Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 122 dell'8/3/2007
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(Iniziative per consentire ai soggetti affetti da favismo di svolgere servizio nelle Forze armate - n. 2-00386)

PRESIDENTE. L'onorevole Sanna ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00386 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).

EMANUELE SANNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, con questa interpellanza, insieme ad alcuni colleghi deputati del gruppo de L'Ulivo, abbiamo inteso riproporre all'attenzione del Governo e, in particolare, dei ministri della difesa e della salute un problema molto serio già affrontato dal Parlamento nelle precedenti legislature, al quale purtroppo per l'inerzia e per la sordità delle istituzioni competenti non si è data finora una soluzione ragionevole.
Signor Presidente, mi riferisco al persistente e ingiustificato atteggiamento delle autorità sanitarie militari che applicano in maniera rigida e molto discutibile una norma che esclude dall'arruolamento e dalla progressione di carriera nelle Forze armate molte migliaia di cittadini italiani portatori sani di una condizione genetica assolutamente compatibile con un normale stato di salute e assolutamente non pregiudizievole della piena idoneità psichica e fisica per qualsiasi attività lavorativa. La condizione genetica in questione è rappresentata da una carenza nei globuli rossi di un'enzima (glucosio-6-fosfato-deidrogenasi), meglio conosciuta con il nome di favismo. Questa carenza si trasmette ereditariamente attraverso i cromosomi sessuali, non rappresenta una condizione patologica, non è in alcun modo una malattia, non pregiudica né la durata della vita né la piena efficienza fisica.
Signor Presidente, con cognizione di causa aggiungo che l'enzimopenia di cui


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stiamo parlando non è un handicap ed ancor meno un'imperfezione o un'infermità, che è causa di inidoneità al servizio militare, come purtroppo è stato irresponsabilmente scritto nel decreto del ministro della difesa del 26 marzo 1999. Che non sia una malattia o un fattore di disabilità è dimostrato in maniera incontrovertibile dal fatto che questa condizione genetica riguarda 400 milioni di esseri umani nel mondo e ben 400 mila cittadini del nostro Paese, cioè una moltitudine di donne e di uomini, di ogni età e di ogni condizione sociale, che sono perfettamente sani ed inseriti nella vita sociale e produttiva anche nel nostro Paese.
Signor Presidente e signor sottosegretario, se si effettuasse un banale test ematologico tra gli oltre 600 componenti di questa Assemblea, si scoprirebbe che vi è una buona percentuale di enzimopenici, o fabici, anche tra i rappresentanti del Governo della Repubblica. Lo stesso accadrebbe tra i dipendenti della Camera dei deputati, tra quelli del Senato, dei ministeri, delle Forze armate e delle aziende pubbliche e private del nostro Paese. Sono 400 mila i cittadini italiani portatori di questa condizione genetica.
Essa è diffusa soprattutto in Africa, ma anche nell'Asia meridionale e nel bacino del Mediterraneo. In Italia, l'incidenza più alta del favismo si registra in Sardegna, in Calabria, in Sicilia, nelle regioni meridionali nonché nelle ex zone paludose del Veneto e del delta del Po. La diagnosi di questa condizione si ottiene attraverso il dosaggio dell'enzima nei globuli rossi, tramite un banale esame ematologico, ma - insisto - non è una malattia.
Tale condizione genetica, anzi, attraverso i secoli ed i millenni (così dicono gli studiosi della materia, tra cui i più illustri ematologi italiani e della comunità scientifica internazionale) è stata persino fattore protettivo verso alcune patologie infettive diffusive che hanno decimato la popolazione mondiale, come ad esempio la malaria, che purtroppo continua ad essere ancora oggi una piaga in molte parti del mondo. Essa ha avuto una funzione selettiva positiva persino per la durata della vita degli esseri umani. Un recente studio della facoltà di medicina dell'Università di Sassari, ad esempio, ha dimostrato che gli ultracentenari che abbondano sulla mia isola per il 50 per cento sono portatori sani di questa condizione genetica.
Se questo è il parere unanime della comunità scientifica, noi chiediamo al Governo i motivi per cui l'enzimopenia è causa di esclusione, di penalizzazione e di congedo forzoso e spesso crudele per quei cittadini italiani, in prevalenza giovani e meridionali, che vogliono arruolarsi e realizzarsi come lavoratori delle Forze armate del nostro Paese. Considero assurda ed intollerabile questa situazione. Lo affermo come parlamentare, come medico e come cittadino di un Paese civile e democratico.
Signor Presidente, la refrattarietà della sanità militare rispetto a tutte le sollecitazioni della comunità scientifica ed anche di quelle istituzionali, ripetutesi nel corso delle ultime legislature, a noi appare assai preoccupante ed assolutamente ingiustificata. La casistica delle discriminazioni e delle ingiustizie perpetrate e subite è allarmante in questo settore ed anzi, negli ultimi mesi e negli ultimi anni, vi è stato un incomprensibile inasprimento.
Signor Presidente, mi duole dirlo in quest'aula e di fronte ai rappresentanti di un Governo che sostengo con la massima convinzione, tuttavia, mi trovo nella condizione di dover proteggere con la riservatezza centinaia di militari in servizio che rischiano il licenziamento o una pesante penalizzazione professionale solo perché, pur essendo portatori sani di questa condizione genetica, sono riusciti in passato a trovare un posto di lavoro attraverso un'incolpevole e benevola distrazione o un comportamento sensato delle commissioni mediche locali rispetto a questa incredibile disposizione della normativa nazionale.
Assieme con gli altri colleghi presenterò una proposta di legge per correggere, con una norma chiara del Parlamento, questa assurda disposizione. Infatti, non possiamo assolutamente ulteriormente tollerare questa situazione. Nell'interpellanza, con il consenso dell'interessato, noi citiamo


