Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||
Titolo: | Attuazione della direttiva 2003/86/CE sul diritto al ricongiungimento familiare - Schema di D.Lgs. n. 18 (art. 1, co. 3, L. 62/2005) | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 18 | ||||
Data: | 03/10/2006 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni | ||||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Atti del Governo
Attuazione
della direttiva 2003/86/CE
sul diritto al ricongiungimento familiare
Schema di D.Lgs. n. 18
(art. 1, co. 3, L. 62/2005)
n. 18
3 ottobre 2006
DIPARTIMENTO istituzioni |
SIWEB
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File: ac0124.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Conformità con la norma di delega
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
La direttiva 2003/86/CE sul diritto al ricongiungimento familiare
Lo schema di decreto legislativo in esame
Schema di Decreto legislativo n. 18
§ Disposizioni di attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare
Normativa di riferimento
Normativa nazionale
§ Costituzione della Repubblica (artt. 76 e 87)
§ Codice di procedura penale (art. 380)
§ L. 27 dicembre 1956, n. 1423. Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità. (art. 1)
§ L. 31 maggio 1965, n. 575. Disposizioni contro la mafia. (art. 1)
§ D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200. Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari. (art. 49)
§ L. 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. (art. 17)
§ D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
§ D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394. Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. (artt. 6 e30)
§ D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea. (Testo A)
§ D.Lgs. 7 aprile 2003, n. 85. Attuazione della direttiva 2001/55/CE relativa alla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati ed alla cooperazione in àmbito comunitario.
§ L. 18 aprile 2005, n. 62. Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 (art. 1)
Normativa comunitaria
§ Dir. 22 settembre 2003, n. 2003/86/CE. Direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare.
Scheda di sintesi
per l'istruttoria legislativa
Numero dello schema di decreto legislativo |
18 |
Titolo |
Disposizioni di attuazione della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto di ricongiungimento familiare |
Norma di delega |
Art. 1, commi 1 e 3, L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Numero di articoli |
4 |
Date |
|
§ presentazione |
4 agosto 2006 |
§ assegnazione |
19 settembre 2006 |
§ termine per l’espressione del parere |
29 ottobre 2006 |
§ scadenza della delega |
12 novembre 2006 |
Commissione competente |
I (Affari costituzionali) e XIV (Politiche dell’Unione europea) |
Rilievi di altre Commissioni |
V Commissione (Bilancio) |
Lo schema di decreto legislativo in esame, composto di quattro articoli, apporta al Testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998) le modifiche e le integrazioni necessarie per il recepimento della direttiva 2003/86/CE, del Consiglio dell’Unione europea, in materia di diritto al ricongiungimento familiare da parte dei cittadini di Paesi terzi legalmente soggiornanti nel territorio degli Stati membri.
Lo schema di decreto legislativo è accompagnato, oltre che da un’analitica relazione illustrativa, dalla relazione tecnica e dalle relazioni sull’analisi tecnico-normativa (ATN) e sull’analisi di impatto della documentazione (AIR).
Lo schema di decreto è adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1, commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)[1]; per effetto di tali disposizioni lo schema di decreto è anche sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Si segnala peraltro che il termine per il recepimento della direttiva è scaduto, essendo stato fissato dalla direttiva stessa al 3 ottobre 2005.
Il contenuto del provvedimento è riferibile alla materia “immigrazione”, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. b), della Costituzione.
Si rinvia alle schede di lettura.
Il 28 giugno 2006 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura n. 2005/0986) per mancata attuazione nell’ordinamento interno della direttiva 2003/86/CE, del 22 settembre 2003, relativa al diritto di ricongiungimento familiare. Il termine indicato dalla direttiva per il recepimento era il 3 ottobre 2005.
La direttiva figura nell’allegato B della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria per il 2004)[2].
Il 21 dicembre 2005 la Commissione ha presentato un piano d’azione (COM(2005)669) che definisce le azioni e le iniziative legislative che la Commissione intende intraprendere al fine di sviluppare una politica coerente dell’UE in materia di immigrazione legale, nel periodo rimanente del programma dell’Aia (2006-2009).
La comunicazione della Commissione è stata trasmessa, il 22 dicembre 2005, al Consiglio e al Parlamento europeo. Sul documento il Consiglio ha espresso parere favorevole, nel corso della seduta del 24 luglio 2006.
Il piano d’azione comprende quattro sezioni consacrate alle principali dimensioni del fenomeno dell’immigrazione legale, nel quadro di un approccio globale. In particolare la Commissione prevede di presentare per tappe proposte legislative sulle condizioni per l’entrata e il soggiorno degli immigranti da paesi terzi con finalità di lavoro.
Le proposte consisteranno:
§ in una direttiva quadro generale che mira a definire un quadro comune di diritti per tutti i cittadini di paesi terzi legalmente occupati già ammessi in uno Stato membro, ma non ancora in possesso dello status di residenti di lunga durata. La proposta non definirà le condizioni e le procedure di ammissione per gli immigrati economici, che saranno invece stabilite negli strumenti specifici;
§ in quattro strumenti specifici, che tratteranno delle condizioni di entrata e soggiorno di determinate categorie di immigranti (lavoratori altamente qualificati, lavoratori stagionali, lavoratori in trasferimento all'interno di società multinazionali e tirocinanti retribuiti). Gli Stati membri resteranno competenti per determinare le quote di lavoratori migranti da ammettere.
In relazione all’integrazione degli immigrati legali e delle persone a loro carico, il piano d’azione prevede che sia dato seguito alle misure prefigurate nella comunicazione presentata dalla Commissione il 1° settembre 2005 su “Un’agenda comune per l’integrazione” (COM(2005)389), nella quale viene proposto un quadro per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nell’Unione europea.
Poiché l’integrazione tocca diversi settori, tra cui il lavoro, le politiche urbane e l’istruzione, la Commissione intende far sì che le priorità della politica per l’integrazione siano tradotte in modo coerente nell’insieme delle diverse politiche. Tra le misure raccomandate nei diversi settori interessati c’è il miglioramento dei programmi e delle attività di accoglienza per gli immigrati legali e per le persone a loro carico. Esse dovrebbero includere dei fascicoli informativi per gli immigrati economici appena arrivati, nonché corsi di orientamento linguistico e di educazione civica, finalizzati a far sì che gli immigrati comprendano e rispettino i valori comuni nazionali ed europei.
