Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Servizio Rapporti Internazionali , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: III Commissione - Missione in Israele (20-22 novembre 2006)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 32
Data: 16/11/2006
Descrittori:
ISRAELE   POLITICA ESTERA
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

UFFICIO RAPPORTI

CON L’UNIONE EUROPEA

 

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

 

 

III Commissione

Missione in Israele

(20-22 novembre 2006)

 

 

 

 

 

 

 

n. 32

 

 

16 novembre 2006


Alla redazione del dossier ha collaborato il Servizio Rapporti Internazionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

SIWEB

 

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File:ES0021.doc


INDICE

Schede di sintesi (a cura del Servizio Studi)

La questione palestinese  3

La crisi israelo-libanese  11

Schede di sintesi (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Rapporti dell’Unione europea con Israele e con l’Autorità paelestinese  21

§      Accordo di associazione  21

§      Altri accordi22

§      Politica europea di vicinato  22

§      Conflitto Medio-orientale  22

§      Rapporti tra l’Unione europea e l’Autorità palestinese  23

La Politica Europea di Vicinato (PEV)27

Posizioni e iniziative dell’Unione Europea in relazione al recente conflitto in Libano  30

§      Scheda Autorità Nazionale Palestinese  45

§      La Road Map  45

§      Le 14 considerazioni di Israele sulla Road Map  45

§      Relazioni parlamentari Italia-Israele  45

§      Relazioni parlamentari Italia-Autorità Nazionale Palestinese  45

§      Profilo di Shimon Peres  45

§      Profilo di Amir Peretz  45

§      Profilo di Benjamin Netanyahu  45

§      Profilo di Dalia Itzik  45

§      Profilo di Tzachi Hanegbi45

§      Profilo di Tzepora “Tzipi” Livni45

§      Profilo di Abu Mazen  46

Allegato

§      Il “Documenti dei prigionieri” 2ª versione (28 giugno 2006) tratto da Jerusalem Media & Communication Centre (in inglese)49

 

 


Schede di sintesi
(a cura del Servizio Studi)

 


La questione palestinese

La coesistenza di uno Stato Israeliano e di uno Stato palestinese, reciprocamente accettati, è la soluzione al conflitto israelo-palestinese prospettata dagli Accordi di Oslo del 1993.

Rimangono però tuttora irrisolti problemi che impediscono la realizzazione di tale soluzione e, in particolare: i confini e la natura del futuro Stato palestinese, la sicurezza dei due Stati, la questione dei profughi palestinesi, il destino delle colonie israeliane, lo status di Gerusalemme e la sovranità sui luoghi sacri rivendicata da entrambe le parti.

I negoziati di pace sono proseguiti negli anni, a volte con grandi pause, a volte lasciando intravedere una soluzione prossima, con l’elaborazione di progetti per la composizione del conflitto spesso tramontati nel breve volgere di qualche mese [1].

Il piano di pace tuttora all’ordine del giorno è costituito dalla Road map elaborata alla fine del 2002 dal c.d. “Quartetto” formato da USA, Russia, ONU e Unione europea, che avrebbe dovuto condurre alla creazione di uno Stato palestinese entro la fine del 2005.

 

Nella prima fase il piano richiedeva da parte palestinese l'immediata cessazione degli attacchi terroristici contro Israele, accompagnata dalla ripresa di un dialogo sulla sicurezza con lo Stato ebraico e da riforme politiche globali in seno all'Autorità palestinese. Israele, dal canto suo, si sarebbe adoperata per la normalizzazione della vita dei palestinesi, ritirandosi progressivamente - in corrispondenza con il ripristino di sempre maggiori condizioni di sicurezza - dai territori rioccupati dopo l'inizio (settembre 2000) della seconda Intifada e congelando ogni attività di colonizzazione. Israele dovrà più precisamente smantellare gli insediamenti successivi al marzo 2001, e dovrà riconoscere senza ambiguità il diritto alla nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano.

La seconda fase prevedeva la creazione entro il 2003 di uno stato palestinese con frontiere provvisorie, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e dotato di istituzioni democratiche, da realizzare attraverso libere elezioni. Era prevista la convocazione di una Conferenza internazionale per una pace globale in Medio oriente.

La terza fase prevedeva lo svolgimento, nel 2004, di una seconda Conferenza internazionale, al fine di giungere entro l'anno seguente alla creazione entro confini definitivi di uno Stato palestinese. In quella fase si sarebbero affrontati i nodi dello status di Gerusalemme, degli insediamenti e del ritorno dei profughi palestinesi.

 

Il percorso, tuttora incompiuto (le scadenze contenute nella Road Map sono state rinviate a data da destinarsi), è stato complicato e reso impraticabile dal perdurare del conflitto tra le parti, che si è concretizzato in  attentati suicidi contro gli ebrei, e reazioni militari di questi ultimi. Tuttavia, anche recentemente (13 ottobre 2006) il segretario generale uscente dell’ONU, Annan, nel dichiararsi preoccupato e dispiaciuto per il fatto che non erano stati fatti progressi verso la costruzione di due stati separati, ha dichiarato che la Road Map resta il metodo migliore per conseguire la pace nel Medio oriente.

La Road Map è stata approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU che, il 19 novembre 2003, ha adottato all’unanimità la risoluzione 1515 presentata dalla Russia. La risoluzione fa anche appello alle parti affinché vengano rispettati gli obblighi da essa previsti per la definizione di due Stati che possano coesistere fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza. In risposta alla risoluzione 1515, il governo di Israele ha precisato che l’attuazione della Road Map è comunque subordinata alle 14 riserve poste da Israele  [2]  e agli accordi fra Israele e gli Stati Uniti.

In una situazione di permanente conflitto, senza che l’attuazione della Road map segnasse progressi, la strategia israeliana si è progressivamente  incentrata sull’approccio unilaterale a una serie di questioni aperte, accompagnato da una lotta senza quartiere contro i gruppi armati palestinesi. In tale contesto si pone certamente come principale risultato la messa a punto del piano Sharon per il ritiro unilaterale di Israele da Gaza e da parte della Cisgiordania. L’attuazione del Piano Sharon è stata accelerata dopo che nel giugno 2005 la Corte Suprema israeliana ha rigettato numerosi ricorsi di coloni, con l’argomentazione, di rilevante carattere innovativo, che i Territori palestinesi non sono parte integrante dello Stato ebraico, in quanto occupati a seguito di eventi bellici: nel settembre 2005, dunque, gli israeliani hanno dato inizio al disimpegno della Striscia di Gaza, facendo sgomberare tutti i coloni, ritirando tutti i soldati e smantellando gli impianti militari da quell’area e da una piccola parte della West Bank. Ciò nondimeno, Israele controlla lo spazio aereo e marittimo e la maggior parte degli accessi alla Striscia di Gaza. Un Accordo siglato dall’Autorità Palestinese e lo Stato di Israele nel novembre 2005 ha autorizzato la riapertura a Rafah del confine con l’Egitto, sotto il controllo congiunto di palestinesi ed egiziani e con  il monitoraggio dell’Unione europea.

Grandi speranze aveva destato il primo atto significativo della presidenza di Abu Mazen (più conosciuto come Mahmud Abbas, succeduto nella guida dell’ANP[3] ad Arafat, morto nel novembre 2004)ossia l’incontro di Sharm-el-Sheik con Sharon, avvenuto l’8 febbraio 2005 alla presenza del presidente egiziano Mubarak e del re di Giordania: l’incontro non ha definito impegni specifici, ma in esso sono state rilasciate dichiarazioni significative della volontà di pace delle due parti. Tuttavia le fazioni palestinesi estremiste si sono dichiarate non vincolate dalle posizioni dell’Autorità Nazionale Palestinese, dissenso che si è manifestato nelle elezioni amministrative a Gaza, nettamente dominate da Hamas. L’incontro di Sharm-el-Sheik ha comunque sancito pro-temporela fine, dopo quattro anni, della seconda Intifada e ha rilanciato il percorso di pace della Road Map.  Il Governo di Tel Aviv, dal canto suo, ha compiuto dopo l’incontro alcuni gesti di disponibilità, come la liberazione di circa cinquecento prigionieri palestinesi e la riapertura di diversi transiti chiusi da mesi. Inoltre, e non meno rilevante, Israele si era impegnata a trasferire al più presto sotto il controllo palestinese cinque città: Ramallah, Betlemme, Gerico,Tulkarem e Kalkilya. Gerico è stata riconsegnata all’ANP il 16 marzo 2005.

A complicare la situazione è arrivata la netta vittoria di Hamas nelle elezioni legislative palestinesi del 26 gennaio 2006, attese da molti anni e più volte rimandate: il movimento integralista ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi e ha dato vita al nuovo Governo (il premier Abu Ala, conseguentemente, ha rassegnato il mandato) che si è formato il 28 marzo 2006, presieduto da Ismail Haniyeh. Del nuovo governo fanno parte solo esponenti di Hamas e suoi simpatizzanti, mentre Fatah si è rifiutato di prendervi parte.

Il 28 marzo 2006 si sono svolte le elezioni politiche israeliane, nelle quali il Partito di Olmert, Kadima, ha conquistato 29 seggi alla Knesset, maggioranza relativa ma  meno ampia del previsto. I laburisti di Peretz hanno ottenuto 20 seggi, mantenendo sostanzialmente le precedenti posizioni, mentre il Likud ha perso voti, conquistando appena 12 seggi, gli stessi del partito religioso sefardita Shas. (Inoltre, 11 seggi sono andati al partito di estrema destra degli ebrei russi, 9 alle liste arabe, 6 all’altro Partito religioso  - ashkenazita -, 7 ai pensionati, 5 al partito di sinistra Meretz).

Il movimento Hamas al Governo ha sin dall’inizio confermato di non voler procedere al riconoscimento di Israele, preferendo inoltre parlare di “tregua” più che di pace con Tel Aviv. In questo contesto i ministri degli Esteri della UE, riuniti a Lussemburgo il 10-11 aprile 2006, hanno deciso di interrompere gli aiuti finanziari diretti al Governo palestinese, mantenendo solo gli aiuti a carattere umanitario somministrati dalla Comunità internazionale; la decisione coinvolge anche gli aiuti forniti a livello bilaterale dagli Stati membri. In precedenza anche gli Stati Uniti avevano congelato i finanziamenti, mentre le Nazioni Unite hanno imposto ai propri funzionari di evitare incontri di livello politico con esponenti di Hamas.

Il 27 aprile è stato siglato un accordo di governo tra il Partito Kadima e i laburisti, nel quale si ammorbidiscono i toni rispetto al Piano enunciato qualche settimana prima da Olmert, e che prevedeva oltre al ritiro da ampie zone della Cisgiordania, anche l’annessione delle aree dove sono presenti i più omogenei e più territorialmente contigui insediamenti ebraici Il 4 maggio il Governo Olmert ha ricevuto la fiducia della Knesset.

Il 22 giugno 2006 il premier Olmert e Abu Mazen si sono incontrati, alla presenza del re di Giordania, con l’intenzione di riprendere i colloqui sulla Road Map. L’intenzione espressa di rivedersi nelle settimane successive è stata superata dagli avvenimenti che hanno coinvolto Israele sul fronte del confine con il Libano.

Il 25 giugno, alla frontiera tra Gaza e lo Stato ebraico viene rapito il militare israeliano Gilad Shalit che dà inizio ad una serie di azioni militari da parte di Israele progressivamente sempre più “pesanti” nella striscia di Gaza, e che hanno provocato fino alla metà di agosto 160 vittime tra i palestinesi.

Il 27 giugno Hamas e Fatah hanno entrambe accettato per intero il “Documento dei prigionieri”, un piano di pace redatto da cinque prigionieri appartenenti a Fatah , Hamas, Jihad islamica, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. Il documento consiste di 18 punti e chiede il ritiro di Israele fino ai confini precedenti la guerra del 1967 e la creazione di uno Stato palestinese nella West Bank e nella Striscia di Gaza.

Il documento è stato interpretato come un riconoscimento implicito del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, in contraddizione con la piattaforma ufficiale di Hamas che propugna invece la sua distruzione. Abu Mazen ha proposto un referendum sul Documento con la probabile intenzione di utilizzarlo come base per i futuri negoziati con Israele. Il referendum, fissato da un decreto del Presidente Abu Mazen per il 26 luglio, non ha avuto luogo.

Il Premier israeliano Olmert, com’era prevedibile, si è pronunciato sfavorevolmente al Piano dei detenuti, in quanto in esso si chiede il ritorno dei profughi palestinesi e il ritiro di Israele da tutti i territori della West Bank.

All’indomani della Conferenza internazionale sul Libano, il Presidente dell’ANP Abu Mazen si è recato in visita in Italia (27 luglio 2006), dove ha incontrato il Presidente del Consiglio e il Ministro degli esteri. Sulle posizioni di Abu Mazen, ha riferito il Ministro degli Affari esteri durante il seguito dell’audizione sugli sviluppi della situazione in Medio Oriente (2 agosto 2006, Commissioni esteri riunite di Camera e Senato).