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il caso emblematico, cari colleghi, onorevole Presidente, di un giovane carrista sardo, Pasquale Piredda, della Brigata Sassari, il quale è stato licenziato dopo tre anni e mezzo di diligente e qualificato servizio perché portatore di questa condizione genetica. Il ricorso di questo giovane cittadino ed esemplare militare è attualmente all'esame del competente Tribunale amministrativo regionale. Tuttavia, la casistica è molto più ampia ed impressionante.
Onorevole sottosegretario, nelle Forze Armate e nelle forze dell'ordine, ci sono centinaia di dipendenti addetti a mansioni delicate ed usuranti, di grande responsabilità (piloti, elicotteristi, paracadutisti, addetti alle scorte, all'antiterrorismo, ai servizi di pronto intervento): centinaia di donne e uomini in divisa, portatori sani della carenza enzimatica, che vivono con la spada di Damocle del declassamento o del licenziamento e spesso costretti ad una condizione frustrante di blocco professionale, anche quando hanno tutti i requisiti tecnici e culturali, con curricula esemplari, ed anche quando superano brillantemente i severi controlli sanitari annuali per documentare la loro idoneità fisica.
Questa situazione a nostro giudizio non è ulteriormente procrastinabile.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, ha facoltà di rispondere.

MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. L'atto in discussione prende spunto dalla vicenda, richiamata dall'onorevole Sanna, del caporalmaggiore Pasquale Piredda, il quale è stato posto in congedo in quanto riscontrato portatore dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PDH), per affrontare, più in generale, la questione della previsione normativa che impedisce l'accesso alle Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, ai soggetti carenti - in forma parziale o totale - dell'enzima G6PDH nei globuli rossi, condizione altrimenti detta «favismo».
Al fine di inquadrare la delicata e complessa problematica in argomento, si reputa opportuno fornire preliminarmente alcune indicazioni di ordine tecnico, anche se credo che non servano certamente all'onorevole Sanna. L'enzima citato è essenziale per la vitalità funzionale degli eritrociti, soprattutto per i processi ossidoriduttivi che in essi si svolgono, legati alla loro capacità di assumere e veicolare ai tessuti l'ossigeno indispensabile alle funzioni vitali. La carenza di tale enzima provoca un'improvvisa distruzione dei globuli rossi e quindi la comparsa di grave anemia emolitica, con ittero quando il soggetto che ne è affetto ingerisce fave, piselli, varie droghe vegetali o alcuni farmaci con diverse applicazioni terapeutiche (antimalarici, analgesici, antipiretici, antibiotici, chemioterapici), ovvero si espone al contatto di essi o di alcune sostanze (alcune anche di uso comune), che agiscono da fattori scatenanti in quanto inibiscono l'attività della G6PDH eritrocitaria, impoverendo ulteriormente i globuli rossi, che sono già carenti dell'enzima. La malattia vera e propria si manifesta in modo improvviso e nei casi più gravi circa la metà dei globuli rossi viene distrutta. Il favismo in fase acuta è infatti un evento morboso piuttosto pericoloso, in quanto l'anemizzazione può essere rapida e drammatica, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza del soggetto.
Dopo questa digressione, passiamo ora ad esaminare la specifica questione posta dagli onorevoli interpellanti. L'accertamento dell'idoneità al servizio militare è disciplinato dal decreto ministeriale 4 aprile 2000, n. 114 (regolamento recante norme in materia di accertamento dell'idoneità al servizio militare), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 maggio 2000, n. 107. Nel caso specifico, l'elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, allegato al regolamento, prevede al punto 2, lettera d) anche - cito testualmente - «i difetti quantitativi o qualitativi degli enzimi, trascorso, ove occorra, il periodo di inabilità temporanea».
La successiva direttiva tecnica applicativa, a cura della competente direzione generale della sanità militare, pubblicata


