Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 44 del 28/9/2006
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(Interventi)

PRESIDENTE. Diamo ora inizio agli interventi dei rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per dodici minuti ciascuno.
Com'è avvenuto in altre occasioni, la Presidenza ha consentito lo scambio di turno tra i gruppi, in particolare tra i gruppi di Rifondazione Comunista e dell'Ulivo, secondo le intese intercorse tra i medesimi.
Ha chiesto di parlare il deputato Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, in questi giorni sulla vicenda Telecom abbiamo assistito per lungo tempo ad una discussione surreale. Quella vicenda, come lei qui ci ha spiegato, ci parla della politica industriale del nostro paese, ci parla del possibile interesse di intervento pubblico su un'azienda di rilievo strategico, ci parla del futuro di una consistente parte del mondo del lavoro.
Signor Presidente, sono circa 84 mila i lavoratori che il 3 ottobre sciopereranno, perché sono fortemente preoccupati per il loro futuro, e 200 mila quelli che lavorano per l'indotto. Per questo, è giusto che il Parlamento ne discuta con grande rilievo e ai massimi livelli. È di loro che noi ci stiamo occupando in questo preciso momento!
Ma dall'opposizione abbiamo avuto chilometri di polemica, tutta interna alla separatezza di una certa politica. Anche qui ne abbiamo avuto qualche assaggio nelle ripetute interruzioni, ma una politica tutta tesa a guardare dal buco della serratura è una politica che non ci fa fare un passo in avanti nelle scelte di fondo del nostro paese; peraltro, era tesa a guardare dal buco della serratura mentre emergeva un sistema di controllo che inquinava le nostre vite e la nostra stessa democrazia.
Torna alla mente, signor Presidente del Consiglio, la vecchia massima di Confucio: «Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito». Eppure sarebbe meglio per tutti noi, per tutti noi che siamo in questo Parlamento, smettere di osservare ossessivamente il dito, perché emergono questioni che investono la nostra responsabilità collettiva.
Qualche giorno fa, signor Presidente del Consiglio dei ministri, Tronchetti Provera ha parlato in una conferenza stampa di una zona grigia, molto larga, che coinvolge la politica tutta, non una parte di essa. Ha parlato di un coinvolgimento del Parlamento, non solo del Governo; ha parlato di un coinvolgimento di tutta la magistratura, un carico di responsabilità rigettate inquietantemente su noi tutti, al fine di un'autoassoluzione che non risponde al seguente quesito: perché le dimissioni?
È bene dirlo subito: questa è una grande azienda ad interesse nazionale (esattamente come lei si espresse, signor Presidente del Consiglio dei ministri); un bene comune l'abbiamo definita noi nel programma dell'Unione. Essa investe un settore nevralgico e strategico per il paese, parla del nostro domani produttivo. Non dovremmo occuparcene? Dovremmo disinteressarci di quei lavoratori che il 3 ottobre sciopereranno? Dovremmo stare alla larga e lasciare fare al mercato, come da qualche parte, insistentemente, abbiamo ascoltato in questi giorni, a cominciare dal presidente della Confindustria (Una voce dai banchi dei deputati del gruppo di Forza Italia: Da Prodi!)? Il che non significa sostituirci, come qui è stato detto, alle scelte, singole e specifiche, dell'azienda.
In Europa, colleghi, la presenza pubblica nel settore è più rilevante che in Italia: Francia e Germania hanno il 33 per cento di presenza pubblica, la Gran Bretagna di Tony Blair, che tanto piace al


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capitalismo nostrano, ha il governo e l'indirizzo pubblico delle reti; non può che essere così!
Noi stiamo ai fatti e i fatti ci dicono che il piano dell'11 settembre - data nevralgica, diciamo così - del consiglio di amministrazione è stato respinto, ed è stato respinto dai mercati, dagli investitori, ma anche dai lavoratori, che si sentono minacciati nella loro stabilità occupazionale.
La vendita di TIM - la cui complementarietà con Telecom un anno fa era sta ritenuta strategica dalla direzione dell'azienda - è stata ora sconfessata dallo stesso Guido Rossi.
Signor Presidente, penso che oggi siamo al saldo di una modalità della politica delle privatizzazioni nel nostro paese. Assieme al mio gruppo e al mio partito, ritengo che quelle modalità non abbiano garantito l'occupazione, la qualità dei servizi, la riduzione dei costi ed un'adeguata competizione nello scenario globale (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
Ci sono delle domande che spesso si fanno fuori dal Parlamento, noi vogliamo farle qui: quanto è costato a Tronchetti Provera l'acquisto di Telecom? Mi piacerebbe e piacerebbe a tutti noi saperlo. Gli unici dati disponibili, gli unici che ho trovato, sono quelli di Mucchetti, un economista e collaboratore di un noto ed importante quotidiano. Egli li propone in un suo libro: le uniche risorse sono, se non ricordo male, 153 mila euro. Se avessimo fatto una colletta, avremmo potuto comprare anche noi del nostro gruppo!
Mercato? Concorrenza? Ma quale politica dovrebbe stare alla larga dal mercato? Quella che fa gli interessi dei lavoratori, quella che fa gli interessi del paese o quella che permette disinvolte operazioni finanziarie? La cronaca parla di acquisto della Telecom con 39 miliardi di debito: in questi cinque anni si vendono partecipazioni e tecnologie in altre aziende telefoniche per 15 miliardi di euro. Oggi mi piacerebbe sapere a quanto ammonta il debito, ma non è dato saperlo. A 41, a 45 o a 51 miliardi, come qualcuno fa intendere?
Fatto sta che, a debito crescente, si sono ripetutamente divisi i dividendi. Sono proprio forti, Presidente del Consiglio: a noi chiedono di ridurre il debito dello Stato, quando tocca a loro aumentano il debito per fare profitti! Da che pulpito ci viene la predica del rigore (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e di deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
Per questo, dobbiamo intervenire non sulla struttura finanziaria piramidale che sovrasta Telecom, ma, al contrario, nel merito, esprimere la nostra opinione sul piano industriale, intervenendo, a nostro modo di vedere, signor Presidente del Consiglio, sul governo, sul controllo, sull'indirizzo pubblico delle reti. D'altronde, la rete in mano ai privati consente un aumento esponenziale della possibilità di intrusione nella vita privata e nei gangli democratici. Non esiste la possibilità di una rete sicura: è a prova di intrusione o è manipolazione, ma se la rete è in mano ai privati, la tendenza ad usarla sarà connessa alla sua stessa potenzialità e pervasività tecnologica. Ci sono atti del Parlamento europeo che parlano di disinvolte reti di spionaggio che controllano l'intera filiera della comunicazione e queste informazioni sono archiviate ed usate costantemente, sotto il profilo economico, alterando la concorrenza, e politico, ma anche sotto il profilo sociale, controllando il sistema del lavoro e la vita dei lavoratori.
In Italia, una parte consistente di capitalismo si caratterizza per la brillante capacità di non rischiare capitali propri. Per stare alla Telecom, Presidente del Consiglio, nel 1997 la FIAT aveva il controllo con l'1 per cento, nel 1999 Gnutti e Colaninno acquistavano a debito, dei giorni nostri ho già avuto modo di dire. Recentemente, su altro capitolo delle privatizzazioni, quello delle autostrade, rischiamo la farsa prima ancora che la beffa. Benetton acquista la società di gestione delle autostrade, non fa investimenti, come pure era vincolato a fare, e dopo un po' vuole vendersi la rete: piccolo


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particolare, quella roba lì non è roba sua, ma è roba nostra! Siamo al classico, Totò con la fontana di Trevi (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo, dell'Italia dei Valori, dei Verdi e de La Rosa nel Pugno)!
Emerge il bisogno di una svolta nella politica industriale. Inseguendo l'egemonia persino culturale del profitto dell'impresa, si è rischiato di portare questo paese in un vicolo cieco, facendolo competere, si fa per dire, sui prezzi e sulla riduzione del costo lavoro. Bassi salari, bassi livelli formativi, scarsa innovazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro sinora sono state la forma concreta della politica industriale di questo paese. Bisogna cambiare il paradigma, investire sulla ricerca, sull'innovazione, su produzioni non energivore, compatibili con la valorizzazione del territorio e dell'ambiente, sulla qualità di processo e di prodotto, su salari dignitosi, sulle tutele, sui diritti e sulla qualità della vita. Se invece di volgere lo sguardo in maniera ossessivamente esasperata al profitto d'impresa lo volgessimo sulle lavoratrici e sui lavoratori, ci accorgeremmo per questa via di fare gli interessi veri del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo, dell'Italia dei Valori e dei Verdi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Giulio Tremonti. Ne ha facoltà.

GIULIO TREMONTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è stato davvero un piacere, Presidente Prodi, vederla finalmente entrare in quest'aula; francamente, non è stato un piacere sentirla parlare a quest'Assemblea (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania). Lei non è riuscito a difendere né il suo operato né il suo consigliere.
Qui ci ha parlato di molto, anche con insistiti, intimistici frammenti, della sua storia professionale. Ci ha parlato di tutto questo, ma non dell'essenziale: della ragione per cui è stato convocato oggi in quest'aula.
Per favore, non divaghi sul futuro del capitalismo e delle telecomunicazioni. Userò una sua immagine: se schiacci il tubetto, poi è difficile rimetterci dentro il dentifricio. Nel 1997, è lei che ha schiacciato il tubetto della Telecom, privatizzandola istantaneamente e totalmente (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania). È lei che ha messo la Telecom sul mercato dei capitali, senza che ci fossero i capitalisti (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania)!
Dopo nove anni, adesso ci dice che si deve correggere quel suo errore. Dubito che sia possibile farlo con mezzi politici corretti: non con la nazionalizzazione, non arrangiando una cordata più o meno filogovernativa, non aggirando la normativa europea.
Il Governo avrà modo di esporci i suoi piani sul capitalismo, sulle telecomunicazioni; ma noi qui, oggi, vogliamo parlare di un'altra cosa. Vogliamo parlare dell'affare Telecom, del suo ruolo in questo affare, della sua azione di subgoverno (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania), della cattiva politica per cui sull'Italia è riapparso il rischio paese.
È, infatti, considerato a rischio dall'estero un paese in cui il premier fa incontri privati non verbalizzati e comunicati pubblici su soci esteri e controllate estere di un gruppo privato (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania).
Signor Presidente, lei è stato eletto con un programma - glielo ricordo - in cui si impegnava a favorire la trasparenza e la legalità dei mercati. Basta leggere il suo comunicato stampa suicida dell'8 settembre per avere la prova che lei ha fatto


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esattamente l'opposto (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania)!
Partiamo dall'inizio, dal decreto di gabinetto della sua Presidenza del Consiglio. Qui troviamo registrato il signor Rovati come consigliere politico ed economico. Escluso il politico - perché Rovati stesso dice che di politica non si interessa e non si occupa -, resta l'economico. In attesa di smentita, a seguito della chiamata di Rovati per chiara fama ad una qualche cattedra di economia, dobbiamo chiederci qual è il tipo di economia per cui un economista solido e famoso come lei si consiglia con Rovati. Deve essere un tipo molto particolare di economia, diciamo in senso aristotelico; economia da ?????, economia privata, economia domestica (Si ride - Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
Forse, è per questo che il vostro piano l'avete definito come artigianale. Ma non buttatevi giù! Non è un piano artigianale: è un piano industriale; anzi, un piano settoriale e istituzionale, un piano da cui tutti avrebbero guadagnato, tranne qualcuno. Avrebbe dovuto guadagnarci la Telecom, ipoteticamente ristrutturata nel suo assetto patrimoniale e finanziario; le banche creditrici, rientrando sui crediti e risolvendo qualche problema di ratios di Basilea 2; le fondazioni, estendendo il loro ruolo sull'economia; forse, un industriale interessato ai telefonini e, soprattutto, la sua ditta politica, con le mani in pasta come regista nella ristrutturazione di un settore chiave dell'economia, delle comunicazioni e della politica.
Dimenticavo di dire chi ci avrebbe perduto: il contribuente italiano (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
Signor Presidente, il suo non è stato un errore di calcolo economico: «qualche sbavatura», dice il ministro Bersani. È stato un errore di calcolo politico. Un errore che si è manifestato all'interno del vostro circuito di potere.
Qual è la dinamica dell'affare? Il Presidente D'Alema ha iniziato le sue vacanze convinto della fusione Sanpaolo-Monte dei Paschi di Siena. Durante le stesse, ha letto sul giornale la notizia sulla fusione Sanpaolo-Banca Intesa. Poi, ha letto sul giornale dell'affare Telecom, di un affare che, alla Farnesina, si direbbe del tipo con ritorno non multilaterale, bensì unilaterale. È questo il suo errore di calcolo [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!
È questo che ha causato il cortocircuito politico. È questo che l'ha portata a fare i comunicati stampa suicidi che lei ha fatto. Veda, il problema non è lo scorporo dei telefonini da Telecom: il problema è lo scorporo, che lei ha tentato, dall'affare Telecom di un pezzo di maggioranza [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista].
Com'è stato scritto autorevolmente, signor Presidente, la sua è una vocazione storica; è sempre stata quella: una vocazione sensale ad orchestrare affari. Ma, poi, lei ha fatto un salto di qualità, un progresso. Per compensare il suo deficit di forza politica, lei ha cercato di acquisire un surplus di forza economica [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]: lei è stato fulminato sulla via telefonica al partito democratico [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!
Qui voglio essere chiaro. Tra gli elettori della sinistra, tra gli eletti della sinistra,


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non domina questa ideologia, dominano valori e principi: diversi dai nostri, ma valori e principi. È a palazzo Chigi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania) che si concentra un'idea distorta della politica, la confusione tra affari e politica [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo]!
Vedo che ride, Presidente Prodi; e questo certamente rallegra chi ascolta (Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo). Veda, lei ha l'idea che la politica serva per fare gli affari...

MASSIMO VANNUCCI. Voi! Voi!

GIULIO TREMONTI. ...e, soprattutto, che gli affari servano per fare politica. Questo il paese deve sapere. Questo il paese non può accettare.
Veda, nella terza Repubblica francese, nel pieno di uno scandalo come il suo, un uomo di governo si difese dicendo: «Delle due l'una: o non sono onesto o non sono capace». La risposta fu: «Il cumulo delle cariche non è vietato (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania - Si ride).
Quante cariche ha, Presidente Prodi? Esploso lo scandalo, lei ha detto: «Mi sento metà Presidente del Consiglio, metà assistente sociale». Che lei sia, per metà, assistente sociale, lo concordi con i suoi alleati; ma che lei sia un Presidente dimezzato lo ha detto lei stesso, e noi non abbiamo difficoltà a concordare su questo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale). Dimezzato, commissariato, tanto debole da formulare una minaccia d'ultima istanza: «Se vado a casa, porto anche voi con me!». Non sarebbe una cattiva idea (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Si ride)!
Ancora, lei ha detto: «Quando un imprenditore parla al Presidente del Consiglio, deve dire la verità». Vale lo stesso anche per lei, Presidente Prodi: quando il Presidente del Consiglio parla in Parlamento, deve dire la verità (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Alcune voci: Bravo!).