Il Ministro degli esteri ha reso noto che Abu Mazen si sta adoperando perché venga accettato il suo piano di pace che si articola in tre fasi:

1) il raggiungimento di un’intesa tra le diverse componenti palestinesi per fermare gli atti di violenza, la restituzione del caporale israeliano Shalit, la fine dei lanci di razzi Kassam sul territorio israeliano e dei raid israeliani su Gaza;

2) la formazione di un governo di unità nazionale sulla base del c.d. “documento dei prigionieri” (v. sopra);

3) la ripresa dei colloqui di pace sulla strada delineata dalla Road Map.

 

Il 5 agosto viene arrestato dagli israeliani, in quanto dirigente di Hamas, il presidente del Parlamento dell’ANP, Abdelaziz Dweik, che va ad aggiungersi a oltre sessanta esponenti di Hamas – tra cui otto ministri e 26 deputati – tradotti nelle carceri di Israele dopo il rapimento di Gilad Shalit.

 

La cessazione delle ostilità in Libano del 14 agosto almeno in un primo momento sembrava riaprire spiragli di dialogo anche sul fronte israelo-palestinese, sia per quanto riguarda i rapporti tra Abu Mazen e Hamas e la formazione di un governo di unità nazionale, sia per ciò che concerne il soldato rapito, del quale Israele chiede pressantemente il rilascio, condizione preliminare alla fine delle azioni militari a Gaza.

Se è vero che Hamas ha interrotto i lanci di razzi verso il territorio israeliano, e ha ammorbidito le proprie posizioni accettando il sopra richiamato “Documento dei prigionieri”, permane tuttavia il rifiuto al riconoscimento di Israele e alla rinuncia in via di principio all’uso della violenza. Di conseguenza, il tentativo di Abu Mazen di rompere l’isolamento internazionale della causa palestinese, dando vita a un governo di ampia coalizione, appare tuttora assai arduo, tanto più che le condizioni poste da Hamas non appaiono di poco momento: il movimento integralista intende riservare a sé la scelta del premier, modellare la distribuzione dei ministeri in base ai rapporti di forza parlamentari – che attualmente lo avvantaggiano – e agire secondo un programma di governo che ricalca il “Documento dei prigionieri”.

Quanto al rilascio del caporale Shalit, dopo un momento nel quale era sembrato imminente anche grazie alla mediazione dell’Egitto, le possibilità di un accordo tra le parti sul problema si sono allontanate, fino ad un inasprimento delle posizioni di Hamas a seguito della vasta operazione militare israeliana a Beit Hanun (Striscia di Gaza) del 5 novembre.

 

Nel corso della Conferenza svoltasi a Stoccolma il 1° settembre, i 35 paesi donatori, tra cui l’Italia, si sono impegnati a conferire la cifra complessiva di 500 milioni di dollari per fronteggiare la grave situazione umanitaria di Gaza e della Cisgiordania. Alla conferenza hanno anche partecipato più di dieci agenzie delle Nazioni Unite, la Commissione Europea, la Croce rossa, e un elevato numero di organizzazioni umanitarie internazionali.

 

Le ultime settimane hanno visto nuovamente inasprirsi la situazione nei Territori, al centro sia degli scontri tra Hamas e Fatah, sia di attacchi da parte di Israele.

Alla fine di settembre era ripartito il negoziato tra il presidente Abu Mazen e il Premier Haniyeh per la costituzione di un governo di unità nazionale - unica speranza per far uscire la Palestina dalla grave situazione di crisi economica e politica – fino a delinearne, il 10 settembre, un programma politico di massima.  Le trattative si sono però presto arenate: Abu Mazen, l’unico interlocutore palestinese riconosciuto dalla comunità internazionale e che, in particolare, gode del credito del c.d. Quartetto, aveva dichiarato (il 20 settembre, nel corso dei numerosi incontri avuti a New York in occasione dell’Assemblea generale)  che il governo di unità nazionale avrebbe accettato le condizioni poste dalla comunità internazionale per la ripresa dell’erogazione di aiuti, cioè a dire il  riconoscimento di Israele e degli accordi sottoscritti da Olp e Anp con lo stato ebraico, e rinuncia alla violenza. Tale dichiarazione è però subito stata smentita da Hamas, azzerando i risultati raggiunti nei negoziati.

A partire dal 1° ottobre si sono succeduti duri scontri che hanno visto opporsi le forze speciali del governo di Hamas e i miliziani islamici, da un lato, e gli uomini di Fatah, dall’altro, portando i Territori palestinesi sull’orlo della guerra civile, causando in soli due giorni dodici morti e oltre cento feriti.

Il 4 ottobre, dopo un colloquio con il segretario di stato americano, Condoleeza Rice, Abu Mazen ha dato due settimane di tempo a Hamas per accettare un accordo di compromesso per la formazione di un governo di unità nazionale sulla base dei summenzionati criteri imposti dalla comunità internazionale, minacciando, in caso contrario, di fare uso dei propri poteri costituzionali, con la possibilità di sciogliere il parlamento e di convocare elezioni anticipate. Hamas, tuttavia, non è retrocesso dalle proprie posizioni e ha ribadito la propria indisponibilità a riconoscere lo Stato di Israele, contestando inoltre il potere del Presidente di sciogliere il Parlamento, poiché non espressamente previsto dalla legge fondamentale palestinese. Il Parlamento palestinese, comunque, è sostanzialmente paralizzato, dato che oltre 30 deputati di Hamas - e tra di essi anche il presidente - sono stati, come detto, arrestati e imprigionati nelle carceri israeliane.

A complicare ulteriormente la situazione, la comparsa di una cellula di Al Qaida in Palestina, che ha minacciato di colpire i servizi di sicurezza dell’Anp, fedeli ad AbuMazen.

Ma, come si ricordava più sopra, oltre che dal conflitto interno la Striscia di Gaza è colpita anche da attacchi aerei israeliani che, dopo il 12 ottobre, si sono fatti sempre più frequenti con la motivazione principale di distruggere le rampe di lancio dei razzi Qassam puntati verso il territorio israeliano, dove hanno continuato ad essere lanciati anche nei giorni successivi. Inoltre, le forze militari israeliane nella notte fra il 17 e il 18 ottobre hanno occupato una striscia di territorio lungo il confine con l’Egitto allo scopo di far saltare i tunnel scavati nel terreno per il contrabbando di armi provenienti dal Sinai.

Per fermare il lancio di razzi, il 1° novembre l’esercito israeliano, a distanza di un anno dal ritiro israeliano da Gaza, è penetrato nella città di Beit Hanun e ha dato luogo all’operazione “Nubi d’autunno”. I gravi scontri a fuoco che ne sono seguiti si sono protratti anche nei giorni successivi causando un elevato numero di morti e di feriti, fra i quali anche civili, alcuni dei quali donne che si sono interposte fra l’esercito israeliano ed i miliziani in difesa di questi ultimi. Il Presidente Abu Mazen, il 4 novembre, dopo che nel giro di tre giorni erano stati uccisi almeno 43 palestinesi, ha fatto appello alla comunità internazionale perché con il proprio intervento ponesse fine all’aggressione e ai massacri, ed ha lanciato un appello all’Onu per la convocazione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza.

L’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), l’Agenzia dell’ONU per i profughi palestinesi, ha da subito condannato fermamente le operazioni militari israeliane a Bet Hannun denunciando le precarie condizioni nelle quali versano i circa 30 mila abitanti della città dove mancano acqua, cibo ed elettricità ed è stato imposto il coprifuoco.

L’attacco israeliano ha avuto l’effetto di far riavvicinare i due leader palestinesi: il Presidente Abu Mazen e il Premier Haniyeh, i quali si sono incontrati il 5 novembre per trovare un compromesso sulla costituzione di un governo di unità nazionale formato di ministri tecnici, il cui programma dovrebbe essere ispirato al “documento dei prigionieri”.

Dopo sei giorni di scontri e con un bilancio provvisorio che supera i 50 morti e i 300 feriti, l’esercito israeliano si è ritirato da Beit Hanun il 7 novembre. Ma già il giorno successivo (8 novembre) 18 abitanti di Beit Hanun, tra i quali donne e bambini, sono stati uccisi alle prime luci dell’alba da colpi di cannone israeliani, ed altri cinque palestinesi (due dei quali civili) sono stati uccisi in Cisgiordania. In risposta a queste uccisioni, sia Hamas che Fatah hanno deciso di rispondere con la ripresa degli attentati suicidi.

 

All'indomani della strage di Beit Hanun, il premier israeliano  Ehud Olmert ha affermato che essa è da imputarsi ad un errore tecnico dell'artiglieria israeliana ed ha quindi espresso il  rincrescimento e le scuse di Israele per le vittime civili che ha provocato. Mentre Olmert proponeva al presidente palestinese Abu Mazen un nuovo incontro, tuttavia, da tutto il mondo giungevano pesanti condanne per l'uccisione dei 18 civili palestinesi a Beit Hanun.

L’incontro tra Abu Mazen e Olmert non sembra quindi poter avvenire in tempi brevi, principalmente a causa dell’ondata di dolore e di collera che pervade la popolazione palestinese dopo i fatti di Beit Hanun. L’incontro dovrebbe anche servire a sbloccare la vicenda del soldato israeliano Gilad Shalit, ancora nelle mani di Hamas: per il suo rilascio i rapitori chiedono la liberazione di centinaia di detenuti palestinesi in Israele. Il Premier Olmert si è detto pronto a liberare molti detenuti palestinesi in cambio del rilascio di Shalit, precisando però di volerli consegnarli ad Abu Mazen e non a Hamas.

 

Il 13 novembre il Presidente americano Bush e il premier israeliano Olmert si sono incontrati a Washington a pochi giorni dall’operazione militare di Beit Hanun.

 

I due leader si erano incontrati, l’ultima volta, lo scorso maggio in un clima politico ben differente, a causa della vittoria di Hamas e della conseguente decisione di isolare economicamente i palestinesi. Questi ultimi stanno invece ora riguadagnando il favore  dell’opinione pubblica internazionale, anche grazie al fatto che Hamas e Fatah hanno raggiunto un accordo sul leader del prossimo governo di unità nazionale, Mohammed Shobeir, ex rettore dell’Università di Gaza. Il mutamento nello scenario politico palestinese potrebbe portare in breve alla sospensione dell’embargo economico, sempre che venga risolto il problema dei detenuti nelle carceri israeliane e venga rilasciato il caporale Shalit rapito dai miliziani palestinesi.

Nei colloqui tra Bush e Olmert si è parlato però anche di altre questioni aperte nel Medio oriente e si registra la possibilità di un avvicinamento alla Siria, con la quale - se essa rinuncerà ad appoggiare i movimenti radicali - potrebbero essere avviati colloqui per un coinvolgimento nel processo di pace.


La crisi israelo-libanese

L’attentato all’ex premier Rafik Hariri, avvenuto il 14 febbraio 2005, nel quale sono morte anche altre 22 persone, ha causato un grave turbamento del già precario equilibrio politico libanese, dando vita innanzitutto ad una decisa reazione dell’opinione pubblica contro la pesante ingerenza siriana nel Paese e accentuando il dibattito sulla smilitarizzazione dei gruppi armati libanesi, così come richiesto dalla risoluzione dell’ONU 1559  del 2 settembre 2004.

Le numerose manifestazioni contro il governo filo-siriano organizzate nelle settimane successive all’attentato – la cosiddetta “rivoluzione dei Cedri” – hanno destato molte speranze, disilluse però nei mesi successivi. Anche grazie a tale movimento, tuttavia, la Siria ha completato il ritiro delle proprie forze militari (aprile 2005), in attuazione di un accordo di Damasco con l’ONU, anche se l’influenza sul Libano, direttrice ormai storica della politica estera siriana, persisteva attraverso la zona grigia dei servizi segreti e dei vertici militari dei due Paesi, nonché attraverso i legami trasversali con elementi di diversi partiti politici libanesi.

Nell’aprile-maggio 2005 si sono svolte in Libano le elezioni parlamentari,  le prime, a partire dalla fine della guerra civile (terminata nel 1990), nelle quali non vi siano state interferenze siriane.

Dalle elezioni è risultata vincente (con la maggioranza di circa i due terzi dei voti) l’ampia coalizione guidata da Saad Hariri, il figlio del primo ministro assassinato che comprendeva  i sunniti fedeli ad Hariri, i drusi di Walid Jumblatt e gruppi cristiani costituiti per la maggior parte da maroniti.

