La seduta comincia alle 9.
VALENTINA APREA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 maggio 2006.
(È approvato).
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, il deputato Rigoni è in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono tre, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
TEODORO BUONTEMPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Con riferimento a quale questione, onorevole?
TEODORO BUONTEMPO. In relazione all'articolo 14 del regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Onorevole Presidente, come è noto, in sede di Ufficio di Presidenza è stata assunta una deliberazione che incide direttamente sui lavori di questa Assemblea; si è, infatti, ritenuto di superare quanto previsto dall'articolo 14 del nostro regolamento che, per la costituzione di nuovi gruppi, stabilisce che ricorrano, sostanzialmente, tre elementi: il primo, che vi siano almeno venti deputati eletti; il secondo, che, altrimenti, almeno vi sia un deputato eletto in un collegio e che, terzo elemento, si siano raggiunti almeno i 300 mila voti a livello nazionale.
Ebbene, Presidente, tali limiti imposti dal regolamento vigente non potevano, a mio avviso, essere superati senza prima procedere ad una modifica dell'articolo 14.
Essi si riscontravano in termini simili nella legge elettorale vigente nel tempo in cui vennero formulati i commi dell'articolo 14 in questione; cambiata la legge elettorale, si sostiene che sarebbero adeguabili al modo in cui le liste accedono ora al riparto dei seggi secondo il nuovo testo della legge elettorale della Camera dei deputati. Io non ritengo condivisibile tale opinione e il mio richiamo al regolamento vuole sottolineare che questa Assemblea non può non prendere in esame quanto avvenuto in sede di Ufficio di Presidenza, proprio per le sue stesse funzioni, che sono di garanzia. Nessuno ha mai considerato l'Ufficio di Presidenza un organo politico: ora si impone, invece, con un voto di maggioranza, cui ha partecipato anche il Presidente di questa Camera, la costituzione di cinque nuovi gruppi parlamentari, che alterano i rapporti sia all'interno dell'Ufficio di Presidenza - rapporti collegati al voto espresso dai cittadini - sia all'interno della Conferenza dei presidenti di gruppo. Con il criterio seguito, sia nella
Conferenza dei presidenti di gruppo - che da sempre è orientata a trovare un percorso comune e condivisibile nella formulazione dell'ordine dei lavori e dell'ordine del giorno di questa Camera - sia all'interno dell'Ufficio di Presidenza, con cinque nuovi segretari di Presidenza, si altera il rapporto tra le forze politiche stabilito dagli elettori.
Tenga conto che cinque nuovi gruppi significano cinque nuovi segretari di Presidenza in rappresentanza di circa 63-65 parlamentari mentre, invece, otto membri dell'Ufficio di Presidenza e anche otto presidenti di gruppo rappresentano oltre 500 parlamentari.
Ciò premesso, ritengo che la decisione possa e debba essere riconsiderata in un dibattito da svolgere in questa Assemblea; infatti, l'articolo in questione del regolamento della Camera dei deputati - che definisce in maniera precisa, come ho detto, la costituzione di un gruppo - può essere certamente modificato: è ovvio che il riferimento ad un deputato eletto in un collegio sia superato dal fatto che abbiamo una nuova legge elettorale. Però, il regolamento va riformato e va adeguato; ma non può essere interpretato a maggioranza.
Credo che, se la Camera trasformasse in precedente quanto accaduto, non avremmo più regole, in rapporto ad una maggioranza che ritenesse non di far valere le sue ragioni numeriche e di rappresentanza parlamentare, ma di accogliere invece una determinata interpretazione del regolamento assunta a maggioranza dall'Ufficio di Presidenza. Peraltro tale competenza spetterebbe semmai alla Giunta per il regolamento, la quale ha affrontato tale questione il giorno precedente alla riunione dell'Ufficio di Presidenza, senza però pronunciarsi con un voto, né formulare una proposta diversa.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Buontempo.
TEODORO BUONTEMPO. La mia conclusione è questa: mancando una deliberazione formale da parte della Giunta per il regolamento, ritengo che l'Ufficio di Presidenza non fosse legittimato a procedere nel senso richiamato e quindi tale questione, a mio avviso, deve essere sottoposta ad un voto dell'Assemblea.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Buontempo. Lei, che al pari di me è membro dell'Ufficio di Presidenza, ha partecipato a quella discussione complessa e importante alla fine della quale l'Ufficio di Presidenza, come prevede il comma 2 dell'articolo 14 del regolamento, ha deciso di autorizzare la costituzione di nuovi gruppi parlamentari, avvalendosi del parere consultivo della Giunta per il regolamento.
TEODORO BUONTEMPO. A precise condizioni...
PRESIDENTE. In ogni caso, l'ordine del giorno della seduta prevede la discussione sulle comunicazioni del Governo e non ci sono quindi le condizioni per sviluppare oggi, in questa sede, una discussione al riguardo. Le assicuro comunque che mi farò carico di riferire le sue istanze al Presidente della Camera, al fine di valutare in sede di Ufficio di Presidenza la possibilità di discutere ulteriormente la questione.
Le ricordo tuttavia, onorevole Buontempo, che l'Ufficio di Presidenza ha assunto quelle decisioni nell'ambito delle prerogative attribuitegli dal regolamento.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per il dibattito è pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Venier, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione.
IACOPO VENIER. Signor Presidente della Camera, membri del Governo, onorevoli colleghi, finalmente in quest'aula si sente da parte del Governo della Repubblica un linguaggio di pace. Finalmente il nostro paese torna nell'alveo di quella Costituzione che gli antifascisti hanno voluto per dire basta ad ogni guerra, ad ogni razzismo e ad ogni dittatura. Questo è il primo importante risultato della nostra vittoria.
Milioni di persone hanno votato per fermare la destra e per dare a lei, onorevole Prodi, la responsabilità di guidare il nostro paese fuori dalla crisi e dalla guerra. È importante oggi ricordare e riconoscere che la vittoria elettorale dell'Unione non ci sarebbe stata senza le mille forme che ha preso la resistenza popolare al Governo Berlusconi. Dalle mobilitazioni di Genova, soffocate nella violenza, ai balconi ed alle piazze che chiedevano pace, dai girotondi a difesa della democrazia, agli scioperi per i diritti dei lavoratori, il nostro popolo ha reagito prima della politica per bloccare una deriva pericolosissima.
La destra in questi anni non è stata ferma. Il paese è scosso dalle sue politiche, che hanno alimentato paure, evocato egoismi, disgregato la società, demolito valori, sino a renderci corresponsabili in Iraq di una guerra di aggressione dai caratteri coloniali. Noi però abbiamo vinto ed oggi dobbiamo convincere anche quella parte del paese che non ci ha votato che la nostra proposta di governo è all'altezza della sfida e delle domande che salgono dal profondo della società italiana. Per farlo serve una svolta radicale, una svolta politica e culturale, servono presto fatti concreti.
Il signor Presidente del Consiglio sa che il gruppo dei Comunisti Italiani sosterrà con determinazione il suo Governo e lo farà allo scopo di realizzare il programma presentato agli italiani, che costituisce una sintesi tra sensibilità, proposte e progetti non alternativi, ma certo differenti tra di loro. Il ritiro immediato delle truppe dall'Iraq è la prima grande svolta che il nostro popolo aspetta. Lo abbiamo detto in campagna elettorale e lo faremo.
Noi Comunisti Italiani, però, in nome della dignità dell'intero paese, pensiamo che sia dovere di tutto il Parlamento fare chiarezza su ciò che in Iraq è accaduto, a partire dalla costituzione di una Commissione di inchiesta su quell'episodio ancora oscuro e che getta nuove ombre sui nostri alleati statunitensi che è stato l'uccisione di Nicola Calipari.
Signor Presidente Prodi, noi apprezziamo particolarmente l'obiettivo da lei indicato di ricollocare il nostro paese in Europa. Crediamo fortemente nel multipolarismo, senza il quale non esiste alternativa al dominio del più forte e alla guerra preventiva e permanente per l'accaparramento delle risorse del pianeta. Noi vogliamo, come lei, un'Europa più forte, più autonoma, più democratica e sociale. L'Italia, per noi, non è il sud dell'Europa, l'Italia è l'Europa al centro del Mediterraneo; per questo pensiamo che sia nostro compito storico sradicare ogni idea di scontro di civiltà e affrontare i problemi di fondo che il terrorismo, nostro nemico mortale, strumentalizza.
La nascita dello Stato di Palestina, come è scritto nel programma, è nostro obiettivo primario. Gravissimo sarebbe l'errore di accodarsi all'idea di un nuovo embargo. La storia ci insegna che gli embarghi, dall'Iraq a Cuba, non sono altro che strumenti infami che affamano i popoli senza raggiungere alcun risultato. Per affrontare i problemi bisogna affermare il diritto internazionale. L'Italia deve quindi battersi contro l'occupazione illegale e crudele che umilia il popolo palestinese, mette a rischio lo sviluppo e la sicurezza di tutta l'area, a partire da quella dello Stato di Israele.
Signor Presidente Prodi, noi Comunisti Italiani siamo federalisti in Europa, senza essere eurocentrici. Per questo spingeremo perché il nostro paese si metta in sintonia con le esperienze politiche più avanzate dei paesi in via di sviluppo. Dobbiamo dialogare profondamente con la nuova America latina, che va integrandosi, con l'Africa, che non è solo miseria e fame, con l'India e con la Cina. È in questo modo che si affrontano i grandi problemi dello sviluppo e le contraddizioni economiche, sociali e ambientali che rischiano di travolgere il nostro pianeta.
Infine, signor Presidente Prodi, membri del Governo, voi conoscete la lealtà e la serietà del partito dei Comunisti Italiani. È la nostra storia che parla. Noi rispetteremo il programma che abbiamo sottoscritto e sosterremo il Governo da lei presieduto. Ciò non limita, però, la possibilità di cercare nella maggioranza, magari anche con l'opposizione, intese che amplino, nel consenso, l'azione del Governo. Un esempio per tutti: noi riteniamo che la questione delle basi straniere sul territorio italiano e dei vincoli tenuti segreti allo stesso Parlamento che ci legano al Patto Atlantico siano pesanti eredità di una fase della storia definitivamente conclusa...
PRESIDENTE. La prego di concludere, deputato Venier.
IACOPO VENIER. Conquistare una piena dignità e sovranità al nostro paese non è un modo per allentare i vincoli di alleanza che l'Italia oggi riconferma.
Grazie, signor Presidente, e in bocca al lupo a lei e a tutti noi.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Montani, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Siniscalchi, al quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
SABINA SINISCALCHI. Signore e signori deputati, signore e signori ministri, ho molto apprezzato nel discorso programmatico del Presidente del Consiglio l'affermazione che il Governo intende scegliere una politica preventiva di pace che persegue attivamente l'obiettivo di equità e di giustizia sul piano internazionale. Finalmente la pace e la giustizia nel mondo diventano lo scopo vero e principale della politica estera dell'Italia. Una vera politica estera non si attua con pacche sulle spalle e foto di gruppo, ma partecipando ad alto livello, con competenze e strumenti adeguati, al Governo multilaterale del mondo - e sottolineo multilaterale -, senza sudditanza verso nessun altro paese, per quanto potente esso sia. Un buon Governo del mondo, o meglio una governance, secondo la definizione delle Nazioni Unite, deve adoperarsi per mettere fine alle guerre, spegnere i focolai di tensione, assicurare la pacifica convivenza tra popoli, culture e religioni diverse, regolare l'economia e la finanza mondiale, sconfiggere la povertà e garantire a tutti gli abitanti della terra i diritti fondamentali sanciti dalla dichiarazione universale. I milioni di cittadini, movimenti e organizzazioni che si sono mobilitati negli ultimi anni in tutti i paesi del mondo lo hanno fatto per questo fine, un fine raggiungibile, come ha ribadito più volte il Segretario generale dell'ONU.
Abbiamo i mezzi: mai il mondo ha posseduto tanta ricchezza e così elevate risorse scientifiche e tecnologiche. Ciò che manca è la volontà politica. Noi ci aspettiamo che il nostro Governo dimostri tale volontà politica e traduca in iniziative concrete le ottime intenzioni espresse nel programma.
Negli ultimi cinque anni l'Italia ha perso terreno non solo sul piano economico, ma anche sul piano politico. Non ha saputo dare un contributo serio a risolvere i problemi internazionali e non ha mantenuto gli impegni presi nelle conferenze mondiali e presso le organizzazioni multilaterali. Peggio: ha assecondato la pericolosa tendenza dell'attuale Governo degli Stati Uniti a disconoscere o bloccare importanti accordi e trattati internazionali - peraltro già negoziati dalle precedenti amministrazioni statunitensi - in materia di
disarmo, tutela dell'ambiente, controllo dei paradisi fiscali, protezione dei diritti umani.
Per questo chiediamo che il nostro Governo segni una chiara inversione di rotta impegnandosi in tutte le sedi internazionali per il dialogo, in particolare tra nord e sud del mondo, per riequilibrare i rapporti commerciali, per regolare la finanza e frenare le speculazioni, per bloccare i traffici illeciti, a partire da quello degli esseri umani, per sradicare la povertà e raggiungere gli obiettivi del millennio. Occorre ridare all'Italia un ruolo credibile a livello internazionale perché - come sosteneva Papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris - la pace, la democrazia e la libertà dei popoli si costruiscono con i negoziati e la cooperazione.
È molto significativo il fatto che, per la prima volta nella storia del nostro paese, sia stata nominata una viceministro degli esteri con delega alla cooperazione. La cooperazione non è un prodotto residuale della politica estera, è il modello ottimale di relazione con gli altri paesi. Voglio ricordare che l'Italia oggi, con nostra vergogna, è l'ultimo dei 23 paesi donatori dell'OCSE. Si tradiscono, così, non solo gli impegni assunti davanti al mondo intero, ma la volontà dei cittadini italiani che sono pronti ad aiutare di tasca propria le popolazioni colpite da fame e calamità e considerano, per il 92 per cento, l'aiuto ai paesi poveri una priorità politica, come dimostra una recente indagine europea.
Tuttavia, l'aiuto allo sviluppo non basta: non si può dare con una mano e togliere con l'altra. Nelle sedi internazionali l'Italia deve impegnarsi per un sistema economico e commerciale improntato alla trasparenza ed all'equità, che consenta ai paesi più deboli il libero sviluppo delle proprie economie. Bisogna, inoltre, risolvere finalmente il grave problema del debito estero che strangola le popolazioni povere e sottrae risorse allo sviluppo sociale.
Non possiamo accettare che i vincoli di bilancio ci impediscano di fare il nostro dovere sul piano internazionale. Le risorse si possono trovare già con la prossima legge finanziaria, sull'esempio dei maggiori paesi europei (la Spagna, la Germania, la Francia), stabilendo un preciso calendario per raggiungere quanto prima lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo. Il traguardo quantitativo deve andare di pari passo con la qualità della cooperazione perché non vogliamo sperperare i soldi degli italiani, ma vogliamo che raggiungano le popolazioni più vulnerabili e sostengano i paesi che stanno perseguendo seriamente gli obiettivi del millennio.
Da una buona ed efficace cooperazione l'Italia avrà un ritorno non solo in termini di credibilità e peso sulla scena mondiale, ma anche sotto il profilo economico, perché uno sviluppo armonioso dell'intero pianeta apporta vantaggi a tutti i paesi. Diversamente, dovremo continuare ad affrontare emergenze politiche e sociali che costano a noi maggiori risorse ed ai poveri enormi sofferenze. Nessuno, signor Presidente, può vivere sicuro, né tanto meno felice, in un mondo in cui la metà della popolazione vive in povertà, un miliardo e mezzo di persone non ha acqua potabile, un bambino su cinque non va a scuola.
Negli ultimi anni l'Italia, paradossalmente, ha scelto di riempire gli arsenali e svuotare i granai. Infatti, è l'ultimo paese nella classifica mondiale dell'aiuto allo sviluppo, ma è tra i primi nella produzione ed esportazione di armi. Questo non va bene perché le armi non sono suppellettili, le armi sono usate per uccidere ed uccidono civili: donne e bambini le principali vittime dei 60 conflitti che si stanno combattendo nel mondo. Allora, una vera politica di pace passa anche da un serio controllo internazionale degli armamenti.
Voglio ricordare un evento di grande importanza: nel 1997, grazie alla mobilitazione della società civile ed all'impegno del Parlamento, l'Italia, mentre era in carica un Governo di centrosinistra, è stata tra i primi paesi promotori del Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo.
Ecco, signor Presidente e signori ministri, oggi ci attendiamo dal Governo atti coraggiosi, di alto valore politico ed etico che sappiano ridare speranza al mondo. Buon lavoro (Applausi dei deputati dei
gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo e dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Baldelli, al quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente (citerei anche il Presidente del Consiglio ma non è presente in aula, come non lo sono i Vicepresidenti), colleghi, intervengo oggi per la prima volta in Assemblea da giovane deputato «azzurro», da parlamentare marchigiano ed anche da «mercenario» (il Presidente del Consiglio ricorderà l'antica querelle con i giovani di Forza Italia). Intervengo sul tema dei giovani perché sui giovani sono state dette molte bugie nella campagna elettorale, ma anche nell'Assemblea del Senato durante l'intervento programmatico del Governo.
Ritengo che proprio sui giovani debba essere compiuta un'«operazione verità». Non ci aspettiamo da voi l'onestà intellettuale di ammettere che il Governo Berlusconi sia stato quello che ha fatto di più, in generale, nella storia del nostro paese e, in particolare, sui giovani, ma crediamo che affermazioni come quella del Presidente Prodi, quando sostiene che la legge Moratti ha liquidato la formazione professionale, siano profondamente sbagliate. Mi auguro che il ministro dell'istruzione, che forse conosce la riforma Moratti meglio del Presidente Prodi, gli spieghi che se vi è stata una legge che ha dato dignità alla formazione professionale questa è stata la riforma Moratti, che ha istituito i licei professionali.
Inoltre, toglietevi dalla testa quell'idea un po' curiosa, che non avete avuto il coraggio di inserire nel programma elettorale, di reintrodurre il servizio civile obbligatorio per i ragazzi e le ragazze al compimento dei diciotto anni, perché faremo le barricate dentro il Palazzo ed anche fuori!
La riforma costituzionale che la Casa delle libertà ha approvato abbassa l'età dell'elettorato attivo e passivo per la Camera e per il Senato.
Sui giovani avete avuto quell'idea originale e geniale di istituire un ministero, con un curioso abbinamento di deleghe su giovani e sport che, se può avere senso in una giunta comunale, al Governo risulta quasi grottesco e ridicolo (e potevate avere almeno la buona creanza di farlo guidare da un giovane!).
Ho ascoltato le dichiarazioni del ministro Damiano sul superamento - si tratta di un termine che ora va di moda - dello scalone previdenziale. Facciamo attenzione, perché ogni minuto che la riforma previdenziale ritarda - una riforma che abbiamo varato per permettere ai giovani un futuro più sereno - pesa sulle spalle delle nuove generazioni. È quindi una riforma da esaminare con grande delicatezza.
Passiamo alla legge Biagi, alla «precarietà», come avete avuto la cattiva creanza di chiamare quella che nel 1997 era la «flessibilità» introdotta da un Governo di centrosinistra. La flessibilità, i co.co.co. per capirci, hanno un padre ed una madre (decidete voi chi sia il padre e la madre secondo la vostra visione molto aperta sulle unioni di fatto); i due genitori dei co.co.co. si chiamano Romano Prodi e Tiziano Treu. La legge Biagi rimodula e sistema quella disciplina aggiungendo nuove garanzie ai collaboratori coordinati e continuativi che prima non avevano ferie, malattia o maternità. Come si fa allora a dire che il centrodestra ha introdotto il precariato? Come si può seminare terrorismo psicologico nei giovani e nelle famiglie, agitando la bandiera del precariato?
Sono tutte cose gravi, accadute nel corso della campagna elettorale. Ritengo si debba avere l'onestà intellettuale di ammettere quanto il centrodestra abbia realizzato. Noi, giovani deputati, e, alcuni, anche esponenti di movimenti giovanili, difenderemo le riforme compiute. L'unico elemento di precariato presente ora nel paese è questo Governo. Faremo in questo senso la lotta al precariato, cercando di mandarvi a casa, e non di farvi un contratto a tempo indeterminato. È un favore che faremo ai nostri elettori, alle nuove
generazioni che hanno il diritto di guardare al futuro con serenità, con libertà, attraverso la difesa degli ideali che rappresentiamo, gli ideali di quella maggioranza degli italiani che ci ha votato e che ci vuole nuovamente alla guida del paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lumia, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, con la fiducia da votare alla Camera il paese si dota di un Governo stabile, pronto ad attuare una sostanziale svolta nella vita della nostra società.
Dopo cinque anni di Governo Berlusconi, abbiamo di fronte un'Italia più povera, meno competitiva, più ingiusta e disgregata nella sua coesione sociale, nell'etica pubblica e nel senso dello Stato.
Il Presidente del Consiglio Prodi e l'Unione hanno, pertanto, un compito difficile, ma possibile: far ripartire il paese, promuovendo, in primo luogo, una fiducia vera e sostanziale per quanto concerne il rapporto tra gli italiani e le istituzioni; ancorando l'Italia al destino dell'Europa con un ruolo attivo e dinamico, perché ciò rappresenta una grande occasione in termini di crescita economica e di sviluppo del modello nello stato sociale; promuovendo, inoltre, il Mezzogiorno attraverso un cammino che permetta allo stesso di collocarsi nel cuore del Mediterraneo. Si tratta, infatti, di un Mezzogiorno non più soltanto da aiutare, poiché lo stesso può, da moderna risorsa, contribuire alla collocazione dell'Europa nei nuovi scenari del Mediterraneo che sono in grado di offrire più opportunità e più diritti, permettendo allo stesso valore della pace di collegarsi con una moderna forma di cooperazione, di scambio e di integrazione culturale e sociale.
Questo Governo ha il programma, gli obiettivi, nonché le risorse umane per promuovere un'altra svolta decisiva nella vita del nostro paese: provare a coniugare sviluppo e legalità.
Spesso, nella storia del nostro paese, queste due dimensioni sono state separate. Spesso, si è pensato che lo sviluppo potesse fare a meno di vincoli etici, di regole chiare e certe, di un'etica pubblica adeguata e fondata, nonché di una dimensione statuale moderna ed avanzata.
Spesso, quelli che sono stati più attenti alla dimensione della legalità pensavano che, da sola, questa potesse innescare dinamiche di crescita e di avanzamento sociale ed economico del nostro paese.
Noi abbiamo bisogno di entrambe le dimensioni, le quali se ben collegate possano restituire quella fiducia sostanziale, promuovendo quel cammino che nel Mezzogiorno è vitale e decisivo.
Per troppo tempo, non abbiamo attuato quello che il Presidente Ciampi e, adesso, il Presidente Napolitano ci hanno ricordato: non basta combattere le mafie, ma bisogna sconfiggerle.
Ecco perché avere inserito la lotta alla criminalità organizzata tra le priorità della vita del Parlamento e del Governo rappresenta un primo passo, vero e sostanziale.
Non dobbiamo lasciarci prendere da una vera e propria falsità che, spesso, ha catturato le classi dirigenti del nostro paese, vale a dire pensare che affrontare questo tema fa perdere, ad esempio, credibilità all'Italia nello scenario internazionale!
No, non è così! La presenza di un'elevata criminalità, con le estorsioni, l'usura, il racket, il condizionamento degli appalti ed una vasta penetrazione in ampi settori dell'economia e della politica fanno perdere credibilità al nostro paese. Al contrario, una moderna, avanzata, progettuale ed integrata lotta alla mafia ci dà un altro e positivo respiro, crea quegli anticorpi necessari e quell'energia adatti ad attuare una profonda svolta, in grado di farci acquisire una più forte credibilità internazionale, attrarre investimenti e rendere il nostro paese più giusto, democratico e più affidabile.
Ecco perché il Mezzogiorno deve avere una guida forte in questo Governo! Ecco perché questo Governo deve creare una vera svolta!
Ci sono tante donne e tanti giovani che, nel Mezzogiorno, hanno talenti e che, in questi anni, sono costretti ad andare via. Vi sono ricercatori; vi è una dimensione straordinaria nel mondo della scuola e delle università che chiede un nuovo Governo, che chiede di mettere al servizio del nostro paese le grandi opportunità che esistono nel Mezzogiorno.
Rompa tutti gli indugi questo Governo, guidi il nostro paese, guardi al Mezzogiorno con occhi nuovi e i risultati arriveranno: l'Italia e il Mezzogiorno contribuiranno a rendere l'Europa più coesa e più forte e il Mediterraneo un'area di sviluppo, di cooperazione e di pace (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Aprea. Ne ha facoltà. Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di quattro minuti.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, Presidente del Consiglio, onorevoli ministri, onorevoli colleghi, intervenendo in questo dibattito, desidero in primo luogo richiamare la vostra attenzione sulla composizione stessa del Governo.
Presidente Prodi, lei ha impostato la sua campagna elettorale sul principio della serietà al Governo: le scelte che invece lei ha compiuto già soltanto con questi primi atti parlano di poca serietà, se non di irresponsabilità nei confronti delle istituzioni, ma anche e soprattutto della spesa pubblica. Mi riferisco in particolare alla sua scelta di far rivivere - peraltro sine titulo, visto che il decreto legislativo n. 300 del 1999 è ancora vigente - due distinti ministeri, quello dell'istruzione e quello dell'università e della ricerca, di cui sono in grado di constatare più in profondità la gravità, essendo stata sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca nel Governo Berlusconi.
Certamente, Presidente, lei non deve aver considerato abbastanza che questo accorpamento fu voluto dal ministro Bassanini per rendere più efficace ed efficiente, ma anche meno costosa, l'incidenza dei dicasteri sul bilancio dello Stato.
Insomma, il decreto legislativo n. 300 del 1999 aveva un onesto obiettivo: avviare un processo di semplificazione, di modernizzazione, di decentramento della pubblica amministrazione, snellendo le burocrazie, ottimizzando le sinergie dei macrosettori. È evidente che quegli obiettivi non rientrano più nel suo programma, nei programmi della sinistra, e che, anzi, a distanza di pochi anni, la stessa sinistra di Governo rinnega quelle scelte, riducendo Bassanini e le sue leggi ad un puro incidente nella storia delle istituzioni repubblicane; ma non c'è solo poca serietà in questa scelta, ci sono soprattutto tanta irresponsabilità e scarsa lungimiranza.
Lo sa il Presidente Prodi, lo sanno gli onorevoli Mussi e Fioroni, i ministri dell'università e dell'istruzione, che il processo di accorpamento, previsto dal decreto legislativo n. 300 del 1999, ha richiesto ben due anni e mezzo? E ancora, sanno loro che l'emanazione del regolamento istitutivo del sopprimendo MIUR si è rivelata lunga e laboriosa, con diversi interventi della Corte dei conti, finalizzati ad adeguare alle effettive esigenze dell'azione amministrativa il decreto legislativo n. 300 del 1999? Peraltro, successivamente all'attuazione di quel regolamento, è seguita l'approvazione di numerosi altri decreti, che hanno richiesto ancora altro tempo.
Per il bilancio, le questioni sono state ancora più complesse. Infatti, benché l'unificazione del bilancio fosse stata predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze a partire dal 2005, in realtà quello in corso è il primo anno in cui si può affermare che l'unificazione delle due ex amministrazioni è pienamente operante. Nel momento in cui si procede ad una nuova separazione, appare evidente che, a prescindere dall'atto legislativo con cui l'avete determinata, bisognerà attendere tutta una serie di atti amministrativi, riguardanti l'organizzazione degli uffici ed altro, che paralizzeranno l'azione amministrativa per parecchi anni.
Insomma, avevamo proprio bisogno di vanificare il precedente processo di unificazione, varato peraltro da un vostro precedente
Governo? Il paese certamente no, onorevole Mussi, onorevole Fioroni, ma la maggioranza del Presidente Prodi sì! Il Presidente Prodi ha sacrificato sull'altare della lottizzazione partitica della sua maggioranza una nuova efficace organizzazione di un ministero, il MIUR, che, guidato per cinque anni da un unico ministro, Letizia Moratti, e da viceministri e sottosegretari con deleghe piene, ha consentito di valorizzare e rilanciare un'unica filiera della conoscenza al servizio della persona, della famiglia e della società. Al MIUR, nella scorsa legislatura, abbiamo ottimizzato l'apporto delle due strutture ministeriali per dare vita ad una scuola, una università e una ricerca che fossero in grado di trasmettere, generare e consolidare la conoscenza come risorsa strategica per lo sviluppo e le questioni sociali, in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona 2000.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
VALENTINA APREA. Persino la CGIL scuola ha da qualche anno unificato i tre settori e dato vita al sindacato dei lavoratori della conoscenza.
In realtà, la scelta operata da lei, Presidente Prodi, oltre a determinare problemi, che non saranno di facile soluzione per i ministri Fioroni e Mussi, delude soprattutto dal punto di vista strategico e riformista. Non vi è dubbio che, scindendo le competenze del MIUR, di fatto, si annacquerà la spinta riformistica e sarà più difficile per gli stessi ministri resistere alle pressioni corporative e alle logiche di basso profilo.
In Commissione, avremo modo di interpellare i ministri - in modo particolare il ministro Fioroni - sulle decisioni che saranno chiamati ad adottare. Ministro Fioroni, lei sarà chiamato a decidere se continuare a completare un processo riformatore di stampo europeo - peraltro, già avviato in ritardo nel nostro paese - oppure se, sull'onda di diagnosi nostalgiche, conservatrici e di contrapposizioni, interrompere questo processo e restaurare logiche e prospettive del passato. Dipenderà dai ministri Fioroni e Mussi decidere come proseguire.
Evidentemente, noi non staremo a guardare. Se la decisione sarà di continuare questo processo, noi ci saremo convintamente e condivideremo le scelte; diversamente, la nostra opposizione sarà dura e tenace in quest'aula e nel paese (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA. Signor Presidente del Consiglio, per raggiungere gli obiettivi che lei si è proposto non è ovviamente sufficiente nominare una squadra di Governo. Non basta affidare i vari settori della pubblica amministrazione a persone che lei ritiene valide, esperte e capaci per far fronte alle esigenze del nostro paese.
Ogni programma di governo, più o meno ambizioso, viene realizzato se ne sussistono le condizioni dal punto di vista politico e amministrativo e se lo stesso non contrasta con il quadro esistente, soprattutto costituzionale, ma anche legislativo. Per condizioni politiche intendiamo una maggioranza compatta ed omogenea, senza contraddizioni interne che ne limitino o ne appesantiscano l'attività parlamentare. La coalizione che la sostiene, signor Presidente, non sembra avere queste qualità.
Il minimo comune denominatore e il collante sono rappresentati ben più dalla volontà di azzerare quanto realizzato dal precedente Governo che da uno spirito realmente costruttivo. Tuttavia, quand'anche vi fossero obiettivi condivisi ed idee chiare nelle scelte dell'esecutivo, queste dovrebbero fare i conti con un muro invalicabile che i più, sbrigativamente, chiamano burocrazia, ma che nei fatti è rappresentato da una massiccia presenza del pubblico nella società italiana e, soprattutto, da un quadro normativo copioso, invadente, spesso impermeabile, talvolta ossessivo, costituito da decine di migliaia di leggi che condizionano pesantemente l'attività anche minima e modesta
della vita pubblica e di quella privata, degli enti locali, dei ministeri e delle regioni, dei cittadini e delle aziende. Ogni amministratore pubblico o privato nel nostro paese se ne lamenta! È un coro che giunge da destra e da sinistra e riguarda non solo l'eccesso di leggi e regolamenti, ma anche la presenza di enti pubblici, spesso inutili, autorizzati ad emanare atti amministrativi.
Oggi, realizzare un'opera pubblica, anche minima, richiede una serie di passaggi, di barriere, di autorizzazioni, di oneri, di competenze e di tavoli spesso discutibili. Non basta dunque la volontà politica e neppure reperire i finanziamenti, occorre confrontarsi con le tante norme che condizionano l'attività amministrativa e che ingiustamente frenano chi vuole realizzare un'opera. L'eccesso di regole condiziona, sovente stritola e rende poco operativi i soggetti pubblici, persino i ministeri, vincolati ad oltre tremila leggi, e ancor di più le regioni, le province e i comuni.
Ebbene, Presidente Prodi, ci attendevamo da lei una delucidazione su come intendesse agire in tale ambito, al fine di affrontare l'eccesso normativo. Ci piacerebbe sapere se il suo esecutivo intende seguire la rotta tracciata dal Governo precedente, che negli anni ha prestato attenzione ai temi della delegificazione e della semplificazione legislativa. Si è dato vita ai primi, ma significativi interventi di riordino, di pulizia normativa, di abrogazione di norme inattuali o inutili. Si è cercato di snellire procedure, di velocizzare procedimenti, di introdurre un monitoraggio sulla funzionalità, sull'utilità delle singole leggi. Il solco è stato tracciato, lo sfoltimento della giungla legislativa è cominciato! Tuttavia, siamo ancora ben lontani dal traguardo, dal numero di leggi proprio di altri paesi europei, i cui cittadini portano sulle spalle carichi legislativi inferiori, numericamente e sostanzialmente, dell'80 per cento.
Non basta, signor Presidente, invitare - come ha fatto nelle sue dichiarazioni programmatiche - i cittadini e gli imprenditori a non guardare lo Stato come ad un avversario.
Dal Presidente del Consiglio, gli imprenditori, soprattutto i minori, non quelli che frequentano i salotti di Confindustria, ma anche gli amministratori di piccoli e grandi enti, vorrebbero sapere quale idea ha di Stato il suo esecutivo. C'è il modello liberale, cui ha cercato di ispirarsi il precedente Governo, che punta ad uno Stato garante ed incentivante, idoneo a condizionare il meno possibile la vita del cittadino, dell'impresa, degli stessi enti pubblici, fondandosi sul rispetto delle libertà, individuali e non. Per noi liberali, uno Stato che complessivamente finisce con l'ostacolare l'imprenditore, il professionista e il cittadino con lacci e lacciuoli burocratici fa male a se stesso. Tutto questo comporta e comporterà un'ulteriore perdita di competitività del nostro paese nei confronti di altre nazioni europee. Gli imprenditori non percepiranno lo Stato come un avversario, signor Presidente, se questo sarà capace di scommettere sulle capacità individuali, sul merito, sull'impegno, sulla professionalità, sul sacrificio e sulla produttività.
Nella maggioranza che la sostiene, alcune forze politiche fondano la loro azione politica su concezioni ed ideologie molto diverse da quella liberale, arrivando talora a ritenere utile che leggi, regole e norme condizionino in modo pregnante la vita dei cittadini e delle imprese, viste, queste ultime, con sospetto e non certo con favore. Auspichiamo che tali visioni non prevalgano.