GIULIO TREMONTI. Invece, oggi, lei - ridendo - ha mentito...

GIOVANNI CARBONELLA. Cinque finanziarie: tutte buttate!

GIULIO TREMONTI. ...ha mentito all'Assemblea, ha mentito agli italiani. È per questo che lei, da oggi, non può governare questo paese con la necessaria dignità. Continui a ridere (Prolungati applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Congratulazioni - Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Grazie.
Ha chiesto di parlare il deputato Gianfranco Fini. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO FINI. Anche noi, onorevole Presidente del Consiglio, siamo totalmente insoddisfatti del suo discorso e, dopo averlo ascoltato, io credo sia più chiaro perché ella - non un suo sosia cinese, ma ella - ebbe modo di dire che sarebbe stata roba da matti riferire in Parlamento sulla vicenda Telecom.
Non fu uno scherzo del fuso orario tra Roma e Pechino, e nemmeno una caduta di stile: una dimostrazione di arroganza che, lo dico tra parentesi, se avesse visto protagonista il Presidente Berlusconi od un qualsivoglia ministro del precedente Governo, avrebbe scatenato un putiferio, con fiumi di inchiostro contro la minaccia


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[Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista] rappresentata, per la democrazia, dalla destra becera e populista.
Dopo averlo ascoltato io credo che gli italiani abbiano capito molto bene, signor Presidente del Consiglio, che lei, a Pechino, era nervoso, così come è nervoso quest'oggi e anche - me lo permetta - il comportamento infantile di poc'anzi lo dimostra [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista]. Era nervoso perché intimidito. Di che cosa aveva paura, signor Presidente del Consiglio, a Pechino, quando disse: «In Parlamento? Roba da matti!»? Aveva due paure: innanzitutto, la paura di fare una pessima figura con i suoi alleati qualora avessero capito chiaramente ciò che anche l'onorevole Tremonti ha detto poc'anzi, vale a dire che erano stati tenuti del tutto all'oscuro da un personale piano del Presidente Prodi.
La seconda paura, ancora più forte, era che in Parlamento emergesse chiaramente la sensazione che il Presidente del Consiglio non aveva detto la verità e questo non solo ai suoi alleati, ma, soprattutto, a tutti gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania).
Orbene, quella sensazione oggi è palese. Quanto al primo aspetto, è una cosa che ci riguarda davvero in minima parte. Ai colleghi della maggioranza, che sono certamente abbastanza imbarazzati per quello che sta accadendo, ricordo soltanto che «chi è causa del suo mal pianga se stesso». Del resto, con un Presidente del Consiglio che, come ricordava Tremonti, dice che si sente nei vostri confronti metà leader e metà assistente sociale, vorrei capire che cosa vi potevate aspettare di più (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania)!
Comprendiamo la frustrazione di chi Prodi lo ha portato, in qualche modo, sulle spalle a Palazzo Chigi e, quindi, si attendeva doverosamente maggiore lealtà e credo di comprendere anche la ragione per la quale l'onorevole Fassino, innovando, fa parlare inizialmente l'onorevole Giordano e si riserva di parlare tra gli ultimi. Il suo è il ruolo di un avvocato difensore, ma è un avvocato d'ufficio ed è l'avvocato d'ufficio di una causa persa (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania)!
Comprendiamo tutto ciò, ma non abbiamo intenzione di sottacere l'altro aspetto, che riguarda tutti gli italiani. Infatti, quello che è accaduto le scorse settimane riguarda gli italiani, che sono stati ingannati dal Presidente del Consiglio, e riguarda la credibilità dell'Italia agli occhi della comunità internazionale. Basta leggere la stampa internazionale per rendersene conto.
Lo diciamo perché l'intervento di Prodi non ha fugato il sospetto che egli non abbia detto la verità, anzi, lo ha rafforzato. Voglio ripercorrere rapidamente la vicenda, pregando l'avvocato difensore, onorevole Fassino, di smentirmi. L'8 settembre - il comunicato suicida - Palazzo Chigi dirama questa nota: «Quanto apparso oggi su Il Messaggero riguardo un ipotetico altolà alla vendita di TIM da parte del Presidente del Consiglio necessita di una secca smentita e di una opportuna sottolineatura. Le fantasiose interpretazioni giornalistiche - sempre colpa dei giornalisti: vero, Presidente Prodi? (Commenti del deputato Giachetti) -, che attribuiscono al Governo intromissioni ultimative sulle scelte e sulle politiche industriali di società italiane, vanno esattamente nella direzione opposta rispetto alle impostazioni dell'Esecutivo". Chapeau! Se non fosse che l'11 settembre il consiglio di amministrazione di Telecom approva il piano di scorporo di TIM.
Il giorno dopo, il 12 settembre, da Frascati, Prodi si dice sconcertato e lamenta


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di essere stato tenuto all'oscuro del piano, ma, già ventiquattr'ore dopo, il 13 settembre, si smentisce e afferma che Tronchetti gli aveva garantito che TIM sarebbe rimasta sotto controllo italiano. Perché lo ha fatto, Presidente Prodi? Perché, evidentemente, Tronchetti gli aveva detto di voler mettere TIM sul mercato e, quindi, non è vero che Prodi non sapesse nulla. È una prima, clamorosa e palese bugia che risulta dalle sue parole (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
Poi, il 14 settembre viene pubblicato il cosiddetto piano Rovati, fedelissimo consigliere economico del premier, uomo di assoluta fiducia, amico personale e di famiglia. Si tratta di un documento - è notorio - che è stato inviato a Tronchetti, con tanto di biglietto intestato a Palazzo Chigi, in cui il riassetto Telecom si basa sull'intervento della Cassa depositi e prestiti, cioè su un sostanziale intervento pubblico.
Dopo la pubblicazione del cosiddetto piano Rovati, Prodi afferma di non sapere nulla, come le tre scimmie: non vede e non sente, parla... Egli scarica tutta la responsabilità sul suo consigliere, che, da amico fedele, se la assume e definisce personale e artigiano il suo progetto. È la seconda clamorosa bugia, perché non è un piano personale ed è tutt'altro che artigianale, perché è stato elaborato a Palazzo Chigi dagli esperti della Presidenza del Consiglio e da una nota banca di affari, che aveva tra i suoi consulenti anche un personaggio, Costamagna, per il quale, nelle stesse ore, negli ambienti prodiani, si ipotizzava un prestigioso incarico pubblico alla guida - guarda caso - della Cassa depositi e prestiti (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
Il 15 settembre Prodi va all'attacco e difende Rovati; esclude che si possa o si debba dimettere ed esclude di riferire in Parlamento. In serata, a borse chiuse, Tronchetti si dimette e gli subentra Guido Rossi. Da quel momento il Presidente del Consiglio innesta la retromarcia: il suo è un dietro front su tutta la linea. Il 18 settembre Rovati si dimette, la procura di Roma apre un fascicolo. Il 19 settembre il Presidente del Consiglio accetta di riferire in Parlamento.
Tutti sanno che, a chiedere che il Presidente del Consiglio venisse in Parlamento, è stata a gran voce l'opposizione ma che, ad imporglielo, sono stati proprio DS e Margherita che, finalmente, hanno aperto gli occhi e si sono resi conto di essere stati tenuti all'oscuro di tutto ciò che Palazzo Chigi faceva. Ce ne sarebbe a sufficienza per far risaltare la pessima figura del Presidente, ma ciò che induce l'opposizione a pretendere che Prodi ammetta di non aver detto la verità - e ne tragga le doverose conseguenze - è la pubblicazione dei verbali del consiglio di amministrazione di Telecom del 15 settembre, quelle in cui Tronchetti dà le dimissioni. In quei verbali Tronchetti afferma - e fa mettere a verbale - che Prodi sapeva fin dai primi giorni di settembre del piano di scorporo di Telecom-TIM; che Prodi gli disse che il Governo non sarebbe intervenuto su iniziativa di aziende private, ma in realtà, secondo Tronchetti, attraverso Rovati-Costamagna. Il vero obiettivo del Presidente del Consiglio era quello di fare intervenire la Cassa depositi e prestiti per evitare che Murdoch acquisisse il controllo della rete fissa. E, sempre secondo Tronchetti, il costo del trasferimento della rete fissa alla Cassa depositi e prestiti sarebbe stato fronteggiato dalle maggiori tasse che il gruppo avrebbe pagato al momento dello scorporo della rete: ciò attraverso la definizione di un plusvalore delle azioni. Da questo punto di vista, l'abitudine di pensare sempre e solo a nuove tasse caratterizza tutto il centrosinistra (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale e di Forza Italia )! Certo, nessuno può giurare - e lo dico io


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per primo - che quanto detto e verbalizzato da Tronchetti Provera nel consiglio di amministrazione sia la verità.

VALENTINA APREA. Bravo!

GIANFRANCO FINI. È altrettanto certo che il contrasto con le affermazioni e con i silenzi del Presidente Prodi è evidente. Uno dei due mente oppure - come ha detto la «velina rossa» - forse è una gara tra bugiardi. Certo è, signor Presidente del Consiglio, che non ci fa una bella figura [Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania]!
Quel che è indubbio è che Palazzo Chigi ha creato problemi seri ad una azienda privata quotata in borsa, con decine di migliaia di dipendenti, e ha sconcertato gli ambienti internazionali con il suo comportamento. Vedete, colleghi, in un giornale che non è certo di centrodestra, la Repubblica, il 25 settembre, Federico Rampini ha scritto: «Le continue invasioni di campo hanno già provocato danni», e si tratta delle invasioni di campo del Presidente del Consiglio, «per esempio, hanno fatto saltare la trattativa con Murdoch sull'alleanza tra Telecom e Sky». Il famoso piano di Rovati che suggeriva lo scorporo della rete fissa Telecom ed una rinazionalizzazione mascherata attraverso l'intervento della Cassa depositi e prestiti, arrivò anche alle orecchie di Murdoch e lo convinse che il valore della Telecom sarebbe crollato, una volta sottratta la rete fissa. Che sia stata solo una soffiata o che sia il doppio ruolo di Costamagna non sta a me dirlo e mi auguro che lo accerti la magistratura (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale e di Forza Italia). Certo è che Palazzo Chigi ha dato prova di un interventismo fuori luogo e di spregiudicatezza che riportano alla mente la famosa definizione che proprio Guido Rossi diede alla Presidenza del Consiglio ai tempi di un altro Governo di centrosinistra: «l'unica banca d'affari in cui non si parla in inglese». Oggi si parla l'inglese, ma che Prodi continui a ritenere Palazzo Chigi una banca d'affari è innegabile. Tutti sanno - e concludo - che i problemi di Telecom sono di prevalente natura finanziaria e non industriale.
Sin dai tempi delle privatizzazioni gli acquirenti hanno acquisito il controllo della società lasciando intatto l'indebitamento. A fronte di un utile di circa un miliardo e mezzo di euro annui, l'indebitamento di 41 miliardi è pari al fatturato. Negli sviluppi della vicenda Telecom vi è quindi un ruolo centrale del sistema bancario e dei centri di potere, giornali compresi, ad esso riferiti. Sono centri di potere tutti impegnati a sostenere Prodi nell'ultima campagna elettorale ed è anche per questo che l'attivismo di palazzo Chigi desta un evidente sospetto. Il piano di riassetto di Telecom come azienda privata deve essere competenza esclusiva degli azionisti. Certo, da italiani e da parlamentari, non possiamo che augurarci anche noi che un'eventuale vendita di TIM veda l'interesse di investitori italiani e soprattutto che siano tutelati i dipendenti dell'azienda.
Ma dov'erano, Presidente Prodi e colleghi della sinistra, coloro che oggi parlano di interesse nazionale - e ci fa piacere - come pure di telecomunicazioni come settore strategico da tutelare?
Dov'erano quando un'azienda pubblica come ENEL vendeva ad investitori egiziani Wind e la rete fissa di Infostrada (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia) ... né ricordo obiezioni levatesi a sinistra quando Olivetti, Presidente Prodi, vendette Omnitel all'inglese Vodaphone proprio per fare quell'operazione di cassa necessaria per la successiva scalata di Telecom (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Padania).
Ricordo qualcuno che parlò dei capitani coraggiosi: è facile essere coraggiosi con i soldi delle banche (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Padania)!


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SERGIO ANTONIO D'ANTONI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Cose da pazzi!

GIANFRANCO FINI. La conclusione, onorevoli colleghi, è molto semplice; Prodi non è credibile quando dice: non sapevo. Sapeva ed agiva; agiva, non per tutelare un interesse nazionale bensì per organizzare scalate finanziarie, scegliere investitori più o meno amici, riportare sotto il controllo pubblico una grande azienda privata. Sapeva, agiva e contemporaneamente negava; negava e cioè mentiva. Ed è questa la ragione per la quale lo sdegno dell'opposizione certamente non è solo in questa Assemblea: è lo sdegno della maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-PartitoSocialista - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, a nome del gruppo dell'Ulivo - ma anche, ritengo, a nome di tutti gli altri parlamentari del centrosinistra -, desidero naturalmente esprimerle un ringraziamento per come ha voluto informare il Parlamento di tutti gli aspetti che questa vicenda ha sollevato ed esprimerle, altresì, solidarietà per gli attacchi, le insinuazioni, le polemiche astiose che nelle settimane scorse l'hanno colpita e per le polemiche e gli attacchi malevoli alla cui tentazione l'opposizione di centrodestra ...

VALENTINA APREA. La magistratura!

PIERO FASSINO... non si è sottratta in quest'aula. Tutti, almeno noi, avremmo sperato in una discussione utile; credo che gli italiani che ci seguono pensino che il Parlamento debba fare discussioni utili e non discussioni astiose, polemiche, una rissa tra sordi.
Vede, onorevole Fini, io ho chiesto di intervenire a questo punto del dibattito per rispetto nei suoi confronti e nei confronti dell'onorevole Tremonti (Commenti dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo)... perché mi sembrava utile ci potesse essere una interlocuzione tra noi e non perché dovessi fare il difensore d'ufficio di un Presidente del Consiglio che è in grado di difendersi benissimo da sé.
Evidentemente, mi ero probabilmente illuso sulla praticabilità di un dibattito serio tra noi, perché non ho sentito interventi che consentano un confronto; ho sentito, invece, una sequenza di osservazioni e considerazioni maligne, insinuanti (Commenti del deputato Iannarilli), qualche volta, se mi permette, al limite della calunnia, e con considerazioni che sono facilmente ritorcibili verso di voi se si dovesse adottare il vostro stesso stile polemico.
Vede, onorevole Tremonti, lei ha detto che è dovere di ogni cittadino la verità, ed è dovere tanto più di ogni parlamentare essere sincero e veritiero di fronte al Parlamento. Giusto! Le ricordo che lei è stato nei cinque anni di Governo di centrodestra il titolare per tre volte della presentazione di una legge finanziaria a questo Parlamento che era palesemente e consapevolmente fasulla (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno e dei Comunisti Italiani - Commenti del deputato Aprea)... Lei ha mentito agli occhi di questo Parlamento!
Sarebbe facile ricordare a chi ha rimproverato al Presidente del Consiglio una battuta, che non era riferita, evidentemente, al Parlamento, che il Presidente del Consiglio precedente, l'onorevole Berlusconi, per cinque anni non ha ritenuto di venire mai a rispondere alle interrogazioni dei parlamentari di questo Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur)!