Il nuovo Governo (formato il 30 giugno 2005)è guidato da Fouad Siniora, in precedenza ministro delle finanze nel governo di Rafik Hariri; nei complessi equilibri istituzionali libanesi mantengono però grande forza i filo-siriani – come il Presidente Lahoud – e gli Hezbollah, i quali per la prima volta partecipano al governo con due ministri. Ciononostante, il gruppo di Hezbollah è stato frequentemente in disaccordo con alcuni dei membri del governo di cui essi stessi fanno parte e, all’inizio del 2006, hanno siglato un’alleanza con Michel Aoun (precedentemente critico sia verso Hezbollah che verso la Siria) e con il Free Patriotic Movement: la nuova alleanza cristiano-sciita ha lo scopo di creare una diversa maggioranza e sostenere la candidatura di Aoun in vista della scadenza del mandato del Presidente Lahoud nel 2007.

Nello stesso periodo sono proseguiti gli attentati: il 2 giugno 2005 è saltato in aria nella sua auto Samir Kassir, in prima linea nella lotta antisiriana; in dicembre un’autobomba ha provocato la morte di Gibran Thueni, deputato cristiano, nonché direttore del più importante quotidiano di Beirut, anch’egli su posizioni nettamente ostili all’influenza della Siria.

Il primo rapporto sull’assassinio di Rafik Hariri reso pubblico il 21 ottobre 2005 dalla Commissione d’inchiesta dell’ONU aveva evidenziato le responsabilità dei servizi segreti libanesi e siriani, oltre a pesanti sospetti verso i più alti livelli politici dei due Paesi; il movente più probabile appare la contrarietà di Hariri alla proroga del mandato del Presidente Lahud, che, come si è detto, è alleato della Siria.

Il 31 ottobre 2005, poi, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato la risoluzione n. 1636, nella quale, pur mancando l’esplicita menzione di sanzioni contro la Siria – precluse da Cina e Russia - si allude ad “azioni” contro di essa in caso di mancata collaborazione con la Commissione. La collaborazione prevede, tra l’altro, l’arresto  e la messa a disposizione delle persone sospette, rispetto alle quali sono previste restrizioni nella libertà di movimento. Nella risoluzione si cita esplicitamente il Cap. VII della Carta dell’ONU, che abilita il Consiglio a intraprendere misure punitive verso un Paese che attenti alla pace e alla sicurezza internazionale.

Il secondo rapporto sull’assassinio di Rafik Hariri viene reso pubblico il 12 dicembre 2005: si precisa il numero dei sospetti (19 persone, per cinque delle quali si chiede l’arresto – e tra queste ultime figura l’ex capo dei servizi militari siriani in Libano).

Dal mese di gennaio, la commissione di inchiesta dell’ONU sull’assassinio di Hariri è presieduta dal magistrato belga Serge Brammertz, uno dei vicepresidenti della Corte Penale Internazionale dell'Onu. Il secondo rapporto stilato da Brammertz, reso pubblico il 10 giugno 2006, di natura prevalentemente tecnica, ha confermato che sono stati fatti rilevanti progressi nell’indagine sull’attentato ad Hariri. Il rapporto sostiene inoltre che la Siria, accusata di aver ostacolato le indagini, ha collaborato in una certa misura. Con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1686 del 15 giugno 2006 il mandato della Commissione è stato prorogato al 15 giugno 2007.

In marzo, il Consiglio di sicurezza ha approvato la risoluzione 1664 che ha incaricato il segretario generale dell'Onu di negoziare un accordo con il governo del Libano per la creazione di un tribunale internazionale per processare i responsabili dell’uccisione di Hariri. Il Tribunale non è a tutt’oggi stato istituito ma il governo libanese (ancorché in grave crisi essendosi dimessi sei ministri nel giro di tre giorni) ha approvato, il 13 novembre 2006, la bozza di risoluzione predisposta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite  per la sua creazione. La bozza prevede che la competenza del Tribunale riguardi, oltre all'assassinio di Hariri, anche altri attentati commessi tra l'ottobre e il dicembre 2005 e che il segretario generale dell'Onu scelga i tre giudici libanesi, chiamati a far parte del Tribunale e della sua Corte d'appello, presi da una lista di 12 nomi formata dal Consiglio supremo della magistratura libanese.

Il nuovo conflitto israelo-libanese è cominciato il 12 luglio 2006 con l’Operazione “Promessa di Verità” con la quale il leader di Hezbollah, Nasrallah, aveva promesso di catturare soldati israeliani per scambiarli con i tre libanesi detenuti in Israele: la parte Nord di Israele è stata attaccata dal lancio di razzi da parte del gruppo di Hezbollah, con la conseguente perdita di cinque civili, tre soldati e la cattura di altri due, in circostanze contestate dalla polizia libanese, che afferma che la loro cattura sarebbe avvenuta in territorio libanese.

In risposta, le forze militari israeliane sono penetrate nel territorio libanese, autorizzate dal governo israeliano che ha considerato l’attacco di Hezbollah un vero e proprio atto di guerra. Sono così cominciati, da parte israeliana, bombardamenti aerei, blocchi navali e incursioni terrestri nel sud del Libano, mentre gli Hezbollah hanno bombardato città del nord di Israele tra le quali Haifa.

Il governo libanese ha condannato le azioni di Hezbollah, ha invocato fin dall’inizio il cessate il fuoco e ha chiesto alla comunità internazionale l’invio di peacemakers per porre fine al conflitto. In seguito, tuttavia, il ministro della difesa ha avvertito che l’esercito libanese era pronto a respingere con le armi qualunque invasione del territorio.

Il Primo ministro israeliano Olmert si è dichiarato disponibile ad un cessate il fuoco solo in cambio della restituzione dei due riservisti rapiti, della cessazione delle ostilità da parte degli Hezbollah e dell’applicazione della risoluzione ONU 1559, che impone il disarmo dei gruppi armati libanesi (14 luglio). I negoziati per ottenere il cessate il fuoco sono continuati nei giorni successivi: Israele è rimasto fermo sulla richiesta di liberazione dei due ostaggi e sulla cessazione dei bombardamenti, ma Nasrallah ha dichiarato che l’unica condizione accettabile è lo scambio dei prigionieri.

Dopo giorni di combattimenti lungo il confine israelo-libanese, con perdite subite da entrambe le parti, e nell’impossibilità di trattare per un immediato cessate il fuoco, su iniziativa dell’Italia è stata convocata una conferenza a Roma il 26 luglio  per trovare una comune via d’uscita dalla crisi. I ministri degli esteri di 15 Paesi, tra i quali quelli del “gruppo di contatto” sul Libano (Usa, Italia, Francia, Russia, Gran Bretagna, Egitto, Arabia Saudita) affiancati da Onu, UE,  Banca Mondiale e lo stesso Libano hanno discusso le diverse posizioni dei paesi partecipanti al fine di raggiungere una mediazione. Esclusi dagli invitati Israele e i due paesi sostenitori degli  Hezbollah, Siria e Iran.

La conferenza internazionale di Roma si è conclusa con una dichiarazione congiunta delle due presidenze, quella italiana e quella americana, che esprimono, a nome di tutti i partecipanti, la profonda preoccupazione sulla situazione in Libano e le violenze in Medio Oriente da parte della comunità internazionale, la quale ritiene urgente l’avvio di concrete iniziative di assistenza umanitaria e di passi concreti che possano permettere ad un Libano libero, indipendente e democratico di esercitare un effettivo controllo su tutto il suo territorio. I partecipanti alla conferenza di Roma, dopo aver invitato Israele ad esercitare il massimo della moderazione hanno dato atto dell'annuncio di quest’ultimo paese sull' apertura di corridoi umanitari in Libano. La conferenza ha poi espresso la propria determinazione ad operare perché sia raggiunto con la massima urgenza un cessate il fuoco  tra le parti che sia duraturo, permanente e sostenibile.

I partecipanti al summit di Roma hanno ricordato la necessità di rispettare il quadro di decisioni internazionali e, in particolare, le decisioni del G8 e le numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nelle quali, tra l’altro, si parla anche dell’impegno delle forze libanesi per il disarmo di tutte le milizie.

I partecipanti hanno sollecitato l’autorizzazione di una forza internazionale in Libano sotto il mandato dell'Onu e la convocazione di una conferenza dei paesi donatori [4], che aiuti la ricostruzione del Libano e in particolare della parte Sud del Paese.

L’Italia ha continuato ad occuparsi con grande impegno della questione israelo-libanese: il 30 luglio il Ministro degli esteri D’Alema si è recato in Israele  per incontrare il primo ministro Ehud Olmert, il ministro degli Esteri Tzipi Livni, e quello della Difesa Amir Peretz. Il viaggio di D’Alema ha avuto luogo nello stesso giorno del drammatico bombardamento di Cana, dove hanno perso la vita decine di civili. Il bombardamento è stato definito un “errore militare” da Israele e “un esempio di violazione del diritto internazionale” dal segretario generale dell’ONU.

Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si è riunito d’urgenzasubito dopo il bombardamento di Cana. Al termine della seduta, si è detto estremamente “addolorato e scioccato” dalla strage, ma non ha prodotto una condanna esplicita, come era negli auspici di Kofi Annan.

Anche il Consiglio dell’Unione europea ha tenuto una riunione straordinaria a livello di ministri degli esteri (1° agosto 2006). Il Consiglio straordinario ha approvato un documento che chiede l’immediata cessazione delle ostilità e un successivo cessate il fuoco duraturo, che porti rapidamente ad un accordo politico, prerequisito indispensabile per l’invio di una forza internazionale.

A partire dal 3 agosto sono ripresi sia i bombardamenti su Beirut che il lancio di razzi degli hezbollahsulla Galilea, durati anche nei giorni successivi. Il 9 agosto, giorno in cui si registra il più alto numero di vittime militari israeliane, con quindici morti, il premier Olmert ha annunciato l’estensione delle operazioni militari in Libano,  con l’obiettivo di arrivare almeno al fiume Litani, al fine di costituire una fascia di sicurezza di 30 chilometri. L’inizio dell’offensiva è stato però rinviato di qualche giorno, in attesa delle decisioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU e tra forti segni di insoddisfazione nell’opinione pubblica per l’andamento della campagna militare.

 

L’11 agosto il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, organismo di recente istituzione, ha condannato Israele per le gravi violazioni dei diritti umani in Libano, con la “sistematica presa di mira e uccisione di civili”, rispetto a cui si chiede un’inchiesta internazionale. La risoluzione, approvata su iniziativa dell’organizzazione per la Conferenza islamica, e presentata dal Pakistan, ha ottenuto il voto favorevole di una maggioranza di Paesi asiatici e latinoamericani, mentre compattamente contro si sono schierati i Paesi europei membri del Consiglio, più il Canada e il Giappone, accusando il testo di unilateralismo, in quanto non menziona gli attacchi di Hezbollah.

Sempre l’11 agosto,  è stata approvata all’unanimità, la risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Il documento esprime profonda preoccupazione per la situazione in Libano e pone l’incondizionata liberazione dei soldati israeliani rapiti tra gli obiettivi irrinunciabili per rimuovere le cause del conflitto, unitamente alla soluzione urgente della questione dei prigionieri libanesi detenuti in Israele.

La risoluzione invita alla completa cessazione delle ostilità, in particolare attraverso l’immediata cessazione di ogni attacco da parte dell’Hezbollah e di tutte le operazioni militari offensive da parte di Israele e prevede a tregua avvenuta, il dispiegamento congiunto delle forze libanesi e della Forza multinazionale di pace (UNIFIL) nel Libano meridionale, nonché il contestuale ritiro di Israele dalla regione.

Il mandato di UNIFIL è prorogato al 31 agosto 2007, riservandosi in una successiva risoluzione un rafforzamento del mandato di essa.

Dopo l’appello alla Comunità internazionale perché assuma iniziative immediate per prestare il suo aiuto finanziario e umanitario al popolo libanese, anche per la ricostruzione del Paese, la risoluzione 1701 invita alla costruzione di una fascia di sicurezza tra la “linea blu” e il fiume Litani suscettibile di prevenire una ripresa delle ostilità, nella quale vi sia esclusiva presenza di forze armate e armamenti sotto il diretto controllo del Governo libanese, assistito dall’UNIFIL. Si invita inoltre all’applicazione integrale delle pertinenti disposizioni degli Accordi di Taef – che nel 1989 posero fine alla lunga guerra civile libanese -, nonché delle risoluzioni 1559 (2004) e 1680 (2006), tutte volte al disarmo dei gruppi armati in Libano.

La risoluzione impegna il Governo libanese a sorvegliare i propri confini in modo da impedire l’ingresso illegale in Libano di armamenti e materiali connessi, e tutti gli Stati ad adoperarsi affinché armamenti, materiali bellici e assistenza tecnico-militare siano forniti solo su autorizzazione del Governo libanese o dell’UNIFIL.

Anche a seguito dell’approvazione della risoluzione 1701, accettata sia dal Governo libanese che da quello israeliano, si è arrivati, il 14 agosto, alla cessazione delle ostilità. La risoluzione prevede altresì l'avvio di negoziati politici tra Israele e Libano, per giungere ad una soluzione duratura della questione.

