L. 189/2002), per quanto riguarda l’asilo si è trattato di un intervento dichiaratamente transitorio, volto a modificare alcuni aspetti limitati del D.L. 416/1989[143], in attesa di una più ampia e complessiva riforma del settore.
Una proposta di riforma organica dell’intera disciplina dell’asilo è stata affrontata e discussa in ambito parlamentare, senza però pervenire all’approvazione di un testo definitivo.
Le modifiche al testo unico disposte dalla L.189/2002 hanno interessato quasi esclusivamente la prima parte, concernente la disciplina dell’immigrazione in senso stretto, ossia l’insieme delle disposizioni, soprattutto di carattere amministrativo, che sovrintendono alla gestione nel complesso del fenomeno migratorio: la programmazione dei flussi, la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno, l’accesso al lavoro e le relative sanzioni in caso di violazione delle regole (v. parte II, schede Immigrazione – Le politiche di programmazione, Immigrazione – Permesso di soggiorno e Immigrazione – Contrasto dell’immigrazione clandestina).
Poche, invece, le modifiche alla seconda parte, relativa alla disciplina dell’integrazione, quella cioè volta da un lato a fissare contenuti e limiti della possibilità degli stranieri di godere dei diritti propri dei cittadini (diritti fondamentali, civili, politici) e dall’altro a promuovere l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati (v. parte II, scheda Immigrazione – Le politiche di integrazione).
Anche questo settore del diritto dell’immigrazione è stato comunque interessato da una serie di proposte di legge – il cui iter però si è interrotto con la fine della legislatura – volte ad estendere agli stranieri alcuni diritti finora a loro preclusi, è il caso del diritto di voto, oppure a garantire a tutti, indipendentemente dalla nazionalità, l’effettivo esercizio di alcuni diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, quali la libertà di religione.
Da segnalare, inoltre, l’inizio della discussione parlamentare circa la riforma dell’accesso alla cittadinanza, quale massimo strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento.
In questo settore, alcuni importanti interventi sono stati realizzati principalmente in attuazione della disciplina comunitaria: due D.Lgs., 215 e 216 del 2003, hanno recepito due direttive comunitarie contenenti disposizioni per garantire la non discriminazione a causa delle proprie origini, il primo in generale, il secondo in materia di lavoro.
Il principio ispiratore della riforma introdotta dalla L.189/2002 è di permettere la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi soltanto in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa.
Gli elementi qualificanti del provvedimento sono, in sintesi:
§ l’istituzione di un Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio dell’attuazione delle norme contenute nel testo unico sull’immigrazione, che ha il compito di facilitare la collaborazione tra le diverse amministrazioni interessate;
§ l’integrazione del cittadino extracomunitario, basata sull’effettivo inserimento nel mondo del lavoro. A tale scopo il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato è condizionato alla sottoscrizione del contratto di soggiorno. Il “contratto di soggiorno per lavoro subordinato”fra un datore di lavoro (italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia) e un cittadino extracomunitario viene stipulato presso lo sportello unico per l’immigrazionee deve contenere la garanzia – da parte del datore di lavoro – della disponibilità di un’adeguata sistemazione alloggiativa per il dipendente e l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza. Viene soppressa la possibilità di ingresso nel territorio dello Stato ai fini dell’introduzione nel mondo del lavoro, ipotesi prevista dal testo unico attraverso la stipulazione di contratti di “sponsorizzazione”;
§ la programmazione di attività di formazione professionale e istruzione da svolgersi nei Paesi di origine, la cui partecipazione costituisce titolo di preferenza per l’inserimento nel mercato del lavoro italiano;
§ al fine di contrastare le immigrazioni clandestine e i relativi traffici, è stato ridisegnato nel suo complesso l’apparato delle sanzioni penali recate dal testo unico ed è stato generalizzato il ricorso all’espulsione mediante accompagnamento coatto alla frontiera, capovolgendo l’impostazione previgente che indicava nell’intimazione a lasciare il territorio dello Stato la forma ordinaria di esecuzione dell’espulsione, mentre l’accompagnamento forzato era limitato ad alcuni casi specifici;
§ la modifica di vari aspetti procedurali della tutela giurisdizionale nei confronti del decreto di espulsione e l’inasprimento delle pene per lo straniero espulso che rientri illegalmente nel territorio dello Stato;
§ la nuova disciplina prevede che allo straniero che richiede il permesso di soggiorno o il rinnovo dello stesso sono rilevate le impronte digitali;
§ la modifica della disciplina dei ricongiungimenti familiari, introducendosi alcune limitazioni alle fattispecie di ricongiungimento in precedenza vigenti;
§ l’aumento da 5 a 6 anni del periodo di residenza legale in Italia per fare richiesta della carta di soggiorno, documento a validità illimitata che sostituisce il permesso di soggiorno a rinnovo annuale.
La riforma è diventata pienamente operativa con l’adozione di una serie di provvedimenti attuativi, adottati tra il 2003 e la fine del 2004, previsti dalla legge stessa. Si tratta di:
§ un regolamento generale contenente, tra l’altro, la disciplina del funzionamento dello sportello unico dell’immigrazione (D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, che modifica il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394);
§ un regolamento concernente le modalità di coordinamento tra le amministrazioni che hanno competenza in materia di immigrazione (D.P.R. 6 febbraio 2004, n. 100);
§ un regolamento per la creazione di una rete informatica in materia di immigrazione e di asilo (D.P.R. 27 luglio 2004, n. 242);
§ un regolamento sulle norme in materia di diritto di asilo (D.P.R. 16 settembre 2004, n. 303);
§ un decreto sulle modalità dell’intervento delle navi della marina militare per contrastare gli sbarchi di clandestini (decreto del Ministro dell’interno 14 luglio 2003).
La L.189/2002 ha, inoltre, previsto la regolarizzazione dei cittadini stranieri in posizione irregolare che svolgono le mansioni di collaboratori domestici e di prestatori di assistenza familiare. Con un provvedimento di poco posteriore, il D.L. 195/2002[144], la possibilità di legalizzazione è stata estesa anche agli altri lavoratori (v. parte II, scheda Immigrazione – La regolarizzazione).
In base ai due provvedimenti sono stati regolarizzati nel corso del 2003 oltre 630.000 lavoratori stranieri, su circa 700.000 istanze presentate.
Come si è accennato, la L.189/2002 è intervenuta su numerosi aspetti relativi al regime delle espulsioni. Successivamente, il D.L. 241/2004[145] ha modificato ulteriormente la disciplina in materia, a seguito di due sentenze della Corte costituzionale (la n. 222 e la n. 223 del 2004), prevedendo in primo luogo la sospensione dell’esecuzione dell’espulsione fino alla conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida (la cui competenza passa dal giudice monocratico al giudice di pace) del provvedimento di espulsione e, inoltre, un aggravamento della pena a carico degli stranieri che non osservino l’intimazione del questore di allontanarsi dal territorio nazionale e vi permangano illegalmente.
Nuove norme in materia di espulsioni degli stranieri sono state introdotte dall’art. 3 del D.L. 144/2005[146] (adottato dopo gli attentati di Londra del luglio 2005) che, tra l’altro, ha introdotto la nuova fattispecie di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo, sottoposta in parte ad un regime diverso dalle altre forme di espulsione (v. parte II, scheda Antiterrorismo – Il decreto-legge n. 144 del 2005).
Le L.189/2002 ha introdotto una procedura semplificata per il riconoscimento del diritto di asilo, garantendo la tutela da discriminazioni di qualsiasi tipo, ma al tempo stesso evitando che l’asilo sia impropriamente utilizzato per aggirare le disposizioni sull’immigrazione. Vengono istituite a questo scopo – presso le prefetture-uffici territoriali del Governo – le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato con il compito di esaminare le domande dei richiedenti asilo.
La I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha approvato un progetto di riforma – frutto dell’esame di sei proposte di legge di iniziativa parlamentare - volta a definire una disciplina organica del diritto di asilo (A.C. 1238-A). La proposta, per la quale è iniziato l’esame in Assemblea, da attuazione all’art. 10 Cost. che garantisce il diritto dell’asilo politico agli stranieri. In particolare, vengono definite la composizione e i compiti delle Commissioni territoriali e della Commissione centrale per il riconoscimento del diritto di asilo; sono individuati in dettaglio le modalità per la presentazione e l’esame delle domande di asilo, e vengono stabilite misure di assistenza e di integrazione (v. parte II, scheda Immigrazione – Diritto d’asilo e status di rifugiato).
Si è fermato alla fase di comitato ristretto l’esame di otto proposte di legge di revisione costituzionale, tutte di iniziativa parlamentare ad eccezione di una di iniziativa regionale, volte a concedere il diritto di voto agli immigrati regolari (A.C. 1464, 1616, 2374, 2540, 4326, 4397, 4406 e 4510).
Le proposte di legge, integrando la disciplina recata dall’articolo 48 della Costituzione in materia di titolarità e di esercizio del diritto di voto, estendono agli stranieri il diritto all’elettorato attivo (e in alcuni casi anche di quello passivo) in via generale, rimettendo alla legge ordinaria l’individuazione di limiti, requisiti e modalità; alcune delle proposte limitano tale estensione al voto amministrativo ed introducono direttamente specifici requisiti soggettivi (v. parte II, scheda Immigrazione – Il diritto di voto degli stranieri).
La questione dell’estensione del diritto di voto degli stranieri è strettamente collegata alla modifica della disciplina relativa alla cittadinanza italiana, in quanto l’agevolazione della concessione della cittadinanza comporta automaticamente l’estensione agli immigrati dei diritti politici.
E, infatti, parallelamente alla discussione sul diritto di voto degli immigrati, si sono svolti i lavori parlamentari sulla revisione della disciplina della cittadinanza, considerato, da parte di alcune forze politiche, quale strumento da privilegiare per l’accesso al voto (v. parte II, scheda Immigrazione – L’accesso alla cittadinanza).
Il testo unificato delle proposte di legge A.C. 204-A e abbinate, di iniziativa parlamentare, intende agevolare l’acquisto della cittadinanza per gli stranieri legalmente e continuativamente residenti in Italia e attribuire la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri residenti da lungo tempo nel nostro Paese. Viene, invece, aggravato il procedimento per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio.
Il testo della progetto ha iniziato l’esame dell’Assemblea della Camera, dove si è svolta la discussione generale il 16 maggio 2005, ma il giorno successivo ne è stato deliberato il rinvio in Commissione, dietro richiesta del rappresentante del Governo, “al fine di consentire a tutti i gruppi politici di approfondire più compiutamente le rispettive posizioni”.
Non ha, invece, superato la fase dell’esame in sede referente la proposta di legge costituzionale A.C. 4786 (on. Bressa ed altri) volta a modificare l’art. 48 Cost. introducendo quale requisito per il riconoscimento della cittadinanza l’effettiva partecipazione alla vita economica, sociale e politica del Paese. Nella seduta del 28 aprile 2004 fu nominato un comitato ristretto; si procedette inoltre a varie audizioni informali.
Nella XIV legislatura è stata realizzata una pluralità di interventi legislativi, di rango costituzionale e ordinario, finalizzati alla promozione del principio di pari opportunità tra donne e uomini e alla tutela del principio di non discriminazione.
La questione del principio della parità tra i sessi è stata in primo luogo affrontata con riguardo al tema della promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive, con l’obiettivo di incrementare il tasso di partecipazione femminile alla vita politica e istituzionale del Paese.
Un intervento normativo di rilievo, in materia, è costituito dalla modifica apportata all’art. 51, primo comma, della Costituzione: tale disposizione, che stabilisce il principio della parità dei sessi nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive è stata integrata dalla L.Cost. 1/2003[147] nel senso di prevedere l’adozione di appositi provvedimenti per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini (v. parte II, scheda Pari opportunità – La modifica dell’art. 51 Cost.).
La novella costituzionale, che porta a compimento un percorso politico e legislativo avviatosi nella XIII legislatura, consente di completare con l’aggiunta del livello statale, quanto già previsto per l’ordinamento delle Regioni ordinarie e a statuto speciale.
Giova ricordare, infatti, che la L.Cost. 2/2001[148], relativa all’elezione diretta dei Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, ha introdotto disposizioni finalizzate alla promozione della parità di accesso alle consultazioni elettorali con l’espressa finalità di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi; inoltre, l’articolo 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato dalla L.Cost. 3/2001[149], stabilisce che le leggi regionali debbano rimuovere ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Con la rinnovata disposizione costituzionale viene fornita una copertura costituzionale all’introduzione di “azioni positive” volte a incoraggiare l’accesso del sesso sottorappresentato alle funzioni pubbliche e alle cariche elettive. Al rispetto dell’uguaglianza in senso formale, già imposto dal primo periodo dell’art. 51 Cost. che esclude differenziazioni in base al sesso, si aggiunge ora la prefigurazione di interventi positivi volti a realizzare sostanzialmenteil principio della parità di accesso, attraverso la rimozione di quelle cause di squilibrio che hanno finora impedito l’uguaglianza delle condizioni di partenza.
Una prima attuazione del nuovo disposto dell’art. 51 della Costituzione nella legislazione ordinaria si rinviene nella L. 90/2004[150], modificativa della legge per l’elezione di membri del Parlamento europeo: con esclusivo riferimento alle elezioni europee e limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge, la novella introduce il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e stabilisce che nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista.
Per i movimenti o partiti politici che non abbiano rispettato questa disposizione si prevede una riduzione del contributo alle spese elettorali corrisposto dallo Stato, mentre viene attribuito un premio per i partiti o gruppi politici per i quali la quota dei candidati eletti di ciascuno dei due sessi sia superiore ad un terzo del totale dei candidati eletti (si v. la parte II, scheda Pari opportunità - Altri provvedimenti e iniziative).
Disposizioni analoghe a quelle vigenti per l’elezione del Parlamento europeo sono state previste anche per le elezioni politiche e amministrative dal disegno di legge del Governo recante “Disposizioni in materia di pari opportunità tra uomini e donne nell’ accesso alle cariche elettive” (c.d. “quote rosa”), approvato l’8 febbraio 2006 dal Senato in prima lettura (S. 3660). Lo scioglimento anticipato delle Camere, avvenuto l’11 febbraio, non ha consentito alla Camera dei deputati di procedere all’esame del provvedimento (v. parte II, scheda Pari opportunità – Altri provvedimenti e iniziative).
Sulla base della norma di delega da ultimo contenuta nell’art. 6 della L. 246/2005[151] che ha demandato al Governo il compito di procedere al riassetto normativo delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunità, il Governo ha adottato uno schema di decreto legislativo (n. 602) recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Il testo – trasmesso alle competenti commissioni parlamentari ai fini dell’espressione del parere che, tuttavia, non è stato reso – è volto a raccogliere e semplificare tutta la normativa statale sull’uguaglianza dei sessi vigente nei vari settori della vita politica, sociale ed economica. Secondo quanto previsto dalla norma di delega, l’azione di riassetto normativo è stata estesa anche alla legislazione relativa al contrasto di ogni forma di discriminazione basata, oltre che sul sesso, anche sulla razza o l’origine etnica (v. parte II, scheda Pari opportunità – Altri provvedimenti e iniziative).
Con riferimento al diverso e collegato profilo della promozione delle pari opportunità sul luogo di lavoro, ambito nel quale, nel corso degli anni, il legislatore ha provveduto a creare una serie di strumenti per contrastare le discriminazioni e promuovere l’occupazione femminile, nella XIV legislatura, con specifico riguardo al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, si segnala l’approvazione della L. 145/2002[152], di riordino della dirigenza statale, che ha esteso espressamente anche alla dirigenza le forme di tutela della parità dei sessi nella pubblica amministrazione previste nel testo unico sul pubblico impiego[153] (v. parte II, scheda Pari opportunità – Altri provvedimenti e iniziative) .
Un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro è stato stabilito dal D.Lgs. 216/2003[154], che recepisce la normativa comunitaria di tutela contro ogni forma di discriminazione legata all’orientamento sessuale, alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età; mentre più di recente il D.Lgs. 145/2005[155] dà attuazione alla normativa comunitaria sull’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne con riguardo all’accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionali e alle condizioni di lavoro (v. capitolo Parità di trattamento nel lavoro, nel dossier relativo alla Commissione Lavoro).
La legge comunitaria per il 2005[156] ha poi previsto nell’allegato B l’autorizzazione al recepimento della direttiva 2004/1137CE, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
Con riguardo, infine, ai profili organizzativi, si rammenta che il D.Lgs. 226/2003[157] ha operato una riforma complessiva della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna[158], operante dal 1984 presso il Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio quale organo consultivo e di proposta di iniziative, anche di tipo legislativo, per assicurare l’uguaglianza tra i sessi.
In materia di non discriminazione un complesso organico di disposizioni è stato introdotto dai decreti legislativi 215 e 216 del 2003, entrambi di attuazione comunitaria, volti a tutelare la parità di trattamento tra le persone, il primo in via generale, il secondo, come già ricordato in precedenza, per quanto riguarda specificatamente le condizioni di lavoro (v. capitolo Parità di trattamento nel lavoro, nel dossier relativo alla Commissione Lavoro).
Il D.Lgs. 215/2003[159], in particolare, recepisce la direttiva 2000/43/CE e reca disposizioni relative alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, prevedendo le misure necessarie ad evitare che le differenze di razza o etnia siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere su donne e uomini e sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso (v. parte II, scheda Non discriminazione – Il decreto legislativo n. 215 del 2003).
In attuazione di una specifica disposizione del D.Lgs. n. 215, nell’ambito del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio è stato istituito[160] l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, con funzioni di controllo e garanzia dell’effettività del principio di parità di trattamento e di vigilanza sull’operatività degli strumenti di tutela approntati contro le discriminazioni.
Di poco preceduto dal D.P.C.M. 453/2001[161], recante il regolamento generale di disciplina per gli obiettori di coscienza, nella prima parte della XIV legislatura è intervenuto il D.Lgs. 77/2002[162] che, dando attuazionealla delega recata dalla L. 64/2001[163], ha disciplinato il Servizio civile nazionale, definendo in particolare:
§ gli organi competenti in materia,
§ i requisiti e le modalità di accesso e di svolgimento del servizio,
§ la programmazione e gestione delle risorse finanziarie,
§ la natura del rapporto di servizio civile ed il relativo trattamento economico e giuridico,
§ la formazione dei giovani assegnati al servizio civile,
§ la valorizzazione del servizio prestato ai fini dello sviluppo formativo e dell’inserimento nel mondo del lavoro,
§ la disciplina del periodo transitorio.
In correlazione con tale disciplina, l’art. 3 della L. 3/2003[164], di poco successiva, sopprimeva l’Agenzia per il servizio civile (prevista dall’art. 10, co.7-9, del D.Lgs. 303/1999[165], ma di fatto mai istituita), con ciò confermando il mantenimento dei compiti di organizzazione, attuazione e svolgimento del Servizio civile in capo all’Ufficio nazionale per il servizio civile, istituito presso la Presidenza del Consiglio. I D.P.R. 31 luglio 2003 e 12 dicembre 2003 provvedevano in seguito alla riorganizzazione di tale ufficio.
Fatte salve alcune disposizioni, il complesso delle norme recate dal D.Lgs. 77/2002 era destinato ad entrare in vigore dal 1° giugno 2004, ma il termine è stato prorogato, da ultimo, al 1° gennaio 2006 dal D.L. 266/2004[166]; fanno eccezione – secondo quanto disposto dal medesimo D.L. – le norme relative all’ammissione e alla durata del servizio civile, destinate ad entrare in vigore il 1° gennaio 2005.
Successivamente, l’art. 12 del D.L. 115/2005[167], nel disporre la cessazione anticipata del servizio militare di leva a decorrere dal 1º luglio 2005 (testualmente, la data è riferita alla presentazione della relativa domanda; v. capitolo Leva: sospensione e professionalizzazione, nel dossier relativo alla Commissione Difesa), disponeva analogamente che anche il personale che svolge servizio civile sostitutivo (ex art. 1, co. 104, della L. 662/1996) potesse presentare domanda per cessare anticipatamente dal servizio, a decorrere dalla medesima data.
Modifiche e integrazioni a vari aspetti della disciplina recata dal D.Lgs. 77/2002 sono state introdotte dal citato D.L. 266/2004[168] e, più ampiamente, dal successivo D.L. 7/2005[169].
Nel corso della XIV legislatura la Camera ha discusso un disegno di legge di iniziativa governativa[170] (v. parte II, scheda Libertà religiosa – Il progetto di riforma) recante norme in materia di libertà religiosa che riproduce, con alcune modifiche, il testo di un progetto di legge del Governo non pervenuto ad approvazione definitiva nella XIII legislatura[171].
La Commissione affari costituzionali ha approvato un primo testo il 9 aprile 2003; il 24 giugno 2003 l’Assemblea ne ha deliberato il rinvio in Commissione per ulteriori approfondimenti; la Commissione ha quindi concluso l’esame in sede referente il 13 aprile 2005 (A.C. 2531 e abb. – A/R); il progetto è rimasto in stato di relazione per l’Assemblea al momento dello scioglimento delle Camere.
Superando la dizione di “culti ammessi nello Stato”, rappresentativa della concezione, fatta propria dalla L. 1159/1929[172], basata non sul principio della libertà religiosa, ma su quello della tolleranza dello Stato rispetto alla presenza di determinati culti, il progetto di legge mira a sostituire integralmente la disciplina sui culti diversi da quello cattolico, facente capo essenzialmente alla normativa del 1929 e ancora applicata alle confessioni con le quali lo Stato italiano non ha stipulato intese.
Esso intende dare attuazione ai princìpi della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale in materia, con particolare riferimento all’art. 8[173], il quale, oltre a sancire il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose, riconosce alle confessioni religiose diverse da quella cattolica il diritto di organizzarsi sulla base dei propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
Il testo approvato dalla I Commissione persegue essenzialmente tre obiettivi:
dettare i princìpi generali in materia di libertà di coscienza e di religione;
definire la posizione giuridica delle confessioni e associazioni religiose;
dotare di una base legislativa la materia della stipulazione delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose, finora disciplinata soltanto dalla prassi, definendo un quadro certo di norme di principio.
Assume particolare rilievo nel testo la garanzia, riconosciuta a tutti, della libertà di coscienza e di religione quale diritto fondamentale della persona, richiamando quali fonti i princìpi della Costituzione, le convenzioni sui diritti inviolabili dell’uomo ratificate dall’Italia e i princìpi del diritto internazionale.
Questi gli elementi significativi del progetto di legge:
§ il diritto di manifestazione della libertà di religione, intesa come diritto a professare la propria fede religiosa, a diffonderla, ad osservarne i riti, ad esercitare il culto, nonché a mutare religione oppure a non averne alcuna;
§ il divieto di discriminazioni connesse a motivi religiosi, il diritto di riunione e di associazione per finalità di religione o di culto, e il diritto alla obiezione di coscienza;
§ la garanzia dell’esercizio della libertà religiosa per i soggetti che si trovano in particolari condizioni (appartenenti alle forze armate e di polizia, degenti in ospedale, detenuti), sui luoghi di lavoro e nell’ambito dell’insegnamento scolastico;
§ il riconoscimento della libertà di esercitare le proprie funzioni spirituali anche ai ministri dei culti per i quali non è stata ancora stipulata intesa con lo Stato, a condizione che, quando pongano in essere atti aventi rilevanza giuridica per lo Stato italiano, siano in possesso della cittadinanza italiana e la loro nomina sia stata approvata preventivamente dal ministro dell’interno;
§ la definizione delle procedure per la celebrazione del matrimonio con effetti civili, che vengono riconosciuti a condizione che siano celebrati nell’osservanza delle disposizioni dettate e che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile;
§ l’affermazione del principio secondo cui l’insegnamento nelle scuole pubbliche deve svolgersi nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione;
§ la libertà di attività connesse alla vita religiosa, quali la pubblicazione e affissione di stampati, e la tutela degli edifici di culto.
Con riferimento al divieto di discriminazioni per motivi religiosi, in attuazione della disciplina comunitaria, i D.Lgs. n. 215[174] e 216[175] del 2003, hanno recepito due direttive comunitarie che recano alcune disposizioni per garantire la non discriminazione, il primo in generale, il secondo nel campo del lavoro, a causa della razza o dell’origine etnica, anche in un’ottica che tenga conto dell’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso (v. parte II, scheda Non discriminazione – Il decreto legislativo n. 215 del 2003 e scheda Parità nel lavoro – Il decreto legislativo n. 216 del 2003, nel dossier relativo alla Commissione Lavoro).
Gli artt. da 7 a 10 della L. 85/2006[176] modificando le disposizioni del codice penale concernenti i delitti contro la religione, e i particolare gli artt. da 403 a 406, hanno provveduto nel complesso a convertire quasi tutte le pene detentive ivi previste in pene pecuniarie e ad equiparare sostanzialmente alla confessione cattolica le altre confessioni religiose (v. infra, paragrafo La giurisprudenza della Corte costituzionale e v. scheda Reati di opinione, nel dossier relativo alla Commissione Giustizia).
Per quanto riguarda la disciplina delle confessioni e associazioni religiose, il testo prevede una tutela generale comune a tutte le confessioni, nell’ambito della quale sono compresi il diritto di celebrare i propri riti, di aprire edifici di culto, di diffondere la propria fede, di formare e nominare i ministri di culto, nel rispetto dei diritti e delle libertà delle altre confessioni. Tali diritti possono essere sottoposti unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico e della sanità pubblica, della morale pubblica o degli altrui diritti e libertà fondamentali.
Inoltre, il progetto disciplina le forme di tutela e i benefici (anche di natura fiscale) cui possono accedere le confessioni che chiedono ed ottengono il riconoscimento della personalità giuridica, nonché i requisiti e la procedura del riconoscimento
Nel procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica è previsto, tra l’altro, il parere preventivo del Consiglio di Stato, il quale, nel formulare il proprio parere anche sul carattere confessionale dell’organizzazione richiedente, accerta, in particolare, che lo statuto e l’attività della confessione religiosa non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano e che lo statuto non contenga disposizioni lesive dei diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali.
Di rilievo è la posizione del divieto di svolgere propaganda politica consistente nell’incitamento all’odio e alla discriminazione tra le confessioni religiose.
Il testo definisce infine le procedure per la stipulazione delle intese fra lo Stato e le confessioni religiose. Il procedimento previsto ricalca sostanzialmente quello utilizzato nella prassi (v. parte II, scheda Libertà religiosa – La stipulazione delle intese), con la notevole differenza che a tale procedimento possono avere accesso anche le confessioni che non abbiano richiesto il riconoscimento della personalità giuridica. Merita una segnalazione la previsione del coinvolgimento delle Camere nel procedimento per la stipulazione delle intese: sul progetto di intesa, dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri e prima della firma dell’intesa, viene acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti.
Sul finire della legislatura, la Commissione affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame di due disegni di legge di iniziativa del Governo volti a recepire alcune circoscritte modifiche alle intese già stipulate con due confessioni religiose. Entrambi i provvedimenti non sono giunti all’esame dell’Assemblea.
A conferma del sostanziale accordo su di essi, durante l’esame presso la Commissione affari costituzionali non sono stati presentati emendamenti ad alcuno dei due provvedimenti; il 2° dicembre 2005 essi sono stati trasmessi alle Commissioni competenti per l’espressione dei prescritti pareri.
Il disegno di legge A.C. 5983, mediante una modifica della legge 409/1993[177] con cui è stata approvata l’Intesa tra il Governo italiano e la Tavola valdese stipulata il 25 gennaio 1993, intende consentire a tale confessione religiosa, che già gode del beneficio della destinazione dell’8 per mille del gettito dell’imposta sui redditi limitatamente alle scelte precisate in suo favore dai contribuenti, di partecipare anche alla ulteriore suddivisione delle somme derivanti da quei contribuenti che non hanno espresso alcuna preferenza.
La Tavola valdese infatti attualmente non partecipa, secondo quanto stabilisce espressamente la L. 409/1993, all’attribuzione della quota dell’8 per mille relativa ai contribuenti che non hanno operato alcuna scelta in sede di dichiarazione dei redditi in merito alla destinazione di tale quota, rimanendo gli importi relativi di pertinenza dello Stato.
Il disegno di legge A.C. 5085 modifica l’Intesa tra il Governo italiano e L’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (approvata con L. 516/1988[178]) al fine di riconoscere anche le lauree in teologia rilasciate, dopo un corso di studi quinquennale, dall’Istituto avventista di cultura biblica.
La normativa vigente già prevede che presso lo stesso Istituto possano essere conseguiti, al termine di un corso tre anni, diplomi in teologia e cultura biblica: con la modifica proposta, l’Istituto verrebbe ad adeguarsi alle tipologie previste dall’ordinamento universitario italiano per i titoli di primo livello – laurea – e di secondo livello – laurea specialistica – .
Con riferimento al principio di laicità dello Stato e con l’intento di eliminare, perché ritenute ingiustificate, le differenze di tutela penale del sentimento religioso, la Corte costituzionale si è pronunciata più volte, nel corso della legislatura.
La sentenza n. 327 del 2002 ha dichiarato illegittimo l’articolo 405 del codice penale che, in relazione al reato di “turbamento di funzioni religiose del culto cattolico”, prevede sanzioni più gravi rispetto all’analogo reato commesso contro uno degli altri culti “ammessi” dallo Stato (art. 406 c.p.).
La Corte ha preliminarmente ricordato che l’esigenza di una unificazione del trattamento sanzionatorio ai fini di una eguale protezione del sentimento religioso, che è imposta dai principî costituzionali, è stata già affermata nella sentenza n. 329 del 1997.
Applicando i medesimi principî, già enucleati in quella sentenza, al caso sottoposto al suo esame, la Corte ha giudicato una discriminazione costituzionalmente inaccettabile un differente grado di protezione del sentimento religioso a seconda del culto: “il principio fondamentale di laicità dello Stato, che implica equidistanza e imparzialità verso tutte le confessioni, non potrebbe tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti diversi da quello cattolico, sia ritenuto meno grave di quello di chi compia i medesimi fatti ai danni del culto cattolico”.
Proseguendo nel proprio orientamento, con la sentenza n. 168 del 2005 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 403, primo e secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice qualora i medesimi fatti sono commessi “contro un culto ammesso nello Stato”.
La Corte, dopo aver richiamato le precedenti sentenze n. 329 del 1997 e n. 508 del 2000, ha ribadito che “le esigenze costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso che sottostanno alla equiparazione del trattamento sanzionatorio per le offese recate sia alla religione cattolica, sia alle altre confessioni religiose […] sono riconducibili, da un lato, al principio di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di religione sancito dall’art. 3 Cost., dall’altro al principio di laicità o non-confessionalità dello Stato, che implica, tra l’altro, equidistanza e imparzialità verso tutte le religioni, secondo quanto disposto dall’art. 8 Cost., ove è appunto sancita l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge”.
A proposito del problema della qualificazione delle confessioni religiose, la sentenza n. 346 del 2002 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale di una disposizione di una legge della Regione Lombardia, che prevede benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato.
La Corte ha così motivato la decisione: “le intese di cui all’art. 8, terzo comma, Cost. sono lo strumento previsto dalla Costituzione per la regolazione dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli aspetti che si collegano alle specificità delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune: non sono e non possono essere, invece, una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione, loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8, né per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose”.
Ciò – secondo la Corte – è tanto più vero in una situazione normativa in cui la stipulazione delle intese è rimessa non solo alla iniziativa delle confessioni interessate (le quali potrebbero anche non voler ricorrere ad esse, avvalendosi solo del generale regime di libertà e delle regole comuni stabilite dalle leggi), ma anche, per altro verso, al consenso prima del Governo – che non è vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda l’obbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare l’intesa – e poi del Parlamento, cui spetta deliberare le leggi che, sulla base delle intese, regolano i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato.
Pertanto, ha concluso la Corte, vale in proposito il divieto di discriminazione, sancito in generale dall’art. 3 della Costituzione e ribadito, per quanto qui interessa, dall’art. 8, primo comma. Ne risulterebbe, in caso contrario, violata anche l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto, di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario, e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza la possibilità delle diverse confessioni di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge in esame.
Il ministro dell’interno Pisanu ha in pi occasioni sottolineato l’esigenza di valutare attentamente i problemi derivanti dalla sempre crescente presenza nel nostro Paese di immigrati provenienti da aree culturali molto diverse e di governare in termini di integrazione e non di conflitto i rapporti con cittadini di culti diversi da quello cattolico[179].
In relazione all’attuale situazione caratterizzata da una costante minaccia del terrorismo internazionale e del fanatismo integralista religioso, il ministro, con una circolare del proprio Gabinetto del 23 settembre 2004[180], ha posto in rilievo l’esigenza essenziale di favorire nel nostro Paese il dialogo tra le diverse religioni presenti, in particolare quella islamica, e la convivenza tra culture diverse, promuovendo iniziative concrete: ciò costituisce un obiettivo primario proprio al fine di precludere ogni spazio di proselitismo al fanatismo integralista religioso.
Tale è stata la motivazione posta alla base dell’iniziativa sul “Dialogo interreligioso quale fattore di coesione sociale” promossa durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea e che ha portato all’adozione di un’apposita Dichiarazione dei Ministri dell’interno dell’Unione europea[181].
A livello nazionale, anche in considerazione della specificità e consistenza della comunità di fede islamica (circa un milione di persone[182]), con decreto ministeriale 10 settembre 2005[183] è stata istituita la Consulta per l’Islam italiano, un organo centrale consultivo che si pone l’obiettivo di avviare un dialogo istituzionale con le componenti musulmane presenti in Italia e di agevolare la costruzione di un Islam italiano, fondato sui propri valori religiosi e culturali, ma anche sulla piena accettazione degli ordinamenti politici e delle leggi italiane.
La Consulta ha iniziato il proprio lavoro decidendo di dedicare specifiche riunioni all’approfondimento dei principali problemi del dialogo interreligioso e dell’integrazione, assegnando particolare importanza ai temi della scuola, della casa, del lavoro, della cittadinanza, della famiglia, la formazione degli imam, della corretta informazione[184].
Oltre a quelle specificamente illustrate in altre parti del presente dossier (v. in particolare i capitoli Immigrazione, asilo e cittadinanza, Pari opportunità e non discriminazione, Attuazione del Servizio civile, Iniziative in materia di libertà religiosa), varie iniziative legislative strettamente attinenti alla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali hanno avviato il loro iter alla Camera o al Senato, senza tuttavia concluderlo entro il corso della XIV legislatura.
Alcune di esse si configurano come modifiche a norme di rango costituzionale: ci si riferisce principalmente al testo unificato delle proposte di legge A.C. 1436 ed abb., mirante ad espungere dall’art. 27 Cost. la residua possibilità di reintroduzione della pena di morte nelle leggi militari di guerra (al riguardo, v. parte II, scheda Iniziative costituzionali – Pena di morte (art. 27)).
Tra le iniziative legislative ordinarie, si ricordano in particolare le seguenti.