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Sarebbe troppo facile, onorevole Tremonti, di fronte ad insinuazioni che sono al limite della calunnia, che lei ha formulato sugli interessi personali del Presidente del Consiglio in carica, ricordare che l'unico Governo che per cinque anni nella vita di questa Repubblica è stato minato costantemente dal conflitto di interessi è stato il vostro (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur)!

ELISABETTA GARDINI. Telecom!

PIERO FASSINO. Potrei continuare a lungo, ma non mi interessa, perché non credo che gli italiani siano appassionati ad un dibattito condotto su questo tenore. Quindi, mi sforzo, al pari di altri colleghi - il collega Giordano, in particolare - di cercare di riflettere sulle questioni che la vicenda Telecom suscita e che sono state affrontate dal Presidente del Consiglio; mi pare che ve ne siano molte, ma segnatamente tre.

DOMENICO DI VIRGILIO. Telecom!

PIERO FASSINO. La prima questione è il rapporto tra Stato e mercato. In queste settimane, voi dell'opposizione (quindi, mi sforzo ancora di interloquire con voi, nonostante il tono del dibattito)...

MAURIZIO GASPARRI. Grazie! Vergogna!

PIERO FASSINO. ...voi, in queste settimane, anche gli onorevoli Gianfranco Fini e Tremonti, avete adombrato - e non solo adombrato - l'idea che dietro il comportamento del Governo vi sia una mentalità statalista, dirigista, un tentativo addirittura - è stato evocato nell'intervento dell'onorevole Tremonti - di nazionalizzare le telecomunicazioni. Ora, tutto ciò non ha alcun fondamento. Sappiamo tutti, da tempo, che appartiene ad un'altra epoca la fase nella quale lo Stato aveva un ruolo come imprenditore di prodotti, di beni e di merci, che oggi il mercato è in grado di corrispondere a tutte le esigenze di merci e di beni che la nostra società abbisogna e che il ruolo dello Stato si gioca su un altro terreno, quello della definizione delle regole, che peraltro sono affidate ad un'autorità indipendente, quale l'authority delle telecomunicazioni, e sul terreno dell'individuazione ed attivazione delle politiche di sistema, dalla formazione al sostegno, alla ricerca, alle infrastrutture, all'internazionalizzazione, che consentano alle imprese che agiscono in un mercato di non essere sole e, avvalendosi dei fattori di sistema che la politica e lo Stato possono mettere loro a disposizione, di essere più competitive.
A questo approccio si ispira la nostra politica nel settore delle telecomunicazioni, dove non intendiamo statalizzare alcunché; intendiamo, invece, che siano rafforzate tutte le iniziative di regolazione trasparente del mercato, attraverso l'attività dell'authority e riteniamo - e la legge finanziaria che discuteremo a breve renderà evidente questo nostro impegno - di mettere in campo tutte le politiche industriali e di sistema necessarie a far sì che gli operatori delle telecomunicazioni possano agire in termini più competitivi di quanto non abbiano fatto sinora.
Per quanto attiene alla questione del rapporto tra le infrastrutture di rete e coloro che producono beni e servizi, anche al riguardo non facciamo finta di non sapere che le cose, in questi anni, hanno conosciuto un'evoluzione, in Italia come in tutto il mondo. Un tempo, un'impresa era titolare della rete e dei servizi che sulla rete stessa viaggiavano. Oggi non è più così in moltissimi paesi e non è più così in Italia per molti servizi. Oggi, se fosse redditizio, una qualsiasi compagnia privata ferroviaria potrebbe far circolare i suoi treni sui binari pubblici, perché abbiamo separato la rete da coloro che organizzano il trasporto. Lo abbiamo fatto nell'energia, lo abbiamo fatto negli aeroporti. Non è, dunque, uno scandalo discutere - ne ha parlato anche Guido Rossi, il nuovo presidente della Telecom, ieri, nel corso dell'audizione che si è svolta in


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questa Camera - della possibilità di separare, come avviene già in altri paesi, l'infrastrutturazione di rete dagli utilizzatori, dalle società che prestano servizi telefonici. È una questione su cui è lecito discutere. Ricordo che questo tema fu evocato persino dal ministro Tremonti, quando era ministro dell'economia e delle finanze e, se dobbiamo fare una riflessione su tale tema, è possibile farla: come si organizza l'insieme dei servizi telefonici in una logica che veda, anche in questo campo, un'articolazione ed una flessibilizzazione tra servizi e rete. Il che non significa necessariamente tradurre ciò nel fatto che i servizi devono essere privati e la rete pubblica. Infatti, nel caso della separazione tra aeroporti e compagnie aeree tutto è, ad esempio, privato e, quindi, come si può constatare, si possono avere modalità diverse per metterla in atto.
Per quanto riguarda la terza questione, ossia la Telecom, quest'ultima non è un'azienda in crisi. È un'azienda che ha tecnologia, risorse, che ha visto aumentare i propri clienti, che ha visto accrescere i propri ricavi, è un patrimonio straordinario del paese.
È una società che ha un forte indebitamento. È proprio perché essa è un patrimonio prezioso per il paese, non è indifferente come si affronta, si aggredisce e si risolve questo indebitamento. Dico francamente che a noi non apparirebbe convincente se venisse praticata (è un'ipotesi, non so se questa è la decisione) l'idea che per pagare i debiti si cedano attività, rami e settori della Telecom perché in questo modo si ridurrebbe il suo patrimonio tecnologico, finanziario, umano e di mercato. Noi pensiamo che, se si vuole affrontare seriamente questo tema - un tema che è bene e tempo sia di evocare, perché la Telecom è una grande azienda di questo nostro sistema produttivo, sia di affrontare (la responsabilità sarà naturalmente dell'azienda e dei suoi azionisti) -, è bene allora agire sul terreno della ricapitalizzazione della società, allargare la base azionaria dei soci e, per questa via, accumulare le risorse finanziarie per ridurre l'indebitamento, senza compromettere il patrimonio tecnologico, produttivo ed umano dell'azienda (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
Proprio per questa ragione, proprio per non compromettere la credibilità di un'azienda così importante, è opportuno che in questo stesso periodo si faccia chiarezza sulla vicenda delle intercettazioni; si chiarisca se quell'organizzazione di spionaggio e di schedatura che è stata fatta sia andata a vantaggio di qualcuno: a vantaggio di chi? Sulla base di quali finalità e per quali obiettivi? Quali eventuali inquinamenti può aver prodotto o quale era l'intenzione di chi ha posto in essere quell'attività produrre? La magistratura accerti tutto e individui le responsabilità di tutti coloro che le hanno, siano essi nella Telecom, siano essi in corpi o in apparati dello Stato. Dico ciò perché è necessario, in primo luogo, restituire serenità a questa azienda proprio per quello che rappresenta nel patrimonio produttivo, tecnologico e finanziario del nostro paese. Serenità, quindi, a chi investe, a chi lavora, a chi utilizza questi servizi. Insomma, usciamo da questa vicenda guardando in avanti.
Se vogliamo discutere di questi temi noi siamo pronti, oggi, come lo saremo in qualsiasi altro momento. Se invece qualcuno pensa di continuare ad imbastire delle aggressioni, allora troverà pane per i suoi denti (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Popolari-Udeur e dei Verdi - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Casini. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Come sa il Presidente Prodi, io parlo a nome di un partito che interpreta il ruolo dell'opposizione in modo responsabile e non demagogico e penso che l'abbiamo dimostrato in tutta questa legislatura su temi cruciali come quelli della politica estera


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(missioni di pace). E ciò lo abbiamo fatto nell'interesse del nostro paese. La politica la conduciamo prevalentemente in Parlamento, più che nelle piazze, a viso aperto e senza pregiudizi, con fermezza, però, come credo lo debba fare una forza politica seria di opposizione.
Siamo moderati, ma questo non significa, Presidente Prodi, che siamo ingenui. Noi dell'UDC non siamo degli ingenui e non vogliamo essere trattati come degli ingenui. Non vogliamo soprattutto in questa sede assistere ad interessanti racconti di favole.
All'onorevole Fassino dico francamente una cosa semplice, non avendo né Fini né Tremonti bisogno di difensori d'ufficio. Non capisco, onorevole Fassino, perché noi dovremmo essere gli unici italiani non interessati a chiarire, non con dibattiti astratti sul merito dei processi innovativi delle telecomunicazioni, e a rispondere alle domande che tutti i giorni si pongono i giornali di questo paese. Tutti, anche coloro che notoriamente non hanno sostenuto il centrodestra nelle recenti elezioni!
Il Presidente ci ha ripetuto quello che sapevamo, ciò che è stato dichiarato sui giornali: che del piano Rovati non sapeva nulla, che nulla sapeva dei progetti di scorporo! Purtroppo, questi chiarimenti, che non era da matti, ma era doveroso venire a fornire al Parlamento, non hanno, in realtà, aggiunto nulla e in nulla hanno davvero chiarito; anzi, dal nostro punto di vista, hanno accresciuto la curiosità ed il nostro sacrosanto desiderio di conoscere la verità.
Questo è il ruolo di un'opposizione, altro che lamentarsi di quello che l'opposizione dice! Avrei voluto, nelle condizioni inverse, vedere voi che cosa potevate dire al Presidente Berlusconi nella scorsa legislatura in casi analoghi (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Stiamo discutendo di una vicenda che tocca i temi della democrazia e non mi riferisco alle intercettazioni telefoniche, di cui il nostro partito, l'UDC, è parte lesa per eccellenza, poiché il nostro segretario è stato tra coloro che sono stati spiati illegalmente. Mi riferisco, invece, alle questioni di oggi, vale a dire al rapporto tra politica ed economia, alla trasparenza nelle grandi operazioni finanziarie, alla tutela dei consumatori, all'esercizio del potere esecutivo e, onorevoli della maggioranza, all'attività di controllo del Parlamento.
Non è un problema da guardare dal buco della serratura, ma un problema di fatti che già sono stati posti e che io ripropongo.
L'8 settembre, Palazzo Chigi smentiva una presunta intromissione sulle scelte industriali di società italiane ed internazionali nella vicenda Telecom. Il titolo di quella nota, diffusa dalla Presidenza del Consiglio, non lasciava spazio ad interpretazioni: nessun altolà di Prodi alla vendita di TIM! Ma il 12 settembre, all'indomani della notizia ufficiale del progettato scorporo, il Presidente si dice sorpreso. Ammette di aver avuto dieci giorni prima un colloquio con Tronchetti Provera, durante il quale, però, nessuno aveva assolutamente accennato ad una ristrutturazione societaria così importante e radicale.
Peccato che il giorno seguente una lunga inconsueta nota di Palazzo Chigi informa di ben due colloqui avuti da Prodi con Tronchetti Provera e rivela, a mercati aperti, tutti i dettagli del piano di ristrutturazione dell'azienda, coinvolgendo, fra l'altro, con nome e cognome, una serie di grandi società, come Time Warner del gruppo Murdoch e General Electric.
Questa incauta, inusitata, per usare le parole del Wall Street Journal, sfrontata irruzione del Governo italiano negli affari di una società quotata è la dimostrazione della leggerezza e della contraddizione dell'esecutivo nel rapporto che deve intercorrere tra il Governo ed il mercato!
Tutti, inoltre, abbiamo visto le fotocopie del biglietto autografo su carta della Presidenza del Consiglio con il quale si invia un articolato studio, ben 28 pagine, con due ipotesi alternative di ristrutturazione aziendale. Se un'opposizione non si


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deve interessare di queste cose, forse è meglio che vada a casa (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Presidente Prodi, lei ha insistito nel dirsi sconcertato dalla sua mancanza di informazione sul futuro di Telecom. Noi denunciamo qui il nostro sconcerto per quello scambio segreto di informazioni, proposte, consigli, ma è logico definirle intromissioni o indebite pressioni ed in merito a ciò non ci può bastare quanto lei ci è venuto a dire!
Non è finita qui! Dai verbali del consiglio di Telecom acquisiti dai magistrati risulta l'altra verità, quella di Tronchetti Provera che aveva cioè informato a suo dire il Presidente del Consiglio anche del progetto di scorporo di TIM.
Allora chi dice la verità? A questo punto sento il dovere di porre al Presidente del Consiglio alcune domande, ma non come esponente dell'opposizione, come parlamentare che tutela la dignità del luogo in cui ci troviamo.
Colleghi della maggioranza, questo interessa anche voi! Anzitutto, chi davvero ha redatto quello studio?
La nostra non è una curiosità fine a se stessa, ma serve a dissipare dubbi legittimi su connessioni tra Governo e banche di affari internazionali e in particolare una, che annovera fra i suoi ex dirigenti componenti dello stesso Governo, circostanza che rende doverosa la trasparenza e una spiegazione molto più incisiva ed esauriente delle sue assicurazioni, che suonano un po' retoriche riguardo al fatto che a palazzo Chigi non c'è una banca d'affari. Il dossier Rovati prevedeva il successivo acquisto di TIM da parte della Cassa depositi e prestiti, ossia da parte dello Stato e qui vengo alla seconda domanda. È uno scenario di strategia industriale condiviso dall'esecutivo, perché una gran parte della sua maggioranza condivide questo scenario ed è quella stessa parte della sua attuale maggioranza che due anni fa voleva l'entrata dello Stato nella FIAT. Il tema è delicato, perché dettare le regole per il funzionamento del mercato è un compito specifico tra l'altro del Parlamento, non del Governo.
Sempre secondo il piano, insieme alla Cassa depositi e prestiti dovevano entrare soci minori. Anche in questo caso fughiamo i dubbi. C'era una cordata precostituita, oppure il Governo è stato solo spettatore? Vede, Presidente, quando le ricordo che non siamo degli ingenui, mi riferisco anche ad una certa memoria che abbiamo delle privatizzazioni. Oggi ho sentito in lei qualche accenno autocritico, ma era bene pensarci dieci anni fa. Qualcuno ci dovrà spiegare perché il primo Governo Prodi decise nel 1997 di pilotare la privatizzazione della Telecom, consegnandola in mano alla FIAT, permettendole di governare con un nocciolo duro molto piccolo, in cui la FIAT aveva appena lo 0,6 per cento; poi tutte le fasi successive discendono da questo peccato originale.
Due anni dopo, nel 1999, con un altro Governo di centrosinistra, l'attuale governatore della Banca d'Italia, Draghi, allora direttore generale del tesoro, fu obbligato dal Presidente del Consiglio D'Alema a disertare la riunione decisiva dell'assemblea Telecom [Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza nazionale].
Infatti la sua presenza avrebbe fatto scattare il numero legale ed impedito che l'azienda finisse in mano ad una cordata di imprenditori graditi all'esecutivo, con la compiacenza delle banche, che non sono spettatrici - cosa che invece puntualmente avvenne - ma, guarda caso, l'unico fra questi imprenditori che avesse un'idea di politica industriale, ossia Roberto Colaninno, fu a sua volta costretto a lasciare poco tempo dopo.
È questa la politica industriale sulla quale lei vuole oggi impartirci una sua lezione? Vorrei infine sollevare una questione grande come una casa, che riguarda il ministro Di Pietro. Il ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro il 13 settembre, a mercati aperti, ha chiesto pubblicamente le dimissioni di Tronchetti Provera, presidente di un'azienda privata legittimamente