 

Il Parlamento italiano ha dedicato più sedute alla crisi in Medio Oriente. In particolare, il 18 agosto 2006, i Ministri degli esteri e della difesa hanno reso comunicazionidavanti alle Commissioni riunite esteri e difesa della Camera e del Senato, al termine delle quali sono state approvate due risoluzioni (una alla Camera e l’altra al Senato, di identico contenuto) che impegnano il Governo ad adottare ogni iniziativa per assicurare il sostegno umanitario alle popolazioni civili della regione e per assicurare che l'Italia abbia un ruolo attivo per la piena attuazione della risoluzione n. 1701, compresa la partecipazione di un contingente militare italiano alla forza UNIFIL.

Poiché le due risoluzioni impegnavano altresì il Governo a tenere costantemente informato il Parlamento, il 13 settembre 2006 i sottosegretari di Stato per gli affari esteri e per la difesa hanno recato comunicazioni al Senato, presso le commissioni riunite esteri e difesa. Il Sottosegretario Intini, in particolare, ha sottolineato con compiacimento il fatto che, in occasione della crisi israelo-libanese le Nazioni Unite hanno svolto un ruolo chiave, così come l’Europa, soprattutto grazie alla disponibilità di Italia, Germania e Francia.

 

Tra il 2 e il 3 settembre sono state effettuate le operazioni di sbarco della cosiddetta Early entry force (la Forza d'ingresso) dei soldati italiani mentre nelle settimane successive è stato completato il dispiegamento dei militari italiani che  ora assommano a 2550, appartenenti alle quattro Armi, ma prevalentemente alla Marina (2316).

La cessazione delle ostilità, tuttavia, non è stata ancora seguita dalla firma di un “cessate il fuoco” permanente che permetta anche la soluzione di tutti i problemi rimasti irrisolti, tra i quali la liberazione dei soldati israeliani catturati dai miliziani Hezbollah il 12 luglio e la scarcerazione dei detenuti libanesi in Israele, come previsto dalla risoluzione 1701 dell’ONU.

Tra le questioni ancora in sospeso, quella delle fattorie di Shebaa, una piccola porzione di terra, al confine tra i due Stati, che è rimasta sotto il controllo di Israele anche dopo il ritiro del 2000 e sulla quale il Libano rivendica la propria sovranità; analoga la questione del villaggio di Ghajar, occupato tra luglio e settembre dall’esercito israeliano e non ancora liberato.

Durante una visita a Beirut (11 ottobre), il Presidente Prodi ha affermato che il rafforzamento delle istituzioni libanesi renderebbe più agevole la soluzione dei problemi tra i due paesi ed ha ribadito l’impegno dell’Italia a partecipare alla ricostruzione materiale e politica del Libano e alla sua stabilità.

All’interno di Israele la fine della guerra non ha però condotto alla cessazione delle polemiche, riguardanti sia la tattica adottata nelle operazioni belliche, sia l’utilizzo di bombe al fosforo. Il ministro per i rapporti con il Parlamento ha infatti ammesso, in risposta ad una interpellanza presentata dal partito Meretz, che l’esercito israeliano (Tsahal) aveva fatto uso di ordigni al fosforo bianco contro obiettivi militari in zone aperte che, secondo il Ministro Edri, sarebbe consentito dal diritto internazionale. Il governo libanese, tuttavia, aveva denunciato nella scorsa estate l’impiego di tali ordigni anche contro civili.

 

 

Il fosforo bianco è considerato dalla dottrina internazionale maggioritaria un’arma incendiaria[5] e, come tale, sarebbe oggetto di specifica disciplina da parte del III Protocollo sul divieto o la limitazione dell’impiego delle armi incendiarie della Convenzione sulla proibizione o la restrizione dell’uso di determinate armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati, fatta a Ginevra il 10 ottobre 1980. Il III Protocollo, tra l’altro, vieta “in ogni circostanza” di “fare della popolazione civile in quanto tale, dei civili isolati o di beni di natura civile, l’oggetto di un attacco per mezzo di armi incendiarie”, ma anche di “fare di un obiettivo militare situato all’interno di una concentrazione di civili, l’oggetto di un attacco per mezzo di armi incendiarie lanciate via aeronave”. (Per concentrazione di civili ai sensi del II Protocollo si intende, in particolare, “una concentrazione di civili, sia permanente sia temporanea, così come ve ne sono nelle zone abitate delle città o dei borghi o nei villaggi abitati”).

Va fatto presente che Israele (come gli Stati Unti del resto), pur avendolo firmato, non ha mai ratificato il III Protocollo, a differenza degli altri due Protocolli e della Convenzione alla quale i Protocolli stessi si riferiscono.

Quanto al malcontento più sopra richiamato per la conduzione della guerra, esso ha coinvolto anche il significato della strategia dei ritiri unilaterali, che sia per quanto riguarda quello dal Libano (2000) che quello da Gaza (2005) non hanno ottenuto l’effetto sperato di aumentare la sicurezza dello Stato ebraico. Sotto la spinta dell’opinione pubblica e, in particolare, dei riservisti, il governo ha deciso l’istituzione di una Commissione di inchiesta sulla conduzione del conflitto contro gli Hezbollah. La Commissione, che ha cominciato i lavori lo scorso 28 settembre, è costituita di 5 membri, fra i quali il giudice a riposo Eliahu Winograd che la presiede.


Schede di sintesi
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

 

 


Rapporti dell’Unione europea con Israele
e con l’Autorità paelestinese


Accordo di associazione

Dal 1° giugno 2000 è in vigore l’Accordo euromediterraneo di associazione tra l’Unione europeaed Israele, firmato il 20 novembre 1995 nel quadro della politica mediterranea dell’Unione europea inaugurata dalla Conferenza di Barcellona (27 e 28 novembre 1995).

L’accordo, concluso per una durata illimitata, mira a rafforzare i legami che esistono tra l’Unione europea e Israele instaurando relazioni fondate sulla reciprocità, la compartecipazione e il co-sviluppo nel rispetto dei principi democratici e dei diritti umani. Una dichiarazione congiunta, allegata all’accordo, sottolinea l’importanza che le Parti attribuiscono alla lotta contro la xenofobia, l’antisemitismo e il razzismo.

Nel quadro dell’accordo è istituito un dialogo politico regolare che si svolge a livello governativo – mediante incontri di ministri e di alti funzionari – e a livello parlamentare attraverso contatti tra il Parlamento europeo e la Knesset.

L’accordo sottolinea l’importanza della cooperazione regionale e la necessità di contribuire alla stabilità e alla prosperità della regione mediterranea. A tal fine vengono ampliate le concessioni reciproche per gli scambi commerciali[6] – rispetto a quelle previste dall’accordo di cooperazione del 1975 – ed è approfondita la cooperazione economica.

Poiché Israele è un paese ad elevato livello di sviluppo e industrializzazione ed ha un elevato reddito pro-capite[7], esso non usufruisce dei finanziamenti del Programma MEDA[8] a livello bilaterale e la sua partecipazione al programma è limitata alle iniziative di cooperazione regionale. Sotto questo profilo Israele ha partecipato a programmi regionali nel settore dei diritti umani, della promozione della pace, della conservazione del patrimonio culturale e dell’integrazione sociale.

Altri accordi

L’Unione europea ed Israele hanno concluso i seguenti accordi settoriali:

·         accordo sulle buone pratiche di laboratorio, entrato in vigore il 1° maggio 2004, che prevede il reciproco riconoscimento degli studi in materia di sicurezza dei prodotti chimici;

·         il terzo accordo di cooperazione scientifica e tecnica, entrato in vigore il 10 giugno 2003, che associa Israele al sesto Programma quadro comunitario per la ricerca e lo sviluppo tecnico (2003-2006)[9];

·         l’accordo concernente le misure di liberalizzazione reciproche, relativo alla maggior parte degli scambi nel settore agricolo, concluso il 22 dicembre 2003[10];

·         l’accordo di cooperazione al programma comunitario di navigazione satellitare Galileo, firmato il 17 marzo 2004.

 

Politica europea di vicinato

Si veda la scheda sulla politica europea di vicinato riportata alle pagine seguenti.

Conflitto Medio-orientale

L’obiettivo politico consolidato dell’Unione europea in merito al conflitto in Medio oriente è quello della “coesistenza pacifica, fianco a fianco, di uno Stato palestinese vitale, contiguo, sovrano e indipendente con uno Stato di Israele esistente entro confini riconosciuti e sicuri”. L’Unione punta ad una soluzione negoziata, concordata tra le parti, che risolva in modo equo la complessa questione di Gerusalemme e il problema dei profughi palestinesi.

Il sostegno al processo di pace è fornito dall’UE attraverso diverse iniziative.

L’UE contribuisce a facilitare il processo di pace attraverso incontri regolari con i principali soggetti coinvolti e visite dei leader dell’UE in Medio oriente[11] nonché mediante le attività dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, e del Rappresentante speciale per il processo di pace, Marc Otte[12]. Inoltre, l’UE è uno dei partner del “Quartetto internazionale” (insieme a Stati Uniti, Federazione russa e Nazioni Unite) che il 30 aprile 2003 ha presentato la road mapper il processo di pace formalmente accettata dal Governo israeliano e dall’Autorità palestinese.

L’attività di promozione del processo di pace si svolge anche nell’ambito del Partenariato euromediterraneo, inaugurato a Barcellona nel 1995, che rimane l’unico forum multilaterale, oltre alle Nazioni Unite, in cui le parti in conflitto si incontrano. Inoltre, la cooperazione regionale prevista nel quadro euromediterraneo incoraggia l’integrazione e la mutua comprensione tra gli Stati della regione. Si segnala anche l’iniziativa specifica del Partenariato UE per la pace che si concentra su iniziative destinate alla società civile locale e internazionale allo scopo di promuovere la pace, la tolleranza e la non violenza.

 

Rapporti tra l’Unione europea e l’Autorità palestinese

L’Unione europea è impegnata da tempo a migliorare la situazione economica e la condizione umanitaria dei palestinesi e nello stesso tempo a sostenere la costruzione di uno Stato palestinese democratico ed indipendente, che conviva in pace e sicurezza con Israele. I principali strumenti utilizzati per il raggiungimento di tali obiettivi sono rappresentati dall’Accordo interinale di associazione, dal Piano d’azione nel quadro della politica europea di vicinato e dal Programma di assistenza finanziaria della Commissione.

A seguito della vittoria di Hamas alla elezioni legislative di gennaio 2006, la politica dell’Unione europea nei confronti dell’Autorità palestinese è stata rivista. L’Ue ha richiesto al governo dell’autorità palestinese di rispettare i principi di non violenza diritto di Israele di esistere e accettazione degli accordi precedenti. A seguito della formazione di una governo a guida Hamas, la Commissione europea ha interrotto i contatti politici e l’assistenza finanziaria fornita direttamente al governo. Nello stesso tempo l’aiuto alla popolazione palestinese è stato rinforzato.

Inoltre, insieme agli altri membri del Quartetto[13] ha promosso la road map ed è impegnata a sostenerne la piena attuazione, con l’obiettivo di una soluzione equa e durevole fondata su due Stati, Israele e uno Stato palestinese, che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza[14].

Per raggiungere questi obiettivi l’UE è attivamente impegnata nei fora internazionali, anche attraverso la partecipazione alla Task force internazionale[15] istituita nel 2002 per sostenere il processo di riforma avviato dall’Autorità palestinese.

In linea con i principi della road map, a partire dal 1996, l’Unione europea ha fornito il proprio sostegno allo svolgimento di libere elezioni nei Territori palestinesi.

 

Accordo interinale di associazione

Il 24 febbraio 1997, nel quadro del Partenariato euromediterraneo, l’UE ha firmato con l’Autorità palestinese l’Accordo interinale di associazione volto a promuovere il commercio e la cooperazione. L’accordo, entrato in vigore il 1° luglio 1997, mirava alla creazione di un'area di libero scambio tra Unione europea e Territori palestinesi a partire dal 2001. L'escalation di violenza ha reso impossibile l'attuazione del piano. Sulla base dell’articolo 1, gli ulteriori obiettivi dell’accordo sono:

·         stabilire le condizioni per la liberalizzazione del commercio;

·         fornire un quadro adeguato al dialogo tra la Parti;

·         favorire lo sviluppo di relazioni economici e sociali equilibrate attraverso il dialogo e la cooperazione;

·         contribuire allo sviluppo sociale ed economico della striscia di Gaza;   

·         incoraggiare la cooperazione regionale;

·         promuovere la cooperazione in altre aree di comune interesse.

L’accordo prevede un Comitato congiunto annuale, oltre che incontri regolari dedicati alla politica macroeconomica, finanziaria e monetaria.

Politica europea di vicinato

Si veda la scheda sulla politica europea di vicinato riportata alle pagine seguenti.

Assistenza finanziaria

L’assistenza finanziaria da parte dell’UE è cominciata già nel 1971, con il primo contributo al bilancio dell’Ufficio di assistenza delle Nazioni Unite per i profughi della Palestina in Medio Oriente (UNRWA). A partire dal 1986 inoltre l’UE ha garantito l’accesso preferenziale ai prodotti provenienti dai territori occupati.