Il 30 luglio 2003 la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera iniziava l’esame congiunto in sede referente di tre proposte di legge di iniziativa parlamentare[185] (due delle quali sottoscritte da esponenti dell’opposizione) miranti ad istituire e disciplinare la figura del difensore civico delle persone private della libertà personale.
L’11 dicembre 2003 la Commissione nominava un comitato ristretto, in esito ai lavori del quale il relatore (on. Palma) proponeva un testo unificato che la Commissione adottava come testo base nella seduta del 27 gennaio 2004. Al testo venivano apportati, nel prosieguo dell’esame, vari emendamenti, anche in esito ai pareri espressi dalla Commissione bilancio che, in più occasioni[186], aveva sollevato rilievi concernenti la copertura degli oneri finanziari.
L’esame in Commissione si concludeva il 20 ottobre 2005 con il mandato a riferire favorevolmente in Assemblea. Quest’ultima tuttavia non andava oltre lo svolgimento della discussione sulle linee generali (seduta del 27 ottobre 2005).
Il testo unificato licenziato dalla Commissione (A.C. 411 e abb.-A) istituisce un’autorità indipendente, denominata Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e configurata quale organo collegiale, composto dal presidente, nominato d’intesa dai Presidenti delle due Camere, e da quattro membri eletti, a maggioranza assoluta dei componenti e con voto limitato, in numero di due dal Senato e in numero di due dalla Camera.
Al Garante dei diritti sono attribuiti (in concorso con il magistrato di sorveglianza) compiti di vigilanza sul rispetto delle norme concernenti l’esecuzione della custodia poste a tutela dei detenuti, degli internati e dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere, e di verifica sull’idoneità delle relative strutture edilizie pubbliche a salvaguardarne la dignità. Il Garante può adottare determinazioni anche in risposta alle istanze e ai reclami che gli vengano rivolti dagli internati e dai detenuti.
A tal fine sono attribuiti al Garante pregnanti poteri di indagine e di impulso: visitare, senza necessità di autorizzazione, gli istituti di pena e le strutture assimilate (nonché i i centri di permanenza temporanea e assistenza per immigrati); prendere visione del fascicolo della persona privata della libertà (col consenso di questa); richiedere informazioni e documentazione alle amministrazioni responsabili; formulare specifiche raccomandazioni alle amministrazioni medesime le quali, se disattendono la richiesta, devono comunicare il loro dissenso motivato nel termine di 30 giorni.
Il Garante può rivolgersi al magistrato di sorveglianza nei casi e modi previsti dal progetto di legge; ha l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria i fatti costituenti reato dei quali venga a conoscenza; presenta al Parlamento una relazione annuale sull’attività svolta.
Le Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e III (Affari esteri) della Camera hanno esaminato, tra l’ottobre 2002 e l’ottobre 2003, cinque progetti di legge (uno governativo e quattro di iniziativa parlamentare) recanti l’autorizzazione alla ratifica e varie norme di esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie[187], fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992. Il testo unificato (A.C. 1723 e abb.) licenziato in sede referente è stato approvato, con modifiche, dalla Camera il 16 ottobre 2003 e trasmesso al Senato.
Le Commissioni riunite 1ª e 3ª del Senato ne ultimavano l’esame in sede referente il 28 febbraio 2006; ma il successivo 1° marzo l’Assemblea ne deliberava il rinvio in Commissione.
La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è volta alla protezione e alla promozione delle lingue regionali e minoritarie storicamente radicate: essa reca anzitutto obiettivi e principi che impegnano le Parti con riferimento a tutte le lingue regionali o minoritarie esistenti sul loro territorio: è anzitutto sancito il rispetto dell’area geografica di diffusione di ciascuna di tali lingue, assieme alla necessità di una loro promozione, orale e scritta, nei vari campi della vita sociale (insegnamento, giustizia, attività della pubblica amministrazione, media ed attività culturali). All’atto della ratifica, i Paesi si impegnano all’applicazione di un numero ben preciso di misure, tra cui alcune considerate irrinunciabili, e devono enunciare esattamente a quali lingue intendono applicare quelle misure.
Il testo unificato approvato dalla Camera, oltre all’autorizzazione alla ratifica ed alla consueta clausola di esecuzione, precisa che le disposizioni della Carta si applicheranno alle lingue di cui all’art. 2 della L. 482/1999[188], recante Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, nei limiti e con le modalità dettagliatamente indicati in apposito allegato alla legge.
Ulteriori disposizioni concernono la diffusione delle lingue friulana e sarda a mezzo del servizio pubblico radiotelevisivo e l’istituzione di una Consulta Stato-minoranze linguistiche.
La I Commissione della Camera ha dedicato varie sedute (tra il marzo e il maggio 2004) all’esame in sede referente di una proposta di legge (A.C. 4295, Zeller) volta a modificare in senso meno restrittivo le norme di cui agli artt. 18 ss. del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 773/1931), che regolano le modalità e i limiti dell’esercizio del diritto di riunione, sancito dall’art. 17 della Costituzione.
Il 25 novembre 2003 la 1ª Commissione del Senato ha licenziato per l’Assemblea (che ne ha iniziato l’esame nell’ottobre 2004) un disegno di legge recante una delega al Governo per l’emanazione di un testo unico delle disposizioni legislative concernenti la minoranza slovena della regione Friuli-Venezia Giulia (A.S. 2431). Deleghe analoghe erano previste dall’art. 6 della della L. 38/2001[189] e quindi dall’art. 9 della L. 137/2002, ma non sono state esercitate.
Nella XIV legislatura gli interventi legislativi relativi all’assetto ed all’organizzazione dei ministeri assumono essenzialmente la forma di interventi integrativi e correttivi, di carattere puntuale, della riforma intervenuta nella precedente legislatura con l’approvazione del D.Lgs. 300/1999[190], il quale trae origine dalla L. 59/1997[191] (così detta “legge Bassanini 1”).
All’inizio della legislatura il primo intervento, che appare anche quello di più ampia portata, è dato dal decreto-legge 12 giugno 2001, n. 217[192], il cui contenuto può essere ricondotto a tre filoni:
§ modificazioni al decreto legislativo n. 300 del 1999, relativo alla riorganizzazione dei ministeri, attraverso misure che essenzialmente “ritagliano” funzioni e strutture che la precedente riforma aveva accorpato. Si tratta delle seguenti:
- ri-costituzione del Ministero delle comunicazioni, con conseguente modifica delle funzioni del Ministero delle attività produttive e dell’Agenzia per le normative e i controlli tecnici; peraltro, sono state espressamente fatte salve le competenze dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[193];
- ri-costituzione del Ministero della sanità (che viene denominato Ministero della salute), con conseguente modifica della denominazione e delle funzioni del Ministero del lavoro, della sanità e delle politiche sociali (divenuto Ministero del lavoro e delle politiche sociali);
§ modificazioni alla L. 400/1988, nella parte già modificata dalla L. 81/2001, relativamente al ruolo dei vice ministri e alle loro attribuzioni[194];
§ modifica della disciplina relativa agli incarichi di diretta collaborazione dei ministri, dei vice ministri, dei sottosegretari.
Con la successiva legge 6 luglio 2002, n. 137 sono state conferite al Governo numerose deleghe legislative, la prima delle quali, di carattere generale, riguarda la riorganizzazione e l’articolazione delle competenze dei ministeri e della Presidenza del Consiglio dei ministri. Peraltro le deleghe previste costituiscono – sostanzialmente – una riapertura dei termini per l’esercizio di deleghe recate da precedenti leggi, alle quali fanno quasi sempre espresso rinvio per la definizione dell’oggetto, dei princìpi e criteri direttivi e delle modalità di esercizio.
La delega di carattere più ampio ha previsto appunto l’emanazione di uno o più decreti legislativi (da adottare entro 18 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento: v. infra), correttivi o modificativi di provvedimenti già emanati ai sensi della L. 59/1997, diretti a:
§ riorganizzare l’articolazione e le competenze dei ministeri e della Presidenza del Consiglio dei ministri (art. 11, co. 1, lettera a), della L. 59/1997);
§ riordinare gli enti pubblici nazionali operanti nei settori diversi dall’assistenza e dalla previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società per azioni, controllate dallo Stato, che operano nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale (art. 11, co. 1, lett. b), della L. 59/1997);
§ riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche (art. 11, co. 1, lett. c), della L. 59/1997);
§ riordinare e razionalizzare gli interventi per la promozione e il sostegno della ricerca scientifica e tecnologica e gli organismi operanti nel settore (art. 11, co. 1, lett. d), della L. 59/1997).
È stata poi stabilita una clausola di salvaguardia delle competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano[195].
Anche per l’individuazione dei principi e dei criteri direttivi di delega, la legge in esame richiama quelli già previsti dalla L. 59/1997[196]. Si tratta di principi molto numerosi, tra i quali si possono segnalare la revisione del riparto delle competenze dei ministeri, con una riduzione del numero complessivo, l’eliminazione di duplicazioni organizzative e funzionali sia all’interno di ciascuna amministrazione sia tra di esse[197], la riorganizzazione degli organi di rappresentanza periferica dello Stato con funzioni di raccordo con le regioni[198], la distinzione tra funzioni di staff e di line[199] e la definizione della disciplina degli uffici posti alle dirette dipendenze del ministro (quali gli uffici legislativi, di gabinetto, di segreteria), intesa ad evitare lo svolgimento, da parte di questi ultimi, di attività amministrative rientranti nelle competenze dei dirigenti ministeriali.
Novità di carattere generale sono state introdotte anche con il decreto legislativo 6 dicembre 2002, n. 287[200], che si fonda sulla richiamata legge 137, e che apporta modifiche alla disciplina relativa alla struttura organizzativa dei ministeri[201].
Si stabilisce infatti in via generale che nei ministeri costituiscono strutture di primo livello, alternativamente:
§ i dipartimenti;
§ le direzioni generali.
Mentre nei ministeri in cui le strutture di primo livello sono costituite da direzioni generali può essere istituito l’ufficio del segretario generale, il quale, ove previsto, opera alle dirette dipendenze del ministro[202], tale possibilità è stata esclusa per i Ministeri in cui le strutture di primo livello sono costituite da dipartimenti[203].
Sostanzialmente, è stata quindi data alle singole amministrazioni l’opportunità di scegliere la propria struttura organizzativa[204], decidendo tra i dipartimenti e le direzioni generali e, in questo secondo caso, scegliendo tra l’avere o meno il Segretario generale.
In attuazione della L. 137/2002, che di fatto, come s’è detto, realizzava una “riapertura dei termini” della L. 59/97, sono stati emanati nove decreti legislativi “correttivi” del d.lgs. 300/1999, relativi alle seguenti amministrazioni: ambiente, attività produttive, beni culturali, comunicazioni, economia, infrastrutture, interno e welfare[205].
Il termine previsto dalla L. 137 per l’adozione dei decreti legislativi di riforma dell’organizzazione di ministeri ed enti è scaduto il 23 gennaio 2004. Peraltro, con la legge 27 luglio 2004, n. 186[206], si è stabilita, tra l’altro, una nuova “riapertura del termine”, il quale è comunque scaduto il 31 dicembre 2005[207].
Ai decreti legislativi, che hanno ridefinito le funzioni dei dicasteri, individuando il modello organizzativo (con specificazione del numero massimo di dipartimenti o direzioni generali), sono poi seguiti i relativi regolamenti di organizzazione dei singoli Ministeri (adottati ai sensi dell’art. 17, comma 4-bis, della legge 400/88), cui è demandata l’individuazione analitica delle funzioni di dipartimenti e direzioni generali (mentre l’ulteriore specificazione dei compiti dei singoli uffici dirigenziali e l’assegnazione delle relative risorse è rimessa al successivo decreto ministeriale).
Tra i provvedimenti di rango regolamentare si ricorda – prescindendo in questa sede dai regolamenti di ciascun Ministero – il Regolamento generale per l’organizzazione degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 2001, n. 230.
Nell’attuazione complessiva della nuova disciplina sembrano emergere alcune linee di tendenza, tra le quali la preferenza per il modello di organizzazione per direzioni generali rispetto a quella per dipartimenti[208] ed il ruolo sempre più rilevante svolto dagli uffici di diretta collaborazione (cui sono in molti casi sostanzialmente attribuiti compiti di gestione)[209].
Nella fase iniziale della XIV legislatura il ministro per la funzione pubblica pro tempore, Franco Frattini, aveva prospettato[210] l’elaborazione di un testo di riforma organico del sistema delle autorità amministrative indipendenti, anche sulla base delle risultanze dell’indagine conoscitiva svolta nella XIII legislatura dalla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati.
Finalità principale di tale indagine era valutare l’opportunità di predisporre una disciplina legislativa unitaria, anche in vista di una razionalizzazione delle procedure di nomina dei componenti e dell’inquadramento del potere regolamentare ad esse affidato.
Nel documento conclusivo[211] la Commissione conveniva sulla necessità di una copertura costituzionale di tali soggetti, anche al fine di fornire una legittimazione in Costituzione ai poteri normativi ad essi conferiti. Quanto all’opportunità di pervenire alla definizione di una disciplina generale di rango legislativo sulle autorità indipendenti, si conveniva su una soluzione che facesse comunque salva la pluralità di modelli, di obiettivi specifici e, conseguentemente, di soluzioni organizzative e funzionali. La Commissione segnalava infine l’importanza del raccordo tra Parlamento e sistema delle autorità, tema che potrebbe richiedere eventuali modifiche dei regolamenti parlamentari.
Nell’ottobre 2001 il Ministro della funzione pubblica Frattini ha insediato una Commissione tecnica per approfondire le problematiche relative a questi organismi, al fine della presentazione di un disegno di legge del Governo di complessivo riordino delle authorities; la Commissione ha concluso i propri lavori nel novembre 2002, dopo aver effettuato una ricognizione delle autorità, e ha individuato possibili opzioni di riforma. Nel dicembre dello stesso anno è stata istituita una nuova Commissione di studio per approfondire ulteriormente la materia.
Delle risultanze dei lavori della Commissione dà sinteticamente conto la Relazione sullo stato della pubblica amministrazione per gli anni 2000 e 2001, trasmessa alle Camere il 31 marzo 2003 (Doc. XIII, n. 1-ter, cap. 2, par. 2.8). In tale documento si prospettava – pur non escludendo l’ipotesi, avanzata nel corso del dibattito politico sulla materia, di “costituzionalizzare” l’esistenza e le funzioni di alcune autorità di garanzia – una preferenza per una riforma da attuare con legge ordinaria, che offrisse alle autorità una disciplina di base uniforme, posta a presidio della loro autonomia e indipendenza, con riguardo principalmente alle modalità di nomina dei componenti ed all’autonomia organizzativa, contabile e finanziaria.
La Commissione ha ritenuto peraltro necessaria una previa valutazione atta ad escludere dal novero delle autorità le istituzioni aventi funzioni di regolamentazione o disciplina tecnica di settore non finalizzate alla tutela incondizionata di diritti ed interessi essenziali della comunità.
L’elaborazione di un testo di riforma ha continuato ad essere oggetto di dibattito anche durante il mandato del successivo ministro per la funzione pubblica Mazzella, il quale ha portato all’attenzione del Consiglio dei ministri uno schema di disegno di legge recante Norme e principi in materia di organizzazione e funzionamento delle Istituzioni pubbliche indipendenti. Il tema è stato all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri per alcune sedute[212], senza che tuttavia si pervenisse alla approvazione di un disegno di legge da presentare alle Camere.
A quanto risulta principalmente da notizie di stampa, le principali questioni su cui si è concentrata, in tali occasioni, l’attenzione del Governo hanno riguardato:
§ l’individuazione dei soggetti effettivamente collocabili nella categoria delle authority, al fine di stabilire l’ambito di applicazione della disciplina di carattere generale da introdurre appunto con la legge di riforma;
§ l’individuazione di un numero comune di componenti delle varie authoritye la loro durata in carica, con la possibile esclusione della loro immediata rieleggibilità;
§ la possibile designazione a maggioranza qualificata – da parte delle competenti Commissioni di Camera e Senato – della maggior parte dei membri, con la nomina del presidente da parte del Presidente della Repubblica;
§ la definizione per i componenti delle authoritydi un preciso regime di incompatibilità[213];
§ l’opportunità di prevedere la ricorribilità – avverso le decisioni delle authority– esclusivamente dinanzi al Consiglio di Stato (escludendo l’attuale ricorso al TAR, ed eliminandosi così il doppio grado di giurisdizione relativamente a tali provvedimenti).
Come già accennato, a tali iniziative non ha fatto seguito la presentazione di un disegno di legge di riforma, mentre, nell’ambito del testo di legge di revisione costituzionale che ha interessato la Parte II della Costituzione (non ancora in vigore, in attesa del referendum costituzionale fissato per il prossimo 25-26 giugno), è stato introdotto un apposito articolo (art. 98-bis) che offre “copertura” costituzionale all’esistenza ed alle caratteristiche di indipendenza di tali autorità. La disciplina generale è stata rimessa ad una successiva legge ordinaria, mentre si stabilisce direttamente (nuovo art. 87) che la nomina dei presidenti delle autorità spetta al Presidente della Repubblica, sentiti i presidenti delle Camere (v. parte II, scheda Ordinamento della Repubblica – Il testo approvato dalle Camere).
Occorre far presente comunque che modifiche riguardo al ruolo ed alle funzioni di singole autorità indipendenti – anche di particolare rilievo – sono state previste nell’ambito di interventi di riforma di singoli settori: si pensi, in particolare, al riassetto delle competenze in materia di concorrenza nel settore bancario, fra Banca d’Italia e Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) nell’ambito della legge per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari (v. capitolo La vigilanza sul settore bancario, nel dossier relativo alla Commissione Finanze); ai nuovi compiti attribuiti alla medesima Autorità anti-trust, ed anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dalla legge sui c.d. “conflitti di interessi” (v. parte II, scheda Conflitti di interessi – La legge n. 215 del 2004); quest’ultima autorità peraltro vede arricchito il quadro dei propri compiti, con particolare riferimento alla disciplina delle posizioni dominanti, per lo più in virtù della legge di riassetto del sistema radiotelevisivo[214] (v. capitolo Il riassetto del sistema radiotelevisivo, nel dossier relativo alla Commissione Trasporti).
Alcune modifiche relative all’Autorità per la vigilanza nei lavori pubblici, nel senso di un’estensione delle relative competenze, sono altresì previste dal decreto legislativo (approvato, ma non ancora pubblicato) recante “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture” (v. la scheda Il codice dei contratti pubblici, nel dossier relativo alla Commissione Ambiente).
Con riguardo al diverso tema delle risorse (finanziarie, ma anche strumentali e umane) da destinare alle Autorità – che ha assunto particolare rilievo anche a fronte, in taluni casi, di un incremento dei relativi compiti - va segnalato che l’art. 1, co. 65 ss., della L. 266/2005 (finanziaria 2006)[215] ha da ultimo apportato modifiche al sistema di finanziamento di talune autorità amministrative (alcune comunemente considerate a pieno titolo “indipendenti”, altre dalla natura più incerta), prevedendo che esso, a decorrere dal 2007, sia in parte a carico del mercato di competenza[216].
Le autorità indipendenti risultano poi coinvolte nel vasto processo di semplificazione e di incremento della qualità della regolazione (in senso ampio), che ha visto recentemente, con la L. 246/2005 (legge di semplificazione e riassetto normativo per il 2005[217]), la previsione della applicazione generalizzata dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), quale supporto alle decisioni dell’organo politico di vertice dell’amministrazione.
Va in proposito ricordato che l’art. 12 della L. 229/2003 (legge di semplificazione per il 2001) ha esteso il ricorso all’AIR per l’attività regolativa delle Autorità amministrative indipendenti[218], le quali sono tenute ad inviare le relative relazioni al Parlamento (v. parte II, scheda Semplificazione – AIR e VIR). Analogamente ha disposto, con specifico riferimento all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’art. 13, co. 8, del D.Lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche).
Il processo di riordino della dirigenza pubblica, avviato nella XII legislatura con il vasto riassetto dell’impiego pubblico operato dal D.Lgs. 29/1993[219] e portato a compimento nella XIII legislatura con un complesso disegno riformatore culminato con l’approvazione del D.Lgs. 165/2001[220], registra un ulteriore stadio di avanzamento con gli interventi normativi approvati nel corso della XIV legislatura.
In particolare, con la L. 145/2002[221], di iniziativa governativa, il Parlamento ha modificato, con lo scopo di introdurre elementi di maggiore flessibilità, la disciplina della dirigenza statale per quanto concerne il regime degli incarichi di funzioni dirigenziali e della responsabilità dirigenziale, e ha introdotto norme di carattere generale per favorire la mobilità tra settore pubblico e privato (v. parte II, scheda Dirigenza – Il riordino della dirigenza statale).
Con la riforma si è inteso raggiungere un punto di equilibrio tra la necessità di garantire un potere di scelta, nell’affidamento degli incarichi dirigenziali, all’organo di responsabilità politica e l’esigenza di assicurare l’autonomia dei dirigenti nell’esercizio delle attività gestionali.
Nel riordinare il procedimento di attribuzione degli incarichi dirigenziali, la legge ha sancito la formale distinzione tra il provvedimento di conferimento dell’incarico e il contratto individuale tra dirigente ed amministrazione con il quale è definito il (solo) trattamento economico.
Nel provvedimento di conferimento dell’incarico, che assume un ruolo centrale, sono precisati l’oggetto dell’incarico stesso e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo, nonché la durata dell’incarico.
La legge ha soppresso il sistema del ruolo unico dei dirigenti e contestualmente ha previsto la costituzione di distinti ruoli dei dirigenti (articolati in prima e seconda fascia) presso ogni amministrazione.
Per dare maggiore rilievo al merito dei singoli dirigenti, la legge ha previsto più ampie possibilità di accesso agli incarichi dirigenziali di vertice sia per i dirigenti di seconda fascia (fino al nuovo e più elevato limite del 50% dei posti disponibili, successivamente ulteriormente innalzato al 70%[222]), sia per i dirigenti di altre amministrazioni pubbliche e degli organi costituzionali, sia per le persone estranee alla pubblica amministrazione dotate di particolare qualificazione professionale.
Al fine di valorizzare anche le professionalità intermedie della pubblica amministrazione, è stata prevista la possibilità di istituire, in sede di contrattazione collettiva del comparto Ministeri, un’apposita area contrattuale riservata alla vicedirigenza.
Per quanto riguarda la disciplina della revocabilità degli incarichi di vertice da parte di ogni nuovo Governo (spoils system), è stata disposta l’automatica cessazione dei medesimi incarichi, decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo. Tale previsione è destinata a rendere, quindi, sempre necessario l’intervento di ogni nuovo Governo sull’assetto della dirigenza di vertice esistente all’atto del suo insediamento, poiché gli incarichi dovranno comunque essere oggetto di un nuovo conferimento.
La legge reca una nuova disciplina della responsabilità dirigenziale: il mancato raggiungimento degli obiettivi o l’inosservanza delle direttive da parte del dirigente comportano l’impossibilità di rinnovo del medesimo incarico. Inoltre, in relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può disporre la revoca dell’incarico, collocando il dirigente a disposizione nei ruoli, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
Anche le modalità di accesso alla qualifica di dirigente hanno subito variazioni, con la previsione di un meccanismo di “doppio accesso”: tramite concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni, oppure attraverso la (ripristinata) procedura del corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione.
Per assicurare la mobilità dei dirigenti nell’ambito delle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, la legge ha previsto la possibilità di transito dei dirigenti, su domanda degli interessati, ad amministrazioni diverse da quelle di appartenenza.
In modo non dissimile da quanto previsto per il rinnovo o la revoca delle nomine di vertice della dirigenza pubblica, è stato introdotto un meccanismo che consente al Governo, all’inizio di una nuova legislatura, di sottoporre a revisione le nomine di competenza governativa – in strutture esterne ai Ministeri – operate precedentemente[223].
Sono state inoltre dettate norme dirette a favorire una maggiore mobilità dei dirigenti tra il settore pubblico e quello privato, con lo scopo di realizzare uno scambio di esperienze tra management pubblico e privato e di inserire nelle pubbliche amministrazioni una cultura della gestione delle risorse umane e finanziarie che contribuisca a migliorare la qualità dei servizi resi. A tale scopo la legge stabilisce che i dirigenti delle pubbliche amministrazioni, gli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato possono, a domanda, essere collocati in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.
Successivamente, alcuni ulteriori provvedimenti sono intervenuti a modificare puntualmente la disciplina vigente sulla dirigenza statale (v. parte II, scheda Dirigenza – Il riordino della dirigenza statale). Tra di essi si menziona principalmente il D.L. 115/2005[224] che novella il Testo unico sul pubblico impiego per prevedere, per tutti gli incarichi di funzione dirigenziale, gli stessi limiti di durata minimi (tre anni) e massimi (cinque anni), laddove la L. 145 aveva invece introdotto termini differenziati (tre anni, per gli incarichi di vertice e cinque per tutti gli altri incarichi dirigenziali, senza indicare un termine minimo).
Per effetto dell’intervento, inolte, possono ora ricevere incarichi dirigenziali extra dotazione organica anche dipendenti della stessa amministrazione statale, e risulta modificato un requisito per il passaggio dei dirigenti dalla seconda fascia alla prima, con la riduzione da cinque a tre anni del periodo durante il quale essi devono aver ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti. Infine, si consente alla contrattazione collettiva la facoltà di istituire un’ area contrattuale autonoma della vicedirigenza.
Il D.Lgs. 381/2003[225] ha apportato alcune modifiche al modello organizzativo e funzionale della Scuola Superiore della pubblica amministrazione (SSPA) – organismo deputato in via primaria all’attività di formazione iniziale e permanente dei dirigenti e dei funzionari dello Stato (v. parte II, scheda Dirigenza – Riforma della Scuola superiore della P.A.) – il cui assetto era stato organicamente ridisegnato nel 1999[226]. I principali profili di novità della riforma riguardano il transito della SSPA, sotto il profilo dell’afferenza organizzativa e della vigilanza, dal Dipartimento della Funzione pubblica alla Presidenza del Consiglio; il riassetto organizzativo dei suoi organi di vertice[227]; il ripristino tra i compiti della Scuola della funzione di reclutamento dei dirigenti dello Stato, in coerenza con quanto disposto dalla L. 145/2002 che ha reintrodotto, per l’accesso alla dirigenza, anche la modalità del corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla SSPA.
In considerazione della particolare natura delle funzioni esercitate dal personale appartenente alla carriera dirigenziale penitenziaria, collegate ai compiti di esecuzione penale, L. 154/2005[228] ha operato una sostanziale riforma del rapporto di impiego del personale dirigente e direttivo penitenziario, prevedendo che esso sia inquadrato in una specifica carriera di livello dirigenziale, rientrante nella specialità dei rapporti di lavoro di diritto pubblico e, quindi, sottratta alla generale disciplina contrattuale del “comparto Ministeri” (v. parte II, scheda Dirigenza – La carriera dirigenziale penitenziaria).
A tale scopo, la L. 154/2005 ha introdotto una novella al D.Lgs. 165/2001 per effetto della quale il personale della carriera dirigenziale penitenziaria viene incluso tra le categorie sottratte alla disciplina privatistica che, come noto, il Testo unico sul pubblico impiego applica alla generalità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
La stessa legge ha poi conferito al Governo una delega per l’adozione di uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria e del relativo trattamento giuridico ed economico
In tale carriera è destinato a confluire il personale direttivo e dirigenziale dell’Amministrazione penitenziaria appartenente ai seguenti profili professionali:
§ direttore penitenziario;
§ direttore di ospedale psichiatrico giudiziario;
§ direttore di servizio sociale,
nonché il personale amministrativo del ruolo ad esaurimento della stessa Amministrazione penitenziaria.
In attuazione della norma di delega, il Governo ha adottato il D.Lgs. 63/2006[229] che nei tre capi in cui è suddiviso reca l’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria nei suoi aspetti generali, la disciplina del procedimento negoziale e alcune disposizioni transitorie e finali.
I principali contenuti del decreto legislativo, che fanno riscontro alle prescrizioni recate nei principi e criteri direttivi della delega, possono riassumersi come segue:
§ la revisione delle qualifiche segue il criterio del massimo accorpamento possibile e della loro convergenza in un unico livello dirigenziale apicale;
§ l’accesso alla carriera dirigenziale penitenziaria avviene esclusivamente dal grado iniziale e mediante concorso pubblico, escludendo ipotesi di immissione dall’esterno;
§ gli aspetti giuridici ed economici del rapporto di impiego della carriera sono definiti attraverso un procedimento negoziale tra la parte pubblica e le organizzazioni sindacali degli appartenenti a tale carriera. I contenuti della negoziazione, che disciplina solo alcuni aspetti del rapporto di impiego, sono recepiti con decreto del Presidente della Repubblica;
§ l’avanzamento in carriera avviene in base a criteri obiettivi basati sul principio dello scrutinio per merito comparativo;
§ al personale della carriera dirigenziale penitenziaria sono applicate le disposizioni previste dalla vigente normativa per favorire la mobilità.
Le norme generali che regolano l’attività amministrativa sono contenute prevalentemente nella L. 241/1990[230]. La legge – in più punti modificata e integrata da successivi interventi legislativi – ha il duplice obiettivo di garantire una maggiore trasparenza all’attività della pubblica amministrazione attraverso il coinvolgimento dei soggetti interessati, e, nel contempo, di migliorarne la qualità, rendendola più efficiente ed economica. Le disposizioni della legge sono applicabili ad ogni amministrazione dello Stato e delle autonomie locali, fatte salve le prerogative delle Regioni.
Il tema del completamento e dell’aggiornamento della disciplina recata dalla L. 241/1990 era emerso già nel corso della XIII legislatura. Nell’ottobre del 2000 l’Assemblea della Camera aveva approvato quasi all’unanimità la proposta di legge A.C. 6844, recante Norme generali sull’attività amministrativa (A.S. 4860). Il progetto era volto a disciplinare i principali istituti dell’attività amministrativa, lasciando inalterato il regime del procedimento amministrativo contenuto nella L. 241/1990 ma individuando e in qualche modo “codificando” i princìpi generali dell’ordinamento in materia, in massima parte frutto di orientamenti giurisprudenziali, allo scopo di rafforzare il principio di legalità dell’azione amministrativa. Il progetto di legge, nel testo approvato dalla Camera, ha proseguito il proprio iter presso la Commissione affari costituzionali del Senato, ma non è stato approvato prima della fine della legislatura.
Il testo elaborato dalla Camera ha tuttavia fornito la base per il lavoro svolto, all’inizio della XIV legislatura, dalla Commissione per l’esame di iniziative legislative in tema di attività amministrativa e tutela del cittadino, costituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2001 e presieduta dal Ministro per la funzione pubblica pro tempore.
Dall’opera della Commissione ha tratto origine il disegno di legge di modifica della L. 241/1990, presentato dal Governo al Senato il 21 marzo 2002 (A.S. 1281) dopo essere stato sottoposto al parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali[231].
L’esame parlamentare si è sviluppato, con due successive letture in ciascuna Camera, tra il maggio 2002 e il gennaio 2005. Sia al Senato, sia alla Camera l’esame del provvedimento ha visto una rilevante convergenza, sulle scelte di fondo, tra gruppi di maggioranza e di opposizione: va segnalato che in entrambe le Camere l’incarico di relatore è stato assegnato a un esponente dell’opposizione (sen. Bassanini; on. Bressa), e che entrambe le Camere, pur apportando varie modificazioni al testo, lo hanno approvato ad ampia maggioranza.
La L. 15/2005[232] così approvata intende rispondere all’esigenza di una leggegenerale sull’azione amministrativa dettata dalle innovazioni del sistema costituzionale e normativo (ci si riferisce in particolar modo alle novità introdotte nel riparto di competenze normative e amministrative tra Stato e Regioni dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione) e dall’evoluzione del contesto culturale e sociale in cui – come spiega la relazione sul disegno di legge della 1a Commissione del Senato all’Assemblea[233] – “è fortemente avanzata l’esigenza di amministrazioni più trasparenti, più efficienti, più rapide nelle decisioni, meno invadenti, più capaci di offrire servizi di buona qualità ai cittadini senza imporre eccessivi carichi tributari, burocratici e normativi”.
Fra i tratti essenziali della legge si ricordano:
§ il riconoscimento della possibilità per le pubbliche amministrazioni di utilizzare gli strumenti di diritto privato anche nel perseguimento dei propri fini istituzionali;
§ l’introduzione di nuove disposizioni sulla comunicazione di avvio del procedimento, e dell’obbligo di comunicazione al cittadino dei motivi che ostino all’accoglimento della sua istanza;
§ l’adeguamento della disciplina sulla conferenza di servizi al nuovo assetto costituzionale delle autonomie territoriali;
§ l’introduzione di norme organiche sull’efficacia, l’esecutorietà e l’esecutività, nonché sulle ipotesi di invalidità degli atti amministrativi e, in quest’ultimo àmbito, l’individuazione di vizi a carattere meramente formale che non comportano la loro caducazione;
§ la ridefinizione, per vari aspetti, delle norme sull’accesso ai documenti amministrativi.
A breve distanza temporale dall’entrata in vigore della L. 15/2005, un ulteriore, rilevante intervento sulla L. 241/2005 sopravveniva ad opera di alcune tra le disposizioni previste dal D.L. 35/2005[234], (c.d. “decreto-legge sulla competitività”), e da ulteriori norme introdotte nel testo del decreto-legge in sede di conversione.
Ci si riferisce in particolare:
§ al co. 1 dell’art. 3 che, novellando l’art. 19 della L. 241/1990, pone una nuova disciplina dell’istituto della denuncia di inizio attività, ora denominata dichiarazione di inizio attività, al principale fine di ampliarne l’ambito di applicabilità per semplificare il regime delle autorizzazioni (intese in senso lato) concernenti l’esercizio di attività economiche private;
§ ai co. da 6-bis a 6-decies del medesimo articolo, che recano disposizioni finalizzate alla semplificazione amministrativa, in massima parte consistenti in ulteriori novelle alla L. 241/1990. In particolare, viene modificata la disciplina concernente
- la conclusione del procedimento amministrativo;
- il silenzio-assenso, la cui applicazione viene generalizzata, con le sole eccezioni individuate dalla legge;
- l’autocertificazione;
- la disciplina sanzionatoria,
- la giurisdizione in materia di accesso ai documenti amministrativi, che è attribuita in via esclusiva al giudice amministrativo.
Per un esame analitico delle modificazioni apportate alla L. 241/1990 dalla L. 15/2005 e dal D.L. 35/2005, si rinvia alla parte II, scheda Azione amministrativa – Le modifiche alla legge n. 241 del 1990.
Altre misure volte alla semplificazione amministrativa hanno riguardato specifici àmbiti di attività economiche. Se ne dà conto nella trattazione riguardante i rispettivi settori (v. in particolare il capitolo Semplificazione dei rapporti con la PA, nel dossier relativo alla Commissione Attività produttive).