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nominato dai suoi azionisti. Quelle perentorie dichiarazioni del ministro, come era prevedibile, hanno determinato una caduta del titolo Telecom, un danno per i risparmiatori e gli investitori e la conseguente apertura di un fascicolo da parte della procura di Roma.
Ma il fatto grave è che Di Pietro abbia rilasciato questa dichiarazione, mentre decideva il destino di uno degli azionisti principali di Telecom, cioè la famiglia Benetton, la cui società Autostrade sta portando avanti un processo di fusione con Abertis sul quale l'assenso del ministro Di Pietro è determinante. Bell'esempio di politica industriale, basata sul conflitto di interessi e la turbativa dei mercati [Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista].
Alla fine di questa vicenda è chiara l'inadeguatezza del Governo, ma anche la debolezza del capitalismo italiano. Se si vuole privatizzare, bisogna avere il coraggio di aprire i mercati, perché altrimenti il consumatore non avrà mai il beneficio del processo di liberalizzazione, le tariffe non si abbasseranno mai. Se si vuole privatizzare con dei destinatari precisi dotati di nome e cognome, ma senza capitali, si avrà un processo di liberalizzazione che non serve al consumatore italiano. Infine, Presidente, un'ultima annotazione: è la ventesima volta che la sento parlare di authority, per affermare l'importanza dell'autorità di regolazione, ma qui bisogna essere chiari. Un conto è occupare gli enti pubblici, come questo Governo ha già fatto, un conto è minacciare un giorno sì e l'altro pure le autorità di riformarle drasticamente, perché questo lede i principi di autonomia delle autorità (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania).
Difendiamo le autorità nella loro indipendenza e fare questo concretamente, non solo a parole, significa metterle al riparo dalle vendette legislative.
Non siamo soddisfatti di queste sue parole. Tutti sappiamo quello di cui si doveva discutere oggi in Parlamento.
Noi abbiamo affrontato delle questioni in modo anche crudo e spiacevole, ma l'opinione pubblica non si aspetta che facciamo dei balletti da salotto, ma che affrontiamo le questioni che non hanno ancora una risposta davanti a tutti gli italiani [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania].

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Roberto Cota.

ROBERTO COTA. Signor Presidente del Consiglio, c'è amarezza e insoddisfazione per il suo intervento, perché più che l'intervento di un leader che deve dettare la linea politica, che deve guidare il paese nei momenti difficili, il suo intervento è sembrato invece la «lezioncina» di un professore al primo anno di un istituto tecnico. Questa è stata l'impressione che noi abbiamo tratto dal suo intervento.
Il dibattito che oggi ci ha occupato, a nostro avviso, investe due aspetti. Il primo è certamente attinente al suo comportamento da Presidente del Consiglio, mentre il secondo è attinente alla linea politica del Governo in un momento delicato, per quanto riguarda l'economia del paese.
Con riferimento al primo aspetto, che un Presidente del Consiglio menta o meno all'opinione pubblica, che un Presidente del Consiglio menta di fronte al Parlamento, che un Presidente del Consiglio menta su una questione così importante non è irrilevante.
Veda, Presidente Prodi, qui non si tratta di avere corso o meno la maratona, di essersi fatto portare o meno all'ultimo chilometro prima del traguardo, perché la situazione è questa: o mente lei o mente il consigliere Rovati.


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PRESIDENTE. Inviterei i signori parlamentari ad un comportamento consono alla possibilità di ascoltare l'intervento. La prego di proseguire il suo intervento, deputato Cota.

ROBERTO COTA. Grazie, Presidente.
Devo dire che le circostanze non depongono a suo favore. Il fatto che sia stato inviato un piano industriale su carta intestata della Presidenza del Consiglio, il ruolo e la funzione del consigliere Rovati la mettono in estrema difficoltà. Potremmo dire che probabilmente verrebbe condannato anche da una toga rossa, in questa situazione. L'accusa non è da a poco, Presidente Prodi. Veda, qui si tratta di avere armeggiato sulle vicende di una azienda privata, si tratta di avere esercitato un'influenza indebita sul mercato, che ha tanti risvolti. Penso che se una vicenda del genere fosse accaduta nella scorsa legislatura sarebbe successo di tutto, come hanno ricordato altri colleghi, sarebbero fioccate richieste di dimissioni, inchieste e patenti di impresentabilità.
Però, come dicevo prima, Presidente Prodi, c'è anche una questione politica sottesa al suo comportamento, che è una questione politica che investe tutto il Governo, investe la linea politica di questo Governo. Più in generale, essa riguarda quello che sta facendo questo Governo in economia, quello che sta facendo questo Governo per il sistema produttivo, quello che sta facendo questo Governo per il nord, per quanto ci riguarda.
Presidente Prodi, in questi pochi mesi, il Governo ha fatto molti danni, in questi pochi mesi il Governo ha mostrato la faccia del più bieco statalismo, ha mostrato la faccia dell'inasprimento della pressione fiscale, ha mostrato la volontà di colpire i ceti produttivi.
Vorrei portare alcuni esempi, cominciando dal decreto Visco-Bersani, che lei, nella sua «lezioncina», ha «venduto» come un esempio di liberalizzazione. Sappiamo tutti che si tratta dell'esatto contrario: infatti, ha portato alla creazione di nuovi oligopoli (pensiamo agli interessi che hanno riguardato le cooperative, di solito «rosse»), ha portato ad una stangata fiscale ed ha portato alla criminalizzazione delle libere professioni.
Pensiamo alla linea che sta emergendo con riferimento al disegno di legge finanziaria (Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)...

ROBERTO MARONI. Presidente...!

ROBERTO COTA. Presidente, scusi...! Mi ascolti!

PRESIDENTE. Lei avrà constatato che l'ho già ha fatto...

ROBERTO MARONI. Grazie!

ROBERTO COTA. Grazie!

PRESIDENTE. ...e lo rifaccio ancora; prego anche chi siede ai banchi del Governo di prestare l'attenzione che un deputato merita.
Prego, può riprendere il suo intervento.

ROBERTO COTA. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)! Forse non c'è molta differenza tra quando il Presidente del Consiglio sta attento e quando non lo è, però voglio dire... Va bene (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia)...!
Pensiamo alla sbandierata riduzione del cuneo fiscale, che dovrebbe essere contenuta nel disegno di legge finanziaria...
Presidente Prodi...? Grazie: poi, se vuol fare i suoi comodi, magari potrebbe anche uscire dall'aula, per rispetto nei confronti del Parlamento!
Questa sbandierata riduzione del cuneo fiscale - dicevo - dovrebbe riguardare soltanto le assunzioni a tempo indeterminato; in altri termini, tale operazione dovrebbe fare esclusivamente gli interessi delle grandi imprese, abbandonando completamente il ceto produttivo, nonché quelle piccole e medie imprese che costituiscono


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ancora, per fortuna, il tessuto economico e sociale del paese e, soprattutto, del nord.
In buona sostanza, vi è una strategia per colpire, oltre ai ceti produttivi, la classe media: pensiamo, ad esempio, all'aumento al 43 per cento dell'aliquota sui redditi oltre i 70 mila euro. Lo stesso senatore Treu, un esponente della maggioranza, ha detto candidamente la verità su tale punto: questo sembra e sta diventando il Governo delle tasse! Lo stesso Riformista, che non è certo la Padania, ha scritto che questo Governo fomenta la rivolta dei ceti produttivi al nord (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia)!
Ma ritorniamo per un attimo alla vicenda Telecom, Presidente Prodi. È importante riflettere su cosa avessero in testa gli uffici di Palazzo Chigi. Infatti, dopo che la Telecom era stata privatizzata, con una vostra operazione che ha favorito gli interessi dei soliti pochi noti, che conoscete bene, Palazzo Chigi aveva in mente di ristatalizzare la Telecom, mediante un'acquisizione della stessa da parte della Cassa depositi e prestiti!
Presidente Prodi, è ciò che accade nei paesi sudamericani: si svendono le aziende pubbliche, il risultato è che qualcuno realizza ingenti affari, ma poi, quando le cose vanno male, si pensa di statalizzarle nuovamente! Questo, Presidente Prodi, è lo statalismo che uccide il sistema produttivo; questo è lo statalismo che toglie il fiato al nord e alla sua ripresa!
Ricordiamoci quanto è successo nel recente passato; pensiamo, per esempio, al fatto che la FIAT, finalmente, ha migliorato i dati della sua produzione, perché nella passata legislatura il Governo ha smesso di erogare aiuti a scopo assistenziale ed ha obbligato il management della stessa FIAT ad investire sulla qualità dei prodotti! Voi, invece, state facendo l'esatto contrario (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia)!
Qualcuno afferma che, in fondo, questo piano Rovati non è così male, perché si tratta di un piano tecnicamente ben fatto e potrebbe essere preparato da una banca d'affari. Vede, Presidente Prodi, è questo il problema, è questo il male: Palazzo Chigi è una banca d'affari! Palazzo Chigi si comporta come una banca d'affari (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)! Con due azionisti, peraltro, a leggere i resoconti documentati dei giornali: uno è il Presidente del Consiglio, mentre l'altro azionista è il ministro degli affari esteri (con tanto di ricostruzioni relative alle ultime vicende bancarie)!
Vede, questo non è un bene per il paese, perché gli interessi di questa banca d'affari non coincidono con gli interessi generali, non coincidono con gli interessi dei ceti produttivi e non coincidono con gli interessi del nord che noi ci proponiamo, con determinazione e con coerenza, di tutelare.
Per questo motivo, il Governo deve andare a casa il più presto possibile; le altre cose per noi vengono dopo [Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei democratici cristiani e dei Democratici di Centro)]!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Donadi. Ne ha facoltà.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, innanzitutto, esprimo rammarico per il fatto che il dibattito odierno venga trasmesso in diretta televisiva soltanto in Italia: penso che, se l'avessimo trasmesso in mondovisione, con le argomentazioni venute oggi dall'opposizione, avremmo dato a Dan Brown materiale per scrivere almeno tre dei suoi prossimi fantastici thriller.
Detto questo, e a parte gli scherzi, intendiamo veramente, a nome dell'intero gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, esprimere il pieno apprezzamento per la scelta, fatta oggi dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, di essere presente in quest'aula in rappresentanza dell'intero Governo.
Lei oggi, signor Presidente del Consiglio, ha fatto ben di più che riferirci sulla vicenda Telecom: lei ha illustrato a quest'aula


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e al paese intero le linee ispiratrici del Governo, direi quasi la filosofia del Governo in materia di politica industriale, una politica che correttamente vede il Governo non più come un protagonista, come l'imprenditore di Stato, con buona pace delle tante velleità e aspettative che, da questo punto di vista, la Casa delle libertà covava in questi giorni, ma, molto più correttamente ed efficientemente, come il soggetto regolatore dei mercati; un soggetto che contrasta quei conflitti di interesse che spesso nell'economia oggi non vediamo segnati, a causa della mancanza di regole, da una netta demarcazione tra il ruolo del controllore e quello del controllato. È un Governo che pone le regole, poche, chiare, ma stringenti, a garanzia della trasparenza, dell'efficienza, della competitività dei mercati economici, soprattutto - dobbiamo dirlo -, nelle fasi così delicate, ma così strategiche per l'economia del paese, legate alle privatizzazioni e alle dismissioni da parte dello Stato di parti importanti dell'economia di un paese.
A tale riguardo, credo che non solo noi ma una gran parte del paese sia stanca e non ne possa più di vedere tanti capitalisti senza capitali che nel corso di questi anni hanno acquistato importanti aziende pubbliche con i soldi delle banche, quando non con i soldi delle aziende stesse indebitandole, procurando ricchezza per sé ma impoverimento complessivo del sistema economico.
E su questo punto vorrei ribattere rapidamente all'onorevole Casini, se fosse ancora presente e non fosse uscito dall'aula subito dopo avere svolto il proprio intervento, ricordandogli che, se il ministro Di Pietro oggi si trova a parlare di Telecom e di Tronchetti Provera e cinque minuti dopo a dover decidere se dare una concessione a Benetton, che pure è socio di Telecom, il problema non è certo del ministro Di Pietro, ma di un sistema italiano asfittico, in cui non si riesce purtroppo a dar vita a soggetti nuovi, a energie nuove che sappiano creare, attraverso la moltiplicazione delle iniziative, quella vera competitività di cui ogni mercato e ogni democrazia liberale si nutre.
In ogni caso, resta da fare un'ultima considerazione che riteniamo fondamentale. Un Governo che, come richiamava lei, signor Presidente, deve porsi come regolatore dei mercati, deve intervenire anche e soprattutto nella disciplina di quello che è uno degli elementi strategici e strutturali di ogni paese a democrazia avanzata, cioè la gestione e il controllo delle grandi reti. Quando si parla di grandi reti, ci si riferisce a quelle strutturali, infrastrutturali e telematiche, quali le ferrovie, l'energia, le telecomunicazioni, attraverso le quali passa non solo una parte importante dell'economia del paese, ma una gran parte dell'innovazione e spesso della sicurezza stessa del paese. E allora dobbiamo dircelo con chiarezza che la gestione, la proprietà, l'utilizzo e l'amministrazione delle aziende che gestiscono le grandi reti del paese, molto spesso oggi privatizzate, non sono fatti che possono lasciare un Governo indifferente e neutrale, ma richiedono un intervento.
Infatti, non è affatto la stessa cosa se, per esempio, un'azienda, pressocché monopolista nel settore della telefonia fissa e mobile, finisce nelle mani di uno straniero. E di quale straniero e con quale finalità? In questi giorni abbiamo constatato che un'azienda come Telecom, che collabora con la magistratura per le indagini e le intercettazioni, che vive sulla base di una concessione dello Stato, può finire nelle mani di qualcuno rispetto al quale, come paese, non siamo in grado di sentirci completamente sicuri e rassicurati. Questo non significa e non deve significare nel modo più assoluto l'ingerenza del Governo nelle politiche aziendali di ogni singola impresa, tanto meno di un'azienda quotata in Borsa. Tuttavia, c'è un piano che crediamo diverso, ma strettamente connesso.
Ogni Governo ha il dovere, sempre, di rappresentare gli interessi collettivi fondamentali di un paese e di garantire la migliore tutela di questi interessi, anche nel campo dell'economia. Allora, crediamo che un Governo sarebbe inadempiente e veramente colpevole se, rispetto a queste