L’Unione Europea sovvenziona le politiche di integrazione degli Stati membri mediante strumenti finanziari, come le Azioni Preparatorie per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi (INTI). Nelle prospettive finanziarie 2007-2013, la Commissione ha proposto un nuovo strumento di solidarietà, il Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi. I suoi obiettivi – complementari a quelli del Fondo sociale europeo (FSE) – sono connessi alle problematiche individuate in relazione ai cittadini di paesi terzi e si basano sui Principi di base comuni per l’integrazione stabiliti dal Consiglio Giustizia e Affari Interni del novembre 2004. Una priorità specifica del progetto di regolamento del FSE per gli anni 2007-2013 è quella di incrementare la partecipazione degli immigrati al mondo del lavoro e di rafforzare la loro integrazione sociale. In tale ottica, la Commissione intende prestare particolare attenzione per garantire che vi siano azioni efficaci e risorse adeguate per perseguire tale priorità. Il negoziato sui quadri strategici nazionali – e sui relativi programmi operativi – sarà lo strumento istituzionale per garantire che nei prossimi anni i fondi dell’Unione Europea siano effettivamente usati per tale scopo. Anche il Fondo europeo di sviluppo regionale sostiene alcune misure di integrazione.
Il Consiglio, nel corso della riunione del 1° dicembre 2005, ha esaminato la comunicazione della Commissione ed ha adottato conclusioni in proposito, nelle quali esprime parere favorevole sul documento.
Il Consiglio, tra l’altro, ha invitato la Commissione a rinnovare il sostegno alle iniziative che, nell’ottica di un rafforzamento delle politiche d’integrazione degli Stati membri, hanno consentito una cooperazione efficace e lo scambio di buone pratiche, segnatamente la rete di cellule nazionali di contatto in materia di immigrazione, e il manuale sull’integrazione destinato ai politici e operatori locali.
Il Consiglio ritiene inoltre che, per portare avanti efficacemente un’agenda comune sull’integrazione, sia necessario stabilire un calendario di incontri periodici. Il Consiglio indica, quale possibile base di discussione per tali incontri, la relazione annuale sulla migrazione e l’integrazione, presentata dalla Commissione per la prima volta nel 2004 in base al mandato ricevuto dal Consiglio europeo del giugno 2003.
Il Parlamento europeo ha esaminato il documento nel corso della seduta del 6 luglio 2006 ed ha approvato una risoluzione nella quale, tra l’altro:
§ sollecita la Commissione a garantire l'effettiva attuazione delle direttive esistenti in materia di integrazione[3], rilevando il ritardo nell’effettivo recepimento da parte di molti Stati membri e per cui sollecita la Commissione a più rigorosi controlli nei confronti dell’attuazione della legislazione in materia nella vita quotidiana degli immigrati;
§ invita gli Stati membri a stabilire procedure trasparenti, umane, rapide e ragionevoli, che garantiscano lo status di soggiornanti di lungo periodo, il ricongiungimento familiare e la successiva naturalizzazione degli immigranti e dei loro figli, soprattutto tenendo presente il fatto che molti di tali figli sono nati nel territorio di uno Stato membro;
§ richiama l'attenzione degli Stati membri sullo stato giuridico di dipendenza delle donne immigranti che raggiungono il coniuge nell'ambito del ricongiungimento familiare e chiede agli Stati membri di rivedere la propria legislazione in modo da garantire che alle consorti e ai figli sia accordato quanto prima uno status individuale e un permesso di lavoro che sia indipendente da quello del principale detentore dello status giuridico, al fine di garantire e tutelare appieno i loro diritti e facilitare la loro integrazione sociale.
Inoltre, il 25 gennaio 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2006)26) relativa al programma tematico di cooperazione con i paesi terzi nei settori dell’emigrazione e dell’asilo.
La comunicazione espone le caratteristiche del programma tematico di cooperazione con i paesi terzi nei settori dell’emigrazione e dell’asilo. L’obiettivo generale di tale programma è di fornire un aiuto specifico e complementare ai paesi terzi al fine di sostenere gli sforzi messi in atto per garantire una migliore gestione dei flussi migratori in tutte le loro dimensioni.
Il programma si articola intorno ai seguenti cinque obiettivi:
§ favorire i legami tra emigrazione e sviluppo;
§ promuovere una gestione efficace dell’emigrazione di manodopera;
§ combattere l'immigrazione clandestina e favorire la riammissione degli immigrati in condizione irregolare;
§ proteggere gli emigranti dallo sfruttamento e dall’emarginazione;
§ promuovere le politiche di asilo e di protezione internazionale, anche attraverso programmi di protezione regionale.
La comunicazione della Commissione è stata trasmessa, il 27 gennaio 2006, al Consiglio e al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo ha esaminato il documento nel corso della seduta del 6 luglio 2006, ed ha approvato una risoluzione nella quale, tra l’altro, invita gli Stati membri a garantire il conferimento di uno status autonomo e di un permesso di lavoro, una volta accettata la domanda di ricongiungimento familiare, alla coniuge e ai figli del principale detentore dello status ufficiale, onde garantire e tutelare pienamente i loro diritti nonché agevolare la loro integrazione sociale.
L’art. 4 dello schema di decreto legislativo demanda a un successivo regolamento (ex art. 17, co. 1, L. 400/1988), da adottare entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale, l’adozione delle norme di integrazione e attuazione del decreto medesimo, nonché l’adeguamento alle sue disposizioni del vigente regolamento di attuazione del Testo unico in materia di immigrazione, approvato con D.P.R. 394/1999.
Il provvedimento è redatto quasi interamente in forma di novella al Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero, approvato con D.Lgs. 286/1998.
Il diritto all’unità familiare degli stranieri che soggiornano legalmente nel nostro Paese trova una specifica garanzia, nell’ordinamento italiano, nel Titolo IV (artt. 28-33) del Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero recato dal D.Lgs. 286/1998[4].
A tal riguardo, si ricorda che le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione extracomunitaria in Italia, fissate dalla L. 40/1998[5] (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel citato Testo unico sull’immigrazione[6] che costituisce attualmente il punto di riferimento normativo nel settore.
Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazionein senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).
I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).
La disciplina giuridica dell’immigrazione è stata oggetto, nel corso della XIV legislatura, di modifiche di rilievo ad opera della L. 189/2002[7] (cosiddetta legge “Bossi – Fini”); quest’ultima, mantenendo sostanzialmente inalterato nel complesso la struttura generale del testo unico, ne ha modificato la parte relativa alla gestione dell’immigrazione, incidendo in minor misura su quella riguardante i diritti degli immigrati.