Per un’illustrazione dei princìpi e criteri generali di semplificazione amministrativa dettati nel quadro del processo di riordino della legislazione vigente, si rinvia, infine, al capitolo Semplificazione e riassetto normativo.
All’atto della formazione del Governo, è stato nominato per la prima volta un ministro senza portafoglio per l’innovazione e le tecnologie, il quale è stato delegato ad esercitare le funzioni del Presidente del Consiglio nelle materie dell’innovazione tecnologica, dello sviluppo della “Società dell’informazione” (v. parte II, scheda Amministrazione digitale – la “Società dell’informazione”) e delle connesse innovazioni per le amministrazioni pubbliche, i cittadini e le imprese.
È stata quindi creata, nell’ambito della Presidenza del Consiglio, una struttura organizzativa per il perseguimento degli obiettivi di innovazione costituita dal:
Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie, quale struttura di supporto all’esercizio delle funzioni delegate al ministro;
Comitato dei ministri per la Società dell’informazione, con il compito di coordinare l’azione delle amministrazioni e di realizzare una strategia coerente per lo sviluppo della Società dell’informazione e delle politiche di settore collegate;
Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA)[235], struttura organizzativa funzionale al perseguimento degli obiettivi di e-Governmente di costruzione della Società dell’informazione.
Gli obiettivi generali in materia sono stati definiti nel 2002 con le Linee guida del Governo per lo sviluppo della Società dell’informazione nella legislatura, che si sviluppano lungo tre direttrici di intervento:
§ la trasformazione della pubblica amministrazione tramite le tecnologie dell’informazione e della Comunicazione (e-Government);
§ la realizzazione di interventi nel “sistema Paese” per l’innovazione e lo sviluppo della Società dell’informazione, che agiscono sul capitale umano, in materia di politica industriale e finanziaria, sulle norme e sulle infrastrutture;
§ l’azione internazionale, che ha portato il Governo Italiano ad assumere, nell’ambito del G8, la responsabilità dell’iniziativa “e-Governmentper lo sviluppo”: un programma di cooperazione internazionale per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni nei Paesi in via di sviluppo.
Dal punto di vista delle politiche legislative, gli interventi normativi che hanno interessato il settore sono stati sostanzialmente finalizzati:
§ alla definizione delle strutture di governo dell’innovazione e all’individuazione dei loro compiti;
§ al finanziamento di iniziative specifiche dirette a sostenere il processo di sviluppo della Società dell’informazione nella pubblica amministrazione e nel Paese (si ricordano, tra le numerose altre, gli incentivi per l’acquisto di personal computer in favore dei giovani, dei docenti, dei dipendenti pubblici; i finanziamenti per la diffusione della carta di identità elettronica e della carta nazionale dei servizi, etc.);
§ all’introduzione o alla ridefinizione di strumenti o di procedure volti a riorganizzare la pubblica amministrazione al fine della sua progressiva digitalizzazione e del miglioramento dei servizi offerti (fra questi, il sistema pubblico di connettività; la posta elettronica certificata; le firme digitali; il protocollo informatico; gli acquisti centralizzati delle pubbliche amministrazioni; l’informatizzazione degli uffici cassa delle amministrazioni statali; la partecipazione al procedimento amministrativo informatico; etc.).
Il Ministro per l’innovazione e le tecnologie peraltro ha fatto ampio ricorso agli strumenti più flessibili del decreto ministeriale e della direttiva, per dettare disposizioni sull’e-Governmente fornire indirizzi e indicazioni operative.
L’adozione del Codice dell’amministrazione digitale rappresenta senza dubbio l’intervento normativo di maggior rilievo realizzato nella legislatura appena trascorsa: in esso hanno trovato sistemazione le norme generali che sanciscono i diritti dei cittadini e delle imprese e quelle relative all’organizzazione delle pubbliche amministrazioni con riferimento alla digitalizzazione (v. parte II, scheda Amministrazione digitale – Il Codice)
Con riferimento alla trasformazione della pubblica amministrazione, e in particolare delle Amministrazioni centrali, le “Linee guida” hanno indicato i dieci obiettivi di legislatura:
§ servizi on line ai cittadini e alle imprese:
1. disponibilità on line di tutti i servizi delle amministrazioni centrali ‘prioritari’ per cittadini e imprese;
2. distribuzione di 30 milioni di carte di identità elettroniche e carte nazionali dei servizi per favorire l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione;
3. diffusione di un milione di firme digitali entro il 2003;
§ efficienza interna della pubblica amministrazione:
4. effettuazione del 50 per cento degli acquisti di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione tramite e-Procurement;
5. utilizzo delle e-mail per tutta la posta interna della pubblica amministrazione;
6. gestione on-line di tutti gli impegni e i mandati di pagamento;
§ valorizzazione delle risorse umane:
7. alfabetizzazione certificata di tutti i dipendenti pubblici che utilizzano le tecnologie ICT per il loro lavoro;
8. un terzo della formazione dei dipendenti pubblici erogata via e-Learning;
§ trasparenza:
9. accesso on-line all’iter delle pratiche da parte dei cittadini (trasparenza verso l’esterno dell’iter burocratico) per due terzi degli uffici della pubblica amministrazione;
§ qualità:
10. dotazione a tutti gli uffici che erogano servizi, di un sistema di soddisfazione dell’utente.
Il Ministro per l’innovazione e le tecnologie ha adottato, il 20 dicembre 2001, una direttiva contenente le prime Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione; ulteriori direttive sono seguite con frequenza annuale.
A livello territoriale, le Regioni rivestono particolare importanza nel governo dei processi di e-Governmentlocale e nella predisposizione di servizi infrastrutturali per i diversi enti locali, per i cittadini e per le imprese, mentre i comuni assumono un ruolo importante come soggetti direttamente coinvolti nella predisposizione e nella erogazione della maggior parte dei servizi rivolti ai cittadini e alle imprese.
In particolare, i Comuni sono soggetti attivi nella realizzazione di servizi on-line, mentre alcune Regioni hanno organizzato importanti infrastrutture di rete al servizio delle Amministrazioni locali del territorio.
Una sezione specifica del documento contenente le Linee guida sulla Società dell’informazione è dedicata alle iniziative finalizzate alla diffusione dell’innovazione e alla promozione della Società dell’informazione nei vari settori della vita economica e sociale del paese (interventi sul sistema Paese).
Le iniziative sono riconducibili a cinque grandi categorie:
§ il capitale umano: alfabetizzazione digitale; il Sociale e le categorie deboli; l’eLearning;
§ le infrastrutture: la banda larga; la firma digitale;
§ le politiche industriali: la ricerca applicata e politica industriale per l’ICT; il commercio elettronico; la piccola e media impresa e i distretti industriali; il telelavoro; la telemedicina; il turismo; il Sud e il quadro comunitario di sostegno;
§ le politiche finanziarie: strumenti finanziari per la promozione dell’innovazione ICT; la leva fiscale per l’innovazione ICT;
§ il quadro normativo: il codice della Società dell’informazione.
Varie disposizioni, aventi prevalentemente natura finanziaria, destinate a sostenere il processo di sviluppo della Società dell’informazione nella pubblica amministrazione e nel Paese si sono susseguite nelle diverse leggi finanziarie.
Tra queste, si ricordano quelle relative al finanziamento degli incentivi per l’acquisto di strumenti informatici e digitali da parte di:
§ giovani (progetto PC ai giovani);
§ famiglie (PC alle famiglie);
§ docenti (PC ai docenti, esteso successivamente al personale dirigente e non docente delle scuole pubbliche e delle università statali e non statali);
§ dipendenti della pubblica amministrazione (PC ai dipendenti);
§ dipendenti di impresa privata[236].
Altre disposizioni hanno avuto finalità organizzative ed ordinamentali: tra queste si ricordano i regolamenti concernenti la diffusione della carta nazionale dei servizi (D.P.R. 117/2004[237]) la trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata[238] e l’Indice nazionale delle anagrafi[239], struttura di particolare importanza anche ai fini della realizzazione del progetto della carta d’identità elettronica.
Per completare e unificare il quadro di applicazione della firma elettronica, è stato emanato il D.P.R. 137/2003[240]. Il provvedimento, attuativi del D.Lgs. 10/2002[241], ne ha coordinato le disposizioni con quelle recate dal testo unico sulla documentazione amministrativa[242].
La legge 4/2004[243] ha introdotto specifiche disposizioni volte a garantire il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili.
Anche nel procedimento elettorale sono stati utilizzati strumenti informatici, in particolare, nella sperimentazione del conteggio informatizzato del voto in tre consultazioni elettorali (europee 2004, regionali 2005 e politiche 2006).
Nel corso della legislatura la disciplina dell’acquisto centralizzato di beni e servizi da parte delle amministrazioni e i compiti della Consip s.p.a sono stati oggetto di numerosi interventi legislativi (per i quali si rinvia alla scheda La Consip, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio).
Il programma di e-Governmentlocale si è sviluppato in due fasi, la prima delle quali si è conclusa nell’ aprile 2003. La seconda fase è stata definita nel documento del Ministro per l’innovazione e le tecnologie L’e-Government nelle Regioni e negli Enti Locali: II fase di attuazione, approvato dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni il 27 novembre 2003.
Con l’intento di sostenere, con un quadro organico di interventi, l’innovazione tecnologica delle imprese in modo da recuperare il divario di competitività dell’Italia rispetto ai Paesi dell’Unione europea e agli Stati Uniti, il ministro per l’innovazione e le tecnologie e il ministro delle attività produttive hanno presentato, il 15 luglio 2003, un Piano per l’innovazione digitale nelle imprese.
Il Comitato dei Ministri per la Società dell’informazione ha approvato, l’8 febbraio 2005, il Piano per l’innovazione digitale nelle imprese 2005. Nell’ambito degli interventi indicati dal nuovo Piano, particolare importanza rivestono alcune misure della legge finanziaria per il 2005, che ha disposto (art. 1, comma 354) l’istituzione di un “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese“ per la concessione di finanziamenti agevolati.
Per i provvedimenti adottati nella legislatura con l’obiettivo del rafforzamento degli sportelli unici per le attività produttive attraverso la rimozione degli ostacoli alla loro piena operatività e l’estensione e lo sviluppo degli stessi, si rinvia alla scheda Sportello unico per le imprese, nel dossier relativo alla Commissione Attività produttive).
La legge finanziaria per il 2006[244] (art. 1, comma 368) ha istituito l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, chiamata a concorrere all’accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali attraverso la diffusione delle nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali (v. capitolo Sostegno alla ricerca e all’innovazione, nel dossier relativo alla Commissione Attività produttive).
Con il D.Lgs. 70/2003[245] è stata attuata la direttiva 2000/31/CE, che interviene in materia di prestazione di servizi delle società dell’informazione, con particolare riferimento al commercio elettronico e con l’obiettivo di eliminare gli ostacoli allo sviluppo del commercio elettronico e di promuovere la libera circolazione dei servizi legati alla Società dell’informazione (v. scheda Commercio elettronico, nel dossier relativo alla Commissione Attività produttive).
In attuazione della delega contenuta nell’art. 10 della legge 229/2003[246] (legge di semplificazione 2001, sulla quale v. parte II, scheda Semplificazione – Il processo di codificazione) finalizzata al coordinamento e al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di Società dell’informazione, è stato adottato il Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005[247], sul quale v. parte II, scheda Amministrazione digitale – Il Codice).
Il testo ha operato un riassetto sistematico delle disposizioni in materia di attività digitale delle pubbliche amministrazioni, con l’intento di offrire un quadro legislativo adeguato a promuovere e disciplinare la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non solo nelle pubbliche amministrazioni, ma anche tra cittadini e imprese. A questi ultimi viene riconosciuto il diritto di ottenere l’uso delle nuove tecnologie nei rapporti con la P.A., che dovrà consentire tale uso e riorganizzarsi tenendo presenti le reali esigenze degli utenti migliorando la qualità dei servizi resi.
Oltre ad individuare i diritti dei cittadini e delle imprese, il Codice stabilisce le norme generali per l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni con riferimento alla digitalizzazione e definisce i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali in materia.
È operata quindi una semplificazione e un riassetto della normativa in materia di documento informatico, di firme elettroniche, di pagamenti informatici, prevedendo la facoltà di formare e conservare, su supporto informatico, libri e scritture.
Viene stabilito il principio generale secondo cui le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando tecnologie informatiche e sono individuate le linee fondamentali per la formazione e la gestione informatizzata dei documenti, con riferimento anche alla loro riproduzione e conservazione.
Oltre a regolamentare la trasmissione informatica dei documenti, con particolare riguardo al suo valore giuridico e all’uso della posta elettronica da parte delle pubbliche amministrazioni, il Codice detta disposizioni sull’organizzazione dei servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni e sulla carta di identità elettronica e la carta nazionale dei servizi.
Oltre al Codice, in attuazione della medesima delega della legge 229/2003, è stato adottato il D.Lgs. 42/2005[248], che ha istituito il Sistema pubblico di connettività e la Rete internazionale della pubblica amministrazione.
Con lo scopo di eliminare i dubbi interpretativi emersi in dottrina o posti dai più diretti destinatari del Codice e di dare ulteriore applicazione ai suggerimenti formulati nel parere del Consiglio di Stato del 7 febbraio 2005 sullo schema del Codice, il Governo ha adottato il D.Lgs. 159/2006[249].
In particolare, il D.Lgs. 159/2006, accogliendo un’osservazione formulata dal Consiglio di Stato nel parere citato, ha recepito nel Codice, con alcune modifiche, l’intera disciplina del Sistema pubblico di connettività e della Rete internazionale della pubblica amministrazione, contenuta nel D.Lgs. 42/2005, abrogando quest’ultimo.
Altre disposizioni del D.Lgs. 159 si limitano ad apportare modifiche meramente formali o di coordinamento. Altre ancora assumono invece rilevanza sostanziale, intervenendo su profili quali i requisiti di validità legale delle copie su supporto cartaceo tratte da documenti informatici, la firma elettronica, il fascicolo informatico delle pubbliche amministrazioni, i criteri di realizzazione dell’Indice nazionale delle anagrafi.
Gli interventi legislativi volti alla semplificazione ed al riordino normativo intervenuti nel corso della XIV legislatura hanno principalmente – ma non esclusivamente – fatto capo alle due leggi di semplificazione approvate nel quinquennio: la L. 229/2003[250] (legge di semplificazione 2001) e la L. 246/2005[251] (legge di semplificazione e riassetto normativo per il 2005).
Com’è noto, l’art. 20 della L. 59/1997[252] (c.d. legge “Bassanini 1”) ha introdotto, com’è noto, la legge annuale di semplificazione, intesa primariamente quale strumento periodico di razionalizzazione dei procedimenti amministrativi mediante un’opera di progressiva delegificazione. La prima delle leggi annuali di semplificazione (L. 50/1999[253], art. 7) ha in seguito posto l’accento sull’esigenza di un generale riordino normativo, da attuare attraverso la predisposizione di testi unici “misti”, contenenti cioè disposizioni sia legislative sia regolamentari.
Le due ultime leggi di semplificazione, pur adottate in attuazione dell’art. 20 della “legge Bassanini 1”, hanno modificato sostanzialmente l’orientamento del processo di semplificazione e riassetto normativo avviato nella precedente legislatura.
L’art. 1 della L. 229/2003 ha infatti riscritto interamente l’art. 20 medesimo, con ciò modificando l’ambito e la struttura della legge annuale di semplificazione e spostandone l’asse dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi attraverso la delegificazione, alla semplificazione (sia legislativa, sia amministrativa) attraverso un un’opera di riassetto normativo e codificazione per settori (contestualmente, l’art. 23 della stessa legge ha soppresso lo strumento dei “testi unici misti” abrogando l’art. 7 della L. 50/1999).
Ai sensi del nuovo art. 20 (v. parte II, scheda Semplificazione – Il processo di codificazione), i ministri sono titolari del potere di iniziativa della semplificazione e del riassetto normativo nelle materie di loro competenza, mentre alla Presidenza del Consiglio dei ministri spetta il potere di indirizzo e coordinamento al fine di garantire l’uniformità e l’omogeneità degli interventi di riassetto e semplificazione proposti dai vari ministri.
Il Governo, sulla base delle proposte dei ministri, mette a punto un programma di priorità di interventi, deliberato dal Consiglio dei ministri, sulla cui base – sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali –predispone annualmente un disegno di legge “per la semplificazione e il riassetto normativo”.
Gli strumenti giuridici attraverso i quali si realizza la semplificazione ed il riassetto normativo sono i decreti legislativi ed i regolamenti governativi.
Dei primi, sono indicati i princìpi ed i criteri direttivi generali, destinati a valere (in aggiunta a quelli specificamente dettati per ciascuna materia) sia per i decreti legislativi previsti dalla stessa legge di semplificazione 2001, sia per quelli attuativi di deleghe recate dalle future leggi di semplificazione e riassetto normativo.
Il principio cardine, come si è detto, è quello che dispone la codificazione delle materie oggetto dell’intervento: tale codificazione rappresenta il punto di arrivo dell’opera di complessivo riassetto normativo operato in base agli altri princìpi e criteri, ed in particolare in base a quelli tesi a realizzare la più ampia “liberalizzazione” delle attività economiche, tra i quali vi sono l’eliminazione di interventi amministrativi a carattere autorizzatorio, la riduzione e, ove possibile, la “dismissione” delle funzioni amministrative, la promozione di interventi di autoregolazione delle categorie interessate etc..
Ulteriori criteri e princìpi sono riferiti alle “funzioni amministrative mantenute”, ossia a quelle che non siano state oggetto di dismissione; essi sono individuati riproponendo – con varie modifiche – alcuni dei princìpi individuati dal previgente art. 20 della L. 59/1997.
Per quanto concerne i regolamenti, questi sono sia quelli di cui al co. 1 dell’art. 17, della L. 400/1988[254] (ossia quelli di esecuzione), sia quelli cosiddetti “di delegificazione”, da adottare ai sensi dell’art. 17, co. 2. Oggetto precipuo dell’intervento regolamentare sono “le funzioni amministrative mantenute”, che saranno oggetto di semplificazione, in conformità a princìpi largamente coincidenti con quelli presenti nel previgente art. 20.
La legge di semplificazione e riassetto normativo per il 2005 (L. 246/2005) ha apportato, (all’art. 1) nuove modificazioni all’art. 20 della L. 59/1997, integrando il processo di riordino normativo e di semplificazione delle procedure amministrative con ulteriori princìpi e criteri direttivi.
Oltre alle due leggi di semplificazione[255], altre leggi approvate nel corso della legislatura recano deleghe volte al riordino legislativo in determinati settori. Si tratta in particolare delle seguenti (tra parentesi le materie oggetto di riordino):
§ L. 137/2002[256] (minoranza slovena nel Friuli-Venezia Giulia; beni culturali e ambientali, cinema, spettacolo dal vivo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore[257]; parità e pari opportunità tra uomo e donna[258]);
§ L. 166/2002[259] (telecomunicazioni);
§ L. 273/2002[260] (proprietà industriale);
§ L. 30/2003[261] (mercato del lavoro);
§ L. 38/2003[262] (agricoltura);
§ L. 80/2003[263] (fisco);
§ L. 131/2003[264] (disposizioni legislative non aventi carattere di principio fondamentale nelle materie di legislazione concorrente Stato-Regioni);
§ L. 172/2003[265] (nautica da diporto).
§ L. 112/2004[266] (radiotelevisione);
§ L. 239/2004[267] (energia);
§ L. 243/2004[268] (previdenza obbligatoria e complementare);
§ L. 308/2004[269] (rifiuti, risorse idriche, ambiente e difesa del suolo);
§ L. 32/2005[270] (autotrasporto);
§ L. 150/2005[271] (ordinamento giudiziario).
Infine, le leggi comunitarie relative agli anni dal 2001 al 2004 (rispettivamente L. 39/2002; L. 14/2003, L. 306/2003; L. 62/2005) contengono deleghe al Governo (sinora mai esercitate) all’adozione di testi unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie;
Dall’inizio della XIV legislatura sono stati pubblicati dodici decreti legislativi recanti codici o testi unici, in attuazione di deleghe recate dalle due leggi di semplificazione o da altre leggi[272].
Una tra le deleghe per la semplificazione e il riassetto normativo di singole materie recate dalla legge di semplificazione 2001 (L. 229/2003) concerneva (art. 2) il riassetto delle disposizioni legislative statali in materia di produzione normativa, semplificazione e qualità della regolazione. La delega non è stata tuttavia esercitata entro il termine fissato[273].
La legge di semplificazione e riassetto normativo per il 2005 (L. 246/2005) è tornata sulla materia non solo (come si è detto) introducendo nell’art. 20 della “Bassanini 1” nuove disposizioni – che prevedono tra l’altro l’integrazione tra gli obiettivi interni di semplificazione e qualità della regolazione e gli orientamenti comunitari in materia – ma anche prevedendo (nell’art. 2, che aggiunge alla citata L. 59/1997 un nuovo art. 20-ter) un meccanismo generale di coordinamento tra le iniziative volte a migliorare la qualità della normazione a livello statale, regionale e locale. Il coordinamento è effettuato, in attuazione del principio di leale collaborazione, mediante accordi o intese da perseguire in sede di Conferenza Stato-regioni o di Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali[274].
La stessa legge (art. 14, co. 1-11) porta a regime l’esperienza, avviata a titolo sperimentale nella XIII legislatura, dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), disponendone l’applicazione obbligatoria e generalizzata quale supporto alle decisioni dell'organo politico di vertice dell’amministrazione e disciplinando le competenze ministeriali al riguardo.
Va per inciso ricordato che l’art. 12 della L. 229/2003 aveva esteso il ricorso all’AIR all’attività regolativa delle Autorità amministrative indipendenti.
I citati commi dell’art. 14 della L. 246/2005 introducono un nuovo strumento di analisi, da effettuare questa volta a posteriori: la verifica di impatto della regolamentazione (VIR), una valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese, nonché sull'organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni (v. parte II, scheda Semplificazione – AIR e VIR).
Più di recente, l’art. 1 del D.L. 4/2006[275] ha previsto l’istituzione di un Comitato interministeriale di indirizzo per le politiche di semplificazione e di qualità della regolazione, che dovrebbe fare da “cabina di regia” per le attività delle diverse amministrazioni statali in materia. Presieduto dal Presidente del Consiglio o dal ministro per la funzione pubblica da lui delegato, Il Comitato – la cui composizione è rimessa a un successivo D.P.C.M. – svolge funzioni di indirizzo, coordinamento e, ove necessario, impulso nei confronti delle amministrazioni e di verifica sullo stato di realizzazione degli obiettivi. Esso predispone annualmente un piano di azione che viene approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso alle Camere.
La legge di semplificazione e riassetto normativo per il 2005 (L. 246/2005) introduce infine (art. 14, co. 12-24) una particolare procedura volta ad una drastica riduzione e semplificazione del corpus legislativo (c.d. “norma taglialeggi”), che prevede, al termine di un processo di ricognizione delle disposizioni legislative statali vigenti – da effettuare avvalendosi dei risultati dell’attività di informatizzazione della legislazione vigente ai fini della consultazione gratuita dei cittadini, prevista dall’art. 107 della legge finanziaria 2001 – l’abrogazione generalizzata di tutte le disposizioni legislative statali pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, ad eccezione di quelle espressamente elencate dall’articolo e di quelle che siano ritenute indispensabili dal Governo con propri decreti legislativi (v. parte II, scheda Semplificazione – La “norma taglialeggi”).
Dopo un decennio di dibattiti sulla necessità di una riforma del sistema dei servizi pubblici locali, parziali modifiche, e alcuni tentativi di riforma non portati a termine, nel corso della XIV legislatura sono stati approvati ben due interventi di riordino complessivo del settore, a distanza di poco tempo l’uno dall’altro, volti alla liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici locali.
I due interventi non sono stati realizzati con provvedimenti normativi ad hoc, bensì con norme inserite in un disegno di legge finanziaria e in un decreto-legge, e che quindi hanno potuto beneficiare di un rapido percorso di approvazione.
In entrambi i casi, il legislatore è intervenuto novellando il Titolo V della Parte I del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000[276]; v. parte II, scheda Servizi pubblici locali – Le norme del Testo unico enti locali), che sostanzialmente riproduceva quanto a suo tempo previsto in materia di servizi pubblici locali dalla L. 142/1990 e da alcuni provvedimenti integrativi successivi (tra cui: D.L. 26/1991, L. 498/1992, L. 127/1997).
La “prima” riforma dei servizi pubblici locali è stata attuata dall’art. 35 della L. 448/2001[277], legge finanziaria per il 2002, recante un complesso di disposizioni concernenti sia la proprietà e la gestione delle reti, sia l’erogazione dei servizi.
L’articolo 35 sostituisce interamente l’art. 113 del testo unico sugli enti locali ed introduce un nuovo art. 113-bis così disciplinando, rispettivamente, la gestione delle reti e l’erogazione dei servizi pubblici di rilevanza industriale e la gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza industriale[278].
Di particolare rilievo è l’introduzione del principio generale secondo il quale l’erogazione dei servizi di rilevanza industriale avviene in regime di concorrenza e attraverso l’affidamento del servizio con due condizioni:
§ il soggetto erogatore del servizio deve essere costituito in forma di società di capitali;
§ l’affidamento del servizio deve avvenire attraverso l’espletamento di una gara pubblica.
Le aziende speciali a cui era affidato in concessione l’esercizio dei servizi avrebbero dovuto pertanto trasformarsi in società per azioni per poter partecipare alle gare pubbliche, in condizioni di parità con le società private.
Tuttavia, era previsto un congruo periodo transitorio per adeguare le modalità di gestione vigenti al nuovo dettato della riforma.
Infine, l’attuazione della riforma era subordinata l’emanazione di un regolamento governativo, mai adottato, che avrebbe dovuto, tra l’altro, definire quali fossero i servizi di rilevanza industriale.
A differenza dell’esercizio dei servizi pubblici, completamente liberalizzato, gli enti locali mantengono un notevole controllo sulle reti e le altre infrastrutture (in parte attenuato dall’art. 35 che ha introdotto anche in questo campo alcuni elementi di concorrenza).
Innanzitutto, l’ente locale titolare del servizio rimane proprietario delle reti e degli impianti necessari all’erogazione del servizio.
Le singole discipline di settore stabiliscono i casi in cui gestione delle reti (il cui accesso deve essere comunque garantito a tutti gli operatori) ed erogazione dei servizi possono essere separati, e i casi in cui le due attività devono essere svolte congiuntamente.
Nel caso di separazione tra gestione delle reti ed erogazione del servizio, l’ente locale può scegliere se affidare anche la gestione delle reti al mercato, individuando le imprese idonee con gara pubblica, o mantenerne il controllo, avvalendosi di società a capitale pubblico.
La Commissione delle Comunità Europee aveva avviato già nel 2000 una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per la violazione dei principi di non discriminazione e trasparenza nella disciplina in materia di servizi pubblici locali recata dall’art. 22 della legge n. 142 del 1990, poi confluito nel testo unico. Nel giugno 2002 la Commissione inviava una lettera di messa in mora in riferimento alla nuova disciplina dell’art. 35 della legge finanziaria per il 2002.
La Commissione rilevava tra l’altro che:
§ l’espletamento di gare non è previsto sempre per l’affidamento della gestione delle reti in caso di separazione di tale gestione da quella del servizio;
§ sono fatti salvi per un lungo periodo transitorio gli affidamenti diretti effettuati in passato in violazione del diritto comunitario;
§ si prevede un regime derogatorio al principio della concorrenza per il mercato nel settore del servizio idrico integrato;
§ sono previsti, addirittura come regola generale, affidamenti diretti senza il rispetto di alcuna forma di messa in concorrenza in materia di gestione dei servizi pubblici definiti “privi di rilevanza industriale”.
La mancata adozione del regolamento di attuazione, indispensabile per l’applicazione della riforma, e la procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea hanno dunque reso necessario un nuovo intervento normativo.
La “seconda” riforma dei servizi pubblici locali è stata adottata nell’ambito del D.L. 269/2003[279], il cosiddetto decreto per la competitività, ed in particolare dall’articolo 14.
Tra le principali modifiche apportate alla disciplina vigente si segnalano:
§ la sostituzione della nozione di servizi di rilevanza industriale con quella di servizi di rilevanza economica;
§ la previsione della possibilità di affidare l’erogazione dei servizi di rilevanza economica non esclusivamente a società scelte mediante gara, ma anche a società a capitale misto pubblico-privato, oppure a società interamente pubbliche, mediante procedura in house (affidamento diretto del servizio da parte dell’ente locale ad una persona giuridica distinta, nei confronti della quale però l’ente locale esercita un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; e a patto che questo soggetto realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano)[280];
§ la soppressione del regime transitorio previsto dall’art. 35 con la determinazione di una data unica – il 31 dicembre 2006 – entro la quale tutte le gestioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cesseranno; tuttavia – come già nell’art. 35 previgente – sono contemplate alcune possibilità di ulteriore proroga;
§ l’abolizione del rinvio al regolamento di attuazione, previsto dall’art. 35 e, come si è detto, mai adottato.
L’art. 14 del D.L. 269, inoltre, conferma e specifica ulteriormente l’ambito di applicazione delle disposizioni dell’art. 113 del testo unico.
In primo luogo, vengono fatte salve (come già disposto dall’art. 35 della legge 448) le normative speciali previste per i singoli settori.
Inoltre, l’art. 14 chiarisce la natura integrativa, rispetto alle disposizioni di settore, delle norme generali recate dall’art. 113[281], ed esclude esplicitamente da esse il settore dell’energia elettrica e quello del gas (disciplinati, rispettivamente, dal D.Lgs. 79/1999[282] e dal D.Lgs. 164/2000[283]).
Successivamente, anche il settore del trasporto pubblico locale è stato escluso dal regime generale dei servizi pubblici locali (art. 1, comma 48, della L. 308/2004[284], che aggiunge un comma 1-bis all’art. 113 del testo unico; lo stesso art. 1, co. 48, ha sottratto al regime generale anche gli impianti di trasporti a fune nelle località turistiche montane).
Ulteriori modifiche all’art. 113 del testo unico sono state introdotte - poco dopo la conversione del D.L. 269 – dall’art. 4, co. 234, della legge finanziaria per il 2004[285]. Tali modifiche hanno per oggetto:
§ l’introduzione graduale di regole nelle normative di settore che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi;
§ i criteri di esecuzione dei lavori connessi alla gestione della rete, secondo tre diverse modalità, a seconda che la gestione della rete (integrata o meno col servizio) sia stata o meno affidata con gara ad evidenza pubblica o la gara sia stata relativa alla sola gestione del servizio relativo alla rete;
§ l’esclusione dalla cessazione delle concessioni delle società già quotate in borsa ed altre, fatta salva le possibilità di determinare la cessazione – a determinate condizioni – in modo “equivalente” o caso per caso;
§ la definizione delle condizioni per l’ammissione alle gare di imprese estere o di imprese italiane che abbiano operato all’estero.
Nel corso della XIV legislatura diversi interventi normativi hanno in vario modo interessato le Forze di polizia.
Già nella XIII legislatura la materia era stata oggetto di una pluralità di provvedimenti, il cui elemento caratterizzante, sul piano contenutistico, era stato quello di incidere sul trattamento giuridico ed economico del relativo personale mirando al rispetto del principio dell’equiparazione tra le diverse Forze, sia militarizzate che non militarizzate, per evitare il rischio di rincorse tra i differenti Corpi che avrebbero avuto l’effetto di determinare conseguenze incontrollabili sul piano degli equilibri finanziari.
Nella legislatura giunta a conclusione, il settore in oggetto è stato caratterizzato da numerosi interventi normativi che ne hanno interessato i più svariati aspetti; sono state all’uopo impiegate diverse tipologie di fonti con un considerevole ricorso alla decretazione d’urgenza. Il quadro normativo che ne è risultato è ampiamente frammentario, non facilmente sintetizzabile in un discorso unitario.
Sono infatti stati approvati:
§ interventi correttivi delle riforme del 2000-2001 in materia di personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato (D.Lgs. 477/2001[286]; v. parte II, scheda Forze di polizia – Personale direttivo e dirigente);
§ diverse disposizioni introdotte nelle leggi finanziarie della legislatura, nelle quali
- sono stati previsti stanziamenti per le forze di polizia con varie finalità, tra cui la valorizzazione dei trattamenti economici dei funzionari del ruolo dei commissari e qualifiche o gradi corrispondenti della Polizia di Stato, per armonizzarli, gradualmente, con quelli della dirigenza pubblica (L.289/2002[287]) e il riordino dei ruoli e delle carriere del personale non direttivo e non dirigente delle Forze di polizia (L. 350/2003[288]);
- sono state disposte deroghe al blocco delle assunzioni del personale della Polizia di stato per specifiche esigenze di sicurezza pubblica;
- è stato incrementato l’organico del personale dei ruoli della Polizia di Stato per la piena efficacia degli interventi in materia di immigrazione e di asilo nell’arco degli anni 2003-2005 (L.289/2002);
- sono state introdotte norme sul trattamento economico e di quiescenza dei dirigenti generali di pubblica sicurezza e dei dirigenti superiori della Polizia di Stato (L. 266/2005[289]);
- è stata disposta la sospensione, fino all’approvazione delle norme di riordino dei ruoli del personale delle Forze di polizia, delle norme finalizzate alla alimentazione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato e, contestualmente, l’affidamento agli ispettori sostituti commissari delle funzioni di vice dirigente e l’espletamento di concorsi per commissari nel rispetto della disciplina autorizzatoria delle assunzioni (L. 266/2005)
§ una delega al Governo (non esercitata) per la revisione delle norme in materia di sanzioni e di procedure disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza, per adeguare la normativa al mutato assetto amministrativo e processuale nonché a semplificare e ad accelerare le procedure, garantendo comunque il principio del contraddittorio (L. 3/2003[290]);
§ un rilevante intervento che ha introdotto il sistema dei parametri stipendiali (contestualmente sopprimendo i previgenti livelli stipendiali) per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate (D.Lgs. 193/2003[291])
§ disposizioni inserite in vari decreti-legge (di norma dal contenuto eterogeneo), che hanno previsto:
- l’assunzione e il mantenimento in servizio di personale della Polizia di Stato (D.L. 147/2003[292]; D.L. 45/2005[293]); l’accelerazione di talune procedure di assunzione dell’organico (D.L. 253/2003[294]); assunzione di personale con la finalità di prevenire e contrastare il crimine organizzato e il terrorismo interno ed internazionale, anche per le esigenze connesse allo svolgimento delle Olimpiadi invernali del 2006 (D.L. 272/2005)[295];
- interventi per sanare una situazione di sperequazione creatasi a carico di talune categorie di sottufficiali della Polizia di Stato, del Corpo forestale dello Stato, del Corpo di polizia penitenziaria, dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo della guardia di finanza. L’intervento si è reso necessario al fine di ripristinare condizioni omogenee negli ordinamenti delle carriere e nei trattamenti economici (D.L. 238/2004[296]);
- interventi in materia di valutazione annuale dei dirigenti della Polizia di Stato (D.L. 238/2004);
- modifiche ai ruoli dirigenziali medici e tecnici della Polizia di Stato (D.L. 45/2005);
- trasferimento degli stanziamenti destinati alla copertura assicurativa della responsabilità civile del personale delle Forze di polizia ai rispettivi fondi di assistenza operanti presso ciascuno dei cinque corpi di polizia (D.L. 45/2005);
- stanziamenti finalizzati alla perequazione dei trattamenti economici dei dirigenti delle Forze di polizia (D.L. 45/2005)
- una revisione organizzativa del Dipartimento della pubblica sicurezza finalizzata a un miglior coordinamento delle Forze di polizia (con l’istituzione della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato) (D.L. 45/2005);
- disposizioni di carattere finanziario volte all’ammodernamento e al potenziamento dei mezzi delle Forze di polizia (D.L. 45/2005)
Per una sintetica illustrazione degli interventi sopra elencati, si rinvia alla parte II, scheda Forze di polizia – Altri provvedimenti. Sul tema dell’armonizzazione del trattamento giuridico ed economico del personale delle Forze armatecon quello delle Forze di polizia, si veda anche il capitolo Armonizzazione, nel dossier relativo alla Commissione Difesa).