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con decreto 5 dicembre 2005 sulla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2005, n. 300, precisa che il «deficit anche parziale di G6PDH è causa di non idoneità al servizio militare».
La crisi di favismo, come già detto, può degenerare rapidamente in crisi emolitica, con possibili conseguenze anche letali, qualora non si intervenga prontamente con ricovero ed adeguata terapia ospedaliera.
Appare evidente, quindi, come tale manifestazione patologica, spesso non nota al portatore, possa mettere a rischio anche l'incolumità del soggetto, oltre a provocare reazioni impreviste ed improvvise, che risultano incompatibili con situazioni di impiego del militare.
È noto, infatti, che il servizio nelle Forze armate comporta, in molti casi, lo svolgimento di attività, per periodi di tempo di durata variabile, in aree con particolare rischio di contrarre malattie infettive o parassitarie, per cui sono necessarie misure di profilassi o trattamenti farmacologici riconosciuti quali pericolosi per i soggetti carenti di G6PDH.
Al tempo stesso, potrebbero verificarsi difficoltà ai fini di uno stretto controllo sulla dieta e nell'accesso ai servizi ospedalieri.
Parimenti sarebbe estremamente difficile impedire l'esposizione dei fabici a fattori per loro di grave rischio, circostanza che, in caso di conseguenze negative sulla salute degli interessati, potrebbe comportare, oltre che responsabilità morali in capo alle autorità di comando e sanitarie militari, anche possibili contenziosi giudiziari.
Pertanto, ai fini dell'arruolamento per il servizio militare, appare evidente la necessità - sotto il profilo medico-legale - da un lato, dell'accertamento preventivo dell'eventuale carenza dell'enzima G6PDH a cura delle strutture sanitarie militari competenti e, dall'altro, una volta stabilita la sua esistenza, quale diretta conseguenza, di un provvedimento di inabilità permanente al servizio militare del soggetto interessato, a causa dell'impossibilità a prestare servizio in condizioni di sicurezza e di tutela della salute.
Va osservato, infatti, che tale giudizio, lungi dall'avere un carattere discriminatorio nei confronti dei soggetti fabici, costituisce un chiaro strumento di tutela nei loro confronti, perché li mette al dovuto riparo da tutte le situazioni di possibili rischi per la loro salute.
In sintesi, la condizione di portatore del difetto enzimatico in questione può tramutare, inaccettabilmente sotto il profilo giuridico e deontologico medico, un ipotetico rischio generico di malattia complicata in una serie di fattori di rischio per la vita se trasferita in ambito militare e quindi deve postulare - a salvaguardia dell'interessato e per scongiurare tali rischi - il giudizio di inabilità.
Nelle suesposte considerazioni risiede pertanto la ratio della norma di riferimento, per quelle parti in cui vengono prese in considerazione condizioni patologiche, o potenzialmente tali, come quella in esame, dal momento che nel servizio militare può ritenersi ragionevolmente individuabile un rischio professionale operativo cui potrebbe essere esposto un soggetto fabico.
La previsione normativa in questione - sostanzialmente negativa sulla possibilità di accedere al servizio militare continuativo, da parte dei portatori del difetto in causa, in forza del rischio immanente per essi di subire una crisi emolitica fatale per grave anemizzazione incontrollata e incontrollabile - si fonda su elementi incontroversi di tutela della salute, di garanzia di piena operatività dello strumento militare in ogni sua componente e infine di tutela della stessa catena di comando ed è confortata dal sostegno delle più accreditate e accettate teorie etiopatogenetiche e cliniche espresse dai massimi esperti del settore specialistico in questione.
Con riferimento, in ultimo, al richiamato aspetto riguardante il fatto che nelle forze di pubblica sicurezza (come la Polizia di Stato ed i vigili del fuoco) operano dipendenti portatori della carenza enzimatica su base genetica senza alcun pregiudizio della loro idoneità professionale, il ministro dell'interno ha opportunamente chiarito che le differenti disposizioni in