Concludo, affermando che nelle ultime settimane abbiamo letto e udito che il suo Governo intende cancellare taluni specifici provvedimenti del precedente esecutivo. La cosa riguarda certamente la sua maggioranza, ma non è certo questa la delegificazione che noi ci attendiamo; ci piacerebbe invece che lei ed il suo Governo vi dedicaste a proseguire su una scelta di fondo, quella di spezzare il peso della burocrazia legislativa che ha contribuito e contribuirà, senza interventi efficaci, a frenare lo sviluppo del paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, colleghi deputati, il Governo a cui La Rosa nel Pugno si appresta a votare la fiducia ha il compito e l'urgenza di fornire risposte a questioni di grande rilevanza, che riguardano innanzitutto la vita del diritto nel nostro paese, da cui dipende la qualità e la dignità della vita di milioni di cittadini e la legalità delle istituzioni democratiche, senza la quale l'Italia perde forza e credibilità agli occhi del mondo.
Quando la lettera della legge viene tradita, ad esempio, nello stesso atto costitutivo di una delle più alte istituzioni della Repubblica, non vi è da meravigliarsi se poi la corruzione e la illegalità sono diffuse ai livelli più bassi, in ambiti a cui non avremmo mai pensato e nelle pieghe più recondite della nostra società.
Ad oggi, il Senato della Repubblica è costituito anche da otto senatori che sono altri da quelli che in base alla legge elettorale sono stati eletti dal popolo. Nell'attribuire i seggi in quattro regioni, le corti d'appello hanno applicato un criterio arbitrario indicato dal Ministero dell'interno e non la lettera certa della legge elettorale approvata dal Parlamento, che non lascia margini a dubbi o interpretazioni. Solo in uno Stato di polizia, e non in uno Stato di diritto, può accadere che una nota del Ministero dell'interno valga di più di una legge scritta dal Parlamento!
Si tratta di una lesione gravissima alla certezza del diritto che va sanata con urgenza, come pure va affrontata e risolta con urgenza quella che, secondo noi, è la prima e principale questione sociale ed istituzionale del nostro paese: la disastrosa situazione delle carceri e, più in generale, la paralisi nell'amministrazione della giustizia, questione per la quale, occorre ricordare, negli ultimi venti anni lo Stato italiano è stato condannato ogni anno dalla giustizia europea per violazione dei diritti umani fondamentali.
Quando un soggetto viene condannato sempre per lo stesso fatto e reiteratamente nel corso degli anni, vuol dire che siamo di fronte ad un comportamento che in termini tecnici può essere definito soltanto come recidivo e da delinquente abituale. Un comportamento che, come ha ribadito di nuovo il Consiglio d'Europa, costituisce un pericolo effettivo per il rispetto dello Stato di diritto in Italia. È necessario ed urgente interrompere la flagranza di atti che violano articoli ben precisi della nostra Costituzione e dei Trattati costitutivi dell'Unione europea e dei diritti dell'uomo.
Non si tratta solo della condizione delle carceri, dove 60 mila detenuti sono stipati in luoghi che potrebbero ospitarne a malapena 42 mila. Si tratta anche e soprattutto della vita e della dignità di milioni di cittadini italiani in attesa, da molti anni, di una decisione giudiziaria.
Con la marcia di Natale del 2005, promossa da Marco Pannella e da don Antonio Mazzi, per la prima volta in Italia si è manifestata questa realtà, e si è manifestata per dare voce alle vittime di questa realtà, vittime sia dei reati che restano impuniti sia dei processi che non si celebrano in tempi ragionevoli, molti dei quali destinati a risolversi con la prescrizione, come è accaduto ad un milione di processi penali negli ultimi cinque anni.
Mentre si nega l'amnistia legale, decisa dal Parlamento e vagliata con rigore, reato per reato, al mercato nero dell'amnistia, quella strisciante e di classe chiamata prescrizione, si cancellano ogni anno centinaia di migliaia di reati. Non è una storia recente. Va detto, ad onor del vero, che la gravità di questa crisi chiama in causa i Governi che si sono succeduti almeno negli ultimi vent'anni ed è, quindi, giusto che ad affrontarla siano insieme la maggioranza e l'opposizione di oggi.
In termini di metodo, è giusta la richiesta avanzata nei giorni scorsi da un autorevole rappresentante della maggioranza, il deputato Sandro Bondi: tocca all'Unione avanzare una proposta alla Casa delle libertà su cui trovare, in Parlamento, la maggioranza necessaria a favore di un provvedimento che risolva la questione della giustizia del carcere che,
senza dubbio, costituisce la massima crisi sociale ed istituzionale del nostro paese.
Le sue dichiarazioni programmatiche su questo punto, signor Presidente del Consiglio, costituiscono un buon inizio, ma ora bisogna passare dalle parole ai fatti. Potremmo porci l'obiettivo di annunciare, il 2 giugno, in occasione della festa della Repubblica, il raggiunto accordo tra maggioranza ed opposizione su un provvedimento di indulto da adottare subito, di almeno due anni, che possa sgravare di almeno un terzo il carico di sofferenza che affligge il mondo carcerario in tutte le sue componenti, non soltanto i detenuti, ma anche il personale amministrativo e gli agenti di polizia penitenziaria.
È solo un primo passo per giungere, entro pochi mesi, ad approvare anche la più straordinaria delle amnistie che la Repubblica italiana abbia avuto dalla sua nascita, per ridurre immediatamente di almeno un terzo il carico dei processi (sono quasi 6 milioni nel solo settore penale) che paralizza la giustizia.
L'amnistia è il male minore rispetto al male peggiore della prescrizione. L'amnistia serve soprattutto ai magistrati, perché, liberati da processi meno gravi, possano impegnarsi proficuamente a risolvere quelli più gravi. L'amnistia e l'indulto sono atti non di clemenza, ma di buon governo di una situazione non più tollerabile. Sono gli unici strumenti tecnici a disposizione del Parlamento per ripristinare la legalità violata nei tribunali e nelle carceri.
C'è un'altra questione, signor Presidente del Consiglio, colleghi deputati, che riguarda direttamente l'articolo 27 della Costituzione: è una questione di coerenza interna del nostro ordinamento, ma anche di credibilità internazionale del nostro paese. Mi riferisco all'ultimo retaggio della pena di morte ancora presente nella legislazione italiana e alla possibilità, seppure teorica, di una sua reintroduzione nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
La riforma di questo passo della nostra Costituzione attende di essere compiuta dal 1994, anno in cui il Parlamento ha abolito la pena di morte dal codice penale militare. Proposte di legge per eliminare dalla nostra Costituzione le ultime vestigia di un passato che non ha futuro nella coscienza civile e politica del nostro paese sono state riproposte nelle ultime tre legislature da vari gruppi politici, ma il Parlamento non ha mai trovato il tempo di approvarle. È ora di cancellare questa macchia anacronistica ancora presente nella legge fondamentale del nostro paese. In questo senso, La Rosa nel Pugno ha già depositato una proposta di legge di modifica costituzionale.
È maturo anche il tempo per portare a compimento un'altra iniziativa propriamente italiana. Non sono tante le cose per cui il nostro paese può andare fiero nel mondo, ma sicuramente ve n'è una: l'iniziativa per una moratoria universale delle esecuzioni capitali, promossa 12 anni fa da «Nessuno tocchi Caino» e dal Partito radicale e sulla quale vi è stata, in questi anni, una convergenza straordinaria tra maggioranza ed opposizione.
Nel 1994 una risoluzione per la moratoria fu presentata per la prima volta all'Assemblea generale dell'ONU dal Governo Berlusconi; fu respinta per soli otto voti. Nel 1997, su iniziativa del suo Governo, Presidente Prodi, la Commissione dell'ONU per i diritti umani ha approvato a maggioranza assoluta una risoluzione che chiede una moratoria delle esecuzioni capitali in vista dell'abolizione completa della pena di morte. A questo Parlamento e al Governo chiediamo di completare l'opera iniziata dodici anni fa, agendo subito affinché sia presentata una moratoria universale delle esecuzioni già alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Grazie alla moratoria ONU, in attesa dell'abolizione mondiale e totale, migliaia di condannati a morte potrebbero essere risparmiati, non solo quelli di cui tutti sanno e si preoccupano (i detenuti nei bracci americani), ma anche gli innominati, i dimenticati, i letteralmente «infami» della pena di morte, che sono i detenuti nei bracci cinesi, iraniani, sauditi, vietnamiti, cubani, che muoiono ammazzati nel silenzio e nell'indifferenza generale. Su questo...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
SERGIO D'ELIA. Su questo La Rosa nel Pugno è pronta a fare la sua parte e a dare fiducia a lei, signor Presidente del Consiglio, e al suo Governo. Anche su questo le auguriamo buon lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi de La Rosa nel Pugno, de L'Ulivo e dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gasparri, al quale ricordo che ha sette minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la nostra valutazione sul nuovo esecutivo è, com'è noto, una valutazione critica, che con il passare dei giorni trova ulteriori argomenti per le proprie critiche.
In questi giorni il nuovo esecutivo ci è sembrato un gruppo di studenti in gita nella fase in cui gli autisti del pullman e i professori si allontanano e tutti si abbandonano a giochi goliardici: affermazioni di ogni tipo che annunciano l'abrogazione di qualsiasi legge, dall'immigrazione all'istruzione, dalle telecomunicazioni alle attività svolte nel passato in tema di opere pubbliche, senza fare i conti con la realtà dei numeri del Parlamento, né con le esigenze del paese, né con le evidenti discrasie sul piano dei contenuti da parte della stessa maggioranza.
Sul tema dell'immigrazione, vediamo chi va all'attacco dei centri di permanenza temporanei, dimenticando che quella realtà è stata istituita non dal Governo di centrodestra bensì dal Governo precedente con la legge Turco-Napolitano. Sarebbe interessante assistere ad un confronto tra i nuovi responsabili di Governo di questi settori e il Presidente della Repubblica, il quale da ministro dell'interno fu promotore di quella realtà. Se si dovessero sopprimere i centri di permanenza temporanei, un clandestino che giunge in Italia dove sarebbe collocato? Dove si dovrebbe procedere alla sua identificazione?
Riteniamo che gli annunci fatti circa sanatorie di massa, abrogazioni della legge Fini-Bossi ed altre scelte siano un ulteriore spot contrario agli interessi degli italiani e negativo per questo Governo. Difenderemo con forza e determinazione quella legge, avendo noi introdotto nei centri di permanenza temporanei trattamenti e regole assai più rispettose dei diritti degli stessi clandestini rispetto a quante ce ne fossero all'epoca del varo di tali centri.
Leggiamo propositi confusi anche per quanto riguarda le tossicodipendenze: abrogazioni di leggi, tentativi di legalizzazione. Vorremmo sapere quali siano i reali intendimenti della maggioranza di Governo su questi temi, perché le discrasie e le diversità di opinione sono evidenti a tutti. Riteniamo che la legge recentemente approvata, affermando il principio del danno di qualsiasi droga, valorizzando il ruolo delle comunità terapeutiche e cercando di dare un messaggio positivo di prevenzione e di recupero, rappresenti un caposaldo da attuare e che non si debba certo andare nella direzione di legalizzazione e tolleranza nei confronti della droga, direzione che in teoria anche alcuni esponenti del Governo attuale non dovrebbero condividere. Questo sarà dunque un altro tema di duro, serrato confronto parlamentare.
Anche sul tema delle opere pubbliche abbiamo assistito già ai primi litigi tra il ministro dei trasporti e il ministro delle infrastrutture: chi annuncia il blocco delle opere pubbliche, chi affronta in maniera direi goliardica responsabilità esistenti rispetto a gare e decisioni già assunte.
Riteniamo che sia minaccioso quello che è stato detto nei confronti soprattutto del sud, che ha bisogno invece della prosecuzione di quell'impegno arioso e ampio che la cosiddetta legge obiettivo, che è un concreto piano di opere, ha segnato. In questa materia riteniamo anche che vi sia confusione di competenze.
In particolare, al Presidente Prodi desidero dire che ha commesso delle illegalità, perché sono stati nominati dei ministri prima ancora che si varasse un decreto
che ne definiva le funzioni e il ruolo. Chi parla nella precedente legislatura fu nominato ministro di un ministero - quello delle comunicazioni - che fu ricostituito: prima si ricostituì quel ministero con un decreto, poi si procedette alla nomina e al giuramento. Pertanto, vi sono attualmente dei ministri che sono stati nominati prima del varo del provvedimento. Tale decreto, di cui contrasteremo le logiche, gli errori amministrativi e politici che contiene, rappresenterà il primo banco di prova per questo Governo. Quei ministri - e sono numerosi - si trovano, pertanto, in una condizione di assoluta illegalità.
Conseguentemente, noi, lo ripeto, contesteremo, sul piano sostanziale e formale, questo modo di procedere, a nostro avviso illegale, in cui è stato coinvolto dalla vostra arroganza anche il massimo vertice delle istituzioni, la cui attenzione è stata richiamata nei giorni scorsi da autorevoli costituzionalisti come il professor Armaroli, che però hanno ottenuto soltanto risposte vaghe e sbagliate. A questo riguardo, sarebbe stato opportuno andare a rivedere quali siano stati i precedenti, anche da parte degli uffici del Quirinale.
Per quanto riguarda la politica estera, altro tema che noi riteniamo fondamentale, il Presidente del Consiglio ha fatto, a nostro parere, un'analisi errata parlando di un coinvolgimento dell'Italia in una guerra, in quanto è noto invece che il nostro paese ha partecipato a missioni umanitarie, come quelle in Afghanistan e in Iraq, tese a consolidare un processo democratico che, proprio in questi giorni, ha visto momenti importanti, soprattutto in Iraq, con il voto di fiducia al nuovo Governo.
Noi consideriamo fondamentale il ruolo della comunità internazionale per sconfiggere il terrorismo e il fondamentalismo. Al contrario, vediamo ambiguità, arrendevolezze ed equivoci nella stessa compagine che sostiene questo Governo, e perfino in alcuni membri di quest'Assemblea parlamentare, i cui trascorsi sono tutt'altro che chiari rispetto alla presa di distanze dal terrorismo interno ed internazionale.
Noi riteniamo che l'Italia non possa sottrarsi alle proprie responsabilità: cedere il campo al terrorismo e al fondamentalismo sarebbe un gravissimo errore. Noi crediamo che la funzione svolta dall'Italia in questi anni sia stata preziosa e vogliamo, ancora una volta, rendere omaggio al sacrificio delle Forze armate e delle Forze dell'ordine, che hanno pagato un duro prezzo, sia in Italia sia all'estero. Ricordiamo, anche, che nel corso degli anni in cui noi abbiamo governato, mentre Londra, Madrid, New York e Washington sono state devastate dai colpi del fondamentalismo, il nostro Governo è riuscito a garantire sicurezza, vigilanza e prevenzione alla nostra nazione. Ci auguriamo che così possa essere anche in futuro, nell'interesse supremo della nazione. Abbiamo, tuttavia, molti dubbi al riguardo, viste le posizioni assunte e viste le contiguità e le decisioni errate che si profilano anche sul piano della lotta al terrorismo internazionale.
Contestiamo, altresì, il dato numerico del voto di fiducia al Senato. Nei giorni scorsi è stato detto che non è stato decisivo il ruolo svolto dai senatori a vita. A nostro avviso, invece, è stato decisivo, perché sette voti aggiunti da una parte e sottratti dall'altra avrebbero, se spostati, determinato un esito ben diverso. Inoltre, non fu decisivo nel 1994 - a questo riguardo il Presidente Prodi ha detto una cosa inesatta -, per la nascita di un altro Governo, il ruolo svolto dai senatori a vita. Ricordo che all'epoca furono tre senatori a vita a votare la fiducia al primo Governo Berlusconi, mentre furono otto i senatori a vita che non parteciparono alla votazione o che votarono palesemente contro. Pertanto, il saldo era certamente negativo per quel Governo e per quella maggioranza.
Noi siamo qui in Parlamento per un confronto aperto e determinato, forti di un consenso ampio nel paese, che riteniamo sia crescente, di fronte alle incertezze, ai pericoli e alle contraddizioni che questa nuova compagine di Governo già presenta, soprattutto su alcuni temi, come, ad esempio, quelli della difesa della legalità, della
lotta al terrorismo, della difesa del diritto alla vita, della difesa della legge n. 40 del 2004, che riteniamo non possa essere modificata dopo un referendum dall'esito così chiaro, nonché della difesa della legge sulla droga. Su valori così fondamentali, noi saremo in campo per non far fare all'Italia alcun passo indietro (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giachetti, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, dopo aver ascoltato alcuni colleghi - in particolare chi mi ha preceduto -, ho la sensazione che qualcuno non si sia accorto che non siamo più in campagna elettorale. Forse, sia per chi ha perso le elezioni - e le elezioni le hanno perse! Prima o poi dovranno darsi pace -, sia per la nazione e per il Parlamento tutto, sarebbe molto utile che si cominciasse ad analizzare e a criticare, laddove fosse necessario, il programma del Governo e le sue azioni, che sono state delineate e che verranno poste in essere, ponendo fine ad una campagna elettorale che è conclusa (per noi si è conclusa positivamente) e che dovrebbe ora lasciare spazio al lavoro.
In questo senso, signor Presidente, mi consenta di augurare in modo convinto buon lavoro a questa buona squadra di Governo, soprattutto perché, dopo cinque anni di malgoverno, nei quali l'Italia è stata piegata in ginocchio, domani spero si concluderà - infatti, questa Camera voterà la fiducia al Governo - questo momento drammatico e difficile per il nostro paese e invece partirà una importante azione di risanamento, in grado di rimettere in moto il nostro paese.
Quello che tutti gli italiani, sia quelli che hanno votato per il centrosinistra, sia coloro che hanno votato per il centrodestra, si attendono da chi, in questo momento, ha la responsabilità di governare il nostro paese, è che venga rimessa in piedi l'Italia, che venga migliorata la qualità della vita di tante famiglie, che in questi anni hanno dovuto soffrire una situazione di grandissima difficoltà, come da noi più volte sottolineato. Grazie a Romano Prodi e al programma che l'Unione ha elaborato per questi cinque anni, noi cercheremo di cambiare.
Signor Presidente, si è conclusa una campagna elettorale ed è utile che tutti ce ne rendiamo conto, ma vorrei dire al Presidente del Consiglio, ai membri del Governo e alla maggioranza che nelle prossime settimane si concluderanno altre due campagne elettorali: una riguarda le amministrative, l'altra riguarda il referendum costituzionale (due appuntamenti molto importanti). Anche in qualità di coordinatore della Margherita romana, in virtù degli impegni che, nell'ambito della lista unitaria dell'Ulivo, abbiamo preso a Roma per le elezioni amministrative, sulla base delle richieste che abbiamo avanzato al Governo nazionale, noi ci attendiamo da questo Governo un atteggiamento diverso nei confronti della capitale. Il precedente Governo - anche sotto il ricatto della Lega Nord Federazione Padana -, come noto, ha umiliato Roma, la capitale, anzitutto tagliando i fondi che vengono dati alle amministrazioni locali, in particolare a Roma, poi tagliando dei capitoli simbolici, ma importanti, come quello per Roma capitale, che è stato azzerato, infine approvando quella riforma costituzionale voluta dalla lega, che l'UDC e Alleanza nazionale, che pure a Roma vantano un ruolo di difesa del valore della nostra città, hanno dovuto accettare. Si tratta di una riforma costituzionale che sostanzialmente umilia la capitale, non rispettando quell'importante impegno che prevede di darle i poteri e le funzioni che sono necessari affinché una capitale, così come accade nel resto d'Europa, possa avere effettivamente un ruolo importante e di traino.
Tra l'altro, Roma, come sappiamo, viene da tutti indicata in questi giorni come la locomotiva dell'Italia, proprio per le sue capacità di lavorare e di rilanciare la propria attività.
Signor Presidente, per quanto riguarda i poteri, le funzioni e i trasferimenti dei
fondi nei confronti della capitale, ci aspettiamo dal Governo una particolare sensibilità, che in qualche modo vada a pareggiare la totale insensibilità del Governo precedente (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicco, al quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.
ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghe e colleghi, il 15 maggio scorso, in quest'aula, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio al Parlamento, ha dato esplicito e significativo riconoscimento al ruolo delle autonomie e dei poteri regionali e locali e definito «lungimirante, come fattore di ricchezza e apertura della nostra comunità nazionale, la tutela delle minoranze linguistiche». Auspichiamo che tali indicazioni ispirino pienamente anche l'azione del nuovo Governo.
La Valle d'Aosta, che qui rappresento, nella drammatica temperie della guerra e dell'immediato dopoguerra, ha stretto un patto con lo Stato italiano, definito nello statuto speciale. Patto che sancisce l'autonomia della Valle - alla cui redazione hanno concorso illustri personalità, quali Federico Chabod ed Alessandro Passerin d'Entrèves -, autonomia che alcuni, in particolare il martire della Resistenza Emile Chanoux, avrebbero voluto ben più ampia e su base federale, sulle linee tracciate nella Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, a Chivasso, nel dicembre del 1943.
A quei precedenti intendiamo ispirare la nostra azione in questa Assemblea. Ed è su questa base che l'Alleanza autonomista progressista della Valle d'Aosta ha stipulato un accordo con l'Unione del centrosinistra e con il Presidente Prodi. L'accordo è imperniato sulla pari dignità tra regione e Stato, che si sostanzia nel riconoscimento della natura pattizia dell'autonomia e nel principio dell'intesa per le modificazioni dello statuto e che si traduce, concretamente, nella concertazione preventiva Stato-regione su tutti i temi che interessano la Valle d'Aosta e in un efficace funzionamento della commissione paritetica quale strumento essenziale di raccordo normativo.
Su questa base, intendiamo sostenere lealmente il Governo, nelle cui linee programmatiche generali ci riconosciamo ed a cui intendiamo apportare il nostro contributo, in particolare per: una politica estera di pace che abbia alla sua base l'articolo 11 della Costituzione e che veda l'Italia parte attiva nel rafforzamento della funzione essenziale attribuita alle Nazioni Unite dai suoi statuti: salvare i popoli dal flagello della guerra, in un mondo multipolare e senza gendarmi che brandiscano minacciosamente i loro arsenali; il consolidamento dell'integrazione europea, in un'ottica che noi auspichiamo ponga al centro i cittadini e le comunità regionali più che il mercato e gli Stati; politiche del lavoro che portino ad una piena e buona occupazione, invertendo la tendenza di questi ultimi anni alla precarizzazione del lavoro, che è senza dubbio il più serio ostacolo alla formazione di una famiglia, poiché implica un'insostenibile ipoteca sul futuro; la difesa del potere d'acquisto di salari e pensioni, erosi dall'inflazione, affrontando quella che è stata giustamente definita una vera e propria questione retributiva.
Per quanto ci concerne, nello specifico riteniamo si debba operare, sulla base della Convenzione di Madrid sulla cooperazione transfrontaliera, per favorire la nascita di quella «euroregione» del Monte Bianco che è lo strumento per assicurare pienamente alla Valle d'Aosta quella dimensione europea che è iscritta nella sua storia: a cavallo delle Alpi, un «anello di collegamento, un ponte tra una nazione e l'altra», per usare una nota definizione.
In tale ottica, riteniamo anche necessario che, per quanto riguarda l'elezione al Parlamento europeo, si applichi quell'impostazione federalista che non consideri soltanto il principio del voto uguale, ma che a questo affianchi, temperandolo, quello della rappresentanza dei territori
così come essi si sono storicamente determinati, al fine di assicurare ad ogni regione, specialmente a quelle che si caratterizzano in quanto minoranze linguistiche, una diretta rappresentanza.
Sul piano economico-sociale, reputiamo fondamentale operare per una politica della montagna che contempli iniziative volte a consentire a famiglie ed imprese di ridurre il differenziale di costo che ne penalizza la vita e l'attività rispetto ad altre aree del paese, mentre, per quanto concerne le infrastrutture, poniamo quale punto centrale la trasformazione della ferrovia Torino-Aosta, in quanto unico collegamento su rotaia tra l'intera regione e la rete nazionale ed internazionale, in una moderna ed efficiente linea ferroviaria, con rapida definizione dei tempi di intervento e delle risorse finanziarie necessarie.
PRESIDENTE. Onorevole Nicco...
ROBERTO ROLANDO NICCO. Concludo, signor Presidente.
Auspichiamo, parimenti, la messa in atto di tutte quelle iniziative che impediscano la trasformazione delle vallate alpine in inquinati corridoi di transito merci, in particolare con la rapida ratifica del Protocollo trasporti della Convenzione delle Alpi. Sur cette base, nous souhaitons au Président Prodi et au Gouvernement nos meilleurs v\kux de bon travail.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Migliori, al quale ricordo che ha otto minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
RICCARDO MIGLIORI. Ricordo alla Presidenza che in questa Assemblea si parla la lingua nazionale (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Lo affermo, signor Presidente, perché non vorrei che questa legislatura si aprisse con innovazioni originali anche rispetto al nostro regolamento. Spero che si sia trattato di un incidente, che è scusabile all'inizio della legislatura.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, un partito e, dunque, un gruppo parlamentare che, identitariamente, si rifà all'idea della nazione è portato, per sua stessa natura, ad esaltare i momenti politici e culturali che, in ogni caso, possono contrassegnare positivamente l'unità nazionale. Non a caso, Alleanza Nazionale, in questo contesto, ritiene la memoria storica condivisa, la coesione sociale e la bassa conflittualità interna fattori essenziali e, perfino, espressione di capacità competitiva sulla scena internazionale. Ecco perché noi non siamo pregiudizialmente insensibili al reiterato richiamo del Presidente del Consiglio dei ministri ad una capacità di dialogo tra maggioranza e opposizione in questa Assemblea ed al di fuori di essa. Non intendiamo sottrarci, cioè, al nostro dovere di rappresentanza di un'Italia che oggi è all'opposizione ma che richiede, in virtù dei quasi 5 milioni di consensi che esprime, di scommettere non pregiudizialmente sulla nostra capacità di interdizione fine a se stessa ma sulla nostra capacità di proposta e di indirizzo alternative rispetto a quelle espresse dal Governo e dalla maggioranza.
Il gruppo di Alleanza Nazionale è convinto, dunque, che il proprio ruolo non sia quello di impedire, comunque, l'attività di Governo ma quello di concorrere, senza sconti, senza supplenze e senza soccorsi, ad un bipolarismo maturo, o di seconda generazione, che si fondi utilmente sul confronto di valori e programmi da sottoporre nitidamente al giudizio degli elettori. La disponibilità del Governo Prodi al confronto con l'opposizione sarebbe stata, certo, più credibile se fosse stata accompagnata da almeno tre concomitanti riflessioni che sono, invece, assenti. La prima, di natura autocritica, riguarda il violento taglio delegittimante e di boicottaggio che proprio lo schieramento di sinistra ha riservato, in modo ostruzionistico e per molti anni, in questa Assemblea al legittimo Governo della Repubblica nel corso della precedente legislatura. La seconda attiene al mancato riconoscimento della impossibilità numerica e politica dell'autosufficienza parlamentare della maggioranza,
seppure dopo il frettoloso «sacco istituzionale» che ha portato la sua coalizione all'occupazione totale della più alta «filiera rappresentativa» di natura costituzionale. La terza concerne la manifesta volontà, nonostante il 50 per cento dei consensi paritariamente espressi dagli elettori, di attestare una totale discontinuità rispetto al gigantesco impianto riformatore che il Governo di centrodestra ha assicurato nei trascorsi cinque anni.
Comprendiamo che ciò che definirei «antidestrismo» è l'unico vero collante della sua variegata maggioranza; ma il bene dell'Italia non è certo tramutare questa legislatura in una sorta di permanente Congresso di Vienna, in cui la restaurazione, senza «se» e senza «ma», sia l'unico filo conduttore per abbattere tutte le conquiste riformatrici, dalla cosiddetta legge Biagi alla riforma Moratti, alle cosiddette leggi Gasparri e Bossi-Fini, alla cosiddetta legge obiettivo, a quelle sulla droga e sulla procreazione medicalmente assistita, forse mantenendo, con qualche modifica, solo la legge sulla patente a punti.
Confidiamo sul fatto che il Presidente del Consiglio non abbia il senso della storia di Metternich, anche se settori della maggioranza - basti pensare alle polemiche sul 2 giugno - ritengono, di fatto, l'Italia un'espressione geografica. Ma soprattutto confidiamo sul fatto che questo vero e proprio primo Governo di sinistra della nostra storia politica, con la coda di qualche potere forte ed alcuni affetti da «sindrome di Stoccolma», mostri tutta l'arretratezza di una visione vecchia e statica di un'Italia che non esiste più; un'Italia che è non più governabile con vecchi ideologismi, classismi e sociologismi.
L'onorevole Malagodi ebbe a definire come «cenni sull'universo» il programma del primo Governo di centrosinistra; ebbene, i suoi cenni sull'universo, Presidente del Consiglio, quando dovranno misurarsi nella quotidianità e diventare concreta azione di Governo, di scelta politica e finanziaria, dimostreranno tutte le contraddizioni tra chi, nel Governo, vuole più liberalizzazioni e chi, invece, più dirigismi, più sussidiarietà o più statalismi, più autonomie o più centralismi, più occidentalismi o più multilateralismi; da cattolico «minorenne», vorrei aggiungere: tra chi vuole una politica per «la» famiglia e chi per «le» famiglie.
Mi pare, tra l'altro, originale che un Governo che intende guardare all'Europa sia articolato su forze politiche fondamentali che appartengono a ben più di cinque, diverse e, a volte, opposte famiglie politiche europee.
Noi vi aspetteremo qui, sul terreno concreto delle cose, come si addice a chi è orgoglioso di avere contribuito al buongoverno dell'Italia negli ultimi cinque anni. Vi aspetteremo, colleghi della maggioranza, signori del Governo, sul piano decisivo della concretezza: Alleanza Nazionale farà per intero il proprio dovere di opposizione per l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole, per essersi perfettamente mantenuto entro i limiti di tempo.
È iscritta a parlare l'onorevole Moroni, alla quale ricordo che ha quattro minuti a disposizione. Prego, onorevole, ha facoltà di parlare.
CHIARA MORONI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, onorevoli colleghi, il risultato elettorale ci consegna un'Italia divisa esattamente a metà: non di distinzioni, Presidente Prodi, si tratta, ma di divisione profonda, di contrapposizione netta tra culture politiche antitetiche.
L'una, la nostra, libera e liberale, impegnata a creare le condizioni favorevoli alla realizzazione delle vocazioni dei singoli, con uno Stato che regola, ma non ingerisce; aperta, garantista, modernizzatrice, autenticamente riformista.
L'altra, la vostra, dogmatica, ideologica, conservatrice; certamente più affine all'utopia che alla concretezza riformista.
La sua coalizione, il suo Governo, lei stesso siete la negazione della cultura
riformista, fatta di confronto, di dialogo, di libero pensiero; non a caso, la stragrande maggioranza dei socialisti italiani, grandi interpreti di quella cultura, ha scelto la Casa delle libertà decidendo di contrapporsi ad un centrosinistra egemonizzato dalle forze della sinistra più antagonista, massimalista e radicale.
Lei, Presidente Prodi, parla di un'Italia che va avanti; ma dalle sue parole emerge un quadro di un'Italia che va indietro, con la cancellazione delle più importanti riforme strutturali del Governo Berlusconi, dalla cosiddetta legge Biagi alla riforma della scuola, al piano delle grandi opere, alla riforma della giustizia. Ricorrono nel suo discorso le parole d'ordine rivolte alle diverse componenti della sua frastagliata coalizione e si apre un preoccupante scenario di restaurazione: non più dialogo sociale, ma ritorno alla concertazione; abolizione della riforma dell'ordinamento giudiziario e consolidamento di quella contiguità tra parte della politica e parte della magistratura che tanto male ha fatto a questo paese.
Il Presidente Prodi parla di spirito punitivo presente nella riforma della giustizia approvata dalla Casa delle libertà; certamente lei sa di cosa parla: noi no, perché non fa parte della nostra cultura.
Lei parla di possibilità per i giudici italiani di operare con imparzialità e professionalità; noi vogliamo che imparzialità e professionalità dei giudici siano non già una possibilità ma una certezza per i cittadini italiani: cosa può garantirlo di più della separazione delle carriere e della responsabilità civile dei magistrati?
Lei invoca l'indipendenza della magistratura; ebbene la invochiamo anche noi e invochiamo anche l'indipendenza, la libertà e la prevalenza della politica dalle procure, la responsabilità e la necessità della politica di compiere delle scelte.
Ci risparmi, signor Presidente, la retorica del dialogo con l'opposizione, dopo che avete occupato tutte le più alte cariche istituzionali, nonostante la così esigua maggioranza uscita dalle urne! Lei parla di cultura della legalità e dell'etica, come questo fosse patrimonio di una parte politica. Sappia, Presidente Prodi, che non accettiamo da lei lezioni di moralità. La sua è una coalizione divisa su tutto, dalle più grandi alle più piccole questioni e ci domandiamo quale futuro possa avere questo paese, se dopo due giorni dal giuramento del Governo il Presidente del Consiglio e il ministro degli esteri si dividono su una questione così importante come i modi e i tempi del ritiro della nostra missione di pace - e sottolineo missione di pace - in Iraq.
Presidente Prodi, ci aspettavamo dal suo intervento un messaggio politico forte, magari un messaggio che non avremmo condiviso, ma che desse quanto meno una direzione politica chiara, un segnale forte ai cittadini italiani, che non possono che guardare con preoccupazione alla spaccatura del paese e alla già evidente frantumazione interna della maggioranza. Invece lei è venuto qui con un discorso nebuloso e burocratico, cosa assai diversa dalla politica. Lei propone un Governo costruito soltanto grazie all'applicazione rigorosa del manuale Cencelli e d'altra parte non poteva essere diversamente, perché lei, a differenza di Silvio Berlusconi, non è il leader della maggioranza.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Moroni.
CHIARA MORONI. Questo Governo è la fotografia di un centrosinistra che il giorno dopo la risicata vittoria elettorale già non c'era più e già guardava ad un progetto diverso, che lei non guiderà. Il Parlamento - ho concluso - è certamente la sede del confronto democratico tra maggioranza e opposizione, ma si ricordi che lo è non già perché lei la pensi in questo modo, ma perché questo è il ruolo che gli affida le Costituzione repubblicana (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Khaled Fouad Allam. Ne ha facoltà.
Le ricordo che ha a disposizione cinque minuti.
KHALED FOUAD ALLAM. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli membri del Governo, è in un momento particolarmente complesso della storia mondiale e della storia del nostro paese che lei, Presidente del Consiglio, con il suo Governo, si accinge ad attuare il suo programma. Ma un programma non definisce soltanto un metodo, una strategia di intervento: in tutti i settori della società, un programma definisce anche il quadro generale delle attuazione politiche che risultano necessarie, non solo perché vi è alternanza politica, ma anche perché il quadro politico, sia su scala nazionale che su scala mondiale, è in continuo mutamento.