Il D.Lgs. 286/1998 appresta, agli artt. 28 e seguenti, una specifica tutela del diritto dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l’unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del ricongiungimento, allorché ricorrano le condizioni di cui all’art. 29, a favore di talune categorie di familiari. Specifiche disposizioni del testo unico (artt. 31-33) prendono poi in esame la tutela dei minori, il cui prioritario interesse deve sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di diritto all’unità familiare.
Nel dettaglio, il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto dall’art. 28 agli stranieri in possesso di un titolo legale di permanenza in Italia, ovvero: carta di soggiorno (che ha durata indeterminata) o permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno, rilasciato per lavoro subordinato o autonomo, per asilo, per studio o per motivi religiosi[8].
L’art. 29 individua le categorie di soggetti per i quali lo straniero regolarmente soggiornante può avanzare richiesta di ricongiungimento familiare e i requisiti necessari perché il questore possa rilasciare il relativo nulla osta (consistenti nella disponibilità di un reddito sufficiente al sostentamento e di un alloggio idoneo). Tali requisiti non sono richiesti nel caso di rifugiato.
Per quanto riguarda il primo profilo, sul quale è intervenuta in senso complessivamente restrittivo la legge “Bossi-Fini” (L. 189/2002), il ricongiungimento può riguardare il coniuge (non legalmente separato), i figli minori e i genitori a carico. La L. 189/2002 da un lato ha esteso il diritto al ricongiungimento anche ai figli maggiorenni, purché a carico e invalidi totali, dall’altro ha circoscritto la possibilità di richiedere il ricongiungimento dei genitori solo nel caso questi non abbiamo altri figli nel Paese di origine, o, se ultrassessantacinquenni, qualora gli altri figli non possano provvedere loro[9].
Inoltre, la L. 189/2002 ha eliminato la possibilità di ricongiungimento dei parenti entro il terzo grado, inabili al lavoro, in precedenza consentita.
Con riguardo al secondo profilo, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità:
§ di un alloggio che soddisfi determinati requisiti di idoneità;
§ di un reddito annuo derivante da fonti lecite sufficiente al sostentamento del nucleo familiare ampliato a seguito del ricongiungimento.
L’alloggio deve rientrare nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica; nel caso di un figlio di età inferiore agli anni 14 al seguito di uno dei genitori, occorre il consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore dimorerà.
Il reddito minimo richiesto non può essere inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale[10] se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente.
A condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito appena illustrati, si consente l’ingresso al seguito dello straniero titolare di carta o permesso di soggiorno, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento.
Oltre a quanto previsto dalle specifiche disposizioni in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, il comma 5 dell’art. 29 autorizza in via generale l’ingresso, al seguito del cittadino italiano o comunitario, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento.
E’ consentito inoltre l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti logistici e reddituali di cui sopra, salvo che si tratti di straniero già espulso o del quale sia segnalato come necessario il respingimento (ai sensi dell’art. 4, co. 6 del Testo unico).
Le competenze in materia di nulla osta al ricongiungimento familiare sono trasferite dalla questura allo sportello unico per l’immigrazione[11].
La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della prescritta documentazione compresa quella attestante i rapporti di parentela, coniugio e la minore età, autenticata dall’autorità consolare italiana, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per il luogo di dimora del richiedente, la quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L’ufficio, verificata, anche mediante accertamenti presso la questura competente, l’esistenza dei requisiti di cui al presente articolo, emette il provvedimento richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta.
Sotto il profilo processuale, il testo unico affida al tribunale in composizione monocratica la giurisdizione sui ricorsi avverso il diniego di nullaosta al ricongiungimento familiare e, in generale, contro tutti i provvedimenti in materia di diritto all’unità familiare.
Si individua, inoltre, (art. 30) una particolare categoria di permesso di soggiorno rilasciato per motivi familiari alle categorie di soggetti espressamente individuate e con durata identica a quella del permesso di soggiorno del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento.
Il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:
§ allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;
§ agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti[12];
§ al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare. Qualora detto cittadino sia un rifugiato si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del familiare;
§ al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tal caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana.
Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l’accesso ai servizi assistenziali, l’iscrizione a corsi di studio o di formazione professionale, l’iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo.
Le disposizioni a favore dei minori (artt. 31-33) prevedono forme di facilitazione all’ingresso dei medesimi nel territorio nazionale, consistenti nella loro iscrizione automatica nel permesso o nella carta di soggiorno di uno o entrambi i genitori (se conviventi e regolarmente soggiornanti) fino al compimento del quattordicesimo anno di età. Al medesimo minore verrà in seguito rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, valido fino al raggiungimento della maggiore età, e che potrà essere successivamente riconvertito in altra categoria di permesso.
La L. 189/2002 ha integrato le disposizioni di cui sopra prevedendo espressamente la possibilità, non considerata nel testo unico, di concedere anche ai minori stranieri di cui non sono stati rintracciati i genitori (i cosiddetti minori non accompagnati) il permesso di soggiorno per motivi familiari, a condizione che siano ammessi per un periodo di almeno due anni in un progetto di integrazione gestito da enti autorizzati.
Per far fronte alle diverse esigenze collegate alla presenza dei minori, l’art. 33 del testo unico ha istituito il Comitato per i minori stranieri, originariamente operante presso la Presidenza del Consiglio, ed oggi presso il Ministero della solidarietà sociale.
Il Comitato, disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio 535/1999[13], svolge compiti di vigilanza e coordinamento sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di tutela dei relativi diritti.
Il diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini dei Paesi terzi legalmente residenti negli Stati membri dell’Unione europea è il principio fondamentale contenuto nella direttiva 2003/86/CE, adottata dal Consiglio dell’UE il 22 settembre 2003[14].
Alla sua base vi è innanzitutto la considerazione che l’obbligo di protezione e di rispetto della famiglia e della vita familiare di ogni individuo è principio consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale, nonché dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 8) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 33).
A ciò si aggiunge il riconoscimento, da parte degli organi di governo dell’UE, della necessità di offrire ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente sul territorio degli stati membri un percorso di integrazione che si fonda innanzitutto sulla garanzia di diritti (e doveri) comparabili a quelli dei cittadini comunitari.
In questo contesto, il ricongiungimento familiare è considerato, in sede comunitaria, uno strumento necessario per permettere la vita familiare e contribuire a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione.
L’adozione della direttiva in esame ha avuto un lungo iter decisionale: la prima proposta della Commissione, infatti, risale al dicembre 1999, ma solamente nel 2003 agli Stati membri è stato possibile raggiungere l’accordo politico necessario per approvare l’attuale formulazione del testo.