Non hanno invece superato la fase dell’esame referente in Commissione le proposte di legge C. 2384 (Lucchese ed altri) e C. 2462 (Mascia ed altri), recanti un nuovo ordinamento della carriera dei funzionari di pubblica sicurezza.
Non vi è stato esito legislativo, infine, nonostante l’approvazione dell’Assemblea della Camera[297], neanche per il testo unificato delle p.d.l. A.C. 3437 e abb. (Ascierto ed altri), volto ad operare un complessivo riordino dei ruoli dell’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di finanza e della Polizia penitenziaria.
Gli interventi a carattere legislativo volti a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica, con particolare riferimento a quelli destinati a fronteggiare i rischi derivanti dal crescere della minaccia terroristica in ambito internazionale, hanno assunto nella maggior parte dei casi, nel corso della XIV legislatura, la forma di misure a carattere penalistico o processuale; altre volte hanno mirato ad integrare le risorse a disposizione delle forze dell’ordine in termini di mezzi o di personale. Per un’illustrazione di tali misure si rinvia ai capitoli Contrasto al terrorismo, Interventi di diritto penale, Criminalità e sicurezza dei cittadini(nel dossier relativo alla Commissione Giustizia) nonché Forze di polizia[298].
In questa sede sembra opportuno soffermarsi sull’intervento di maggiore portata adottato nella legislatura, il “pacchetto” di norme di varia natura e finalità che ha formato oggetto del D.L. 144/2005[299], recante per l’appunto Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale (v. parte II, scheda Antiterrorismo – Il decreto-legge n. 144 del 2005).
Il decreto-legge fu emanato all’indomani dei gravi attentati di Londra del luglio 2005, in risposta – si può dire – all’allarme da essi suscitato e fu convertito in legge dalle due Camere nel giro di appena quattro giorni.
Tra le molte misure introdotte con il decreto-legge si possono ricordare:
§ l’introduzione di nuovi strumenti di indagine o l’ampliamento di quelli esistenti, come ad es. l’estensione alle indagini anti-terrorismo della facoltà di tenere i c.d. colloqui investigativi, già previsti dall’ordinamento penitenziario in relazione ai soli delitti di criminalità organizzata; la possibilità di autorizzare il SISMI e il SISDE ad effettuare le intercettazioni e i controlli preventivi sulle comunicazioni; la costituzione, ad opera del ministro dell’interno, di apposite unità investigative interforze, “per le esigenze connesse alle indagini di polizia giudiziaria conseguenti ai delitti di terrorismo di rilevante gravità”; l’introduzione di nuove disposizioni in materia di documentazione dei dati di traffico telefonico e telematico;
§ l’introduzione di misure premiali (come il “permesso di soggiorno a fini investigativi” o, al contrario, restrittive (come la nuova la nuova fattispecie di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo) specificamente rivolte ai cittadini stranieri;
§ la previsione o l’aggravamento degli strumenti di autorizzazione o vigilanza e controllo su determinate attività economiche (ad es., è assoggettata a licenza di polizia l’apertura di esercizi pubblici di telefonia e Internet; sono definite le competenze in materia di servizi di protezione informatica delle infrastrutture critiche informatizzate di interesse nazionale; è integrata con varie disposizioni la disciplina vigente sugli esplosivi; è modificata in senso per certi versi restrittivo la disciplina amministrativa delle attività di volo);
§ sono introdotte nuove norme penali o processuali di vario genere (è ad es. novellata la disciplina dell’identificazione dell’indagato, prevedendo tra l’altro a fini identificativi la possibilità del prelievo coattivo di capelli o saliva; è imposta la verifica dei procedimenti giudiziari a carico dell’indagato o dell’imputato; è ampliato l’ambito di applicazione dell’arresto obbligatorio in flagranza per i reati di terrorismo, ed è integrato l’elenco dei reati per i quali l’arresto in flagranza è facoltativo; è modificato in alcuni punti il regime delle misure di prevenzione; sono introdotte due nuove fattispecie delittuose: l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale e l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale; è introdotta la definizione delle “condotte con finalità di terrorismo”;
§ sono introdotte misure di varia natura volte a ridurre gli “oneri amministrativi impropri” a carico della polizia giudiziaria, per meglio destinare le risorse disponibili agli impegni primari di pubblica sicurezza.
Il successivo D.L. 272/2005[300] (c.d. “decreto Olimpiadi”), ha previsto all’art. 1-ter ulteriori misure finalizzate al contrasto del terrorismo internazionale, alcune delle quali formulate in termini di novella al D.L. 144/2005. La maggior parte di esse modifica in senso restrittivo l’apparato sanzionatorio volto a reprimere l’uso illecito, da parte di terzi, di segni distintivi o di documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero di strumenti di autodifesa o altri apparati normalmente destinati all’armamento di tali Corpi.
In tale contesto va altresì menzionato il D.L. 83/2002[301], intervenuto nella prima parte della legislatura, con il quale si è inteso rafforzare le misure di protezione delle personalità ritenute a rischio[302].
Per l’esercizio di tale competenza (attribuita al ministro dell’interno in quanto autorità nazionale di pubblica sicurezza) è istituito, nell’ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero, un Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS)[303], che si avvale a sua volta di un’apposita Commissione centrale consultiva. A fini di raccolta delle informazioni e di raccordo informativo, un ufficio per la sicurezza personale opera infine presso ogni Ufficio territoriale del Governo.
L’art. 5-bis norma che prevede la possibilità, per esigenze eccezionali e temporanee, di conferire la qualifica di agente di pubblica sicurezza[304] a conducenti di veicoli in uso ad “alte personalità che rivestono incarichi istituzionali di governo nazionali e dell’Unione europea nonché ad altre personalità, da individuare con decreto del Ministero dell’interno”. Su tale articolo ha inciso da ultimo il già citato art. 1-ter del D.L. 272/2005, disciplinando l’uso da parte dei conducenti in questione di segnali distintivi e strumenti di segnalazione e di allarme.
Il dibattito sulla riforma dei Servizi di informazione e sicurezza, in corso da anni, ha ricevuto ulteriore impulso, sin dall’inizio della XIV legislatura, in conseguenza di un’evoluzione del quadro internazionale che – a partire dagli eventi dell’11 settembre 2001 – ha messo drammaticamente in evidenza l’emergere del rischio terroristico.
Il Governo ha assunto l’iniziativa di una riforma nella primavera del 2002 (v. parte II, scheda Servizi di informazione – Il progetto di riforma). La proposta governativa, orientata dalle linee guida approvate qualche mese prima dal Comitato interministeriale per l’informazione e la sicurezza e condivise dal Comitato parlamentare di controllo, è stata esaminata dal Senato (A.S. 1513) insieme ad otto progetti di iniziativa parlamentare, e da questo approvata, con modifiche, nel maggio 2003.
Trasmesso alla Camera, il disegno di legge governativo (A.C. 3951), unitamente a dieci proposte di legge di iniziativa parlamentare, ha avviato il suo iter in sede referente presso la Commissione affari costituzionali, che non ne ha tuttavia concluso l’esame prima della fine della legislatura.
Il testo approvato dal Senato apporta rilevanti modifiche alla L. 801/1977[305], che disciplina attualmente la materia (oltre che a vari articoli del codice di procedura penale che disciplinano il segreto di Stato). In particolare:
§ sono ridefinite le attribuzioni e la composizione del Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza (CIIS) e le competenze del Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e sicurezza (CESIS);
§ è istituito presso la segreteria generale del CESIS l’Ufficio centrale per la sicurezza (UCSi), che dovrà curare le attività concernenti il segreto di Stato e la tutela dei documenti, atti o cose classificati;
§ vengono precisati criteri e procedure per il reclutamento, da parte dei Servizi di informazione e sicurezza, di personale esterno alle amministrazioni statali;
§ si prevede e si regola l’acquisizione di informazioni da parte dei Servizi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti erogatori di servizi pubblici;
§ inserendo nove nuovi articoli dopo l’art. 10 della L. 801/1977, si dispone in tema di garanzie funzionali, prevedendo una causa di giustificazione speciale per il personale dei Servizi che ponga in essere condotte costituenti reato, che, a determinate condizioni, siano state autorizzate in quanto indispensabili per il raggiungimento delle finalità istituzionali dei Servizi (fatto salvo il diritto all’integrale indennizzo per i terzi danneggiati); è altresì disciplinato il ricorso a identità false e lo svolgimento di attività economiche di copertura; presso la segreteria generale del CESIS è istituito un Comitato di garanzia avente il compito di coadiuvare il Presidente del Consiglio nell’esercizio del potere di autorizzazione;
§ viene ridefinita la materia degli obblighi di informazione del Governo nei confronti del Parlamento, per il tramite del Comitato parlamentare di controllo;
§ è interamente ridisegnata la materia del segreto di Stato, sostituendo con quattro nuovi articoli il vigente art. 12 della L. 801/1977. Sono, in particolare, precisati le finalità e i presupposti del segreto di Stato; si dispone, ove possibile, l’annotazione del relativo vincolo sugli atti, documenti o cose che ne sono oggetto; si pone un limite temporale alla sua durata; si disciplinano, inoltre, gli aspetti processuali dell’opposizione del segreto di Stato;
§ si attribuisce al Presidente del Consiglio il potere di ottenere dall’autorità giudiziaria copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto, derogando espressamente all’obbligo del segreto;
§ si inaspriscono talune sanzioni penali per i reati di criminalità informatica e per altri reati, se commessi in danno degli archivi dei Servizi o al fine di procurarsi informazioni coperte da segreto di Stato;
§ si prevedono forme di coordinamento tra le attività del SISMI e del SISDE.
La legislazione in materia di provvidenze per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e per le vittime del dovere è costituita da un complesso corpus normativo formatisi soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘70 (v. parte II, scheda Vittime del terrorismo – Il quadro normativo).
Con la XIV legislatura la disciplina in materia è stata integrata da numerosi interventi (per approfondimenti v. parte II, scheda Vittime del terrorismo – I provvedimenti della XIV legislatura).
In primo luogo, sulla stratificata normativa esistente si è inserita la legge 206/2004[306], rivolta alle vittime del terrorismo, che è intervenuta principalmente su due aspetti della materia. Innanzitutto ha provveduto ad innalzare sia l’entità massima della speciale elargizione in favore delle vittime o dei loro familiari (portata a 200.000 euro), sia l’importo dell’assegno vitalizio (1.033 euro mensili).
Inoltre, la legge ha ridisciplinato e, in certi casi, introdotto ex novo, altri tipi di benefici, quali l’assistenza psicologica a carico dello Stato, il diritto al patrocinio legale gratuito, alcuni benefici pensionistici.
Successivamente alla emanazione della L. 206/2004 sono state approvate alcune disposizione volte ad estenderne l’ambito di applicazione.
La L. 91/2006[307] estende esplicitamente la disposizioni della legge 206 anche ai familiari delle vittime della strage di Kindu in Congo, avvenuta l’11 novembre 1961. Viene così disposta una deroga, unicamente per questo avvenimento, ai limiti temporali posti dalla stessa L. 206/2004 che riguarda gli eventi occorsi dal 1° gennaio 1961, ma accaduti nel territorio nazionale, mentre per quelli verificatisi all’estero il limite temporale è del 1° gennaio 2003.
Più in generale, l’estensione di tutti i benefici previsti per le vittime della criminalità e del terrorismo alle vittime del dovere è prevista dall’art. 1, co. 562-565, della L. 266/2005 (legge finanziaria 2006)[308]. Tale disposizione prevede l’autorizzazione alla spesa annua della cifra massima di 10 milioni di euro, a partire dal 2006, al fine appunto della “progressiva” estensione dei benefici di cui sopra a tutte le vittime del dovere.
Sono, inoltre, individuate le categorie considerate tra le vittime del dovere, non solamente, le forze dell’ordine, i militari, i magistrati, i vigili del fuoco ecc., ma anche tutti gli altri dipendenti pubblici deceduti in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto e per cause di servizio espressamente indicate.
L’articolo 1, comma 272, della stessa legge finanziaria 2006, reca una norma che istituisce una specifica indennità – entro il limite di spesa di 8 milioni di euro per l’anno 2006 – per gli eredi delle vittime del disastro aereo di Ustica del 27 giugno 1980. La disposizione è finalizzata a superare alcuni problemi interpretativi della legge 206 che hanno di fatto impedito ai familiari delle vittime di Ustica di usufruire dei benefici da essa disposti.In particolare, l’ostacolo principale risiederebbe nella mancanza della qualificazione in sede giudiziaria del disastro aereo di Ustica quale atto di natura terroristica.
I provvedimenti sopra richiamati si inseriscono in un corpus normativo, come si è accennato, articolato e complesso.
Pertanto è particolarmente sentita in questo settore la necessità di un riordino e di una razionalizzazione delle norme succedutesi nel tempo.
L’ultima legge annuale di semplificazione intervenuta nella legislatura – la legge 246/2005[309] (art. 3) – ha previsto appunto il riassetto delle disposizioni che disciplinano le provvidenze per le vittime del dovere, del servizio, del terrorismo, della criminalità organizzata e di ordigni bellici in tempo di pace, da attuare con l’emanazione di uno o più decreti legislativi entro il dicembre 2006.
Il 25 luglio 2003 il Governo ha presentato alla Camera un disegno di legge (A.C. 4209) recante una disciplina organica delle attività di sicurezza esperibili da soggetti privati (vigilanza privata, investigazioni private, ricerca e raccolta di informazioni, recupero stragiudiziale di crediti per conto terzi, trasporto e scorta valori, servizi di custodia e di sicurezza secondaria), attività complessivamente definite di “sicurezza sussidiaria”. Tale dizione – riferita ad attività che i privati possono esercitare in quanto non presuppongono l’esercizio di poteri coercitivi – è stata scelta al fine di evidenziarne il carattere complementare rispetto alle funzioni di “sicurezza primaria”, che restano affidate alle forze di polizia facenti capo alle autorità di pubblica sicurezza nazionali e locali.
Sul provvedimento, licenziato per l’Assemblea dalla I Commissione in un testo unificato con altre dieci proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 301 e abb.-A), non è stato concluso l’esame in Assemblea per la fine della legislatura.
Il testo unificato (v. parte II, scheda Iniziative sulla sicurezza sussidiaria), che in primo luogo disciplina in via generale le attività menzionate, si compone di 34 articoli, ripartiti in sette capi recanti, rispettivamente, disposizioni di carattere generale, norme sugli istituti di vigilanza e di sicurezza e sulle guardie giurate, disciplina dei servizi di trasporto valori e di scorta valori, norme sui servizi di custodia e sugli altri servizi di sicurezza secondaria, disposizioni sulle attività di investigazione e ricerca, disciplina delle attività di recupero crediti e disposizioni transitorie e finali.
In via generale le attività di sicurezza sussidiaria sono definite come quelle “rivolte ad evitare danni o pregiudizi alla libera fruizione dei beni, anche immateriali, svolte da soggetti privati, che la legge non riserva alla forza pubblica”.
Il testo offre un elenco di tali attività (peraltro, come si dirà, non esaustivo), ripartendole tra quelle che possono essere svolte dagli istituti di vigilanza e di sicurezza a mezzo di guardie giurate, e quelle che possono essere svolte da soggetti diversi. Tra le prime, oltre alle tradizionali attività di vigilanza e custodia di beni mobili o immobili, di imprese, di uffici anche pubblici, sui mezzi di trasporto, rientrano quelle aventi ad oggetto prodotti ad alta tecnologia, medicinali, armi e munizioni, sostanze tossiche o esplosivi, in aziende pubbliche e private o in altri siti che possano essere considerati come “obiettivi sensibili”. Nell’elenco sono contemplate anche attività di più recente evoluzione, quali la gestione di sistemi di sicurezza complessi e di misure anti-intrusione, di sistemi di video-sorveglianza e di teleallarme.
Rientrano nel secondo gruppo attività che non debbono rispondere a particolari esigenze di sicurezza né comportano l’uso di armi o mezzi di coazione fisica: tra le altre, la scorta tecnica per trasporti eccezionali, i servizi a tutela della pubblica incolumità da assicurarsi nel corso di gare su strada, la consulenza e l’installazione di sistemi di sicurezza, la custodia di esercizi, stabilimenti, uffici, ovvero beni mobili o immobili quando non vi siano particolari esigenze di sicurezza[310].
Si prevede peraltro che, con decreto ministeriale, l’elenco recato dal progetto di legge possa essere integrato con nuove attività di sicurezza sussidiaria che non comportino l’esercizio di potestà pubbliche o limitazioni della libertà personale.
Ulteriori disposizioni sono rimesse all’emanando regolamento di attuazione: tra queste, l’istituzione e la tenuta di una banca dati degli istituti e delle imprese disciplinati dalla legge, e le misure finalizzate al controllo delle attività autorizzate, anche relativamente alla qualità dei servizi, con la specificazione analitica di livelli minimi di qualità.
Come s’è già accennato, il progetto di legge subordina l’esercizio delle attività indicate ad autorizzazioni di polizia, le quali vengono disciplinate in via generale.
Sul piano oggettivo, si precisa che l’autorizzazione non può contemplare attività che non siano correlate a “specifici incarichi di natura contrattuale”, né – salva espressa previsione legislativa – attività che importino l’esercizio di pubbliche potestà o limitazioni della libertà personale.
Sul piano soggettivo, vengono elencati i requisiti per l’ottenimento dell’autorizzazione, tra i quali è compreso quello della cittadinanza italiana o di altro Stato dell’Unione europea; requisiti il cui possesso è necessario anche per lo svolgimento di incarichi direttivi o di rappresentanza nella società o nell’impresa.
Va evidenziato il fatto che il rilascio dell’autorizzazione è subordinato all’approvazione di un progetto organizzativo e tecnico-operativo presentato dal richiedente (v. art. 3) nonché, per gli istituti di vigilanza e di sicurezza, all’approvazione delle regole tecnico-operative concernenti il servizio delle guardie giurate. Entrambi i documenti sono soggetti ad atti di approvazione amministrativa distinti dall’autorizzazione, pur se quest’ultima può essere chiesta contestualmente alla presentazione del progetto (o al più tardi entro sei mesi dall’approvazione di questo).
Come accennato, il testo precisa, anche in considerazione dei rilievi formulati in ambito comunitario nel corso di una procedura d’infrazione, che le imprese stabilite in altro Stato membro dell’Unione europea, in cui prestino legalmente servizi di sicurezza sussidiaria, possono, a determinate condizioni[311], svolgere l’attività in Italia, sulla base di una dichiarazione di inizio di attività sostitutiva dell’autorizzazione[312] (comunque accompagnata dai dati relativi al progetto organizzativo e alle regole tecnico-operative di cui s’è detto).
Il rilascio o il rinnovo dell’autorizzazione (altresì denominata licenza), che ha durata quinquennale, è subordinato anche al documentato adempimento degli obblighi fiscali, assicurativi e contributivi nei confronti dei dipendenti, nonché al rilascio di una cauzione, il cui ammontare è determinato dal prefetto, sulla base di parametri ministeriali, in relazione alle caratteristiche dell’attività.
Al di là degli specifici obblighi previsti dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza competente può sempre disporre prescrizioni o divieti aggiuntivi, motivate dal pubblico interesse o da esigenze di ordine e sicurezza pubblica; potendo altresì limitare l’assunzione, l’aggregazione o la cessione temporanea di guardie giurate. I princìpi generali e i parametri tecnico-amministrativi per l’omogenea applicazione della disciplina in tutto il territorio dello Stato sono definiti dal ministro dell’interno, sentita la Commissione consultiva centrale (art. 8: v. infra) o un’apposita sottocommissione.
Sono poi elencati partitamente gli obblighi cui sono tenuti in via generale i titolari delle attività autorizzate, in aggiunta a quanto specificamente previsto per ciascuna di tali attività (art. 4). Si tratta principalmente di obblighi:
§ di pubblicità sulle prestazioni e sulle rispettive tariffe[313];
§ di registrazione, comunicazione e informazione all’autorità vigilante (sulle operazioni svolte, sul personale impiegato, su quanto abbia comunque attinenza con l’ordine e con la sicurezza pubblica);
§ di vigilanza sull’attività del personale.
La vigilanza sulle attività in oggetto spetta al questore[314].
Sono quindi disciplinate condizioni e modalità del diniego, della sospensione e della revoca delle autorizzazioni (art. 5). Oltre alla carenza o al venir meno delle condizioni richieste per il rilascio, possono motivare il diniego o la revoca altre evenienze, tra le quali “il fondato pericolo che l’istituto, la società o l’impresa […] acquisisca una posizione predominante nel territorio o nel settore di attività”, sulla base di parametri stabiliti dal ministro sentita la Commissione consultiva più volte citata. La medesima disposizione fissa essa stessa alcuni tra questi parametri:
§ la presenza nel territorio di un istituto o gruppi di istituti partecipati o controllati da una medesima società o impresa non può superare il 30 per cento del territorio di ciascuna delle aree produttive del Paese, individuate, su base regionale o interregionale, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro per le attività produttive;
§ nessun istituto o gruppo di istituti controllati da una medesima società o impresa può impiegare, nella provincia in cui opera, un numero di guardie giurate o di altri operatori abilitati superiore ad un terzo delle forze dell’ordine a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza della stessa provincia;
§ in ciascuna provincia deve essere comunque assicurata la pluralità dell’offerta;
Il diniego dell’autorizzazione può inoltre essere motivato dalla presenza sul territorio di un numero non proporzionato di istituti o imprese di servizi, di guardie giurate o di altri operatori abilitati. Anche in questo caso, i parametri di valutazione sono fissati dal ministro dell’interno, sentita la Commissione di cui all’art. 8.
Sono infine indicati i casi e i modi in cui gli enti pubblici, gli altri enti collettivi ed i privati possono esercitare in forma diretta, avvalendosi cioè di propri dipendenti che siano – comunque – guardie giurate, attività di vigilanza, custodia o scorta di propri beni immobili o mobili, previa indicazione di un responsabile e rilascio di un nulla osta da parte del prefetto. La disciplina del nulla osta è rimessa al regolamento di esecuzione (art. 7).
Il testo prevede l’istituzione, presso il Ministero dell’interno, di una Commissione consultiva centrale per le attività di sicurezza sussidiaria (art. 8). Si tratta di un organo collegiale la cui composizione vede la rappresentanza sia delle amministrazioni pubbliche sia delle categorie professionali interessate.
Alla Commissione, che può articolarsi in sottocommissioni per compiti specifici, sono attribuite funzioni consultive nel procedimento di adozione del regolamento attuativo della legge e su ogni altra questione afferente al settore, e compiti di analisi delle relative problematiche, che possono tradursi in proposte di iniziative legislative da sottoporre al ministro dell’interno.
Spetta infine alla Commissione la tenuta del registro delle persone che esercitano professionalmente attività di sicurezza sussidiaria.
Il ministro dell’interno può delegare i prefetti dei capoluoghi di regione ad istituire osservatori regionali in materia di sicurezza sussidiaria, aventi compiti di monitoraggio, consultivi e propositivi (art. 9).
Particolare rilievo assume l’istituzione, presso il Ministero dell’interno, del registro delle persone che esercitano professionalmente attività di sicurezza sussidiaria (art. 10), che è tenuto dalla Commissione consultiva centrale[315]. I requisiti generali per l’iscrizione al registro sono individuati dal medesimo testo. È previsto tra l’altro l’obbligo di assicurazione per i rischi di responsabilità civile inerenti all’attività esercitata. La disciplina di dettaglio è invece rimessa a un decreto avente natura regolamentare, da adottare ad opera del ministro dell’interno di concerto con il ministro della giustizia e sentita la Commissione citata. Tale decreto dovrà inoltre definire le procedure per l’adozione di codici di deontologia professionali, da predisporre a cura delle singole sezioni nelle quali si articola la citata Commissione.
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha discusso, nel corso di un iter in sede referente che ha percorso quasi l’intera legislatura, 17 progetti di legge concernenti l’ordinamento della polizia locale (A.C. 2 e abb.).
La complessità dell’esame parlamentare è stata in parte determinata dall’esigenza di individuare quali ambiti di competenza legislativa statale siano residuati in materia dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, alla luce della quale la “polizia amministrativa locale” è da intendersi ricompresa tra le materie di piena competenza regionale.
Prima della riforma costituzionale, infatti, la “polizia locale, urbana e rurale” costituiva materia di competenza legislativa regionale concorrente; il vigente art. 117 Cost. (secondo comma, lett. h)) menziona invece la “polizia amministrativa locale”, proprio al fine di sottrarla alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordine pubblico e sicurezza”.Peraltro, pur non potendo più dettare norme di principio in materia di polizia amministrativa locale, il legislatore statale conserva la possibilità di intervenire sulle funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza che – attualmente in via ausiliaria e non istituzionale – sono attribuite al personale appartenente alla polizia locale. Ciò in forza della potestà legislativa esclusiva di cui lo Stato gode in materia di “giurisdizione, norme processuali e ordinamento penale”, ai sensi dell’art. 117, co. 2°, lett. l), Cost., oltre che – come si è detto – in materia di ordine pubblico e sicurezza. Spetta, inoltre, al legislatore statale la disciplina dell’uso delle armi, attesa la competenza esclusiva allo stesso riconosciuta in materia di “armi, munizioni ed esplosivi” dalla lett. d) del citato co. 2° dell’art. 117.
Il testo unificato licenziato per l’Assemblea lo scorso 1° febbraio (A.C. 2 e abb.-A), anche in considerazione del quadro di competenze appena delineato, non reca una riforma organica, ma provvede ad includere espressamente la polizia locale nel novero delle forze di polizia; estende ai relativi esponenti la qualifica di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, estendendo altresì agli ufficiali di polizia locale l’accesso e l’utilizzazione dei dati e delle informazioni conservati negli archivi automatizzati del CED del Ministero dell’interno; reca norme in materia di dotazione e porto delle armi per gli addetti alla polizia locale.È stata infine introdotta un’apposita area di contrattazione collettiva per il personale dei corpi di polizia locale, alla quale sono ammesse le organizzazioni sindacali aventi una rappresentatività non inferiore al 5 per cento[316].
Tra il 19 e il 22 luglio 2001 l’Italia ha ospitato l’annuale Vertice degli otto maggiori Paesi industrializzati (G8) che ha avuto luogo a Genova.
Nei giorni del summit si sono svolte nella città alcune manifestazioni nel corso delle quali si sono verificati disordini e scontri tra forze dell’ordine e manifestanti, culminati nella morte di uno di questi, Carlo Giuliani, il 20 luglio.
Il 1° agosto 2001 l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari costituzionali della Camera, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, decideva di avviare un’indagine conoscitiva sui fatti accaduti a Genova in occasione dello svolgimento del vertice G8. Tenuto conto dell’analoga iniziativa del Senato, il Presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, on. Bruno, nella lettera con cui richiedeva al Presidente della Camera, ai sensi dell’art. 144, comma 1, del Regolamento della Camera, l’assenso allo svolgimento dell’indagine, evidenziava l’esigenza di promuovere le necessarie intese con il Presidente del Senato, secondo quanto previsto dall’art. 144, ultimo comma del Regolamento della Camera e dall’art. 48, ultimo comma, del Regolamento del Senato.
Le intese, perfezionate il 2 agosto 2001, prevedevano che le due Commissioni avrebbero costituito un Comitato paritetico, composto da 36 membri (18 deputati e 18 senatori), ripartiti tra i Gruppi secondo i criteri vigenti per la formazione degli organi bicamerali, nell’osservanza dei princìpi della rappresentatività e della proporzionalità dei Gruppi.
Il Comitato sarebbe stato presieduto da un deputato; secondo la prassi, la sua attività sarebbe stata disciplinata dal Regolamento della Camera che per prima aveva deliberato l’indagine conoscitiva.
L’Ufficio di Presidenza del Comitato (composto, oltre che dal Presidente, da due Vice Presidenti e da due segretari) sarebbe stato nominato sulla base delle intese raggiunte in sede di Uffici di Presidenza congiunti delle due Commissioni, integrati dai rappresentanti dei Gruppi, ovvero, in mancanza di unanimità, eletto – come da prassi – direttamente dal Comitato.
Il termine per la conclusione dell’indagine veniva fissato per il 20 settembre 2001.
I lavori del Comitato sono iniziati il 7 agosto 2001 e sono proseguiti con lo svolgimento delle audizioni, sino al 7 settembre 2001. Le audizioni, 27 complessivamente, si sono svolte nell’arco di 10 sedute.
Conclusa la fase procedurale delle audizioni, secondo quanto convenuto nelle intese dei Presidenti dei due rami del Parlamento, l’Ufficio di Presidenza del Comitato, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, nella riunione del 7 settembre 2001, ha stabilito che il Comitato avrebbe proseguito i propri lavori fino alla ultimazione di uno schema di documento conclusivo.
Il Comitato ha adottato nella seduta del 14 settembre 2001 una proposta di documento conclusivo, che è stato trasmesso alle due Commissioni Affari costituzionali per la fase conclusiva dell’indagine, relativa alla discussione e alla approvazione del documento stesso.
Alla Camera, lo schema di documento conclusivo è stato discusso dalla Commissione Affari costituzionali il 18 e il 20 settembre 2001, giorno in cui è stato approvato; l’approvazione di tale documento ha comportato la preclusione delle due proposte alternative di documento conclusivo presentate dai deputati Violante, Sinisi, Boato, Bressa, Labate, Soda e Zanotti nonché dal deputato Mascia.
La Commissione Affari costituzionali del Senato ha discusso, approvandolo, il documento conclusivo dell’indagine nelle sedute del 18, 19 e 20 settembre 2001. Presso la stessa Commissione è stato presentata ed illustrata una proposta alternativa di documento conclusivo (allegata al riassunto dei lavori), sottoscritta dai senatori Bassanini, Dentamaro, Iovene, Marini, Petrini, Turroni e Villone.
Tre anni dopo, il 20 luglio 2004, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame di due proposte di legge di iniziativa parlamentare volte all’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulle vicende relative ai fatti accaduti a Genova.
Le proposte di legge (A.C. 1426 on. Bertinotti ed altri e A.C. 3589 on. Mascia ed altri) hanno entrambe ad oggetto l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta bicamerale, composta di 20 deputati e di 20 senatori, ai sensi dell’articolo 82 della Costituzione.
Mentre la proposta A.C. 1426 si limita ad indicare, come finalità della Commissione, l’indagine “sulle vicende relative ai fatti accaduti a Genova in occasione della riunione del G8 e delle manifestazioni del Genoa Social Forum “, il progetto A.C. 3589 individua dettagliatamente le seguenti questioni oggetto di accertamento:
§ ricostruire gli avvenimenti accaduti a Genova in occasione del vertice G8;
§ accertare se durante i giorni in cui ha avuto luogo il predetto vertice si sia verificata la sospensione dei diritti costituzionali fondamentali;
§ ricostruire la gestione dell’ordine pubblico (“facendo luce sulla catena di comando e sulle dinamiche che hanno innescato e perpetuato una spirale repressiva nei confronti dei manifestanti”);
§ indagare sulla dinamica della morte del manifestante Carlo Giuliani, “anche al fine di accertare eventuali responsabilità politiche ed amministrative”;
§ indagare sui fatti accaduti presso la scuola Diaz, anche in tal caso accertando le eventuali relative responsabilità amministrative e politiche;
§ ricostruire i fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto, al fine di accertare “se in tale occasione si sia ricorso a trattamenti o punizioni disumani o degradanti, e se siano stati rispettati i diritti civili degli arrestati”.
La Commissione ha dedicato all’esame delle proposte di legge quattro sedute nel mese di luglio 2004, senza pervenire alla sua conclusione.
Si ricorda che, in precedenza, la I Commissione del Senato aveva concluso, in tempi diversi, l’esame delle proposte di inchiesta monocamerale sulla stessa materia (doc. XXII, n. 4 - Angius ed altri e doc. XXII, n. 13 - Malabarba ed altri), dando mandato ai relatori di riferire in Assemblea per la loro reiezione, rispettivamente il 6 febbraio 2002 e il 9 luglio 2003.
Nel corso della XIV legislatura sono state istituite due commissioni bicamerali di inchiesta la cui legge di approvazione è stata esaminata dalla I Commissione (Affari costituzionali) della Camera.
La L. 386/2001[317] ha ricostituito la Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia, già istituita, con continuità, a partire dalla X legislatura.
La legge ha affidato alla Commissione i seguenti compiti:
§ verificare l’attuazione della disposizioni di legge adottate contro la criminalità organizzata e la mafia e, in particolare, quelle riguardanti le persone che collaborano con la giustizia e le persone che prestano testimonianza, e promuovere iniziative legislative e amministrative necessarie per rafforzarne l’efficacia;
§ accertare la congruità della legislazione vigente, anche riguardante il riciclaggio, formulando le proposte di carattere legislativo e amministrativo ritenute necessarie per rendere più coordinata e incisiva le iniziative contro la mafia;
§ accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni, comprese quelle istituzionali;
§ accertare le modalità di difesa del sistema degli appalti e delle opere pubbliche dai condizionamenti di tipo mafioso;
§ verificare l’adeguatezza delle norme sulle misure di prevenzione patrimoniale, sulla confisca dei beni e sul loro uso sociale e produttivo, proponendo le misure idonee a renderle più efficaci;
§ riferire al Parlamento al termine dei suoi lavori, nonché ogni volta che lo ritenga opportuno e comunque annualmente.
La Commissione ha presentato nel corso della propria attività le seguenti relazioni[318]:
§ la relazione annuale sui lavori svolti, approvata il 30 luglio 2003 (doc. XXIII, n. 3);
§ la relazione sulle questioni emerse in sede di applicazione della nuova normativa in tema di regime carcerario speciale previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario (legge 23 dicembre 2002, n. 279), approvata dalla Commissione l’8 marzo 2005 (doc. XXIII, n. 13);
§ il documento conclusivo sul Piemonte e la Val d’Aosta, approvato dalla Commissione il 19 luglio 2004 (doc. XXIII, n. 8);
§ la relazione conclusiva approvata dalla Commissione il 18 gennaio 2006 (doc. XXIII, n. 16), nonché la relazione di minoranza (doc. XXIII, n. 16-bis).