A partire dalla conclusione degli Accordi di Oslo del settembre 1993, l’Unione europea ha dato inizio a un programma speciale per sostenere il Processo di pace in Medio Oriente e lo sviluppo della società palestinese. Tra il 1994 e il 2002 l’UE ha fornito circa 1 miliardo di euro in contributi e prestiti[16] e ulteriori 500 milioni di euro all’UNRWA. L’assistenza unilaterale fornita dagli Stati membri ammonta a circa 2,5 miliardi di euro per lo stesso periodo. Se si considera l'aiuto pro-capite, i palestinesi sono tra i principali destinatari degli aiuti dell'UE nel mondo e l'Unione europea è il principale donatore per la società palestinese. Data la volatilità della situazione, il contributo finanziario fornito dall’UE viene fissato annualmente. Per il 2004 è stato previsto un importo totale di 250 milioni di euro[17] nell’ambito del bilancio comunitario. Il programma di intervento ha perseguito due obiettivi: rispondere alle urgenze e contribuire alla creazione di uno Stato palestinese[18].

Altri 250 milioni di euro sono stati annunciati per l’anno 2005[19], a sostegno dei successivi passi verso la creazione di uno Stato palestinese. Il finanziamento perseguirà i seguenti obiettivi:

·         sostenere le riforme politiche e economiche dell’Autorità palestinese attraverso pagamenti rateali, soggetti a programmi di valutazione delle prestazioni;

·         fornire un contributo all’UNRWA;

·         istituire un fondo per le infrastrutture destinato a finanziare progetti urgenti e servizi primari. Il fondo potrebbe essere utilizzato, tra l’altro, per rispondere alle esigenze palestinesi a seguito del disimpegno israeliano da Gaza e dalla Cisgiordania.

Grazie alla partecipazione al Partenariato euromediterraneo, l’Autorità palestinese beneficia inoltre di finanziamenti attraverso il programma MEDA, che offre sostegno tecnico e finanziario per accompagnare il processo di riforme necessario all’attuazione dell’Accordo.

 

L’assistenza complessiva resa disponibile per la popolazione palestinese dal bilancio dell’Ue per il 2006 ha raggiunto i 329 milioni di euro così ripartiti:

·         meccanismo temporaneo internazionale (TIM) per l’assistenza diretta alla popolazione palestinese (105 milioni di euro) oltre 40 milioni di euro per la fornitura di combustibile.

L’obiettivo del meccanismo è di alleviare l’attuale crisi socio-economica nei territori palestinesi, garantire la fornitura dei servizi sociali pubblici essenziali alla popolazione palestinese e facilitare la ripresa dei trasferimenti palestinesi da Israele.

·         aiuti per i rifugiati, per la sicurezza alimentare e aiuti umanitari (184 milioni di euro).

 


La Politica Europea di Vicinato (PEV)

Sia l’Autorità palestinese sia Israele sono interessate dalla Politica europea di Vicinato (PEV).

La PEV si rivolge ai nuovi Stati indipendenti[20], ai paesi del Mediterraneo meridionale[21] e agli Stati del Caucaso[22]. L’obiettivo è quello di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.

La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.

Tra le azioni concrete che l’UE intende mettere in campo per realizzare la politica di vicinato, si segnalano in particolare:

·         l’istituzione, per il periodo 2004-2006, di programmi di vicinato volti a garantire la sicurezza delle frontiere esterne, a rafforzare la cooperazione transfrontaliera su temi comuni (ambiente, salute pubblica, lotta alla criminalità organizzata) e a favorire l’integrazione nello spazio europeo della ricerca e nei settori delle reti di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia. Tali programmi saranno finanziati con un importo globale di 955 milioni di euro, nell’ambito degli strumenti finanziari esistenti;

·         a partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’istituzione di un unico strumento finanziario[23] (Strumento europeo di vicinato e partenariato), in sostituzione dei diversi programmi attualmente esistenti. Il nuovo strumento, destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata, dovrebbe consentire di associare attività di cooperazione transfrontaliera e regionale;

·         la pubblicazione di country reports che danno conto dei progressi compiuti da ciascun paese nell’attuazione degli accordi bilaterali[24] e delle relative riforme. Tali documenti riflettono la situazione politica, economica, sociale e istituzionale nei diversi paesi e forniscono un punto di partenza per lo sviluppo delle relazioni future;

·         la predisposizione di piani d’azione per ciascuno dei paesi interessati[25]. Si tratta di strumenti considerati cruciali dalla Commissione nel processo di avvicinamento all’Unione, che non sostituiscono gli accordi di associazione o di cooperazione vigenti ma si avvalgono dell’esperienza acquisita nella loro attuazione. I piani d’azione saranno differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiranno il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni. In linea generale, tali strumenti offrono assistenza per allineare la legislazione nazionale a quella comunitaria con l’obiettivo di migliorare l’accesso al mercato interno; consentono la partecipazione a numerosi programmi comunitari, fra cui quelli in materia di istruzione, ricerca, ambiente e audiovisivi; accrescono la cooperazione in materia di gestione delle frontiere, di migrazione, di tratta di esseri umani, di crimine organizzato, di riciclaggio di denaro e di crimini finanziari ed economici; migliorano i collegamenti con l’UE in materia di energia, trasporti e tecnologie dell’informazione; estendono il dialogo e la cooperazione ai temi della lotta al terrorismo, della non proliferazione delle armi di distruzione di massa e della gestione dei conflitti regionali. La loro attuazione verrà monitorata su base regolare e i piani d’azione potranno essere conseguentemente adeguati.I primi sette piani d’azione (Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova, Tunisia e Ucraina), presentati dalla Commissione il 9 dicembre 2004, sono stati approvati dal Consiglio nella riunione del 13 e 14 dicembre 2004. Per quanto riguarda gli altri paesi (Egitto, Libano, Armenia, Azerbaigian e Georgia), il 25 aprile 2005 il Consiglio, su proposta della Commissione, ha deciso di intensificare le relazioni reciproche. Per Egitto e Libano si tratta di predisporre al più presto i piani d’azione[26]; per i paesi del Caucaso meridionale il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare i lavori congiunti per allestire i piani d’azione.

Il 24 novembre 2005 la Commissione ha esaminato un documento di lavoro presentato dal commissario europeo per le relazioni esterne e la politica di vicinato, Benita Ferrero-Waldner[27], nel quale sono indicate le priorità della Commissione per gli anni 2006-2007. Tra esse si segnalano:

·         il completamento dei cinque nuovi piani d’azione;

·         la preparazione del country report per l’Algeria;

·         l’apertura di programmi ed agenzie europee ai paesi partner;

·         nell’ambito delle nuove prospettive finanziare, un finanziamento della politica europea di vicinato adeguato alle sue ambizioni;

·         l’avvio di un periodo di riflessione sulle prospettive di lungo termine della politica europea di vicinato;

·         per la fine del 2006, la preparazione di una comunicazione rivolta al Consiglio e al Parlamento europeo, che riporti i progressi conseguiti nei primi due anni di attività con un resoconto dell’attuazione dei piani d’azione in corso.

 


Posizioni e iniziative dell’Unione Europea in relazione al recente conflitto in Libano

 

La Presidenza finlandese dell’Unione europea e la Commissione europea hanno in più occasioni sottolineato come l’Unione europea si sia impegnata nei confronti della crisi in Libano e delle sue ripercussioni sia sul piano diplomatico sia su quello degli aiuti umanitari. L’UE è intervenuta, inoltre, per contribuire all’evacuazione dal Libano dei suoi cittadini e di quelli provenienti dai paesi terzi  nonché per limitare i danni ambientali causati dal conflitto.

A quest’ultimo proposito si ricorda che il 27 luglio 2006 le autorità libanesi hanno richiesto l’assistenza dell’Unione europea per affrontare le conseguenze dello spargimento di petrolio presso le coste libanesi. E’ stato pertanto attivato il “meccanismo comunitario per la protezione civile”[28] ed è stato avviato il monitoraggio per la valutazione dell’inquinamento marino.

 

Dichiarazioni dei rappresentanti dell’UE in occasione della Conferenza di Roma (26 luglio 2006)

Il 26 luglio 2006 la Commissione, la Presidenza finlandese e l’Alto Rappresentante hanno partecipato alla Conferenza internazionale sul Libano che si è svolta a Roma.Il 27 e 28 luglio una troika dell’UE  - composta dal Commissario per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato, Benita Ferrero-Waldner, dal rappresentante della Presidenza finlandese dell’UE, il Ministro finlandese per gli affari esteri Erkki Tuomioja, e dal rappresentante speciale dell’Unione europea,Marc Otte - si è poi recata in Israele, Gaza e Libano per trasmettere un messaggio di solidarietà alle popolazioni ed individuare un possibile percorso in direzione di una soluzione globale del conflitto. Tale viaggio ha costituito una prima occasione per l’Unione europea per discutere con tutte le parti coinvolte il risultato della Conferenza di Roma.

In occasione della Conferenza di Roma, il Commissario Ferrero-Waldner ha richiamato l’attenzione su tre questioni di particolare importanza per l’Unione europea:

·         la crisi umanitaria e l’impegno dell’Unione europea per alleviare le sofferenze della popolazione di tutta la regione (Libano, Israele, Gaza e West Bank); al riguardo ha preannunciato un ulteriore sostegno di 30 milioni di euro, oltre ai 20 già stanziati, e ha sottolineato la necessità di garantire un accesso sicuro al paese;

·         l’evacuazione dal territorio, particolarmente problematica per i cittadini non-UE, per la quale la Commissione europea ha reso disponibili 11 milioni di euro;

·         la dimensione politica, che comprende una soluzione sostenibile del conflitto e un piano politico globale.

 

Il Consiglio affari generali e relazioni esterne (1° e 25 agosto 2006)

Il 31 luglio 2006, a Bruxelles, il Consiglio affari generali e relazioni esterne dell’UE ha tenuto una sessione straordinaria per riesaminare la situazione in Medio Oriente e concordare i principî chiave per una soluzione politica della crisi. Nelle conclusioni del 1° agosto, il Consiglio ha espresso la massima preoccupazione per le perdite di civili libanesi e israeliani e le sofferenze umane, la vasta distruzione di infrastrutture civili e il numero crescente di sfollati interni a seguito dell’intensificarsi della violenza. Ha deplorato la morte di civili innocenti e fatto appello a tutte le parti affinché facciano tutto il possibile per proteggere le popolazioni civili e si astengano da atti che violano il diritto internazionale umanitario.

Il Consiglio, in particolare:

·               ha chiesto un’immediata cessazione delle ostilità seguita da un cessate il fuoco sostenibile;

·               ha espresso il pieno appoggio agli sforzi delle Nazioni Unite per definire un quadro politico in vista di una soluzione duratura concordata da tutte le parti, presupposto indispensabile per il dispiegamento di una forza internazionale. Alcuni Stati membri dell’UE si sono dichiarati pronti a contribuire a tale operazione insieme ai partner internazionali;

·               ha espresso apprezzamento al governo libanese per il suo piano per la pace in sette punti quale base valida per una soluzione duratura, affermando che qualsiasi soluzione deve includere il ritorno dei soldati rapiti e dei prigionieri, un assetto definitivo dei confini internazionali del Libano, il dispiegamento sull’intero territorio delle forze armate libanesi appoggiate da una forza internazionale, previa attuazione degli accordi di Ta’if[29] e delle risoluzioni 1559 e 1680 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite;

·               ha riconfermato il proprio impegno nel fornire assistenza umanitaria al popolo libanese, ricordando che la Comunità e gli Stati membri dell’UE hanno impegnato oltre 56 milioni di euro per interventi di assistenza e ne hanno promessi altri 52 milioni;

·               ha fatto appello a tutte le parti affinché concedano un transito sicuro ed efficace per la fornitura dell’assistenza umanitaria, in particolare nel Libano meridionale;

·               ha deplorato il persistere della violenza a Gaza e in Cisgiordania e ha sottolineato che un impegno di tutte le parti per uno Stato palestinese indipendente e vitale che viva in pace e sicurezza con il vicino Israele e gli altri paesi limitrofi è la chiave per la stabilità e la sicurezza dell’intera regione;

·               ha ribadito il suo impegno a promuovere un piano di pace globale per il Medio Oriente e ha chiesto all’Alto Rappresentante di proseguire il proprio impegno e di restare in contatto con tutte le parti interessate, tenendosi pronto a contribuire ad una soluzione politica e al processo di pace.

 

Da ultimo, in occasione della riunione straordinaria del 25 agosto 2006, il Consiglio affari generali e relazioni esterne ha effettuato uno scambio di opinioni sulla situazione in Libano con il Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan. In quella sede il Consiglio ha espresso l’auspicio che tutte le parti dell’area svolgano un ruolo costruttivo per favorire l’attuazione della risoluzione 1701 dell’ONU e ha espresso il proprio sostegno a Kofi Annan al fine di individuare le possibili opzioni per garantire una rapida applicazione della stessa.