La direttiva stabilisce norme comuni in materia di ingresso e soggiorno dei familiari di un cittadino di uno Stato terzo legalmente soggiornante in un Stato membro.
Norme particolari, sostanzialmente più favorevoli, sono stabilite per il ricongiungimento familiare dei rifugiati, in considerazione delle ragioni che hanno determinato la fuga di tali soggetti dal paese di origine e che impediscono loro di vivere una normale vita familiare (artt. 9-12 della direttiva).
Gli Stati membri, comunque, oltre agli standard minimi comuni stabiliti dalla direttiva, possono adottare o mantenere in vigore, qualora risultino più favorevoli, altre norme oltre quelle comunitarie (gli accordi bilaterali e multilaterali già stipulati con i Paesi terzi e le disposizioni contenute nella Carta sociale europea[15] e nella Convenzione europea del 1977, relativa allo status di lavoratore migrante[16]) ed eventualmente legiferare su quanto non disciplinato dalla direttiva (articolo 3, commi 4 e 5).
Al fine di conservare l’unità familiare, si stabilisce, pertanto, che il cittadino di uno Stato terzo, che abbia ottenuto un permesso di soggiorno per un periodo di validità pari o superiore ad un anno e che abbia la prospettiva di poter soggiornare stabilmente in un Paese membro (articolo 3, comma 1), ha il diritto di ricongiungersi ai membri del nucleo familiare, anch’essi cittadini di Paesi terzi (articolo 4, comma 1), e precisamente:
§ al coniuge;
§ ai figli minorenni della coppia o di uno dei due, compresi quelli adottati secondo la decisione delle autorità competenti dello Stato membro interessato o in virtù di obblighi internazionali contratti dallo Stato membro;
§ ai figli affidati al soggiornante o ad entrambi i coniugi, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso.
Per quanto riguarda i minorenni (sono considerati tali i figli che abbiano un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non siano coniugati) la direttiva lascia agli Stati membri la possibilità di limitare il ricongiungimento dei minorenni con più di 12 anni, stabilendo di subordinarne l’ingresso al perfezionamento delle misure di integrazione previste dalla legge nazionale. Per quelli di età superiore a 15 anni, invece, l’ingresso e il soggiorno possono essere autorizzati per motivi diversi dal ricongiungimento familiare.
La direttiva non si applica ai familiari di cittadini dell’Unione. Non si applica, altresì, ai rifugiati la cui domanda non sia stata ancora oggetto di una decisione definitiva, nonché al soggiornante autorizzato in virtù di una protezione temporanea o di forme sussidiarie di protezione (articolo 3, comma 2).
Sarà facoltà degli Stati membri decidere l’autorizzazione alla riunificazione con i seguenti familiari (articolo 4, comma 2, 3 e 4):
§ ascendenti diretti di primo grado qualora non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine;
§ figli maggiorenni non coniugati che, a causa dello stato di salute, non possono provvedere alle proprie necessità;
§ partner non coniugato che abbia con il soggiornante una relazione stabile debitamente comprovata o la formalmente registrata.
In caso di matrimoni poligami lo Stato membro interessato non autorizza il ricongiungimento di un altro coniuge quando il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro (articolo 2, comma 4).
Nelle procedure di richiesta di ricongiungimento, oltre alla domanda corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari (articolo 5), gli Stati membri possono chiedere al soggiornante di dimostrare di avere la disponibilità di un alloggio che abbia i requisiti di sicurezza, di avere un’assicurazione contro le malattie e delle risorse stabili e sufficienti al mantenimento della famiglia; inoltre, il soggiornante e i suoi familiari potranno essere convocati per appositi colloqui e potranno essere condotte le indagini che si ritengano necessarie per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari (articolo 5 e 7).
Le autorità competenti decidono sulla domanda entro un massimo di nove mesi con possibile proroga in casi eccezionali dovuti alla complessità della istanza da esaminare (articolo 5, comma 4).
Gli Stati membri possono chiedere, quale ulteriore condizione per il ricongiungimento familiare, che il richiedente debba aver soggiornato legalmente per un periodo al massimo di due anni (articolo 8)
Accettata la domanda, lo Stato autorizza l’ingresso del familiare agevolandone il rilascio del visto e concedendo un primo permesso di soggiorno, rinnovabile, con un periodo di validità di almeno un anno (articolo 13). I familiari, una volta ricongiunti, hanno gli stessi diritti del soggiornante relativamente all’accesso al mercato del lavoro ed al sistema scolastico e formativo.
Ciascuno Stato, tuttavia, può determinare le condizioni per l’esercizio da parte dei familiari di un’attività lavorativa, subordinata o indipendente la cui autorizzazione è rilasciata a seguito di una valutazione della situazione del mercato del lavoro, da svolgersi in un periodo non superiore a 12 mesi (articolo 14).
Dopo un periodo massimo di cinque anni di soggiorno nello Stato membro il familiare (se si tratta di figlio, solo nel caso in cui, nel frattempo, sia divenuto maggiorenne), ha diritto a un permesso di soggiorno autonomo, indipendente da quello del soggiornante riconosciuto (articolo 15).
L’autorizzazione al ricongiungimento può essere negata e il permesso di soggiorno del familiare può essere revocato o non rinnovato qualora le condizioni previste dalla direttiva non siano, o non siano più, soddisfatte, o quando si sia fatto ricorso a informazioni false, frode o altri mezzi illeciti (articolo 16).
Gli Stati membri assicurano, comunque, che si prevedano rimedi giurisdizionali avverso ogni provvedimento negativo in relazione al soggiorno del soggiornante o dei suoi familiari (articolo 18).
La direttiva ha previsto che gli Stati membri recepiscano nel loro ordinamento interno le relative disposizioni entro il 3 ottobre 2005; la Commissione, entro il 3 ottobre 2007, dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sulla sua applicazione[17].
Lo schema di decreto legislativo, composto di quattro articoli, apporta al Testo unico sull’immigrazione le modifiche e le integrazioni necessarie per il recepimento della direttiva 2003/86/CE, del Consiglio dell’Unione europea, in materia di diritto al ricongiungimento familiare da parte dei cittadini di Paesi terzi legalmente soggiornanti nel territorio degli Stati membri.
Lo schema di decreto è adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1, commi 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004)[18]; per effetto di tali disposizioni lo schema di decreto è anche sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Si segnala peraltro che il termine per il recepimento della direttiva è scaduto, essendo stato fissato dalla direttiva stessa al 3 ottobre 2005.