La velocità del mutamento è tale che spesso le politiche si trovano a dover gareggiare con essa ed è proprio questa asimmetria che oggi rappresenta un problema nella formulazione politica. Così si pone, in Italia e non solo, la questione della governabilità e del modo in cui si governa un paese. La governabilità è oggi segnata da una relazione complessa e difficile con la società: in effetti la nostra epoca è segnata dal dubbio, dalla contraddizione, dallo scetticismo, dalla messa in causa di molti valori e dall'incapacità di fondarne altri. È così che la nostra epoca - mentre vorrebbe combinare novità e tradizione, innovazione industriale e protezione dell'ambiente - rivendica i diritti dell'uomo, ma non accetta la natura umana, vuole l'eguaglianza, ma rivendica le diversità. Sì, viviamo nel globale, ma celebriamo il locale. Governare significa uscire da quelle contraddizioni per elaborare politiche che offrano un orizzonte nuovo di speranza. Fra tutte, cinque grandi questioni mi sembrano oggi imprescindibili, ed esse sono tra loro collegate, come lei ha più volte sottolineato, dalla questione etica.
Se la questione etica trascende ed è trasversale a tutte le altre, la nuova questione economica ci obbliga a pensare all'economia sia quanto locale che mondiale, semplicemente perché ciò che oggi caratterizza lo Stato è che esso è anche mondializzato. Ma se la questione economica nel nostro paese ci obbliga a pensare a strategie di rilancio, all'invenzione di nuove dinamiche, essa ci obbliga anche a pensare in termini di giustizia, e non semplicemente perché è ingiusto che un essere umano abbia un lavoro e un altro non lo abbia, ma perché l'economia ci insegna che una cosa è lottare contro la povertà, un'altra cosa è lottare contro l'ineguaglianza.
Lottare contro l'ineguaglianza significa lavorare per ridurre quell'ineguaglianza, aumentare direttamente il potere di acquisto e proteggere gli impieghi. L'irruzione del mercato nell'economia globale non può essere considerato come un evento luttuoso per il sociale, perché parliamo di società e di mercato, ma sono gli individui che formano quelle società e che attuano quel mercato, sono gli essere umani, con le loro inquietudini, le loro fragilità, le loro speranze. La povertà nel mondo contemporaneo nasce da un'asimmetria tra l'economico e il sociale; solo l'etica ci potrà condurre al rilancio di una politica di coesione sociale, ma anche di un'economia, come lei ha detto più volte, in grado di produrre felicità. Certo, è finito il tempo dello Stato-provvidenza, perché il mondo è cambiato; ma gli uomini, oggi, devono inventare nuove regole per l'economia mondiale, che è al tempo stesso locale. La contraddizione oggi più flagrante è fra lo Stato e il mercato, perché essi sembrano talvolta percorrere strade diverse.
La seconda questione è la complessa situazione irachena. Lei ha fatto bene a ripetere che non vi è distinzione tra il ritiro, che per noi è un dato acquisito, e la calendarizzazione di quel ritiro. Ma la questione va ben al di là del ritiro, a prescindere dal fatto che la guerra sia stata sbagliata o no, e tutte le guerre sono sbagliate in sé (chi vi parla è nato durante la guerra di Algeria e sa che i ricordi degli spargimenti di sangue certo non aiutano a vivere un'infanzia serena). Però una cosa va detta: a volte anche l'errore di una guerra può avere l'effetto di ristabilire una giustizia prima mai ottenuta (chi vi parla è un sunnita, non uno sciita). Per secoli le popolazioni sciite della Mesopotamia -
oggi Iraq - sono state oppresse ed emarginate. Oggi si apre per loro un nuovo ciclo della storia, che purtroppo si è inaugurato con la violenza, ma rappresenta un cambiamento di portata storica che la politica internazionale ancora fatica a capire. Vorrei ricordare che l'Italia ha versato anche il suo sangue in Iraq. I caduti di Nassiriya ma anche d'Afghanistan definiscono ciò che io chiamo «un debito di significato»: se un giorno quei paesi potranno vivere in una democrazia compiuta, quel sangue non sarà stato versato invano.
Infine, il ritiro delle truppe avrà un effetto positivo, perché obbligherà gli italiani a ripensare le modalità di azione e gli iracheni a pensare alla ricostruzione del paese in termini di cooperazione. La cooperazione, spronando a vivere insieme, avrà l'effetto di indebolire la produzione di violenza.
La terza questione è l'immigrazione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
KHALED FOUAD ALLAM. Le politiche dell'immigrazione - anche se viviamo in tempi in cui i problemi legati alla sicurezza e al terrorismo sono all'ordine del giorno - si pongono di fronte a società che invecchiano e di fronte all'odierna necessità di avere un tessuto sociale più cosmopolita; attenzione, però, il cosmopolitismo non può assolutamente rinnegare l'identità di una nazione, nel nostro caso l'Italia. È tempo oggi di uscire dalla contraddizione per decidere se l'immigrazione dovrà essere una società a parte o invece parte di una società.
La quarta questione investe il Mediterraneo. Anche qui le contraddizioni sono numerose...
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole, ma il tempo a sua disposizione è scaduto. Se vuole, la Presidenza, sulla base dei consueti criteri, autorizza sin d'ora la pubblicazione di considerazioni integrative del suo intervento in calce al resoconto della seduta odierna.
KHALED FOUAD ALLAM. D'accordo, la ringrazio molto, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Verdi).
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Fasolino; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare la deputata De Zulueta, alla quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente del Consiglio, signor ministro degli affari esteri, onorevoli membri del Governo, colleghi, il nuovo Governo italiano si affaccia sulla scena mondiale in un quadro a luci ed ombre, in un contesto di grande incertezza sulle scelte più importanti che riguardano il futuro dell'Europa e i suoi rapporti con il resto del mondo. Siamo oggetto di una certa curiosità. Dall'Italia, molti governi e cittadini vicini e lontani si aspettano un cambiamento e questo cambiamento si vedrà in primo luogo nelle scelte di politica estera.
Condividiamo e sosterremo la politica preventiva di pace annunciata al Senato da lei, signor Presidente Prodi, fondata su un obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale. Salutiamo, altresì, l'impegno di fondare tutte le future decisioni del Governo in materia di sicurezza sul pieno rispetto dell'articolo 11 della Costituzione.
Il primo passo sarà, dunque, il ritiro completo delle truppe dall'Iraq, secondo un calendario che può e deve essere approvato al più presto. Riteniamo, comunque, che un futuro impegno umanitario in Iraq a sostegno della ricostruzione del paese dovrà avere una natura esclusivamente civile: questa è una scelta che si impone dopo la richiesta da parte del nuovo Governo iracheno di un calendario certo per il ritiro delle truppe internazionali dall'Iraq.
Nelle sue dichiarazioni programmatiche, signor Presidente, lei ha ricordato la fase di difficoltà che attraversa l'Europa politica. In assenza di istituzioni condivise,
l'Europa fatica a rispondere alle tre grandi crisi accese nel Medio Oriente: Iraq, Israele e Palestina, rischio di una rottura sul nucleare con l'Iran. Riteniamo, comunque, che quest'ultima emergenza vada affrontata nel contesto di un rilancio del processo di disarmo nucleare e con gli strumenti esclusivi della diplomazia. Già nella scorsa legislatura, i Verdi depositarono in ambedue le Camere una mozione per la ripresa dei negoziati a favore della rimozione delle armi nucleari tattiche dall'Europa, nel solco di altre mozioni già approvate dai Parlamenti del Belgio e della Germania, a cominciare dalle bombe atomiche dispiegate, all'insaputa di molti italiani, in due basi aeree italiane. Altre iniziative lanciate dalle regioni per la chiusura delle basi nucleari della Sardegna e della Puglia hanno dimostrato la sensibilità dei cittadini per un tema che era scomparso dall'agenda politica nazionale.
Al nuovo Governo chiediamo una politica cogente e convinta a sostegno della denuclearizzazione del Mediterraneo, a cominciare dalla zona più esposta al rischio di una deflagrazione: il Medio Oriente. Il solo ipotizzare, come è stato fatto a livello di pianificazione militare statunitense, l'uso di armi militari tattiche contro siti iraniani rischia di far ripartire la corsa al nucleare a livello mondiale e di stracciare la residua credibilità ed efficacia del trattato di non proliferazione nucleare.
Una politica di pace preventiva efficace dovrà dotarsi di molte braccia, affrontando non solo i rischi cosiddetti duri, come il nucleare, ma anche quelli che impropriamente vengono definiti morbidi, a cominciare dal deterioramento ambientale provocato dal cambio climatico. Su questo fronte, un impegno serio della piena attuazione delle convenzioni, a cominciare da quella di Kyoto, è un segnale che l'Italia può e deve dare.
Le malattie endemiche sono un altro grande problema da affrontare con investimenti ed impegno adeguati. A questo fine, la ricerca di maggiore equità nei rapporti tra nord e sud del mondo dovrà comprendere un rilancio ed una profonda riorganizzazione della cooperazione allo sviluppo italiana, ridotta ormai al lumicino, ma anche nuovi e diversi rapporti commerciali.
Anche la questione dell'immigrazione - come ha accennato il collega Khaled Fouad Allam - va gestita in modo diverso, con più attenzione ai bisogni dei paesi di origine ed una possibilità di ritorno, per evitare il depredamento degli intelletti soprattutto dell'Africa.
Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, lei, presidente Prodi, ha chiarito che l'Italia intende affrontare questa sfida nel pieno rispetto del diritto nazionale ed internazionale.
Su questo fronte, l'Europa si trova ad un bivio. La vicenda dei voli segreti della CIA è stata indagata e censurata da due successivi rapporti europei, uno del Consiglio d'Europa e, ora, con maggiori particolari, uno dal Parlamento europeo. La magistratura italiana ha messo in luce uno dei casi più eclatanti di sequestro illegale compiuto sul suolo italiano a danno del cittadino egiziano Abu Omar. Il sequestro ha violato non solo il diritto nazionale ed internazionale, ma ha anche danneggiato una delicata inchiesta in corso, esponendo pertanto il paese a rischi potenziali.
Su ciò il Governo precedente è stato come minimo reticente. Il Parlamento deve poter indagare su questo ed altri casi analoghi per arrivare ad un'azione comune, europea, che bandisca definitivamente metodi simili dal continente.
L'Italia, come molti paesi europei, ha conosciuto e combattuto il flagello del terrorismo con gli strumenti del diritto e senza comprimere i diritti dei propri cittadini. Noi dobbiamo insistere su questa strada anche a livello internazionale. Dobbiamo, come fu chiesto in una mozione presentata al Senato nella scorsa legislatura, domandare al Governo di chiedere al Governo statunitense la chiusura del centro di detenzione di Guantanamo.
Onorevoli colleghi, signor Presidente, faccio notare che al ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali la Carta costituzionale fa seguire una frase meno conosciuta,
ma a cui io, come cittadina italiana di adozione, sono molto affezionata, ed è un vero e proprio impegno multilaterale, forse unico nel suo genere, cioè quello di prevedere anche limitazioni alla nostra sovranità nazionale pur di favorire la pace e la giustizia internazionali, nonché le organizzazioni che le promuovono, come se i padri costituenti intravedessero in quel potere democratico europeo, immaginato da Altiero Spinelli già negli anni del confino, insieme alle Nazioni Unite, i pilastri di un ordine mondiale fondato sul diritto.
La presenza dunque sull'isola di Ventotene, ieri, di due importanti ministri per rendere omaggio alla memoria di Spinelli, insieme al Presidente Napolitano, sta a dimostrare, già dai primissimi giorni, che il Governo intende far sì che l'Italia torni ad essere protagonista in Europa.
Su questo punto, signor ministro degli affari esteri, è appena arrivato il risultato del referendum svoltosi nel Montenegro, situato in una zona che ci riguarda da vicino, i Balcani, la quale però non è stata oggetto di molte parole nel discorso programmatico del Governo. Tuttavia, è una zona di cui ci dovremo occupare, molto e bene, nei mesi e negli anni a venire. Anche qui ci vorrà protagonismo italiano.
Ma il protagonismo dovrà partire dal rilancio del processo costituzionale europeo. A tal riguardo lei, signor Presidente Prodi, ha già dichiarato la propria disponibilità a sostenere la proposta di referendum costituzionale europeo, una proposta tanto più importante nel caso dovesse fallire il percorso di ratifiche in atto (una possibilità molto concreta, ahimè), perché a quel punto si imporrà una rivisitazione del testo occorrente e, in particolare, di quella terza parte risultata «indigesta» a molti europei.
Ma di ciò si potrà discutere. Intanto, per nostra parte, accogliamo l'invito del Presidente Napolitano di far rivivere l'idea di Europa.
Aggiungo che solo un'Europa capace di agire in politica estera potrà assumere un ruolo mondiale e promuovere un'impostazione diversa nelle istituzioni economiche internazionali, oltre che portare avanti, soprattutto all'interno dell'ONU, le riforme necessarie.
Questo lo ha detto un filosofo, Jürgen Habermas, ma quando tace la politica, come - ahimè - ha fatto a livello degli alti gradi...
PRESIDENTE. Cortesemente, dovrebbe concludere.
TANA DE ZULUETA... parlano i filosofi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi, de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Consentirò ora l'intervento del deputato Fasolino, iscritto a parlare, che in precedenza aveva fatto il suo ingresso in aula mentre concedevo la parola all'onorevole De Zulueta, ricordandogli che ha quattro minuti di tempo a disposizione.
Prego, deputato Fasolino, ha facoltà di parlare.
GAETANO FASOLINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la formazione del nuovo Governo doveva rappresentare il banco di prova per la neonata maggioranza di centrosinistra. Abbiamo seguito, con comprensibile curiosità, le grandi manovre che hanno preceduto l'assegnazione degli incarichi.
Nessun volo pindarico! Questo tocca a me, quest'altro a te! Nessun premio Nobel, nessuna personalità fuori dai partiti! Le scelte, solo e sempre per dosata ed inequivocabile appartenenza politica o correntizia! Ahimè, tanta Prima Repubblica, alla faccia della più volte sbandierata superiorità morale!
Anzi, sono portato a credere, nella gloriosa storia del manuale Cencelli, che mai il piccolo, grande vademecum della «spartenza», come dicono a Napoli, sia stato onorato con tanto circostanziato e devoto riconoscimento. Ne è venuto fuori lo spaccato di un Governo senza ali, quelle che fanno volare alto sulla quotidianità, nel quale le nomine di ministri e sottosegretari sono avvenute nel rigore inoppugnabile del déjà vu.
Puntuale e patetico, a questo punto, lo sconcerto delle grandi firme del giornalismo nostrano, avvilite dall'inaspettata caduta di stile e modicamente preoccupate (dovranno pure scusarsi con i loro lettori) per il colore prevalente (il rosso), che si fa apprezzare a prima vista in questo esecutivo.
Ed ora, vorrei spendere una parola sulle libertà religiose e lo Stato laico. Il Presidente del Consiglio, in stretto e rigoroso abito Cencelli, ha rivolto un saluto solo apparentemente apprezzabile a tutte le confessioni religiose, graduando le menzioni per righi e per sillabe e impegnando il Governo su una politica di rispetto delle singole libertà di culto.
Mi permetto di osservare che questo tema non è assolutamente in discussione. Da tempo, in Italia le confessioni sono libere e protette. Vi sono dappertutto chiese, sinagoghe e moschee (a Roma, vi è, forse, la più bella moschea di Europa).
Il problema è un altro: che l'Italia, cristiana e cattolica, venga rispettata da tutti coloro cui, intanto, porta rispetto sia all'interno dei confini nazionali che in Europa e nel mondo e che anche questo Governo si impegni, così come il Governo Berlusconi, ad operare, perché trionfi nella pacificazione anche e, soprattutto, il rispetto reciproco.
Nei giorni scorsi un'alta carica istituzionale, lasciandosi trasportare da spirito catechetico, ha preteso di insegnare al Papa l'interpretazione autentica della morale cristiana sui diritti dei singoli e della famiglia.
Forse, giova ricordare che il compito delle istituzioni non è operare improvvide incursioni nel campo dell'etica religiosa, ma di rispettarne scrupolosamente i confini e avere considerazione per il sentire prevalente di un popolo che è fatto, oltre che di uomini e donne adulti, di bambini e ragazzi, di giovani e adolescenti, la componente più sensibile e vulnerabile di una comunità. Stiamo parlando ovviamente di Pacs e dintorni.
Preannuncio, pertanto, il voto contrario a questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bellillo. Ne ha facoltà.
KATIA BELLILLO. Signor Presidente della Camera, Presidente del Consiglio, il voto di fiducia a lei e al suo Governo da parte dei Comunisti italiani è leale, consapevole e responsabile; scaturisce, oltre che dalle nostre convinzioni, dall'analisi della realtà nella quale siamo immersi e che vogliamo contribuire a trasformare.
Nonostante le difficoltà di questi anni abbiamo saputo però mantenere la facoltà di distinguere fra cultura e politica. Siamo perciò rimasti a saldamente ancorati alla cultura dei diritti e caparbiamente impegnati a praticare la politica delle alleanze per un obiettivo che è anche per noi questione morale: resistere all'ideologia liberista che ha stravolto tutto, che ha capovolto ogni valore, ha eretto a istituzione suprema e sovrana il mercato, trasformato la libertà senza regole a suo valore assoluto.
Questo sistema per noi è profondamente immorale: pretende infatti l'abolizione di ogni vincolo normativo per occupare ogni spazio delle relazioni sociali, per attrarre nella sfera del mercato ogni tipo di beni; trasforma le persone in merci, permette a pochi di diventare straricchi, impoverendo i più e rapinando l'ambiente. Il male del calcio di questi giorni non sta forse nell'aver trasformato le società sportive in società per azioni?
L'alleanza e l'unità con le forze sinceramente liberali, con la sinistra radicale, con gli ambientalisti e pacifisti, con la cultura socialista e cattolica è per noi comunisti strategica. Sentiamo, Presidente, l'urgenza di ridare finalmente forza e autorevolezza allo Stato di diritto costituzionale e democratico troppo a lungo mortificato; ma allora va rimessa al centro della politica la vita dei cittadini, la quotidianità delle persone e la loro dignità.
La questione morale e non il falso moralismo ci impone di tornare al dettato costituzionale; non può essere il mercato ed il profitto a definire i rapporti tra le persone e il ruolo delle istituzioni, degli enti locali, delle autonomie ma il lavoro e
il suo valore etico: il lavoro sicuro, libero dallo sfruttamento, con un salario che fa arrivare alla fine del mese; solo il lavoro così caratterizzato e una convinta politica di sviluppo dell'istruzione pubblica, dagli asili nido all'università, può garantire l'uguaglianza, l'unica condizione che permette ad ogni persona la piena partecipazione alla vita economica, sociale e politica, definisce le condizioni reali che consentono a ciascuno di costruire sé stesso e sé stessa in modo libero ed originale affinché l'appartenenza ad un sesso, ad un etnìa, l'orientamento sessuale, l'età o la condizione fisica non siano più causa di discriminazione.
Dobbiamo ripristinare lo Statuto dei lavoratori e con esso dare forza al primo articolo della Costituzione con la definizione di nuove regole per il mercato del lavoro, che non permettano più di usare gli immigrati solo come manodopera importata e tollerata fino a quando serve all'economia per il suo basso costo e perché non ha assolutamente garantito alcun diritto. Assumere allora compiutamente la rivoluzione del nuovo ruolo sociale delle donne: è questo forse che, Presidente, noi le chiediamo con più forza - è anche una questione di quantità ma non è solo questo! - poiché crediamo che sia necessario superare l'uso ideologico della presunta differenza della natura femminile, che, di fronte ad una disoccupazione strutturale, viene utilizzata per «ricacciare» nella zona del non diritto e in condizioni di disuguaglianza una parte considerevole della popolazione.
Con il diritto al lavoro, quello all'istruzione, il divorzio, l'aborto e la contraccezione anche le donne italiane sono diventate finalmente, da trent'anni a questa parte, titolari del proprio corpo e hanno cambiato sé stesse e la società: i rapporti fra gli uomini e le donne sono cambiati! Nella famiglia non vi è più la gerarchia della vecchia struttura patriarcale e ciò che spinge a formare la famiglia non è più una sistemazione per le donne o la procreazione, ma l'amore; ed è per amore che ci si sposa o si decide di convivere e ci si divide quando non ve n'è più: ed è questo cambiamento che ha contribuito a cancellare il marchio d'infamia all'omosessualità.
Ora la politica deve recuperare il tempo perduto, accompagnare in modo concreto queste trasformazioni sociali...
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Bellillo!
KATIA BELLILLO. ... non lasciare sole le persone semplicemente perché qualcuno è convinto delle sue verità e pretenderebbe di imporle al mondo.
Dobbiamo riaffermare e praticare la laicità, un principio che deve governare l'azione...
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole.
KATIA BELLILLO. Presidente, ho a disposizione cinque minuti, quindi credo che il suo orologio non funzioni.
PRESIDENTE. Non è il mio orologio personale...!
KATIA BELLILLO. ... dello Stato e dei cittadini di qualunque fede fuori dal luogo di culto e nessuna legge religiosa può sottrarsi a tale principio. Ogni persona deve poter esercitare il diritto all'autodeterminazione nel rispetto delle regole comuni.
Presidente, le rivolgo un invito che a nostro avviso è politico ed anche propedeutico: interrompa la tendenza perversa, in voga in questi ultimi anni, della politica spettacolo! Faccia lavorare i suoi ministri per realizzare ciò che si è detto!
Abbiamo alle spalle una lunghissima campagna elettorale, abbiamo spiegato un programma che non elargiva promesse o regalie. È giunto il momento di fare e ciò rappresenterebbe un segnale eccezionale che consentirebbe agli italiani di capire finalmente che qualcosa sta cambiando!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, colleghe e colleghi, noi Verdi siamo pronti ad assicurare il nostro convinto voto di fiducia - come hanno già fatto i nostri senatori e le nostre senatrici - e siamo pronti a garantire la nostra leale e fattiva partecipazione all'attività di Governo e alle iniziative istituzionali, con l'obiettivo di realizzare al meglio il programma che insieme abbiamo redatto e sottoscritto.
Non è questo il momento delle illusioni e degli autoinganni, il paese ne ha già avuto una overdose! Sappiamo bene che la strada è in salita, che si tratta di navigare tra Scilla e Cariddi, che davvero - come lei, signor Presidente del Consiglio, ha più volte affermato - o si va avanti tutti insieme o insieme si regredisce.
Il nostro primo dovere è dare ascolto alla richiesta forte di unità, o perlomeno di confronto civile, che sale dal paese. State uniti, non litigate! Questo è l'appello - a volte quasi la supplica, il leit motiv - che ci accompagna in giro per l'Italia. A ripeterlo non è soltanto il popolo del centrosinistra, che chiede alla sua coalizione di non cedere alle tentazioni di risse, di personalismi, di lotte di potere, ma anche tanti cittadini che si ostinano a coltivare una ormai stanca, ma ancora persistente speranza, vale a dire quella che la politica riesca ad uscire da una fase in cui si è prevalentemente ridotta a tattica, a mera ricerca di potere per recuperare la capacità di essere politica alta in grado di fornire una lucida lettura della realtà, di disegnare una visione del mondo, di costruire un progetto di qualità per la nostra polis.
Un'altra richiesta forte, che proviene da larga parte del paese, è proprio la qualità del nostro progetto, che dipenderà dalla nostra voglia e capacità di fare la differenza, di segnare una netta discontinuità rispetto al passato.
Le diversità che compongono la costellazione del centrosinistra, se sapremo farne tesoro e trasformarle in ricchezza invece che in occasioni di scontro o attrito, potrebbero costituire in questa dimensione una carta vincente. Ad esempio, la diversità di noi Verdi potrà e dovrà rivelarsi utile per fare la differenza rispetto ad un modello di sviluppo ormai insostenibile dal punto di vista ambientale e sociale.
A tale proposito, Presidente Prodi, mi permetta di segnalarle un'amara sorpresa: accanto a molti punti luce, nel suo discorso vi è un buco nero, un'assenza, una zona d'ombra. Infatti, non è presente neppure una volta la parola «ambiente». Dunque, nessuna menzione di una delle questioni cardine del XXI secolo, vale a dire della sostenibilità dello sviluppo. Peraltro, ci conforta il fatto che tale questione è stata affrontata ampiamente nella sua complessità nel programma comune e ci conforta ovviamente la presenza del nostro esponente nel Governo.
Ma proprio perché lei, signor Presidente, ha più volte ripetuto di voler innanzitutto comunicare il senso di urgenza che deve sospingere il nostro agire politico in questo momento di crisi, vorrei che nessuno qui dimenticasse che l'urgenza delle urgenze è oggi quella di fare pace non solo tra gli esseri umani ma con madre terra. C'è un matrimonio che si deve fare - per parafrasare il Manzoni alla rovescia - se vogliamo consegnare ai nostri figli una terra vivente e non un pianeta desolato: il matrimonio tra ecologia ed economia. Non sfuggirà a nessuno lo stesso prefisso «eco», dal greco «οĩκος», casa: è l'integrazione tra politiche ambientali, sociali ed economiche, sfida che non possiamo più eludere, perché non c'è più tempo. È una sfida che, come una scatola cinese, contiene al suo interno una serie di sfide specifiche, come la scommessa energetica, un assoluto must ad inizio del terzo millennio per scampare alla raffica di rischi geopolitici, economici ed ambientali che la nostra dissennata dipendenza dai combustibili fossili comporta. Questa è davvero una delle grandi opere da compiere, che la stessa Europa ci impone, proprio quella Europa che lei giustamente ci indica come orizzonte da non perdere, come alveo entro cui far fluire il nostro agire politico.
Ricordo che dobbiamo ottemperare agli obblighi del negletto protocollo di Kyoto.
Siamo il paese più inadempiente, perché invece di tagliare le emissioni del 6,5 per cento in questo quinquennio le abbiamo addirittura aumentate del 12 per cento. Per fronteggiare lo tsunami del cambiamento climatico, che ci è già addosso, dobbiamo, come è scritto nel nostro programma comune, dire qualche «no» sacrosanto - ad esempio, dire addio al petrolio, visto anche il prezzo crescente al barile, dire no al revival del nucleare che ci viene spacciato come cura per l'effetto serra, salvaguardando ovviamente la ricerca - e dire molti «sì» ad un mix di ingredienti da promuovere senza indugio: efficienza, risparmio energetico, ventaglio delle energie rinnovabili, ricerca e innovazione. Sempre l'Europa ci ricorda che entro il 2020 il 20 per cento del nostro fabbisogno dovrà essere soddisfatto da questo mix e che la percentuale dovrà salire al 50 per cento nel 2050.
Aprire le porte all'energia del futuro vuol dire anche maggiore occupazione: penso al governo rosso-verde in Germania che ha prodotto in questo settore circa 160 mila posti di lavoro. Il cambiamento del sistema energetico dunque, ma anche la difesa del suolo, la bonifica del territorio, la tutela della nostra ricchissima biodiversità, delle aree protette, del nostro troppo maltrattato paesaggio, del nostro prezioso patrimonio culturale ed artistico, la promozione dell'agricoltura biologica, biodinamica e di qualità, indispensabile per garantire la sicurezza alimentare e la salute dei cittadini, dei bambini in primis, la corretta gestione dei rifiuti e delle risorse idriche. Queste sono le grandi opere che i Verdi vogliono far decollare e che si stanno già traducendo in posti di lavoro (siamo ormai a 365 mila addetti, se si contano tutti i settori) e che sempre più potranno far crescere l'albero dei lavori verdi, delle eco-professioni. Altro che ponte sullo Stretto di Messina, simbolo delle grandi opere inutili, costosissime e devastanti. Ponte che, grazie al cielo, ma anche grazie ai Verdi e agli ambientalisti, è stato finalmente e definitivamente cassato.
Propedeutico al varo di questa grande opera di conservazione e valorizzazione dell'ambiente e del territorio dovrà essere l'«abbattimento» della legge delega, un vero ecomostro giuridico, una sorta di Punta Perotti della normativa ambientale, da smantellare come si è fatto appunto con i palazzoni di Bari dopo anni di battaglie. Tuttavia, come lei ha più volte ricordato, la grande opera davvero vitale dovrà essere la lotta all'impoverimento culturale, al degrado etico che sempre più segna il nostro paese, dovrà essere la spinta ad un salto di qualità della coscienza collettiva, senza il quale l'Italia non riuscirà a scuotersi e a rinnovarsi. Queste, oltre a quelle che lei ha già elencato nel suo discorso e che, ovviamente, facciamo nostre, sono le grandi sfide che i Verdi non vogliono siano trascurate e dimenticate, su cui si impegneranno.
Last but not least, da donna permettetemi un rapido accenno all'altra questione a cui viene dato molto spazio a parole, ma assai meno nella realtà: il ruolo delle donne. Siamo alle solite, le giaculatorie di rito, risultati scarni, quasi scheletrici. Certo, ci sono indubbi passi avanti rispetto al passato, ci sono più donne al Governo e più donne anche in Parlamento, ma non basta. Occorre agire su un dubbio binario, regole forti, cogenti, mi viene da dire coercitive, altrimenti non ne usciamo. Su questo attendiamo che il Governo presenti al più presto un disegno di legge per dare puntuale ed efficace attuazione all'articolo 51 della nostra Costituzione. Tuttavia le norme non saranno sufficienti se non si farà ripartire un cambiamento culturale profondo, che accompagni e sostenga le misure strutturali per migliorare la condizione femminile che il nostro programma individua. Di questo cambiamento culturale, noi donne, dentro e fuori le istituzioni, vogliamo e dobbiamo tornare protagoniste (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi, de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Craxi. Ne ha facoltà.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Signor Presidente della Camera,
signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, è con profonda emozione che prendo la parola in quest'aula che ha audito i discorsi con cui Bettino Craxi, mio padre, ha costruito l'orgoglio dei socialisti e restituito all'Italia il posto che merita tra le grandi nazioni del mondo.
Siamo di nuovo in una situazione di emergenza, contrassegnata dall'incapacità della nuova maggioranza parlamentare - che è minoranza nel paese - di comprendere le esigenze più elementari della nazione.
L'Italia non ha bisogno di tornare indietro, di conservatorismi e controriforme. L'Italia ha bisogno di nuove modernizzazioni, di proseguire il cammino riformatore tracciato dal precedente Governo. L'Italia ha bisogno di più infrastrutture per la mobilità e per lo sviluppo, di meno burocrazie e meno tasse. Invece, lei, Presidente Prodi, dopo aver presentato un programma basato sull'aumento delle tasse, oggi, ci presenta un Governo che moltiplica i ministeri e le burocrazie ed una lista di ministri, viceministri e sottosegretari che sembrano, nella gran parte, il «comitato del no»: no allo sviluppo e alla modernità.
Lei, signor Presidente, si è cucito addosso il vestito di Arlecchino e i molti aggettivi che lei ha speso per definire questa maggioranza - coesa, solida, compatta, omogenea - sono solo lustrini che non nascondono la fragilità del tessuto sottostante. La baldanza del suo intervento avrebbe dovuto avere la giustificazione nel voto della maggioranza degli italiani. Così non è stato e resta perciò solo un esercizio di pura retorica.
Al Ministero del lavoro abbiamo un avversario della legge Biagi. Inoltre lei, senza vergogna, ha dichiarato che bisogna cambiare la legge per combattere il precariato. Con l'opera di Marco Biagi, ultimo martire socialista, non abbiamo avuto più precariato, ma più giustizia e più opportunità per i giovani. Affermando il contrario, lei continua l'opera di demonizzazione che ha certamente contribuito ad offrire Biagi al mirino delle Brigate rosse (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
Al Ministero dell'ambiente abbiamo un nemico giurato dei cantieri e del buonsenso. Ministeri importanti sono stati distribuiti con logica spartitoria. Abbiamo ministeri «spacchettati» con inevitabili conflitti di competenza, personale di Governo che tocca le 100 unità. Basterebbe che ognuno facesse qualcosa per paralizzare l'Italia.
La nostra patria non ha bisogno di nuovi vincoli, di nuovi dirigismi, ma di maggiore libertà, di maggiore semplificazione, di maggior decentramento, ma parole in questo senso non se ne sono udite. D'altronde, noi, come oltre il 50 per cento degli italiani, non potevamo aspettarci di più da un Presidente del Consiglio che può godere di un proprio gruppo di parlamentari che non supera le cinque unità, che ha dovuto accettare due Vicepresidenti del Consiglio che sono i veri capi del Governo, viceministri guardie dei partiti di appartenenza nei ministeri, pochi, dove lei è riuscito ad insediare tecnici di sua fiducia.
No. Non ci aspettavamo di più dall'ex Presidente della Commissione europea....
PRESIDENTE. Onorevole Craxi...
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. ...considerato dalla stampa internazionale come il peggior Presidente della storia. Non ci aspettavamo di più da chi si è particolarmente distinto nella sua lunga carriera politica e parapolitica per i tentativi di svendere le aziende di Stato alla tessera numero uno del futuro partito democratico (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale), da chi si è distinto per aver partecipato ad una ignominiosa quanto mendace seduta spiritica!
PRESIDENTE. Onorevole Craxi, la invito a concludere.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. L'unica speranza è che i germi della paralisi che minano l'attività di Governo limitino i danni.
Da parte nostra, penso che un'opposizione ferma ed intransigente sia più di un dovere (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tranfaglia, al quale ricordo che ha cinque minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.
NICOLA TRANFAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor Presidente del Consiglio, abbiamo apprezzato particolarmente i passaggi delle sue dichiarazioni programmatiche in cui ha sottolineato che l'Italia non deve rinunciare alle sue forze migliori e che considera un punto essenziale della sua strategia di Governo la promozione della ricerca scientifica, della scuola e dell'università, che sono oggi in condizioni assai difficili, dopo anni di tentativi di riforme che hanno ridotto le risorse economiche ed introdotto fattori evidenti di disuguaglianze e di discriminazione, contrari al dettato e allo spirito della Costituzione repubblicana. Per quel dettato e per quello spirito noi ci battiamo perché il figlio dell'operaio, del contadino, del povero, abbia possibilità eguali a quelle del figlio del professionista o dell'imprenditore nel percorrere i gradi successivi del sapere e della cultura.
Lo Stato deve intervenire per assicurare ai meritevoli l'opportunità di andare avanti nel cammino scolastico ed universitario, fino ai traguardi più alti. Una democrazia moderna deve assicurare borse di studio e facilitazioni a chi merita di studiare e prepararsi alla ricerca e alle professioni, a prescindere dalla sua condizione economica e sociale. L'Italia ha bisogno di una scuola pubblica che riaffermi il suo carattere di fattore fondamentale dello sviluppo economico e sociale del paese, ma anche la sua caratteristica di scuola laica che tratta allo stesso modo le diverse fedi religiose e le diverse tradizioni di pensiero.