In questo contesto, il Consiglio:

·               ha accolto la volontà degli Stati membri di contribuire rapidamente al rafforzamento dell’UNIFIL insieme ai loro partner internazionali. A tale riguardo il Consiglio ha sottolineato l’importante ruolo svolto dall’UNIFIL ai fini del dispiegamento dell’esercito libanese nel Libano meridionale;

·               ha accolto con favore l’intenzione degli Stati membri di impiegare in Libano un numero cospicuo di truppe nonché di dotazioni logistiche e di telecomunicazioni, contribuendo in questo modo a conferire all’UE la leadership in seno alla missione UNIFIL. E’ stato deciso al riguardo che gli Stati membri dell’UE assicureranno più della metà delle forze della missione UNIFIL II con un dispiegamento di 6.900 uomini il cui comando sarà assicurato dalla Francia, che guiderà le forze di pace ONU in Libano fino al mese di febbraio 2007, a cui succederà l’Italia con un dispiegamento di circa 3.000 uomini. Si ricorda che la direzione della cellula di direzione strategica della missione UNIFIL, creata presso il Dipartimento operazioni di mantenimento della pace dell’ONU, è stata affidata al Generale Fabrizio Castagnetti;

·               ha accolto con favore la disponibilità degli Stati membri di fornire sostegno all’esercito libanese ed ha espresso la disponibilità dell’UE nell’aiutare lo Stato libanese a riguadagnare la piena sovranità sul proprio territorio;

·               ha ribadito la propria determinazione a fornire aiuti umanitari al popolo libanese sottolineando, a tal fine, la necessità di revocare il blocco aeronavale israeliano. Inoltre, alla luce della risoluzione 1701, ha ricordato che l’instaurazione di effettive misure di controllo nel settore delle armi, del materiale bellico, dell’addestramento e dell’assistenza rimane una priorità;

·               si è rallegrato per la convocazione di una Conferenza internazionale dei donatori per il Libano, ospitata dal governo svedese il 31 agosto 2006 (vedi infra), e ha sottolineato che l’erogazione dell’aiuto umanitario e le attività di ricostruzione devono essere poste sotto l’egida del governo libanese nel quadro del piano nazionale per la ricostruzione, le riforme e lo sviluppo;

·               ha rinnovato il proprio impegno a promuovere, in stretta cooperazione con i partner internazionali e i paesi dell’area, un piano di pace globale per il Medio Oriente.

 

Interventi dell’Alto Rappresentante dell’UE (11-13 agosto 2006)

L’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, si è recato dall’11 al 13 agosto in Medio Oriente per confrontarsi con i leader politici in merito alla risoluzione del conflitto tra Israele e Libano. Al termine della visita  - nel corso della quale l’Alto Rappresentante ha incontrato, fra gli altri, il Primo Ministro libanese, Fouad Siniora, il Ministro per gli affari sociali,  Sig.ra Nayla Moawad, e il Presidente del Parlamento libanese, Nabih Ferri – si è svolta a Beirut una conferenza stampa nel corso della quale sono stati ricordati i punti salienti degli scambi avvenuti[30].

In particolare, l’Alto Rappresentante:

·         si è congratulato per l’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, della risoluzione intesa a porre fine al conflitto tra Israele e Libano, sollecitandone l’immediata attuazione;

·         ha confermato la disponibilità dell’Unione europea a contribuire agli sforzi per la stabilizzazione, la ricostruzione e la forza di pace in Libano; al riguardo, ha ricordato che l’impegno segue tre principali linee di azione:

-          l’azione umanitaria, per alleviare le sofferenze della popolazione e favorirne il rientro;

-          l’attività della UNIFIL rafforzata, a cui contribuiranno molti paesi europei;

-          l’impegno per la ricostruzione.

L’Alto Rappresentante ha ribadito alla stampa l’urgenza dell’attuazione della risoluzione, premessa essenziale per un cessate il fuoco immediato ed una pace duratura, ed ha ricordato la responsabilità in tal senso del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Il 13 agosto, a Ramallah, West Bank, Javier Solana è intervenuto[31] in merito agli incontri avuti con il Presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, e il Negoziatore Capo palestinese, Saeb Erekat. Alla stampa l’Alto Rappresentante ha dichiarato di avere manifestato sostegno da parte della comunità internazionale e dell’Unione europea al Presidente e al popolo della Palestina; in particolare, l’Alto Rappresentante ha sottolineato che il problema israelo-palestinese è al centro della crisi in Medio Oriente e che tutte le energie andranno spese in favore della ricerca di una soluzione.

 

Il 13 agosto Javier Solana si è inoltre recato a Gerusalemme, dove ha incontrato il Primo Ministro israeliano, Ehud Olmert, il Ministro della difesa israeliano, Amir Peretz, ed il Ministro per gli affari esteri israeliano, Tzipi Livni. Rispondendo alla stampa, l’Alto Rappresentante ha ribadito che l’attuazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite richiede tre linee d’azione: l’aspetto umanitario, l’aiuto alla ricostruzione del Libano e il dispiegamento di una forza che accompagnerà quella libanese; a questo proposito Solana ha sottolineato che si tratta di una missione delle Nazioni Unite, cui parteciperanno forze europee nonché forze provenienti da altri paesi che non sono membri dell’UE. L’Alto Rappresentante ha inoltre ribadito quanto già affermato a Ramallah in merito alla pace in Medio Oriente: in particolare ha riaffermato la necessità di adottare un approccio complessivo che affronti in modo diretto il conflitto israelo-palestinese.

 

Dichiarazione della Presidenza UE sul Libano (12 e 31 agosto 2006)

La Presidenza dell’Unione europea ha formulato, il 12 agosto 2006, una dichiarazione sul Libano[32], nella quale ha espresso apprezzamento per l’accordo unanime raggiunto sulla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, con cui si chiede la cessazione delle ostilità tra Israele e Hezbollah e si stabilisce il quadro necessario per un assetto politico che consenta una soluzione sostenibile della crisi. La Presidenza ha chiesto a tutte le parti di rispettare integralmente la risoluzione e di applicarla senza indugi.

La Presidenza dell’Unione si è inoltre congratulata per “l’intenzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di affrontare l’ulteriore rafforzamento del mandato della UNIFIL e di altri elementi nell’ambito di una futura risoluzione, per contribuire all’attuazione di un ‘cessate il fuoco’ permanente e di una soluzione a lungo termine”.

La Presidenza, infine, ha richiamato la necessità di lavorare ad un piano di pace generale per il Medio Oriente.

 

Dichiarazioni del Commissario europeo per lo sviluppo e l’aiuto umanitario (14-17 agosto 2006)

Il Commissario europeo per lo sviluppo e l’aiuto umanitario, Louis Michel, accompagnato dal ministro finlandese agli affari esteri e al commercio, Paula Lehtomäki, si è recato in visita in Libano ed Israele dal 14 al 17 settembre 2006 dove ha incontrato membri del governo libanese ed israeliano, fra cui il primo ministro libanese, Fouad Seniora, nonché alcune vittime degli attacchi di Hezbollah.

In tale occasione il Commissario ha richiamato l’attenzione sulla difficoltà di far pervenire gli aiuti umanitari urgenti in Libano, a causa della mancanza di infrastrutture e del blocco instaurato da Israele. Egli ha, inoltre, insistito sul fatto che la situazione è critica, in particolar modo nel sud del Libano e in alcune parti di Beirut; ha inoltre posto l’accento sul ritorno delle persone sfollate nel sud.

La Commissione europea ha mobilitato fondi per l’emergenza umanitaria per un ammontare di 20 milioni di euro, al fine di fornire ricoveri, cibo, cure mediche, acqua, sostegno psico-sociale, protezione e coordinamento nelle operazioni di soccorso. I fondi sono gestiti dal Servizio di aiuto umanitario della Commissione europea (ECHO). Nel corso della sua visita, il Commissario Michel ha annunciato l’apertura di un ufficio permanente ECHO a Beirut. Il Commissario ha inoltre ricordato che la Commissione ha chiesto al Parlamento europeo e al Consiglio di portare gli aiuti a 50 milioni di euro, prelevandoli dalla riserva di emergenza del bilancio comunitario.

 

Dichiarazioni del Presidente della Commissione europea sul Libano (24 agosto 2006)

Il Presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha rilasciato, il 24 agosto 2006, una dichiarazione sul Libano nella quale ha ricordato il ruolo di guida svolto dall’UE negli sforzi diplomatici per porre fine alle ostilità fra Israele ed Hezbollah e il ruolo attivo che essa continua a svolgere per dare attuazione alla risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Barroso ha dichiarato che la Commissione sostiene pienamente questi sforzi e, in quanto principale donatore dell’area, partecipa attivamente agli aiuti alle popolazioni vittime del conflitto.

Barroso ha ricordato, inoltre, che l’impegno finanziario dell’UE destinato a fornire aiuti al popolo libanese ammonta a più di 100 milioni di euro; in tale contesto l’UE partecipa attivamente alle operazioni di controllo e di risanamento dell’ambiente dopo i danni causati dal conflitto e fornirà l’aiuto indispensabile per il rafforzamento dell’UNIFIL e per aiutare il governo libanese a consolidare il controllo sul suo territorio. Per quanto riguarda, infine, l’impegno finanziario della Commissione, Barroso ha annunciato che è in preparazione un pacchetto di assistenza per favorire il ritorno alla normalità nel Libano e per rafforzare il processo libanese di riforme.

 

Riunione della Commissione Affari esteri del Parlamento europeo (29 agosto 2006)

Il 29 agosto 2006 si è svolta una riunione straordinaria della Commissione Affari esteri del Parlamento europeo alla quale hanno partecipato Teemu Tanner, ambasciatore finlandese presso il Comitato politico e di sicurezza dell'Unione Europea (Cops), MarcOtte, Rappresentante speciale dell’UE per il Medio Oriente, e Christian Leffler, Direttore responsabile per il Medio Oriente alla Commissione europea.

Nel corso degli interventi essi hanno sottolineato la necessità di una soluzione globale per il Medio Oriente, ivi compresa la soluzione del conflitto israelo-palestinese e il coinvolgimento della Siria e dell’Iran, nonché la necessità di ripristinare la piena sovranità in Libano e la stabilità nell’area. Leffler ha, inoltre, sottolineato che il PE è stato invitato ad approvare uno stanziamento di 50 milioni di euro provenienti dalla riserva di emergenza del bilancio comunitario per il sud del Libano destinati soprattutto a fornire acqua e a bonificare il terreno dalle mine inesplose.

In quella sede è emerso un sostegno al rafforzamento della partecipazione dell’UE nella missione ONU in Libano sia dal punto di vista politico sia sul piano della fornitura di aiuti umanitari ed è stato chiesto che vengano definiti chiaramente il mandato e la missione di mantenimento della pace nonché le misure per il disarmo di Hezbollah, condizioni essenziali per una pace duratura nell’area. La Commissione Affari esteri ha chiesto, inoltre, la revoca del blocco aeronavale israeliano e ha accolto con favore l’ampliamento del mandato dell’ONU nella missione UNIFIL, non lesinando critiche nei confronti del Consiglio che, invece di adottare una posizione comune sul Medio Oriente, ha lasciato la questione alla libera iniziativa dei singoli paesi membri.

Secondo quanto riportato da alcune agenzie di stampa, al termine del dibattito il presidente della Commissione Affari esteri, Elmar Brok, ha precisato che il Parlamento europeo avrebbe proposto in una risoluzione di inviare una propria delegazione in Israele e Libano, a complemento della delegazione dell’Assemblea parlamentare euromediterranea che si dovrà recare nella regione per avviare un dialogo politico con le autorità di Libano, Israele e territori palestinesi.

 

Conferenza di Stoccolma dei donatori per il Libano (31 agosto 2006)

Facendo seguito all’invito contenuto nella risoluzione ONU 1701 al fine di adottare misure urgenti in materia di aiuti finanziari e umanitari destinati al popolo libanese, il 31 agosto 2006 si è svolta a Stoccolma una Conferenza internazionale dei donatori per il Libano, ospitata dal governo svedese. Alla Conferenza hanno preso parte la Commissione europea, la Presidenza finlandese, il Consiglio e Stati membri dell’UE.

Questa Conferenza dovrebbe essere seguita da un’altra iniziativa analoga, che potrebbe aver luogo a Beirut entro la fine del 2006.

In quella sede circa 60 governi ed organizzazioni internazionali si sono impegnati a fornire approssimativamente 735 milioni di euro per finanziare la fase di ricostruzione del paese. La ripartizione dei contributi degli Stati membri non è stata comunicata; secondo varie agenzia di stampa l’impegno dell’Italia ammonterebbe a circa 30 milioni di euro.