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aziende, che per dimensioni, collocazione strategica, possesso di know how, investimenti scientifici e tecnologici, costituiscono la spina dorsale di un paese, non intervenisse con richieste di conoscenza, di informazione, di partecipazione, di condivisione.
Tutto questo, nel caso Telecom, non è avvenuto o non è avvenuto compiutamente. Se i più alti vertici di questa azienda, fin dal principio, avessero collaborato con il Governo, spiegando le ragioni per cui si disfaceva oggi quello che si era deciso poco meno di due anni fa, fugando i dubbi legati a un debito enorme, 80 mila miliardi di vecchie lire, con le conseguenti preoccupazioni in merito al mantenimento dei livelli occupazionali e alla tutela dei piccoli imprenditori, ebbene, credo che tutto questo polverone non sarebbe stato sollevato.
È vero, esiste una zona grigia nel paese. Ma la cosa che ci lascia perplessi è che questa zona grigia sembra oggi lambire anche parte di quello stesso sistema economico dal quale arriva la denuncia. Se la politica ha certo il dovere, in modo fermo e rispettoso, di arrestarsi di fronte alle dichiarazioni di un'azienda che afferma di essere essa stessa parte lesa di quella sorta di Spectre delle intercettazioni illegali, che pure, come una metastasi, si era strutturata ed organizzata all'interno di Telecom stessa, al punto di lavorare per anni, indisturbata, contro la libertà dei cittadini, è anche vero che molto contribuirebbe a dissipare questa zona grigia una grande operazione di trasparenza e di pulizia, non quella che compete allo Stato, che con tempestività e con grande coerenza e fermezza è già intervenuto per quanto di propria competenza, ma quella che compete ai massimi vertici industriali: il livello e la qualità della democrazia e del confronto nel nostro paese se ne gioverebbero senz'altro in larga misura.
In conclusione, signor Presidente, le vogliamo dire che per primi ritenevamo che questo dibattito e questi chiarimenti fossero assolutamente indispensabili e non rinviabili da parte del Governo. Le siamo, quindi, grati delle parole - e lo voglio dire con orgoglio e con forza - di verità che lei oggi ha pronunciato in quest'aula, ma soprattutto di un'informativa decisa e determinante non solo e non tanto sulla vicenda economica di Telecom, ma, più in generale, sulle politiche industriali di questo Governo e sulla necessità che lei stesso ha riaffermato di tutelare gli interessi pubblici legati alla avvenuta privatizzazione delle grandi reti infrastrutturali e telematiche del nostro paese.
Questi erano i veri problemi da affrontare. Queste le risposte che il Presidente del Consiglio ha dato a quest'aula. Purtroppo, abbiamo dovuto, ancora una volta, constatare che l'opposizione, asservita quasi sempre ad una concezione della politica puramente strumentale, ha finito, ancora una volta, per tradire il ruolo e le funzioni stesse che in una democrazia competono all'opposizione, dimostrando - e lo rileviamo con amarezza - che di tutti questi temi di cui oggi abbiamo parlato all'opposizione non interessava assolutamente nulla: lo ribadisco, non gliene interessava assolutamente nulla!
Ciò che stava a cuore all'opposizione qui, oggi, era dar vita, sulla base di presupposti inesistenti e relativamente ad un fatto totalmente irrilevante ed insignificante, ad una sorta di siparietto mediatico ai danni del Governo.
Noi, signor Presidente del Consiglio, lasciamo interamente a loro questa sterile ed a tratti offensiva polemica. Noi saremo e siamo sempre al suo fianco nel porre in primo piano i problemi veri del paese, gli interessi generali dell'Italia e degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO VILLETTI. Apprezziamo, innanzitutto, la sua decisione, signor Presidente del Consiglio dei ministri, di venire in Parlamento a riferire su tutta la complessa vicenda della Telecom. Noi, come gruppo della Rosa nel Pugno, siamo stati tra i primi a chiedere che il Governo venisse in Parlamento e che fosse lei,


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signor Presidente del Consiglio dei ministri, ad offrire i chiarimenti da più parti invocati.
In tutta questa vicenda, è necessario ammetterlo, sono state commesse leggerezze, vi è stato qualche sbandamento e vi è stato anche qualche vero e proprio errore.
Si è diffusa l'impressione, che ha avuto riflessi nella stessa opinione pubblica internazionale, che ci trovassimo di fronte ad un'ingerenza del Governo nella gestione dei progetti industriali di un'impresa come la Telecom. Tutto ciò è dovuto alla diffusione del cosiddetto piano Rovati, da cui lei, signor Presidente del Consiglio dei ministri, ha più volte preso le distanze e qui ha dato una chiara impostazione. È stato, quindi, opportuno che il dottor Rovati abbia fatto un passo indietro.
Non vedo alcuno scandalo se il Presidente del Consiglio è chiamato a spiegarsi meglio di fronte ad una situazione che non ha brillato per trasparenza. Chiarimenti di diverso tipo e di maggiore gravità, del resto, li ha dovuti fornire persino il Papa, senza che ciò comportasse una perdita della sua autorevolezza. Non capisco proprio perché sia considerato un fattore sconvolgente se quello chiamato a dare chiarimenti è il Capo del Governo.
Quanto lei ha detto, signor Presidente del Consiglio dei ministri, ci rassicura perché ha sgombrato il campo da equivoci e ha così contribuito a contrastare la campagna martellante ed ossessiva condotta da settori dell'opposizione, soprattutto per mettere sotto accusa lei, signor Presidente del Consiglio dei ministri, e quindi tentare nuovamente di dare una spallata al Governo. Ciò è comprensibile, meno comprensibili sono le lezioni proprio sul terreno della distinzione tra economia domestica e Stato: questo lo dico riferendomi alla situazione del partito nel quale milita il professor Tremonti, poiché Berlusconi è, in qualche modo, il simbolo e l'emblema di una commistione tra questi due aspetti.
Ripeto qui quanto abbiamo già detto tante volte: il problema non era Prodi e non è Prodi, e non è neppure quello di un duello tra il Presidente Prodi e il dottor Tronchetti Provera. La principale questione è, invece, l'orientamento del Governo sul futuro delle telecomunicazioni in Italia.
In tutta questa vicenda, è sembrato che il Governo volesse procedere con la testa rivolta all'indietro, in controtendenza rispetto ai processi da tempo avviati, rivolti ad affermare privatizzazioni e liberalizzazioni, cosa che lei qui ha smentito nettamente affermando una ben diversa concezione dei rapporti tra Governo e mercato.
Michele Salvati, proprio oggi, su Il Corriere della Sera, ha osservato che due fantasmi si aggirano per le stanze dei ministeri economici di mezza Europa: il fantasma della proprietà pubblica e quello della proprietà nazionale. Si aggirano soprattutto da noi; erano già presenti con il Governo di centrodestra e sono puntualmente tornati con quello di centrosinistra.
Ieri, il nuovo presidente della Telecom, il professor Guido Rossi, nella sua audizione presso le Commissioni riunite trasporti della Camera e lavori pubblici del Senato, ha detto - con il tono di un altolà di fronte ad un pericolo incombente - che non intende assistere passivamente ad una nuova, sia pur larvata, nazionalizzazione dell'impresa. Si possono considerare eccessive queste preoccupazioni.
Tuttavia, in un paese come l'Italia - dove non c'è solo il veterostatalismo a sinistra, ma anche nell'opposto schieramento si annidano colbertisti, corporativisti e destra sociale - simili timori possono avere qualche fondamento. Qui non dobbiamo certo fare un confronto sull'intervento pubblico nel corso della storia d'Italia, rispetto al quale non mi sento affatto di dare un giudizio sommario e negativo, poiché lo Stato ha avuto spesso un ruolo utile nella ricostruzione del paese. Semmai, il limite è stato quello che si riferisce non tanto allo Stato, ma all'invadenza dei partiti nello Stato e nella vita delle imprese pubbliche. Si tratta, invece, di dire con chiarezza che, di fronte alle sfide della globalizzazione e nel quadro dell'Unione europea, quel capitolo è ormai chiuso.


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Oggi dobbiamo puntare innanzitutto sul valore della concorrenza per riuscire a dare una spinta allo sviluppo del nostro paese. La concorrenza è necessaria per assicurare un corretto funzionamento del mercato, che non è il far west, ma un'istituzione dotata di regole, ispirata a principi di trasparenza, sottoposta a controlli da parte di autorità indipendenti.
Solo così si potrà trasformare il capitalismo italiano, troppo spesso chiuso ed arroccato in piccole dimensioni, piuttosto refrattario alla competizione, caratterizzato da una forte impronta familiare e da una mai completamente abbandonata vocazione ad essere assistito dallo Stato. La concorrenza deve essere assicurata difendendone i presupposti, che nel campo delle comunicazioni vedono nell'accesso alle reti un aspetto fondamentale. Le reti sono un bene comune, ma ciò non implica affatto che siano di proprietà dello Stato; possono essere private, ma devono essere gestite sulla base di regole liberali che evitino qualsiasi tentazione monopolistica. Così si pone la questione in Italia, come negli altri paesi europei. La soluzione da dare alle reti non ha, quindi, nulla a che vedere con le tentazioni di tornare indietro e di rinazionalizzare la Telecom, cosa che va nettamente esclusa, ma con l'esigenza di assicurare la concorrenza.
Tutta questa vicenda ci fa comprendere come siano stati commessi errori quando le privatizzazioni non sono state accompagnate dalle liberalizzazioni, con il rischio fondato che i monopoli pubblici diventassero monopoli privati, e ci fa cogliere i limiti di situazioni nelle quali le imprese pubbliche sono state caricate dei debiti contratti per comprarle. Pare proprio che settori del capitalismo italiano abbiano fatto concorrenza allo Stato nella corsa ad un indebitamento davvero eccessivo. Il Governo deve muoversi parlando il linguaggio delle regole - e il Presidente del Consiglio su questo punto è stato assolutamente chiaro -, regole che devono essere il presidio di un libero mercato. L'opacità, le manovre occulte, gli intrighi sono l'opposto di un libero mercato, nel quale devono essere tutelati gli azionisti, i lavoratori, ma, anche e soprattutto, i consumatori, che sono, poi, tutti i cittadini.
Scoprire che all'interno della Telecom esisteva un centro di ascolto che intercettava illegalmente migliaia di persone non può che suscitare un allarme gravissimo sulla nostra vita democratica e, specificatamente, sull'efficacia dei controlli soprattutto all'interno di imprese nevralgiche per la comunicazione. Quello delle intercettazioni è un capitolo a parte di tutta questa vicenda, ma non è, certamente, un capitolo secondario. Il Governo si è mosso tempestivamente per tutelare la privacy dei cittadini. A questo proposito, devo osservare al Presidente del Consiglio che, forse, è necessario regolare meglio il traffico e la circolazione delle idee tra i ministri, perché spesso votano in Consiglio dei ministri in un modo, escono dal Consiglio dei ministri e dichiarano di essere contrari a ciò che hanno votato, poi minacciano di non votare in Parlamento per ciò che hanno votato in Consiglio dei ministri e, alla fine, votano naturalmente per disciplina nel Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno). Quindi, abbiamo bisogno, certamente, di un aggiustamento nella maggioranza e nel Governo.
Su questo tema, il Parlamento dovrebbe intervenire e promuovere la costituzione di una Commissione di inchiesta sulle intercettazioni telefoniche, non sul caso Telecom, ma sul fenomeno in generale.
Tutta questa vicenda deve portare non a celebrare in quest'aula un processo né al Governo né a chi ha guidato fino a poco tempo fa la Telecom, ma a riflettere sul futuro ed a contribuire alle decisioni che sono necessarie. In Italia abbiamo bisogno di un vero e proprio salto di qualità, accrescendo la nostra competitività e incrementando le risorse per l'istruzione e la ricerca: questa è la sfida che ci attende.
Il Governo ha come imminente e fondamentale banco di prova la legge finanziaria. Mi dispiace dirlo, ma in tutta questa delicata questione - come pure è avvenuto sul tema delle comunicazioni - ho registrato nel centrosinistra un riformismo


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debole e spesso scolorito. Spero sia un'impressione che presto venga fugata.
Lei, signor Presidente del Consiglio, non è solo il leader dell'Unione, ma è stato indicato da circa quattro milioni di elettrici e di elettori, alle primarie del centrosinistra, come il generale in capo dei riformisti. È da lei, quindi, che ci attendiamo non solo scelte coraggiose ed innovative, sul futuro delle comunicazioni e sulla tutela del valore della concorrenza e del mercato, ma anche un suo impulso forte sul terreno della ricerca e dell'istruzione. Non vorremmo leggere nella legge finanziaria che le spese sono diminuite; vorremmo leggervi che le spese sono aumentate, in sintonia con l'Agenda di Lisbona. Noi la vogliamo impegnato contro ogni corporativismo, contro ogni forma e pretesa monopolistica e oligopolistica.
Per tale motivo, in occasione di questo dibattito parlamentare, pur avendo avanzato apertamente alcune critiche, come si fa tra amici, vogliamo riconfermarle - e ci creda, signor Presidente del Consiglio, senza alcuna riserva - la nostra piena fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi de La Rosa nel Pugno e de L'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Diliberto. Ne ha facoltà.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, colleghi, il Presidente Prodi è qui intervenuto in merito alle vicende Telecom che hanno agitato queste ultime settimane. Bene, perché alla campagna indegna delle destre occorreva pur reagire. Ed è stato fatto in modo adeguato. Condividiamo e manifestiamo piena solidarietà al Presidente del Consiglio e al Governo.
Vorrei approfittare di questa circostanza non per discutere delle sciocchezze agitate dalla destra, ma per svolgere alcune considerazioni su un tema che giudico cruciale: quello del destino industriale del nostro paese. Ciò approfittando proprio della circostanza che, per primo, il Presidente Prodi si è soffermato sul passato (le cose già fatte) e sul futuro (le cose che dobbiamo ancora fare).
È bene ripetercelo: parliamo di settori strategici dell'economia, ossia telecomunicazioni, trasporti ed energia, il futuro dell'Italia. Su questo credo vi saranno anche opinioni diverse tra noi, che è bene vengano conosciute dall'opinione pubblica e dal Parlamento.
Negli anni passati abbiamo assistito ad una quasi generalizzata «ubriacatura» iperliberista alla quale, spesso, il più delle volte isolatamente, non abbiamo partecipato. Ritenevamo e riteniamo sbagliata, dannosa per il paese, miope economicamente l'idea che le privatizzazioni dovessero riguardare anche e soprattutto i settori strategici dell'economia, quelli che rappresentano l'asse portante, che sono il volano anche di tutti gli altri segmenti dell'industria e dell'economia medesima. Lo ripeto: telecomunicazioni, trasporti, energia.
I fatti, purtroppo, ci stanno dando ragione. La privatizzazione come ideologia - anzi, come dogma - ha contagiato, ahimè, molti - troppi - anche a sinistra; quasi un furore contro il ruolo dello Stato, del pubblico in economia. E chi si opponeva, come noi, alle privatizzazioni veniva e ancora viene descritto come un nostalgico del passato, seguace di un'idea dell'economia da socialismo reale. Opporsi alle privatizzazioni sembrava opporsi al futuro.
È accaduto esattamente il contrario. È accaduto, infatti, che gli effetti delle privatizzazioni - è sotto gli occhi di tutti - hanno creato un disastro nell'economia reale del paese, sotto tutti i profili. Basti pensare ai trasporti: disservizi, spaventosi indebitamenti, massicci licenziamenti, pericoli serissimi di ulteriori tagli al personale (tanto è vero che i dipendenti Telecom, più di ottantamila, stanno per scendere in sciopero) e, da ultimo, certo non in ordine di importanza, incursioni criminali di eccezionale gravità, come nel caso della colossale rete di intercettazioni illegali presso Telecom!
Danni ai lavoratori, dunque, danni ai risparmiatori che hanno investito in azioni di queste aziende privatizzate (che sono crollate), danni agli utenti, che si ritrovano