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merito alla selezione per l'accesso nella Polizia di Stato (il giudizio di idoneità non contempla l'accertamento circa la carenza del G6PDH) trovano una loro ratio nelle diverse tipologie di impiego del personale militare, cui è richiesta un'idoneità incondizionata che permetta di fronteggiare ogni tipo di servizio, ivi comprese le missioni all'estero.
Il citato dicastero ha osservato, infatti, che il personale della Polizia di Stato è impiegato, di norma in attività di servizio sul territorio nazionale e, comunque, quando emerge l'esigenza di svolgere particolari servizi all'estero, esso è sottoposto ad accertamenti sanitari di secondo livello.
Allo stesso tempo, detto Ministero ha consentito che - per quanto riguarda, invece, il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il disposto di cui all'articolo 2, comma 1, lettera r), del decreto ministeriale 3 maggio 1993 n. 228, recante il «Regolamento concernente i requisiti fisici ed attitudinali, per l'accesso nelle qualifiche dell'area operativa tecnica del Corpo nazionale dei vigili fuoco» - preveda che le enzimopatie eritrocitarie costituiscano, tra l'altro, cause di non idoneità ai concorsi di accesso nei profili di vigile del fuoco e di assistente tecnico antincendi dell'area operativa tecnica.
Ciononostante, il Ministero della difesa, comunque, continuerà nell'esame di approfondimento degli aspetti medico-clinico-biologici della tematica in questione, per individuare una soluzione nel senso indicato dagli interpellanti.
In tale ottica, il ministro della difesa, onorevole Parisi, ha disposto la costituzione di una commissione scientifica composta da eminenti personalità, che entro il 31 luglio 2007 dovrà studiare, sotto il profilo medico-scientifico e giuridico, la compatibilità dell'enzimopatia da deficit di G6PDH, anche parziale, con lo svolgimento, da parte dei soggetti affetti da tale carenza, delle attività connesse con l'espletamento del servizio militare professionale.

PRESIDENTE. L'onorevole Sanna ha facoltà di replicare.

EMANUELE SANNA. Signor Presidente, ringrazio caldamente il sottosegretario Tononi per la diligente risposta data alla nostra interpellanza. Lo ringrazio, in particolare, per il ruolo di supplenza che ha dovuto svolgere nei confronti del ministro della difesa e in sostituzione, all'ultimo momento, del sottosegretario per la difesa Giovanni Forcieri, per sopraggiunti e pressanti impegni istituzionali, dei quali sono stato gentilmente informato qui in aula, dopo che, per la verità, il sottosegretario Forcieri ha partecipato puntualmente a questa seduta del Parlamento.
Nel merito, mi dichiaro soddisfatto molto parzialmente, perché la risposta, accoratamente scritta con il contributo, sicuramente, dei massimi esponenti della sanità militare del Ministero della difesa, purtroppo conferma completamente le nostre preoccupazioni e le nostre perplessità.
Vedo un solo punto di luce, signor Presidente, in questa risposta, ossia che finalmente il Ministero della difesa accede ad una reiterata richiesta di costituire una commissione tecnica medico-scientifica per dirimere la questione che, le assicuro, seguo con alte responsabilità professionali e istituzionali da molti decenni come pediatra, in quanto ho fatto migliaia di test per accertare la condizione genetica nei bambini sardi della enzimopenia e, anche sul piano clinico, come medico, in quanto ho curato nei reparti e negli ospedali della Sardegna centinaia di casi di crisi emolitica da favismo.
Sembrava che questo problema, dieci o quindici anni fa, per quanto riguarda l'idoneità al lavoro, qualsiasi tipo di lavoro e, in particolare, il servizio delle Forze armate e il servizio militare, fosse stato ragionevolmente e definitivamente risolto.
Non si capisce perché, invece, sia stata reintrodotta questa normativa così penalizzante, rigida e - insisto - così ascientifica, perché non c'è istituzione, non c'è un rappresentante autorevole e qualificato della comunità scientifica che possa equiparare la condizione genetica ad uno stato di malattia.
Si continua pericolosamente, dannosamente, per i nostri giovani in cerca di


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lavoro, a confondere la condizione genetica con la malattia, mentre sappiamo bene cos'è la crisi emolitica: essa si scatena in un numero limitatissimo di casi, con un'incidenza di 1 a mille, al massimo, nei portatori della enzimopenia, quando il soggetto mangia fave o assume dei farmaci il cui elenco è assolutamente conosciuto e del quale vengono informati i genitori di ogni bambino italiano appena nasce. Lo screening neonatale, infatti, prevede ormai l'accertamento di questa condizione per tutti i nuovi nati e in tutti i punti nascita del nostro paese.
Vi sono 400 mila italiani e 401 milioni di esseri umani nel mondo, che, informati sul fatto che non devono ingerire quelle sostanze alimentari e quei farmaci, sono perfettamente sani e vivono a lungo e felici. Purtroppo, con questa normativa assurda, che permane per le Forze armate nel nostro paese, non si tutela la salute, come ha detto poc'anzi nella risposta scritta il nostro sottosegretario, che ringrazio nuovamente e sentitamente. Tale normativa mette al riparo questi soggetti non da una malattia, ma dal rischio e dal diritto di lavorare.
Per questa ragione, non possiamo che dichiararci insoddisfatti e attendiamo fiduciosi, ma vigili, le conclusioni della commissione tecnico-scientifica.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sanna, per aver portato all'attenzione del Parlamento un problema che non è molto noto. Questo dialogo è stato molto interessante. So che il Presidente non dovrebbe intervenire, ma in questo caso mi pare che non si tratti di una questione che discrimina fra maggioranza ed opposizione.

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