La Commissione europea si è impegnata a stanziare 42 milioni di euro come prima fase del contributo finanziario per la ricostruzione del Libano; tale aiuto è volto non soltanto a favorire le attività di ricostruzione, ma anche a sostenere le riforme economiche e politiche essenziali al fine di favorire la rinascita del paese. Questa somma va ad aggiungersi ai fondi stanziati subito dopo l’inizio della crisi (50 milioni per l’aiuto umanitario e 11 milioni per evacuare 10.000 cittadini di paesi terzi).

L’aiuto finanziario della Commissione sarà ripartito nel seguente modo:

·         4 milioni di euro per garantire il rispetto dello Stato di diritto e il miglioramento della sicurezza interna in conformità degli obiettivi della risoluzione 1701;

·         18 milioni di euro per rafforzare la competitività del settore privato al fine di favorire il rilancio dell’economia;

·         10 milioni di euro per far fronte ad altre necessità che dovranno essere individuate dal governo libanese.

 

A margine della Conferenza, la Commissione europea, la Presidenza finlandese e il Consiglio hanno rilasciato una dichiarazione congiunta nella quale sottolineano gli sforzi fatti dall’UE per sostenere il Libano, in particolare per quanto riguarda l’erogazione rapida e significativa di aiuti umanitari e il coordinamento degli sforzi da parte degli Stati membri al fine di favorire una rapida ripresa del paese. Nella dichiarazione si precisa che, in seguito alla Conferenza, l’importo globale degli aiuti versati dalla Commissione e dagli Stati membri ammonta a circa 120 milioni di euro dall’inizio del conflitto (80 milioni effettivamente impegnati e 40 promessi), di cui circa la metà provenienti dagli Stati membri.

La Commissione, il Consiglio e la Presidenza finlandese riaffermano la determinazione dell’UE di aiutare ed assistere il popolo libanese nel ritorno alla normalità, concentrando le attività nell’assistenza umanitaria a favore dei rifugiati che ritornano nelle proprie abitazioni e nel rafforzamento della capacità locale di rispondere ai bisogni più urgenti. In tale contesto, l’UE si rallegra per la creazione presso i servizi del premier Seniora di una Cellula di soccorso e di riabilitazione al fine di coordinare le attività di ricostruzione. L’UE, dal canto suo, si dichiara disposta a contribuire alla valutazione dei bisogni legati alla ricostruzione che deve essere effettuata in un quadro generale e coerente in vista dello sviluppo sociale, economico e politico del Libano.

Le priorità immediate individuate dall’UE consistono nel togliere tutte le mine, nel garantire un accesso all’acqua potabile e nel revocare il blocco navale ed aereo. A tal fine, l’UE si impegna a mettere a disposizione le proprie competenze tecniche, agendo sotto la responsabilità del governo libanese e in stretta cooperazione con gli altri partner internazionali, ivi compresa la Banca mondiale.

 

Dibattito al Parlamento europeo in seduta plenaria e adozione di una risoluzione comune (6 e 7 settembre 2006)

Il 6 settembre 2006 il PE ha svolto in seduta plenaria un ampio dibattito sulla situazione in Medio Oriente alla presenza del Consiglio e della Commissione; al dibattito hanno partecipato tutti i gruppi politici del Parlamento europeo..

Intervenendo a nome del Consiglio, il Ministro degli esteri finlandese, Erkki Tuomioja, ha sottolineato che l'ultima crisi in Medio Oriente è la prima in cui l'Unione europea ha assunto un importante ruolo internazionale. Il Ministro, in particolare, ha posto l'accento sulla decisione di inviare truppe europee nell'ambito della forza UNIFIL al fine di garantire il rispetto della risoluzione 1701 e ha sottolineato la necessità che vengano coinvolti altri paesi, anche islamici, e che tutti i paesi dell’area sostengano il progetto coinvolgendo, in particolare, la Siria che ha già dato segnali circa la propria disponibilità ad avere un atteggiamento costruttivo nel processo di pace. Ha ricordato, in questo contesto, l’importante contributo finanziario stanziato dell’UE al fine di favorire la ricostruzione del Libano e alleviare la crisi umanitaria.

Il Ministro ha, poi, sottolineato che la soluzione alla questione israelo-palestinese sulla base della road map mediante la costituzione di due Stati indipendenti e sovrani costituisce una condizione imprescindibile per instaurare la pace in Medio Oriente. In questo contesto ha rilevato la necessità di riconoscere Israele e di interrompere le attività terroristiche; Israele, dal canto suo, è tenuto a rilasciare i membri del Consiglio palestinese e i soldati israeliani presi in ostaggio. Il Ministro ha, infine, sottolineato il ruolo attivo che l’UE deve svolgere, anche facendosi promotrice di una Conferenza internazionale per la pace, al fine di rilanciare il processo di pace insieme agli altri partner del Quartetto (Usa, Russia e ONU) e della Lega araba.

Il Commissario alle relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner, intervenendo a nome della Commissione, ha sottolineato l’importante ruolo svolto dall’UE nella crisi libanese e in particolare per quanto riguarda il contributo alla definizione della risoluzione ONU e alla sua applicazione e gli sforzi per garantire gli aiuti umanitari e la ricostruzione. Il Commissario ha sottolineato la necessità di revocare il blocco aeronavale israeliano e di creare le condizioni per una stabilità a lungo termine e per eliminare le ambiguità sul disarmo di Hezbollah. Riferendosi alla situazione in Palestina, ha dichiarato che occorre rilasciare gli ostaggi e risolvere i problemi di movimento e di accesso alle frontiere tra Israele e i territori palestinesi. Ha rilevato, infine, che le soluzioni militari non funzionano; l'unica possibilità è quella di agire in una prospettiva politica, riavviando i negoziati tra tutte le parti coinvolte, favorendo il dialogo fra Libano e Israele e il coinvolgimento della Siria per garantire il rispetto della risoluzione ONU e riconoscendo all’UE il ruolo di leader nel processo di pace in Medio Oriente.

 

 Facendo seguito al dibattito in plenaria al quale hanno preso parte , il 7 settembre 2006il Parlamento europeo ha approvato - con 520 voti a favore, 24 contrari e 17 astensioni - una risoluzione comune sul Medio Oriente sostenuta da PPE/DE, PSE, ALDE, Verdi/ALE, GUE/NGL e UEN.

Nella risoluzione approvata il PE, in particolare:

·         esprime viva preoccupazione per le dimensioni e l’intensità del conflitto in Libano e deplora le vittime civili in Libano e Israele e fra gli osservatori dell’ONU nonché i gravi danni arrecati alle infrastrutture;

·         ribadisce che non vi può essere soluzione militare al conflitto mediorientale e sottolinea che condizione indispensabile per un “cessate il fuoco” duraturo è la volontà politica delle parti coinvolte di affrontare le cause della recente crisi; reitera, pertanto, l’appello alla liberazione dei soldati israeliani rapiti e dei membri del governo e del Consiglio legislativo palestinese detenuti nelle carceri israeliane;

·         si compiace dell’adozione all’unanimità della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU volta a rafforzare l’UNIFIL al fine di conferirle un solido mandato che prevede, fra l’altro, l’assistenza al governo libanese nell’esercizio della piena sovranità e dell’effettivo controllo del proprio territorio e si compiace del forte sostegno espresso dal governo libanese al rafforzamento dell’UNIFIL. Si compiace, inoltre, dell'impegno assunto dagli Stati membri di mettere a disposizione circa 7000 uomini nell’ambito della missione UNIFIL, sottolineando la necessità di definire in modo chiaro ed adeguato, se necessario mediante una risoluzione ONU, il mandato, le regole di ingaggio, la struttura e le competenze dell’UNIFIL; rileva, infine, il ruolo attivo assunto da Francia e Italia nella guida della missione, sottolineando che occorreevitare una duplicazione delle strutture di comando;

·         si compiace della decisione del governo libanese di dispiegare le sue forze nel Libanomeridionale e del fatto che l'esercito israeliano abbia accettato di ritirarsi dietro la "Linea blu", comeprevisto dalla risoluzione 1701;

·         sottolinea l'importanza che tutti gli Stati membri dell'Unione europea agiscanonel rispetto delle disposizioni della risoluzione 1701 concernenti le forniture di armi,al fine di favorire il disarmo di tutte le milizie, compresaquella di Hezbollah, e di impedire l'entrata di armi in Libano. Ritiene fondamentale che l’esercito libanese sia l’unico destinatario dell’importazione di armi in Libano e ricorda che l'instaurazione di misure efficaci inmateria di armamenti, materiali connessi, addestramento o assistenza costituisce una priorità;

·         chiede all'Unione europea di impegnarsi a lavorare con tutte le parti interessate ed invita queste ultime a rispettare scrupolosamente i loro impegni in vista della pienaapplicazione della risoluzione 1701 al fine di consentire l'accesso dell'aiuto umanitariod'urgenza e il ritorno delle persone sfollate in condizioni di sicurezza. Sollecita la revoca del blocco aeronavale israeliano, invita il Consiglio, la Commissione e la comunità internazionale a continuare a garantire l'assistenza umanitaria fondamentale al popolo palestinese e chiede che ilMeccanismo internazionale temporaneo (MIT)[33] sia potenziato ed esteso;

·         si rallegra per i risultati della Conferenza dei donatori per il Libano di Stoccolma e dell’impegno finanziario assunto dai partecipanti al fine di contribuire alla ricostruzione del Libano;

·         invita Iran e Siria a svolgere un ruolo costruttivo, in particolareper quanto riguarda l'applicazione delle risoluzioni 1559 e 1701, ed invita il Consiglio e la Commissione a riprendere un vero dialogo con la Siria per farla partecipare attivamente agli sforzi volti a trovare una soluzione globale al conflitto;

·         chiede lo svolgimento di un’inchiesta internazionale, sotto l'egida del Segretario generale delle Nazioni Unite, al fine di accertare eventuali violazioni dei diritti umani in Libano e Israele;

·         sottolinea la necessità di adottare misure di lotta contro l'inquinamento dialcune zone, e in particolare contro la marea nera che ha colpito le coste libanesi, ed invita gli Stati membri e la Commissione a fornire assistenza a tal fine;

·         deplora vivamente il deteriorarsi della situazione della popolazione e delle infrastrutturecivili a Gaza e in Cisgiordania e chiede a tutte le parti coinvolte di spezzare il circolo vizioso degliattacchi e contrattacchi che sono all’origine di questa situazione;

·         sottolinea la necessità di riportare il processo di pace nel Medio Oriente fra le prioritàdell'agenda politica internazionale ed invita il Quartetto (Usa, Russia, ONU e UE) a dare un nuovo impulso all'applicazione della road map in vista dell'Assemblea generale annuale delleNazioni Unite che avrà inizio il 19 settembre 2006. Ribadisce, a tale proposito, che la formula dei due Stati, con uno Stato israeliano euno palestinese che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza, è una condizione chiave peruna soluzione pacifica duratura in Medio Oriente;

·         rinnova il proprio sostegno agli sforzi del Presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, al fine di promuovere un dialogo nazionale tra i vari partiti palestinesi, nella prospettiva dellacostituzione di un nuovo governo palestinese;

·         ritiene che la presenza di una forza multinazionale in Libano potrebbe essere unesempio da seguire nel processo negoziale per la soluzione del conflitto israelo-palestinese;

·         invita il Consiglio ad adoperarsi per convocare una conferenza regionale dipace con la partecipazione della Lega araba per giungere ad una soluzioneglobale, duratura e sostenibile del conflitto in Medio Oriente basata sul diritto di Israele a vivere entro confini sicuri e riconosciuti e sul diritto per i palestinesi a uno Stato autonomo nei Territori occupati, in conformità delle pertinenti risoluzionidel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;

·         ritiene che l'Assemblea parlamentare euromediterranea (APEM), in quanto unico organoparlamentare del Processo di Barcellona che riunisce rappresentanti dei popoli della rivameridionale del Mediterraneo e dell'Unione europea, debba adoperarsi per favorire la ripresa del dialogo e della cooperazione tra le parti interessatedalla situazione in Medio Oriente e sostiene la richiesta dell'Ufficio di presidenza dell'APEMdi convocare al più presto una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri degli esteriEuromed nel quadro del processo di Barcellona;

·         invita gli Stati membri dell'Unioneeuropea ad adoperarsi per creare istituzioni che raggruppino i paesi delbacino mediterraneo, come una Banca euromediterranea di sviluppo, poiché questo costituisce la miglioregaranzia di una pace duratura e dello sviluppo umano;

·         decide di inviare una propria delegazione in Libano, Palestina eIsraele per valutare la situazione in particolare per quanto riguarda le condizioni umanitarie epolitiche.

 

Visita in Libano del Presidente del Parlamento europeo e della Commissione europea

Il Presidente del Parlamento europeo, Josef Borrell, si è recato in Libano il 14 e 15 settembre 2006 per ribadire l’impegno politico dell’Unione europea per una pace durevole in Libano e nel medio Oriente. Ha richiamato a tale proposito la risoluzione adottata all’unanimità dal Parlamento europeo il 7 settembre scorso in cui si ricorda che non può esserci una soluzione militare al conflitto, che vi è la necessità di considerare il processo di pace in Medio Oriente una priorità politica internazionale.