La Commissione di inchiesta sul dossier Mitrokhin è stata istituita dalla legge 90/2002[319], con il compito di accertare la veridicità delle informazioni contenute nel cosiddetto dossier Mitrokhin sull’attività spionistica svolta dal KGB nel territorio nazionale e le eventuali implicazioni e responsabilità di natura politica o amministrativa.
Ai sensi dell’art. 1, co. 3, della legge istitutiva la Commissione avrebbe dovuto concludere i propri lavori entro dodici mesi dalla sua costituzione (avvenuta il 16 luglio 2002) presentando al Parlamento una relazione sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta. Tale termine è stato prorogato dalla L. 232/2003[320] sino al termine della XIV legislatura.
La Commissione ha presentato nel corso della propria attività la relazione sull’attività istruttoria svolta sull’operazione Impedian (approvata nella seduta del 15 dicembre 2004, doc. XXIII, n. 10) e la relazione di minoranza sul medesimo tema (doc. XXIII, n. 10-bis), mentre non è stato possibile presentare la relazione conclusiva. Una proposta di relazione è stata predisposta dal Presidente ma non messa ai voti a causa del mancanza del numero legale nell’ultima seduta della Commissione (15 marzo 2006)[321].
La Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) della Camera hanno approvato una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione di inchiesta sui rapporti illeciti tra economia, politica e giustizia (A.C. 1427-A e abb.) il cui esame però si è arrestato alla fase della discussione generale in Assemblea (seduta del 24 marzo 2004).
Le finalità della proposta di legge erano sostanzialmente due: innanzitutto, indagare, in generale, sul fenomeno degli illeciti rapporti tra il sistema politico e il sistema economico-finanziario (ossia quella che è stata definita con il termine di “tangentopoli”), ed inoltre, in particolare, verificare la correttezza dell’attività giudiziaria nelle indagini e nell’esercizio dell’azione penale in relazione a quel fenomeno.
Il sistema della protezione civile è stato interessato nel corso della XIV legislatura da due provvedimenti d’urgenza che ne hanno ridisegnato in modo sostanziale l’assetto – in precedenza stabilito dal decreto legislativo 300/1999[322], di riordino dell’organizzazione del Governo – assegnando nuovamente al Presidente del Consiglio (che può allo scopo delegare un ministro) la responsabilità del settore.
Il decreto-legge 343/2001[323], attraverso puntuali modifiche del D.Lgs. 300/1999, ha soppresso l’Agenzia di protezione civile e ha nuovamente affidato al Dipartimento della protezione civile, presso la Presidenza del Consiglio, le competenze precedentemente assegnate all’Agenzia, ripristinando, da un lato, la situazione prevista dalla L. 225/1992[324], ma facendo anche salva, dall’altro, la ripartizione di competenze nel frattempo intervenuta con il D.Lgs. 112/1998[325]. Tale inversione di tendenza risponde alla necessità di realizzare un maggior coordinamento tra le attività di protezione civile e una centralità politico – operativa in grado di assicurare il funzionamento di tutte le strutture chiamate ad intervenire[326]. A tal proposito, si è stabilito che il Capo del Dipartimento della protezione civile rivolga, nel rispetto delle indicazioni fornite dal Presidente del Consiglio, alle amministrazioni statali e locali, le indicazioni necessarie a realizzare un coordinamento operativo.
Il D.L. 343/2001 ha inoltre attribuito al Ministero dell’interno una competenza di carattere generale in materia di politiche di protezione civile e prevenzione incendi, facendo al contempo salve le specifiche funzioni del Presidente del Consiglio nella medesima materia. L’attribuzione in via esclusiva al ministro dell’interno di tale competenza è stata in seguito superata ad opera del D.L. 90/2005[327] (a proposito del quale, v. oltre).
Per una più ampia illustrazione dei contenuti del D.L. 343/2001 e dei successivi provvedimenti di attuazione, v. scheda La protezione civile – Recenti riforme, nel dossier relativo alla Commissione Ambiente).
All’Agenzia di protezione civile, posta sotto la vigilanza del Ministero dell’interno, erano state trasferite, in base al citato D.Lgs. 300/1999 che l’aveva istituita, le funzioni tecnico-operative in precedenza esercitate da tre organismi collocati in diverse strutture (la Direzione della protezione civile e dei servizi antincendi del Ministero dell’interno, il Dipartimento della protezione civile e il Servizio sismico nazionale operanti presso la Presidenza del Consiglio)[328].
Il D.L. 343/2001 ha ricondotto al Presidente del Consiglio (ovvero al ministro dell’interno da lui delegato) le competenze a livello nazionale indicate dalla legge istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile (L. 225/1992) già abrogate dal D.Lgs. 300/1999, conferendogli nuovamente il potere di ordinanza.
In tal modo è stato riaffermato il ruolo centrale del Presidente del Consiglio, al quale è affidato (salva delega al ministro dell’interno) il potere di determinare le politiche di protezione civile e di promuovere e coordinare le attività delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e degli enti territoriali.
Per quanto riguarda il rispetto delle competenze regionali e locali, oltre a fare salve espressamente le norme del D.Lgs. 112/1998 in materia, il D.L. 342/2001 ha istituito un apposito Comitato paritetico Stato-Regioni-Enti locali, al quale partecipano i rappresentanti della Conferenza unificata. L’organismo, che collabora con il Presidente del Consiglio (o con il ministro delegato) ai fini del coordinamento con le Regioni e gli enti locali, ha sede presso il Dipartimento della protezione civile. Le modalità di composizione e funzionamento del Comitato sono state disciplinate con il D.P.C.M. del 23 settembre 2002.
È stato inoltre previsto il coinvolgimento, attraverso specifiche intese, delle Regioni e degli enti locali nella predisposizione degli indirizzi operativi dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, dei programmi nazionali di soccorso e dei piani per l’attuazione delle misure di emergenza, la cui titolarità spetta al Presidente del Consiglio (o al ministro delegato).
Il D.Lgs. 112/1998 (artt. 107-108), in attuazione del decentramento amministrativo, ha mantenuto allo Stato la promozione e coordinamento delle attività in materia di protezione civile, la deliberazione e la revoca dello stato di emergenza, l’emanazione di ordinanze per l’attuazione di interventi di emergenza e le altre attribuzioni necessarie per assicurare su tutto il territorio nazionale un livello uniforme di protezione civile e garantire interventi tempestivi ed efficaci in caso di eccezionali calamità naturali, catastrofi etc., attribuendo a Regioni, province e comuni le competenze rimanenti (sul trasferimento di funzioni alle Regioni in materia di protezione civile operato dal D.Lgs. 112 /1998, v. scheda La protezione civile – Recenti riforme, nel dossier relativo alla Commissione Ambiente).
La legge costituzionale 3/2001[329], di modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, ha incluso la protezione civile nell’elenco delle materie a competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, attribuendo allo Stato le definizione dei princìpi generali della materia e alle Regioni la definizione delle norme di dettaglio. Tale ripartizione non tiene conto delle questioni relative alla competenza statale per tutti gli interventi che interessano l’ambito territoriale di più Regioni.
Al fine di risolvere alcune incertezze interpretative circa le competenze delle autonomie territoriali insorte a seguito della riforma del settore, è intervenuta la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004[330], con la quale si è inteso chiarire l’attribuzione delle competenze amministrative nell’attività di protezione civile.
Il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio, per la cui riorganizzazione il D.L. 343/2001 detta specifiche disposizioni, è stato riconfermato come struttura di riferimento di cui il Presidente del Consiglio (o il ministro delegato per la protezione civile) si avvale per lo svolgimento delle attività di sua competenza. Presso il Dipartimento si riunisce il Comitato operativo della protezione civile, presieduto dal Capo del Dipartimento, che assicura la direzione unitaria e il coordinamento delle attività di emergenza, stabilendo gli interventi di tutte le amministrazioni e enti interessati al soccorso.
All’organizzazione generale del Dipartimento della protezione civile si è provveduto con D.P.C.M. 12 dicembre 2001.
Per quanto riguarda, poi, i compiti del Dipartimento della protezione civile, il D.L. 343/2001 ha ripreso, in parte, quelli previsti dalla L. 225/1992, indicandone dei nuovi, e in particolare:
§ l’attività di informazione alle popolazioni interessate, per gli scenari nazionali;
§ l’attività tecnico operativa, volta ad assicurare i primi interventi, effettuati in concorso con le Regioni e da queste in raccordo con i Prefetti, fermo restando quanto previsto dall’art. 14 della L. 225/11992[331];
§ l’attività di formazione in materia di protezione civile, in raccordo con le Regioni;
§ la definizione, d’intesa con le Regioni, in sede locale e sulla base dei piani d’emergenza, degli interventi e della struttura organizzativa per fronteggiare gli eventi calamitosi, da coordinare con il Prefetto anche per gli aspetti dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Con riferimento alla questione del raccordo con i Prefetti, si è posto il problema della sovrapposizione di competenze tra la provincia e il Prefetto in materia di protezione civile, insorto in particolare a seguito dell’emanazione di alcune leggi regionali, successive alla riforma costituzionale del Titolo V, che hanno conferito alla provincia la funzione di coordinamento delle emergenze di rilevanza provinciale. Con lo scopo di fornire indicazioni per individuare i livelli di responsabilità e gestione delle emergenze e i compiti spettanti rispettivamente al Dipartimento della protezione civile e agli enti territorialinelle fasi di programmazione e pianificazione, è stata emanata la circolare del Dipartimento della protezione civile del 30 settembre 2002, n. 5114[332].
Inoltre, il Dipartimento della protezione civile formula gli indirizzi e i criteri generali nelle attività in materia di protezione civile mantenute allo Stato dal D.Lgs. 112/1998[333] che vengono poi sottoposti al Presidente del Consiglio per l’approvazione del Consiglio dei ministri. Il Dipartimento, inoltre, svolge i compiti relativi alle attività concernenti la predisposizione di ordinanze da emanarsi dal Presidente del Consiglio dei ministri ovvero dal ministro da lui delegato.
Il Dipartimento è stato infine chiamato ad assolvere a nuovi compiti istituzionali con l’attribuzione del coordinamento delle attività relative alla gestione dei “grandi eventi” e sul fronte degli incendi boschivi.
La tematica della gestione dei c.d. “grandi eventi” comporta delicate interrelazioni con il sistema della autonomie e in primo luogo con le Regioni, considerando che la protezione civile è materia ricompresa dall’art. 117 Cost. nella legislazione concorrente
In relazione ai grandi eventi che hanno caratterizzato il mese di aprile 2005 (esequie del Papa Giovanni Paolo II ed elezione del nuovo Papa Benedetto XVI) il Dipartimento della Protezione civile ha provveduto alla definizione ed attuazione delle iniziative per il conseguimento urgente della disponibilità di beni, forniture e servizi necessari e strumentali per la organizzazione funzionale degli eventi stessi e delle connesse manifestazioni, per assicurare le condizioni di accoglienza ai partecipanti alle celebrazioni, anche per gli aspetti dell’assistenza e della mobilità.
Il Dipartimento, per opera del Commissario delegato – Capo Dipartimento, ha realizzato, inoltre, i necessari coordinamenti con le amministrazioni, gli enti pubblici e privati e le società di servizi, per assicurare la gestione unitaria delle iniziative e degli interventi, anche garantendo l’interscambio delle informazioni utili, in un contesto di sinergie operative[334].
In questo ambito assume rilievo la Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2004[335], con la quale sono stati dettati indirizzi in materia di protezione civile in relazione all’attività contrattuale riguardante gli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario.
L’emanazione della Direttiva è stata resa necessaria dall’avvio da parte della Commissione europea di procedure d’infrazione nei confronti dello Stato italiano sul presupposto che alcune ordinanze di protezione civile non sarebbero state supportate da una situazione di estrema urgenza in grado di giustificare il ricorso a procedure in deroga alla normativa comunitaria e pertanto avrebbero violato le norme comunitarie in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori di servizi e di forniture.
La direttiva ha stabilito che le ordinanze di protezione civile adottate ex art. 5, comma 2, della legge 225/1992, non devono prevedere deroghe alle disposizioni contenute nelle direttive comunitarie e che, nel caso in cui le ordinanze stesse si riferiscano a situazioni di emergenza e a “grandi eventi” ancora in atto, esse siano modificate nel senso di assicurare il rispetto delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Per assicurare l’uniformità di indirizzo nelle politiche di protezione civile, di coordinamento e di esercizio dei relativi poteri di ordinanza, e l’unitario ed efficace espletamento delle attribuzioni del Servizio nazionale della protezione civile, il D.L. 90/2005 (articolo 4) ha conferito al Presidente del Consiglio la piena titolarità della funzione in materia di protezione civile, fatte comunque salve le competenze regionali previste dalla normativa vigente e sopra ricordate. Il provvedimento reca un ulteriore aspetto innovativo consistente nel superamento della previsione introdotta dal D.L. 343/2001 secondo cui le funzioni del Presidente del Consiglio in materia di protezione civile potevano essere delegate soltanto al ministro dell’interno, stabilendo invece che egli possa attribuirle, in via generale, ad un altro ministro.
Tra gli obiettivi principali del decreto-legge vi è anche il potenziamento delle strutture operative del Dipartimento, incrementando e stabilizzando il livello di specializzazione e di professionalità del personale.
Il provvedimento ha inoltre stabilito che le norme sulla dichiarazione dello stato di emergenza e sui conseguenti poteri speciali di ordinanza si applicano anche agli interventi all’estero del Dipartimento della protezione civile, per quanto di sua competenza e in coordinamento con il Ministero degli affari esteri, facendo salve le competenze del Ministero degli affari esteri in tema di cooperazione e consentendo, in particolare, l’adozione delle ordinanze di protezione civile[336] anche per gli interventi straordinari derivanti da calamità o eventi eccezionali di cui all’art. 11 della legge 49/1987[337], in materia di cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo.
Con l’intento di valorizzare il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco quale parte integrante del sistema di sicurezza garantito dallo Stato, sono stati approvati alcuni provvedimenti, il più rilevante dei quali è la L. 252/2004[338], con cui è stato sancito il passaggio del personale del Corpo dal regime privatistico del rapporto di impiego, cui era assoggettato a seguito della generale “privatizzazione del pubblico impiego” introdotta dal D.Lgs. 29/1993[339], ad un’autonoma disciplina di diritto pubblico, analogamente a quanto previsto per gli altri Corpi dello Stato indicati all’art. 3 del D.Lgs. 165/2001[340].
Nell’ambito della politica generale di riordino normativo, il Governo ha proceduto, in attuazione di una delega contenuta nella legge di semplificazione per il 2001 (L. 229/2003[341]), al riassetto delle disposizioni relative alle funzioni e ai compiti del Corpo dei vigili del fuoco.
Una serie di interventi legislativi di carattere puntuale, concernenti prevalentemente l’incremento delle dotazioni organiche, sono stati infine disposti nel corso della legislatura da norme contenute in alcune leggi finanziarie e in provvedimenti d’urgenza.
La L. 252/2004, con una novella all’art. 3 del D.Lgs. 165/2001, ha incluso il personale del Corpo dei vigili del fuoco tra le categorie sottratte al regime privatistico, al quale è invece sottoposta la generalità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
L’art. 2 della legge ha inoltre conferito una delega al Governo per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego e il relativo trattamento economico del personale del Corpo, prevedendo l’istituzione di un autonomo comparto di negoziazione “vigili del fuoco e soccorso pubblico” per la definizione di alcuni aspetti peculiari del rapporto di impiego e un nuovo ordinamento del personale per quanto non demandato alla negoziazione (v. parte II, scheda Vigili del fuoco – Il rapporto d’impiego).
In attuazione della delega è stato adottato il D.Lgs. 217/2005[342], il quale, con l’intento di pervenire all’allineamento dell’ordinamento dei vigili del fuoco a quello del personale degli altri Corpi di polizia, ha previsto una strutturazione dei ruoli, delle qualifiche e dei meccanismi retributivi analoga a quella delle Forze dell’ordine e tale da permettere l’adeguamento economico, da conseguire successivamente attraverso i procedimenti della contrattazione collettiva.
Nell’ambito del generale processo di codificazione normativa e di semplificazione amministrativa disciplinato dall’art. 20 della legge 59/1997[343], come modificato dall’art. 1 della L. 229/2003 (v. capitolo Semplificazione e riassetto normativo), l’art. 11 di quest’ultimo provvedimento ha conferito al Governo una delega per il riassetto delle disposizioni vigenti concernenti il Corpo dei vigili del fuoco.
In attuazione della delega, è stato adottato il D.Lgs. 139/2006[344], nel quale sono raccolte le disposizioni di carattere generale concernenti le funzioni istituzionali svolte e gli aspetti organizzativi e strutturali del Corpo, le norme sull’ordinamento del personale volontario (rinviando per il restante personale al citato D.Lgs. 217/2005), sull’attività di prevenzione incendi, sulle attività di soccorso pubblico e sull’amministrazione e contabilità.
All’inizio del XIV legislatura[345], con il D.P.R. 398/2001[346], emanato in attuazione dell’art. 14 del D.Lgs. 300/1999[347], sono state definite le funzioni e l’organizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale in cui si articola il Ministero dell’interno.
L’art. 2 del D.P.R. 398/2001 ha accorpato le articolazioni, a livello centrale, del Ministero nei seguenti quattro dipartimenti:
Dipartimento per gli affari interni e territoriali;
Dipartimento della pubblica sicurezza;
Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione;
Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile.
Il Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile (ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 398) svolge le funzioni e i compiti spettanti al Ministero dell’interno in materia di soccorso pubblico, prevenzione incendi ed altre competenze del Corpo dei vigili del fuoco, difesa civile, politiche e ordinanze di protezione civile.
Il Dipartimento si articola in otto direzioni centrali; a quelle svolgenti funzioni più direttamente operative sono preposti dirigenti generali del Corpo dei vigili del fuoco.
Secondo quanto stabilito dall’art. 4, co. 4[348], del D.Lgs. 300/1999, si è proceduto, con il decreto del ministro dell’interno del 7 marzo 2002, ad individuare, nell’ambito del Dipartimento dei vigili del fuoco, gli uffici di livello dirigenziale non generale e le relative posizioni funzionali, e a specificare i compiti riconducibili alle rispettive aree di competenza.
Con il D.L. 343/2001[349] è stata operata una significativa riorganizzazione del settore della protezione civile, sopprimendo l’Agenzia istituita dal D.Lgs. 300/1999 e ripristinando l’assetto in precedenza esistente che vedeva le competenze in materia di protezione civile distribuite tra la Presidenza del Consiglio (che operava attraverso un apposito Dipartimento) e il Ministero dell’interno (v. capitolo Coordinamento della protezione civile).
Per quanto riguarda il Corpo dei vigili del fuoco, il D.Lgs. 300/1999 prevedeva che questo dipendesse funzionalmente dall’Agenzia relativamente alle attività della protezione civile di interesse nazionale, mentre rimaneva la dipendenza gerarchica del Corpo stesso dal Ministero dell’interno, da cui dipende funzionalmente anche per le attività diverse dalla protezione civile. Il D.L. 343/2001 (art. 1) ha eliminato tale limitazione all’utilizzo da parte del Ministero del Corpo dei vigili del fuoco, che è tornato a dipendere funzionalmente dal Ministero dell’interno anche per lo svolgimento dei compiti di protezione civile di interesse nazionale.
Allo scopo di completare l’organizzazione del Dipartimento dei vigili del fuoco, già regolata a livello centrale dall’art. 6 del D.P.R. 398/2001 (per quanto riguarda gli uffici di livello dirigenziale generale) e dal D.M. 7 marzo 2002 (per quanto concerne gli uffici e le posizioni funzionali di livello dirigenziale non generale), è stato emanato il D.P.R. 314/2002[350]. Il provvedimento ha istituito, nell’ambito dell’organizzazione periferica del Ministero dell’interno, le articolazioni territoriali del Corpo: 11 direzioni regionali e 4 direzioni interregionali, sopprimendo contestualmente gli ispettorati regionali e interregionali. In capo a ciascuna di esse è stato posto un dirigente generale del Corpo: a tale scopo il numero dei direttori generali del Corpo è stato aumentato di 15 unità; sono inoltre stati definiti l’ambito di competenza, le funzioni e i compiti di tali articolazioni territoriali.
Modificando tale assetto, il D.P.R. 85/2005[351] (art. 3, comma 1) ha istituito tre nuove direzioni regionali dei Vigili del fuoco, attraverso la scissione delle direzioni interregionali dell’Abruzzo e Molise, delle Marche e Umbria, della Puglia e Basilicata.
Si è intervenuti più volte nel corso della legislatura per adeguare le dotazione organiche del Corpo dei vigili del fuoco alle funzioni sempre più complesse da esso svolte nel campo del soccorso e della difesa civile e della prevenzione e per garantirne gli standard operativi.
I progetti pluriennali di sviluppo del Corpo dei vigili del fuoco prevedono il potenziamento degli organici e dei presidi già esistenti a livello provinciale (sedi centrali e distaccamenti) secondo parametri collegati:
§ ai dati dell’ultimo censimento ISTAT;
§ al numero degli interventi di soccorso tecnico urgente effettuati negli ultimi anni e quindi alle situazioni di maggior rischio;
§ all’esigenza di rendere omogenea la presenza dei vigili del fuoco su tutto il territorio nazionale.
Oltre all’istituzione di circa 470 presidi aggiuntivi individuati in modo da assicurare interventi di soccorso nell’arco di venti minuti dalla segnalazione in un vasto ambito del territorio nazionale[352], tali progetti prevedono il potenziamento dei nuclei specialistici di soccorso: aeroportuale, portuale, aereo, NBCR (emergenza nucleare, biologica, chimica).
La piena attuazione di tale programma richiede consistenti incrementi di personale, disposti dai provvedimenti che di seguito si ricordano.
Il D.P.R. 314/2002 ha provveduto direttamente, nella tabella A ad esso allegata, a rideterminare, in 33.178 unità, l’organico del Corpo, rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio la distribuzione nel territorio delle unità di personale.
La legge finanziaria 2003[353] (art. 34, comma 7) ha disposto un incremento della dotazione organica di 230 unità e ha consentito di procedere all’assunzione di altre 558 unità, come da autorizzazione contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica del 31 luglio 2003.
Anche nella legge finanziaria 2004[354] (art. 3, comma 153) sono state inserite misure volte all’assunzione di personale: la dotazione organica del Corpo è stata elevata di 500 unità ed è stata inoltre data facoltà alle amministrazioni dello Stato di procedere ad assunzioni in deroga al divieto posto dalla stessa legge, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 280 milioni di euro, immettendo prioritariamente in servizio gli addetti ai compiti connessi a vari settori di particolare delicatezza, tra i quali il soccorso tecnico urgente e la prevenzione e vigilanza antincendi.
Un ulteriore aumento di 500 unità complessive è stato stabilito dall’art. 2 del D.L. 24/2004[355].
Il D.P.R. 25 agosto 2004, recante l’autorizzazione alle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell’art. 3, commi 53, 54 e 55, della legge finanziaria 2004, ha assegnato al settore sicurezza (forze armate, forze di polizia e vigili del fuoco) un contingente di personale complessivo per il 2004 di 6.191 unità, di cui 350 vigili del fuoco[356].
La L. 252/2004[357] per il completamento dell’articolazione territoriale delle Direzioni regionali dei vigili del fuoco (art. 3) e in vista della scissione di tre Direzioni interregionali (vedi infra) ha aumentato l’organico di 3 unità di livello dirigenziale generale.
Da ultimo, l’art. 1, comma 546, della legge finanziaria per il 2005[358] ha disposto un aumento fino ad un massimo di 500 unitàdella dotazione organica del Corpo dei vigili del fuoco.
In considerazione dei numerosi provvedimenti che hanno aumentato gli organici e con l’obiettivo di riorganizzare i contingenti delle dotazioni organiche al fine di incrementare il personale con maggiore qualificazione professionale e di ridurre contestualmente quello con profilo professionale inferiore, è intervenuto, da ultimo, il D.P.R. 85/2005, che ha rideterminato la pianta organica del Corpo, abrogando contestualmente la tabella A del D.P.R. 314/2002, in cui erano in precedenza definite le dotazioni organiche. In conseguenza della rideterminazione operata dal D.P.R. 85/2005, la pianta organica risulta essere composta di 34.253 unità.
Accanto ai compiti tradizionalmente assolti dal Corpo, si sono affiancati quelli connessi con i nuovi scenari internazionali e i correlati possibili rischi derivanti dall’uso di sostanze non convenzionali.
Immediatamente dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, per fare fronte alle “emergenze non convenzionali” (prima fra tutte l’allarme “antrace” seguito a quell’evento), l’art. 52, comma 7, della legge finanziaria per il 2002[359] ha destinato 20 milioni di euro al Corpo dei vigili del fuoco per l’acquisizione di mezzi speciali e la costituzione di presidi sul territorio mediante i quali affrontare i rischi non convenzionali (connessi anche alla situazione internazionale) derivanti da eventuali atti criminosi compiuti contro persone o beni con l’uso di armi nucleari, batteriologiche o chimiche (NBCR). Per il proseguimento del medesimo programma l’art. 1, comma 547, della legge finanziaria per il 2005[360] ha stanziato ulteriori 12 milioni di euro.
Si ricordano infine due altri provvedimenti d’urgenza che hanno riguardato il Corpo dei vigili del fuoco: i D.L. 16/2005[361] e 45/2005[362].
Il primo (all’art. 1, co. 6) ha autorizzato la spesa di 100 milioni di euro per l’amministrazione della pubblica sicurezza e per il corpo dei vigili del fuoco per le finalità di cui all’art. 1, co. 548 della L. finanziaria 2005 (prevenzione terrorismo e contrasto criminalità organizzata).
Il secondo, all’art. 7, dispone in merito all’attività di soccorso aereo dei vigili del fuoco, autorizzando il reclutamento di personale in possesso della professionalità necessaria per l’utilizzazione dei mezzi, mentre l’art. 7-bis interviene sulle modalità per l’erogazione dei servizi di formazione tecnico-professionale in materia di prevenzione incendi e l’art. 8 dispone uno stanziamento aggiuntivo per l’attuazione della legge delega sul rapporto d’impiego del personale del Corpo.
La L. 186/2002[363] istituisce la “Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare” a perenne ricordo del sacrificio dei marinai militari e civili deceduti e sepolti in mare. La ricorrenza, che si commemora annualmente il 12 novembre presso il Monumento al marinaio d’Italia nella città di Brindisi, è considerata solennità civile ai sensi dell’art. 3 della L. 260/1949[364], ma non determina riduzione dell’orario di lavoro negli uffici pubblici né, qualora cada nei giorni feriali, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, in base a quanto disposto negli artt. 2 e 3 della L. 54/1977[365].
La L. 92/2004[366]ha fissato nella giornata del 10 febbraio il “Giorno del ricordo”, quale solennità civile in memoria di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e delle vicende del confine orientale.
La legge prevede iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado e favorisce la realizzazione, da parte di istituzioni ed enti, di studi, convegni, incontri e dibattiti per perpetuarne la memoria.
Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.
Il “Giorno del ricordo” è considerato solennità civile in base alla sopraccitata L. 260/1949; tuttavia non si determinano gli effetti civili della riduzione dell’orario di lavoro degli uffici pubblici o per le scuole come specificato negli artt. 2 e 3 della L. 54/1977.
La legge in commento provvede altresì a riconoscere il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l’Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma, disponendo, a tale fine, un finanziamento a favore dell’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI) e della Società di studi fiumani.
Viene inoltre concesso un riconoscimento a titolo onorifico ai congiunti di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati.
Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati.
Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l’anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, con esclusione di coloro che sono morti in combattimento o sono stati soppressi mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia.
Il riconoscimento, che consiste in una insegna metallica con relativo diploma a firma del Presidente della Repubblica, viene consegnato annualmente con cerimonia collettiva.
Per ottenere il riconoscimento occorre presentare alla Presidenza del Consiglio dei ministri una domanda corredata da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la descrizione del fatto, della località, della data in cui si sa o si ritiene sia avvenuta la soppressione o la scomparsa del congiunto, allegando ogni documento possibile, eventuali testimonianze, nonché riferimenti a studi, pubblicazioni e memorie sui fatti.
Le domande saranno vagliate da un’apposita commissione, costituita presso la Presidenza del Consiglio e composta da dieci membri: il Presidente del Consiglio (o persona da lui delegata) che la presiede, i capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri, due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, un esperto designato dall’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, e un funzionario del Ministero dell’interno.
Al suo insediamento, previsto entro due mesi dall’entrata in vigore della legge, la commissione dovrà procedere immediatamente alla determinazione delle caratteristiche dell’insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta “La Repubblica italiana ricorda”, nonché del diploma.
La commissione esclude dal riconoscimento i congiunti delle vittime per le quali sia accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona.
Le domande devono essere inoltrate entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della legge; dopo il completamento dei lavori della commissione, tutta la documentazione raccolta sarà devoluta all’Archivio centrale dello Stato.
Con la L. 24/2005[367] la giornata del 4 ottobre, già solennità civile in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena, viene dichiarata anche “giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”. E’ previsto che, nell’occasione, si svolgano cerimonie e iniziative, in particolare nelle scuole, dedicate a quei valori universali di cui i Santi patroni d’Italia sono espressione.
L’intervento normativo si realizza mediante novella alla L. 132/1958[368], istitutiva della ricorrenza festiva del 4 ottobre.
La L. 61/2005[369] istituisce la nuova celebrazione nazionale del “Giorno della libertà”, individuandola nella giornata del 9 novembre.
Il 9 novembre 1989 venne, infatti, abbattuto il Muro di Berlino: tale evento storico è prescelto dal provvedimento, in virtù del suo valore simbolico, al fine di commemorare la liberazione di Paesi oppressi e quale “auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”.
La legge prevede che in occasione della ricorrenza si svolgano annualmente cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole “che illustrino il valore della democrazia e della libertà, evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti”.
La L. 159/2005[370] ha dichiarato il giorno del 2 ottobre “Festa nazionale dei nonni”, per celebrare l’importanza del ruolo svolto dai nonni all’interno delle famiglie e della società in generale. La festa non determina gli effetti civili di riduzione dell’orario di lavoro previsti dalla vigente normativa (L. 260/1949) in materia di solennità nazionali.
In tale giornata, Regioni, province e comuni sono invitate a promuovere, nell’àmbito della loro autonomia e delle rispettive competenze, iniziative di valorizzazione del ruolo dei nonni. Spetta, inoltre, al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca impartire le opportune direttive affinché, in occasione della festa, le scuole pubbliche e private, nell’àmbito della loro autonomia, possano promuovere iniziative volte a discutere e approfondire le tematiche relative alle crescenti funzioni assunte dai nonni nella famiglia e nella società.
La legge istituisce contestualmente il “Premio nazionale del nonno e della nonna d’Italia”, conferito dal Presidente della Repubblica in favore dei nonni che, nel corso dell’anno, si siano distinti per aver compiuto azioni particolarmente meritorie sul piano sociale.
Il ministro del lavoro e delle politiche sociali e il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca nominano con proprio decreto, senza oneri per lo Stato, una Commissione competente a valutare le dieci azioni socialmente più meritevoli per l’anno in corso, sulla base delle informazioni acquisite da qualsiasi fonte. Della Commissione possono far parte i cittadini italiani e degli Stati membri dell’Unione europea che abbiano compiuto i sessantacinque anni.
L’art. 7-vicies della L. 43/2005[371] reca disposizioni relative alla celebrazione nazionale del sessantennale della Resistenza e della Guerra di liberazione.
L’articolo autorizza le Associazioni combattentistiche e partigiane erette in enti morali, costituitesi in confederazione nel 1979, ad organizzare in raccordo con il Ministero della difesa manifestazioni storico-cultuali per celebrare l’anniversario lungo tutto l’arco del triennio 2005-2007, e provvede alla copertura dei relativi oneri finanziari.
La I Commissione del Senato ha concluso l’esame dei progetti di legge A.S. 857 e 1354, aventi ad oggetto la commemorazione della strage di New York dell’11 settembre 2001 e di tutte le vittime del terrorismo e dell’intolleranza.
L’art. 11 del testo unificato delle proposte di legge A.C. 2379 e abb., recanti Disposizioni in favore delle vittime di reati, proposto dal relatore alla II Commissione della Camera nella seduta dell’11 novembre 2004, istituisce una “Giornata della memoria” da celebrare nelle scuole il 12 dicembre, al fine di assicurare la conservazione della memoria delle vittime degli eventi delittuosi che hanno destato maggiore allarme sociale.
Al Senato è stato, inoltre, avviato l’esame dei disegni di legge A.S. 1429 (istitutivo della “Festa della famiglia”), A.S. 3229 (istitutivo della “Giornata nazionale contro la pena di morte”), A.S. 3246 (istitutivo della “Giornata dei bonificatori”) e A.S. 1539, volto a modificare la L. 211/2000[372], istitutiva del “Giorno della memoria”, per estendere la commemorazione del 27 gennaio ivi prevista a tutte le vittime, militari e civili, di persecuzioni e deportazioni per motivi razziali, ideologici o di guerra.
Si ricordano di seguito le celebrazioni nazionali istituite con legge negli ultimi anni.
Il giorno 7 gennaio, anniversario della nascita del primo tricolore d’Italia, è stato dichiarato dalla L. 671/1996[373] “Giornata nazionale della bandiera”. La legge prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, siano fissate le modalità delle celebrazioni annuali che devono, comunque, prevedere il carattere non festivo del giorno stesso.
La L. 336/2000[374] ha ripristinato la celebrazione della “Festa nazionale della Repubblica” nella data del 2 giugno. La festa nazionale è stata istituita, nella prima legislatura, con la L. 260/1949, ma successivamente la L. 54/1977 ne aveva stabilito lo spostamento alla prima domenica di giugno.
Con la L. 211/2000 è stato istituito il “Giorno della Memoria” nella data del 27 gennaio – in tale giorno, nel 1945, vennero abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz – al fine di ricordare lo sterminio del popolo ebraico nonché “le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
In occasione della ricorrenza la legge prevede l’organizzazione di cerimonie e iniziative, in particolare nelle scuole, volte al ricordo e alla riflessione su quanto accaduto “affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, riunisce tutte le disposizioni contenute nei differenti Trattati e protocolli vigenti in un unico testo composto da:
§ Preambolo;
§ Parte I, che contiene le norme propriamente costituzionali, nonché le disposizioni generali per la politica estera, di sicurezza e di difesa e per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
§ Parte II, che contiene la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
§ Parte III, relativa alle politiche dell'Unione;
§ Parte IV, recante le disposizioni generali e finali,
§ Protocolli e dichiarazioni allegati al Trattato.