La nostra società ha continuato ad essere troppo familista e troppo poco meritocratica, in un'età, come quella della globalizzazione e dell'unificazione europea, che richiede, viceversa, di trovare le energie migliori all'interno di tutta la popolazione.
È ora, su questo piano, di imporre una svolta netta e chiara. Noi sosterremo il suo Governo con quella tenacia e quello spirito unitario che hanno caratterizzato, dall'inizio della sua storia, la forza politica che qui rappresentiamo. È necessario valorizzare assai di più le energie femminili, che soffrono ancora, ai gradi alti della politica come della società, di un'insopportabile discriminazione. Ci auguriamo che anche su questo piano, come lei ha detto nella replica al Senato, ci siano misure significative ed eloquenti. Chi, come chi vi parla, ha insegnato già per 35 anni nelle università pubbliche in Italia ed in altri paesi sa come le donne rappresentino, per numero e per qualità, una risorsa primaria per il nostro futuro di paese moderno ed avanzato. È un dato da cui non possiamo prescindere per seguire ancora una tradizione vecchia ed ormai lontana dalla realtà.
L'Italia soffre da anni di un'impressionante perdita della competitività, nell'innovazione industriale come nella ricerca scientifica e tecnologica. L'obiettivo di destinare l'1 per cento del PIL alla ricerca è un obiettivo difficile, ma a nostro avviso irrinunciabile nell'attuale situazione e ci auguriamo che il Governo e il Parlamento si impegnino in questi prossimi anni per raggiungerlo, malgrado i gravi problemi economici e finanziari che incombono. A chi insegna nella scuola come nell'università deve essere assicurata, pur con dovuti controlli periodici, dignità economica e sociale, nonché stabilità di lavoro e di carriera. I criteri del merito e del lavoro compiuto devono essere al centro di ogni provvedimento in questo campo.
Come lei ha detto nel suo discorso, signor Presidente, è indispensabile che la nostra politica riveda la tendenza di alcuni capitoli generali di spesa pubblica e mostri concretamente la centralità dell'intervento nel campo dell'istruzione e della cultura in ogni sua forma, senza procedere, come è
avvenuto nell'era del ministro Moratti, abolendo il tempo pieno nella scuola e precarizzando i giovani che lavorano nelle scuole e nelle università. Noi siamo in Europa il paese in cui si leggono meno libri e giornali e in cui, al contrario, si vede di più la televisione. Non è un primato invidiabile, soprattutto perché la pubblicità che sostiene le imprese giornalistiche va per oltre il 50 per cento al mezzo televisivo, dominato peraltro da due oligopoli in una misura che non ha eguali in tutta Europa. La cosiddetta legge Gasparri deve essere riscritta al più presto, per garantire la sconfitta degli oligopoli ed il riaprirsi di una concorrenza libera in questo settore, salvaguardando peraltro il ruolo essenziale del servizio pubblico.
PRESIDENTE. Onorevole Tranfaglia, concluda.
NICOLA TRANFAGLIA. Concludo, Presidente.
Tutto ciò è necessario perché gli italiani possano diventare sempre più partecipi della cosa pubblica ed abbiano gli strumenti per scegliere in maniera più consapevole. È necessario, inoltre, che scuola ed università si rinnovino con un livello di qualità maggiore, che la ricerca produca risultati più importanti e che la politica dei beni culturali sia più rigorosa ed attenta agli interessi pubblici di quanto non sia stata negli ultimi anni (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).
In conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Tranfaglia, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Della Vedova, al quale ricordo che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, come esponente dei riformatori liberali e come deputato di Forza Italia non accorderò la mia fiducia a lei ed al suo Governo. Ciò non perché sia un Governo nato, come è stato detto, all'insegna del manuale Cencelli e della restaurazione partitocratica, e neppure per il modo in cui avete preteso - forti, forse, di un pugno di voti di maggioranza -, per voi e per i tre partiti della sua coalizione (i tre partiti maggiori), le tre principali cariche dello Stato. Mi chiedo, in queste condizioni, di cosa volete e di cosa lei, Presidente Prodi, voglia ora dialogare.
Signor Presidente del Consiglio dei ministri, il nostro «no» al suo Governo poggia soprattutto su quello che volete fare. Voi volete scappare dall'Iraq: dite che non è una fuga e che il nostro apporto alla ricostruzione di un Iraq democratico proseguirà con altri mezzi, come se contribuire alla sicurezza di quel paese, che oggi è ancora un'assoluta priorità, sia incompatibile con altre modalità di sostegno.
Presidente Prodi, lei, nel suo discorso reso al Senato, ha detto testualmente che «l'Italia ha partecipato alla guerra», mentre sa benissimo che i nostri soldati sono arrivati in Iraq solo dopo la sconfitta del regime di Saddam Hussein. La sua è una bugia propagandistica! Voi avete scelto - lei ha scelto - la linea dei Comunisti Italiani che dicevano «via dalla sporca guerra» e che indicavano le mani del Presidente degli Stati Uniti come mani grondanti di sangue.
Signor Presidente Prodi, il nuovo Governo iracheno meritava e merita un sostegno pieno e non reticente: voi così non glielo date, ma glielo negate. È ovvio che i nostri soldati sarebbero comunque tornati dall'Iraq, ma sarebbero tornati non per una scelta ideologica come quella che voi compite, che è all'insegna non certo della pace, ma della indifferenza nei confronti di un popolo e di un governo che cercano disperatamente di battere il terrorismo fanatico per conquistare libertà e democrazia.
Il collega Fouad Allam sottolineava l'importanza che riveste il fatto che la comunità sciita sia entrata oggi in gioco nell'Iraq democratico. Se fosse stato per
lei e per la sua maggioranza, gli italiani a questa rimessa in gioco degli sciiti, a questa rimessa in gioco della libertà nell'Iraq, non avrebbero partecipato; e se il mondo fosse stato fatto da governanti come voi, oggi, lì, avremmo ancora Saddam Hussein (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
La differenza tra noi e voi è sempre la stessa: non è lieve e segna un netto discrimine. Mentre voi votavate ripetutamente contro il finanziamento della missione militare in Iraq, noi liberali, noi radicali, dicevamo con Emma Bonino «tutti a Baghdad», non per fare la guerra, che era finita, ma per cercare di garantire agli iracheni la libertà e una chance di democrazia.
Colgo l'occasione per fare i miei auguri personali alla neoministra Emma Bonino, di cui conosco e riconosco il valore, ma che sta nel Governo sbagliato, cioè in un esecutivo il cui intento programmatico è quello di ridisegnare la società, l'economia e la scuola italiana all'insegna del paternalismo, dello statalismo e della sindacatocrazia.
Voi, e lei Presidente Prodi, dite che volete chiamare gli italiani al referendum del 25 giugno per difendere l'unità nazionale dalla devolution leghista; ma, anche qui, fate solo propaganda, perché sapete bene che ha ragione il costituzionalista Barbera, suo concittadino, esponente della sinistra, quando dice che è paradossale - ma bisogna riconoscerlo - che sia toccato ad un ministro leghista, Roberto Calderoli, rimediare ai pericoli per l'unità nazionale causati dal federalismo sgangherato del Titolo V della Costituzione. Per un miope calcolo politico volete seppellire una riforma costituzionale che si potrebbe - certo - in seguito migliorare, ma se essa non dovesse passare ci lascerebbe per altri decenni con il bicameralismo perfetto e un premier debole. Non le dice nulla questo?
PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere...
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, concludo parlando di fisco e parlando di un progetto - sbagliato - di riduzione del cuneo fiscale in cinque anni, che avrebbe come unico effetto quello di minare il welfare all'italiana e di portare il pagamento delle pensioni sulle spalle della fiscalità generale (un precedente pericoloso).
In questi giorni, tutti i contribuenti italiani (penso in particolare a quelli del nord, che non le hanno dato fiducia, signor Presidente del Consiglio)...
PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere...
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ...pagheranno meno - e concludo, Presidente - rispetto a quello che pagavano cinque anni fa; pagheranno molto meno di quanto avrebbero pagato se foste stati voi al Governo nei precedenti cinque anni.
Abbiamo un impegno e lo manterremo: «no» a nuove tasse, «no» ad uno Stato che dilaga, «no» alla burocrazia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.
Le ricordo che ha otto minuti di tempo a disposizione
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, Presidente Prodi, nel suo discorso al Senato per chiedere la fiducia, ha affrontato un tema che a me personalmente e al partito a cui appartengo sta particolarmente a cuore: la famiglia. È su questo argomento che vorrei soffermarmi.
Non si può negare che l'istituzione di un Ministero delle politiche per la famiglia sia una decisione senz'altro positiva, anche perché da molte parti e da tempo era stata richiesta e, di conseguenza, era diventata una scelta quasi obbligata. Detto questo, preoccupano non poco le dichiarazioni subito rilasciate dal ministro titolare di questo dicastero, che contrastano in modo palese non solo con quanto scritto nel programma dell'Unione, ma anche con le dichiarazioni del Presidente Prodi, che nel suo discorso mai cita la necessità di riconoscere
le unioni di fatto per evitare discriminazioni verso chi esprime orientamenti e scelte personali diverse.
A chi dobbiamo dare retta? Un ministero per la famiglia può essere visto con favore solo a condizione che sia veramente un luogo di promozione e di riconoscimento del valore sociale della famiglia fondata sul matrimonio, non un grimaldello per scardinare la famiglia costituzionalmente garantita con ambigue affermazioni e fughe in avanti, che tendono a riconoscere e tutelare quello che famiglia non è, quello che non può vantare diritti perché non vuole assumersi i relativi doveri davanti alla collettività.
La famiglia non è solo un luogo di esercizio della solidarietà intergenerazionale, della cura e degli affetti, come dice il Presidente Prodi, ma è un patto pubblicamente e reciprocamente assunto da un uomo e da una donna, che così facendo costituiscono quel consortium che fa della coppia coniugale la primordiale cellula della società.
Il matrimonio è ciò che fa pubblica la scelta di stare insieme, che chiama su di sé la protezione del diritto e si sottomette alle sue regole. Autorevoli esponenti di questo Governo, che ora chiede la fiducia, hanno più volte affermato che eventuali tutele nei confronti di persone che fanno scelte diverse da quella del matrimonio possono essere garantite attraverso lo strumento del diritto privato: a queste posizioni ci auguriamo il Governo sia fedele, pena una pesante spaccatura, non solo in Parlamento, ma nell'intero paese.
La vera discriminazione oggi in atto in Italia non è nei confronti delle unioni di fatto, ma nei confronti di milioni di famiglie, che sono la vera ricchezza di questo paese, come ha detto il Presidente Napoletano, e che da decenni aspettano che sia riconosciuto non solo il loro valore sociale, ma anche quello economico, educativo e procreativo.
Neanche il Presidente Prodi lo ha fatto, quando, nel suo discorso, ha detto di ritenere che la famiglia debba essere al centro dell'azione del Governo solo e quando si tratta della sfera sociale. La famiglia deve essere al centro dell'azione del Governo anche quando si parla di economia. La famiglia, infatti, è un soggetto economico, all'interno del quale maturano le più importanti decisioni in termini di risparmio, di consumo e di investimenti. Quando si parla di formazione e di educazione, va considerato che la famiglia è la prima responsabile dell'educazione dei propri figli.
A proposito, a quando il riconoscimento della libertà di scelta educativa delle famiglie?
Bisogna parlare di famiglia anche quando si parla di fisco - la famiglia ha diritto al riconoscimento concreto dei carichi familiari e deve pagare le tasse in funzione della sua reale capacità contributiva, che si riduce notevolmente con l'arrivo di un figlio -, quando si parla di lavoro - i tempi del lavoro e i tempi della famiglia vanno affrontati anche in sede di contrattazione nazionale -, quando si parla di servizi alle persone, che vanno sempre rapportati alle loro famiglie, dal momento che il vero welfare operante in Italia è costituito da loro. È opportuno, inoltre, ricordare che le famiglie italiane sono ancora oggi un potente ammortizzatore sociale e sono la spina dorsale, ed anche produttiva, che ha consentito di realizzare modelli di aziende a carattere familiare che tutto il mondo ammira.
Tutto ciò non viene riconosciuto, dal momento che nel discorso del Presidente Prodi non se ne trova traccia. Ed è grave, poiché i paesi d'oltralpe stanno realizzando politiche familiari di ben altro respiro e di ben altro calibro.
Un'ultima notazione importante riguarda le proposte per riconoscere il valore sociale della maternità e della paternità. Com'è noto, la Casa delle libertà aveva incluso nel suo programma di Governo il quoziente familiare o, in ogni caso, provvedimenti che garantissero l'equità orizzontale alle famiglie con figli, come da anni è richiesto dal Forum delle associazioni familiari. Ebbene, nel programma di questo Governo si vogliono dotare di un reddito fino al diciottesimo anno di età i bambini che nascono, senza
considerare che la sussidiarietà suggerisce di lasciare i soldi alle famiglie, attraverso consistenti deduzioni, e non di toglierli per poi restituirli mediante sussidi più o meno sostanziosi, e comunque legati sempre a redditi molto bassi. Questa non è una politica di promozione della famiglia, ma una politica assistenziale, che ci vede contrari.
Concludo, dando appuntamento alla discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria, vero banco di prova dei criteri ispiratori e della volontà di questo Governo di promuovere la famiglia, nelle sue esigenze e soprattutto nei suoi diritti. L'inizio non è dei migliori. La speranza è che anche il Ministero delle politiche per la famiglia non sia solo un'operazione di facciata, ma un autentico e serio luogo di confronto in cui si riconosca che chi crea una famiglia svolge una funzione sociale, che torna a vantaggio di tutta la società, ma ne affronta da solo i costi ed i rischi.
Le famiglie, signor Presidente, non chiedono né carità né solidarietà, ma giustizia. E su questo tema non siamo disponibili a mediazioni o a sconti (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cannavò, al quale ricordo che dispone di otto minuti. Ne ha facoltà.
SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signore deputate, signori deputati, permettetemi, innanzitutto, di ringraziare il mio gruppo per avermi consentito di esprimere in quest'aula la mia posizione critica. Faccio parte, infatti, di una delle componenti di Rifondazione Comunista, Sinistra critica, che non ha mai nascosto la propria avversione ad un pieno ingresso del PRC al Governo. Questa posizione, di minoranza nel mio partito, corrisponde, tuttavia, ad un sentimento presente anche in parte del mondo della sinistra. Per questo, credo sia di qualche utilità per lei, signor Presidente, ascoltarla.
Non le sfuggirà, infatti, che la sua vittoria alle scorse elezioni è stata più il frutto di un'avversione diffusa nei confronti di cinque anni di Governo Berlusconi che il prodotto di una fiducia generalizzata verso il suo programma, una ribellione legittima, tutta politica, che affonda le radici nelle scelte devastanti di quel Governo e nel progetto politico delle destre, tutt'affatto un'anomalia di sistema, una caricatura della politica, ma portatrici di una risposta regressiva e reazionaria all'attuale crisi che vivono le società capitalistiche occidentali: una crisi di incertezza e di precarietà che è stata aggravata in questi anni, frantumando il mondo del lavoro, soffiando sulle paure, alimentando lo scontro di civiltà e, conseguentemente, aderendo al progetto della guerra globale permanente.
Tutto questo è stato rigettato, sia pure con un margine risicatissimo, il 9 e il 10 aprile. Noi tutti abbiamo concorso a questo risultato; e lo rivendichiamo come un elemento di grande qualità politica, che non nasconde le differenze esistenti tra noi, ma le rende molto più componibili.
Tuttavia, quel ristretto margine di voti carica lei e il suo Governo di una responsabilità evidente perché in quel pugno di voti c'è il segno di un paese che ha sconfitto Berlusconi ma non ancora il «berlusconismo», e che si è fatto conquistare dal sogno di un populismo liberista; c'è la prova di una insufficienza, da parte sua e della alleanza che la sostiene, a guadagnare un'egemonia culturale, politica e sociale nel paese, in quel paese ancora distante dalle sue, dalle nostre ragioni. Il motivo di questa insufficienza costituisce la causa principale delle mie riserve nei riguardi del suo Governo e del suo programma il quale, se è vero che costituisce una inversione di tendenza rispetto agli ultimi cinque anni, tuttavia non mi appare ancora in grado di operare una reale discontinuità con l'impianto di riformismo liberale, di liberismo temperato - potremmo dire - che la caratterizza. Invece, è quella discontinuità che può rappresentare
la strada per sconfiggere davvero sul campo, ed in profondità, le destre e la loro politica.
Lei ha pronunciato, in questa sede, un discorso in perfetta consonanza con il programma dell'Unione e, in quel programma, ci sono misure e provvedimenti certamente positivi, a partire dal ritiro dei nostri soldati dall'Iraq che lei ha confermato; ed è ora di definire il calendario e i tempi tecnici. Devo dire, però, che allarma il fatto che sia rivendicato all'Italia il diritto ad inviare missioni militari nel mondo nel solco di un classico atlantismo che, pure, lei tempera con una buona dose di europeismo. Le ricordo che, in tutti questi anni, si è manifestato contro la guerra senza «se» e senza «ma» e ciò ha costituito la reale novità della società italiana. Il punto è questo: negli ultimi dieci anni, il nostro paese ha visto un nuovo protagonismo delle giovani generazioni, l'attivismo di movimenti di vario tipo, da quello no global a quello della pace, dal volontariato laico e cattolico all'impegno per la laicità dello Stato e i diritti delle donne, alle grandissime manifestazioni a difesa del lavoro e dell'articolo 18. Solo che questa realtà, nel suo Governo e nel suo programma, si vede ancora a malapena. È come se questo esecutivo affermasse: torniamo a dieci anni fa e riprendiamo il lavoro dove lo abbiamo lasciato. Per non dire del grande spreco di energie prodotto da una risicata presenza femminile, per di più relegata in ruoli di secondo piano.
Invece, è stato quel sommovimento sociale e politico a permetterle di tornare a vincere, è stato quello scatto civile a consentire di contrastare con forza Berlusconi ed il suo Governo. Non è un caso che l'opposizione alle destre sia cominciata proprio nelle formidabili e drammatiche giornate di Genova del 2001, nell'immenso corteo per la pace del 2003, nelle grandi manifestazioni operaie e per il lavoro. A quei movimenti lei deve molto. Per questo, mi auguro che, al più presto, questo Parlamento voglia istituire una Commissione d'inchiesta sui fatti di Genova del 2001. Quella poliedrica e diffusa soggettività politica oggi guarda con speranza ed attesa all'opera del suo Governo. Se io esprimerò, in questa sede, un voto di fiducia, sarà non solo perché questo atto costituisce il naturale epilogo di una battaglia contro le destre, che deve essere ancora combattuta fino in fondo, ma anche per il rispetto dovuto a quelle speranze e per la necessaria verifica che dovrà essere effettuata sulle sue scelte.
Tuttavia, per operare davvero una trasformazione del paese ed uno scarto reale con il Governo degli ultimi cinque anni, lei dovrebbe realizzare una piena discontinuità con le politiche liberiste degli ultimi quindici anni e, quindi, anche con quelle che hanno caratterizzato l'azione del suo precedente Governo e la sua Presidenza della Commissione europea. Infatti, sono ormai appurate le responsabilità del suo «pacchetto Treu» dietro la crescita della precarietà, aggravata dalla legge n. 30 del 2003, le responsabilità della sua legge cosiddetta Turco-Napolitano dietro lo scandalo dei CPT e la ferita costituzionale provocata da quella guerra nei Balcani cui partecipò, da Presidente del Consiglio dei ministri, l'attuale ministro degli affari esteri. Se oggi l'Europa vive una impasse ed una crisi, lo si deve non a rigurgiti nazionalisti, quanto all'effetto di politiche di liberalizzazione e di privatizzazione come quelle auspicate dal suo commissario europeo Bolkestein, autore di una ormai famigerata direttiva. Serve, quindi, uno strappo più deciso. L'etica è importante, sì, la sobrietà anche e la lotta all'evasione fiscale è sacrosanta. Tuttavia, un Governo che davvero volesse segnare una discontinuità politica, che volesse combattere la precarietà e la disoccupazione, che volesse mettere al centro della politica la questione salariale, la convivenza civile ed il futuro delle giovani generazioni dovrebbe, con coraggio, abrogare le peggiori leggi del Governo Berlusconi: la legge n. 30 del 2003, la «Bossi-Fini», la «Moratti» e la «Fini-Giovanardi», per non tornare indietro. Dovrebbe operare una significativa redistribuzione del reddito, magari destinando alle retribuzioni quel taglio del cuneo fiscale che è
stato proposto in questa sede, anche valutando il progetto di iniziativa popolare che va sotto il nome di «nuova scala mobile». Un Governo che volesse inverare l'articolo 11 della Costituzione dovrebbe ritirarsi immediatamente dall'Iraq, ma anche dall'Afghanistan: sì, anche dall'Afghanistan, nel quale partecipiamo ad un progetto di guerra globale e dal quale il ritiro è richiesto da grande parte del movimento pacifista, come le suggerisce l'appello a firma di padre Zanotelli, Gino Strada e don Luigi Ciotti. Oltre che per il ritiro delle truppe, bisognerebbe lavorare per un processo di disarmo e smilitarizzazione del paese, a cominciare dalla riduzione delle spese militari e dall'abolizione della parata militare del 2 giugno, per trasformare la festa della Repubblica in una grande festa della pace.
Un Governo che volesse finirla con il privilegio e l'ineguaglianza, dovrebbe tassare sul serio le rendite finanziarie ed introdurre una misura come la Tobin tax; un Governo che volesse mettersi in sintonia con le nuove realtà della società civile, affronterebbe con coraggio il tema delle unioni civili e del loro riconoscimento giuridico.
L'istituzione di un Ministero delle politiche per la famiglia mi sembra guardi da tutt'altra parte, anche se il valore della «ministra» incaricata fa sperare in scelte lucide e responsabili.
Per imboccare tale strada, signor Presidente, serve maggior coraggio e determinazione, serve uno slancio, serve un'idea-forza: Berlusconi ha avuto una visione proponendo a questo paese il tema dell'arricchimento individuale e della mercificazione globale; i movimenti altermondialisti hanno elaborato, invece, una suggestione alternativa parlando di un altro mondo possibile e di un mondo che non è in vendita.
Lei, signor Presidente, mi sembra che rimanga ancora a metà del guado, privo di una suggestione che susciti entusiasmo, e ciò accade perché rimane legato ad una prospettiva fredda di modernizzazione capitalistica fondata sulla concertazione e sulla pace sociale, nell'ottica di un riformismo liberale, etico e progressista ben rappresentato dal suo ministro dell'economia e delle finanze, che ha al centro il problema della competitività e che solo da questa fa discendere le reali condizioni di vita e di lavoro. Ma quella, le ricordo, è una ricetta che, se e quando ha funzionato, ha significato la compressione di diritti e dei salari reali di milioni di lavoratori e lavoratrici, ha portato al fallimento i Governi ed ha condotto al liberismo temperato, come è accaduto con Schroder in Germania e come accade con il lento disfacimento di Blair o con la stessa parabola negativa del socialismo francese.
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere, onorevole...
SALVATORE CANNAVÒ. Concludo, dichiarando che bisognerebbe osare di più e che non vi sarà sconfitta delle destre e rinascita del paese se non vi sarà anche un'alternativa radicale. Perciò, mentre mi accingo a darle la fiducia, le annuncio che non si tratterrà di una delega in bianco e le confermo il mio pieno impegno sul versante delle lotte sociali e delle rivendicazioni popolari e dei movimenti. Un impegno condotto nella convinzione, come le hanno ricordato autorevoli associazioni, dalla CGIL all'ARCI, alla FIOM, che non esistono Governi «amici»: misureremo il suo lavoro attentamente, con la testa rivolta a quel mondo e, sia che si tratti di sostenerla, come per il ritiro dei soldati dall'Iraq, sia che si tratti di contrastarla, nel caso di una ipotetica politica dei sacrifici, noi lo faremo con quelle donne e quegli uomini. La ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Uggè, al quale ricordo che ha quattro minuti a disposizione. Prego, onorevole Uggè, ha facoltà di parlare.
PAOLO UGGÈ. Signor Presidente, il Presidente Prodi ha presentato un programma che non esito a definire generico,
lacunoso, privo di ipotesi di soluzione concrete. Perciò esprimo il mio dissenso.
Soprattutto, tale programma manca di un elemento fondamentale. Il Presidente Prodi ha parlato più volte di competitività del sistema e dell'esigenza di un suo recupero, ma ha dimenticato un elemento essenziale; ha dimenticato di parlare del trasporto e della logistica, fattore indispensabile: la logistica è la condizione che consente la consegna delle merci in tempo reale, in una economia fondata su flussi. Il fattore tempo è l'elemento indispensabile; per questo, occorre potenziare i collegamenti in Italia e con l'Europa, il trasporto combinato, le autostrade del mare. Ma il tutto deve fare parte di un disegno razionale e sistemico nel quale gli elementi citati sono essenziali.
Lei ha parlato invece genericamente di corridoi est-ovest, nord-sud, richiamandosi a progetti del centrosinistra, peraltro mai realizzati: chi li ha visti?
Ma la TAV è parte o no di quei collegamenti? Ci spieghi, ci dia una risposta chiara!
L'annuncio poi di volere realizzare le autostrade del mare, ebbene, corrisponde ad una vecchia idea; una legge del 1997 indicava tale obiettivo, poi mai realizzato se non dal Governo Berlusconi, con la legge n. 265 del 2002, attraverso un sistema che è stato definito a livello europeo un modello da copiare, da prendere come riferimento. Voi avete solo fatto annunci e, anche questa volta, lei annuncia qualcosa che è stato già varato.
Ma per affrontare lo sviluppo e la competitività, un Governo, come lei lo definisce, serio non può prescindere dalla logistica; bene ha fatto il sottosegretario de Piccoli a sottolineare l'esigenza di un piano per la logistica, ma forse era disattento perché il Governo Berlusconi, il piano per la logistica, lo ha già realizzato. Quando i leader delle realtà economiche maggiormente rappresentative nel paese hanno riconosciuto tale merito al Governo Berlusconi, dove era l'onorevole de Piccoli? Forse era disattento? Oppure non ha neppure letto che il CIPE ha approvato e finanziato il piano nazionale dei trasporti e della logistica? Altro, onorevole de Piccoli, che un elenco di opere incardinato nella legge obiettivo, come lei lo ha definito sul Corriere della sera! Piuttosto, un piano frutto di un patto condiviso, che guarda al rilancio della competitività delle imprese e dell'intero sistema economico nazionale. Così l'ha definito il presidente di Confindustria. Noi facciamo e voi continuate ad annunciare. Forse è meglio, perché quando fate le cose avete le idee confuse, come nel recente decreto-legge sull'attribuzione delle deleghe derivante dallo scorporo del Ministero dei trasporti da quello delle infrastrutture. L'unificazione aveva una logica d'insieme, ma le iniziative positive, anche da voi assunte, vengono da voi subito eliminate solo per accontentare gli appetiti di qualche vostro piccolo partito.
Avete sottratto la logistica al dicastero dei trasporti, quando logistica, trasporto, spedizioni e infrastrutture sono un insieme, ed il tutto va ricondotto ad una logica di sistema non parcellizzata, come voi invece avete fatto. Temo però che lei non abbia potuto parlare di logistica, perché ciò l'avrebbe costretta ad ammettere la necessità di proseguire l'infrastrutturazione del paese, e questo le è vietato dalle posizioni ondivaghe e contrastanti dei suoi alleati. Basta leggere i giornali di questi giorni: le dichiarazioni del ministro Di Pietro e del ministro Bianchi ne sono una riprova. Sempre per tale esigenza lei ha dovuto inserire la sottoscrizione del Protocollo trasporti della Convenzione delle Alpi. Se sarà così approvato, le merci italiane non giungeranno più in Europa. Non potremo fare nessun intervento per collegare l'economia nazionale con l'economia europea. Altro che competitività! A pagare saranno i nostri imprenditori, i lavoratori.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
PAOLO UGGÈ. Concludo. Il risultato sarà meno benessere per i cittadini italiani. In questo momento sembra che vada tutto bene. Mi ricordo un'antica pubblicità: «Falqui: basta la parola!». Oggi c'è
Prodi: basta la parola! Speriamo che le conseguenze siano diverse (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Biancofiore, alla quale ricordo che ha quattro minuti a disposizione.
MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente del Consiglio, egregi colleghi, sono rimasta molto sorpresa nell'ascoltare le sue enunciazioni al Senato, in sede di replica, circa le autonomie dinamiche e la tutela delle minoranze linguistiche. Ancora una volta, Presidente, come è stato chiaro ai cittadini dell'Alto Adige durante il faccia a faccia televisivo con il Presidente uscente, Silvio Berlusconi, emerge che lei - al di là di un'alleanza tutta basata sull'opportunismo politico con la Südtiroler Volkspartei, che è il partito egemone di tutte le autonomie italiane e minoranza strumentale che in realtà è maggioranza purtroppo in Alto Adige - non conosce affatto la realtà della regione autonoma Trentino-Alto Adige e di conseguenza delle altre autonomie. Vede, in quel faccia a faccia lei ha dimostrato di non conoscere nè le politiche dei prezzi comunitarie, né quella italiana. Prenda il caso di Bolzano, che grazie ai componenti della sua maggioranza e della Südtiroler Volkspartei, che governa in assoluto quella provincia e quella regione, di fatto colonizzandola, è la città più cara d'Italia. Vede, Presidente, proprio in quel faccia a faccia, lei dimostrò che, proprio grazie alla vostra politica, che continuerete a condurre purtroppo anche a livello centrale italiano, voi farete lievitare i prezzi e accrescerete il disastro economico già esistente in Alto Adige, dove le famiglie altoatesine sono purtroppo le più indebitate d'Italia, e questo grazie alla politica economica portata avanti dalla sua coalizione e dalla Südtiroler Volkspartei.
Vede, Presidente, lei deve sapere che quelle autonomie, che lei non conosce, sono talmente dinamiche che proprio in questi giorni potremmo dire che oltre quel dinamismo c'è soltanto il Montenegro; e non so se lei si voglia rendere artefice di questa situazione. Il mio Governo, non quello delle sinistre, conclusosi nel 2001, ha veramente assicurato il massimo della tutela delle minoranze, attuando la legge quadro sulle minoranze, introducendo la clausola dell'intesa obbligatoria per le modifiche degli statuti, facendo - e ce ne assumiamo la responsabilità - anche degli errori, che la popolazione italiana altoatesina ha respinto. Infatti abbiamo concesso, attraverso la clausola dei due terzi, che un solo partito - che è quello della minoranza, alla quale non possiamo concedere la dittatura della minoranza - possa cambiare gli statuti; ripeto, un solo partito e un solo gruppo linguistico.
Vede, signor Presidente, in Alto Adige ci sono tre gruppi linguistici e la vera minoranza - che lei lo sappia - è quella altoatesina, purtroppo: in Alto Adige - Montesquieu si rigira nella tomba - tutti i poteri sono in mano ad un solo partito.
Per quanto riguarda il suo ruolo nazionale, questione che oggi siamo chiamati ad affrontare, posso soltanto dire che, a nome della popolazione italiana altoatesina e di quelle che sono le vere minoranze delle autonomie, respingiamo al mittente la sua Presidenza, non possiamo accettarla e, con molta certezza, esprimiamo la nostra contrarietà alla fiducia al suo Governo. Posso prendere ad esempio anche parte di quella popolazione, quelle minoranze ladine e tedesche in Alto Adige che, come noi, gli italiani dell'Alto Adige, sono liberali e convinti che l'Alto Adige debba ancora appartenere allo Stato italiano. Ecco perché, anche a loro nome, esprimiamo totalmente la nostra sfiducia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Osvaldo Napoli, che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.
OSVALDO NAPOLI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziarla per avermi dato la possibilità di parlare al di fuori di quelli che erano gli interventi previsti.
Egregio Presidente Prodi, lei avrà certamente la nostra opposizione al suo Governo,
ma, mi permetta, ha già un'opposizione durissima e giudizi pesanti proprio all'interno della sua maggioranza. Vorrei leggerle cosa ha affermato, in questi giorni, in una trasmissione televisiva, il segretario dei radicali, l'onorevole Capezzone. Egli dichiara testualmente: «Un centrosinistra di incapaci e di bolliti. Penso che abbiamo un Governo che è un po' Villa Arzilla, non ce ne è uno sotto i quarant'anni. Ho l'impressione che siamo in una sorta di play station, dove si è votato da quaranta giorni, non c'è un cane che parli della situazione economica. Si è preferito fare il primo circo della Presidenza della Repubblica e poi il Governo, mentre era meglio il contrario. Morale - Capezzone afferma ancora - questo centrosinistra di incapaci e di bolliti ha già fatto recuperare a Berlusconi dieci punti in campagna elettorale ed ora altri cinque». Questo è il giudizio dell'onorevole Capezzone e mi chiedo cosa ci faccia l'onorevole Bonino, ministro di questo Governo, quando il segretario del suo partito esprime questo giudizio.
Onorevole Prodi, lei ha ricevuto i sindaci di centrosinistra prima delle elezioni, ha promesso di modificare la legge finanziaria, in relazione alle norme del patto di stabilità, eliminare il blocco delle assunzioni, eliminare i piccoli comuni dall'ultimo DPCM, sostituire il meccanismo attuale delle sanzioni, introdurre i tributi di scopo, istituire le città metropolitane, adottare misure urgenti in materia di inquinamento atmosferico, adottare misure urgenti sui problemi della casa, ripristinare il fondo sociale ai livelli del 2004. Onorevole Primo ministro, ho paura che lei abbia venduto fumo, come ha saputo vendere certamente bene l'Alfa Romeo ad una lira ai sindaci e ai presidenti dei consigli provinciali e regionali!
Ebbene, voglio ricordare che, durante il suo Governo, lei tagliò ben 40 mila miliardi agli enti locali. Lei, Presidente Prodi, pensava di portare l'Italia alla moneta unica con una manovra da 34 mila miliardi; rientrò da un viaggio in Spagna e, con un tocco di bacchetta, raddoppiò la manovra finanziaria passando da 34 mila miliardi a 68 mila miliardi. Le ricordo poi che, immediatamente dopo, il Governo istituì l'addizionale IRPEF. Mi pongo una domanda, onorevole Prodi: forse perché si trasferivano più risorse ai comuni e agli enti locali, si istituì l'addizionale IRPEF, perché voi avevate diminuito quel flusso di risorse essenziale per i comuni dal Governo alla periferia?