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servizi il più delle volte pessimi, danni al paese. Chi paga? Pagano tutti, tranne gli alfieri di questo capitalismo straccione edificato con l'acquisto di aziende che sono state privatizzate - senza capitali, ma con tanti debiti -, magari per poi rivendere le aziende medesime ad aziende estere. Società estere, come sanno bene i signori del Governo, stanno scalando, uno ad uno, i settori più importanti dell'economia italiana.
Nei grandi paesi industriali europei, dove non mi risulta che ci siano economie del socialismo reale, è accaduto il contrario: è bene ricordarlo. Le reti, cioè il settore più strategico per il futuro, quello della comunicazione e della conoscenza, in Gran Bretagna, patria del liberalismo, sono di proprietà dello Stato. In Francia ed in Germania, non nella Russia dei soviet, in paesi a capitalismo avanzato, ad economia capitalistica, le telecomunicazioni sono pubbliche.
Allora, cosa c'è di scandaloso in quello che chiediamo noi, qui in Italia? Qui da noi si è stati più realisti del re! Pensate che in Italia esiste addirittura - l'abbiamo scoperto anche nel dibattito odierno - una corrente di pensiero secondo la quale, oltre ad uscire dall'economia, lo Stato, rappresentato dal legittimo Governo, non avrebbe il diritto di intervenire quando si discute del destino della più grande azienda italiana, cioè Telecom. Ebbene, io credo sia venuto il momento di dire con chiarezza - perché non se ne può più! - una parola di verità. Il Governo non ha il diritto di intervenire: il Governo ha il dovere di intervenire quando si tratta di settori strategici per l'economia e con circa 90 mila posti di lavoro in gioco. Ha il dovere di intervenire tanto più quando un gruppo dirigente privato - ripeto, della più grande azienda italiana -, di colpo, contraddice tutto ciò che si sta facendo nel resto del mondo nel campo delle comunicazioni, separando, cioè, la rete fissa dalla telefonia mobile, mentre per anni il medesimo gruppo dirigente privato di Telecom aveva sostenuto che il futuro del settore sarebbe stato rappresentato dalla connessione. Un evidente sotterfugio per vendere all'estero: prendi i soldi e scappa!
Il rischio è concretissimo: come stava accadendo per le autostrade, il ramo d'azienda della telefonia mobile rischiava e rischia di essere acquisito da aziende non italiane, con il brillante risultato che l'Italia, il paese con il più alto numero di telefoni cellulari al mondo, sarebbe stata l'unico paese a non avere nemmeno un gestore italiano nel settore della telefonia mobile. Terra di conquista: ecco cosa siamo diventati!
Ci viene addebitato, ci viene rimproverato che abbiamo nostalgia dell'IRI. Badate: rispetto a questa classe dirigente imprenditoriale dell'Italia, che non sa fare il proprio mestiere di imprenditore (perché di questo stiamo parlando) e che non di rado agisce in spregio assoluto delle leggi italiane - rispetto a quello che è accaduto, sì! -, noi pensiamo si debba operare una netta inversione di tendenza. La sfida è quella di dimostrare che il pubblico può funzionare come e meglio del privato; e, nei settori strategici dell'economia, tanto più si dovrebbe sterzare verso nuove e moderne forme di partecipazione o di controllo da parte dello Stato e - perché no? - anche attraverso la Cassa depositi e prestiti.
Discuteremo degli strumenti, con il Governo e con la nostra maggioranza, ma l'opinione dei Comunisti Italiani è che la politica italiana - lo ripeto: la politica - non possa assistere inerte allo smantellamento e alla sottrazione delle aziende da cui dipende il futuro del nostro paese, tutte edificate con soldi pubblici e poi privatizzate, con enormi arricchimenti personali di pochissimi e danni gravissimi per tutti gli altri, ad iniziare dai lavoratori.
Le privatizzazioni - so che questo è un tema di discussione anche all'interno del centrodestra - hanno evocato forze che il fragile, provinciale e debolissimo sistema economico e finanziario italiano non è stato in grado di gestire o di controllare, come gli apprendisti stregoni.
È tempo di porvi rimedio. Lo ripeto: è tempo di porvi rimedio e di ristabilire il primato della politica sull'economia, il


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controllo del pubblico sul mercato, non attraverso forme vecchie di partecipazione statale, perché il destino di questo paese dipende da quei settori dell'economia se non sarà la politica a governare quei settori. Badate: il mercato selvaggio sta procurando, come si è visto, solo ingentissimi danni.
È tempo di porvi rimedio, di salvare ciò che ancora può essere salvato - lo ripeto -, almeno nei settori strategici delle telecomunicazioni, dell'energia e dei trasporti, affinché non più il sonno della ragione generi altri mostri (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bonelli. Ne ha facoltà.

ANGELO BONELLI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, vorrei esprimere, innanzitutto, il mio apprezzamento per l'informativa del Presidente del Consiglio Prodi ed esprimere anche la nostra censura rispetto al comportamento indecoroso che si è tenuto all'inizio dei lavori pomeridiani dell'Assemblea.
Telecom Italia: 85 mila lavoratori e 41 miliardi di euro di debito che, alla fine dell'anno, secondo l'attuale presidente di Telecom, Rossi, scenderanno a 38 miliardi. Eppure, Telecom Italia agli inizi degli anni Novanta era un'azienda sana e forte.
Oggi, noi Verdi, in diretta televisiva, ci rivolgiamo ai consumatori-utenti, coloro i quali, in questi anni, hanno subito aumenti tariffari ingiusti, immotivati e sproporzionati, affatto legati a standard accettabili e notevolmente peggiorati in tutti i settori, piuttosto che migliorati.
Ogni anno vengono prelevati dalle tasche degli italiani 200 milioni di euro per servizi telefonici mai richiesti. In Italia - unico caso in Europa -, si paga una tassa occulta per le ricariche dei telefonini, odioso balzello che grava soprattutto sulle utenze economicamente più deboli del paese, giovani e anziani, e i cittadini che subiscono salassi a causa di un roaming internazionale per niente chiaro e trasparente: oltre un miliardo di euro sottratto alle tasche degli italiani.
Il caso Telecom deve portare ad una seria riflessione, signor Presidente, per riformare il capitalismo italiano - altro che dirigismo! -, abituato a governare con i debiti contratti dalle banche, scatole cinesi, con quote minimali che riescono sempre a prevalere rispetto alla maggioranza del capitale societario, spesso polverizzato in piccole quote detenute da milioni di risparmiatori azionisti, di lavoratori costretti a subire troppe angherie, a non contare nulla in assemblea, e aumenti tariffari spropositati a prescindere dalla qualità per servizio.
È necessaria una profonda revisione delle regole del capitalismo all'italiana, occorre rivedere le regole del modello societario, in modo da prevedere anche l'ingresso dei lavoratori e dei risparmiatori-consumatori nell'azionariato Telecom, sul modello tedesco della Deutsch Telekom.
Tronchetti acquista il controllo di Telecom ed è interessante, nella brevità dell'esposizione che farò, che gli italiani sappiano che, con il meccanismo delle scatole cinesi, in sostanza (ossia, una serie di società, in cui al vertice della catena c'è una piccola azienda che ne controlla una più grande, fino ad arrivare alla Telecom), con lo 0,8 per cento di azioni, controlla un impero attraverso la holding di Olimpia. I debiti rimangono e per ridurli la strategia è quella di vendere ed esternalizzare i lavoratori.
Negli ultimi due anni, gli azionisti hanno visto il valore delle loro azioni ridursi della metà. Noi Verdi crediamo che sia necessario un nuovo piano industriale per rilanciare una grande azienda e rivedere gli assetti societari, coinvolgendo i soggetti finora esclusi, che hanno dovuto subire scelte sbagliate, ossia lavoratori e consumatori, utenti e risparmiatori, in un grande progetto fin ad ora inedito di public company.
In questa vicenda appare chiaro quanto Telecom sia strategica per il paese, per il futuro lavorativo e di vita di 85 mila lavoratori, nonché di milioni di utenti e, cosa importante, per la sicurezza nazionale. L'importanza di quest'ultima è dimostrata


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dai fatti di alcuni giorni fa, che hanno portato all'arresto di molte persone, tra cui il capo della sicurezza Telecom, per le cosiddette intercettazioni illegali. Dipendenti Telecom, sindacalisti, la politica, il mondo della finanza sono stati intercettati. Il nuovo presidente Telecom, Guido Rossi, dice che l'azienda è parte lesa in questa vicenda. Noi Verdi sosteniamo che parte lesa sono i lavoratori e i dipendenti spiati, e penso che nei loro confronti l'azienda debba prevedere azioni risarcitorie. Chiediamo al Governo e al ministro della giustizia di avviare indagini sulla presenza nelle altre gestioni di telefonia mobile di apparati di intercettazioni e di acquisizioni di dati della vita di cittadini italiani.
Vogliamo sapere, signor Presidente del Consiglio, se i nostri servizi hanno pianificato in Italia il controllo delle comunicazioni collocando uomini come Tavaroli in altri enti gestori. Su questo vogliamo un'immediata risposta e che si apra un'indagine: ecco perché chiediamo alcune modifiche al tempestivo e condiviso decreto sulle intercettazioni illegali, per individuare i mandanti e consentire agli intercettati, a partire dai dipendenti Telecom, di chiedere un risarcimento.
Non sfuggirà al Parlamento - lo voglio dire proprio in questa sede, perché penso sia doveroso - ed è ben chiaro agli italiani che, se oggi siamo riusciti a scoprire un attentato alla democrazia pari a quello della P2, è grazie alla capacità d'inchiesta di giornalisti come D'Avanzo e Bonini: senza quell'inchiesta, gli italiani non avrebbero mai conosciuto i fatti. Ciò dovrebbe farci riflettere sul ruolo dei nostri servizi, sui sistemi di controllo democratico e sul ruolo del precedente Governo rispetto a queste operazioni dei servizi italiani. Noi riteniamo non più sufficiente le semplici dimissioni dei vertici dei servizi, ma occorre un'inevitabile sostituzione dei vari capi divisione.
Alla luce di quanto esposto, è stato per noi chiarissimo sin dall'inizio che il suo intervento, signor Presidente del Consiglio, è stato puntuale e rigoroso, nel bene del paese e degli interessi generali. Il consiglio di amministrazione, l'11 settembre - bruttissima data -, ha deciso di avviare questo scorporo, con rischi gravi sul futuro dell'azienda, dei livelli occupazionali dei lavoratori e della sicurezza nazionale, come ho detto prima. Non è stato, il suo, un intervento di dirigismo, un'intromissione nelle scelte dell'azienda, come importanti quotidiani economici hanno scritto e qui qualcuno dell'opposizione ha voluto e vuole far credere al paese. Il suo è stato un intervento - come dicevo prima - a difesa degli interessi generali del paese.
Il Governo non può rinunciare alla sua funzione regolatrice e non può guardare passivamente al fatto che la più grande azienda di telecomunicazione sia terra di selvaggia conquista. È in gioco la democrazia del paese e sarebbe stato gravissimo, signor Presidente, se lei non fosse intervenuto. Non sfuggirà poi che l'acquisizione di Telecom può aprire un versante inedito ed allarmante nel controllo delle telecomunicazioni e delle informazioni, a partire anche dalla carta stampata. Chi sono gli interessati a realizzare simili operazioni politico-finanziarie? Murdoch? Mediaset? Non lo sappiamo, ma certamente il Governo deve essere controllore per impedire che il pluralismo in questo paese sia ferito e che i consumatori italiani non siano tutelati.
Poco fa, signor Presidente, l'onorevole Tremonti e l'onorevole Fini hanno detto che a Palazzo Chigi c'è una banca d'affari. Noi Verdi diciamo che è vero, c'è stata una banca d'affari a Palazzo Chigi, ma è stata chiusa col voto degli italiani il 9 e il 10 aprile scorsi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e de L'Ulivo)! Oggi è necessario avviare un'operazione-verità. Per anni, la destra ha governato e ha avuto belle facce di bronzo! Infatti, aveva un Presidente del Consiglio che non poteva partecipare e non si poteva sedere perché, ogni volta, era così forte il conflitto di interessi che sulle questioni della finanza, delle assicurazioni, delle società di costruzioni non avrebbe mai dovuto partecipare!
Questo è stato il grave problema del paese; e hanno avuto la faccia di bronzo di venire in Parlamento a dichiarare che


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esisterebbe una banca d'affari! Tutt'altro: si sta esercitando la funzione importante e fondamentale di tutela degli interessi generali del paese!
Concludo, quindi, dichiarando, signor Presidente del Consiglio, che i Verdi la ringraziamo per l'informativa da lei testé svolta e per il ruolo primario che sta riconoscendo al Parlamento - il che non era mai accaduto nella precedente legislatura -, e la invitano a continuare nel lavoro intrapreso (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi, de L'Ulivo e dei Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fabris. Ne ha facoltà.

MAURO FABRIS. Signor Presidente del Consiglio, noi la ringraziamo per l'informativa oggi resa alla Camera dei deputati.
L'unico elemento certo sulla vicenda che stiamo oggi discutendo è che ci saremmo potuti sicuramente risparmiare questo dibattito; una discussione che l'opposizione ha preteso, ha voluto, protestando a lungo pur di averla e che oggi, come possono osservare quanti ci seguono da casa, la stessa opposizione diserta.
In realtà, i problemi veri del paese sono altri: sullo scenario internazionale, permane la minaccia terroristica, testimoniata dal lutto e dal dolore causati dal nuovo sangue versato dai nostri soldati in Afghanistan e dall'impegno cui è chiamato il nostro contingente nel Libano ed in tante altre parti del mondo; sul fronte economico, si pongono, per l'economia, le famiglie e le imprese, le difficoltà connesse alla ripresa, che dovranno trovare risposte nella definizione della legge finanziaria - condivisa perché condivisibile -, che presto dovremo varare; sul piano sociale, infine, si pone il problema della violenza e della criminalità diffusa, che spaventano sempre più le persone.
Insomma, non mancano certamente i temi sui quali confrontarci; invece, siamo chiamati ad usare il nostro tempo per dibattere su una questione che sarebbe stata evitabile se vi fosse stato un po' meno eccesso di protagonismo personale, da una parte, e, dall'altra, l'alimentazione, fatta ad arte - da parte dell'opposizione -, di una bufera scatenata sul caso Telecom.
Si è trattato, invero, di una bufera che è servita a coprire i contrasti interni alla Casa delle libertà, ancora confusa dopo la sconfitta elettorale: una confusione resa evidente, proprio nei giorni precedenti l'11 settembre - data del famoso consiglio di amministrazione che doveva dare il via alla riorganizzazione di Telecom -, dai contrasti manifestatisi sulla missione in Libano, sulle nomine RAI, sulla guida della Casa delle libertà, tra Berlusconi ed i suoi alleati. Quelli erano i giorni in cui, a Gubbio, al convegno di Forza Italia, Berlusconi minacciava di non esprimere un voto favorevole insieme alla maggioranza né sulle nomine RAI, né sulla missione in Libano; missione che, peraltro, per come è nata in ambito ONU, ha nuovamente conferito un ruolo internazionale all'Italia. Facevano adirare le affermazioni del presidente Berlusconi, il leader dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), mentre poi tutti insieme approvavamo le proposte della maggioranza. Erano i giorni in cui la Lega, a Venezia, dichiarava conclusa l'esperienza della Casa delle libertà; erano i giorni in cui molti, forse troppi e troppo fiduciosi nelle proprie forze, si candidavano alla successione alla guida della Casa delle libertà.
Il caso Rovati, come si è voluto definirlo, sarebbe allora dovuto servire all'opposizione, certo in maniera illusoria e momentanea, per fare sparire tutto ciò dalla scena. Per ottenere tale risultato, si voleva dare l'idea che, a Palazzo Chigi, sedesse addirittura un comitato d'affari. La pochezza - consentitemi di esprimermi in tal modo - degli interventi oggi sentiti, dall'ex ministro Tremonti all'onorevole Fini, dimostra l'infondatezza di quel teorema.
In ogni caso, è incredibile: per cinque anni, durante i Governi della Casa delle libertà, a Palazzo Chigi è andato in scena il più grande conflitto di interessi mai visto in una democrazia occidentale (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur)...