Il Trattato è stato fino ad ora ratificato da 14 Stati membri: Austria, Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria.
A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, i Capi di Stato e di governo hanno adottato, al Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, una dichiarazione che prende atto dei risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi e, pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Si invita a promuovere in questo periodo di riflessione un ampio dibattito che coinvolga cittadini, parti sociali, Parlamenti nazionali e partiti politici.
La dichiarazione ribadisce la validità della prosecuzione dei processi di ratifica, prevedendo altresì un eventuale adeguamento del loro calendario in relazione agli sviluppi nei vari Stati membri. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 dovrebbe procedere ad una valutazione globale dei dibattiti nazionali e decidere sul seguito del processo.
Tra le novità introdotte dal Trattato si segnala in particolare:
§ l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo del Trattato come sua Parte II;
§ il conferimento della personalità giuridica all’Unione europea e l’eliminazione della struttura a “pilastri” (Comunità europea; politica estera e di sicurezza comune; cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) in cui si articola attualmente l’Unione;
§ la generalizzazione della procedura legislativa ordinaria, modellata sull’attuale procedura di codecisione di Parlamento europeo e Consiglio;
§ l’elezione di un Presidente del Consiglio europeo con un mandato di due anni e mezzo rinnovabile, con il compito in particolare di assicurare la rappresentanza esterna dell’Unione;
§ la modifica (a partire dal 2014) del numero dei membri della Commissione europea, fissato ai due terzi degli Stati membri;
§ l’istituzione del Ministro per gli affari esteri dell’Unione, con il compito diguidare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione;
§ il superamento (a partire dal 2009) dell’attuale sistema di voto ponderato, con un sistema che si fonda sul principio della doppia maggioranza del 55% degli Stati membri dell’Unione – con un minimo di 15 - che rappresentino almeno il 65% della popolazione;
§ la ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri in competenze esclusive, per le quali l'Unione è l'unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori; competenze concorrenti, per le quali sia l'Unione, sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare; e azioni di sostegno, di coordinamento o di completamento, per le quali l’Unione può condurre azioni che completano l’azione degli Stati membri;
§ la semplificazione (da quindici a sei) degli atti giuridici dell’Unione, con una distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi ed atti esecutivi e l’introduzione del nuovo strumento dei regolamenti delegati;
§ il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, in particolare attraverso la possibilità per ciascun Parlamento nazionale di sollevare obiezioni sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà in relazione alle proposte legislative della Commissione;
§ l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare: un milione di cittadini europei, provenienti da un rilevante numero di Stati membri possono invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa.
Lo stato delle ratifiche del Trattato
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Austria |
Il Trattato è stato approvato dal Nationalrat l’11 maggio 2005 e dal Bundesrat il 25 maggio 2005. |
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Belgio |
Il Trattato è stato ratificato sia dal Parlamento nazionale sia dalle sette Assemblee regionali. La procedura si è conclusa con la pronuncia della Comunità fiamminga l’8 febbraio 2006. |
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Cipro |
Il Parlamento della Repubblica di Cipro ha ratificato il Trattato il 30 giugno 2005. |
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Danimarca |
La ratifica è prevista con referendum popolare giuridicamente vincolante. Il Governo danese e i partiti favorevoli alla Costituzione europea hanno deciso il 23 giugno 2005 la sospensione del processo di ratifica, rinviando a data da definire il referendum. |
Il referendum è stato sospeso |
Estonia |
La ratifica avverrà per via parlamentare. L’esame è stato avviato ai primi di febbraio 2006. |
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Finlandia |
La ratifica dovrebbe avvenire per via parlamentare. E’ richiesta la maggioranza semplice del Parlamento monocamerale, o la maggioranza di 2/3 qualora si ritenga che il Trattato implica modifiche alla Costituzione (tale valutazione non risulta ancora effettuata). Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
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Francia |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta referendum popolare il 29 maggio 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69,34% degli aventi diritto al voto, il 54,68% ha votato no ed il 45,32% ha votato sì. |
29 maggio 2005 |
Germania |
Il disegno di legge di ratifica è stato approvato dal Bundestag il 12 maggio 2005. Il 27 maggio 2005 è stato approvato dal Bundesrat. |
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Grecia |
Il Parlamento greco ha ratificato il Trattato il 19 aprile 2005 |
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Irlanda |
La Costituzione prevede due fasi: il referendum popolare e, a seguire, la ratifica parlamentare. Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica. |
Il referendum è stato sospeso |
Italia |
La Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di ratifica del Trattato il 25 gennaio 2005 (436 voti favorevoli, 28 voti contrari e 5 astensioni). Il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il disegno di legge di ratifica il 6 aprile 2005 (217 voti favorevoli, 16 contrari e nessun astenuto). |
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Lettonia |
Il Parlamento lettone ha ratificato il Trattato il 2 giugno 2005. |
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Paesi che hanno ratificato il Trattato
Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato
Paesi che hanno respinto la ratifica del Trattato
STATO MEMBRO |
PROCEDURA DI RATIFICA |
DATA DI SVOLGIMENTO DELL’EVENTUALE REFERENDUM |
Lituania |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 novembre 2004. |
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Lussemburgo |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato in prima lettura il 29 giugno 2005 e in seconda il 25 ottobre 2005. Il 10 luglio 2005 si è svolto un referendum popolare consultivo. I voti favorevoli sono stati il 56,52%, i voti contrari il 43,48%. L'affluenza è stata pari all’87,7% degli aventi diritto. |
10 luglio 2005 |
Malta |
Il Parlamento di Malta ha ratificato il Trattato il 6 luglio 2005 . |
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Paesi Bassi |
La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta a referendum popolare il 1° giugno 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69% degli aventi diritto al voto, il 61,70% ha votato no ed il 38,30% ha votato sì. |
1° giugno 2005 |
Polonia |
Il Governo polacco era inizialmente orientato a procedere alla ratifica del Trattato costituzionale attraverso una consultazione referendaria (l’alternativa è l’approvazione da parte delle due Camere a maggioranza di 2/3). Il 21 giugno 2005 il Presidente Kwasniewski ha annunciato la sospensione del referendum sul Trattato costituzionale. |
Il referendum è stato sospeso |
Portogallo |
Il Governo ha rinviato il referendum sulla Costituzione europea, precedentemente previsto nell’autunno 2005. |
Il referendum è stato rinviato |
Regno Unito |
Era prevista una procedura di ratifica a doppio livello, con il voto popolare a conferma e completamento del processo parlamentare di ratifica. Il progetto di legge di ratifica è stato approvato in seconda lettura dalla House of Commons il 9 febbraio 2005. L'iter parlamentare del disegno di legge sul referendum di ratifica è stato sospeso il 6 giugno 2005. |
La decisione sullo svolgimento del referendum è stata sospesa |
Repubblica Ceca |
Il Primo Ministro ha annunciato l’intenzione di modificare la Costituzione al fine di sottoporre la ratifica del Trattato a referendum. Tale modifica richiede la maggioranza di 3/5 dei componenti di ciascuna delle due Camere. |
Il referendum è stato rinviato alla fine del 2006 |
Slovacchia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 maggio 2005. |
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Slovenia |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 1° febbraio 2005. |
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Spagna |
Il Trattato è stato sottoposto a referendum consultivo il 20 febbraio 2005: i voti favorevoli sono stati il 76%, i voti contrari il 17% e le schede bianche sono state il 6%. Il Trattato è stato poi ratificato dalla Camera dei deputati il 28 aprile e dal Senato il 18 maggio 2005. |
20 febbraio 2005 |
Svezia |
Il Governo ha dichiarato che non intende indire un referendum sul Trattato costituzionale. Il processo di ratifica parlamentare è al momento sospeso. |
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Ungheria |
Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 20 dicembre 2004. |
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Grazie al processo di allargamento, che costituisce da sempre un elemento chiave del progetto europeo, l’Unione europea è passata dagli originali 6 membri (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi) agli attuali 25. L’ultimo allargamento risale al 1° maggio 2004, quando Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria sono divenuti a pieno titolo Stati membri dell’Unione Europea.
Le fasi del processo di adesione. In base all’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni paese europeo può presentare richiesta di adesione se rispetta i principi di libertà, democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli Stati membri. Il medesimo articolo stabilisce che sulla richiesta di adesione il Consiglio si esprime all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo. A conclusione di tale procedura, è il Consiglio europeo ad attribuire lo status di paese candidato.
L’apertura formale dei negoziati tra gli Stati membri e lo Stato candidato avviene sulla base di una decisione in tal senso del Consiglio europeo e dopo l’approvazione del mandato negoziale da parte del Consiglio.
Una volta che, a seguito dei negoziati, tutti i capitoli siano stati positivamente esaminati, il risultato dei negoziati confluisce nel testo del Trattato di adesione, che è concordato tra gli Stati membri e il paese candidato e successivamente sottoposto alla Commissione per il parere. Sul testo del Trattato di adesione è richiesto il parere conforme del Parlamento europeo. Dopo la firma, il Trattato di adesione è sottoposto alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri, nonché del paese interessato, conformemente allo rispettive norme costituzionali.
L’adesione può essere conseguita soltanto se il paese soddisfa i cosiddetti criteri di Copenaghen, stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993 e rafforzati dal Consiglio europeo di Madrid del 1995:
§ criteri politici: istituzioni stabili in grado di garantire democrazia, Stato di diritto, diritti umani e protezione delle minoranze;
§ criteri economici: economia di mercato funzionante e capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione;
§ capacità di fare fronte agli obblighi derivanti dall’adesione, ivi compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria;
§ adozione dell’acquis comunitario e sua effettiva attuazione attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie.
In aggiunta, come ribadito in particolare in occasione dell’apertura dei negoziati di adesione della Turchia, nei futuri allargamenti si terrà conto anche della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Nel corso del processo di adesione, l’Unione europea sostiene gli sforzi di ciascun paese attraverso una strategia di pre-adesione che si compone di diversi strumenti e meccanismi, tra i quali la partecipazione ai programmi, ai comitati e alle agenzie dell’UE, il dialogo politico, il programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario, il cofinanziamento da parte di istituzioni internazionali, l’assistenza di preadesione, attraverso specifici strumenti finanziari. Inoltre, il livello di preparazione di ciascun paese è costantemente monitorato dalla Commissione europea. I risultati dell’attività di monitoraggio e lo stato di attuazione delle riforme vengono resi pubblici attraverso relazioni periodiche.
I paesi aderenti sono attualmente due, Bulgaria e Romania, la cuiadesione è prevista per il 1° gennaio 2007.
La Turchia e la Croazia hanno avviato formalmente, il 3 ottobre 2005, i negoziati per l’adesione.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha ottenuto lo status di paese candidato nel dicembre 2005.
Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania è quasi concluso. Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005, dopo l’espressione del parere da parte del Parlamento europeo, il 13 aprile 2005. Al momento, il trattato risulta ratificato, oltre che dall’Italia (legge n. 16 del 9 gennaio 2006), da quattordici paesi. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE.
Va segnalato che nel Trattato di adesione è stata inserita una clausola di salvaguardia addizionale che prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, possa decidere a maggioranza qualificata di rinviare l’adesione di un anno se non dovessero essere rispettati gli impegni assunti in materia di preparazione all’adesione, soprattutto per quanto riguarda i settori della giustizia e affari interni e della concorrenza.
ll 25 ottobre 2005 la Commissione ha pubblicato le relazione globali di verifica del grado di preparazione della Bulgaria e della Romania in vista dell’adesione all’Unione europea. Le relazioni segnalano che entrambi i paesi hanno compiuto buoni progressi e dovrebbero essere in grado di rispettare i criteri previsti dall’Unione europea per il 1° gennaio 2007, a condizione che concentrino tutti i loro sforzi sulle riforme, in particolare sulla loro reale attuazione. La prossima revisione del processo di preparazione di Bulgaria e Romania è prevista per il mese di maggio 2006.
La Croazia, dichiarata paese candidato dal Consiglio europeo del 17 e 18 giugno 2004, ha avviato formalmente i negoziati per l’adesione il 3 ottobre 2005.
L’apertura dei negoziati di adesione con la Croazia era stata fissata dal Consiglio europeo di dicembre 2004 per il 17 marzo 2005, a condizione che il paese collaborasse pienamente con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. Solo il 3 ottobre 2005, una volta constatata la piena collaborazione del paese con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, il Consiglio ha dato il via libera all’apertura dei negoziati.
In quanto paese candidato la Croazia usufruisce, a partire dal 1° gennaio 2005, degli attuali strumenti finanziari di preadesione.
La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999.
Sulla base della relazione periodica e della raccomandazione presentate dalla Commissione il 6 ottobre 2004, il Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2004 ha deciso che la Turchia soddisfa sufficientemente i criteri politici di Copenaghen, fissando per il 3 ottobre 2005 la data di avvio dei negoziati di adesione, a condizione che entrassero in vigore alcuni specifici atti legislativi (legge sulle associazioni; nuovo codice penale; giurisdizione d’appello; codice di procedura penale; istituzione della polizia giudiziaria; esecuzione delle pene). Tale condizione è stata soddisfatta dalla Turchia il 1° giugno 2005.
Determinante per la decisione favorevole del Consiglio europeo di dicembre 2004 è stata la disponibilità manifestata dal Governo turco a firmare, prima dell’avvio dei negoziati, il protocollo che estende ai dieci nuovi Stati membri, compresa la Repubblica di Cipro, l’Accordo di associazione stipulato nel 1963 con la Comunità europea (cosiddetto Accordo di Ankara).
Il 3 ottobre 2005 il Consiglio ha approvato il quadro negoziale con la Turchia, consentendo l’apertura formale dei negoziati per l’adesione del paese all’Unione europea, nella data stabilita dal Consiglio europeo del dicembre 2004.
Alla decisione del Consiglio si è arrivati dopo una lunga e delicata trattativa. Il principale ostacolo è stato rappresentato dalla richiesta austriaca di prevedere, quale sbocco alternativo dei negoziati con la Turchia, l’ipotesi di un partenariato privilegiato che questa non era disposta ad accettare. L’approvazione del quadro negoziale è stata resa possibile dalla rinuncia dell’Austria a tale ipotesi, a fronte di un rafforzamento nel testo dell’importanza della capacità di assorbimento dell’UE quale criterio di valutazione per le future adesioni.
Anche in considerazione delle diffuse preoccupazioni manifestate in alcuni Stati membri rispetto all’adesione della Turchia all’Unione europea nonché dell’esperienza acquisita nel corso dei precedenti allargamenti, il quadro negoziale approvato per la Turchia è per alcuni aspetti più stringente rispetto al passato.
Facendo seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Helsinki del 1999, l’8 marzo 2001 il Consiglio ha adottato un Partenariato per l’adesione della Turchia, aggiornato da ultimo il 23 gennaio 2006, che riunisce in un unico strumento-quadro le priorità per la preparazione all’adesione e le risorse finanziarie disponibili.
La ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che ha avanzato domanda di adesione all’Unione europea il 22 marzo 2004, ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005. Sulla base del parere favorevole espresso dalla Commissione, il Consiglio europeo ha tenuto conto in particolare dei progressi compiuti dal paese nell’attuazione dell’accordo di stabilizzazione ed associazione, entrato in vigore il 1° aprile 2004. Il Consiglio europeo ha precisato che ulteriori misure dovranno tenere conto delle discussioni sulla strategia per l’allargamento, del rispetto dei criteri e dei requisiti richiesti per l’adesione da parte dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia nonché della capacità di assorbimento dell’Unione europea.
Al momento non è prevista l’apertura dei negoziati di adesione.
Il 9 novembre 2005, congiuntamente alle relazioni sullo stato di preparazione dei singoli paesi, la Commissione ha presentato il documento di strategia 2005 sull’ampliamento (COM (2005) 561), in cui ha esposto i tre principi su cui si basa la strategia futura della Commissione in materia di allargamento:
§ consolidamento degli impegni che i Capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno assunto nei confronti della Turchia e dei Balcani, tenendo in considerazione la capacità di assorbimento dell’UE e salvaguardando il buon funzionamento delle proprie istituzioni;
§ rispetto delle condizioni per l’adesione, manifestando rigore nell’esigere dai paesi il rispetto dei criteri richiesti ed equità nel riconoscere e ricompensare i progressi compiuti;
§ miglioramento della comunicazione per fugare le preoccupazioni e rendere più chiari i vantaggi dei futuri allargamenti, inaugurando un reale dialogo con i cittadini.
Il 16 marzo 2006, il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione (397 voti a favore, 95 contrari e 37 astensioni) sul documento di strategia della Commissione.
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento riguarderà i paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro e Kosovo) che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”. Tale approccio è stato ribadito da ultimo il 10 e 11 marzo 2006, nel corso del Consiglio affari esteri informale che si è tenuto a Salisburgo e al quale hanno partecipato anche i paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali.
L’impegno dell’Unione europea nei confronti dei Balcani è confermato anche nella citata strategia per l’allargamento presentata il 9 novembre 2005, in cui la Commissione segnala l’importanza di una prospettiva europea convincente per il proseguimento del processo di riforma in atto in questi paesi.
Peraltro, nell’ambito delle riforma dell’assistenza esterna, proposta dalla Commissione nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, è previsto che i Balcani occidentali beneficino dei finanziamenti dell’UE attraverso lo strumento dedicato all’assistenza preadesione.
Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i cinque paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999.
Su proposta della Commissione (COM (1999) 235), il PSA è stato approvato dal Consiglio il 21 giugno 1999. Gli strumenti che compongono il PSA, formalizzati al Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, sono stati arricchiti da elementi ispirati al processo di allargamento nel giugno 2003, con l’approvazione da parte del Consiglio europeo della cosiddetta “Agenda di Salonicco”.
Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili; come già anticipato, nel lungo periodo la prospettiva è quella della piena integrazione nell’Unione europea, sulla base delle previsioni del Trattato sull’Unione europea e dei criteri di Copenaghen.
Lo stato di avanzamento del processo viene costantemente seguito dalla Commissione che, attraverso la pubblicazione di una relazione annuale, fornisce indicazioni sui progressi realizzati dai paesi dei Balcani occidentali rispetto alla situazione dell’anno precedente. Tale relazione rappresenta l’indicatore principale per valutare se ciascun paese sia pronto per una relazione più stretta con l’UE.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
Il 27 gennaio 2006, la Commissione ha adottato la comunicazione “I Balcani occidentali sulla strada verso l’UE: consolidare la stabilità e rafforzare la prosperità” (COM (2006) 27), in cui propone di promuovere commercio, sviluppo economico, movimento di persone, istruzione e ricerca, cooperazione regionale e dialogo con la società civile nel Balcani occidentali come parte della strategia europea di integrazione dei popoli della regione. La comunicazione definisce misure concrete per rafforzare la politica dell’UE e gli strumenti a sua disposizione. L’obiettivo è quello di aiutare questi paesi a rafforzare la prospettiva europea, che rappresentaun forte incentivo ad attuare riforme politiche ed economiche e ha favorito la riconciliazione tra i popoli della regione. Nella comunicazione la Commissione sottolinea infatti i progressi compiuti dai paesi della regione negli ultimi tre anni, in particolare in termini di stabilizzazione e riconciliazione, riforma interna e cooperazione regionale.
La “politica europea di vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e agli Stati del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia). L’obiettivo è quello di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.
La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.
Tra le azioni concrete che l’UE intende mettere in campo per realizzare la politica di vicinato, si segnalano in particolare:
§ l’istituzione, per il periodo 2004-2006, di programmi di vicinato volti a garantire la sicurezza delle frontiere esterne, a rafforzare la cooperazione transfrontaliera su temi comuni (ambiente, salute pubblica, lotta alla criminalità organizzata) e a favorire l’integrazione nello spazio europeo della ricerca e nei settori delle reti di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia. Tali programmi saranno finanziati con un importo globale di 955 milioni di euro, nell’ambito degli strumenti finanziari esistenti;
§ a partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’istituzione di un unico strumento finanziario (Strumento europeo di vicinato e partenariato);
§ la pubblicazione di country reports che danno conto dei progressi compiuti da ciascun paese nell’attuazione degli accordi bilaterali e delle relative riforme;
§ la predisposizione di piani d’azione per ciascuno dei paesi interessati. Si tratta di strumenti considerati cruciali dalla Commissione nel processo di avvicinamento all’Unione, che non sostituiscono gli accordi di associazione o di cooperazione vigenti ma si avvalgono dell’esperienza acquisita nella loro attuazione. I piani d’azione saranno differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiranno il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni. I primi sette piani d’azione (Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova, Tunisia e Ucraina), presentati dalla Commissione il 9 dicembre 2004, sono stati approvati dal Consiglio nella riunione del 13 e 14 dicembre 2004. Per quanto riguarda gli altri paesi (Egitto, Libano, Armenia, Azerbaigian e Georgia), il 25 aprile 2005 il Consiglio, su proposta della Commissione, ha deciso di intensificare le relazioni reciproche. Per Egitto e Libano si tratta di predisporre al più presto i piani d’azione (la decisione di negoziare i piani d’azione è stata già presa dal Consiglio nel dicembre 2004); per i paesi del Caucaso meridionale il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare i lavori congiunti per allestire i piani d’azione.
Il 29 settembre 2004, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, la Commissione ha presentato proposte volte a sostituire l'attuale insieme di strumenti finanziari destinati all’erogazione dell'aiuto ai Paesi terzi (“assistenza esterna”) con un quadro più semplice ed efficace. La Commissione propone:
§ uno strumento per l’assistenza preadesione (anche detto IPA) dedicato ai paesi candidati (Turchia e Croazia) e ai paesi candidati potenziali (Balcani occidentali), che dovrebbe sostituire gli strumenti esistenti PHARE, ISPA, SAPARD, CARDS, come pure una serie di specifici regolamenti (COM (2004) 627);
§ uno strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) dedicato ai Paesi terzi che partecipano alla politica europea di vicinato, (COM (2004) 628). Dovrebbe sostituire il programma MEDA e, in parte, il programma TACIS. Lo strumento fornirà sostegno anche al partenariato strategico dell’Unione europea con la Russia. Una componente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interesserà regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune;
§ uno strumento per la cooperazione allo sviluppo e la cooperazione economica dedicato a tutti quei paesi, territori e regioni che non possono beneficiare dell’assistenza erogata dai due precedenti strumenti (COM (2004) 629);
§ uno strumento per la stabilità,finalizzato a reagire alle situazioni di crisi e di instabilità nei paesi terzi e ad affrontare i problemi di carattere transfrontaliero, con particolare riguardo alla sicurezza e alla non proliferazione nucleare nonché alla lotta contro i traffici illegali, la criminalità organizzata e il terrorismo (COM (2004) 630).
Le proposte avanzate dalla Commissione sono in attesa di essere esaminate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ad eccezione di quella relativa allo strumento di cooperazione allo sviluppo e cooperazione economica, che è stata respinta dal Parlamento europeo in prima lettura e ritirata dalla Commissione il 15 marzo 2006.
Nel quadro della riforma dell’assistenza esterna proposta dalla Commissione, i nuovi strumenti forniranno gli atti giuridici di base per le spese comunitarie a sostegno dei programmi di cooperazione esterna, compresi i programmi tematici, vale a dire i programmi di natura orizzontale, specializzati per tema. In questo contesto, il 25 gennaio 2006 la Commissione ha adottato sette nuovi programmi tematici (diritti umani e democratizzazione; Investire nelle persone; ambiente e gestione sostenibile delle risorse naturali, compresa l’energia; sicurezza alimentare; organizzazioni non governative e autorità locali; migrazione e asilo; cooperazione con i paesi industrializzati), destinati a sostituire i 15 attualmente esistenti. Tali programmi si propongono di corrispondere ad obiettivi politici che non sono geograficamente delimitati e che non possono essere raggiunti attraverso programmi a carattere nazionale e regionale.
Le prospettive finanziarie stabiliscono, in relazione alle priorità politiche da esse individuate, il quadro delle grandi categorie di spesa del bilancio dell’Unione europea, indicando il massimale e la composizione delle spese prevedibili per ogni categoria nell’intero periodo di riferimento e in ciascuno degli anni in esso ricompresi. L’adozione delle prospettive finanziarie, che non è espressamente prevista dal Trattato CE, è operata - a partire dal 1988 - mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione.
Le risorse proprie sono i mezzi di finanziamento dell’Unione. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali.
L'accordo sulle prospettive finanziarie e la decisione sulle risorse proprie in vigore sono state adottate per il periodo 2000-2006 e scadono il 31 dicembre 2006.
Il 4 aprile 2006 Parlamento europeo, Consiglio dell'UE e Commissione europea hanno raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie e sulle risorse proprie 2007-2013, al termine di un negoziato complesso, caratterizzato da forti divergenze tra istituzioni europee e soprattutto tra Stati membri in merito al volume complessivo del bilancio dell’UE, nonché alle priorità politiche e ai relativi stanziamenti. L’intesa dovrà ora essere trasfusa in un accordo interistituzionale approvato formalmente dalle tre istituzioni.
L’accordo prevede un massimale complessivo di spesa dell’1,048% del reddito nazionale lordo (RNL) europeo in stanziamenti di impegno (pari a 864,316 miliardi di euro) e dell' 1% in stanziamenti di pagamento (pari a 820,780 miliardi di euro).
Il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 aveva concordato un massimale in stanziamenti di impegno dello 1,045% del RNL europeo (pari a 862,4 miliardi di euro),rispetto all'1,24 (pari a 1025 miliardi di euro) proposto originariamente dalla Commissione e all'1,18% (pari a 974,8 miliardi di euro) richiesto dal Parlamento europeo.
L'accordo del 4 aprile 2006 prevede inoltre, alla fine del 2009, una verifica intermedia del funzionamento delle prospettive finanziarie da parte della Commissione europea, cui dovrà essere associato il Parlamento europeo.
La Camera dei deputati ha seguito attivamente e costantemente il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013, attraverso diversi strumenti e procedure.
In particolare, le Commissioni V e XIV hanno svolto a partire da marzo 2004 un’indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie e sulla politica di coesione.
Specifici impegni al Governo in merito al negoziato sulle prospettive finanziarie sono inoltre contenuti nelle risoluzioni approvate dalla Camera in esito all’esame dellerelazioni sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2003 e per l’anno 2004, nonché nella risoluzione approvata a conclusione dell’esame del programma di lavoro per il 2005 della Commissione europea e del programma operativo annuale per il 2005 del Consiglio.
Le questioni relative alle prospettive finanziarie 2007-2013 hanno inoltre costituito oggetto di approfondimento nell’ambito di riunioni ed incontri interparlamentari cui hanno partecipato delegazioni della Camera dei deputati.
Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l’Unione europea consegua l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Gli obiettivi della strategia - rilanciati nella revisione intermedia della primavera 2005, che ha riorientato le priorità verso la crescita e l’occupazione - consistono in:
§ migliorare le politiche in materia di società dell’informazione e di ricerca e sviluppo tecnologico;
§ modernizzare il modello sociale europeo;
§ promuovere un contesto economico sano e prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macroeconomiche;
§ integrare pienamente la dimensione ambientale nelle politiche per lo sviluppo.
Il Consiglio europeo di Lisbona, inoltre, ha previsto che il Consiglio europeo si riunisca ogni primavera, sulla base di una relazione annuale della Commissione, per valutare lo stato di attuazione della strategia.
Con la revisione intermedia si è inteso anche coinvolgere tutte le forze interessate (Parlamenti, autorità locali, parti sociali e società civile) nella migliore realizzazione della strategia, che è stata orientata in un ciclo triennale.
La Commissione ha presentato le linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione per il periodo 2005-2008, approvate dal Consiglio europeo di giugno 2005.
Sulla base delle linee direttrici, gli Stati membri hanno definito programmi di riforma nazionali, che sono stati oggetto di consultazione con le parti interessate e successivamente esaminati dalla Commissione europea.
Come complemento dei programmi nazionali di riforma, a luglio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione sul programma comunitario di Lisbona 2005-2008 relativo alle azioni da intraprendere a livello comunitario a favore della crescita e dell’occupazione.
Il Consiglio europeo di primavera del 23 e 24 marzo 2006, accogliendo favorevolmente la relazione annuale presentata dalla Commissione sui progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, ha convenuto quanto segue:
§ definizione di settori specifici per azioni prioritarie da attuare entro la fine del 2007:
- aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione;
- liberare il potenziale delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese;
- accrescere le opportunità di lavoro per le categorie prioritarie (giovani, donne, lavoratori anziani, immigrati legali e minoranze etniche);
§ definizione di una nuova politica energetica per l’Europa
§ misure che devono essere assunte a tutti i livelli per mantenere lo slancio in tutti i pilastri del partenariato per la crescita e l’occupazione.
Dopo la conclusione del primo programma adottato in materia di libertà, sicurezza e giustizia dal Consiglio europeo di Tampere del 1999, il Consiglio europeo, nella riunione del 5 novembre 2004, ha adottato un nuovo programma pluriennale per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, il cosiddetto programma dell’Aja.
Il 2 giugno 2004 la Commissione ha presentato una comunicazionedi bilanciodel programma quinquennale di Tampere (COM(2004)401), nella quale notava che, pur essendo stati realizzati sostanziali progressi nella maggior parte dei settori individuati, il livello di ambizione iniziale del programma è stato limitato da costrizioni di tipo istituzionale e talvolta anche da un consenso politico insufficiente.
Una comunicazione della Commissione “Il programma dell'Aja: dieci priorità per i prossimi cinque anni - Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia” (COM(2005)184) definisce un piano d’azione per concretizzare gli obiettivi e le priorità del programma.
La comunicazione individua dieci aree sulle quali, secondo la Commissione, dovrebbero essere concentrati gli sforzi nei prossimi cinque annie contiene un calendario per l'adozione del pacchetto di politiche e iniziative europee in materia.
Le aree individuate sono le seguenti: diritti fondamentali e cittadinanza; lotta al terrorismo; istituzione di un sistema comune di asilo; gestione dell’immigrazione; integrazione dei migranti; frontiere interne, frontiere esterne e visti; tutela della privacy e della sicurezza nella condivisione di informazioni; lotta alla criminalità organizzata; sviluppo di uno spazio giudiziario penale e civile europeo; condivisione di responsabilità e solidarietà tra Stati membri.
Entro il 1° novembre 2006 (data inizialmente prevista per l’entrata in vigore del Trattato costituzionale, il cui preocesso di ratifica è attualmente sospeso) il Consiglio europeo, su proposta della Commissione, effettuerà una valutazione dei progressi realizzati e adotterà le integrazioni necessarie al programma.
La Commissione presenterà inoltre relazioni annuali sull’attuazione del programma dell’Aja. Tali relazioni verranno sottoposte al Consiglio, al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali.
Di seguito si fornisce una sintesi delle principali misure previste dal programma dell’Aja del Consiglio e dal piano d’azione adottato sulla base della comunicazione della Commissione:
In questo settore l’obiettivo è quello di garantire lo sviluppo di politiche in grado di controllare e promuovere il rispetto dei diritti fondamentali e di migliorare l'esercizio dei diritti che la cittadinanza europea conferisce ai cittadini dell'Unione
A tal fine, il 30 giugno 2005, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento e una proposta di decisione relative all’istituzione di un’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione europea (COM(2005)280), finalizzata a creare a livello di Unione europea un centro di expertise sulle questioni relative ai diritti fondamentali. La Commissione è impegnata in particolare a tutelare i diritti dei minori e a combattere la violenza contro le donne.
Le due proposte saranno esaminate dal Parlamento europeo presumibilmente a settembre 2006, secondo la procedura di consultazione.
Inoltre, il 6 aprile 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)122-1) relativa all’istituzione di un programma quadro sui diritti fondamentali e la giustizia per il periodo 2007-2013 e quattro proposte di decisione che, nell’ambito del medesimo programma quadro, mirano a stabilire altrettanti programmi specifici:
§ il programma “Lotta contro la violenza (Dafne) e prevenzione delle droghe” 2007-2013 (COM(2005)122-2);
§ il programma “Diritti fondamentali e cittadinanza” 2007-2013 (COM(2005)122-3);
§ il programma “Giustizia penale” 2007-2013 (COM(2005)122-4);
§ il programma “Giustizia civile” 2007-2013 (COM(2005)122-5).
Le quattro proposte, che seguono la procedura di consultazione, dovrebbero essere esaminate dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Il rafforzamento della sicurezza dell’Unione ha acquisito particolare urgenza alla luce degli attentati terroristici del settembre 2001 negli Stati Uniti e di Madrid del marzo 2004.
La prevenzione e il contrasto del terrorismo sono considerati elementi chiave del programma. A breve termine, dovranno essere attuate le misure previste nella dichiarazione del Consiglio europeo del 25 marzo 2004 e nel piano d’azione dell’UE per la lotta contro il terrorismo. Verrà inoltre garantita protezione ed assistenza alle vittime del terrorismo. Come previsto dal programma, il Consiglio del 2 dicembre 2005 ha approvato una strategia e un piano d’azione per combattere la radicalizzazione e il reclutamento delle organizzazioni terroristiche.
Dal 1º gennaio 2005 una “cellula comune” del Consiglio dell'UE fornisce al Consiglio stesso analisi strategiche della minaccia terroristica basate sulle informazioni trasmesse dai servizi di sicurezza e di intelligence degli Stati membri e dall’Europol.
Il 19 maggio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)124-1) relativa all’istituzione di un programma quadro “Sicurezza e protezione delle libertà” per il periodo 2007-2013 e due proposte di decisione che, nell’ambito del medesimo programma quadro, mirano a stabilire i due programmi specifici: “Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo” (COM(2005)124-2); “Prevenzione e lotta alla criminalità” (COM(2005)124-3).
Le proposte, che seguono la procedura di consultazione, dovrebbero essere esaminate dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
In materia di asilo l’obiettivo è l'instaurazione, entro il 2010, di una procedura comune e di uno status uniforme per i cittadini di paesi terzi che hanno ottenuto l'asilo o che, necessitando di protezione internazionale pur non potendo ottenere il beneficio dell'asilo, hanno ottenuto una protezione sussidiaria. Il regime sarà basato sulla piena applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e degli altri trattati pertinenti.In tale contesto la Commissione presenterà uno studio sul trattamento comune delle domande di asilo all'interno dell'Unione. Uno studio distinto esaminerà l'opportunità e la fattibilità del trattamento comune delle domande di asilo all'esterno del territorio dell'UE.
La Commissione svilupperà programmi di protezione regionali dell’UE nel quadro di un partenariato con ipaesi terzi interessati ed avvierà programmi pilota di protezione.
Il 2 maggio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)123-1) relativa all’istituzione di un programma quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” per il periodo 2007-2013 e quattro proposte di decisione che, nell’ambito del programma quadro citato, mirano a stabilire altrettanti fondi specifici:
§ il fondo europeo per i rifugiati 2008-2009 (COM(2005)123-2);
§ il fondo europeo per le frontiere esterne 2007-2013 (COM(2005)123-3);
§ il fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi 2007-2013 (COM(2005)123-4);
§ il fondo europeo per il ritorno 2007-2013 (COM(2005)123-5).