Mi permetta un'ultima considerazione di questi giorni, precisamente di ieri. L'esito del monitoraggio della spesa sanitaria è stato infausto. Il Governo Berlusconi ha aumentato di 2 miliardi di euro le risorse per il 2005 (89 miliardi). Ma le regioni - sono ben sedici quelle governate dal centrosinistra - hanno sforato il budget per 5,6 miliardi di euro.
L'ipotesi di commissariare la sanità regionale attraverso la figura del governatore commissario, prevista peraltro dal Governo Berlusconi, si fa dunque assai concreta. Il modo immaginato da lei e da alcuni ministri del suo Governo per reperire quei soldi è, invece, inquietante, le ipotesi sono raccapriccianti. Leggo di un ritocco - perché se lo fate voi è ritocco, se l'avessimo fatto noi sarebbe stangata - per quanto riguarda l'IRAP, di un possibile aumento dell'addizionale regionale sull'IRPEF. Si tratta di ipotesi inquietanti, come dicevo, ma non sorprendenti. Lei, onorevole Prodi, è uomo di parola: se ha promesso tasse terrà fede al suo impegno. Valuti bene il Governo e l'onnivoro Visco prima di mettere mano all'IRAP, un'imposta sub iudice dal momento che la Commissione europea ha ingiunto all'Italia di abolire quella tassa.
Sono curioso adesso di vedere come regioni, province, comuni e comunità montane, sempre con il fucile puntato contro il Governo Berlusconi accusato di ridurre le tasse centrali per scaricare il risanamento sulla finanza locale, reagiranno anche solo a queste ipotesi di intervento. Il dialogo tanto invocato dall'Unione, sul piano centrale come in periferia, non può svilupparsi se non partendo da un'operazione verità. Se, invece, Presidente, vorrete farci credere che è buono oggi quello che ieri era malvagio
all'Unione a lei rimane una sola possibilità di dialogo: mettersi davanti allo specchio (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Montani. Ne ha facoltà.
Debbo precisare che stamattina il deputato Montani da me chiamato non era presente e, secondo quanto prevede l'articolo 36, comma 2, del regolamento, ho dichiarato che avesse rinunziato a parlare. Tuttavia, vista l'importanza della discussione, la Presidenza intende concedere ugualmente, per i quattro minuti previsti, la possibilità al deputato Montani di svolgere il suo intervento.
Prego, onorevole Montani.
ENRICO MONTANI. Signor Presidente, la ringrazio della gentilezza. Il mio intervento vuole mettere l'accento su un problema molto sentito nelle regioni del nord (penso anche in quelle del sud, ma da deputato della Lega nord delle regioni del nord mi preoccupo). Si tratta della lotta alla contraffazione: è un grosso problema per le nostre piccole e medie aziende che quotidianamente devono ridurre personale, se non addirittura chiudere l'attività, perché la lotta contro le importazioni clandestine, che per il 70 per cento mi sembra arrivino dalla Cina, è diventata una battaglia che le nostre aziende non sono più in grado di combattere.
Il precedente Governo Berlusconi ha fatto qualcosa perché aveva istituito l'alto commissariato per la lotta alla contraffazione. Purtroppo, questo alto commissariato ha potuto operare solo per un anno, ma il sottosegretario Cota si era mosso bene ed aveva portato a casa ottimi risultati. Però, era solo un inizio. Come Lega nord chiediamo al Presidente del Consiglio ed al suo Governo di continuare l'opera del sottosegretario Cota e mantenere l'alto commissariato per la lotta alla contraffazione perché per noi è fondamentale salvaguardare le nostre piccole e medie aziende.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Meta, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, sono convinto che in questo ramo del Parlamento il confronto sulle dichiarazioni del Presidente Prodi consentirà a tutti noi di fare passi in avanti. Il paese ci guarda ed oggi si aspetta toni e risposte adeguate alla natura ed alla dimensione dei problemi che sono stati al centro anche di una difficile, impegnativa e straordinaria campagna elettorale.
Penso che ad una certa parte rilevante del centrodestra vada sollecitata definitivamente la disponibilità a riconoscere la legittimità del voto, mentre sono sicuro che tutto il centrosinistra - e Prodi lo ha dichiarato con grande onestà intellettuale - serenamente non si farà mai tentare da sentimenti di vendette, di rivincite o di rivalse.
Nelle dichiarazioni programmatiche viene fugato ogni dubbio e in esse, per ogni loro parte, per ogni ricetta che si propone, traspare sempre un forte moderno invito al dialogo, al confronto serio ed approfondito, al rispetto ed alla legittimazione reciproca. C'è bisogno di lasciarsi definitivamente alle spalle la campagna elettorale, che ha determinato un risultato il quale, grazie anche alla vostra non perfetta legge elettorale, ci consegna una struttura elettorale del paese che conosciamo tutti.
Il centrosinistra ha vinto le elezioni, ma non per questo sottovaluta o nasconde le ansie, le domande ed i messaggi contenuti nel voto raccolto dal centrodestra. È nostro dovere tenerne conto e nel chiarissimo discorso del Presidente del Consiglio tutto ciò traspare in maniera evidente.
Il centrodestra, sino ad oggi, sicuramente in alcune componenti non secondarie, si attarda ancora nella strada della delegittimazione dei vincitori della competizione elettorale. In un sistema bipolare ed in una moderna democrazia, a mio avviso, ciò non porta da nessuna parte.
Linee rigide, linee di pura contrapposizione preconcetta non sono un bene per il paese e a volte sottopongono anche ad una torsione preoccupante lo stesso ruolo delle istituzioni. Noi abbiamo davvero aperto il cantiere per governare l'Italia. Lo vogliamo fare con il mandato che ci deriva da 19 milioni di italiani e lo faremo aprendoci con grande disponibilità intellettuale e politica anche verso l'altra grande parte degli italiani che non ci hanno votato, perché questo fa parte, da sempre, della nostra cultura di governo.
Quindi, francamente, non si comprendono alcuni atteggiamenti di una parte del centrodestra. Solo rispettando le istituzioni, gli avversari politici e le loro espressioni di voto sarà possibile difendere e rilanciare il sistema bipolare. Questo Governo ha i numeri ed i programmi, le idee e la qualità per governare.
Il discorso del Presidente Prodi alle Camere rappresenta in sintesi non solo la traduzione fedele del programma elettorale ma anche gli umori, le nuove domande, i nuovi problemi che sono emersi in queste settimane, dalla politica internazionale ai temi dell'Europa, dall'economia al lavoro, dalla cultura ai diritti. I riferimenti metodologici per la riforma elettolare e per le riforme costituzionali interrompono quella pericolosa pratica del «fai da te», in voga soprattutto nella passata legislatura e nello scorcio ultimo di quella precedente.
Al Presidente Prodi ed al Governo, come parlamentare di Roma, voglio sottolineare l'importanza e l'urgenza della questione di Roma capitale, tema che diventa più urgente proprio alla vigilia del confronto referendario sulla riforma costituzionale che, oltre a contenere strappi e forzature di ogni genere, affronta i temi di Roma capitale del paese in modo ingiusto ed inadeguato.
Il protocollo d'intesa con le istituzioni locali deve essere tradotto in atti nei primi cento giorni del Governo. Mi riferisco ai poteri che città come Milano e Catania si sono visti riconoscere e Roma negare. Ma non vi è solo ciò. Roma in questi anni, nonostante non fosse proprio al centro delle attenzioni del Governo uscente, è cresciuta in termini materiali e culturali. Mentre l'Italia arrancava, Roma cresceva e rafforzava il suo prestigio internazionale. Non si tratta, dunque, di risposte a vertenze territoriali, ma di correggere distrazioni dello Stato centrale e del Governo nei confronti della sua capitale.
Infine, per un minuto soltanto, vorrei toccare un altro punto, che riguarda in sostanza l'ammodernamento del paese, lo sviluppo della sua economia, le risposte negate a diritti come la mobilità ed i trasporti pubblici. Si tratta di risposte che riguardano le comunicazioni e le relazioni di un paese che deve e vuole competere. Le «lavagne» delle infrastrutture, come abbiamo visto, sono rimaste negli scantinati dei programmi televisivi, come pure quella legge che non so quanti miracoli doveva compiere in Italia, la legge obiettivo di Lunardi, che alla prova dei fatti ha prodotto solo un inefficiente centralismo.
Vanno bene le risposte del Presidente Prodi sulla TAV. Servono, tuttavia, nel contempo incisività e determinazione per rilanciare in Italia, in contesti urbani e metropolitani, la cura del ferro. Quella maglia infrastrutturale rappresentata dalle nostre ferrovie deve diventare moderna, sicura ed efficiente.
Inoltre, la grande questione dell'aeroporto di Fiumicino va rinegoziata con l'Europa, superando vecchie contrapposizioni e vecchi alibi tra Milano e Malpensa. Il network dei porti, le autostrade marittime, un vero piano dei trasporti e della logistica rappresentano la risposta a quella grande esigenza di ammodernare il paese.
Dunque, una robusta cura di infrastrutture materiali ed immateriali per rilanciare l'Italia e renderla competitiva anche attraverso un programma serio e mirato di realizzazioni condivisibili e possibili, conservando e difendendo il nostro paesaggio e le nostre bellezze storiche e ambientali, così come ci ricordava nel suo bel discorso il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano!
Su tali basi intendiamo governare, senza presunzione: sappiamo di volerlo e di saperlo fare bene (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la parte antimeridiana della seduta odierna.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30.
La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 15,35.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, il deputato Pecoraro Scanio è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono quattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. Comunico che i deputati Milos Budin, Maria Letizia De Torre e Laura Froner, con lettere pervenute in data 19 maggio 2006, si sono dimessi dal gruppo parlamentare de L'Ulivo e hanno chiesto di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risultano pertanto iscritti.
PRESIDENTE. Comunico che in data 18 maggio 2006 l'assemblea dei deputati del gruppo parlamentare La Rosa nel Pugno ha eletto presidente il deputato Roberto Villetti e vicepresidente il deputato Lanfranco Turci; l'assemblea dei deputati del gruppo parlamentare Comunisti Italiani ha eletto presidente il deputato Cosimo Giuseppe Sgobio; l'assemblea dei deputati del gruppo parlamentare Democrazia Cristiana-Partito Socialista ha eletto presidente il deputato Paolo Cirino Pomicino, vicepresidenti i deputati Massimo Nardi e Lucio Barani e tesoriere il deputato Francesco De Luca, a entrambi i vicepresidenti è affidato inoltre l'esercizio dei poteri attribuiti dall'articolo 15, comma 2, del regolamento in caso di assenza o impedimento del presidente; l'assemblea dei deputati del gruppo parlamentare Popolari-Udeur ha eletto presidente il deputato Mauro Fabris; l'assemblea del gruppo parlamentare Verdi ha eletto presidente il deputato Angelo Bonelli.
Comunico che, con lettera pervenuta in data 19 maggio 2006, il vicepresidente del gruppo parlamentare Misto facente funzioni di presidente ha reso noto che il deputato Giuseppe Reina è stato nominato vicepresidente del gruppo in rappresentanza della componente politica MPA-Movimento per l'Autonomia.
Comunico, infine, che, con lettere del 19 maggio 2006, il presidente del gruppo parlamentare L'Ulivo ha reso noto che i deputati Roberto Giachetti ed Erminio Quartiani sono stati nominati segretari del gruppo e che l'esercizio dei poteri attribuiti in caso di sua assenza o impedimento, secondo quanto previsto dall'articolo 15, comma 2, del regolamento della Camera è affidato ai deputati Marina Sereni, vicepresidente vicario, Erminio Quartiani e Roberto Giachetti, segretari del gruppo medesimo.
A tutti i colleghi chiamati ad importanti incarichi formuliamo i migliori auguri di buon lavoro.
PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
È iscritta a parlare la deputata Carlucci. Ne ha facoltà.
Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di quattro minuti.
GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, questa mattina uno dei bollettini ufficiali dell'informazione della sinistra, Il Corriere della Sera, diretto da Paolo Mieli, dava notizia dello sciopero dei dipendenti del CNEL. È una notizia che desta preoccupazione, non tanto per il legittimo e sacrosanto diritto dei lavoratori del CNEL a scioperare, ma perché è evidente che lo sciopero è contro il presidente del CNEL, Antonio Marzano, la cui unica colpa è quella di essere stato al servizio del paese come ministro delle attività produttive nel Governo Berlusconi.
Non soffro di manie di persecuzione, però è molto strano che dopo 55 mesi, cioè quasi cinque anni, solo adesso gli azionisti di riferimento della sua maggioranza, e cioè CGIL, CISL e UIL, sentano la necessità di chiamare alla lotta i lavoratori: in questi cinque anni, quando a dirigere il CNEL era il capo della UIL, Larizza, dove erano i rappresentanti dei lavoratori? In quali fondamentali faccende erano occupati tanto da ignorare le rivendicazioni dei dipendenti del CNEL? Forse erano troppo impegnati a tentare di far cadere senza successo il Governo Berlusconi! È questo che lei intende per dialogo? Quale paese vuole rappresentare se non condanna immediatamente questi comportamenti?
La svolta della sinistra, e il suo modello culturale, inizia con le liste di proscrizione? E allora noi tutti dobbiamo iniziare a vergognarci del nostro passato?
A questo proposito, le segnalo - caso mai le fosse sfuggito - che lei, signor Presidente del Consiglio, è circondato da comunisti, estimatori di una ideologia aberrante che, come il nazismo, si porta sulle spalle la responsabilità di qualche milione di morti. Loro, sì, che devono vergognarsi di quello che hanno predicato, anche quelli che oggi hanno modi gentili e cortesi!
Presidente Prodi, lei dispone di una maggioranza che, per eterogeneità, è più simile al circo Barnum che al consesso di sensibilità diverse, come invece si tende a spacciarla. Ma vi è di peggio: lei è il capo di un Governo di comunisti e sindacalisti che allarga il fossato che voi avete creato nel paese, prima con la vergognosa campagna sul presunto declino dell'Italia e, poi, con il culto della disinformazione e della scientifica mistificazione che, ad esempio, riguarda anche il sud, nel quale sono stata eletta e che conosco molto bene.
Per il sud, lei consegna ad un sindacalista le chiavi della cassaforte. Il risultato sarà quello di sempre, dei comunisti e dei sindacalisti, ovvero assistenzialismo e clientela, con buona pace di progetti di rilancio e sviluppo. Penso alla Puglia che, in questi anni, ha messo in pratica, attraverso moltissime leggi finanziate dal Governo Berlusconi, proprio l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo in tanti settori dell'economia.
GIOVANNI CARBONELLA. D'accordo con i sindacati...!
GABRIELLA CARLUCCI. Per non parlare dell'IRAP e delle tasse sull'impresa. Per dirla alla romana, lei, Presidente Prodi, ha rifilato una bella «sola» alla Confindustria! Infatti, lei non solo aumenterà le tasse, ma non abolirà l'IRAP. Devo tuttavia riconoscere che lei è stato molto innovativo. Infatti, ancora prima che le aziende subiscano il danno dell'aumento delle tasse, ha già riservato loro una bella beffa, regalando il Ministero del lavoro alla FIOM. Non vorrei essere nei panni di Montezemolo, quando dovrà spiegare ai suoi quanto accaduto, quando dovrà spiegare che la legge Bassanini - volta a semplificare la burocrazia, ad accorpare i ministeri, a diminuire i costi alle imprese - è divenuta carta straccia.
Lei, Presidente Prodi, ha compiuto uno sciagurato e piccolo capolavoro che metterà nei guai le nostre imprese; infatti, ha scisso lo strumento di penetrazione sui mercati internazionali - il commercio
estero - dal Ministero delle attività produttive per affidarlo alle politiche comunitarie. Un vero colpo di genio, degno del capo di un Governo di comunisti e sindacalisti.
Leggendo i giornali in questi giorni si scopre che ognuno dei suoi ministri fa a gara per abolire qualcosa, purché sia stata realizzata dal Governo Berlusconi (dalla legge Biagi alla legge Bossi-Fini, alla riforma Moratti, alla legge sulla droga, passando naturalmente per l'abolizione della festa della Repubblica). Mi domando: avete un'idea o siete solo capaci ad abolire? A meno che il vostro concetto di unità del paese non si fondi sul dogma della malvagità di Berlusconi, allora ciò spiegherebbe tutto, compresa la vostra insipienza!
Vorrei ricordare, Presidente Prodi, le sue scellerate affermazioni sull'Iraq. A tale proposito, invece di parlare di un rientro delle nostre truppe sulla base di un piano condiviso, lei parla - essendo a capo di un paese che partecipa all'opera di pacificazione - di truppe di occupazione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GABRIELLA CARLUCCI. Ciò senza rendersi conto di stimolare un tiro al piccione nei confronti dei nostri militari.
Concludo, ricordando quanto affermato da un giornale di sinistra in ordine a quanto da lei dichiarato sulle donne. Dal modo in cui è stato formato il Governo si possono desumere tre chiari messaggi: il fatto che le donne non contano nulla come opinione pubblica e come possibili centri di competenza; escluse da tutte le cariche istituzionali, alle donne sono stati assegnati sei ministeri, di cui quattro leggerissimi, senza portafoglio, fatti di avanzi e ritagli; ciò è quasi offensivo, quasi al punto che sarebbe preferibile che rifiutassero di essere prese in giro e di essere utilizzate per una presa in giro collettiva di milioni di elettrici. Non sono parole mie, ma di Chiara Saraceno, su La Stampa di venerdì.
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Carlucci, ma deve concludere. Se lo ritiene, la Presidenza la autorizza, secondo i consueti criteri, a consegnare la restante parte del suo intervento ai fini della pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna.
GABRIELLA CARLUCCI. Va bene, signor Presidente, consegnerò la restante parte del mio intervento.
Ciò premesso, si potrebbe dire: arrangiatevi! Tuttavia, poiché io e i miei colleghi amiamo questo paese, faremo la nostra opposizione senza quartiere, fino a quando non vi manderemo a casa (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Applausi polemici di deputati dei gruppi de L'Ulivo e dei Verdi - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Zanotti. Ne ha facoltà.
KATIA ZANOTTI. Signor Presidente del Consiglio, ho apprezzato molto il suo discorso programmatico, perché indica in modo forte un progetto di cambiamento e di sviluppo della società italiana che appare alternativo a quello del centrodestra. Ciò in quanto pone al centro il valore delle persone, dei loro diritti e della coesione sociale, quali elementi fondanti della qualità civile e quali fattori di sviluppo della nostra società.
Signor Presidente, nel suo discorso programmatico c'è un'idea di futuro, un'idea di società moderna, attiva e «mobiliante» - lei ha usato anche questo termine - che trova la sua forza esattamente in quello che il berlusconismo non ha mai offerto, perché basato sull'individualismo ed il guadagno, che trova la sua forza in quel quadro di valori che offre alle persone le ragioni profonde per interessarsi le une delle altre.
Prendo a riferimento due temi che considero a questo riguardo di grande significato. Il primo è il fatto che lei ad inizio di legislatura indichi come obbligo quello di proporre interventi per affrontare la situazione insostenibile delle carceri. Tutto ciò è assolutamente di grande significato, perché pone termine ad un
opprimente silenzio su questo tema di grande civiltà, anche quello della politica, che ha stentato a prendere voce sulle condizioni di vita nelle carceri del nostro paese, che sono ormai diventate, come è noto a tutti, delle vere e proprie discariche sociali.
Vi è poi una seconda questione che io considero di grande rilevanza; essa consiste nel fatto che, fra le linee portanti del suo disegno di rinnovamento della società, è posto al centro il sostegno all'assunzione della responsabilità delle persone nella definizione del loro progetto di vita e delle loro scelte esistenziali. Dopo anni di abbandono, finalmente si torna a riprogettare iniziative ed interventi in tal senso. Leggo esattamente in questo modo l'attenzione che nel discorso programmatico lei ha riservato ai giovani, alle nuove politiche migratorie, alle politiche dei servizi a sostegno delle persone più deboli, ma anche alla genitorialità, agli interventi per le persone non autosufficienti, agli impegni per accrescere la dotazione di mezzi, risorse ed opportunità per le donne di questo paese.
Certo, il tema della redistribuzione di risorse pubbliche secondo nuove priorità, nonché il nodo veramente dirimente delle risorse aggiuntive rispetto a quelle oggi disponibili è urgente e sicuramente di non facile soluzione. È questione che evoca a me, immediatamente, ciò che da questo Governo è considerata giustamente una questione prioritaria, il sostegno alle persone non autosufficienti, che richiede infatti soluzioni inedite e coraggiose. Proprio per questo, signor Presidente, io considero questa priorità indicata nella sua relazione un fatto di grande importanza, proprio perché ritengo che l'attenzione di questo programma fornisca delle risposte a quella che rischia di essere una crisi di sfiducia nel rapporto fra i cittadini e la politica, nella misura in cui cresce in essi la percezione che i sistemi di welfare non sono in grado di proteggerli a sufficienza.
Presidente, voglio sollevare ancora un'ultima questione nel tempo che mi resta a disposizione. La voglio sollevare in modo serio, e non con i riferimenti liquidatori dell'onorevole Carlucci. La voglio sollevare in modo serio perché ritengo che questo Governo, nella sua composizione, abbia perso un'occasione per dare un segnale politico forte, di innovazione vera e sostanziale, concretamente praticata, che qui ed ora nella politica italiana si poteva esprimere, innanzitutto e soprattutto, attraverso una modificazione della rappresentanza dei sessi nella partecipazione al potere politico.
Insieme alla soddisfazione per avere fra i ministri sei donne di esperienza indubbia, competenza ed autorevolezza politica, è diffuso tra le donne, assai più di quello che arriva sotto i riflettori dei media, un sentimento di delusione, ma ancor più di critica profonda. Dal Governo dell'Unione, è inutile negarlo, ci si aspettava di più, perché il numero di donne presenti fa in questo caso qualità e sostanziale innovazione della politica, ma anche perché, dopo i devastanti cinque anni del Governo Berlusconi contro le donne e le loro libertà, ci si aspettava un segnale, anche sul piano simbolico, di forte assunzione della soggettività femminile per segnare una modifica di passo, perché dare responsabilità alle donne vuol dire attuare veramente quelle scelte che prevedono che sviluppo economico, sviluppo sociale e diritti alla libertà e alla cittadinanza procedono alla pari per sostenere l'impianto complessivo di una società moderna e pienamente democratica.
Signor Presidente, i prossimi mesi e i prossimi anni richiedono riflessioni, iniziative politiche e legislative, ma soprattutto una profonda innovazione della cultura politica; questa è davvero la cosa più complicata, perché ha a che fare con la natura complessa del potere e con i rapporti asimmetrici che donne e uomini hanno con il potere stesso (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paroli, a cui ricordo che ha quattro minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.
ADRIANO PAROLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, non è passato poi così tanto da quando la sua maggioranza, in quest'aula, qualche anno fa, le tolse la fiducia. E chi, come me, era presente allora non può non chiedersi cosa sia cambiato. Infatti, rispetto al fatto che lei abbia vinto le elezioni, il sottoscritto, insieme a tanti altri, nutre molti dubbi. Non credo che lei e la sinistra abbiate vinto le elezioni. Avete raggiunto una maggioranza parlamentare risicata, contestata, ed è stata ottenuta con una scalata, utilizzando come gradini i problemi dei nostri cittadini, i problemi del nostro paese, in alcuni casi strutturali e, in gran parte, causati dalla sinistra, dai sindacati e da lei stesso.
Avete contribuito a creare, in un passato anche recente, questi problemi che avete poi strumentalizzato in questa scalata fatta di demagogia, enfatizzando e strumentalizzando la realtà, i temi in discussione, sfruttando tutto il pessimismo di cui la vostra coalizione è capace. L'avete fatto anche nel peggiore dei modi, spaventando i cittadini, parlando di emergenza economica. Ma vede, Presidente, l'emergenza economica il nostro paese, i nostri cittadini l'hanno affrontata più volte e sempre con coraggio e capacità, dal dopoguerra in poi. Quella a cui i nostri cittadini non sono preparati è un'emergenza nei contenuti, un'emergenza nei valori. In sintesi, gli italiani non sono in grado di costruire, di lavorare, in assenza di valori. Non possono costruire senza sapere perché; quegli stessi valori, quegli stessi temi che lei, la sua coalizione, all'interno del programma avete posto nella confusione o fatto scomparire.
Parlate di lavoro, di riforma del lavoro, contraddicendovi in continuazione. Non possiamo non ricordare che anche la sua maggioranza cercò di fare la riforma del mondo del lavoro; ma quando uccisero D'Antona la sua maggioranza - con grande coraggio! - si arrese alle Brigate rosse e si fermò, fermò tutta la sua capacità riformatrice. La stessa cosa non è accaduta alla nostra maggioranza che, di fronte alla vile uccisione di Biagi, ha continuato con coraggio un'opera riformatrice, varando la legge Biagi, perfettibile certamente, ma che ha dato un grande contributo all'occupazione nel nostro paese. Ma così è su tanti altri temi.
Sulla famiglia c'è una confusione totale. Avete creato addirittura un ministero senza avere ancora deciso che cosa sia per la vostra coalizione la famiglia. Di fronte alla scuola, alcuni di voi parlano giustamente di libertà di educazione, altri contraddicono tale concetto, vedono le scuole non statali come un intruso nel sistema educativo italiano. Questo vale anche per la sussidiarietà e per tanti altri temi cari, non ai cattolici o al nostro schieramento, ma al paese, che voi negate!
Questo è, purtroppo, ciò cui ci troviamo di fronte. Per non parlare della politica estera. Ma il capolavoro della contraddizione, certamente, l'avete realizzato con l'elezione del Presidente della Repubblica. Ho continuato per sette anni a sentir dire: il metodo Ciampi ha dato i suoi frutti; dobbiamo riadottare il metodo Ciampi. In più, il Presidente del Consiglio in campagna elettorale...
PRESIDENTE. Onorevole Paroli...
ADRIANO PAROLI. ... ha continuamente ricordato un paese diviso, spaccato, dicendo: voi avete diviso il paese, io lo riunirò!
Allora, cosa è accaduto? Perché questo diktat, il nome di D'Alema, proposto dai DS, e poi l'altro nome trovato dalla coalizione, quello di Napolitano, dicendo: prendere o lasciare? Perché? Ebbene anche la realtà, in questo senso, ci viene in aiuto, perché quando la partita si fa difficile...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ADRIANO PAROLI. Sto per concludere, Presidente. Quando la partita si fa difficile - lo abbiamo visto, purtroppo, nelle tristi cronache calcistiche - si sceglie l'arbitro. Questo avete fatto.
Credo che il suo Governo riassuma tutti i limiti della sinistra italiana: capaci di
governare, ma incapaci di governare bene. Da questo punto di vista, credo che la stragrande maggioranza del paese, dopo i vostri primi passi, si auguri che duriate il meno possibile. Ma credo che questo, probabilmente, se lo auguri anche qualcuno tra voi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burgio, al quale ricordo che ha otto minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori membri del Governo, onorevoli colleghi, rappresentare implica comprendere la volontà dei rappresentati. Nel caso degli elettori dell'Unione, non è certo azzardato supporre una forte volontà di cambiamento. I nostri elettori chiedono un'inversione di tendenza rispetto ai cinque anni che ci lasciamo alle spalle. Questo è vero per tutti i terreni su cui si eserciterà l'azione del nuovo Governo, ma vale in particolare per alcune grandi questioni: il lavoro e la giustizia sociale; la politica giudiziaria e la salvaguardia delle istituzioni repubblicane; la pace.
Parlare del lavoro e dei suoi diritti significa in primo luogo parlare di precarietà. Di recente, proprio l'onorevole Damiano ha scritto che nelle aree forti del paese la quota di lavoro precario nelle nuove assunzioni, che riguardano in gran parte i nostri giovani, è pari al 70 per cento e che si registra una tendenza alla crescita della precarietà. Questo accade nelle aree più sviluppate. Se ci riferissimo alle regioni più deboli, a cominciare dal Mezzogiorno, le stime sarebbero molto più pesanti. Tale stato di cose non è frutto di un destino avverso. È il risultato di scelte che hanno sistematicamente scaricato sul lavoro le carenze e i ritardi del nostro apparato produttivo.
Da questa situazione occorre uscire rapidamente, tutelando i diritti del lavoro e generalizzando il rapporto a tempo indeterminato. Si smetta di considerare il lavoro come un problema e non come la risorsa fondamentale del paese, e si cessi con una retorica della buona flessibilità, che troppo spesso cela un'inconfessata propensione a perseverare nella precarizzazione del lavoro dipendente.
Dire giustizia sociale significa denunciare la redistribuzione selvaggia della ricchezza, attuata in questi anni a vantaggio dei grandi patrimoni e delle rendite. Non mi attarderò a citare dati ufficiali. Ne ricordo uno soltanto, particolarmente significativo: nel 2005, l'indebitamento delle famiglie italiane - una manna per gli usurai, oltre che per le banche e le finanziarie! - ha raggiunto cifre record, pari al 30 per cento del PIL, contro il 18 per cento del 1996. È una situazione insostenibile, che deve essere rapidamente superata. Per questo sono urgenti la restituzione del fiscal drag, l'attribuzione ai salari di una quota rilevante della riduzione del cuneo fiscale, l'istituzione di un meccanismo che attui un'efficace difesa del potere acquisto delle retribuzioni e la fine dello scandalo di un'evasione fiscale corrispondente ad oltre 200 miliardi di euro l'anno (e, stando alle ultime rilevazioni della Guardia di finanza, in vertiginoso aumento).
Signor Presidente del Consiglio, non si tratta solo di un'esigenza di equità. Si tratta anche dello sviluppo del nostro paese, poiché non è possibile un rilancio dell'economia se tanti lavoratori e pensionati faticano ad arrivare ai mille euro al mese. Si tratta altresì di saggezza politica. Il disagio può indurre a scelte gravi, come insegna drammaticamente la storia del Novecento. Non mancano campanelli d'allarme in questo senso. In Inghilterra, lo scorso 4 maggio, interi quartieri operai di Londra, colpiti dalla disoccupazione e da una politica di privatizzazioni e di tagli alla spesa sociale, hanno votato per il British National Party, diretto erede di una formazione neonazista. Anche nel nostro paese il fenomeno di operai e pensionati che votano a destra tende ad espandersi in misura inquietante.
Vi è poi la questione della politica giudiziaria ed istituzionale. In questi cinque anni, il paese ha assistito alla sistematica aggressione della magistratura da
parte della precedente maggioranza, culminata nel varo di leggi che hanno sancito impunità, bagatellizzazione di gravi reati societari ed impedimenti al regolare svolgimento dei processi, e di leggi che mirano al controllo politico della magistratura, che rischiano di mettere in forse la stessa funzione di garanzia della Corte costituzionale e che hanno procurato gravissimi guasti anche al tessuto morale e civile del paese, elevando a modello comportamenti antisociali improntati all'indifferenza nei confronti del bene pubblico.
Tutto questo mentre si sono promulgate norme intolleranti delle libertà civili e leggi repressive nei confronti di chi vive, suo malgrado, ai margini della società, a cominciare dai tossicodipendenti e dai migranti in cerca di occupazione. Ne fa fede la situazione delle nostre carceri che ella, signor Presidente del Consiglio, ha definito, a ragione, insostenibile. Una situazione per la quale si impongono immediati provvedimenti di clemenza che almeno riportino il totale dei detenuti ad una quantità corrispondente alla capacità ricettiva degli istituti, oggi superata di oltre 20 mila unità. Anche da questa grave condizione del sistema giudiziario occorre uscire rapidamente, adottando misure che attuino in tempi brevi l'obiettivo costituzionale della ragionevole durata dei processi, nel rigoroso rispetto del principio di eguaglianza di tutti i cittadini.
Il catalogo delle questioni impellenti sarebbe ancora lungo e imporrebbe di parlare di quella bomba ad orologeria che è la riscrittura della seconda parte della Costituzione attuata dal centrodestra. Concordo con quanti considerano il voto del referendum di giugno come il più importante di tutti, e penso sia imprudente dare per certa la prevalenza dei no. Occorre una grande mobilitazione per scongiurare il rischio di una conferma di questa pessima riforma, che spaccherebbe il paese e che farebbe del Capo del Governo il dominus incontrastato dell'intero sistema politico.
Bisognerebbe parlare anche dell'emergenza abitativa, dei problemi irrisolti del Mezzogiorno, della violenza posta in essere nei CPT, della scuola e dell'università, sulla quale si allungano minacciose ombre di disegni di privatizzazione. Mi limiterò, in chiusura, ad un altro solo tema, forse il più importante ed urgente di tutti. Faccio riferimento alla situazione in Iraq e in Afghanistan, la quale è sempre più grave.
Ogni giorno l'elenco delle vittime civili e militari di ogni parte si allunga drammaticamente. I nostri cittadini ci chiedono di porre fine, per quanto è in nostro potere, a questa situazione non più tollerabile. È necessario ritirare immediatamente le nostre truppe dall'Iraq secondo quando stabilito nel programma dell'Unione. Non parlerò della menzogna delle armi di distruzione di massa, né di Abu Ghraib e della vergogna delle torture, né di Falluja e del fosforo bianco, né del dilagare del terrorismo che la guerra avrebbe dovuto fermare; mi limito ad osservare che in Iraq è stato finalmente insediato un Governo. E, se davvero crediamo che si tratti di un governo legittimo e sovrano, dobbiamo allora riconoscere che la presenza di eserciti stranieri non è più giustificabile, ammesso che prima lo fosse, e non ha più alcuna ragion d'essere.
Anche in Afghanistan, il fallimento della strategia della NATO e degli Stati Uniti è sotto i nostri occhi. È in atto un'incalzante escalation della violenza bellica. Per contrastare le milizie talebane, i comandi militari chiedono ulteriori dispiegamenti di forze. Si tratta di una guerra in piena regola, come ha onestamente riconosciuto nei giorni scorsi anche l'ambasciatore Sergio Romano, certo non tacciabile di debolezze pacifiste.
Come ella sa, signor Presidente del Consiglio, qualche giorno fa è stato diffuso un appello che chiede il ritiro immediato dei militari italiani da tutti i teatri di guerra, nel rispetto della nostra Costituzione. A questo appello, promosso da autorevoli personalità del mondo cattolico e del volontariato, hanno subito aderito decine di associazioni, migliaia di nostri concittadini e molti parlamentari della Repubblica. A lei e al Governo da lei presieduto rivolgiamo la preghiera di ascoltare questa vibrante domanda di
pace, che dà voce ad un sentimento vivo nella grande maggioranza del nostro popolo; così come le chiediamo di adoperarsi affinché l'Italia e l'Unione europea favoriscano una giusta risoluzione del conflitto israelo-palestinese, perché sia finalmente fermata la strage degli innocenti e perché, nel rispetto della sicurezza di Israele e delle risoluzioni delle Nazioni Unite, si realizzi in tempi brevi la nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano entro i confini precedenti la guerra del 1967.