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che ha avuto come protagonista l'uomo più ricco d'Italia, nonché Presidente del Consiglio, ed ora si vorrebbe far credere che, dopo appena tre mesi di Governo, già funzioni a pieno regime, a Palazzo Chigi, addirittura una banca d'affari! Capisco la polemica, ma francamente mi sembra una forzatura eccessiva.
Guardiamo dunque ai fatti. Come ha ricordato il Presidente Prodi, è ovvio che il destino del più grande gruppo di telecomunicazioni del paese, con 85 mila dipendenti, di proprietà pubblica solo fino a qualche anno fa e rispetto al quale i nuovi proprietari, al momento del suo acquisto dallo Stato, si erano impegnati su alcuni punti di interesse nazionale, rientri tra le questioni che devono interessare il Governo; se non altro, con riguardo al futuro dei dipendenti, al controllo delle reti cui tutti i gestori dovrebbero poter accedere, al futuro del ruolo dell'Italia nel mondo nel settore strategico delle telecomunicazioni.
Lo stesso nuovo presidente di Telecom, Guido Rossi, ieri, nell'audizione informale svoltasi alla Camera dei deputati in sede di Commissioni riunite IX (Trasporti) della Camera e 8a (Lavori pubblici) del Senato, ha dichiarato di ritenere assolutamente normale, e anzi utile, che il Governo ed il Parlamento si interessassero delle sorti di un settore strategico dell'economia del paese quali sono le telecomunicazioni, come è comprensibile - continuava Rossi - che le aziende cerchino un dialogo ed un confronto con l'esecutivo, specialmente quando le loro strategie hanno implicazioni internazionali.
Nessuno scandalo, dunque, se il Presidente del Consiglio si è confrontato con l'allora presidente di Telecom su questi scenari di riorganizzazione del gruppo, fermo restando che, come ricordava ieri il presidente Guido Rossi - il quale, in verità, non è stato molto chiaro su cosa egli intende fare per Telecom in futuro -, siamo d'accordo sul fatto - come lo stesso Rossi diceva - che le imprese hanno diritto a veder pienamente salvaguardata la loro autonomia di gestione.
Cos'è successo, dunque? I fatti sono chiari. Come ha ricordato il Presidente Prodi, nei due incontri da lui avuti con Tronchetti Provera in settembre, erano stati tenuti nascosti al Governo i piani dell'azienda. Domanda: perché? Penso che l'ex presidente di Telecom volesse davvero usare il Governo per coprire le difficoltà gestionali su cui, a luglio, si è tanto discusso.
Sarà interessante capire come la vicenda - ancora oscura - dei dossier Telecom, oggetto di indagine della magistratura, ma di cui eravamo già tutti informati dalle inchieste giornalistiche che vi erano state nei mesi precedenti, basati anche su intercettazioni illegali, si intrecci con quelle «pressioni da fare sul Governo» di cui parla il dottor Tronchetti Provera nei verbali del consiglio di amministrazione di Telecom dell'11 settembre scorso.
È interessante notare come il nuovo presidente Guido Rossi, ieri, in questa sede, abbia al tempo stesso confermato la volontà di andare avanti con il piano di Tronchetti Provera e che nulla, per il momento, è stato ancora deciso. Anzi, lo stesso Rossi ci ha spiegato che va tutto bene in quel gruppo, che vi sono utili, che l'indebitamento finanziario non è un problema, che la fusione di soli due anni fa tra TIM e Telecom ha fatto risparmiare oltre un miliardo di euro al gruppo stesso. Per questo, allora non si capisce perché, se andava tutto bene, l'ex presidente Tronchetti Provera volesse tornare a dividere TIM da Telecom e addirittura venderne alcuni asset.
Dico tutto ciò perché quello di cui stiamo discutendo non può banalmente venire ridotto, per puro gusto della polemica, al caso Rovati. Vi è ben altro su cui dovremo discutere, ossia il futuro delle telecomunicazioni, il futuro del più grande gruppo italiano del settore, in questo paese e nel mondo, a partire da quanti lavorano in tale settore, per evitare che tutto si riduca a manovre speculative e finanziarie prive di respiro - quello sì - di impresa. Anche per tali ragioni, il piano di ristrutturazione del gruppo Telecom inviato da


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Rovati al consigliere economico del presidente Tronchetti Provera è stato un errore. Noi lo giudichiamo un errore doppio nel momento in cui il Presidente Prodi ha detto, come ha riferito in quest'aula, di non essere stato nemmeno informato, e tutto ciò mentre pubblicamente lo stesso Presidente Prodi bocciava le proposte di smembramento del gruppo.
Le difficoltà in cui il dottor Rovati, persona amica e che noi continuiamo a stimare, ha messo il Governo gli sono costate il posto e devo dare atto della correttezza, in questo caso, del suo comportamento, che certo non ha eguali, quando in passato simili vicende sono capitate a Palazzo Chigi. Ma il danno di immagine per un premier che non sa ciò che fa il proprio consigliere economico ormai era fatto. Per il futuro, si dovranno evitare simili errori, che danno un'idea non giusta della nostra coalizione.
L'Unione non ha una visione interventista dello Stato in economia, come ha ribadito in quest'aula, oggi, il Presidente Prodi. I Governi di centrosinistra sono quelli che hanno avviato le liberalizzazioni in questo paese. Noi siamo quelli che sostengono il decreto Bersani sulle liberalizzazioni e sul riassetto industriale. Come si può essere accusati, nello stesso momento, di volere due cose tra loro contrarie? Come si fa, cioè, a dire che noi saremmo statalisti, vorremmo le nazionalizzazioni e, al tempo stesso, sostenere che abbiamo svenduto i «gioielli di famiglia», quando abbiamo ceduto ai privati, con i nostri passati Governi, le autostrade, le banche, le ex partecipate dello Stato, la telefonia, sottomettendo al diritto privato le Ferrovie dello Stato, l'Alitalia, l'ANAS ed altro? Aver, dunque, prestato il fianco, a causa di un'iniziativa personale, alle accuse - interne e sui mercati internazionali - di volere una politica economica capace di condizionare il mercato non corrisponde al vero, anche se ha danneggiato la credibilità della maggioranza che, nel proprio programma elettorale, non parla certamente di ciò.
Pensavamo, a dire il vero, che le dimissioni del consigliere economico del Presidente Prodi sarebbero bastate a chiudere la vicenda. Ci spiace notare, invece, che la Casa delle libertà ha tenuto, su tale argomento, un atteggiamento eccessivamente polemico ed irresponsabile. Nemmeno l'esplodere dello scandalo delle intercettazioni illegali, in cui sono coinvolti ex dipendenti Telecom, con gli aspetti inquietanti riguardanti la possibilità che tali atti illegali si volessero usare anche per tutelare economicamente e societariamente il gruppo, ha fermato l'opposizione, che pure sostiene il decreto-legge, voluto venerdì dal Governo per bloccare quei dossier illegali.
La Casa delle libertà, se ha davvero amore per questo paese, deve assumere un atteggiamento responsabile che guardi alla sostanza delle cose, al futuro di questa azienda. E per fugare i dubbi di un eccesso e di un'inutile polemica non basta che Berlusconi rassicuri che Mediaset non è interessata a Telecom.
In conclusione, mi permetto di dire che la prima lezione da trarre dalla vicenda è dunque quella che il Governo dell'Unione deve agire nel campo dell'economia nel pieno rispetto del suo programma elettorale dove abbiamo promesso il risanamento dei conti pubblici ed il rilancio dell'economia, ma senza politiche economiche neo-stataliste. In questo ambito, dobbiamo valutare se per Telecom vi sia un futuro industriale. Siamo stati accusati di rimpiangere le partecipazioni statali, i tempi della SIP e della STET. Non è così; come ha ripetuto il Presidente Prodi, non abbiamo mai pensato che si debba costituire una nuova IRI per gestire le aziende decotte. Nessuno rimpiange i tempi dell'intervento pesante dello Stato in economia, anche se molta industrializzazione del paese è stata fatta così. Quello che è certo è che a quell'epoca, ad esempio, la SIP aveva piani di sviluppo ambiziosi, interni ed internazionali. Vorremmo capire se quelle prospettive esistono ancora oggi.
Sì, è vero che Telecom è un'azienda privata e, dunque, lo Stato, il Governo non devono dare indicazioni ma, visto che la telefonia è un servizio pubblico, è bene


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che la politica vigili perché non vi siano contraccolpi per i cittadini e per le migliaia di piccoli azionisti che hanno creduto in questo progetto.

PRESIDENTE. Deputato Fabris, concluda.

MAURO FABRIS. Concludo, Presidente. Da ultimo, quello che a noi interessa dire è che dalla vicenda Telecom se non altro esce un'indicazione: è giunto il tempo di riconsiderare le cosiddette privatizzazioni fatte in Italia negli anni Novanta e seguenti. Nessuno sogna il ritorno, come detto, ad un intervento pesante dello Stato in economia, ma è giusto che si consideri come il Governo e il Parlamento possano garantire effettivamente il miglioramento dei servizi, l'abbassamento dei costi per le imprese e per le famiglie. Per come sono andate le cose finora, è evidente che tale riconsiderazione deve essere fatta (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Catone. Ne ha facoltà.

GIAMPIERO CATONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio dei ministri, siamo profondamente preoccupati per la situazione del mercato e dell'industria delle telecomunicazioni nel nostro paese. E, francamente, la comunicazione resa oggi dal Presidente Prodi non ha sedato le nostre preoccupazioni.
È sconcertante che siano state chiamate a gestire la situazione attuale le stesse persone già note per avere alcuni anni fa, da posti di altissima responsabilità, attuato il processo della cosiddetta privatizzazione della Telecom. Sembra incredibile ma è vero: il Presidente del Consiglio dei ministri che ha voluto e gestito la privatizzazione era Prodi e la mise in atto proprio Guido Rossi, che ora è presidente dell'azienda. Adesso quelle stesse persone e dagli stessi posti di responsabilità sembrano aver avuto l'intenzione di gestire il processo inverso, ovvero il passaggio della Telecom dalla sfera privata ad una sfera pubblica di nuova invenzione.
Vorremmo sapere che cosa è successo in questi anni. Il Presidente Prodi ha cambiato idea sulle privatizzazioni e sulle nazionalizzazioni? È tollerabile aver giocato e ora continuare a giocare con un patrimonio industriale e finanziario così grande ed importante? Dal 1997 ad oggi sono passati meno di dieci anni: dobbiamo forse concludere che in questo arco di tempo così breve si è già consumata l'esperienza italiana di transizione da un mercato monopolistico pubblico ad una situazione diversa? Se le cose stanno veramente così, vorremmo sapere quanto è costato a tutti i cittadini italiani avventurarsi in maniera evidentemente approssimativa e sbagliata verso questi nuovi lidi. Quante risorse sono state bruciate! In questo arco di tempo così breve è stato dilapidato un patrimonio in termini di soldi, ma anche un patrimonio di risorse industriali e di potenzialità di crescita e traino nel settore delle comunicazioni. Come è stato possibile tutto questo? Di chi è la responsabilità? Noi sosteniamo che la responsabilità è di Prodi e del centrosinistra. Quando poniamo queste domande non vogliamo essere fraintesi: non siamo nostalgici del passato e nemmeno di una situazione in cui la gran parte della struttura industriale italiana era nazionalizzata. Vogliamo sostenere invece la tesi che vi sono molti modi per privatizzare bene le imprese pubbliche, e che il Presidente Prodi ha scelto all'epoca il peggiore. Egli, innanzitutto, si è preoccupato di privatizzare, ma non di liberalizzare.
Una situazione di monopolio di fatto è abbastanza usuale nella realtà di aziende di proprietà pubblica, sebbene non si possa affermare che essa rappresenti la scelta ottimale. Quello che è sconcertante ed inaccettabile è che si sia passati da una situazione monopolistica pubblica ad una sorta di monopolio privato.
Non è poi tollerabile - forse questo rappresenta il fatto più grave - che il processo di vendita della Telecom sia avvenuto attraverso metodi poco trasparenti,