Le proposte, che seguono la procedura di consultazione, dovrebbero essere esaminate dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
La novità più rilevante è la decisione di applicare, dal 1° gennaio 2005, la procedura legislativa ordinaria - basata sulla codecisione con il Parlamento europeo e la maggioranza qualificata per le decisioni in seno al Consiglio dei ministri - per le misure concernenti la libertà di circolazione dei cittadini dei paesi terzi, l’immigrazione illegale nonché il soggiorno irregolare, compreso il rimpatrio. Per quanto riguarda l'immigrazione legale, si applica ancora (fino all’entrata in vigore del Trattato costituzionale) la procedura che comporta la consultazione del PE e le decisioni del Consiglio assunte all’unanimità.
A partire dalla primavera del 2005 la Commissione è tenuta ad integrare il tema della migrazione nei documenti di strategia nazionali e regionali e a presentare un programma politico in materia di migrazione legale che comprenda le procedure di ammissione; sarà perseguito un maggiore coordinamento fra le politiche nazionali di integrazione e quelle dell'UE e verranno stabiliti i principi fondamentali comuni in materia.
Il 21 dicembre 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)669) nella quale definisce le azioni e le iniziative legislative che intende intraprendere al fine di sviluppare la politica dell’UE in materia di immigrazione legale, in attuazione del programma dell’Aja (2006-2009).
La comunicazione è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio.
L’obiettivo è quello di definire un quadro europeo in materia di integrazione mirante a garantire il rispetto dei valori europei, nonché a ribadire la non discriminazione.
Il Consiglio e la Commissione sono invitati ad attuare una serie di misure per offrire un aiuto agli Stati membri con frontiere esterne lunghe o problematiche, o che debbano affrontare circostanze particolari e impreviste. Non è prevista la creazione di un corpo europeo di guardie di frontiera di cui sarà valutata la fattibilità, facendo seguito agli studi già effettuati su impulso della Presidenza italiana. Verrà inoltre istituita una politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni.
L'elaborazione di una politica dei visti efficace dovrebbe essere agevolata grazie al sistema di informazione sui visti (VIS) in via di realizzazione. A tale scopo, occorrerà intensificare la cooperazione fra gli Stati membri per creare centri comuni di trattamento delle richieste di visto, che potrebbero rappresentare un primo passo verso l'allestimento di un futuro servizio consolare europeo comune.
Gli identificatori biometrici saranno integrati nei documenti di viaggio, nei visti, nei permessi di soggiorno, nei passaporti dei cittadini dell'UE e nei sistemi d'informazione e verranno predisposte norme minime per le carte d'identità nazionali.
In questo ambito si mira ad ottenere un giusto equilibrio fra sicurezza e tutela della privacy in sede di scambio di informazioni fra autorità giudiziarie e di polizia.
Dal 1º gennaio 2008 lo scambio di informazioni di questo tipo dovrebbe essere disciplinato tenendo conto del principio di disponibilità: in base a tale principio, un ufficiale di uno Stato membro può richiedere le informazioni di cui necessita ad un altro Stato membro, che è tenuto a trasmettergliele per i fini dichiarati.
Per contrastare la criminalità organizzata verrà elaborata ed attuata una strategia che comprenderà misure destinate a migliorare la conoscenza del fenomeno e a potenziare la prevenzione, l'attività investigativa e la cooperazione di polizia all'interno dell'Unione, sfruttando appieno le potenzialità di Europol e di Eurojust.
La strategia dovrà altresì privilegiare un'intensa cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali.
Si prevede di completare l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali deciso a Tampere. In particolare, per instaurare la fiducia reciproca si punta a ravvicinare vari aspetti del diritto procedurale penale (principio del ne bis in idem, regime probatorio, sentenze contumaciali etc.) ed a istituire norme minime.
Il Consiglio esaminerà, alla luce delle proposte della Commissione, l'ulteriore sviluppo dell'Eurojust.
Il completamento entro il 2011 dell'attuazione del programma di misure sul reciproco riconoscimento costituisce la priorità dei prossimi anni in materia di cooperazione giudiziaria civile. Verrà inoltre effettuato un riesame del funzionamento degli strumenti recentemente adottati in materia di cooperazione giudiziaria civile in vista della preparazione di nuove misure.
In materia di diritto contrattuale, la qualità della vigente e futura normativa dell'UE dovrebbe essere migliorata con misure di consolidamento, codificazione e razionalizzazione degli strumenti giuridici in vigore e con la definizione di un quadro comune di riferimento.
Al fine di definire, anche in termini di risorse finanziarie, i concetti di corresponsabilità e solidarietà fra Stati membri, la Commissione ha presentato i programmi-quadro Sicurezza e protezione delle libertà (COM(2005)124-1), Diritti fondamentali e giustizia (COM(2005)122-1) e Solidarietà e gestione dei flussi migratori (COM(2005)123-1), che stabiliscono gli strumenti politici e finanziari nei rispettivi settori per il periodo 2007-2013.
In attuazione del programma dell’Aja e del piano d’azione, alla data del 31 marzo 2006, la Commissione ha complessivamente presentato circa venti proposte di atti legislativi comunitari.
Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura – con 394 voti favorevoli, 215 contrari e 33 astensioni – la relazione predisposta dall’on. Evelyne Gebhardt (Partito socialista europeo) sulla proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (COM(2004)2) (cosiddetta “direttiva Bolkenstein”).
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata presentata dalla Commissione il 13 gennaio 2004 e si inserisce nel processo di riforme economiche varato dal Consiglio europeo di Lisbona (23-24 marzo 2000) al fine di fare dell’Unione europea, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.
L’obiettivo della proposta è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.
La proposta iniziale della Commissione – che aveva sollevato in tutti i gruppi politici del Parlamento europeo preoccupazioni sui possibili rischi di riduzione dell’acquiscomunitario nel settore sociale – è stata sostanzialmente modificata dall’esame parlamentare.
Il testo approvato dal Parlamento europeo ribadisce l’obiettivo della proposta iniziale relativamente alla liberalizzazione dei servizi, sottolineando al contempo la necessità di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi stessi. E’ stabilito, inoltre, che la direttiva non pregiudica le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e aiuti di Stato.
L’esame del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su alcuni punti controversi:
§ campo di applicazione (art. 2): relativamente a questo aspetto, il testo adottato dal Parlamento europeo ribadisce quanto previsto nella proposta della Commissione, ovvero l’esclusione dei servizi di interesse generale. A questo riguardo gli Stati membri restano liberi di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d'interesse generale, nonché di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. La direttiva si applica, tuttavia, ai servizi di interesse economico generale, ovvero ai servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza quali i servizi postali, i servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e di gas o i servizi di distribuzione e di fornitura idrica. Oltre a tutta una serie di settori indicati espressamente nel testo adottato dal Parlamento europeo, sono inoltre escluse dal campo di applicazione della direttiva le materie disciplinate da disposizioni comunitarie specifiche come quelle sul distacco dei lavoratori, l’esercizio delle attività televisive o le qualifiche professionali;
§ principio del Paese di origine (art. 16): la formulazione iniziale prevedeva la possibilità per un prestatore di fornire i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza unicamente in base alla legislazione dello Stato membro di origine. Il Parlamento europeo ha sostituito questo principio con quello della “libera circolazione dei servizi” in base al quale per la fornitura dei servizi si applica la legislazione del paese in cui essi vengono effettivamente prestati. Inoltre, si fa obbligo agli Stati membri di rispettare il diritto del prestatore di fornire i propri servizi liberamente sul suo territorio senza imporre requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati tranne che per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e sanità pubblica;
§ distacco dei lavoratori (artt. 24 e 25): il Parlamento europeo ha soppresso le disposizioni relative al distacco dei lavoratori, ritenendo che questa questione ricada nel campo di applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una disciplina di servizi.
Il 4 aprile 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata che riprende in larga misura il testo adottato in prima lettura dal PE, in particolare per quanto riguarda la soppressione del principio del Paese di origine e la sua sostituzione con quello relativo alla libera circolazione dei servizi, nonché l’inclusione dei servizi di interesse economico generale nel campo di applicazione della direttiva proposta. La Commissione ha, inoltre, deciso di escludere dal campo di applicazione della direttiva proposta una serie di servizi, fra cui i servizi sanitari, alcuni dei quali saranno oggetto di iniziative specifiche.
Nella stessa data la Commissione ha presentato una comunicazione relativa agli “Orientamenti riguardanti il distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi” al fine di facilitare l’applicazione della citata direttiva 96/71/CE.
Il testo modificato della proposta sarà ora trasmesso al Consiglio che, nelle intenzioni della Presidenza austriaca, dovrebbe raggiungere un accordo politico nel mese di giugno.
La Camera dei deputati ha promosso una serie di iniziative dedicate all’esame della proposta di direttiva, anche al fine di definire una posizione italiana da difendere nelle opportune sedi europee.
La proposta è stata esaminata dalle Commissioni riunite X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea) che hanno anche proceduto all’audizione congiunta di eurodeputati italiani e rappresentanti del Governo.
In conclusione dei lavori, il 25 gennaio 2006, le Commissioni hanno adottato un documento finale con il quale si invita il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali comunitarie affinché la proposta di direttiva si configuri come un atto giuridico “quadro” senza la previsione di norme di dettaglio, preveda l’elencazione puntuale dei settori a cui si applica, definisca meglio il principio del paese di origine per scongiurare forme di dumping sociale ed eviti il rischio di intaccare i sistemi nazionali volti ad assicurare un’alta qualità dei servizi e la tutela dei consumatori.
Il 4 ottobre 2005 la Commissione hapresentato una proposta di decisione quadro(COM(2005)475) relativa alla protezione dei dati personali trattati nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Il 12 ottobre 2005 la Commissione hapresentato una proposta di decisione quadro(COM(2005)490) relativa allo scambio di informazioni in materia di applicazione della legge in virtù del principio di disponibilità, in base al quale un ufficiale di uno Stato membro può richiedere le informazioni di cui necessita ad un altro Stato membro, che è tenuto a trasmettergliele per i fini dichiarati.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella riunione del 13 giugno 2006.
Il 1° marzo 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa ad una tabella di marcia (COM(2006)92) che individua sei ambiti prioritari dell’azione dell’UE in tema di parità tra i generi per il periodo 2006-2010:
§ una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini;
§ l’equilibrio tra attività professionale e vita privata;
§ la pari rappresentanza nel processo decisionale;
§ l’eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere;
§ l’eliminazione di stereotipi sessisti;
§ la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo.
Ogni ambito comprende azioni chiave volte a facilitarne la realizzazione, tra le quali: la creazione su scala comunitaria, nel 2007, di una rete di donne che svolgono incarichi di responsabilità nei settori della politica e dell’economia; la pubblicazione di una comunicazione sulla differenza retributiva tra uomini e donne; l’evidenziazione dei problemi legati alla specificità dei sessi nel corso del 2007, Anno europeo delle pari opportunità per tutti.
La comunicazione presenta, inoltre, un elenco di indicatori per il monitoraggio dei progressi verso l’uguaglianza di genere nei settori evidenziati dalla tabella di marcia. Gli indicatori scelti rispondono, nelle intenzioni della Commissione, anche all’esigenza di disporre di dati comparabili a livello dell’Unione europea.
Considerando la tabella di marcia, il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha adottato un patto europeo per la parità di genere, al fine di incoraggiare l’azione a livello di Stati membri e di Unione europea nei seguenti settori: misure per colmare i divari di genere e combattere gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro; misure per promuovere un migliore equilibrio tra vita professionale e familiare per tutti; misure per rafforzare la governance tramite l’integrazione di genere.
Già dal 1° gennaio 2007, inoltre, dovrebbe essere operativo, secondo le intenzioni della Commissione, il nuovo Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, concepito quale centro di eccellenza per le questioni di uguaglianza tra i sessi e previsto da una proposta di decisione presentata dalla Commissione l’8 marzo 2005 (COM(2005) 81).
Il 26 aprile 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sui servizi sociali d’interesse generale nell’Unione europea (COM(2006)177), che presenta un elenco delle caratteristiche specifiche di questi servizi. Con la comunicazione si avvia un processo di consultazione - che si rivolge a tutti i protagonisti dei settori interessati, Stati membri, parti sociali, ONG e operatori dei servizi sociali - attraverso il quale la Commissione intende acquisire elementi per meglio tener conto delle specificità di questi servizi in fase di attuazione della legislazione comunitaria.
La comunicazione sottolinea che i servizi sociali, secondo il diritto comunitario, non costituiscono una categoria giuridica distinta nell’ambito dei servizi di interesse generale; tuttavia occupano un posto specifico nella società e nell’economia europee.
La comunicazione ricorda che la proposta modificata di direttiva sui servizi nel mercato interno (COM(2006)160) ha escluso dal suo campo di applicazione i servizi relativi alle cure sanitarie - cui dedicherà una iniziativa specifica – e i servizi sociali relativi all’edilizia popolare, alla custodia dei bambini e all’aiuto alle famiglie e persone bisognose.
La Commissione rileva che gli Stati membri hanno avviato un processo di apertura e di diversificazione da cui consegue che un crescente numero di servizi sociali nell’Unione europea, finora gestiti direttamente dalle autorità pubbliche, si adegua ormai alle regole comunitarie che governano il mercato interno e la concorrenza.
La comunicazione sottolinea che i servizi sociali costituiscono un settore in piena espansione, sotto il profilo della crescita economica, della creazione di lavoro e di una ricerca intensa per qualità ed efficacia. Ricorda che gli Stati membri hanno avviato un processo di modernizzazione dei servizi sociali per contemperare le esigenze di universalità, qualità e sostenibilità finanziaria.
La comunicazione sottolinea che, escludendo i servizi sanitari - che non vengono da essa trattati – i servizi sociali possono essere compresi in due grandi gruppi:
§ i regimi legali e complementari di protezione sociale che coprono i rischi fondamentali di vita, quali, ad esempio, quelli legati alla salute, l’invecchiamento, incidenti sul lavoro;
§ gli altri servizi essenziali prestati direttamente alla persona, quali l’aiuto alle persone nei momenti di crisi (disoccupazione, tossicodipendenza, rottura familiare), l’edilizia popolare per le persone sfavorite o i gruppi svantaggiati.
[1] L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[2] Ulteriori disposizioni in materia sono state introdotte dalla L. 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
[3] L. cost. 22 novembre 1999, n. 1, Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni.
[4] L. 2 luglio 2004, n. 165, Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione.
[5] D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
[6] L. cost. 23 ottobre 2002, n. 1, Cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
[7] L. cost. 30 maggio 2003, n. 1, Modifica dell’articolo 51 della Costituzione.
[8] L. 27 dicembre 2001, n. 459, Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.
[9] Limitatamente alle elezioni politiche 2006 e al referendum costituzionale che si terrà quest’anno, il D.L. 1/2006 ha ammesso a votare nella circoscrizione Estero anche i cittadini italiani che si trovano temporaneamente all’estero per motivi di servizio (dipendenti di amministrazioni statali e loro familiari; professori universitari e ricercatori) o per missioni internazionali.
[10] L. 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[11] L. 27 marzo 2004, n. 78, Disposizioni concernenti i membri del Parlamento europeo eletti in Italia, in attuazione della decisione 2002/772/CE, del Consiglio.
[12] L. 8 aprile 2004, n. 90, Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004.
[13] L. 16 aprile 2002, n. 62, Modifiche ed integrazioni alle disposizioni di legge relative al procedimento elettorale. La legge stabilisce che le disposizioni trovino applicazione anche in occasione delle elezioni regionali, ma solo fino a quando ciascuna Regione a statuto ordinario non avrà disciplinato con propria legge la materia elettorale.
[14] L. 2 marzo 2004, n. 61, Norme in materia di reati elettorali.
[15] D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, Definizione e proroga di termini, nonchè conseguenti disposizioni urgenti, conv. con mod. in L. 23 febbraio 2006, n. 51 (art. 39-quaterdecies).
[16] L. 20 giugno 2003, n. 140, Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato.
[17] L. 20 luglio 2004, n. 215, Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi.
[18] L. 28 marzo 2002, n. 44, Modifica alla legge 24 marzo 1958, n. 195, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
[19] L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
[20] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[21] D.L. 14 settembre 2004 n. 241, Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, conv. con mod. in L. 12 novembre 2004, n. 271.
[22] D.L. 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, conv. con mod. in L. 31 luglio 2005, n. 155 (v. area tematica Ordine pubblico e polizia). L’art. 2 del D.L. ha altresì introdotto il “permesso di soggiorno a fini investigativi”, rilasciato in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico. Tale nuovo strumento si inserisce nel solco della legislazione premiale in materia di immigrazione inaugurata dal permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (art. 18 del testo unico), che può essere rilasciato a immigrati clandestini che siano vittime di situazioni di violenza o di grave sfruttamento.
[23] D.L. 9 settembre 2002, n. 195, Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari, conv. con mod. in L. 9 ottobre 2002, n. 222.
[24] D.P.C.M. 21 novembre 2001, n. 453, Regolamento generale di disciplina relativa agli obiettori di coscienza, a norma dell’articolo 8, comma 2, lettera i), della legge 8 luglio 1998, n. 230.
[25] D.Lgs. 5 aprile 2002, n. 77, Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64.
[26] L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
[27] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[28] D.L. 9 novembre 2004, n. 266, Proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative, convertito, con modificazioni, in legge 27 dicembre 2004, n. 306.
[29] D.L. 30 giugno 2005, n. 115, Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, convertito, con modificazioni, in legge 17 agosto 2005, n. 168.
[30] D.L. 12 giugno 2001, n. 217, Modificazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché alla legge 23 agosto 1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo, conv. con mod. in L. 3 agosto 2001, n. 317.
[31] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
[32] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59; D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[33] L. 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici.
[34] D.Lgs. 6 dicembre 2002, n. 287, Modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, concernente le strutture organizzative dei Ministeri, nonché i compiti e le funzioni del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
[35] Cfr. l’audizione presso la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera nella seduta del 26 giugno 2002.
[36] Con le modifiche apportate dal D.L. 273/2005.
[37] L. 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa.
[38] D.L. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, conv. con mod. in L. 14 maggio 2005, n. 80.
[39] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
[40] D.P.R. 2 marzo 2004, n. 117, Regolamento concernente la diffusione della carta nazionale dei servizi, a norma dell’articolo 27, comma 8, lettera b), della legge 16 gennaio 2003, n. 3.
[41] D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3.
[42] Decreto del ministro dell’interno 13 ottobre 2005, n. 240.
[43] D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.
[44] Legge 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.
[45] D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione conv. con mod. in L. 9 marzo 2006, n. 80.
[46] L. 15 luglio 2002 n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.
[47] D.L. 30 giugno 2005, n. 115, Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, conv. con mod. in L. 17 agosto 2005, n. 168.
[48] Legge 27 luglio 2005, n. 154, Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria.
[49] D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 63, Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della legge 27 luglio 2005, n. 154.
[50] D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 381, Modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287, concernenti il riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137.
[51] D.Lgs. 28 dicembre 2001, n. 477, Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, in materia di riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato.
[52] D.L. 24 giugno 2003, n. 147, Proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali, conv. con mod. in L. 1 agosto 2003, n. 200; art. 14-bis.
[53] D.L. 31 marzo 2005, n. 45, Disposizioni urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, conv. con mod. in L. 31 maggio 2005, n. 89.
[54] D.L. 10 settembre 2003, n. 253, Disposizioni urgenti per incrementare la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza e della protezione civile, conv. con mod. in L. 6 novembre 2003, n. 300.
[55] D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi, conv. con mod. in L. 21 febbraio 2006, n. 49.
[56] D.L. 3 aprile 2006, n. 135, Disposizioni urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, in attesa di conversione in legge.
[57] D.L. 10 settembre 2004, n. 238, Misure urgenti per il personale appartenente ai ruoli degli ispettori delle Forze di Polizia, conv. con mod. in L. 5 novembre 2004, n. 263.
[58] D.Lgs. 30 maggio 2003, n. 193, Sistema dei parametri stipendiali per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate, a norma dell’articolo 7 della legge 29 marzo 2001, n. 86.
[59] L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
[60] D.L. 6 maggio 2002, n. 83, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale ed ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell’Amministrazione dell’interno, conv. con mod. in L. 2 luglio 2002, n. 133.
[61] D.L. 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, conv. con mod. in L. 31 luglio 2005, n. 155.
[62] D.L. 30 dicembre 2005, n. 272 (conv. con mod. in L. 21 febbraio 2006, n. 49), Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
[63] L. 3 agosto 2004, n. 206, Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice.
[64] D.L. 28 novembre 2003, n. 337, Disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero, conv. con mod. in L. 24 dicembre 2003, n. 369.
[65] D.L. 7 settembre 2001, n. 343 (conv. con mod. in L. 9 novembre 2001, n. 401), Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile.
[66] D.L. 31 maggio 2005, n. 90 (conv. con mod. in L. 26 luglio 2005, n. 152), Disposizioni urgenti in materia di protezione civile.
[67] Legge 30 settembre 2004, n. 252, Delega al Governo per la disciplina in materia di rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
[68] D.Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217, Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell’articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252.
[69] D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell’articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229.
[70] L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
[71] Tale data è stata individuata con l’emanazione del D.P.R. 28 aprile 2006 (pubblicato in G.U. n. 100 del 2 maggio 2006).
[72] L’età minima per il conseguimento dell’elettorato passivo alla Camera si abbassa da 25 a 21 anni.
[73] Cfr. il “nuovo” art. 88 Cost..
[74] Va peraltro tenuto presente che nelle materie di competenza del Senato, il Governo può dichiarare che talune modifiche, proposte dalla Camera su sua iniziativa, sono essenziali per l’attuazione del suo programma o per la tutela delle istanze unitarie della Repubblica. La dichiarazione è sottoposta ad autorizzazione da parte del Capo dello Stato: qualora, entro 30 giorni, il Senato non accolga le modifiche proposte, il disegno di legge è trasferito alla Camera che decide in via definitiva a maggioranza assoluta.
[75] Con l’introduzione di un apposito articolo, il 98-bis, e l’attribuzione del potere di nomina dei presidenti di autorità al Capo dello Stato, sentiti i Presidenti delle Camere (“nuovo” art. 87 Cost.).
[76] L. cost. 23 ottobre 2002, n. 1, Cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
[77] L. cost. 30 maggio 2003, n. 1, Modifica dell’articolo 51 della Costituzione.
[78] Ai sensi di tale comma, l’Italia partecipa a tale processo in condizioni di parità con gli altri Stati e nel rispetto dei princìpi supremi dell’ordinamento e dei diritti inviolabili della persona umana; l’Italia, inoltre, promuove e favorisce lo sviluppo dell’Unione europea, ordinata secondo il principio democratico e il principio di sussidiarietà.
[79] Alcune tra le proposte di legge costituzionale intervengono anche su altre parti della Costituzione, allo scopo di estendere esplicitamente agli stranieri ulteriori diritti o facoltà da questa riconosciuti, quali i diritti di riunione, di associazione e di costituzione o adesione a partiti politici, la possibilità di rivolgere petizioni alle Camere, il diritto di accesso ai pubblici uffici e la partecipazione ai referendum abrogativi.
[80] L. 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[81] Come espressamente ribadisce il citato art. 14-bis.
[82] D.P.R. 5 gennaio 1994, n. 14, Regolamento di attuazione della legge 4 agosto 1993, n. 277, per l’elezione della Camera dei deputati.
[83] Nella Gazzetta ufficiale del 7 aprile 2003, supplemento ordinario n. 54, è stato pubblicato il D.P.C.M. 2 aprile 2003, Popolazione legale della Repubblica in base al censimento del 21 ottobre 2001.
[84] L. 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[85] Con il “metodo del quoziente intero e dei maggiori resti”.
[86] La coalizione deve inoltre comprendere almeno una lista che abbia raggiunto almeno il 2% del totale dei voti validi o, a determinate condizioni, una lista rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute.
[87] È inoltre ammessa alla ripartizione la lista che ha ottenuto il risultato migliore tra quelle che non hanno raggiunto la soglia del 2%.
[88] 20% per le coalizioni; 8% per le liste non coalizzate; 3% per le liste facenti parte di una coalizione ammessa alla ripartizione.
[89] L. cost. 17 gennaio 2000, n. 1, Modifica all’articolo 48 della Costituzione concernente l’istituzione della circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.
[90] L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1, Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione concernenti il numero di deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all’estero.
[91] L. 27 dicembre 2001, n. 459, Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.
[92] D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104, Regolamento di attuazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.
[93] D.L. 3 gennaio 2006, n. 1 (conv. con mod. in L. 27 gennaio 2006, n. 22), Disposizioni urgenti per l’esercizio domiciliare del voto per taluni elettori, per la rilevazione informatizzata dello scrutinio e per l’ammissione ai seggi di osservatori OSCE, in occasione delle prossime elezioni politiche, art. 3-sexies.
[94] Anagrafe degli italiani residenti all’estero.
[95] L. 24 gennaio 1979, n. 18, Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.
[96] C.d. Atto di Bruxelles, ratificato dall’Italia con la legge 6 aprile 1977, n. 150.
[97] L. 27 marzo 2004, n. 78, Disposizioni concernenti i membri del Parlamento europeo eletti in Italia, in attuazione della decisione 2002/772/CE, del Consiglio.
[98] L. 8 aprile 2004, n. 90, Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004.
[99] L. 4 aprile 2005, n. 47, Modifiche agli articoli 83, 84 e 86 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di attribuzione di seggi nell’elezione della Camera dei deputati.
[100]L. 2 marzo 2004, n. 61, Norme in materia di reati elettorali.
[101]L. 16 aprile 2002, n. 62, Modifiche ed integrazioni alle disposizioni di legge relative al procedimento elettorale. La legge stabilisce, con una clausola di cedevolezza, che le disposizioni trovino applicazione anche in occasione delle elezioni regionali, ma solo fino a quando ciascuna regione a statuto ordinario non avrà disciplinato con propria legge la materia elettorale.
[102]L. 5 febbraio 2003, n. 17, Nuove norme per l’esercizio del diritto di voto da parte degli elettori affetti da gravi infermità.
[103]D.L. 8 marzo 2006, n. 75, (conv., con modificazioni, dalla L. 20 marzo 2006, n. 121), Modificazioni alla composizione grafica delle schede per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[104]L. 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[105]D.L.. 26 aprile 2005, n. 64, (conv., con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2005, n. 110), Disposizioni urgenti per la ripartizione di seggi per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
[106]D.L. 1 febbraio 2005, n. 8, (conv. con mod. in L. 24 marzo 2005, n. 40), Disposizioni urgenti per lo svolgimento delle elezioni amministrative del 2005.
[107]L. 8 aprile 2004, n. 90, art. 6.
[108]L. 6 novembre 2003, n. 313, Disposizioni per l’attuazione del principio del pluralismo nella programmazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali.
[109]L. 22 febbraio 2000, n. 28, Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica.
[110]L. 3 maggio 2004, n. 112, Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione, art. 6, successivamente confluito nel D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico della radiotelevisione, art. 7.
[111]D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, (conv. con mod. in L. 23 febbraio 2006, n. 51), Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti, art. 39-quaterdecies.
[112]L. 30 dicembre 2004, n. 311, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), che ha anche disposto la sanatoria delle violazioni delle norme sulle affissioni di manifesti politici commesse fino al 1° gennaio 2005.
[113] L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[114] Ulteriori disposizioni in materia sono state introdotte dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari (v. scheda La legge n. 11 del 2005, nel dossier relativo alla Commissione Politiche dell’Unione europea).
[115] In più occasioni la Corte, censurando la disposizione di legge statale che non prevedeva adeguate sedi di concertazione o di cooperazione con le regioni, è giunta a individuare la forma di coinvolgimento (della Conferenza Stato-Regioni o della Regione interessata) più idonea a garantire, nel caso specifico, il rispetto del quadro costituzionale delle competenze, manifestando spesso una preferenza per l’“intesa”, in luogo del semplice “parere” (v. in particolare le sent. 423/2004 e 285/2005).
[116] In presenza di una “concorrenza di competenze”, la Corte ricorre innanzitutto al criterio della “prevalenza”; qualora tale criterio non risulti applicabile, fa ricorso al “canone della ‘leale collaborazione’, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze” (sentt. 50 e 219 del 2005).
[117] Tali princìpi sono stati fatti propri, nella sostanza, dall’art. 1 della citata L. 131/2003.
[118] Sinora, nove delle quindici Regioni a statuto ordinario si sono dotate di un nuovo statuto ai sensi dell’art. 123 Cost., come modificato dalla L.Cost. 1/1999. Per sei Regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Molise, Veneto) l’iter statutario è ancora in corso.
[119] L. cost. 22 novembre 1999, n. 1, Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni.
[120] L. 2 luglio 2004, n. 165, Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione.
[121] D.L. 29 marzo 2004, n. 80, Disposizioni urgenti in materia di enti locali, conv. con mod. in L. 28 maggio 2004, n. 140.
[122] Il relativo testo unificato (A.S. 132 e abb.), approvato dal Senato, è stato oggetto di esame presso la I Commissione della Camera tra il 6 aprile e il 21 ottobre 2004, congiuntamente ad altri 16 progetti di legge.
[123] Il testo unificato (A.C. 1852 e abb.), approvato dalla Camera, è stato licenziato per l’Assemblea, con modifiche, dalla 1ª Commissione del Senato il 6 luglio 2005. L’Assemblea non ne ha iniziato l’esame.
[124] L. 20 giugno 2003, n. 140, Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato.
[125] L. cost. 29 ottobre 1993, n. 3, Modifica dell’articolo 68 della Costituzione.
[126] Base giuridica per l’adozione dello Statuto è l’art. 190, par. 5, del Trattato di Amsterdam, come modificato dal Trattato di Nizza. La sospensione del procedimento penale a carico di un deputato era prevista dall’art. 5, par. 3, dello Statuto, in base al quale il Parlamento europeo può chiedere la sospensione delle indagini e dei procedimenti penali in corso nei confronti dei deputati, con efficacia vincolante nei confronti dell’autorità procedente. Tale disposizione non è tuttavia ricompresa nel testo dello Statuto risultante dalla modifica deliberata dal Parlamento europeo con risoluzione del 23 giugno 2005 e successivamente entrato in vigore (Dec. 2005/684/CE/Euratom del 28 settembre 2005).
[127] Cfr. A.C. 2890, 3027, 3833 e 4615.
[128] Cfr. A.C. 3130 e 3393 (quest’ultima incidente anche sull’art. 90 Cost., in materia di procedimenti penali nei confronti del Presidente della Repubblica).
[129] L. 20 luglio 2004, n. 215, Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi.
[130] L. 31 maggio 2005, n. 88, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 31 marzo 2005, n. 44, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali.
[131] D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (cfr. l’art. 77, comma 2).
[132] D.L. 6 settembre 2004, n. 233 (conv. con mod. in L. 5 novembre 2004, n. 261), Modificazioni alla legge 20 luglio 2004, n. 215, in materia di risoluzione dei conflitti di interessi. Il decreto-legge, modificando alcuni articoli della L. 215/2004, ha introdotto un riferimento alla L. 112/2004 o in sostituzione di norme superate, o in aggiunta a norme che restano in vigore, ma che sono divenute insufficienti a regolare le funzioni previste dalla legge sul conflitto di interessi in materia di comunicazione.
[133] L. 3 maggio 2004, n. 112, Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI - Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l’ emanazione del testo unico della radiotelevisione.
[134] Autorità garante della concorrenza e del mercato, Deliberazione del 16 novembre 2004, Criteri di accertamento e procedure istruttorie relativi all’applicazione della legge 20 luglio 2004, n. 215, recante norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi, pubblicata nella G.U. 1 dicembre 2004, n. 282.
[135] Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Deliberazione 1 dicembre 2004, n. 417/04/CONS, Regolamento per la risoluzione dei conflitti di interessi, pubblicata nella G.U. n. 300 del 23 dicembre 2004. Tale documento è stato successivamente abrogato e sostituito dalla Deliberazione 13 ottobre 2005, n. 392/05/CONS, Modifiche e integrazioni al regolamento per la risoluzione dei conflitti di interessi, pubblicata nella G.U. n. 298 del 23 dicembre 2005.
[136] Doc. CCXXII, n. 1, Relazione sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi (periodo 1° gennaio - 30 giugno 2005), presentata dal Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il 15 luglio 2005.
Doc. CCXXII, n. 2, Relazione sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi (periodo 1° luglio - 31 dicembre 2005), presentata dal Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato il 22 dicembre 2005.
Doc. CCXXII, n. 3, Relazione sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi (periodo 1° gennaio - 30 giugno 2005), presentata dal Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato il 28 dicembre 2005.
[137] Successivamente all’inizio dell’esame in sede referente, alla proposta di legge A.C. 4237 è stata abbinata quella, dal contenuto analogo, di iniziativa dell’on. Perrotta (A.C. 4590).
[138] Si ricorda al riguardo che, ai sensi dell’art. 5, co. 1, lett. d), della L. 400/1988, il Presidente del Consiglio dei ministri controfirma:
§ gli atti di promulgazione delle leggi;
§ ogni atto per il quale è intervenuta deliberazione del Consiglio dei ministri;
§ gli atti che hanno valore o forza di legge;
§ insieme con il ministro proponente, gli altri atti indicati dalla legge.
[139] L. cost. 6 marzo 1992, n. 1, Revisione dell’art. 79 della Costituzione in materia di concessione di amnistia e indulto.
[140]La Costituzione prevede inoltre che la legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione (art. 79, co. 2°); l’amnistia e l’indulto non possono, tuttavia, applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge (articolo 79, terzo comma).
[141] Il 18 novembre 2002.
[142] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.
[143] D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 (conv. con mod. in L. 28 febbraio 1990, n. 39), Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato
[144] D.L. 9 settembre 2002, n. 195 (conv. con mod. in L. 9 ottobre 2002, n. 222), Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari.
[145] D.L. 14 settembre 2004 n. 241 (conv. con mod. in L. 12 novembre 2004, n. 271), Disposizioni urgenti in materia di immigrazione.
[146] D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (conv. con mod. in L. 31 luglio 2005, n. 155), Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale. L’art. 2 del D.L. ha altresì introdotto il “permesso di soggiorno a fini investigativi”, rilasciato in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico. Tale nuovo strumento si inserisce nel solco della legislazione premiale in materia di immigrazione inaugurata dal permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (art. 18 del testo unico), che può essere rilasciato a immigrati clandestini che siano vittime di situazioni di violenza o di grave sfruttamento.
[147] La L. cost. 30 maggio 2003, n. 1 ha aggiunto un periodo al primo comma dell’art. 51, che, pertanto, attualmente così recita: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
[148] L. cost. 31 gennaio 2001, n. 2, Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
[149] L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione.
[150] L. 8 aprile 2004, n. 90, Norme in materia di elezione dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004.