Ai fini sopra richiamati, il provvedimento in commento incide in primo luogo sulle disposizioni del Testo unico che garantiscono il diritto all’unità familiare e dettano le condizioni per i ricongiungimenti familiari (artt. 28-30); tuttavia, occorre evidenziare che le modifiche al testo unico riguardano anche altri aspetti: il pieno adeguamento alla direttiva comunitaria comporta infatti una ricaduta anche sulla disciplina in materia di: ingresso nel territorio dello Stato (art. 4); permesso di soggiorno (art. 5); espulsione amministrativa (art. 13), che infatti, viene integrata con l’obiettivo di introdurvi specifiche fattispecie applicabili in caso di ricongiungimenti familiari.
In attuazione del dettato comunitario, viene inoltre introdotto un articolo aggiuntivo concernente specificamente il ricongiungimento familiare dei rifugiati.
Nel dettaglio, l’art. 1 dello schema di decreto reca le finalità del provvedimento in esame, consistenti, come si diceva, nell’adeguamento della normativa italiana alla direttiva comunitaria 2003/86/CE in materia di esercizio del diritto di ricongiungimento familiare da parte degli stranieri residenti regolarmente sul territorio degli Stati membri.
L’art. 2 reca al D.Lgs. 286/1998 le modifiche di seguito illustrate:
il comma 1, lett. a), aggiunge un periodo all’art. 4, comma 3, del Testo Unico sull’immigrazione, che disciplina l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato italiano.
Nel nuovo periodo si precisa che gli stranieri per i quali è richiesto il ricongiungimento familiare non sono ammessi nel nostro Paese quando rappresentino una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato italiano o di uno dei Pesi dell’area Schengen, con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone.
Per effetto della novella, le ipotesi in cui una richiesta di ricongiungimento familiare può essere respinta vengono circoscritte alle motivazioni sopra enunciate, laddove attualmente il comma 3 dell’art. 4 prevede, in via generale, ulteriori cause ostative all’ingresso nel territorio dello Stato: esso infatti è automaticamente interdetto in caso di condanna – anche a seguito di patteggiamento – ad una serie di gravi reati. Si tratta, innanzitutto, dei reati particolarmente gravi per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (ai sensi dell’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale) nonché di una serie di reati, riconducibili direttamente o indirettamente al fenomeno migratorio (sono quelli inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento delle migrazioni clandestine, lo sfruttamento della prostituzione e lo sfruttamento dei minori).
Per consentire di valutare appieno l’impatto della modifica, si riporta di seguito una breve illustrazione della disciplina recata dal Testo unico sull’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato.
L’ingresso nel territorio italiano – che deve avvenire esclusivamente attraverso i valichi di frontiera, salvi i casi di forza maggiore – è consentito ai cittadini dei Paesi non appartenenti all’Unione europea in possesso di:
§ passaporto valido (o documento equipollente);
§ visto d’ingresso (salvi i casi di esclusione).
La L. 189/2002 è intervenuta rendendo più stringenti le disposizioni relative al diniego del visto: ha ampliato i casi in cui il visto non deve essere concesso, riducendo nel contempo le fattispecie che prevedono l’obbligo di motivazione del diniego e semplificando le modalità di comunicazione all’interessato del diniego.
Il Ministero degli affari esteri definisce le diverse tipologie dei visti d’ingresso e le modalità di concessione[19].
Non sempre è necessario il visto d’ingresso: spetta al Ministero degli affari esteri redigere l’elenco dei Paesi i cui cittadini sono soggetti ad obbligo di visto, anche in attuazione di specifici accordi internazionali (art. 4, comma 6, T.U.)[20].
Nella competenza del Ministero degli esteri rientra anche la procedura di concessione dei visti: le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane localizzate nello Stato di origine o di residenza sono competenti alla ricezione delle richieste, al rilascio o al diniego del visto d’ingresso.
Il rilascio del visto di ingresso è subordinato alla presenza di una serie di condizioni: lo straniero deve avere prove idonee a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata di soggiorno. L’entità di tali mezzi sono determinati dal Ministro dell’interno (art. 4, comma 3, T.U.)[21].
La documentazione attestante il possesso di tali requisiti può essere richiesta nuovamente al momento dell’ingresso in Italia, anche se in possesso del visto.
Per quanto riguarda l’immigrazione per lavoro, l’ingresso degli stranieri è limitato e determinato secondo quote annuali; pertanto, le autorità diplomatiche rilasciano i visti di ingresso entro tali quote (art. 3, comma 4, T.U.) e secondo le modalità definite dal testo unico (artt. 21 e seguenti).
Inoltre, il testo unico individua alcune condizioni ostative al rilascio del visto: oltre coloro che non sono in possesso dei requisiti di cui sopra (mezzi di sussistenza e documenti che confermano lo scopo del soggiorno), non sono ammessi gli stranieri che sono considerati una minaccia per l’ordine pubblico sia da parte dell’Italia, sia di uno degli Paesi dell’area Schenghen (art. 4, comma 3, T.U.).
Non possono altresì fare ingresso in Italia (art. 4, comma 6, T.U.):
§ gli stranieri espulsi (a meno che non abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso, di norma di dieci anni;
§ gli stranieri da espellere;
§ gli stranieri segnalati da altri Paesi, ai fini della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico.
La L. 189 ha ampliato il novero delle cause di interdizione all’ingresso nel territorio dello Stato, comprendendovi la condanna – anche a seguito di patteggiamento – ad una serie di gravi reati (art. 4, comma, 3, come modificato dalla L.189). Si tratta, innanzitutto, dei reati particolarmente gravi per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (ai sensi dell’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale). Inoltre, sono considerati una serie di reati, riconducibili direttamente o indirettamente al fenomeno migratorio: sono quelli inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento delle migrazioni clandestine, lo sfruttamento della prostituzione e lo sfruttamento dei minori.
La non concessione del visto di ingresso è adottata con un provvedimento di diniego che deve essere comunicato all’interessato secondo modalità che sono state modificate dalla legge 189.
Innanzitutto, mentre in origine il testo unico prevedeva che tutti i provvedimenti di diniego fossero accompagnati dalla motivazione, la legge 189 ha eliminato tale obbligo, conservandolo per alcune fattispecie espressamente definite. Sostanzialmente l’obbligo permane in relazione alle cause più frequenti di richiesta di visto di ingresso: lavoro, studio e ricongiungimento familiare.