In conclusione, signor Presidente, il mondo è stanco di guerre e di violenze. L'Italia, che oggi occupa un assai poco onorevole settimo posto nella graduatoria mondiale delle spese militari, deve tornare ad essere una forza di pace e di giustizia. Questo è l'auspicio con cui oggi le auguriamo buon lavoro, consci delle grandi responsabilità che l'attendono, ma anche fiduciosi nella sua buona volontà (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Landolfi, al quale ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.
MARIO LANDOLFI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, sarebbe sin troppo facile evidenziare le macroscopiche contraddizioni del suo Governo; sarebbe addirittura un gioco da ragazzi fare una raccolta delle prime uscite pubbliche dei suoi ministri, dei suoi viceministri, dei suoi sottosegretari, per poi esibirle e sventolare, come prova e dimostrazione che il suo esecutivo non marcia con il passo di un esercito bene ordinato, ma con l'andamento caracollante e scanzonato tipico di una armata Brancaleone.
Dalla famiglia al fisco, dalle grandi opere all'energia, dalla politica internazionale alla legge Biagi - la può chiamare anche così qualche volta, Presidente, se non altro in omaggio alla comune matrice bolognese -, è tutto un sovrapporsi di posizioni contraddittorie. Siamo ad una sorta di Kamasutra programmatico, Presidente. Sarebbe facile e farebbe ridere, ma, poiché parliamo del Governo del paese, abbiamo il dovere di essere seri.
Veda, Presidente, non voglio indugiare sulla dimensione pletorica del suo Governo; se fossi stato direttore di un giornale, avrei titolato ricordando La carica dei 101, ma sono un dirigente di partito e non mi è estranea la dinamica che i partiti imprimono nel momento in cui si deve formare un Governo di coalizione.
Non sono dunque le smisurate dimensioni del suo Governo a preoccuparmi, quanto il fatto che esse sono inversamente proporzionali alle sue ambizioni. Il problema, tanto per capirci, è che questo suo Governo è frutto esclusivo di scelte partitocratiche: altro che Unione! Se non aveste aggiunto altri posti a sedere, il vostro Governo non sarebbe neanche nato! Però nasce male e, per quello che riguarda le sue responsabilità, nasce all'insegna del «vorrei ma non posso»: lei avrebbe voluto una squadra più snella, ma i partiti glielo hanno impedito; lei avrebbe voluto una donna vicepremier, ma quelle che ha nominato sono tutte senza portafoglio; lei avrebbe voluto portare la serietà al Governo, e si trova a gestire la confusione al potere; lei avrebbe voluto il «grande Ulivo» e si trova con due vicepremier, uno vicario e l'altro, evidentemente, sicario.
E pensare che, per evitare questa penosa condizione di subalternità ai partiti, lei ha voluto le primarie! Tutti noi ricordiamo la retorica dei 4 milioni di voti che l'avevano incoronata leader incontrastato della coalizione, 4 milioni di persone che sono andate a votare per lei; ebbene, il risultato è sotto gli occhi di tutti: il suo Governo non reca neppure l'ombra di una leadership riconosciuta come tale dai suoi stessi alleati. Il duello a distanza di queste ore tra Fassino e Rutelli ne è la prova. Delle due l'una, Presidente: o lei mentiva allora, sapendo di mentire, o lei è costretto a disattendere oggi quel che si era impegnato a fare ieri. In entrambi i casi, lei non ne esce bene.
Non sottovaluti con eccessivo cinismo questo dato, perché non erano pochi quanti avevano affidato in buona fede a
quell'esperimento un valore legato alla sua persona, coltivando l'illusione di un «prodismo», come un riformismo fatto a piccoli passi e senza strappi.
L'impianto selvaggiamente partitocratico del suo Governo ha disintegrato questa piccola, ma non irrilevante aspettativa di parte del suo elettorato, e oggi non vi resta che fondare il vostro equilibrio sulla gestione del potere. Ma non ci facciamo illusioni: sappiamo che siete consapevoli della vostra esiguità numerica al Senato e della vostra fragilità programmatica, e questo vi costringerà a concedere poco o nulla alle ragioni dell'opposizione. Del resto, si è visto chiaramente dal suo intervento al Senato, nel quale mi sono sforzato di trovare una sola idea nuova, una scintilla, una eresia feconda. Siamo stati invece costretti ad ascoltare una stanca e stantia elencazione di problemi; sembrava di assistere ad una noiosa appendice di campagna elettorale.
Sono alla mia quarta legislatura, Presidente, e non ho mai visto né sentito prima d'ora un Presidente del Consiglio passare tutto il suo tempo non a dire quello che vuole fare, ma a tentare di demolire ciò che chi lo ha preceduto ha fatto (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
Non è questo ciò che gli italiani si aspettano da lei; da lei non si aspettano la demagogica giaculatoria declinista, ma parole chiare, cioè parole in grado di mobilitare energie e risorse rispetto ai nodi che il Governo è chiamato a sciogliere.
Ora è lei che deve dire che cosa vuole fare rispetto a queste grandi questioni. Gli italiani vogliono sapere, ad esempio, che cosa farete sull'energia, se incentiverete le ricerche sul nucleare pulito, se realizzerete i rigassificatori, se farete partire i lavori per le centrali bloccate, come richiede l'interesse nazionale, o se continuerete a trastullarvi con la storia delle fonti alternative.
Chi prevarrà nel suo Governo, Presidente: Bersani o Pecoraro Scanio? I cittadini vogliono sapere cosa farà della TAV: se vi inchinerete alle proteste o se la realizzerete. Vorremmo sapere che cosa volete fare riguardo al fisco. Lei ha parlato di un fisco amico della famiglia. Bene, noi siamo d'accordo, perché vogliamo il quoziente familiare. Però, noi abbiamo un'idea di famiglia, che è quella fondata sul diritto naturale e quella riconosciuta dalla Costituzione. La sua qual è? Quella basata sui Pacs e sulle unioni tra omosessuali? Chi prevarrà nel suo Governo: Bonino o Mastella?
E ancora, per venire alle questioni delle quali mi sono occupato direttamente nel periodo in cui ho avuto l'onore di far parte del Governo Berlusconi, che cosa farete della RAI? Che cosa ne sarà del servizio pubblico, Presidente? Abrogherete la legge Gasparri e, con essa, la prospettiva del digitale terrestre, che non è un'ossessione italiana figlia del conflitto di interessi, ma è un grande ed ambizioso progetto europeo?
Veda, Presidente Prodi: nella striminzita parte che lei ha riservato a tale tema, non ha neppure sfiorato il cuore del problema! Lei crede che tutto si risolva con la cura dimagrante di RAI e Mediaset, perché siete ossessionati dell'interesse al conflitto, che è l'altra faccia del conflitto di interessi. Non vi rendete conto che l'avvento del digitale e la convergenza multimediale tra TV, telefono e computer ha completamente modificato il panorama dell'informazione e delle telecomunicazioni.
Proprio in questo campo, quello dell'informazione come presidio industriale, comprensivo delle oltre 600 emittenti locali, nel campo delle telecomunicazioni, nel campo delle nuove tecnologie, da ministro, ho avuto modo di vedere - e non solo di vedere - un paese che muoveva grandi passi in avanti. Cito solo un dato: nel 2001 trovammo 300 mila abbonati alla banda larga; alla fine del 2005 erano diventati 7 milioni! Certo, merito delle nostre imprese, della loro vitalità, della loro effervescenza; ma merito anche del nostro Governo, che ha saputo accompagnare uno sviluppo tumultuoso, grazie al
quale l'Italia è cresciuta in misura esponenziale rispetto a tutti gli altri partner europei.
È grazie a questa visione che abbiamo gettato le basi per ridurre il digital divide, espressione che non sta ad indicare soltanto il divario tecnologico, quanto l'assenza di pari condizioni di partenza tra cittadini. Noi abbiamo operato affinchè a tutti fosse consentito di accedere alle grandi opportunità offerte dalla rete, perché siamo consapevoli che è proprio sulla frontiera dell'innovazione tecnologica che passano, oggi, le nuove povertà, i nuovi disagi, le nuove disuguaglianze, che passano le sfide per la competitività del sistema paese.
Noi abbiamo messo in campo una nostra idea dell'Italia, che è molto diversa da quella che voi ci accreditate: un'Italia consapevole dei propri limiti, ma anche delle proprie enormi potenzialità, e perciò dinamica e desiderosa di crescere.
Ora è lei, Presidente, che deve mettere in campo una sua idea dell'Italia. Vede, come è stato scritto, la differenza tra il 1996 ed il 2006 è proprio qui: dieci anni fa, lei riuscì, non senza difficoltà e non senza sacrifici per gli italiani, a centrare l'obiettivo dell'euro. Non tutto fu fatto, e non tutto quel che fu fatto fu fatto bene, tanto è vero che ne paghiamo ancora le conseguenze; però, quella era la sua missione, tanto è vero che, poi, fu licenziato dalla sua stessa maggioranza. Oggi, nessuno sa quale sia il suo obiettivo, la sua missione. Fare le cose insieme? Può essere una buona idea per scrivere un libro a quattro mani, ma non è mai stato, non è e non sarà mai un convincente programma di Governo!
In poche parole, Presidente, lei ha deluso un po' tutti, tranne i duri e puri fautori del «poco, maledetto e subito». Quando si va al Governo come c'è andato lei, cioè più per fortuna che per valore, e quando l'opposizione è, in realtà, l'altra maggioranza, e rappresenta metà degli elettori, non si fa della fragilità una forza e non si punta tutto su un clima da campagna elettorale permanente: il gioco d'azzardo va bene nei casinò, ma non può assurgere a pratica di governo!
Lei ha deluso: non ha esibito il radicalismo ideologico di uno Zapatero, ma neppure il coraggio riformatore di un Blair. Edmondo Berselli, commentatore a lei molto vicino, ha scritto che, tra i due modelli socialisti alla guida del Governo in Spagna ed in Gran Bretagna, lei non ha tracciato una terza via, ma sta cercando una mezza via. A me, più modestamente, Presidente, sembra che lei si stia cacciando in un vicolo cieco, in una sorta di «tirare a campare» in attesa di tempi migliori. Lei ha scelto di galleggiare, nella speranza che, presto, il vento della ripresa economica le gonfi le vele.
PRESIDENTE. La invito a concludere, deputato Landolfi.
MARIO LANDOLFI. Auguri, Presidente! Si accomodi pure, ma ricordi Seneca, il quale diceva che non esiste vento a favore per chi non sa dove andare! Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente del Consiglio, essendo stato eletto in Sardegna, sarebbe mio dovere che mi soffermassi alquanto a chiedere al suo Governo l'impegno ad attuare la solenne intesa istituzionale di programma tra Stato e regione sarda sottoscritta dai precedenti Governi di centrosinistra, ma rimasta incredibilmente inattuata nel corso dei successivi Governi di centrodestra. Comunque, in questa occasione preferisco soffermarmi più diffusamente sui contenuti delle sue dichiarazioni programmatiche, di cui abbiamo apprezzato molti punti: le negative valutazioni sulla guerra in Iraq e sulla partecipazione italiana, con
l'assicurazione di un pronto ritiro delle nostre truppe; l'impegno per un lavoro più stabile; il rilancio della competitività e lo sviluppo del Mezzogiorno; la solidarietà nei confronti delle persone e delle famiglie; l'attenzione per le nuove generazioni e per un'effettiva parità di genere, che occorrerà rendere effettiva oltre le declamazioni.
Particolare favore tributiamo all'impronta etica e legalitaria che ha pervaso le sue dichiarazioni, perché coerente con la ragione sociale di Italia dei Valori. Scandali e conflitti di interesse hanno alimentato la nefasta convinzione che la politica possa essere concepita come uno strumento per ottenere privilegi ed arricchimenti. Lei lo ha denunciato con nettezza, perciò occorre da subito, con atti visibili e concludenti, ripristinare l'idea che la politica, invece, è un servizio per i cittadini, che le regole vanno sempre applicate, che il danaro pubblico va trattato con sacrosanto rispetto e che le difficili condizioni del paese impongono a tutti, compresi i partiti, un bagno di austerità, a cominciare dall'eliminazione degli sprechi e dalla drastica riduzione dei costi della politica, enormemente lievitati, nelle amministrazioni centrali non meno che in quelle territoriali e negli enti economici.
Mi sento dunque di chiederle, signor Presidente, che la scossa etica da lei annunciata si traduca anche nel disporre e coordinare da subito un efficace lavoro di ricognizione di ogni spesa pubblica inutile, eccessiva o addirittura scandalosa, riferendo al Parlamento e ponendo in essere tutti gli interventi, amministrativi o di proposizione legislativa, idonei ad ottenere quel risultato senza guardare in faccia nessuno: questo mi sembra uno degli impegni da primi cento giorni. Noi la sosterremo, signor Presidente, pronti ad assumere un'iniziativa o a collaborare ad altre analoghe, ma vigileremo affinché ciò accada.
Apprezziamo anche l'intento che sia restituita serenità alla magistratura ordinaria. È urgente ricomporre i corretti rapporti costituzionali tra poteri dello Stato e ripristinare la fiducia dei cittadini nella giustizia, dopo gli interventi degli ultimi anni pesantemente delegittimanti nei confronti della magistratura, con continue offese e con la sprezzante modifica dell'ordinamento giudiziario, ispirata dalla volontà di punire i giudici e da una concezione burocratica della funzione giudiziaria, in contrasto con l'articolo 101 della Costituzione, che vuole i giudici soggetti soltanto alla legge; così come bisogna rivedere quelle leggi che non sembrano essersi ispirate al principio di generalità (ed usiamo un eufemismo). Noi non vogliamo travolgere indiscriminatamente gli atti della precedente maggioranza; noi siamo responsabili, ma non si può pretendere da noi che conserviamo tutto quanto di sbagliato o di sconvolgente è stato fatto solo per non apparire punitivi.
Non si vuole il giustizialismo, cioè il primato dei giudici sulla politica, ma allo stesso modo respingiamo l'idea del primato della politica nel senso che chi vince le elezioni «sbanca tutto», si fa le regole a proprio piacimento e si permette anche di dire agli altri poteri dello Stato, compresi i giudici, che cosa debbono fare e, soprattutto, non fare. Vogliamo solo il rispetto dei ruoli che la Costituzione assegna a ciascun potere dello Stato, e questo è il momento dei segnali netti; il tempo della mediazione verrà dopo. Ci vuole tempo per verificare che cosa può salvarsi del nuovo ordinamento giudiziario e che cosa va eliminato perché incide sui valori costituzionali dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura.
Ciò impone che, se necessario, con decretazione d'urgenza si sospenda l'imminente entrata in vigore dei primi decreti delegati, mentre è opportuno senz'altro abrogare la disposizione dell'ordinamento giudiziario - questa già, chissà perché, vigente - che preclude ai magistrati ultrasessantaseienni la possibilità di concorrere alle cariche direttive, che sta producendo somme ingiustizie e il dannoso esodo di tanti magistrati con grande esperienza.
Si devono, poi, da subito rivedere leggi sbagliate, quali la legge n. 46 del 2006, sulla inappellabilità delle sentenze assolutorie
di primo grado, o la legge n. 251 del 2005 (meglio nota come «legge Cirielli»), che produce l'effetto di riempire le galere...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
FEDERICO PALOMBA. ... con i soliti disgraziati - mi avvio alla conclusione, signor Presidente -, attraverso il micidiale effetto più pesantemente moltiplicatore della pena per i recidivi. Tale atto di giustizia va compiuto subito, prima ancora di pensare ad un provvedimento di generalizzata clemenza.
Concludo affermando che apprezziamo il suo impegno, Presidente del Consiglio, per l'adozione di urgenti interventi normativi, strutturali e finanziari atti a rendere la giustizia più celere, poiché ciò serve soprattutto ai deboli: dimezzare la pendenza delle cause in cinque anni sarebbe un risultato strepitoso. Prendiamo positivamente atto del suo impegno, ed aspettiamo i primi segni già alla prova del prossimo disegno di legge finanziaria: il punto di aumento del budget per la giustizia.
Noi siamo pronti, Presidente Prodi, a collaborare lealmente, con determinazione, ma anche con costante vigilanza (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carta, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
GIORGIO CARTA. Signor Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, colleghi, il compito che si appresta ad affrontare questo Governo non è né semplice, né facile. Il clima politico è rovente e manca una coesione nazionale di fondo: il che rende più difficile il cammino della ripresa del paese.
Il PSDI, riorganizzandosi autonomamente e collocandosi, all'interno del sistema bipolare, nella sua tradizionale posizione di partito della sinistra moderata, all'interno del centrosinistra, ha chiesto di contribuire alla formazione di un programma e di un progetto alternativi al centrodestra precedentemente alla guida del paese. I vertici dell'Unione hanno avuto, a tale proposito, atteggiamenti per certi versi sconcertanti: da un lato, vi sono state disponibilità ampie; dall'altro, sono state manifestate riserve per la nostra partecipazione alle riunioni della coalizione, per presunti veti attribuiti a diverse forze politiche.
Le pubbliche dichiarazioni fatte, al nostro congresso straordinario, dagli onorevoli Prodi e Fassino, in cui si affermava che il PSDI faceva parte, a tutto tondo, dell'Unione ci hanno indotto a firmare il programma, nel quale ci siamo riconosciuti, pur non avendo contribuito ad elaborarlo (e non per nostra volontà). Abbiamo, quindi, partecipato alla competizione elettorale nella coalizione di centrosinistra, e sono stato fortunosamente eletto nelle liste dell'Ulivo.
Ipotizzavamo che, dopo le elezioni, fosse finito lo stato di isolamento politico. Invece no: alla nostra richiesta di chiarimenti circa i rapporti del PSDI con l'Ulivo, le altre forze dell'Unione ed il Governo - precisando che non intendevamo restare in chiesa a dispetto dei santi -, è seguito un assordante silenzio, tranne un'interlocuzione con il leader dei DS, onorevole Fassino.
Comprendiamo, onorevole Presidente del Consiglio, che, per rispettare l'impegno programmatico del contenimento della spesa pubblica, lei abbia voluto escluderci, assieme all'MRE, dalla ristrettissima compagine ministeriale che ha varato. Tuttavia, poiché siamo adusi a non confondere gli effetti con le cause, ci permettiamo, su questo punto, di svolgere qualche ulteriore considerazione.
Abbiamo sempre pensato che il progetto per un Governo di alternanza e quello del riordino del sistema politico italiano fossero questioni distinte, seppure non indifferenti, e ciò lo pensavano anche numerosi autorevoli esponenti delle forze maggiori dell'Ulivo. Le primarie hanno fatto mutare atteggiamento ed hanno innescato un'accelerazione ad un processo di
aggregazione, facendo prefigurare imminente la creazione del partito democratico. Il cosiddetto motore riformista all'interno della coalizione si porrebbe al centro di un processo che riguarderebbe l'asse portante del Governo ed il nucleo fondante del futuro partito democratico, di modo che le azioni dell'uno sarebbero il presupposto necessario per il raggiungimento dell'altro.
Lo slogan più gettonato dell'Ulivo è stato, ed è, di voler essere progetto plurale a tutela di tutte le storie e culture. I fatti dimostrano l'esatto contrario: si prefigura un processo politico che si incardina in una specie di rinnovato compromesso storico, in chiave riformista, che unisce le forme di aggregazione per decreto. Ecco perché l'esclusione dall'esecutivo delle componenti socialdemocratica e laica risulta essere un fatto politicamente rilevante, al di là dell'apporto numerico che queste potevano offrire.
Detto questo, noi non agiremo sotto l'impulso del sentimento e, peggio ancora, del risentimento, anche se quello che più ci ferisce è il non rispetto del rapporto che dovrebbe contraddistinguere le diverse forze politiche, anche se di dimensioni notevolmente differenti.
Abbiamo sottoscritto il programma dell'Unione e, conseguentemente, sosterremo il programma di Governo. Siamo stati messi ai margini della maggioranza, ma coerentemente con i nostri principi di eticità rispetteremo il mandato elettorale senza ambiguità, dando il nostro apporto costruttivo con ampia libertà di critica nell'interesse del paese.
Signor Presidente del Consiglio, ho usato in questo mio breve intervento il plurale maiestatis non per civetteria, ma perché, anche se unica voce in questo Parlamento, rappresento quei 100 mila - anche se pochi sono sempre più di 24 mila - elettori socialdemocratici che hanno votato il centrosinistra e quelli che lo voteranno domenica alle amministrative. Essi mi vincolano ad onorare gli impegni presi con la coalizione, ma anche a far sì che il PSDI non sia in questo Parlamento politicamente afono.
PRESIDENTE. Deputato Carta, si avvii a concludere.
GIORGIO CARTA. Non ho voluto in questa occasione, signor Presidente, soffermarmi sui contenuti del programma, aderendo ad esso con un ulteriore atto di fede, anche perché ci sarà tempo - almeno lo spero - per intervenire sui singoli atti che questo Parlamento sarà chiamato ad esaminare. Grazie e buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio dei ministri, la vicenda politica che ha portato alla presentazione del suo Governo presenta molti problemi, alcuni assai seri, altri che invece rasentano il grottesco e il ridicolo. Vi è stata una lottizzazione delle massime cariche dello Stato, che, secondo l'interpretazione della maggioranza, non potevano non essere assegnate ai tre maggiori partiti della coalizione. Per quello che riguarda la Presidenza della Repubblica è avvenuto qualcosa di più e di pregio: da parte dei DS è stata affermata una pregiudiziale che, essa sì, implicava una discriminazione, come poi si è visto nella pratica. Secondo questa impostazione la scelta non poteva non cadere su un esponente politico che avesse in tasca la tessera dei DS: affermazione fatta dall'onorevole Violante per bocciare, senza alcuna esitazione e anche senza alcuna eleganza, la candidatura dell'onorevole Amato. Ma ciò non bastava: questo personaggio politico doveva esprimere la continuità con il PCI, secondo una dichiarazione di notevole importanza dell'onorevole Fassino. Si è sottolineato, in modo esplicito, che paradossalmente ormai il percorso politico-culturale dei DS procede a ritroso e che, anzi, la continuità con la tradizione comunista è un valore e la discontinuità un disvalore.
Questa rivincita esplicita del «continuismo» si è emblematicamente espressa nella preclusione alla massima carica dello
Stato nei confronti del vicepresidente del partito socialista europeo, che avrebbe dovuto rappresentare, al contrario, l'emblematico punto di approdo di tutta una evoluzione politica, se essa vi fosse stata.
Detto questo, veniamo a cose meno serie e cioè alla composizione del suo Governo. Signor Presidente del Consiglio dei ministri, le voglio ricordare che il maggior partito che compone il suo esecutivo - i DS - nel corso della sua storia precedente, quella del PCI, ha sempre gridato alla lottizzazione sulla base del manuale Cencelli quando venivano costituiti i governi democratici. Anche il PDS-DS ha ripetuto questa denuncia in occasione della formazione del governo Berlusconi nel 2001; ebbene, va detto che gli allievi hanno superato i maestri: ci avete offerto l'immagine di un autentico suk delle nomine, che venivano vendute, acquistate, restituite e scambiate sulle numerose bancarelle che esponevano merce pregiata e merce avariata nel vostro mercatino di piazza Santi Apostoli.
È evidente che non vogliamo entrare nell'intimo di questo groviglio; siccome però lei ha voluto parlare di eticità, rileviamo che nel suo dicastero sono fortissime le punte di diamante della corrente Unipol-Consorte, mentre va detto che, per contrappasso, è valso il motto che chi fra i DS ha toccato i fili dell'Unipol per contrapporsi ad essa è poi caduto sul campo. Mi riferisco, per fare degli esempi significativi, agli onorevoli Bassanini e Morando, che non sono stati chiamati nel suo dicastero dopo aver condotto sul caso Unipol una battaglia assai esplicita e netta.
In ogni caso, in nome di una lottizzazione selvaggia, fatta non per dare rappresentanza ai piccoli, ma per soddisfare la voracità dei partiti più grandi, avete compiuto un'operazione gravissima, quella che ha portato alla sostanziale liquidazione della riforma Bassanini, con lo spezzettamento irrazionale di una serie di ministeri. Avete diviso infrastrutture e trasporti, spezzettato lavoro, solidarietà sociale e famiglia, distinto istruzione, università e ricerca, sottratto lo sport ai beni culturali e gli enti locali al Ministero dell'interno. Siamo di fronte ad un pasticcio politico-amministrativo che produrrà uno scontro infinito di competenze che vi bloccherà per mesi e che vi rende anche ridicoli. Non solo siete dei lottizzatori, ma siete dei lottizzatori pasticcioni, in lotta anche con il diritto amministrativo e con la riforma che voi stessi avete fatto; inoltre, avete di fronte a voi anche un contenzioso assai complicato con il sindacato del pubblico impiego.
Veniamo, ora, al nodo politico di fondo. Il suo Governo e la formula stessa del centrosinistra si fondano sull'alleanza dell'establishment finanziario editoriale del nostro paese con la sinistra postcomunista, con la CGIL e con la sinistra estrema. È un'alleanza anomala e perversa, destinata a produrre coerentemente effetti negativi sia nella politica economica sia nella politica estera. È un'alleanza che dovrà destinare quote crescenti di spesa pubblica sia alle grandi imprese, che non sanno dove sta di casa la concorrenza, sia alle richieste assai esose della CGIL. L'alleanza con la CGIL e con la sinistra estrema vi impedisce di toccare la spesa. Anzi, già leggiamo che il ministro Damiano mette in discussione la riforma delle pensioni. L'unica conseguenza sarà non la retorica lotta all'evasione fiscale, ma un aumento secco e forte della pressione fiscale, di cui l'onorevole Visco è certamente un concreto realizzatore.
Sempre in nome di questa alleanza perversa ed innaturale tra grandi gruppi e CGIL, voi siete il Governo contrapposto ai piccoli, ai piccoli imprenditori, agli artigiani, ai commercianti, ai professionisti, contro il nord-ovest ed il nord-est e il sud più dinamico. Il successo elettorale di Berlusconi deriva anche dal fatto che tutte queste aree e ceti sociali hanno capito benissimo il pericolo che corrono. Il suo, in effetti, onorevole Prodi, è il Governo della controriforma, il Governo che cercherà di smantellare la cosiddetta legge Biagi, la legge di riforma costituzionale, la legge sulle pensioni, la legge sulla scuola, la cosiddetta legge Bossi-Fini, cosa quest'ultima che ci farà diventare il ventre molle dell'Europa.
È evidente che la nostra è una linea di opposizione certamente propositiva, da partito di Governo, ma anche netta e globale.
Concludendo, vorrei svolgere due osservazioni. Una riguarda i servizi segreti. Visto che si parla di nuovo di riforma dei servizi, ribadiamo adesso ciò che abbiamo già detto con il precedente Governo. Siamo disponibili a ragionare con tutti i necessari contrappesi di garanzie funzionali, ma siamo totalmente contrari all'istituzione di un servizio unico. Lo siamo stati ai tempi del Governo Berlusconi; ovviamente, lo siamo anche adesso. Di tutto ha bisogno questo paese, tranne che di una simile concentrazione di potere in un settore così delicato.
Signor Presidente del Consiglio, basta guardare la composizione del suo dicastero e le scelte programmatiche che dovrà compiere, per sapere che ella si troverà di fronte ad una serie di difficili alternative; per fare qualche esempio, dovrà scegliere tra le posizioni del ministro Padoa Schioppa e quelle del ministro Ferrero, tra quelle di Di Pietro e quelle di Bianchi, tra quelle di Fioroni e quelle di Emma Bonino. La sua - per citare il titolo di un film oggi sugli schermi - è una sorta di «missione impossibile».
Certamente, le sue capacità di incassatore, la sua forza di resistenza non vanno sottovalutate. Ricordiamo che, come una salamandra, lei è passato indenne attraverso il fuoco di molte vicende burrascose, anche attraverso tangentopoli. Allora, si salvò anche grazie all'unico intervento garantista fatto in quella vicenda dal Presidente Scalfaro, che la sottrasse alle grinfie del suo attuale ministro delle infrastrutture, l'onorevole Di Pietro.
Per parte nostra, faremo di tutto per far cadere il suo Governo, perché è un Governo privo di autorevolezza, di coerenza e di credibilità (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Del Bue, al quale ricordo che ha diciassette minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente della Camera, onorevoli colleghi, desidero, innanzitutto, ringraziare l'Ufficio di Presidenza per avere accolto la nostra richiesta di deroga relativa alla formazione di un gruppo autonomo composto dalla lista Democrazia Cristiana-Partito socialista, che si è presentata alle recenti elezioni politiche e, in base alla legge elettorale approvata, ha ottenuto una sua rappresentanza parlamentare.
Signor Presidente del Consiglio, avremmo preferito si fosse formato un Governo di ampie intese politiche dopo consultazioni che hanno diviso il corpo elettorale esattamente in due, con una Camera in bilico ed una corroborata da un premio di maggioranza conseguito per un briciolo di voti. Che poi al Senato la maggioranza sia stata raggiunta grazie al voto degli italiani all'estero, ciò non ne diminuisce il significato poiché - è giusto riconoscerlo - è stata la stessa Casa delle libertà a volere la legge che va sotto il nome del suo tenace propugnatore, Mirko Tremaglia. Né a noi pare un fatto anomalo che essa sia stata poi ulteriormente allargata con il voto dei senatori a vita. Conosciamo l'atteggiamento dei senatori a vita, generalmente favorevoli ad accordare la fiducia ai Governi, a qualsiasi Governo. Prototipo del senatore a vita consenziente è stato Gianni Agnelli, che tra il 1994 ed il 1996 votò la fiducia sia al Governo di centrodestra, sia al Governo di centrosinistra, sia al Governo né di centrodestra né di centrosinistra presieduto da Lamberto Dini, nella piena continuità dell'atteggiamento della FIAT, che nel Novecento è stata a favore dei governi liberali, dei governi fascisti, dei governi democristiani e dei governi post-democristiani: un atteggiamento filogovernativo ad oltranza, se così lo vogliamo definire.
Avremmo preferito un Governo di ampie intese, perché più consono agli interessi del paese e più in linea con il risultato elettorale. In fondo, è evidente a tutti la crisi del bipolarismo nostrano. Non parlo del bipolarismo in sé, uno schema decisamente entrato nella testa della gente anche in Italia e che è efficacemente
praticato in tutta Europa, ma di questo assurdo bipolarismo che porta a coalizioni di partiti eterogenei ma tutti indispensabili per vincere, contrariamente al contesto europeo dove si fronteggiano formazioni di ispirazione socialdemocratica e democristiana o liberale. A buona ragione l'Unione può vantare l'elaborazione del suo programma, un programma, però, frutto di infinite mediazioni, un lungo elenco di obiettivi e di promesse che dice e non dice e di fronte al quale ogni partito coalizzato continua a sottolineare la sua diversità, oggi peraltro ancora più legittimata da una legge elettorale che ha partorito parlamentari eletti da liste di partito e non già di coalizione.
È mancato quel coraggio riformista che ha portato in Germania l'ex cancelliere Schroeder, in nome degli interessi del suo paese, a preferire una maggioranza con il suo avversario elettorale Merkel, rispetto ad una maggioranza con l'estrema sinistra di La Fontaine, che non mi risulta sia stato mai comunista, ma certo massimalista sì. Sarebbe come se in Italia Romano Prodi avesse preferito formare una maggioranza con Berlusconi piuttosto che comporre una coalizione con Rifondazione ed il partito dei Comunisti italiani. In Germania lo si è fatto, in Italia no. Certo, in Italia la coalizione è stata composta prima delle elezioni. Così, oltre all'errore originario di preoccuparsi solo di vincere e non di governare, compiuto mettendo insieme riformisti, massimalisti, pezzi di Confindustria e giornali dei poteri forti, si è preferito perseverare nell'errore dopo un risultato modesto che avrebbe dovuto consigliare quanto meno una riflessione, se non una vera e propria revisione di atteggiamento.
Tuttavia, noi riteniamo legittimo il suo Governo, signor Presidente, e ci comporteremo come un'opposizione democratica e costruttiva, capace di mettere sempre in evidenza le contraddizioni politiche e programmatiche dell'esecutivo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene e di proporre soluzioni in grado di offrire sbocchi diversi al paese.
Non occorre molta fantasia per mettere in evidenza le contraddizioni del suo Governo e della sua maggioranza, signor Presidente del Consiglio. Per quanto mi riguarda, vorrei segnalarne soltanto alcune. La prima, a colpo d'occhio, riguarda i processi politici avviati dai più grandi partiti della maggioranza. DS e Margherita pensano di creare in Italia un partito democratico, un partito che non esiste in nessun'altra parte del mondo se non negli Stati Uniti, un partito che non esiste in nessun'altra nazione europea.
Sono intanto stati formati gruppi unificati alla Camera e al Senato, con presidenti unici. Mentre questo avviene nelle due Camere, nel Governo del paese si è assistito ad un revival degli interessi di cassetta dei due maggiori partiti: DS e Margherita hanno preteso una quota di ministeri per ciascuno di loro, lottizzando la compagine governativa e arrivando al punto di designare due diversi Vicepresidenti del Consiglio, uno per ognuno dei due partiti, che si ritrovano così uniti nel Parlamento e divisi nel Governo. Margherita e DS sono uniti, insomma, nella fase della discussione, ma restano divisi nella gestione del potere. Questa ci pare, francamente, una contraddizione particolarmente significativa nei rapporti tuttora presenti tra i due principali partiti della maggioranza; ostacoli e difficoltà peraltro richiamati, nei giorni scorsi, anche negli articoli di fondo dell'amico Corriere della Sera.
Una seconda contraddizione, ancora più evidente sempre sul piano politico, riguarda il rapporto tra i riformisti e i libertari della Rosa nel Pugno e l'identità comunista presente all'interno della sua maggioranza. Parlo del caso Emma Bonino, del quale tanto si è discusso nelle scorse settimane. Ho letto che l'onorevole Diliberto, segretario del partito dei Comunisti Italiani, ha affermato che la Bonino non poteva ricoprire l'incarico di ministro della difesa perché non è pacifista, cioè non si è dichiarata così espressamente contraria alla guerra in Iraq e al ritiro immediato del contingente italiano.
Conoscendo il passato di Emma Bonino, credo che, se si chiedesse a qualsiasi italiano minimamente informato di politica chi ritenga essere più pacifista, nel senso di chi ha lavorato di più per la pace, tra la Bonino e Diliberto, il risultato non sarebbe certo così favorevole al dirigente comunista.