[151] L. 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.
[152] L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.
[153] D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art. 7, co. 1 e art. 57).
[154] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
[155] D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145, Attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro.
[156] L. 25 gennaio 2006, n. 29, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2005.
[157] D.Lgs. 31 luglio 2003, n. 226, Trasformazione della Commissione nazionale per la parità in Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 13 della L. 6 luglio 2002, n. 137.
[158] Mutandone, tra l’altro, la denominazione, che in origine era “Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità fra uomo e donna”. Operante fin dal 1984, in forza di un decreto del Presidente del Consiglio, è stata disciplinata con legge nel 1990.
[159] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
[160] Con decreto del Presidente del Consiglio dell’11 dicembre 2003.
[161] D.P.C.M. 21 novembre 2001, n. 453, Regolamento generale di disciplina relativa agli obiettori di coscienza, a norma dell’articolo 8, comma 2, lettera i), della legge 8 luglio 1998, n. 230.
[162] D.Lgs. 5 aprile 2002, n. 77, Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64.
[163] La L. 6 marzo 2001, n. 64 ha delegato il Governo alla istituzione del Servizio civile nazionale, da prestarsi esclusivamente su base volontaria a decorrere dalla data di sospensione del servizio militare di leva disposta dalla L. 331/2000 (originariamente fissata al 2007, poi anticipata al 2005 – v. infra), nella prospettiva della realizzazione di una riforma parallela a quella istitutiva del servizio militare professionale e volontario prevista dalla legge ora menzionata. Si ricorda che anteriormente – sempre nella XIII legislatura – era intervenuta la legge di riforma dell’istituto dell’obiezione di coscienza (L. 230/1998) che ha organicamente disciplinato tale istituto, abrogando contestualmente la normativa risalente al 1972.
[164] L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
[165]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[166] D.L. 9 novembre 2004, n. 266, Proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative, convertito, con modificazioni, in legge 27 dicembre 2004, n. 306 (v. art. 2).
[167] D.L. 30 giugno 2005, n. 115, Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, conv., con mod., in L. 17 agosto 2005, n. 168.
[168] D.L. 9 novembre 2004, n. 266 (conv. con mod. in L. 27 dicembre 2004, n. 306), Proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative.
[169]D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 (conv. con mod. in L. 31 marzo 2005, n. 43), Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti.
[170]Al disegno di legge del Governo sono stati abbinati due progetti di iniziativa parlamentare (A.C. 1576, presentato dagli onn. Spini ed altri, e A.C. 1902, d’iniziativa dell’on. Molinari).
[171]A.C. 3947, XIII legislatura.
[172]L. 24 giugno 1929, n. 1159, Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi.
[173]La libertà religiosa è garantita, oltre che da tale disposizione, dall’articolo 19 della Costituzione, che stabilisce il diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa e dall’articolo 20 che vieta l’introduzione di speciali limitazioni legislative o fiscali per le associazioni religiose.
[174]D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
[175]D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
[176]L. 24 febbraio 2006, n. 85, Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione.
[177] Legge 5 ottobre 1993, n. 409, Integrazione dell’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione.
[178]L. 22 novembre 1988, n. 516, Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno.
[179]Cfr. in particolare l’intervento del ministro presso la Commissione affari costituzionali della Camera nella seduta del 23 novembre 2004.
[180]La circolare non risulta pubblicata: una sintesi del contenuto è stata tratta dal sito del Ministero dell’interno.
[181]Nella Dichiarazione è stato riconosciuto il contributo positivo che il dialogo tra le fedi è in grado di dare all’interno della società europea e la sua capacità di porsi come mezzo di pace in Europa e ai suoi confini, in particolare nell’area del Mediterraneo la cui stabilità dipende in larga misura dalla convivenza tra diverse religioni.
L’iniziativa della Presidenza italiana è stata poi approvata dai Capi di Stato e di governo che, nel Consiglio europeo del 12 dicembre 2003, hanno incoraggiato gli Stati ad appoggiare un “dialogo intenso, aperto e trasparente con le varie comunità religiose”. Il tema del dialogo interreligioso figura pertanto tra le priorità che l’Unione europea si è data in materia di lotta al terrorismo e di politica dell’immigrazione.
[182]Cfr. anche Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2005. XV Rapporto, ottobre 2005.
[183]Ministro dell’interno, Decreto 10 settembre 2005, Istituzione della Consulta per l’Islam italiano, pubblicato nella G.U. 26 ottobre 2005, n. 250.
[184]Cfr. la nota diffusa il 26 aprile 2006 dal Ministero dell’interno con la quale si commenta l’ultima riunione dell’organismo.
[185] A.C. 411 (Pisapia ed altri), A.C. 3229 (Mazzoni) e A.C. 3344 (Finocchiaro ed altri).
[186] 8 febbraio 2005: parere contrario; 25 maggio 2005: parere favorevole con condizioni; 27 luglio 2005: parere contrario; 8 novembre 2005: parere favorevole con condizione (all’Assemblea).
[187] La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è stata redatta in seno al Consiglio d’Europa e aperta alla firma a Strasburgo il 5 novembre 1992. È entrata in vigore a livello internazionale il 1° marzo 1998. Attualmente la Carta è in vigore per 17 Paesi del Consiglio d’Europa, mentre altri 12 hanno firmato la Carta senza peraltro ancora ratificarla: tra questi ultimi vi è l’Italia, la cui firma è del 27 giugno 2000.
[188] L. 15 dicembre 1999, n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.
[189]L. 23 febbraio 2001, n. 38, Norme per la tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia.
[190] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, con il quale è stato disciplinato in via generale il riordino dei Ministeri; D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[191] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
[192] Modificazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché alla legge 23 agosto 1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo, convertito con modificazioni dalla legge dall’art. 1, L. 3 agosto 2001, n. 317
[193] Cui la legislazione in materia (a partire dalla L. 249/1997) attribuisce competenze molto ampie, in primo luogo in termini di regolamentazione e regolazione del sistema delle comunicazioni, ma anche in termini di controllo e vigilanza (in ambiti anche piuttosto differenziati, che vanno – a titolo esemplificativo – dalla disciplina delle posizioni dominanti, al controllo in materia di “par condicio” , alla tutela dei minori).
[194] Il decreto-legge incide in particolare sull’ampiezza della delega statuendo che essa riguardi “aree o progetti di competenza di una o più strutture dipartimentali ovvero di più direzioni generali”.
L’attribuzione di competenze organiche relative ad un intero o più dipartimenti o direzioni generali (ovvero le strutture di primo livello nei due modelli di organizzazione ministeriale previsti dall’art. 3 del D.Lgs. 300/1999) non costituisce più il presupposto necessario per l’attribuzione del titolo di vice ministro, così come stabilito dalla L. 81/2001. Risultano, pertanto, attenuati i profili distintivi della delega conferita ai vice ministri rispetto alle deleghe attribuibili agli altri sottosegretari.
[195] I decreti legislativi correttivi o modificativi di cui si tratta dovranno, infatti, essere emanati nel rispetto delle competenze costituzionali di tali enti territoriali, quali risultano a seguito della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[196] V. gli artt. 12, 14, 17 e 18 della L. 59/1997.
[197] Anche mediante trasferimento o unificazione delle funzioni e degli uffici esistenti e il ridisegno – inteso ad unificazioni – delle strutture di primo livello delle diverse amministrazioni, anche mediante istituzioni di dipartimenti o di amministrazioni ad ordinamento autonomo.
[198] Nonché l’articolazione, d’intesa con le regioni, della struttura dei servizi statali di livello sovraregionale (in modo da assicurarne comunque la fruibilità da parte delle comunità regionali unitariamente considerate).
[199] Ossia tra quelle proprie degli organismi a carattere esecutivo od operativo (rivolti, cioè, alla realizzazione dei fini ultimi dell’organizzazione) (line) e quelle che appartengono invece agli organismi a carattere consultivo o ausiliario (rivolti, cioè, al coordinamento ed all’assistenza necessaria per il raggiungimento dei fini ultimi della struttura) (staff).
[200] Modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, concernente le strutture organizzative dei Ministeri, nonché i compiti e le funzioni del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Tale D.Lgs. è stato adottato sulla base di una delega contenuta nella legge n. 137 del 2002 (art. 1 in particolare).
[201] In particolare con l’art. 1, che modifica l’art. 3 del D.Lgs. n. 300 del 1999. Si ricorda che con il d.lgs. 300/99 sono state definite le “mission” delle diverse Amministrazioni e stabiliti i principi cardine dell’organizzazione (articolazione per dipartimenti o per direzioni generali e numero massimo dei tali strutture di primo livello), per il resto demandata ai regolamenti ex art. 17, comma 4 bis l. 400. La dottrina ha evidenziato in proposito come il modello ministeriale di cui al D.Lgs. 300 si configuri come un modello a geometria variabile, con un nucleo comune ed essenziale ed alcune parti che possono variare, ma nel rispetto di tipologie determinate.
[202] L’art. 2, che modifica l’art. 6 del D.Lgs. n. 300 del 1999.
[203] Nei Ministeri organizzati in dipartimenti l’ufficio del segretario generale, ove previsto da precedenti disposizioni di legge o regolamento, e’ soppresso. I compiti attribuiti a tale ufficio sono distribuiti tra i capi dipartimento.
[204] Mentre il d.lgs. n. 300 conteneva un’elencazione dei ministeri organizzati per dipartimenti e di quelli articolati per direzioni generali (art. 3), evidenziando una preferenza per la “dipartimentalizzazione” (tale scelta era considerata funzionale ad un maggior coordinamento e ad una razionalizzazione di funzioni ed organizzazione)..
[205] Il nono riguarda gli Uffici territoriali del Governo.
[206] Recante Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, recante disposizioni urgenti per garantire la funzionalita’ di taluni settori della pubblica amministrazione. Disposizioni per la rideterminazione di deleghe legislative e altre disposizioni connesse.
[207] V. in part. art. 2, co.1, che ha delegato il Governo ad adottare, entro il termine su indicato uno o più D.Lgs. integrativi e correttivi di svariati D.Lgs.: in primo luogo del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (riforma dell’organizzazione del Governo), ma anche di D.Lgs. relativi all’ordinamento del Ministero per i beni culturali, alla fondazione “La Biennale di Venezia”, alla fondazione “La Triennale di Milano”, al Ministero della difesa ed al D.Lgs. di riforma strutturale delle Forze armate.
[208] In tal senso si possono indicare le riforme del Ministero dell’ambiente, del Ministero del lavoro e del Ministero delle attività produttive, che vanno ad aggiungersi al Ministero degli affari esteri, a quello della difesa ed a quello delle comunicazioni. Come eccezione a tale “trend” si può indicare il Ministero dei beni culturali, per il quale, con il D.Lgs. 3/2004, sono stati istituiti quattro dipartimenti.
[209] Tali uffici sembrano anche aver avuto, negli ultimi anni, una notevole crescita dimensionale.
[210] Cfr. l’audizione presso la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera nella seduta del 26 giugno 2002.
[211] Approvato nella seduta del 4 aprile 2000. Gli atti parlamentari relativi all’indagine conoscitiva sono stati raccolti nel volume Camera dei Deputati, Le Autorità amministrative indipendenti, collana Indagini conoscitive e documentazioni legislative n. 31, XIII legislatura, Roma, 2000.
[212]V. in particolare la riunione dell’11 aprile 2003 del Consiglio dei ministri, nella quale è stato avviato l’esame.
[213]In specie, si tendeva ad escludere la possibilità di svolgere attività di consulenza, di essere dipendenti di enti pubblici o privati, di ricoprire altri incarichi pubblici o essere amministratori di società o svolgere attività politica o sindacale
[214] V. rispettivamente le leggi 262 del 2005, 215 del 2004 e 112 del 2004.
[215] Con le modifiche apportate dal D.L. 273/2005.
[216]Più precisamente il citato comma 65 stabilisce che (con la decorrenza già indicata) le spese di funzionamento della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione di vigilanza sui fondi pensione sono finanziate dal mercato di competenza, per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato, secondo modalità previste dalla normativa vigente ed entità di contribuzione determinate con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge, versate direttamente alle medesime Autorità. Le deliberazioni, con le quali sono fissati anche i termini e le modalità di versamento, sono sottoposte al Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, per l’approvazione con proprio decreto entro venti giorni dal ricevimento. Decorso il termine di venti giorni dal ricevimento senza che siano state formulate osservazioni, le deliberazioni adottate dagli organismi ai sensi del presente comma divengono esecutive. Ulteriori disposizioni successive specificano ulteriormente i termini del regime di finanziamento per alcune delle autorità.
[217]Cfr. art. 14, co. 1-11 della L. 246/2005, la quale porta così a regime un’esperienza, avviata a titolo sperimentale nella XIII legislatura.
[218]L’articolo richiamato non individua nominativamente le Autorità tenute all’adempimento, ma fa riferimento a quelle “autorità amministrative indipendenti, cui la normativa attribuisce funzioni di controllo, di vigilanza o regolatorie”: esse “si dotano, nei modi previsti dai rispettivi ordinamenti, di forme o metodi di analisi dell’impatto della regolamentazione per l’emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione, e, comunque, di regolazione”, trasmettendo poi al Parlamento le relazioni di analisi di impatto della regolamentazione da loro realizzate. Si noti che con tale disposizione comporta che siano sottoposti ad AIR anche atti che, nell’accezione tradizionale, sono considerati di natura, in senso lato, amministrativa. Sono, comunque, escluse dall’applicazione della richiamata disposizione le segnalazioni e le altre attività consultive, anche se concernenti gli atti citati, nonché i procedimenti previsti dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (in materia di tutela della concorrenza).
Si fa presente poi che la consultazione degli eventuali destinatari della regolamentazione – che costituisce un aspetto qualificante dell’AIR – è già da tempo presente nella metodologia di elaborazione delle delibere di molte autorità.
[219] Il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, ha dettato le nuove regole sull’assetto delle fonti normative e sul quadro organizzativo del rapporto di lavoro pubblico.
[220] D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, c.d. “Testo unico sul pubblico impiego”. Costituisce attualmente il testo normativo fondamentale, nel quale sono state consolidate e coordinate le vigenti disposizioni in materia di lavoro pubblico.
[221] L. 15 luglio 2002 n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.
[222] Ad opera dell’art. 3, co. 147, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004).
[223] Tale disposizione è applicabile non da parte di ciascun nuovo Governo (come quella relativa agli incarichi dirigenziali di vertice), ma soltanto all’inizio di ogni legislatura, qualificandosi, in tal modo, come un meccanismo collegato al succedersi delle legislature e al possibile avvicendarsi delle maggioranze di Governo.
[224] D.L. 30 giugno 2005, n. 115, Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, conv. con mod. in L. 17 agosto 2005, n. 168, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione. Disposizioni in materia di organico del personale della carriera diplomatica, delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2000/53/CE in materia di veicoli fuori uso e proroghe di termini per l’esercizio di deleghe legislative.
[225] D.Lgs. 29 Dicembre 2003, n. 381, Modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287, concernenti il riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137.
[226] Con il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 287, Riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione e riqualificazione del personale delle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[227] Su questo specifico profilo sono successivamente intervenuti il D.L. 115/2005, che ha modificato i requisiti previsti per la nomina a direttore della SSPA, e il D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti, che ha ampliato i requisiti per il conferimento dell’incarico di dirigente amministrativo della SSPA.
[228] L. 27 luglio 2005, n. 154, Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria.
[229] D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 63, Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della legge 27 luglio 2005, n. 154.
[230] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
[231] La Conferenza unificata ha reso il prescritto parere nella seduta del 28 febbraio 2002, con l’approvazione di due documenti: uno delle regioni (Allegato A) e uno degli enti locali (Allegato B).
[232] L. 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa.
[233] La relazione è stata presentata in data 11 marzo 2003 (A.S. 1281-A).
[234] D.L. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, conv. con mod. in L. 14 maggio 2005, n. 80.
[235] Istituito presso la Presidenza del Consiglio ai sensi dell’art. 176, co. 3, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, al posto della preesistente Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (AIPA).
[236]Ciascun dipendente di azienda privata può chiedere al proprio datore di lavoro di potere acquistare un personal computer alle stesse condizioni praticate all’azienda dai fornitori.
[237] D.P.R. 2 marzo 2004, n. 117, Regolamento concernente la diffusione della carta nazionale dei servizi, a norma dell’articolo 27, comma 8, lettera b), della legge 16 gennaio 2003, n. 3.
[238]D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell’articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3.
[239]Decreto del ministro dell’interno 13 ottobre 2005, n. 240.
[240]D.P.R. 7 aprile 2003, n. 137, Regolamento recante disposizioni di coordinamento in materia di firme elettroniche a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 23 gennaio 2002, n. 10.
[241] D.Lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, Attuazione della direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche, con cui si è provveduto al recepimento della disciplina comunitaria sulle firme elettroniche. La normativa italiana previgente in materia garantiva livelli più elevati di sicurezza rispetto a quella comunitaria; tale circostanza ha reso necessaria l’adozione del D.P.R. n. 137.
[242] D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
[243] L. 9 gennaio 2004, n. 4, Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici.
[244] L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
[245]D.Lgs. 9 aprile 2003 n. 70, Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della Società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico.
[246]L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. Legge di semplificazione 2001.
[247]D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.
[248]D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 42, Istituzione del sistema pubblico di connettivita’ e della rete internazionale della pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 10, della legge 29 luglio 2003, n. 229.
[249]D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 159, Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante codice dell’amministrazione digitale.
[250] L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001.
[251] L. 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.
[252] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
[253] L. 8 marzo 1999, n. 50, Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998.
[254] L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[255] Le materie oggetto di riassetto nella legge di semplificazione 2001 sono le seguenti:
§ produzione normativa, semplificazione e qualità della regolazione (art. 2);
§ sicurezza del lavoro (art. 3);
§ assicurazioni (art. 4);
§ incentivi alle attività produttive (art. 5);
§ prodotti alimentari (art. 6);
§ tutela dei consumatori (art. 7);
§ metrologia legale (art. 8);
§ internazionalizzazione delle imprese (art. 9);
§ “società dell’informazione” (art. 10);
§ Corpo nazionale dei vigili del fuoco (art. 11).
Le materie oggetto di riassetto nella legge di semplificazione 2005 sono le seguenti:
§ vittime del dovere, del servizio, del terrorismo, della criminalità organizzata e di ordigni bellici in tempo di pace (art. 3);
§ uffici all'estero del Ministero degli affari esteri (art. 4);
§ adempimenti amministrativi delle imprese (art. 5);
§ pari opportunità (art. 6);
§ notariato e archivi notarili (art. 7).
[256] L. 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici.
[257] Una nuova delega sulle materie spettacolo dal vivo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore è stata conferita dalla L. 186/2004.
[258] Scaduto il termine, una nuova delega è stata conferita dalla L. 186/2004 e, successivamente e in forma più ampia, dalla legge di semplificazione 2005.
[259] L. 1 agosto 2002, n. 166, Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti.
[260] L. 12 dicembre 2002, n. 273, Misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza.
[261] L. 14 febbraio 2003, n. 30, Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro.
[262] L. L. 7 marzo 2003, n. 38, Disposizioni in materia di agricoltura.
[263] L. 17 aprile 2003, n. 80, Delega la governo per la riforma del sistema fiscale statale.
[264] L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[265] L. 8 luglio 2003, n. 172, Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico.
[266] L. 3 maggio 2004, n. 112, Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI – Radiotelevisione italiana SPA., nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione.
[267] L. 23 agosto 2004, n. 239, Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia.
[268] L. 23 agosto 2004, n. 243, Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria.
[269] L. 15 dicembre 2004, n. 308, Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.
[270] L. 1 marzo 2005, n. 32, Delega al Governo per il riassetto normativo del settore dell'autotrasporto di persone e cose.
[271] L. 25 luglio 2005, n. 150, Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico.
[272] Si tratta dei seguenti:
§ Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 259/2003);
§ Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003; la legge delega era stata approvata nella XIII legislatura);
§ Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004);
§ Codice della proprietà industriale (D.Lgs. 30/2005);
§ Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005);
§ Codice della nautica da diporto ed attuazione della direttiva 2003/44/CE (D.Lgs. 171/2005);
§ Testo unico della radiotelevisione (177/2005);
§ Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005);
§ Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. 209/2005);
§ Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore (D.Lgs. 286/2005);
§ Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni e ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (D.Lgs. 139/2006);
§ Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (D.Lgs. 163/2006).
[273] Il termine per l’esercizio della delega, inizialmente fissato in un anno dalla data di entrata in vigore della legge, è stato prorogato a due anni dall’art. 1 della L. 186/2004, ed è scaduto il 9 settembre 2005.
[274] Sulla riforma della disciplina recata dalla L. 11/2005 (che ha riformato la c.d. “legge La Pergola”) nei suoi effetti sul sistema delle fonti, v. scheda La legge n. 11 del 2005, nel dossier relativo alla Commissione Politiche dell’Unione europea).
[275] D.L. 10 gennaio 2006, n. 4 (conv. con mod. in L. 9 marzo 2006, n. 80), Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione.
[276] D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
[277] L. 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).
[278] La Corte costituzionale (sent. 272/2004) ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 113-bis, in quanto, premesso che la Corte giudica necessario l’intervento del legislatore statale nel settore dei servizi pubblici locali unicamente allo scopo della tutela della concorrenza e che per tutti gli altri aspetti esso spetti alle autonomie locali, ai servizi privi di rilevanza economica di per sé non sono applicabili criteri concorrenziali.
[279] D.L. 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici (conv. L. 24 novembre 2003, n. 326).
[280] La procedura in house è prevista anche per l’affidamento della gestione delle reti in caso di separazione tra gestione delle reti ed erogazione del servizio.
[281] La Corte costituzionale, con la citata sent. 272/2004, ha chiarito la natura integrativa delle disposizioni del testo unico in materia di servizi pubblici locali, non solamente delle normative di settore, ma anche della legislazione di origine regionale (per approfondire questo punto v. parte II, scheda Servizi pubblici locali – Le norme del Testo unico enti locali).
[282] D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.
[283] D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144.
[284] L. 15 dicembre 2004, n. 308, Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’ integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.
[285] L. 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004).
[286] D. Lgs. 28 dicembre 2001, n. 477, Disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, in materia di riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato.
[287] L. 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).
[288] L. 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ( legge finanziaria 2004).
[289] L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
[290] L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
[291] D.Lgs. 30 maggio 2003, n. 193, Sistema dei parametri stipendiali per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate, a norma dell’articolo 7 della legge 29 marzo 2001, n. 86.
[292] D.L. 24 giugno 2003, n. 147, Proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali, conv. con mod., in L. 1 agosto 2003, n. 200.
[293] D.L. 31 marzo 2005, n. 45, Disposizioni urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, conv. con mod. in L. 31 maggio 2005, n. 89.
[294] D.L. 10 settembre 2003, n. 253, Disposizioni urgenti per incrementare la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza e della protezione civile, conv. con mod. in L. 6 novembre 2003, n. 300.
[295] D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi, conv. con mod. in L. 21 febbraio 2006, n. 49.
[296] D.L. 10 settembre 2004, n. 238, Misure urgenti per il personale appartenente ai ruoli degli ispettori delle Forze di Polizia e altre disposizioni concernenti il personale della Polizia di Stato e i consigli della rappresentanza militare, conv. con mod. in L. 5 novembre 2004, n. 263.
[297] Avvenuta il 25 gennaio 2006.
[298] Sulla materia si veda anche: Ministero dell’interno, Lo stato della sicurezza in Italia, 15 agosto 2005.
[299] D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (conv. con mod. in L. 31 luglio 2005, n. 155), Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale.
[300] D.L. 30 dicembre 2005, n. 272 (conv. con mod. in L. 21 febbraio 2006, n. 49), Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
[301] D.L. 6 maggio 2002, n. 83 (conv. con mod. in L. 2 luglio 2002, n. 133), Disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale ed ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell’Amministrazione dell’interno.
[302] Più precisamente, le “alte personalità istituzionali nazionali ed estere, nonché [le] persone che per le funzioni esercitate o che esercitano o per altri comprovati motivi, sono soggette a pericoli o minacce, potenziali o attuali, nella persona propria o dei propri familiari, di natura terroristica o correlati al crimine organizzato, al traffico di sostanze stupefacenti, di armi o parti di esse, anche nucleari, di materiale radioattivo e di aggressivi chimici e biologici o correlati ad attività di intelligence di soggetti od organizzazioni estere” (art. 1).
[303] Lo stesso decreto reca misure finanziarie al fine di assicurare l’integrale utilizzo delle risorse comunitarie relative al programma operativo nazionale “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia”.
[304] Ai sensi dell’art. 34 del testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 690/1907, gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza “vegliano al mantenimento dell’ordine pubblico, all’incolumità e alla tutela delle persone e delle proprietà, in genere alla prevenzione dei reati, raccolgono le prove di questi e procedono alla scoperta, ed in ordine alle disposizioni della legge, all’arresto dei delinquenti; curano l’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, come pure delle ordinanze delle pubbliche autorità; prestano soccorso in casi di pubblici e privati infortuni”.
[305] L. 24 ottobre 1977, n. 801, Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato.
[306] L. 3 agosto 2004, n. 206, Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice.
[307] L. 20 febbraio 2006, n. 91, Norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961.
[308] L. 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
[309] L. 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.
[310] Quanto alle attività di trattenimento o spettacolo, sono svolti dagli istituti di vigilanza e sicurezza a mezzo di guardie giurate i relativi servizi rivolti anche alla tutela dell’incolumità degli artisti e degli spettatori (è peraltro escluso l’uso di armi o altri strumenti di coazione); i servizi di vigilanza e custodia possono essere svolti da soggetti diversi, quando non vi siano particolari esigenze di sicurezza che richiedano l’impiego di guardie giurate. Rientrano nella disciplina di cui al disegno di legge anche le attività di investigazione e quelle di recupero stragiudiziale di crediti.
[311] Si richiede che: la verifica dei requisiti soggettivi e la materia dei controlli e delle misure amministrative cautelari e sanzionatorie siano disciplinate, nello Stato di stabilimento, in modo sostanzialmente analogo a quanto previsto in Italia; le autorità di tale Stato assicurino l’attuazione, con ragionevole tempestività, dei controlli e degli interventi sanzionatori e cautelari previsti dalle disposizioni vigenti in Italia, dietro motivata richiesta delle autorità italiane.
[312] Si tratta della procedura di infrazione n. 2000/4196. Il 5 luglio 2005 la Commissione europea ha deciso di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee contro l’Italia per violazione degli artt. 43 e 49 del Trattato UE: secondo la Commissione, infatti, la normativa italiana vigente in materia di sicurezza privata frapporrebbe ostacoli alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi privati di sorveglianza. Tale decisione ha fatto seguito al parere motivato inviato all’Italia il 14 dicembre 2004. La documentazione relativa alla procedura di infrazione è stata trasmessa dal Governo alla Commissione affari costituzionali, su invito di questa, nel corso dell’esame in sede referente dei disegni di legge in materia. Si veda, al riguardo, il Dossier del Servizio studi Note per la compatibilità comunitaria n. 159 del 6 settembre 2005.
[313] I criteri e le procedure per definire le tariffe e per assicurarne, per quanto possibile, l’uniformità a livello nazionale, sono determinati con decreto del ministro dell’interno, sulla base delle indicazioni formulate dalla Commissione consultiva già citata, o da una specifica sottocommissione. Il decreto deve comunque indicare le tariffe minime inderogabili dei servizi che comportano un rapporto fra l’unità di personale impiegata e ciascuna ora di servizio prestata.
[314] Il quale può, tra l’altro, impartire ulteriori prescrizioni, operare in qualsiasi momento controlli e ispezioni, disporre la sospensione cautelare dal servizio di guardie giurate, collaboratori investigativi, agenti di recupero crediti in caso di grave inosservanza degli obblighi inerenti all’espletamento del servizio.
[315] In esso sono iscritte in distinte sezioni le varie categorie di persone che esercitano professionalmente le attività disciplinate dalla legge: direttori ed institori dei relativi istituti e imprese, collaboratori investigativi, agenti di recupero crediti, operatori tecnologici del settore, responsabili dei servizi di sicurezza delle imprese e loro coadiutori.
[316] Le disposizioni del progetto di legge operano mediante modifica o integrazione di norme di legge vigenti, quali l’art. 57 c.p.p., la legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale (L. 65/1986), la legge recante l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza (L.121/81).
[317] L. 19 ottobre 2001, n. 386, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare.
[318] I documenti e i resoconti delle sedute della Commissione sono disponibili in http://www.parlamento.it/Bicamerali/antimafia/sommariobicamerali.htm.
[319] L. 7 maggio 2002, n. 90, Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l’attività d’intelligence italiana.
[320] L. 11 agosto 2003, n. 232, Proroga del termine previsto dall’articolo 1, comma 3, della legge 7 maggio 2002, n. 90, per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana.
[321] Si veda www.parlamento.it/Bicamerali/mitrokhin/sommariobicamerali.htm per l’attività della Commissione.
[322]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[323]D.L. 7 settembre 2001, n. 343 (conv. con mod. in L. 9 novembre 2001, n. 401), Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile.
[324]L. 24 febbraio 1992, n. 225, Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile.
[325]D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[326]Tali motivazioni emergono dalla relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del D.L. 343/2001.
[327]D.L. 31 maggio 2005, n. 90 (conv. con mod. in L. 26 luglio 2005, n. 152), Disposizioni urgenti in materia di protezione civile.
[328] Sull’ordinamento della protezione civile prima del 2001 v. scheda La protezione civile – Recenti riforme, nel dossier relativo alla Commissione Ambiente).
[329]L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
[330]Il testo della direttiva è disponibile in:
http://www.protezionecivile.it/cms/attach/editor/centroFunzionale/direttiva_idro.pdf
[331]Con il quale sono definite le competenze del Prefetto.
[332]Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della protezione civile, Circolare 30 settembre 2002, n. 5114, Ripartizione delle competenze amministrative in materia di protezione civile, pubblicata nella G.U. 8 ottobre 2002, n. 236.
[333] Si tratta in particolare dell’indirizzo, promozione e coordinamento delle attività di tutte le amministrazioni (nazionali, locali, pubbliche e private) in materia di protezione civile e delle funzioni operative riguardanti:
§ gli indirizzi per la predisposizione e l’attuazione dei programmi di previsione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi di rischio;
§ la predisposizione, d’intesa con le Regioni e gli enti locali interessati, dei piani di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 225 del 1992;
§ il soccorso tecnico urgente, la prevenzione e lo spegnimento degli incendi e lo spegnimento con mezzi aerei degli incendi boschivi;
§ lo svolgimento di periodiche esercitazioni relative ai piani nazionali di emergenza.
[334]Corte dei conti, Relazione sul rendiconto generale dello Stato 2004, presentata alle Camere il 24 giugno 2005 (doc. XIV, n. 5).
[335]Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2004, Indirizzi in materia di protezione civile in relazione all’attivita’ contrattuale riguardante gli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario, pubblicata nella G.U. 21 dicembre 2004, n. 298.
[336]Di cui all’art. 5, comma 3, della L. 225/1992.
[337]L. 26 febbraio 1987, n. 49, Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo.
[338]L. 30 settembre 2004, n. 252, Delega al Governo per la disciplina in materia di rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
[339]D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, successivamente confluito nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
[340]D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, art. 3, comma 1-bis.
[341]L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. - Legge di semplificazione 2001.
[342]D.Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217, Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell’articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252.
[343]L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
[344]D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell’articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229.
[345] In realtà, il procedimento per l’emanazione del regolamento era iniziato nella precedente legislatura: la deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri sullo schema del provvedimento è stata adottata dal II Governo Amato il 23 febbraio 2001.
[346] D.P.R. 7 settembre 2001, n. 398, Regolamento recante l’organizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell’interno.
[347]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell’organizzazione del Governo a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[348] La disposizione stabilisce che all’individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale di ciascun ministero e alla definizione dei relativi compiti si provvede con decreto del ministro di natura non regolamentare.
[349]D.L. 7 settembre 2001, n. 343 (conv. con mod. in L. 9 novembre 2001, n. 401), Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile.
[350]D.P.R. 23 dicembre, n. 314, Regolamento recante individuazione degli uffici dirigenziali periferici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
[351] D.P.R. 21 marzo 2005, n. 85, Regolamento recante rideterminazione delle dotazioni organiche del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
[352]Progetto denominato “Soccorso Italia in 20 minuti”.
[353] L. 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).
[354] L. 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004).
[355] D.L. 30 gennaio 2004, n. 24 (conv. con mod. in L. 31 marzo 2004, n. 87), Disposizioni urgenti concernenti il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché in materia di accise sui tabacchi lavorati.
[356] L’art. 3, co. 53, della L. 350/2003 pone il divieto per le amministrazioni pubbliche di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato per l’anno 2004, prevedendo deroghe per le Forze armate, i Corpi di polizia e il Corpo dei vigili del fuoco per quanto riguarda le assunzioni autorizzate nel 2003, ma non ancora effettuate. Il co. 55 dello stesso articolo elenca i settori per i quali viene posta la priorità delle assunzioni in deroga (tra questi rientrano, tra gli altri, gli addetti a compiti connessi al soccorso tecnico urgente, alla prevenzione e vigilanza antincendi e alla protezione civile).
[357] L. 30 settembre 2004, n. 252, Delega al Governo per la disciplina in materia di rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
[358]L. 30 dicembre 2004, n. 311, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005).
[359]L. 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).
[360]L. 30 dicembre 2004, n. 311, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005).
[361]D.L. 21 febbraio 2005, n. 16 (conv. con mod. in L. 22 aprile 2005, n. 58), Interventi urgenti per la tutela dell’ambiente e per la viabilità e per la sicurezza pubblica.
[362]D.L. 31 marzo 2005, n. 45 (conv. con mod. in L. 31 maggio 2005, n. 89), Disposizioni urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
[363] Legge 31 luglio 2002, n. 186, Istituzione della “Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare”.
[364] L. 27 maggio 1949, n. 260 Disposizioni in materia di ricorrenze festive.
[365] L. 5 marzo 1977, n. 54, Disposizioni in materia di giorni festivi.
[366] L. 30 marzo 2004, n. 92, Istituzione del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
[367] L. 10 febbraio 2005, n. 24, Riconoscimento del 4 ottobre quale solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena.
[368] L. 4 marzo 1958, n. 132, Ricorrenza festiva del 4 ottobre in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena.
[369] L. 15 aprile 2005, n. 61, Istituzione del “Giorno della libertà” in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino.
[370] L. 31 luglio 2005, Istituzione della festa nazionale dei nonni.
[371] L. 31 marzo 2005, n. 43, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 recante disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione. Sanatoria degli effetti dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 280.
[372] L. 20 luglio 2000, n. 211, Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
[373] L. 31 dicembre 1996, n. 671, Celebrazione nazionale del bicentenario della prima bandiera nazionale.
[374] L. 20 novembre 2000, n. 336, Ripristino della festività nazionale del 2 giugno.