Viene reso, inoltre, più spedito il procedimento di comunicazione perché è previsto che nell’impossibilità di tradurre il provvedimento di diniego in una lingua comprensibile all’interessato, esso possa essere comunicato in inglese, francese, spagnolo o arabo (ar. 4, comma 2, del T.U. come modificato dalla legge 189). Possibilità prima non contemplata dal testo unico che prevedeva unicamente la traduzione in una lingua comprensibile allo straniero.
Da rilevare anche la soppressione dell’obbligo di comunicare all’interessato, insieme al provvedimento di diniego, le modalità di impugnazione.
A tal riguardo, il testo unico non dà indicazioni sul procedimento di tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego. La questione è stata risolta dalla giurisprudenza in base al rapporto tra il regime del permesso di soggiorno e quello del visto di ingresso: sono impugnabili davanti al giudice amministrativo il diniego di concessione del visto d’ingresso, in quanto, essendo il visto d’ingresso subordinato, al pari del permesso di soggiorno, alla valutazione della sussistenza di requisiti soggettivi o di condizioni internazionali, la pubblica amministrazione dispiega, nella sua emanazione, una specifica ed ampia discrezionalità, il che esclude la configurabilità, in capo allo straniero, di una posizione di diritto soggettivo al relativo ottenimento[22].
La lettera b) aggiunge un periodo al comma 5 dell’art. 5 del T.U., che reca la disciplina del permesso di soggiorno, incidendo, in particolare, sul procedimento con il quale viene disposto il rifiuto del rilascio, la revoca o il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.
Ai sensi dell’art. 5, co. 5, il rifiuto, la revoca o il diniego di rinnovo sono disposti in assenza dei requisiti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili.
Per effetto della novella, nella decisione su un provvedimento di rifiuto, revoca o diniego del rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto, si dovrà effettuare una valutazione che tenga conto dei seguenti aspetti:
§ natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato
§ esistenza di legami familiari e sociali con il Paese d’origine
§ durata del soggiorno nel territorio nazionale (ciò vale, evidentemente, soltanto per lo straniero che vi è già presente).
Come evidenziato nella relazione illustrativa del Governo, la disposizione, necessaria per adeguarsi alla normativa comunitaria, innova fortemente la disciplina nazionale sui permessi di soggiorno, poiché introduce un elemento di valutazione discrezionale, finora assente, in sede di decisione sul rifiuto, sulla revoca o sul diniego di rinnovo del medesimo.
La lettera c) apporta due modifiche all’art. 13 del Testo unico, che regola l’espulsione amministrativa dello straniero.
Con la prima, si inserisce nel corpo dell’articolo un comma 2-bis ai sensi del quale – parallelamente a quanto disposto dalla precedente lettera b) – anche per l’adozione del provvedimento di espulsione dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto si deve effettuare una valutazione discrezionale che tenga conto di alcuni elementi di fatto, ovvero:
§ natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato;
§ esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine;
§ durata del soggiorno nel territorio nazionale.
E’ importante evidenziare che tale valutazione – che evidentemente frena l’automatismo dell’espulsione e introduce un elemento di discrezionalità nel giudizio – potrà esser fatta unicamente nei casi in cui l’espulsione è disposta perché lo straniero ha violato le norme sull’ingresso o sul soggiorno nel nostro paese e vi soggiorna illegalmente (ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. a) e b) del T.U.); mentre è preclusa nei casi “più gravi” in cui l’espulsione derivi dall’appartenenza dello straniero alle categorie di persone che la legge ritiene pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica[23] oppure dall’affiliazione ad associazioni di tipo mafioso[24].
La seconda novella incide sul comma 13 dell’art. 13, che attualmente sancisce il divieto, per lo straniero espulso, di rientrare nel territorio italiano senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno e, in caso di trasgressione, prevede la reclusione da uno a quattro anni e una nuova espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera.
La disposizione di modifica aggiunge a tale comma un periodo che prevede che il prescritto divieto di reingresso non si applichi allo straniero espulso (per aver violato le norme sull’ingresso o sul soggiorno nel nostro paese) per il quale sia stato autorizzato il ricongiungimento.
Viene quindi eliminato l’attuale automatismo relativo al divieto di reingresso nel territorio italiano che vige per gli stranieri espulsi; ciò significa che il ricongiungimento non potrà essere negato per il fatto che il familiare è stato già destinatario di un decreto di espulsione per ingresso o soggiorno clandestino nel nostro Paese.
La lettera d) sostituisce il comma 1 dell’art. 28 del Testo unico che sancisce il diritto all’unità familiare dello straniero regolarmente soggiornante sul nostro territorio.
Rispetto al testo vigente, l’intervento di modifica innova soltanto per un profilo: il diritto a mantenere o riacquistare l’unità familiare viene riconosciuto anche agli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi familiari (laddove l’attuale formulazione lo consente solo in caso di permesso di soggiorno rilasciato per lavoro subordinato o autonomo, per asilo, per studio o per motivi religiosi).
La lettera e) sostituisce l’art. 29 del testo unico che regola le condizioni per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.
La relazione governativa allo schema di decreto dichiara che le modifiche apportate all’art. 29 incidono “su alcune condizioni che limitavano o appesantivano ingiustificatamente l’esercizio del diritto” nel dichiarato obiettivo di “semplificare le relative procedure”.
Rispetto alla vigente normativa, precedentemente illustrata, si segnalano i seguenti elementi di novità concernenti:
§ le categorie di familiari per i quali è possibile chiedere il ricongiungimento (art. 29, co. 1, lett. a), b), c) e d): il testo non amplia il numero di tali categorie, ma elimina talune limitazioni o condizioni presenti nel testo vigente.
§ il computo della minore età dei figli, riferito al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento (art. 29, co. 2);
§ il requisito della disponibilità di un alloggio, le cui caratteristiche di idoneità sono riferite non solo ai parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ma, in alternativa, ai requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’ASL competente (ciò, precisa la relazione, oltre ad evitare disparità di trattamento di regione in regione, eleva a norma di legge una disposizione già contenuta nel regolamento di attuazione);
§ il requisito del reddito minimo occorrente, modificato in presenza di figli infraquattordicenni;
§ la soppressione dei commi 5 e 9 la cui disciplina, relativa ai cittadini comunitari, è superata dall’entrata in vigore del relativo testo unico (D.P.R. 54/2002);
§ l’introduzione (al nuovo comma 6) di un “permesso per assistenza minore”, che consente l’esercizio di un’attività lavorativa al familiare di minore presente nel territorio italiano che, ai sensi dell’art. 31, co. 3, del T.U., sia stato autorizzato a permanere sul territorio nazionale dal Tribunale per i minorenni (per un periodo di tempo determinato ed anche in deroga alle altre disposizioni del T.U.), per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore;
§ le modalità di presentazione della richiesta di ricongiungimento e le procedure di rilascio del relativo nulla osta (art. 29, co. 7);
§ i casi di reiezione della richiesta di ricongiungimento (art. 29, co. 9, nel nuovo testo).