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cercando di formare cordate di amici con il contorno di noccioli cosiddetti duri che sarebbero stati preposti al mantenimento della struttura di controllo. Si è trattato di una catena di furberie che hanno causato la situazione attuale.
La principale colpa di quella stagione di privatizzazione è stata quella di non avere imposto dei requisiti minimi di serietà e consistenza alle società che aspiravano all'acquisto di Telecom. Faccio riferimento, in primo luogo, alla consistenza patrimoniale delle società candidate all'acquisizione e poi alla trasparenza degli assetti proprietari. Insomma, quelle privatizzazioni di dieci anni fa sono state fatte dal Presidente Prodi e sono state fatte molto male! Proprio il grave errore compiuto allora ci ha condotto all'attuale situazione!
Il Presidente Prodi in quest'arco temporale non ha trovato l'occasione per fare alcuna autocritica su quella stagione, sui criteri seguiti e sui risultati conseguiti nell'interesse del paese. Si è trattato di un atteggiamento assolutamente irrispettoso verso gli italiani tutti.
Non pago di avere combinato quel disastro, il Presidente Prodi ha pensato bene di aggravare le cose, montando in gran segreto e con pressappochismo uno schema di soluzione che gli permettesse di riprendere in sostanza il controllo della Telecom, utilizzando, anche in questo caso, i metodi usati in precedenza.
Abbiamo seguito, infatti, con grande interesse ed apprensione le vicende di queste ultime settimane e, francamente, facciamo ancora fatica a credere che il cosiddetto piano Rovati, scritto su carta intestata della Presidenza del Consiglio, sia stato semplicemente il frutto di una elaborazione estemporanea e personale dello stesso Rovati.
Stiamo dicendo che Prodi mirava ad un progetto di riappropriazione della Telecom da parte dei poteri pubblici, ma abbiamo la sensazione che non fosse squisitamente dettato da una finalità di politica economica ed industriale.
Il Presidente del Consiglio non pareva motivato da una preoccupazione per il miglioramento e lo sviluppo della telefonia nel nostro paese. La nostra sensazione, per le modalità non chiare e delle quali non è stata informata l'opinione pubblica, è che il Presidente Prodi fosse mosso, soprattutto, dall'intenzione di formare una base industriale e finanziaria di sostegno al suo Governo, a prescindere da ogni valutazione riguardante i profili dell'interesse pubblico.
Rimangono ferme a suffragare questa nostra sensazione alcune domande che abbiamo già posto in un'interrogazione parlamentare a tutt'oggi inevasa e che intendiamo qui richiamare. Vorremmo sapere innanzitutto a quanto ammonta esattamente il debito della Telecom (la stampa ci dice che esso sarebbe di circa 45 miliardi di euro). Come è possibile che si sia giunti nel corso degli anni a questo livello di indebitamento? Quali sono i motivi per cui, alcuni giorni fa, alcune banche hanno preso in carico circa il 30 per cento di Pirelli Tyre, dopo che era rientrata, da parte della proprietà, la decisione di collocare la società in borsa? Risponde al vero che, dopo l'annuncio del piano di riassetto, l'11 settembre scorso, le banche abbiano comunicato a Tronchetti Provera che non avrebbero più sostenuto l'indebitamento del gruppo? Risponde al vero che, dopo quest'ultima circostanza, la Goldman Sachs ha approntato uno schema di riassetto del gruppo Telecom, facendolo passare per la Presidenza del Consiglio dei ministri? Risponde al vero oppure no che il sottosegretario Tononi, con delega alle privatizzazioni, è tuttora o è stato fino a poco tempo fa un consulente di Goldman Sachs?
In data 5 giugno 2006, il ministro dell'economia ha ricevuto formale richiesta da parte di alcuni deputati democristiani di conoscere gli affari trattati dalla Goldman Sachs in Italia allorquando in Europa a dirigerla era l'attuale Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi.
In mancanza di tali informazioni, non sarebbe stato eticamente e politicamente corretto prevedere la cessazione, almeno


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per due anni, di qualunque rapporto della pubblica amministrazione con la stessa Goldman Sachs?
Come si vede, signor Presidente, onorevoli colleghi, si tratta di domande importanti, per le quali non crediamo di avere fin qui ricevuto una risposta esauriente.
Resta la considerazione che il Presidente Prodi non può porre mano al riassetto delle telecomunicazioni dal retrobottega del suo Governo.
Abbiamo avuto la sensazione che Prodi volesse organizzare una cordata di banche e di imprenditori vicini all'esecutivo per trovare le risorse necessarie al fine di inserirsi in Telecom. Vogliamo allora domandare al Presidente Prodi quali equilibri volesse salvaguardare quando il suo consigliere Rovati ha proposto, attraverso una serie di meccanismi societari, di far accollare allo Stato una parte di Telecom. Se la Telecom è così piena di debiti, perché Prodi voleva farla tornare in mano pubblica, o meglio farla comprare da vari soggetti, tra cui principalmente la Cassa depositi e prestiti? Il Presidente del Consiglio presume di usare la Cassa come una riserva strategica del Governo? Cosa ne è stato dell'applicazione della riforma Tremonti della Cassa depositi e prestiti e qual è il ruolo che vi svolgono attualmente le fondazioni bancarie?
Si tratta di domande importanti, utili non solo per appurare i fatti, ma per mettere le basi di un tentativo atto a delineare una nuova politica di sviluppo nel nostro paese. Siamo però convinti che l'attuale Governo sia incapace di avviare questa fase e il recente grave episodio del quale ci stiamo occupando dimostra in modo inequivocabile, se mai ve ne fosse stato ancora bisogno, che il Presidente Prodi non è l'uomo per indicato per affrontare e risolvere questi problemi. Il nostro auspicio è che egli, vuoi per la situazione composita ed eterogenea della sua maggioranza, vuoi per i suoi limiti di strategia politica, dimostrati anche in questa circostanza, possa lasciare al più presto l'incarico di Presidente del Consiglio.
Il paese ha bisogno di risposte urgenti, anche sulla crisi delle telecomunicazioni e questo Governo non è in grado di darle. Non ci si può professare liberisti a giorni alterni, nel senso che il Governo non può svegliarsi per determinate categorie, sposare il principio della libertà di mercato - vedi il decreto Bersani - e in seguito tornare alle pratiche più deprecate di sottogoverno e di «irizzazione» delle grandi imprese pubbliche italiane, come se fossimo ancora al tempo del Ministero delle partecipazioni statali. Se Prodi vuole rifare un «super-IRI2» lo deve dichiarare esplicitamente al Parlamento. Chiediamo pertanto che il Parlamento sia posto nelle condizioni di poter avere adeguate informazioni per vigilare ed esercitare il proprio dovere di impulso per la conservazione e lo sviluppo di un patrimonio industriale così importante per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bezzi. Ne ha facoltà.

GIACOMO BEZZI. Signor Presidente del Consiglio, colleghi, il caso Telecom tra piani pseudogovernativi, interventi dello Stato ed intercettazioni legali richiama tristemente il passato, sostanzialmente da due punti di vista. In primo luogo, c'è un aspetto allarmante: la questione delle intercettazioni telefoniche che rende inguardabile l'immagine di un paese dove faccendieri e corrotti, nascosti dietro le quinte della politica e dell'economia, intrecciano relazioni poco chiare muovendosi ai margini e oltre la legalità. Questi signori lavorano segretamente, operando, come ha detto bene il nostro Presidente della Camera, una lesione profonda del nostro ordinamento democratico e della Carta costituzionale.
Il nostro paese ha respirato in altre occasioni l'aria malsana che avvolge la storia di questi giorni. Chi di noi non collega questi fatti ad altri, vissuti o letti, ma non così lontani, che hanno cambiato le sorti di questo paese? Condivido la decisione del Governo di distruggere le


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intercettazioni e di cancellare quello che è stato in qualche modo un tentativo di schedare il paese, metterlo sotto controllo, con quale intento o finalità non ci è dato saperlo, ma possiamo solo immaginarlo o indovinarlo, perché, come ho detto, la storia ci ha insegnato come vanno queste cose.
Su questo, signor Presidente, la invito a riflettere e a pensare se non sia il caso di istituire una commissione di inchiesta ad hoc, per far luce su quel sottobosco di intrighi e di relazioni più o meno sporche, su una serie di inquietanti episodi che hanno investito l'Italia negli ultimi mesi, tra i quali quello delle intercettazioni Telecom è solo il più recente. Ma c'è un secondo aspetto che conferisce al caso Telecom un sapore antico.
È stato un grave errore ritenere di poter in qualche modo «ristatalizzare» la Telecom. Ho avvertito nell'iniziativa una struggente nostalgia per le partecipazioni statali, forse troppo precipitosamente distrutte ma oggi improponibili - nostalgia che sa di dirigismo e di rinazionalizzazione. Lei, signor Presidente del Consiglio, ha detto e dice che si è trattato di iniziativa personale del signor Angelo Rovati, di cui lei era all'oscuro. Ne prendiamo atto.
Sono un esponente del partito autonomista, del Trentino-Alto Adige, ho votato la fiducia al suo Governo, professor Prodi, e continuerò a sostenerla; facciamo però parte di una maggioranza parlamentare nella quale l'esigenza di partnership è sempre più avvertita, una partnership che va coltivata e consolidata attraverso una reale consultazione di tutte le componenti e l'assunzione di decisioni condivise.
In questo contesto, il rispetto del programma elettorale, senza fughe in avanti, su temi estremamente delicati pare fondamentale.
Poniamo, ad esempio, che si stesse considerando in qualche modo l'idea di rinazionalizzare la rete telefonica della Telecom utilizzando lo strumento della Cassa depositi e prestiti; questo orientamento non potrebbe non essere illustrato al Parlamento, così come a suo tempo, con lei, professore, presidente dell'IRI, fu il Parlamento a ratificare la privatizzazione della telefonia; privatizzazione, tra l'altro, che era giusto fare, ma probabilmente sbagliata nella sua impostazione, se è vero, come è vero, che detenendo un piccolo, seppur costoso pacchetto azionario, si è riusciti e si riesce a controllare un gruppo così importante.
Tornando al nostro caso, il riacquisto della rete comporterebbe un esborso pubblico a carico del contribuente di circa 20 miliardi di euro, quasi quanto una legge finanziaria. Può un progetto del genere non essere sottoposto al vaglio dei deputati e dei senatori?
A parte il fatto che, come è stato scritto nell'editoriale del supplemento de la Repubblica, Affari e Finanza, dovremmo istintivamente diffidare quando sentiamo parlare di settori strategici; tutti ricordiamo quanto costino a noi cittadini le strategiche Alitalia e Ferrovie. Sul caso Telecom qualcuno osserverà che lo Stato non può disinteressarsi di un settore strategico, quello delle telecomunicazioni, ma davvero siamo convinti che TIM sia strategica e non si tratti soprattutto di un malinteso orgoglio nazionalistico della serie «vade retro straniero»?
La mia, sia chiaro, non vuole essere una critica, ad esempio all'IRI, che pure gli stranieri ammiravano e che spesso prendeva in consegna dai privati aziende dissestate per poi restituirle risanate e rilanciate, ma in una società globalizzata e con gli impegni che abbiamo assunto in sede di Unione europea è però impensabile un ritorno al passato in questa forma.
È bene dire, con estrema chiarezza, che quel tempo che pure ha avuto i suoi meriti non tornerà. Questo le chiediamo, signor Presidente del Consiglio; lo Stato non può e non deve limitare la libertà di impresa, ma valorizzare al contrario una moderna politica industriale che veda una positiva cooperazione tra industriali e pubblici poteri, con il rilancio della concertazione, affinché tutte le parti - anche le parti sociali - possano dare il loro contributo in un'impostazione trilaterale che esalti l'economia sociale.


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PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIACOMO BEZZI. Ho concluso, Presidente. Ci attendiamo tempi difficili che potremo superare se avremo la consapevolezza di lavorare tutti ad un unico progetto; solo così questa maggioranza riuscirà a superare le difficili prove che l'attendono in Parlamento. Evitiamo quindi di complicare una già delicata situazione con iniziative che sanno troppo di antico e rievocano spettri statalisti. Confrontiamoci, collaboriamo e lavoriamo insieme per questo paese, che ci ha affidato una straordinaria chance di renderlo migliore (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Reina. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziare quel drappello, davvero assai sparuto, di colleghi che resistono alle scorie finali di questo strano dibattito in Parlamento, dopo che i grandi satrapi della politica parlamentare si sono prodotti come attori nel ruolo che gli competeva ed in questo, da destra come da sinistra, hanno singolarmente, almeno per una volta, realizzato quella unità parlamentare degna di ben altre cause. Se le telecamere riprendessero impietosamente i vuoti che si registrano nei banchi dell'aula della Camera questa sera, probabilmente avremmo più ascolto noi del Movimento per l'autonomia quando denunciamo pubblicamente il fatto che i partiti tradizionali ogni giorno di più manifestano apertamente la loro incapacità di essere ormai realmente interpreti della volontà e dei bisogni del popolo italiano.
Signor Presidente Prodi, noi non siamo tra coloro che sostengono la sua maggioranza, eppure in più di una circostanza abbiamo ritenuto di aprire una sorta di dialogo, nella speranza che per i problemi del sud, del meridione, da parte del Governo ci fosse una certa attenzione.
Tuttavia, al di là di quanto è stato affermato, in questa Assemblea, attorno al tema in discussione, non possiamo non sottacere un fatto che previene tutto.
Veda, Presidente Prodi, noi reputiamo un fatto relativamente importante che lei sia qui questa sera; avremmo preferito, tuttavia, che il Capo del Governo avesse avvertito, sin dall'inizio, il bisogno di dire alla nazione «vado io in Parlamento», anticipando tutto e tutti ed impedendo che, in questo paese, si consumasse una sarabanda di discussioni, equivoci e confusioni che hanno messo in difficoltà la credibilità non solo del Governo, ma anche del Parlamento e dello stesso paese nella sua interezza.
Lei stasera ha sostenuto che, probabilmente, non riteneva rilevante che il Parlamento si occupasse con tanta attenzione di questa materia piuttosto che di numerose altre. Eppure, le dico che essa possiede una rilevanza ed un'importanza strategica sotto molteplici aspetti, non ultimo per il fatto che, se il piano Rovati fosse realmente andato in porto, il paese si sarebbe dovuto accollare, attraverso la Cassa depositi e prestiti, un debito pari a circa un terzo (così è stato stimato) della prossima manovra finanziaria. Ma poi si dice, in particolare a noi meridionali, che non vi sono risorse disponibili, ad esempio, per realizzare l'infrastruttura che da numerosissimi anni aspettiamo: il ponte sullo Stretto di Messina.
Risulta davvero strano che venga giudicato «artigianale» il piano di Rovati: come è stato rilevato, infatti, si tratta di un piano industriale molto attento e puntuale. Si può contestare la filosofia che lo sostiene, ma non si può negare che sia un piano «vero».
A questo punto, è di ben poco conto che ella lo conoscesse o meno. Ciò che conta è che lei si sia rifiutato di venire in Parlamento per un lasso di tempo sufficiente a far sì che tutto il mondo, e non solo gli italiani, cominciasse a sapere che, nella sua stessa maggioranza, larghe fasce delle parti politiche che sostengono questo Governo la inducevano e la spingevano affinché, invece, tale rapporto con il Parlamento vi fosse.
Allora, che aleggi adesso il sospetto che lei, in qualche modo, sapesse del piano


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Rovati è una cosa, caro Presidente, che, a prescindere dalle dichiarazioni che ha reso e dal dibattito che si è svolto, nessuno potrà più togliere dalla testa degli italiani.
È questa la vera tragedia...

PRESIDENTE. La prego di concludere...

GIUSEPPE MARIA REINA. ...un Capo del Governo - mi accingo a concludere, caro Presidente Bertinotti - che non riesce ad essere leale nei confronti del suo paese e non riesce a dire la verità fino in fondo. Si tratta di una verità difficile, ma che sarebbe stata ben altra, se avesse avuto l'accortezza, nonché la dimensione della responsabilità che la investe, di venire in aula per raccontarla con lealtà e sincerità, facendo affrontare tali temi in modo diverso.
Ci auguriamo che il Governo, in futuro, riesca a dare ben altra prova di sé a questo paese, che pure è afflitto da tanti gravosi problemi. Mi riferisco in particolare, Presidente - e concludo -, a quelli delle regioni meridionali, nonché alle numerose questioni che, in più di una circostanza, in questa stessa sede noi stessi abbiamo sollevato ed evidenziato (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Movimento per l'Autonomia e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà con lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

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