Mi chiedo, in generale, quali siano stati i criteri di valutazione all'interno di questa maggioranza. Si è scritto che con l'elezione alla Presidenza della Camera di Fausto Bertinotti - sulla coerenza del quale nessuno credo abbia nulla da eccepire - e dopo, ancora, con l'elezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica, si è definitivamente superato il «fattore K», il «fattore communist», come scriveva alcuni anni fa il famoso giornalista e politologo Alberto Ronchey. Penso che sia certo un fatto positivo aver liberato energie discriminate in base al loro passato o alla loro identità, per rendere un significativo servizio al paese, visto che da anni ormai il comunismo è scomparso dalla faccia dell'Europa. Però, qui tira tutt'altra aria: la candidatura di Giuliano Amato alla Presidenza della Repubblica (lo ha ricordato giustamente Fabrizio Cicchitto poco fa), che avrebbe potuto contare su un ben più largo consenso di voti, non è mai stata ufficialmente avanzata; si è scritto che egli non faceva parte dell'album di famiglia, cioè non è mai stato iscritto al vecchio PCI. D'altronde, come salutare la fine del «fattore K» affidando l'incarico di sfondamento ad un candidato ex-socialista? E così pure, nella querelle Diliberto-Bonino, ha dovuto cedere non già il comunista, ma la libertaria, laica e socialista. Ci sembrano tempi un po' strani questi, signor Presidente, in cui anche la storia può essere capovolta e con essa le sue buone ragioni.
Aggiungiamo a queste due contraddizioni politiche anche qualche contraddizione di ordine programmatico. Un uomo non di centrodestra, non un vostro nemico, ma Michele Serra, ha scritto su la Repubblica: «In quindici minuti i nuovi ministri hanno abbattuto il ponte sullo stretto, rivisto la TAV, abolito la legge sull'editoria e la festa del 2 giugno».
Altro che politica del cacciavite, signor Presidente del Consiglio! Qui siamo alla politica del piccone, e non me ne voglia il Presidente Cossiga per avere richiamato lo strumento che ne ha contraddistinto l'identità durante il suo settennato.
Liberi di decretare la morte del ponte sullo Stretto, definito dal nuovo ministro dei trasporti (a proposito, che errore dividere i ministeri delle infrastrutture e dei trasporti: siamo tornati a sei anni fa!) come l'opera più inutile e dannosa negli ultimi decenni. Liberi di ravvedervi, giacché quest'opera, voluta fortemente dall'allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi ed introdotta nel programma elettorale del PSI già nel 1992, venne accolta dai Governi Prodi I, Amato e D'Alema ed è oggi inspiegabilmente ripudiata. Ripudiata, per la verità, già nel programma dell'Unione, e vedremo se il ripudio costerà, come dicono i tecnici, quasi come la realizzazione dell'intera opera. Sarebbe davvero un paradosso incomprensibile ed inaccettabile!
Ma che dire della Tav, in particolare, della ferrovia Torino-Lione, definita come opera indispensabile e strategica dalla Comunità europea ed inspiegabilmente contestata da alcuni partiti di Governo, incapaci di non respirare a pieni polmoni l'aria dei sit-in e delle manifestazioni di piazza, nella più coerente tradizione antiriformista. Chi conosce la storia sa che la caratteristica dei riformisti è quella di saper dire dei «sì», ma anche dei «no» agli umori della piazza, come fece Turati, in occasione del primo sciopero generale nel 1904, come fece Nenni nel tumultuoso 1968, come fece Craxi in occasione del referendum sulla scala mobile del 1985. Non può avere capacità di Governo chi sa dire solo e sempre «sì» alla protesta per contestare strumentalmente una scelta e per catturare qualche consenso in più. Così si può fare della buona propaganda, ma non si può governare un paese!
Tanti auguri al ministro degli esteri Massimo D'Alema, che si appresta da
neoministro a varcare l'oceano, secondo indiscrezioni della stampa, per incontrare Condoleeza Rice. Credo che voglia rassicurare il più importante alleato in ordine al fatto che il rientro del contingente italiano dall'Iraq - che, come dice Prodi nelle sue dichiarazioni programmatiche, non è più immediato (e mi rivolgo agli autorevoli esponenti di Rifondazione Comunista), ma sarà promosso nei tempi tecnici necessari ed attuato con la consultazione di tutte le parti interessate, garantendo condizioni di sicurezza - avverrà senza mettere in discussione l'amicizia e la collaborazione dell'Italia con gli Stati Uniti d'America.
Non ho letto, signor Presidente, la cosa che ritengo più importante, quella che avrebbe maggiormente onorato i nostri caduti, che lei giustamente richiama, e cioè che la nostra missione non era una missione di guerra, che l'Italia a questa guerra non ha direttamente partecipato, come gli Usa o la Gran Bretagna. La nostra era una missione militare di pace, delimitata dai principi stabiliti dalla comunità internazionale. Questo riconoscimento avrebbe davvero reso in una luce più chiara il sacrificio di vite di nostri connazionali, che anche noi vogliamo onorare come si meritano, come nostri figli inviati in terra straniera dal nostro paese e divenuti martiri per fini nobili e non biechi, per servire e garantire una debole, nuova democrazia aggredita dal terrorismo.
Vi attendiamo al varco anche sulla politica economica e sociale e, in particolare, sulla riforma della legge Biagi: Biagi e non legge n. 30; Biagi, come il nome di una nuova vittima del terrorismo interno che, in vita, ha coerentemente lavorato per individuare nuove frontiere, per produrre lavoro per i giovani e le donne e garanzie in un mercato in continua evoluzione. Un riformista socialista che non merita di essere sostituito con un numero!
Signor Presidente del Consiglio, il suo Governo è il più popoloso della storia della Repubblica italiana. Si compone, se sommiamo i partiti che hanno espresso parlamentari o membri dell'esecutivo, di 13 componenti politiche. Leggo da sinistra a destra, come nel calcio, le formazioni: Rifondazione Comunista, PDCI, Verdi, DS, Italia dei Valori, Rosa nel Pugno, partito dei Socialisti italiani, Repubblicani europei, Margherita, Udeur, PSDI, partito dei pensionati, Alleanza lombarda. Forse, la scelta è stata ispirata alla scaramanzia: il 13 è un numero che porta fortuna. Resta il fatto che tenerli tutti insieme sarà molto complicato e a lei spetta un duro lavoro di mediazione e anche di repressione. Del resto, lei, signor Presidente, ha invitato i suoi ministri a non parlare e ad attenersi scrupolosamente al programma concordato, ben sapendo che il debutto non era stato al riguardo particolarmente edificante.
Nella prima parte delle sue dichiarazioni programmatiche lei ha dichiarato: «Non ci sono nemici, né in quest'aula né fuori. Ci sono solo, qui e fuori, italiani che amano l'Italia come l'amiamo noi, ma che legittimamente coltivano priorità e auspicano scelte diverse dalle nostre. Non c'è un paese da pacificare.» È vero ed è giusto: condividiamo queste sue affermazioni. Per la verità, nel quinquennio passato non sono mancate da parte di alcune vostre componenti tendenze che sottolineavano il contrario, che parlavano di regime, che equiparavano il Presidente del Consiglio a una sorta di dittatore di stampo sudamericano anni Settanta, da sconfiggere anche per via giudiziaria. E i «girotondismi», i «morettismi», gli intellettualismi da salotto, i giornalisti interessati hanno al riguardo anche fatto opinione.
Credo che, innanzitutto, questo appello vada dunque rivolto a loro, che pure hanno proseliti anche in Parlamento, anche perché, vede, signor Presidente del Consiglio, vi è un vecchio proverbio cinese che afferma: è facile cavalcare la tigre, il difficile è scendere dalla tigre quando è in corsa. Dunque, non è difficile prevedere che costoro - cioè la nuova sinistra massimal-giustizialista - cominceranno a predicare anche contro di voi e, tra un po', ad accusarvi di non essere sufficientemente di sinistra, puri, incontaminati, cioè in sostanza di non fare quello che vi dicono
loro. Il vecchio Pietro Nenni diceva: c'è sempre un puro più puro che ti epura. Questa è la storia bislacca di una sinistra che non ha saputo risolvere il conflitto tra riformisti e massimalisti...
PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere!
MAURO DEL BUE. ... tanto che - ho quasi finito, Presidente - ha costretto una parte di riformisti di ispirazione liberale a rintanarsi nella Casa delle libertà.
C'è la sinistra del «no», la sinistra demolizionista, quella della ruspa e non del cacciavite, signor Presidente, che vi osserva e vi controlla. Anche noi sapremo osservare con interesse questa dialettica. Vedremo dai fatti quale visione dell'Italia prevarrà, se riuscirete - come credo sarà molto difficile - a domare le tendenze più radicali o se dovrete cedere ad esse.
Per quanto ci riguarda, sapremo sviluppare un dialogo ed un confronto interessato con tutti i riformisti di qualsiasi parte e provenienza.
Ho lasciato - e concludo - nel 1994 quest'aula, senza avere cambiato identità, partito e simbolo, senza avere rinnegato e dimenticato, ma certo consapevole che l'Italia è cambiata e che i problemi di oggi non possono essere risolti con le ricette di ieri. Ho lasciato nel 1994 le macerie del mio partito politico, con i suoi errori e con le umiliazioni e le persecuzioni di tanti che lanciavano i sassi avendo molti peccati sulla coscienza. Oggi molto è cambiato: oggi il nome di Craxi, che allora era divenuto tabù, fa comodo sia alla maggioranza che alla minoranza...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
MAURO DEL BUE. ... e, purtuttavia, ancora non si dischiude la porta della rinascita di una forza socialista socialdemocratica e riformista. Tenteremo di operare anche per questo, ben sapendo che il passato non ritorna e che un progetto politico si realizza lavorando, e sodo, per gli interessi generali del nostro paese.
Tanti auguri di buon lavoro, signor Presidente: glieli rivolgo da emiliano ad emiliano, da reggiano a reggiano. Credo, e mi permetta di sottolinearlo, che ne abbia davvero bisogno (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata De Simone. Ne ha facoltà.
Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di nove minuti.
TITTI DE SIMONE. La ringrazio, Presidente.
Signor Presidente del Consiglio, noi abbiamo molto apprezzato il suo discorso programmatico, anche per quanto riguarda la centralità dell'istruzione per il paese che il programma di Governo e lei, signor Presidente, con forza ha voluto qui sottolineare. Scuola, università e ricerca pubblica sono, infatti, per noi la chiave di un futuro diverso per il paese, sono mondi certamente complessi, che necessitano - uso sue parole - di un progetto condiviso e di lungo periodo: ed è infatti questo un concetto cardine del programma di Governo che abbiamo costruito e che è stato il frutto di un lavoro impegnativo di confronto.
Dopo gli anni della Moratti, il paese necessita di un processo di ricostruzione e di rilancio della scuola pubblica, di qualità e dell'inclusione. Ciò occorre, innanzitutto, per rompere gli elementi di classe e di divisione sociale che sono stati prodotti in questi anni e per proporre un'idea di istruzione opposta, a partire dal coinvolgimento reale della scuola, dei suoi protagonisti, dagli insegnanti agli studenti.
Il nostro programma di Governo corrisponde a questi fondamentali principi e ciò è quindi per noi un punto fermo, anzi, fermissimo.
Il mondo della scuola è una parte viva, attiva e mobilitata della società. Vi è dunque un'aspettativa preziosa, che, se rimotivata, costituisce anche una grande risorsa e che corrisponde al consenso ottenuto molto largamente dall'impianto del nostro programma sull'istruzione.
Signor Presidente, esistono problemi che occorrerà affrontare presto, al fine di bloccare i danni prodotti dalla Moratti e per cominciare ad incanalare gli obiettivi fissati dal nostro programma. Mi riferisco alla sospensione del decreto di riforma della scuola secondaria, per dare corso invece all'innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni in un biennio di istruzione. Al contempo, molte cose dovremo restituire alla scuola pubblica: tempo, tempo pieno, risorse e organici, valorizzando il ruolo degli insegnanti - che sono stati mortificati dalle politiche della riforma Moratti - e ascoltando i bisogni degli studenti. Occorrerà porre fine ad un vergognoso precariato, garantendo l'unitarietà del sistema per tutti.
Ciò vale allo stesso modo per l'università pubblica e per la ricerca, soffocate da una politica miope di tagli, di privatizzazione, di dequalificazione e di precarizzazione, di cui pagano il prezzo le nuove generazioni. Talenti, intelligenze, saperi sono un patrimonio che chiede un vero rilancio negli investimenti per il diritto allo studio e nell'organizzazione didattica. Siamo tra gli ultimi in Europa ad investire nella ricerca; dobbiamo cambiare questa situazione aprendo innanzitutto le porte dell'università pubblica ai nostri giovani ricercatori, sapendo che la ricerca ha bisogno in primo luogo di stabilità. Niente, certo, potrà essere calato dall'alto; la partecipazione è anche in questo caso una premessa di metodo sostanziale.
Signor Presidente, abbiamo imparato dalla lezione di Don Milani che la scuola della Repubblica è il primo spazio di una vera e compiuta cittadinanza. Ed è sulla cittadinanza che si concentrano oggi sfide importanti, conflitti e bisogni.
La politica, quando non è mero esercizio di conservazione del potere, non può sfuggire alle domande poste alla nostra società da parte di soggetti che ne rappresentano una necessità di ridefinizione e di estensione di diritti. Questi temi non possono essere ridotti ad uno scontro ideologico, ad una mera questione di libertà di coscienza. Trovo che la doppia morale sia un vizio della politica istituzionale, e che vi sia dell'immorale nell'uso che la destra fa della famiglia, agitandola come una clava. Occorrerebbe più rispetto per donne ed uomini in carne ed ossa, per le loro scelte, per i loro problemi.
Nella nostra società, accanto alla famiglia tradizionale, vi è una pluralità di scelte. Non possiamo far finta di niente; si tratta di un fatto di civiltà riconoscerlo giuridicamente, garantendo con le unioni civili nella sfera pubblica diritti che arricchiscono e aggiungono cittadinanza a chi non ne ha, come oggi le coppie di fatto eterosessuali ed omosessuali. Cosa toglie ciò alla famiglia tradizionale? Proprio nulla, semmai avrà liberato tutti da una discriminazione sociale e da un odioso pregiudizio.
È un discorso complesso quello sulla laicità, che va preservato da qualsiasi scontro ideologico. Ritengo che nella società le diverse culture possano incontrarsi sull'etica della responsabilità individuale e dei diritti fondamentali della persona, che occorre porre al centro della politica.
Dunque, si approvi presto una legge sulle unioni civili, in ordine alla quale ci siamo impegnati nel programma. Da parte nostra, signor Presidente, forniremo tutto il contributo possibile per giungere presto ad una proposta governativa. Sono sicura che, insieme alle donne di questa maggioranza, potremo costruire un contributo forte sul tema della cittadinanza; condivido inoltre profondamente i discorsi aperti in questi giorni, anche sulla necessità di rivedere una legge contro la libertà femminile come quella sulla fecondazione assistita.
Nella società le donne sono già un soggetto della trasformazione, ma la politica non le ama. Noi qui abbiamo probabilmente anche una responsabilità in più nel rapporto con la società femminile, a cui in questi cinque anni dovremo dare un segnale forte, risposte concrete, a partire dal tema della rappresentanza di genere. Alla partenza potevamo fare decisamente meglio; dovremo recuperare molto bene ed è anche per tutto ciò che questo Governo ha la mia fiducia più autentica (Applausi
dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Lupi e Raiti, iscritti a parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.
È iscritta a parlare la deputata Siliquini. Ne ha facoltà.
MARIA GRAZIA SILIQUINI. Grazie, signor Presidente, ma preferirei essere chiamata deputato. Non sono graditi questi nomi declinati al femminile: siamo il senatore o il deputato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
MARIA GRAZIA SILIQUINI. Signor Presidente del Consiglio, ministri, onorevoli colleghi, sui temi della scuola, dell'università e delle libere professioni, di cui ho avuto l'onore di occuparmi nel Governo Berlusconi come sottosegretario al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, non ho rilevato le linee programmatiche chiare che mi sarei aspettata dal suo intervento, anzi, ella ha detto poche parole sommarie e peraltro superficiali. Tutto ciò non può stupire, perché del resto in questi cinque anni di governo, con buona pace della collega De Simone, le riforme strutturali sono state realizzate dal Governo di centrodestra.
Vorrei ricordare ciò che lei sembra dimenticare. Innanzitutto, abbiamo aumentato la spesa per la scuola statale, che in cinque anni - si tratta ovviamente di dati ufficiali - è passata dai 35 miliardi che spendevate voi nel 2001 ai 46 miliardi che abbiamo speso noi nel 2005, con un incremento notevole, pari a ben il 13 per cento in più per la scuola statale. Abbiamo introdotto l'istituto fortemente innovativo dell'alternanza scuola-lavoro, apprezzatissimo da scuole, famiglie, imprese e studenti. Oggi, gli studenti, invece di abbandonare la scuola dopo i 15 anni, possono fare degli stage presso artigiani, imprese, aziende agricole sotto la regia della scuola. Ricordo che quando voi ci avete lasciato il Governo l'abbandono era di ben 240 mila ragazzi ogni anno; noi ne abbiamo riportati 120 mila all'interno del percorso scolastico, con la riduzione dell'abbandono dal 25 al 20 per cento, vicino al tasso europeo del 18 per cento.
Presidente, lei ha detto, e la cosa mi stupisce veramente, che noi avremmo liquidato la formazione tecnica. Credo che non sia stato ben informato su questo tema e la invito ad approfondirlo, perché è vero il contrario, tanto che oggi gli istituti tecnici fanno parte dell'alveo degli otto licei che noi abbiamo istituito per andare incontro alle vocazioni degli studenti, ed esistono un liceo tecnologico ed un liceo economico che daranno forti competenze, anche di istruzione di base, che mancavano negli istituti tecnici, oltre a quelle tecnologiche ed economiche, a chi dopo i 18 anni vuole entrare nel mondo delle imprese. Ma lei ci ha detto - e questo è veramente stupefacente - che voi volete mettere ordine nella scuola. Chiedo allora quale sia il vostro ordine: è l'ordine di Diliberto, che su tutti i muri d'Italia scriveva «abroghiamo la Moratti», o è l'ordine di Rutelli, che una settimana prima del voto ha detto che si tratta di una buona riforma che non va eliminata? Quale dei due è l'ordine che vuole instaurare?
Molto più semplicemente, io le chiedo di essere coerente con se stesso, perché lei dimentica, o finge di dimenticarsi che, in qualità di Presidente della Commissione europea, ella ha approvato la riforma Moratti riconoscendo che si tratta di un'ottima riforma. Negli atti pubblici c'è scritto anche il perché: essa aveva raggiunto tutti gli obiettivi fissati dall'Unione europea. Presidente, la prego, sia coerente con se stesso: non tocchi la riforma, la migliori, ma non segua i diktat di Diliberto.
Abbiamo ereditato una università terribile, dequalificata, ingessata, autoreferenziale, nepotistica.
Abbiamo constatato, attraverso tutti gli organi di stampa, come sia finito il presidente
della Conferenza dei rettori, da voi molto sostenuto e sponsorizzato. Con la riforma del «tre più due», che abbiamo dovuto «aggiustare», sono stati frantumati tutti i percorsi universitari, con grave danno per gli studenti (chiunque abbia un figlio o un parente che segua il percorso «tre più due» sa quali danni ha subito).
Abbiamo introdotto, attraverso la cosiddetta «y», una differenziazione dei percorsi, mantenendo quelli triennali, ma sostituendo i percorsi quinquennali con un percorso organico, unitario, armonico: è il percorso di cinque anni di studio. Abbiamo riformato lo stato giuridico dei docenti sulla base della meritocrazia (voi non sapete assolutamente cosa sia) ed introdotto un concorso nazionale unico per combattere forme macroscopiche e scandalose di concorsi truccati per favorire interessi locali e nepotismi di cui la stampa ha dato ampia notizia.
Abbiamo cercato di collegare l'università al lavoro, per favorire gli sbocchi professionali (di cui vi siete dimenticati!), con il decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328: abbiamo trascorso cinque anni a modificarlo e ci auguriamo che non vogliate bloccare un provvedimento che attualmente è all'esame della Corte dei conti, perché lo attendono tutti coloro che sono interessati.
Abbiamo delineato la riforma della valutazione universitaria, che mira a razionalizzare i finanziamenti all'università che, nel vostro precedente quinquennio, avete dato a pioggia senza alcun criterio. Per quanto riguarda i finanziamenti, non dimentichiamoci che abbiamo raggiunto il più alto incremento del fondo ordinario, ossia il 7 per cento della finanziaria del 2005. Con la legge finanziaria per il 2006 sono stati destinati 25 milioni di euro per gli affitti degli studenti fuori sede (e voi parlate di internazionalizzazione!), e non c'era alcuno strumento per pagare gli affitti degli studenti fuori sede! Abbiamo defiscalizzato le spese dei privati destinate all'università e alla ricerca e, da ultimo, ma non certo ultimo per importanza...
PRESIDENTE. Onorevole Siliquini...
MARIA GRAZIA SILIQUINI. ...abbiamo previsto la possibilità di finanziare la ricerca con il 5 per mille, che è una delle perle dei provvedimenti che non vi siete mai sognati di fare quando eravate al Governo!
Ultima considerazione sulle professioni intellettuali. Andrà fatta la riforma degli ordini professionali. Siamo intervenuti sulla norma che avete approvato con la sciagurata riforma costituzionale, con riferimento alla quale anche la Corte costituzionale vi ha bocciato cinque volte, e che prevede la competenza concorrente dello Stato e delle regioni. Con la nostra riforma costituzionale (chiederemo a tutti i professionisti di esprimersi favorevolmente in occasione del referendum), abbiamo trasferito, secondo le linee della Corte costituzionale, la competenza esclusiva allo Stato.
Abbiamo approvato provvedimenti importanti. Abbiamo sostenuto i liberi professionisti. Abbiamo istituito ordini per 22 professioni sanitarie non mediche che andavano regolamentate e riconosciute per arginare un abusivismo nel campo sanitario di cui non vi siete mai occupati! Anzi, volete togliere gli ordini per creare un abusivismo diffuso! Questo è quello che avete già cercato di fare tra il 1996 ed il 2000.
So che avete illustri ministri: Bersani, D'Alema, Amato; peccato che non siano new entry. Non sono new entry loro, non sono new entry io, ahimè, veterana per essere una donna alla quarta legislatura. Ricordo tutti i tentativi che avete fatto dal 1996 al 2000 per abolire o ridurre le professioni!
Concludo avvisandovi che vigileremo nelle Assemblee e nelle Commissioni parlamentari. Non tentate di aggredire i professionisti, perché non lo permetteremo! Il mandato che abbiamo ricevuto da 2 milioni e 300 mila professionisti è fortissimo. Ricordatevelo (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Commenti di deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. L'onorevole Lupi, precedentemente dichiarato assente, ha la parola per svolgere un breve intervento, data la rilevanza dell'argomento.
Prego onorevole Lupi, ha facoltà di parlare.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, la ringrazio per la disponibilità e le chiedo scusa per la mia assenza ma stavo entrando in aula.
Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, vorrei cominciare il mio pur breve intervento citando alcune parole che lei, Presidente del Consiglio, ha pronunciato nel corso della replica al Senato. Lei ha sostenuto con forza che in entrambe le Camere avete la maggioranza e che questa maggioranza sarà compatta e coesa. La cosa non mi meraviglia. Non mi meraviglia la sua sicurezza perché, per richiamare un esempio, quando l'oste parla del proprio vino difficilmente dice che è cattivo. Peccato, signor Presidente del Consiglio, che mentre lei pronunciava queste parole davanti all'Assemblea, la sua coalizione si dimostrava tutt'altro che compatta.
Non è trascorsa neanche una settimana dal giuramento davanti al Presidente della Repubblica che la sua coalizione, in particolare addirittura i suoi ministri, hanno discusso e litigato su tutto - le farò poi alcuni esempi -, dando pareri esattamente l'uno il contrario dell'altro.
In questo breve tempo che ho a disposizione vorrei soffermarmi su due argomenti che mi sono cari: il primo è legato al tema della famiglia, il secondo a quello delle infrastrutture. Su entrambi i temi, che credo siano cari a tutti coloro che siedono in questo Parlamento, avete esattamente dato la dimostrazione di quanto ho poc'anzi affermato. Nel testo delle sue dichiarazioni programmatiche, consegnato qui alla Camera, lei ha parlato della difesa della famiglia, così come descritta nella Costituzione, cioè di quella famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Benissimo, siamo tutti d'accordo. Perché non ci dice - ovviamente non accenna minimamente a questo - cosa ne pensa quella parte della coalizione che continua invece a parlare dei Pacs, un'altra parola che lei non ha mai pronunciato nel suo discorso, tanto è vero che non avete inserito questa parola neanche nel vostro programma di 281 pagine? Pensa forse che lo stratagemma linguistico usato nel programma, dove si parla molto vagamente di unioni civili, reggerà ancora per molto?
Credo che il problema sia sostanziale e non formale. Alcuni dei suoi alleati, membri autorevoli della vostra maggioranza, hanno iniziato a parlare non della famiglia, ma delle famiglie. Su questi argomenti ad un certo punto bisogna smetterla con gli stratagemmi, per far venire a galla la verità. In quale direzione il Governo pensa di andare?
Vorrei ora soffermarmi sul tema delle infrastrutture, che ho seguito in questi anni. Su questo argomento, il suo Governo ha già sfiorato il ridicolo, perché è riuscito nell'opera - devo dirle difficilissima, signor Presidente del Consiglio - di andare contro quello che aveva fatto dieci anni fa. Le ricordo appunto che dieci anni fa fu opera del suo Governo, come conclusione della famosa riforma Bassanini, unificare in un unico dicastero le infrastrutture e i trasporti, proprio per la strategicità di questi settori e per l'unicità del programma e dell'azione del Governo, che si voleva sottolineare.
Noi, nei nostri cinque anni, abbiamo lavorato in questa direzione, usando questa unità dei due ministeri proprio per attuare il nostro programma. Ebbene, ma se era stato proprio il suo Governo, signor Presidente, a riunire questi due dicasteri, allora che fine ha fatto questa intuizione programmatica? Glielo dico io. È stata sacrificata, per cercare di accontentare tutti i «pezzettini» della sua coalizione! Il risultato...
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Lupi.
MAURIZIO ENZO LUPI. ...è che due ministri, un minuto dopo aver giurato, hanno cominciato a litigare non solo per
la distribuzione delle competenze, ma addirittura sulle opere da realizzare: ponte sullo Stretto di Messina sì, ponte sullo Stretto di Messina no; TAV sì, TAV no. E la posizione del ministro dell'ambiente è ovviamente opposta, da quel che si legge, a quella del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta.
Sono molto curioso, signor Presidente, di sapere come andrà a finire. Credo, e concludo, che in questi anni o in questi mesi avremo la necessità di confrontarci finalmente non sugli stratagemmi e sulle parole per nascondere una non unità, ma effettivamente su che cosa volete realizzare, perché questo paese possa continuare, come noi abbiamo fatto nei cinque anni precedenti, a cambiare e a guardare con positività al suo futuro (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
AURELIO SALVATORE MISITI. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, condivido i contenuti essenziali dell'esposizione del Presidente del Consiglio e ciò mi consente di intervenire soltanto al fine di sottolineare, e - per quanto mi sarà possibile - arricchire tre punti delle dichiarazioni programmatiche che questo alto consesso ha ricevuto. Essi sono: le infrastrutture, il sud e la ricerca scientifica e tecnologica.
In merito al primo punto, il breve ragionamento che lei fa, signor Presidente del Consiglio, non solo è apprezzabile per il contenuto, ma merita di essere sviluppato ed attuato in tutto il suo significato. Connettere il nostro paese al sistema delle grandi reti infrastrutturali, che nel resto d'Europa si sta realizzando, è per noi un imperativo categorico, se si vuole mantenere il passo dello sviluppo del continente, impegnato a sua volta nella competizione globale. Su questo vorrei segnalare i significativi passi avanti che l'Italia ha compiuto nell'ultimo decennio.
Per comodità, ricordo che le reti infrastrutturali, oltre a quelle informatica e di telecomunicazione, divenute ormai essenziali e indispensabili anche per il futuro sviluppo del pianeta, consentono la movimentazione di merci e di persone con quattro mezzi diversi: aereo, nave, treno e autoveicolo. È vero che durante questo secolo si avrà una profonda trasformazione dei mezzi di locomozione e, in particolare, dei motori, incentivata dalla necessità di avere bassi consumi energetici e ridottissimi prodotti inquinanti. Si avrà certamente la fine del motore a scoppio e sempre di più sarà utilizzata l'energia alternativa rispetto a quella attualmente preponderante derivata dal petrolio. Gli attuali aeroplani diverranno oggetto da museo e, per ragioni legate ai consumi energetici, la movimentazione di merci e di persone avverrà sempre di più per via aerea. Tuttavia, le infrastrutture fisiche come i porti, le ferrovie e le autostrade avranno ancora un'importanza strategica. Vi sarà sempre di più integrazione tra i quattro diversi modi di viaggiare, e quindi risulta indispensabile rinnovare il sistema delle infrastrutture di trasporto, tra cui assume particolare importanza il completamento del quadruplicamento del collegamento ferroviario, che in genere si definisce come treno ad alta velocità (TAV), tra Salerno e Palermo, che i passati Governi non hanno mai autorizzato. Solo per inciso, voglio ricordare che gli investimenti in infrastrutture, non richiedendo significative importazioni nette, incidono positivamente sulla crescita del PIL in modo rilevante.
Sul secondo punto, relativo al sud, signor Presidente del Consiglio, condivido la sua pur concisa e breve analisi e le relative conclusioni ma, nello stesso tempo, mi permetta di essere un tantino scettico sui risultati che si potranno ottenere in un quinquennio di Governo. Certo, il suo ragionamento sembra segnare una discontinuità rispetto alla retorica meridionalista del passato, che era basata sull'assistenzialismo, ma non posso non rammentare che dall'unità d'Italia in poi ogni Governo, ed anche ogni opposizione, ha
messo in agenda l'obiettivo del superamento del gap tra nord e sud, eppure la forbice si è allargata paurosamente. E tale stato di cose non può non alimentare la sfiducia dei giovani del sud verso le istituzioni. Ancora oggi, su quattro laureati, tre emigrano verso il nord e verso altri paesi; e non può essere considerata generalizzabile la pur generosa ed esemplare reazione alla illegalità dei giovani studenti della Locride, che pure rappresenta una grande novità positiva, da non strumentalizzare, però, come qualcuno incautamente tenta di fare.
Tutto questo costituisce un evidente fallimento della politica della nazione verso il sud. Oggi, lei può dire finalmente, in nome del paese, che il Mezzogiorno non costituisce più un problema da risolvere ma una reale opportunità di sviluppo per l'intera nazione. La posizione geografica lo presuppone: la ricchezza proveniente dall'Asia passa per il sud e, in particolare, per il porto di Gioia Tauro. Il Governo e il Parlamento, allora, consentano con opportuni provvedimenti legislativi di intercettare tale ricchezza e porla a base del futuro sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno.
Il terzo punto è relativo all'università e alla ricerca scientifica e tecnologica. Condivido in pieno quanto illustrato da lei, signor Presidente del Consiglio, relativamente al grande salto in avanti necessario nell'impiego di consistenti risorse economiche e finanziarie per raggiungere gli obiettivi quantitativi di alcuni paesi che sono all'avanguardia in tale settore. Ciò risulterà oltremodo utile per elevare la competitività del nostro paese. Posso assicurare tuttavia che, in base alla mia esperienza, i nostri giovani laureati, nonostante tutto, resistono ancora ai primi posti nella considerazione degli esperti internazionali. Voglio ricordare con orgoglio soltanto l'ultimo successo scientifico dei giovani scienziati romani.
PRESIDENTE. Onorevole Misiti, concluda.
AURELIO SALVATORE MISITI. Concludo, Presidente. A questo riguardo, ricordo la recente progettazione e costruzione delle apparecchiature dell'antenna, che sono state determinanti per scoprire la presenza di tracce di acqua sul pianeta Marte. Con tristezza e, perché no, anche con rammarico, ho dovuto constatare che negli altri paesi protagonisti del grande evento scientifico vi è stata una notevole, generale e quasi popolare manifestazione di gioia, mentre nel nostro paese l'episodio è passato del tutto inosservato.
Convengo, quindi, in primo luogo con il Presidente Napolitano e con lei, signor Presidente del Consiglio, che l'Italia possiede la forza economica e intellettuale per riprendere il cammino. Su questo occorre, però, l'unità del Parlamento e del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cordoni, alla quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente del Consiglio, colleghe, colleghi, enormi sono le aspettative del paese, che guarda a noi con grande attenzione e viva speranza.
Come deputati, oggi abbiamo la responsabilità di consegnare al Governo la fiducia che ci è stata accordata dagli italiani e dalle italiane, una fiducia ricostruita con fatica nelle piazze e nelle case, nel corso di una lunga e difficile campagna elettorale. Abbiamo potuto toccare con mano per mesi l'esasperazione e lo scoramento germogliati sulla consapevolezza della crisi del paese, e da lì siamo partiti per definire un progetto credibile di rilancio economico e di riequilibrio sociale.
Abbiamo chiesto ai cittadini italiani di dare fiducia ad un progetto di cambiamento profondo, in grado di segnare una discontinuità necessaria con la cultura che ha guidato le scelte di questi anni, e loro ce l'hanno data. Da qui dobbiamo partire per definire l'agenda dell'azione di Governo.
Lei, signor Presidente del Consiglio, ha dimostrato di cogliere appieno il clima di
attesa che circonda i nostri primi atti, utilizzando più volte la cifra dell'urgenza per esprimere la natura del suo approccio ai problemi dell'Italia.
È urgente la verifica degli importi reali della spesa corrente, per stroncare quella che lei chiama l'incipiente sfiducia dei mercati internazionali, ma anche per rendere conto ai cittadini della fine che hanno fatto i loro denari.
È urgente il bisogno di far ripartire l'economia del paese; non possiamo permetterci di esitare nell'imprimere al mondo produttivo quella scossa che può gettare alle nostre spalle anni di immobilismo negli investimenti, che ci sono costati quote di mercato e posti di lavoro; ma è altrettanto urgente creare le condizioni perché la ripresa non sia effimera e neppure congiunturale. Occorre raccogliere la sfida rappresentata dallo sviluppo dei settori industriali generati dalle nuove scoperte scientifiche e dalla ricerca di nuove fonti energetiche, così come occorre saper dare il giusto peso alle esigenze e ai bisogni di quelle persone in carne ed ossa che fanno ricerca o impresa innovativa.
È urgente il ripristino di un'etica condivisa, che restituisca al paese la capacità di combattere le furbizie private, su cui si è costruito in questi anni l'indebito vantaggio di pochi a danno del benessere di molti. Il patto che ci lega in un'unica comunità nazionale deve essere equo e trasparente, per ciò che chiede e per ciò che offre a ciascuno di noi. Dobbiamo impedire che le politiche di solidarietà si arenino nelle secche dell'evasione fiscale, la più indecente d'Europa.