Per un analitico esame delle novità introdotte nell’articolo, si veda il testo a fronte che segue.
Testo vigente |
Testo proposto dallo schema di D.Lgs. |
Art. 29. |
Art. 29. |
1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari: |
1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari: |
a) coniuge non legalmente separato; |
a) coniuge; |
b) figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; |
b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; |
b-bis) figli maggiorenni a carico, qualora non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale; |
c) figli maggiorenni a carico, qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute; |
c) genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute; |
d) genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza. |
d) [lettera abrogata dall’art. 23, co. 1, L. 189/2002]. |
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2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli. |
2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli. |
3. Salvo che si tratti di rifugiato, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità: |
3. Salvo quanto previsto dall’articolo 29-ter, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità: |
a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero, nel caso di un figlio di età inferiore agli anni 14 al seguito di uno dei genitori, del consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà; |
a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni 14 al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà; |
b) di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente. |
b) di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici è richiesto, in ogni caso, un reddito minimo non superiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente. |
4. È consentito l’ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. |
4. È consentito l’ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. |
5. Oltre a quanto previsto dall’articolo 28, comma 2, è consentito l’ingresso, al seguito del cittadino italiano o comunitario, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento. |
[soppresso]. |
6. Salvo quanto disposto dall’articolo 4, comma 6, è consentito l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. |
5. Salvo quanto disposto dall’articolo 4, comma 6, è consentito l’ingresso, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante in Italia, del genitore naturale che dimostri, entro un anno dall’ingresso in Italia, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. |
|
6. Al familiare autorizzato all’ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell’articolo 31, comma 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall’articolo 5, comma 3-bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro. |
7. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della prescritta documentazione compresa quella attestante i rapporti di parentela, coniugio e la minore età, autenticata dall’autorità consolare italiana, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per il luogo di dimora del richiedente, la quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L’ufficio, verificata, anche mediante accertamenti presso la questura competente, l’esistenza dei requisiti di cui al presente articolo, emette il provvedimento richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta. |
7. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione relativa ai requisiti di cui al comma 3, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per il luogo di dimora del richiedente, il quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L’ufficio, acquisito dalla questura il parere sulla insussistenza dei motivi ostativi all’ingresso dello straniero nel territorio nazionale, di cui all’articolo 4, comma 3, ultimo periodo, e verificata l’esistenza dei requisiti di cui al comma 3, rilascia il nulla osta ovvero un provvedimento di diniego dello stesso. Il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il predetto nulla osta è subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o lo stato di salute. |
8. Trascorsi novanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l’interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l’immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione (174). |
8. Trascorsi novanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l’interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l’immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione. |
9. Le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane rilasciano altresì il visto di ingresso al seguito nei casi previsti dal comma 5. |
[soppresso]. |
|
9. La richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all’interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato. |
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10. Le disposizioni del presente articolo non si applicano: |
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a) quando il soggiornante chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva; |
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agli stranieri destinatari delle misure di protezione temporanea, disposte ai sensi del decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85 ovvero delle misure di cui all’articolo 20; |
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nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6. |
La lettera f) introduce nel testo unico il nuovo articolo 29-bis volto a estendere espressamente anche ai rifugiati il diritto di ricongiungimento familiare, regolandone le modalità.
Lo straniero al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato può richiedere il ricongiungimento per le stesse categorie di familiari previste all’art. 29 e con le stesse modalità, ma è esonerato dal dover dimostrare la disponibilità dei requisiti di idoneità abitativa e finanziaria previsti in via generale dall’art. 29, co. 3.
Il nuovo articolo prende in considerazione l’ipotesi in cui il rifugiato non possa fornire una documentazione ufficiale a sostegno dei suoi vincoli familiari.
Ciò potrebbe accadere per diversi motivi:
§ in ragione del suo particolare status
§ per la mancanza di un’autorità riconosciuta nel paese di origine
§ per la presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale, rilevata anche in sede di cooperazione consolare locale tra i Paesi di area Schengen.
In tale ipotesi si prevede che le rappresentanze diplomatiche o consolari forniscano le necessarie certificazioni sulla base di verifiche effettuate a spese degli interessati. Per provare l’esistenza del vincolo familiare è ammesso anche il ricorso ad altri mezzi, come ad esempio alla documentazione fornita da organismi internazionali ritenuti idonei dal Ministero degli esteri.
Si stabilisce comunque l’importante principio, contenuto nella direttiva comunitaria, per cui il rigetto della domanda di ricongiungimento non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori.
Se, infine, il rifugiato è un minore non accompagnato, ai fini del ricongiungimento è consentito l’ingresso e il soggiorno degli ascendenti diretti di primo grado.
La lettera g) aggiunge un nuovo periodo al comma 1-bis dell’art. 30, in materia di permesso di soggiorno per motivi familiari.
Tale tipologia di permesso di soggiorno può essere rilasciato, tra gli altri allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore (così la lett. a) del co. 1 dell’art. 30 citato).
L’integrazione proposta dalla lett. g) in commento dispone che in tal caso, la richiesta di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di soggiornare nel territorio dello Stato.
L’articolo 3 reca una clausola di invarianza finanziaria: dall’attuazione del decreto non dovranno derivare nuovi oneri per la finanza pubblica; pertanto, gli uffici interessati dalle modifiche disposte nel decreto dovranno utilizzare le risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili secondo la legislazione vigente.
L’articolo 4 demanda a un successivo regolamento l’adozione delle norme di integrazione e attuazione del decreto legislativo. Con tale regolamento, che dovrà essere adottato entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale, si dovrà inoltre procedere ad adeguare il vigente regolamento di attuazione del Testo unico, recato dal D.P.R. 394/1999[25], alle novità normative introdotte dal decreto legislativo.
[1] L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
[2] Il disegno di legge comunitaria annuale contiene, tra l’altro, le disposizioni di delega legislativa al Governo occorrenti per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti normativi del Consiglio o della Commissione europea; le direttive da attuare con delega sono riportate in due distinti allegati alla legge comunitaria – allegato A e allegato B – il secondo dei quali contiene le direttive per le quali si richiede che lo schema di decreto legislativo di attuazione venga sottoposto al parere del Parlamento.