 

La Commissione europea si è recata per una missione di 15 giorni allo scopo di valutare rapidamente le necessità in termini di infrastrutture, energia, acqua, trasporti e, più in generale, per favorire lo sviluppo economico e sociale.

La Commissione europea ha stanziato una somma di 42 milioni di euro finalizzati a fornire:

·         un’assistenza tecnica al Governo nel processo di ricostruzione (10 milioni di euro);

·         un supporto al progetto globale in favore dello Stato di diritto e del miglioramento della sicurezza interna (4 milioni di euro);

·         un sostegno all’iniziativa privata per il rilancio dell’economia (18 milioni di euro);

·         un’ulteriore somma (10 milioni di euro) per necessità prioritarie individuate dal governo libanese.

Ulteriori risorse sono state stanziate per aiuti umanitari.

 




[1]    Si ricordano, al proposito: gli Accordi su Hebron del 1997; l’Accordo di Wye Plantation del 1998, che prevedeva un parziale ritiro di Israele dalla Cisgiordania in cambio del disarmo di gruppi armati palestinesi; il Memorandum di Sharm el Sheikh del 1999; i complessi negoziati di Camp David del 2000 che, conclusisi con un nulla di fatto, sono stati seguiti da una proposta di mediazione del  Presidente Clinton. E, ancora, si ricordano il piano proposto dalla Commissione Mitchell e quello del direttore della CIA, Tenet (entrambi del 2001), nonché il Piano proposto dal ministro degli esteri tedesco Fischer.

[2]  Le riserve sono contenute in un documento assai dettagliato apparso il 27 maggio 2003 sulla stampa israeliana: in 14 punti vengono riassunte le questioni principali che per Israele si connettono inscindibilmente all'attuazione della Road map. In sintesi, il documento richiama l'attenzione sul fatto che non si potrà passare ad una nuova fase senza il totale completamento della precedente. In ambito palestinese dovrà emergere e consolidarsi una dirigenza del tutto nuova, che si coordini con Israele nel processo di consolidamento democratico. Mentre il monitoraggio sui progressi della Road map dovrà essere controllato dagli USA, lo Stato provvisorio palestinese scaturirà da negoziati tra le due Parti, e in nessun caso potrà avere proprie Forze Armate, né concludere Accordi a carattere militare, e i suoi confini e lo spazio aereo saranno controllati da Israele. I futuri Accordi definitivi saranno negoziati direttamente tra le Parti, e dovranno contenere il riconoscimento all'esistenza di Israele quale Stato ebraico, nonché la rinuncia al ritorno dei profughi nel suo territorio.

[3]    Abu Mazen è il primo presidente palestinese nominato sulla base dell'esito di una tornata elettorale (9 gennaio 2005).

[4]    Il 31 agosto 2006 si è tenuta a Stoccolma la conferenza dei paesi donatori che si è conclusa con un impegno complessivo che supera i 940 milioni di dollari.  Secondo il documento finale della conferenza, questo importo, unito ai contributi a vario titolo ricevuti dal Libano precedentemente, porta ad un totale di oltre 1,2 miliardi di dollari la cifra disponibile messa a disposizione per la ricostruzione del paese. La prossima conferenza dei donatori è prevista per il mese di gennaio 2007.

[5]    La tesi sostenuta anche dal Governo italiano - che si era pronunciato  a seguito della notizia che gli Stati Uniti avevano fatto ricorso a bombe al fosforo bianco MK 77 in Iraq nel 2003 - secondo la quale il fosforo bianco sia da considerarsi invece un’arma chimica, è risultata minoritaria.

[6]    Sulla base di un accordo raggiunto a dicembre 2004 dal Comitato di cooperazione doganale UE-Israele, a partire dal 1° febbraio 2005 è stato disposto che le dichiarazioni su fattura e i certificati di circolazione emessi in Israele rechino indicazione della zona di origine del prodotto. L’intento è quello di individuare i prodotti che provengono dai territori che dal 1967 sono sotto il controllo dell’amministrazione israeliana. Tali prodotti secondo l’Unione europea non sono ammessi a beneficiare del trattamento tariffario preferenziale previsto dall’accordo di associazione UE-Israele.

[7]    Il reddito pro-capite stimato per il 2002 a circa 15.600 euro per abitante pone Israele tra le 25 maggiori economie mondiali.

[8]    A partire dal 1996, il programma MEDA è stato il principale strumento finanziario dell'Unione europea per sostenere l'attuazione del partenariato euromediterraneo. A partire dal 2007, nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, l’assistenza ai paesi del partenariato euromediterraneo verrà fornita attraverso uno nuovo strumento, denominato strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata. Tale strumento sostituirà i programmi geografici e tematici esistenti, compreso il programma MEDA. Il regolamento istitutivo del nuovo strumento è stato approvato dal Consiglio del 17 ottobre 2006, a seguito di un accordo raggiunto con il Parlamento europeo in prima lettura. Il nuovo strumento disporrà di una dotazione finanziaria di 11 miliardi di euro per l’intero periodo.

[9]     Due accordi precedenti del 1996 e del 1999 hanno associato Israele al quarto e al quinto programma quadro. Si segnala che Israele è stato il primo paese non europeo ad essere associato ai programmi quadro comunitari, in virtù del suo elevatissimo livello di competenza scientifica.

[10]    Negoziati per un’ulteriore liberalizzazione degli scambi nel settore agricolo dovrebbero aver luogo alla fine del 2005.

[11]   Dal 9 all’11 novembre 2005 il Commissario per le relazioni esterne e la politica di vicinato, Ferrero Waldner, si è recata in visita in Israele e nei Territori palestinesi e ha incontrato, tra gli altri, il Primo ministro israeliano, Ariel Sharon, e il Presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen. La visita giunge a pochi giorni di distanza dall’accordo di principio espresso dall’Unione europea in merito alla richiesta avanzata da entrambe le parti di garantire la presenza di osservatori alla frontiera di Rafah tra striscia di Gaza ed Egitto. La decisione è stata presa dal Consiglio del 7 novembre 2005 che, nella medesima occasione, ha deciso di avviare una missione di polizia nei territori palestinesi nel quadro della politica europea in materia di sicurezza e difesa.

[12]   Marc Otte è stato nominato Rappresentante speciale dell'UE per il processo di pace in Medio Oriente il 14.07.2003 (Azione comune 2002/965/PESC). Il mandato del rappresentante speciale si basa sugli obiettivi politici dell’UE nei confronti del processo di pace in Medio Oriente, che includono una soluzione che preveda due Stati, Israele e uno Stato di Palestina democratico, vitale, pacifico e sovrano, che vivano fianco a fianco all'interno di frontiere sicure e riconosciute e intrattengano normali relazioni con i paesi limitrofi, conformemente alle risoluzioni 242, 338, 1397 e 1402 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ai principi della conferenza di Madrid. Il mandato di Marc Otte scade il 28 febbraio 2007.

[13]   I membri del Quartetto sono: USA, Russia, ONU e UE. L’ultima riunione del Quartetto si è tenuta a Londra il 1° marzo 2005, in occasione della Conferenza internazionale organizzata dal Governo britannico a sostegno dell’Autorità palestinese.

[14]   Tale obiettivo è stato ribadito, da ultimo, nella dichiarazione del 5 aprile 2005, con la quale la Presidenza dell’UE ha espresso la propria preoccupazione in merito ai piani di nuove  costruzioni nei territori occupati recentemente annunciati dalle autorità israeliane.

[15]   Della Task force fanno parte, oltre all’UE, Stati Uniti, Russia, Nazioni Unite, Norvegia, Giappone, Canada, Banca mondiale e Fondo monetario internazionale.

[16]   Tra il novembre 2000 e la fine del 2002 la Commissione europea ha fornito assistenza finanziaria in forma di aiuto diretto al bilancio palestinese. Nel 2003 l’Ufficio europeo antifrode (OLAF) ha avviato un’indagine per verificare se tali fondi siano stati utilizzati per finanziare attività illegali o attacchi terroristici. Il 17 marzo 2005, a conclusione dell’indagine, l’OLAF ha reso noto che non vi sono prove del collegamento tra fondi dell’UE e terrorismo.

[17]   Analoga somma è stata stanziata per il 2003.

[18]   La somma totale è stata così suddivisa: 89 milioni di euro all’UNWRA; 29 per aiuti umanitari e circa 10 per aiuti alimentari attraverso il Programma alimentare mondiale e le organizzazioni non governative; 65 milioni al Reform Trust Fund istituito dalla Banca mondiale nell’aprile 2004 con l’obiettivo di migliorare la gestione delle finanze pubbliche; 22,75 milioni di euro a sostegno dei servizi sociali; 7,5 al Programma di partenariato europeo per la pace; 5 milioni di euro per assistenza tecnica all’Autorità palestinese nelle aree chiave della riforma. 1 milione di euro al programma TEMPUS sull’educazione universitaria.

[19]   La dichiarazione della Commissione, che risale al 9 febbraio 2005, viene immediatamente dopo la visita in Medio Oriente del Commissario per le relazioni esterne e la politica di vicinato, Benita Ferrero Waldner, e la dichiarazione di cessate il fuoco rilasciata da israeliani e palestinesi a Sharm el Sheikh.

[20]   Bielorussia, Moldova, Ucraina.

[21]   Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia.

[22]   Armenia, Azerbaigian e Georgia.

[23]   Nella comunicazione (COM (2004) 487) sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, adottata il 14 luglio 2004, la Commissione ha avanzato la proposta di semplificare drasticamente gli strumenti finanziari attraverso i quali l’UE realizza le attività di assistenza esterna. In tale contesto, il 29 settembre 2004 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM(2004) 628) che istituisce uno strumento europeo di vicinato e di partenariato. Tale proposta è stata modificata dalla Commissione il 24 maggio 2006 (COM(2004) 628/2) sulla base dell’accordo interistituzionale raggiunto da Commissione, Consiglio e Parlamento europeo il 17 maggio 2006 sulle prospettive finanziarie 2007-2013. La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata il 6 luglio 2006 in prima lettura dal Parlamento europeo.

[24]    Sono in vigore: gli accordi euromediterranei di associazione con Tunisia (1° marzo 1998), Marocco (1° marzo 2000), Israele (1° giugno 2000), Giordania (1° maggio 2002),Egitto (1° giugno 2004), Algeria (1° settembre 2005) e Libano (1° aprile 2006); l’accordo interinale d’associazione sugli scambi e la cooperazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina a vantaggio dell’Autorità palestinese (1° luglio 1997); gli accordi di partenariato e cooperazione con Armenia, Azerbaigian, Georgia (1° luglio 1999), Moldova e Ucraina (1° luglio 1998).

[25]    I piani d’azione, negoziati tra la Commissione e le autorità del singolo paese, devono essere approvati dal Consiglio e in seguito sottoscritti dai rispettivi consigli di associazione o di cooperazione istituiti dagli accordi bilaterali

[26]    La decisione di negoziare i piani d’azione è stata già presa dal Consiglio nel dicembre 2004.

[27]    SEC (2005) 1521.

[28]    Il meccanismo comunitario per la protezione civile, istituito con decisione 2001/792/CE, Euratom, è inteso a consentire una cooperazione degli interventi di assistenza nella protezione civile.

[29]   Gli “accordi di Ta’if” furono firmati nel 1989 in occasione di una conferenza che si svolse nella località saudita di Ta’if sotto l’egida della commissione tripartita della Lega araba composta da Marocco, Algeria ed Arabia Saudita. In quell’occasione i paesi arabi intervenuti mediarono per la riscrittura della costituzione libanese e si diede il via libera alla presenza di truppe siriane in Libano che avrebbero dovuto accompagnare i tre anni di consolidamento del paese per poi ritirarsi in accordo con il governo libanese. In realtà le truppe siriane sono rimaste in Libano fino a quando le pressioni internazionali non le hanno costrette al ritiro in base alla risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza dell'ONU presentata da Francia e Stati Uniti nel 2004.

[30]   Comunicato stampa S227/06 del 12 agosto 2006, a cura del Consiglio dell’Unione europea.

[31]   Comunicato stampa S228/06 del 13 agosto 2006, a cura del Consiglio dell’Unione europea.

[32]   Comunicato stampa 292/2006, a cura della Presidenza finlandese dell’UE.

[33]    Il “meccanismo internazionale temporaneo” è stato istituito dalla Commissione europea in seguito alla richiesta formulata in tal senso dal Quartetto e dal Consiglio il 9 maggio 2006. Il meccanismo, inteso a convogliare l'assistenza direttamente al popolo palestinese, ha una durata nel tempo limitata a tre mesi e prevede interventi in tre settori: i servizi sanitari, i servizi collettivi di zona e i sussidi sociali.