[3] In particolare la risoluzione fa riferimento alle direttive del Consiglio 2003/86/CE, del 22 settembre 2003, relative al diritto al ricongiungimento familiare, 2003/109/CE, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, 2000/43/CE, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica e 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
[4] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[5] Legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[6] La riforma del Titolo V della Costituzione ha attribuito alla potestà legislativa esclusiva dello Stato le materie “diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea” (art. 117, co. 2, lett. a) e “immigrazione” (art. 117, co. 2, lett. b); l’art. 118, co. 3, demanda alla legge statale la disciplina delle “forme di coordinamento fra Stato e regioni” in materia di immigrazione, oltre che di ordine pubblico e sicurezza.
[7] Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
[8] Ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione Europea si applicano le specifiche disposizioni del D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea. (Testo A), fatte salve quelle più favorevoli contenute nel Testo unico o nel regolamento di attuazione.
[9] La Corte costituzionale (sent. 224/2005) ha escluso che la nuova e più restrittiva disciplina introdotta dalla L. 189/2002 costituisca un ostacolo all’esercizio del diritto inviolabile ad una vita familiare, osservando che tale diritto “deve ricevere la più ampia tutela con riferimento alla famiglia nucleare, eventualmente in formazione e, quindi, in relazione al ricongiungimento dello straniero con il coniuge e con i figli minori”, ma “non ha una estensione così ampia da ricomprendere tutte le ipotesi di ricongiungimento di figli maggiorenni e genitori, in quanto nel rapporto tra figli maggiorenni, ormai allontanatisi dal nucleo di origine, e genitori, l’unità familiare perde la caratteristica di diritto inviolabile costituzionalmente garantito, aprendosi contestualmente margini che consentono al legislatore di bilanciare ‘l’interesse all’affetto’ con altri interessi di rilievo”. In particolare, si ricorda nella sentenza come il legislatore possa legittimamente porre dei limiti all’accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando un “corretto bilanciamento dei valori in gioco”, poiché sussiste in materia un’ampia discrezionalità legislativa limitata solo dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli.
[10] L'assegno sociale è una prestazione di natura assistenziale erogata dall'Inps riservata ai cittadini italiani che abbiano: 65 anni di età, la residenza in Italia, un reddito pari a zero o di modesto importo. I redditi devono essere inferiori ai limiti stabiliti ogni anno dalla legge e variano a seconda che il pensionato sia solo o coniugato. Per il 2006 tali limiti sono pari a € 4.962,36 annui se il pensionato è solo, € 9.924,72 annui se è coniugato. Sono equiparati ai cittadini italiani: gli abitanti della Repubblica di San Marino; i rifugiati politici; i cittadini di uno Stato dell'Unione europea; i cittadini extracomunitari che hanno ottenuto la carta di soggiorno. L'importo dell'assegno viene stabilito anno per anno ed è esente da imposta. Per il 2006 è pari a € 381,72 mensili.
[11] Lo sportello unico per l’immigrazione, istituito dalla legge “Bossi-Fini”, è collocato presso la prefettura – ufficio territoriale del Governo, ed è configurato principalmente quale organismo responsabile dell’interno procedimento relativo all’instaurazione del rapporto di lavoro con i cittadini di Paesi terzi, assommando le attività in materia svolte dalle prefetture, dalle direzioni provinciali dalle lavoro e dalle questure, in modo da semplificare le procedure.
Gli sportelli unici sono divenuti operativi solamente nel 2005 dopo un complesso procedimento attuattivo. Infatti, la legge 189/2002 rinviava ad un successivo regolamento la definizione delle modalità di funzionamento dello sportello unico; tale regolamento è stato adottato alla fine del 2004 con il D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, che ha modificato il precedente regolamento di attuazione del testo unico, il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.
Ai sensi del regolamento attuativo (art. 30), lo sportello unico deve essere costituito con decreto del prefetto e deve essere composto da almeno tre membri: un rappresentante della prefettura – ufficio territoriale del Governo, uno della Direzione provinciale del lavoro e uno della Polizia di Stato. Lo stesso decreto prefettizio di costituzione dello sportello ne designa il responsabile secondo le direttive adottate congiuntamente dal Ministro dell’interno e dal Ministro del lavoro. Tali direttive sono state emanate il 13 maggio 2005, pertanto, solo a partire da questa data i prefetti hanno potuto emanare i decreti relativi e si sono potuti costituire materialmente gli sportelli unici.
[12] In tale fattispecie, il permesso di soggiorno è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l'effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole.
[13] D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535, Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell’articolo 33, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
[14] La proposta si ricollega alle decisioni assunte dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 per il ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi.
[15] Ratificata dalla L. 9 febbraio 1999, n. 30, Ratifica ed esecuzione della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996.
[16] Ratificata con la L. 2 gennaio 1995, n. 13, Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea relativa allo status giuridico del lavoratore migrante, adottata a Strasburgo il 24 novembre 1977.
[17] La Corte di giustizia, con sentenza 27 giugno 2006 (Causa C-540/03) ha respinto il ricorso del Parlamento europeo e la richiesta di annullare la direttiva 2003/86/CE. Oggetto del ricorso era, in particolare, la parte della direttiva ove si ammette che gli Stati membri possano limitare il diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini di Paesi terzi, nel caso di minori che abbiano compiuto i dodici o i quindici anni, anche eventualmente subordinandolo al decorso di periodi di attesa (limitazioni che, a giudizio del ricorrente, sarebbero incompatibili con il diritto fondamentale alla protezione della famiglia e con il principio di parità di trattamento).
[18] L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.
[19] Ministero degli affari esteri, Decreto 12 luglio 2000, Definizione delle tipologie dei visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento.
[20] L’esigenza di una progressiva armonizzazione delle diverse politiche nazionali dei visti ha condotto in sede europea all’adozione del Regolamento n. 539 del 15 marzo 2001, che determina la lista degli Stati i cui cittadini sono soggetti all’obbligo del visto. Esso sostituisce il precedente Regolamento (CE) n. 574/99.
[21] Ministero dell’Interno, Direttiva 1° marzo 2000, Definizione dei mezzi di sussistenza per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato.
[22] Cassazione civile, Sez. Unite, sen. 25 marzo 2005, n. 6426.
[23] Ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, le categorie di persone considerate “pericolose” sono le seguenti: 1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; 3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
[24] Cfr. la legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.
[25]D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.