Voglio però soffermarmi nel mio intervento soprattutto sulle urgenze che più corrispondono alla mia esperienza e ai mondi che sento di rappresentare. Penso al mondo del lavoro, a quelle lavoratrici e a quei lavoratori che hanno creduto alle nostre promesse di una più equa distribuzione della ricchezza e degli oneri sociali. A loro dobbiamo non solo la loro parte di riduzione del cuneo fiscale, ma la restituzione di quel fiscal drag dimenticato.
Dobbiamo poi mettere subito mano alla riforma degli ammortizzatori sociali, perché sarà estremamente complesso disegnare un corpo di tutele capace di rispondere in modo flessibile ai differenti bisogni di tutti i lavoratori. Non basterà decidere la cancellazione delle forme più stravaganti del lavoro precario, né incoraggiare i virtuosi processi di stabilizzazione dei contratti di lavoro; occorrerà prendere atto delle nuove esigenze di tutela imposte dalla rapidità delle trasformazioni produttive.
È urgente riaprire dunque il confronto con le parti sociali, per ricostruire le condizioni di uno sviluppo equilibrato e senza scosse, capace di premiare il lavoro qualificato e l'impresa lungimirante. Solo così potremo vedere crescere ad un tempo redditi, imprese, consumi interni ed esportazione.
Penso anche al mondo di chi non lavora più, che ha speso un'intera esistenza nel mondo del lavoro e oggi vede inesorabilmente eroso il suo potere di acquisto da un sistema di rivalutazione delle pensioni che è inadeguato.
Concludo, signor Presidente, con la questione della rappresentanza di genere, che ha riguardato il dibattito di questi giorni. C'eravamo tutti, lei in prima persona, ma anche noi, impegnati a garantire almeno un terzo di donne nei ruoli di Governo; non erano i numeri di Zapatero, né quelli cileni, ma molte donne l'avevano considerata una proporzione simbolicamente apprezzabile, soprattutto come risposta al triste spettacolo offerto dalle destre sulle quota rosa a fine legislatura.
È una constatazione triste quella di non avere raggiunto l'obiettivo. Adesso, però, voglio affrontare l'argomento e proporle, signor Presidente del Consiglio, proprio per evitare il ripetersi di atteggiamenti di quel tipo, che, oltre alla legge sulle quote rosa, il suo Consiglio dei ministri, nella prossima riunione, approvi un provvedimento che vincoli il comportamento del Governo - nelle numerose e complesse nomine alle quali dovrà provvedere
nelle prossime settimane - a fare in modo che la rappresentanza di genere sia assunta come principio.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Cordoni.
ELENA EMMA CORDONI. Più in generale, come ha detto lei stesso, Presidente Prodi, per rimotivare la società e per dare un segnale forte di cambiamento di clima sul piano etico non sono sufficienti regole e regolatori. È mia convinzione, però, che occorrano anche gli esempi: l'azione del Governo, più visibile di ogni altra, può dare al paese, in questo campo, un esempio davvero autorevole.
Noi abbiamo promesso che avremo la forza di cambiare il paese. Per farlo davvero abbiamo soprattutto bisogno di coerenza e di coraggio. Sono certa che sapremo dimostrare di averli entrambi. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Verdi).
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cordoni.
È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia, al quale ricordo che dispone di dieci minuti. Ne ha facoltà.
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghe, colleghi, non vi nascondo una certa emozione nell'intervenire per la prima volta alla Camera, dopo essere stato per dodici anni al Senato, e per avere avuto la possibilità di partecipare al dibattito in corso, cosa alla quale tenevo in maniera particolare.
Mi rivolgo a lei, signor Presidente del Consiglio, e faccio riferimento al suo reiterato invito, peraltro ripetuto più volte, a pacificare il nostro paese - sono le sue parole -, a unire, a superare le divisioni che hanno caratterizzato, e che ancora oggi caratterizzano, il dibattito politico ed il confronto tra le forze politiche, all'interno del Parlamento, e tra i partiti.
Credo che, in questo momento, vadano fatte alcune precisazioni. Mi riferisco, per un verso, alla serietà - della quale non abbiamo titolo per dubitare -, alla serietà degli intenti nel fare proposte e, per altro verso, alla buona fede che li deve necessariamente accompagnare.
Vede, signor Presidente, ho la sensazione che il suo invito abbia trovato un momento di appannamento allorquando, subito dopo la campagna elettorale, il Presidente Berlusconi propose un esame complessivo della situazione politica che si era venuta a determinare con la divisione al 50 per cento del nostro paese. Non notammo, in quella circostanza, una sufficiente attenzione, forse perché molti di coloro i quali si cimentarono in dichiarazioni abbastanza dure - direi sgarbate - per respingere la proposta non si erano realmente resi conto delle difficoltà che potevano nascere in questa maggioranza, uscita nel modo che sappiamo dalle urne, con riguardo ai singoli regolamenti delle Camere (mi riferisco, in particolare, a quello del Senato).
A questo proposito, ma quasi soltanto per una leziosa precisazione, la pregherei, signor Presidente, di riferire al ministro D'Alema, che con tanta albagia faceva mostra di conoscenza dell'aritmetica, che se è vero che 165 meno 7 fa 158, che è più di 156, è altrettanto vero che 156 più 7 senatori a vita (se si fossero astenuti) al Senato avrebbe fatto 162, che è certamente più di 158 (Commenti del deputato Carbonella)! Ma era soltanto una leziosità, che mi premeva comunque precisare per la lettura aritmetica, naturalmente non per quella politica (su di essa ci siamo già espressi in altra circostanza).
Signor Presidente del Consiglio, non può esserci un invito al dialogo che non sia anche comprovato da una linearità di intenti. Presidenza della Camera, Presidenza del Senato, Presidenza della Repubblica hanno dato dimostrazione che, quando avete i numeri - anche se stentati con riferimento al Senato - per poter fare le vostre scelte, non vi siete neanche lontanamente proposti l'obiettivo di quel dialogo e di quel confronto. Quando, invece, vi trovate in condizioni di difficoltà nel definire la composizione e la direzione
delle Commissioni parlamentari, in quel caso parlate di possibilità di dialogo, perché qui ci sorregge l'aritmetica, signor Presidente.
Al Senato le Commissioni sono quattordici; ammesso e non concesso che i sette senatori a vita volessero ripetere le loro performance, con i due di maggioranza che avete fanno nove; quattordici meno nove fa cinque - credo che questo sia assolutamente incontestabile, parlo anche per i colleghi della sinistra -, il che significa che almeno cinque Commissioni in ogni caso non potrebbero essere a voi assegnate con un rapporto equo di maggioranza. Allora, il dialogo, quando vuole esser fatto, deve esser svolto con linearità, serietà di intenti e buona fede.
Voglio insistere proprio sull'aspetto della buona fede. L'ho sentita parlare e ho letto le sue dichiarazioni al Senato - ancora una volta sembra che continui la campagna elettorale nel suo ragionamento - della nostra presenza in Iraq con riferimento ad un'azione militare bellica. Non è così, signor Presidente del Consiglio, e lei lo sa bene: noi siamo andati in Iraq dopo la chiusura dell'evento bellico per una missione di pace. Sento dire, e si legge anche nel vostro programma, di unioni civili e non si pronuncia la parola Pacs; peraltro, lo stesso ministro Bindi ha avuto occasione di precisare recentemente, in un'intervista, di che cosa stiamo parlando. Io credo che i cittadini italiani abbiano il diritto di sapere dietro l'espressione unioni civili che cosa si nasconda, perché la buona fede si accompagna alla linearità delle proprie affermazioni e anche alla capacità di rendere comprensibili queste affermazioni ai cittadini italiani che vi hanno dato il loro sostegno.
Ancora, per quello che riguarda il progetto TAV, così strategicamente importante nel nostro paese, assistiamo ad una straordinaria contrapposizione di posizioni all'interno dello stesso Governo: probabilmente, i cittadini italiani vorranno sapere qual è la posizione finale. Non basta il richiamo generico alle 281 pagine del programma; oramai bisogna andare nel dettaglio operativo della gestione quotidiana e anche della prospettazione strategica degli interventi in termini strutturali nel nostro paese. Lo stesso con riferimento - a me, peraltro, molto caro - al ponte sullo stretto di Messina. Io ho motivo di ringraziarvi.
La prossima domenica ci saranno le elezioni regionali in Sicilia, e non immaginate quanto sconcerto questo abbia provocato in quella regione, non potete neanche immaginare quale sarà l'effetto negativo di queste affermazioni, stante che per noi l'attuazione e la realizzazione del ponte sullo stretto è una scelta strategica di sviluppo che va ben oltre la Sicilia e la Calabria, ed investe l'intero sistema di trasporti del nostro paese, in collegamento con l'Europa e in attuazione del corridoio 1 Berlino-Palermo-Trapani.
Certo, la tanto decantata posizione che lei, signor Presidente del Consiglio, ha tenuto in Europa non ne avrebbe un beneficio nel momento in cui lei dovesse smentire una decisione presa dal suo Governo, poi confermata dal nostro e sostenuta nelle procedure che riguardano le scelte dell'Unione europea. Ma voglio attirare la sua attenzione su un aspetto - dopo peraltro avere letto le dichiarazioni del senatore Bassanini con riferimento all'incredibile, veramente incredibile, miscuglio di competenze, separazioni e accorpamenti che si è operato nella distribuzione delle deleghe di Governo -, cioè la non più realizzabile, dopo il vostro intervento, riforma Bassanini, la cancellazione della riforma Bassanini.
Ricordo bene il grido allo scandalo che, da parte di tanti di voi, si levò quando noi procedemmo, razionalmente, a «resuscitare» il Ministero della salute e quello delle comunicazioni, «in deroga» alla stessa riforma Bassanini. Che cosa dire, allora, di ciò che è accaduto adesso? O forse la divisione di competenze e di deleghe rispondeva a ben altro criterio che non a quello della buona e sana amministrazione, al quale dovrebbe rispondere con la sua azione, nonché come suo primo atto - e, direi, atto duraturo -, qualunque Governo?
Allora, signor Presidente del Consiglio, cosa ne è dell'invito al dialogo?
PRESIDENTE. Onorevole La Loggia, la prego di concludere.
ENRICO LA LOGGIA. Ma come è possibile immaginare - mi avvio a concludere, signor Presidente - di instaurare un dialogo concreto quando le nostre riforme più significative - dalla legge Biagi alla legge Moratti, dalla legge Gasparri alla legge obiettivo, e via di seguito -, vale a dire tutto ciò che è stato realizzato per far crescere questo paese, viene da voi messo in discussione? Allora, bisogna pacificare ed unire, ma prima di tutto occorrono serietà di intenti e buona fede.
Le ricorderò, signor Presidente del Consiglio - e su questo punto concludo il mio intervento -, come sia per noi impossibile accordarle la nostra fiducia: anzi, è esattamente il contrario. Vede, nel 1861 i siciliani furono chiamati ad esprimersi, con un «sì» o un «no», sul referendum istituzionale, e risposero con entusiasmo «sì». Tuttavia, manifestarono anche un altro «sì»: quello per ottenere l'autonomia speciale. La storia ci insegna, purtroppo, che fu necessario aspettare altri 86 anni, poiché lo Stato di allora negò tale possibilità al popolo siciliano. È scritto ne Il Gattopardo: «Quella notte fu uccisa la buona fede».
PRESIDENTE. La prego di concludere...!
ENRICO LA LOGGIA. È quello che lei sta facendo, oggi, nei confronti degli italiani: e gli italiani non lo dimenticheranno, signor Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frigato, al quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, i tempi a mia disposizione mi costringono a formulare, semplicemente, tre «telegrammi» all'indirizzo di questo Governo, che saluto con attenzione e con speranza.
Si tratta della nascita del nuovo esecutivo, che rappresenta la scelta che gli italiani hanno compiuto con il voto del 9 e 10 aprile. È il Governo che rappresenta una svolta, quella svolta di cui ha bisogno il paese sul piano etico, culturale, sociale e politico. Non a caso, signor Presidente del Consiglio, ho voluto mettere in questo ordine le mie parole: ciò perché credo anch'io, come ha voluto ricordare lei, Presidente Prodi, che si tratti essenzialmente di iniziare proprio da una svolta di natura etica.
Sottolineo positivamente la presenza, in quest'aula, sua e di numerosi componenti il Governo per seguire il dibattito sul programma che è stato presentato. Si tratta certamente di un buon inizio, di uno stile nuovo, che mi auguro continui per l'intera legislatura, al fine di realizzare un rapporto fecondo tra esecutivo e Parlamento, tra forze politiche che sostengono il Governo e forze politiche che esprimono posizioni critiche.
Troppe volte, nel corso della scorsa legislatura, il Parlamento è stato infatti sminuito nelle sue funzioni ed offeso nel suo ruolo. Dobbiamo scrivere tutti, allora, una pagina nuova nella vita parlamentare, e credo che anche il Governo debba e possa fare la propria parte.
Il secondo «telegramma» riguarda l'Europa. Nella giornata di ieri, il Presidente della Repubblica Napolitano ha voluto rendere omaggio, a vent'anni dalla scomparsa, alla figura di un grande europeista, Altiero Spinelli, il quale insieme ad Alcide De Gasperi, in forme diverse, ha contribuito a gettare le fondamenta della casa comune europea ed a costruirla.
Su questi temi, abbiamo sentito parole forti e chiare rispetto all'Europa. Si tratta di parole che abbiamo apprezzato e condiviso, poiché l'Europa rappresenta davvero il nuovo, grande orizzonte della politica in ordine alle questioni della pace, della democrazia, dello sviluppo, della sicurezza e della solidarietà. L'Italia ha bisogno di più Europa, e dobbiamo riprendere
la strada dell'apertura e dell'ascolto, della integrazione e della sintesi.
Dopo le difficoltà legate al risultato referendario di Francia e Olanda, vi è bisogno di un'iniziativa forte; fanno ben sperare le parole del primo ministro tedesco, signora Merkel, per riprendere insieme un cammino virtuoso di rafforzamento dell'Unione europea. In questa delicata fase, in questa iniziativa politica, l'Italia deve tornare ad essere in prima fila, perché come l'Italia ha bisogno di più Europa, è vero anche che l'Europa ha bisogno dell'Italia, quell'Italia positiva, aperta, trainante, ambiziosa nelle scelte di politica comunitaria.
Il terzo «telegramma» è più legato alla mia esperienza nel territorio polesano, ma non vuole essere solo lì. Vi sono problemi, signor Presidente del Consiglio - dall'energia alle infrastrutture, allo smaltimento dei rifiuti -, che sappiamo essere oggetto di grandi progetti, grandi discussioni e che producono spesso anche grandi comitati contro. In tale quadro, in molti casi, le autonomie locali subiscono scelte e decisioni nazionali e riescono, con difficoltà, a realizzare una trattativa per negoziare qualche risarcimento, ma si tratta spesso di trattative difficili, che vedono da una parte piccoli comuni e dall'altra la forza di società ormai tutte multinazionali. Il paese, a mio avviso, può chiedere ad un territorio la soluzione di un problema, ma quel territorio che si fa carico di un problema di natura nazionale ha diritto ad una attenzione in più a beneficio di quello stesso territorio, a favore di quella comunità, a sostegno di chi si è fatto carico di risolvere un problema di tutti; vi sono esempi in tal senso per quanto riguarda la produzione di energia idroelettrica e di energia eolica. Occorre una riflessione seria, anche in termini legislativi, perché questi esempi non siano isolati o lasciati al caso, ma diventino una modalità nuova di approccio ai problemi per dividere equamente i pesi e condividere insieme e meglio le opportunità.
Presidente Prodi, concludo con un augurio sincero di buono e proficuo lavoro per il bene dell'Italia, come più volte abbiamo detto in campagna elettorale (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bezzi. Ne ha facoltà.
GIACOMO BEZZI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, colleghe e colleghi, il partito autonomista trentino-tirolese ha, con gli amici dell'SVP, preso atto con grande piacere delle dichiarazioni del Presidente Romano Prodi e, in particolare, di un passaggio, che cito testualmente: «Noi abbiamo sempre lavorato per un'evoluzione dinamica delle autonomie speciali, proprio perché fa parte della nostra cultura politica, del nostro concetto di pluralismo, della nostra democrazia».
Personalmente, credo che le autonomie speciali non siano dimensioni statiche da preservare in modo acritico e rivolto solo al passato. Sono, quindi, perfettamente d'accordo sul concetto di autonomia dinamica intesa come capacità di utilizzare le particolari prerogative riconosciute alle regioni e alle province a statuto speciale, non solo per governare al meglio i rispettivi territori, ma anche come laboratori di modelli più evoluti di governo locale. In particolare, l'esperienza maturata dalle due province autonome di Trento e di Bolzano dal secondo statuto in poi, cioè dal 1972, ha evidenziato la possibilità concreta di gestire le nostre comunità in modo responsabile, oculato, aperto al mondo, ma anche attento alle peculiarità culturali e linguistiche che derivano dalla nostra storia.
Noi intendiamo proseguire su questa strada condividendo i grandi obiettivi che oggi si pone il paese, ma rivendicando sempre e comunque la nostra autonomia e, quindi, la libertà di individuare i modi e gli strumenti più idonei a perseguirla. Ed è appunto in questa libertà che si configura la nostra disponibilità a sperimentare nuovi ed originali modi di conciliare la crescita dei bisogni sociali con il calo delle risorse pubbliche, la necessità di essere competitivi con la solidarietà, il dovere primario di aprirci al mondo con la salvaguardia
delle nostre radici, la tutela dell'ambiente con l'esigenza di sviluppo. Su questo terreno il Governo ed il Parlamento troveranno in noi interlocutori responsabili, impegnati non a difendere privilegi, ma a rivendicare una specialità istituzionale che deve essere irrinunciabile strumento di autogoverno e, insieme, opportunità di crescita per l'intero paese.
A questo proposito, mi permetto di esprimere un forte rammarico per la mancata nomina di un sottosegretario alla montagna, che ha creato preoccupazione, ed invito il Presidente Prodi a ripensarci.
Chi vive in territori decentrati, ad altitudini medio-alte (ero sindaco di Ossano, un comune della Val di Sole), sa quanto sia grave il rischio dello spopolamento e dell'impoverimento delle comunità e degli ambienti montani. Uno spopolamento ed un impoverimento che comportano la perdita di una ricchezza collettiva che è parte integrante della nostra identità locale, come dello straordinario patrimonio naturalistico italiano.
Come province autonome, abbiamo compiuto in questa direzione investimenti eccezionali, con risultati sicuramente apprezzabili e confortanti. Basti considerare l'alta percentuale di popolazione che vive in quota e il costante presidio dell'habitat che questa presenza quotidianamente assicura. Un esempio tra tutti è il Parco nazionale dello Stelvio, in cui convivono, in modo esemplare, la valenza naturalistica e quella produttiva, così da non isolare il parco dalla comunità, ma da farne un fattore pregiato di sviluppo e di crescita integrata.
Vorrei toccare un'ulteriore questione, cruciale per le province autonome di Trento e di Bolzano: quella dell'energia idroelettrica. Sul territorio regionale viene prodotto quasi il 20 per cento del totale dell'energia idroelettrica prodotta a livello nazionale. Centrali di grandi dimensioni hanno inciso ferite profonde al nostro territorio ed hanno impoverito i nostri corsi d'acqua. Oltre a quanto ci è garantito dalle norme di attuazione e dalle leggi in materia, anche per questa ragione, non possiamo in alcun modo condividere le scelte del Governo Berlusconi, che hanno privilegiato gli ex monopolisti a scapito delle comunità locali. Basti pensare alle richieste di proroga delle durate delle concessioni, che esautorarono di fatto le competenze e le prerogative delle province autonome e dei loro comuni. Confido che il Governo Prodi inverta decisamente la rotta, aprendo un dialogo costruttivo in ambito comunitario e concertando le scelte conseguenti con i territori interessati.
Vorrei concludere con un augurio ed un auspicio. L'augurio è che il nuovo Governo, pur nelle difficoltà note, sappia affrontare con coraggio i grandi problemi del paese, dal disavanzo dello Stato alla riforma della pubblica amministrazione, dalla tutela dello stato sociale al rilancio della competitività economica, dall'equilibrio tra i poteri pubblici alla nostra credibilità internazionale, non cedendo ai compromessi o ai ricatti che non risolvono i problemi. Per far crescere l'Italia, ci vuole coraggio e la capacità di fare emergere non l'opportunismo, ma il senso di responsabilità e la visione di lungo periodo.
L'auspicio è che Romano Prodi, forte della sua esperienza di Presidente della Commissione europea, sappia promuovere quello spirito di cooperazione che non faccia dell'Unione europea un aggregato di interessi economico-finanziari e lobbistici, ma una comunità di ideali, di culture, di progetti realmente condivisi dai popoli e dalle regioni.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà. Ricordo all'onorevole Mascia che ha dieci minuti a disposizione.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha voluto sottoporre al Parlamento un'idea di riforma generale per una società in crisi. È l'approccio con cui abbiamo scritto il programma dell'Unione, la ragione del nostro stare insieme. È la risposta alla forte domanda di cambiamento che ci affida, ma non ci delega la responsabilità di governare il paese per cinque anni.
Il programma che abbiamo condiviso traccia un'idea della cittadinanza che si sottrae a due derive opposte - quella del totalitarismo, che ne fa dei sudditi, e quella del mercato, che ne fa dei clienti - per tentare di contrapporre la via della comunità costruita a partire dalle libertà, un equilibrio delicato tra diritti e doveri, passioni e progetti.
In questi anni si è consumato un esperimento gigantesco di dissoluzione dell'idea di bene comune, dal conflitto di interessi alla devolution, dalla subordinazione servile in politica estera alla svendita dell'ambiente, alla spartizione privatistica delle risorse pubbliche, alla privatizzazione del sapere, alla precarizzazione della vita che rende subalterni: non solo un accumulo di ingiustizie, ma il tentativo di cancellare la democrazia.
La riforma costituzionale del centrodestra è, tra l'altro, il tentativo di espropriare i poteri del Parlamento per affidarli all'esecutivo e, in particolare, al premier. Una sola persona al comando: il contrario di quanto ha bisogno un paese in cui la crisi politica è anche crisi delle istituzioni. Per questo motivo, l'abrogheremo con il referendum di giugno.
Signor Presidente Prodi, lei ha fatto riferimento ai principi universali della nostra Costituzione, che vorremmo anche nella Costituzione europea: sono d'accordo. Ma perché i valori dell'uguaglianza e della libertà, della solidarietà e della pace prendano il sopravvento sulle logiche di mercato, che, invece, ispirano l'attuale Trattato costituzionale, è necessario che lo stesso possa essere riscritto con il contributo vero dei popoli europei e che ci si avvalga di quella partecipazione democratica che vorremmo segnasse il Governo dell'Unione in Italia.
Tra gli impegni complessivi richiamati in quest'aula vi sono due priorità che, a mio avviso, dovranno caratterizzare il nostro lavoro: la lotta alla precarietà e la lotta all'autoritarismo, al proibizionismo. Dunque, insieme alle condizioni materiali, dobbiamo cambiare la cultura politica del paese. La precarietà è il cuore delle politiche neoliberiste in Europa e nel mondo. Le lotte che attraversano ogni paese europeo e che la cosiddetta generazione Cpe ha fatto vincere in Francia sono l'espressione del loro fallimento. Precarietà sono i lavori umili, mal pagati, senza alcuna prospettiva di avere una casa, un'autonomia economica, una possibilità di scelta per i propri affetti o desiderio di avere figli. Precarietà è la vita di migliaia di migranti, clandestini o chiusi nei CPT. Lotta contro la precarietà è l'idea di una nuova cittadinanza contro ogni forma di esclusione, è l'idea di uno Stato non invasivo che non intende normare la tua vita privata, non pretende di dettare legge alle tante forme di affettività, di amore, di sessualità ma, al contrario, riconosce e garantisce a tutte ed a tutti il diritto di costruire una propria autonomia ed identità. Si tratta di uno Stato che certamente respinge le culture razziste di tante destre - e perciò cancelleremo la legge Bossi-Fini - ma che rifiuta, nel contempo, le logiche mercantili che selezionano gli stranieri sulla base della loro utilità al mercato o al benessere dei nativi.
La nostra politica dell'accoglienza è altro: è rispetto della persona, è dare valore alla vita ed alla dignità umana, alla volontà di abrogare le guerre, cancellare la fame e le povertà, le ingiustizie sociali che costringono milioni di persone a vagare per il mondo per sopravvivere; ma è anche riconoscimento del diritto di migrare, del valore dell'incontro, è la demistificazione del concetto di sicurezza fondato sulla militarizzazione delle nostre città e sulla criminalizzazione dell'immigrato. Scrive Bauman: le città sono diventate discariche di problemi generati a livello globale. Del tutto indifese contro il terremoto globale, le persone si attaccano a se stesse e, quanto più si attaccano a se stesse, tanto più tendono a diventare indifese e impotenti a decidere i significati e le identità locali e, dunque, anche i loro stessi significati e le loro stesse identità. Ma - aggiunge Bauman - la città è anche un fondamentale campo di addestramento in cui è possibile ricercare, sperimentare, imparare e adottare i mezzi per placare e dissipare quell'incertezza e quell'insicurezza.
È nella città che gli estranei che nello spazio globale si affrontano tra loro in veste di Stati ostili, civiltà nemiche o rivali militari si incontrano come singoli esseri umani, si osservano a distanza ravvicinata, si parlano, imparano reciproci usi, negoziano le regole di vita in comune, collaborano e, prima o poi, si abituano all'altrui presenza e sempre più spesso traggono piacere dalla reciproca compagnia.
Ecco, dunque, che il nostro programma, che propone vere politiche di accoglienza e parla di superamento dei CPT, non è il libro dei sogni, è semplicemente la convinzione che, se è vero che in un paese civile il carcere deve essere l'ultima ratio quale pena per chi commette un reato, tanto più è necessario eliminare ogni forma di limitazione della libertà in forza del mero provvedimento amministrativo. Il Presidente Prodi ha fatto riferimento al carcere ed alle insostenibili condizioni di vita di migliaia di persone. Un provvedimento di amnistia e di indulto è ormai ineludibile, ne va della credibilità delle istituzioni: tocca al Parlamento definire i criteri, ma è evidente che dovrà rappresentare un presupposto per modificare in maniera sostanziale il rapporto tra carcere e società. Si tratta di un provvedimento necessario per non far fallire la riforma del codice penale prevista dal programma e per indirizzare efficacemente le risorse finanziarie al recupero ed al reinserimento sociale del detenuto, come prevede la Carta costituzionale.
Tuttavia, se è necessario modificare la concezione della pena, lavorare per un diritto penale minimo e mite, è altresì necessario affermare una cultura antiproibizionista, offrire a tutte ed a tutti una possibilità di scelta in ogni ambito della vita basata sulla conoscenza e sull'opportunità. Ciò vale anche per questioni delicate come quella della droga: in attesa di produrre un percorso democratico che porti a politiche di riduzione del danno e depenalizzazione, è urgente cancellare la legge Fini, che già miete le sue vittime tra ragazzi colti a fumare uno spinello.
Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, finalmente sui giornali e nel Parlamento è entrata con forza la questione della presenza femminile nel Governo e nelle istituzioni. È un problema di grave deficit di qualità della democrazia e della politica, anche se non esaurisce in questo il problema della rappresentanza. Non serve palleggiarsi le responsabilità tra partiti e Presidente del Consiglio; è tempo di affrontare la questione anche sul piano legislativo, ma è necessario andare oltre: se in famiglia gli uomini - tutti - sono ben felici di affidare alle donne la gestione dell'economia domestica, vi è da chiedersi perché, anche in questo nuovo Governo dell'Unione, le donne sono poche e senza portafoglio. È indubbio che il tema rimanda al conflitto sul potere, all'attaccamento al potere come tale; ma se possiamo dire che non vi sia - o non vi sia ancora - un corrispettivo attaccamento al femminile, ciò si deve all'esperienza del movimento femminista, alle pratiche di relazione e di riflessione tra donne.
È un tema, quello del potere, su cui non si è mai riflettuto abbastanza. Noi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, che abbiamo attraversato le strade del mondo con e nel movimento altermondialista, e che abbiamo accettato - abbiamo deciso di accettare - la sfida del governo del paese proprio nel tentativo di rendere efficaci le lotte del movimento, ora vorremmo proporre a tutte e a tutti di provare a considerare il Governo non il fine, ma uno strumento per conseguire risultati, per dare risposta a un lungo cammino di domande di cittadinanza, di diritti di eguaglianza non formale, proveniente da generazioni e da forme di autorganizzazione diverse. Conflitti diretti che producono e hanno prodotto, in questi anni, spazio politico e che devono entrare nel dizionario della politica.
Le rivolte giovanili di questi anni pongono domande che vanno al di là delle condizioni materiali e riguardano il rapporto tra governanti e governati, cioè la democrazia. Perciò, ci interessano e ci riguardano, perché per noi l'uguaglianza è l'unificazione dei diritti nel rispetto delle
differenze; la fraternità sta insieme alla sorellanza; per noi, libertà è libertà dai bisogni, è libertà di scelta nella vita privata come in quella pubblica. Perciò, anche dal Governo, vogliamo provare a conquistare tanti spazi pubblici, un grande spazio pubblico europeo in cui far vivere l'autonomia dei movimenti sociali e percorsi di partecipazione diretta; per far vivere in Italia e in Europa una nuova stagione dei diritti e far vincere la cultura delle libertà. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, noi dell'Italia dei Valori senz'altro le accorderemo il nostro voto di fiducia. Vogliamo contribuire, in qualche modo, al suo programma, che riteniamo valido, ma che ha bisogno di alcuni perfezionamenti.
Lei intende realizzare una manovra attraverso il cuneo fiscale, e quindi ridare fiato all'economia. Io rappresento l'economia italiana come un organismo fisico attaccato da una patologia che dà la febbre alta. Il cuneo fiscale, signor Presidente, servirà ad abbassare la febbre, ma non ad eliminare la patologia. Quest'ultima è la mancanza di competitività che, a livello di Unione europea, abbiamo individuato come maggiore ricerca, maggiore innovazione, maggiore formazione. A livello comunitario, quindi, abbiamo un'indicazione precisa di come dovremmo comportarci. Il problema è che, certamente, mancheranno le risorse.
Il Governo Berlusconi ha portato il paese in una situazione di precarietà economica, di mancanza di coesione, nonché di indubbia valenza morale (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia), quindi in una situazione complessiva negativa e di sfascio.
Dobbiamo recuperare tutto quanto, lavorando attentamente. Occorre, pertanto introdurre - come fece lei, signor Presidente, prevedendo una tassa per l'Europa (non mi vergogno a dirlo, anche se so che molti non sono d'accordo al riguardo) - una tassa per lo sviluppo ed il risanamento di questo paese. Tale tassa verrà restituita, ma servirà a sviluppare la competitività.
Certo, oggi prevedere l'introduzione di determinate tasse diventa un problema e ci dovremmo vergognare, anche se non è proprio così, perché le suddette tasse devono essere introdotte proprio a carico di quei ceti che possono pagarle e non sicuramente nei confronti dei ceti medio-bassi.
Non possiamo, pertanto, prevedere una politica dei due tempi: risanamento prima e sviluppo dopo. Dobbiamo fare in modo che il risanamento e lo sviluppo avvengano contemporaneamente, chiedendo a chi più ha di dare, per risolvere i problemi del paese.
La seconda questione che vorrei evidenziare al Governo attiene al grande ruolo rappresentato dall'economia cooperativa (purtroppo, non è stato ricordato, ma è contemplato nel programma del centrosinistra).
Le imprese cooperative nel 2005 hanno permesso a questo paese di non entrare in recessione. Nel 2005, cari colleghi, abbiamo avuto una crescita zero, mentre la crescita delle imprese cooperative è aumentata, a seconda dei settori, dal 5 al 7 per cento. Chiunque sappia fare un po' di conti si renderà conto che l'economia cooperativa, in base ai dati ufficiali, ha salvato questo paese dalla recessione.
Pertanto, signor Presidente, noi le chiediamo, come lei senz'altro farà e come è previsto nel programma del centrosinistra, di mostrare più attenzione all'economia cooperativa, perché la stessa riuscirà a dare un contributo fondamentale alla ripresa.
Quindi, le auguriamo, signor Presidente, i migliori successi: noi saremo sempre presenti, ma anche stimolanti rispetto al programma di Governo!
GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, ho chiesto la parola, ai sensi dell'articolo 41 del regolamento, con riferimento all'articolo 14 che riguarda la costituzione dei gruppi parlamentari.
Come lei sa, signor Presidente, sono iscritto al gruppo Misto, insieme, fino all'altro giorno, ad ottantuno colleghi di questo ramo del Parlamento. Qualche giorno fa, con una decisione in un certo senso e per molti aspetti discutibile dell'Ufficio di Presidenza, alcuni componenti del gruppo Misto si sono costituiti in gruppi autonomi. In conseguenza di tale decisione, il gruppo Misto, fino a questa mattina, risultava costituito da 13 membri, di cui cinque riconducibili al Movimento delle Autonomie dell'onorevole Lombardo, due al partito repubblicano (l'onorevole Nucara ed il sottoscritto), cinque alle minoranze linguistiche, oltre all'onorevole Merlo, che rappresenta la circoscrizione dell'America latina-Argentina.
Per le 19 di oggi è stata fissata la riunione del gruppo Misto per l'elezione del presidente, ma, qualche minuto fa, ci è stato comunicato che la consistenza del gruppo è di nuovo lievitata. L'attrazione per il gruppo Misto è così forte che, nonostante ne siano usciti ben 74 o 75 componenti, altri parlamentari hanno avvertito il fascino, che io ho già percepito, di appartenere a tale gruppo.
Così, tre deputati, credo esponenti dell'Ulivo, risultano iscritti al gruppo Misto; rassegnando le dimissioni dal loro gruppo, risultano automaticamente appartenere al gruppo Misto. Talché, se il Presidente della Camera non interverrà, avremo la trasformazione del gruppo Misto in un gruppo - diciamo così - politico. Non vi è, infatti, altra ragione a base della decisione se non quella di assumere il controllo del gruppo stesso.
Chiedo dunque alla Presidenza della Camera, in primo luogo, di rinviare la riunione del gruppo Misto prevista per questa sera, sì da verificare esattamente cosa sia successo, e inoltre di stabilire se il gruppo Misto debba diventare un gruppo politico in quanto tale, nel cui ambito, non essendo già sufficientemente rappresentata la componente di centrosinistra, quest'ultima debba anche ottenere la presidenza del gruppo stesso.
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, mi riservo di riferire immediatamente le sue osservazioni al Presidente della Camera.
ELIO VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, la ringrazio di avere preso atto di quanto denunciato dall'onorevole La Malfa e di aver preannunciato la sua intenzione di riferire al riguardo al Presidente della Camera.
Se permette però, Presidente, vorrei intervenire sullo stesso argomento per rivolgere un invito ai colleghi del gruppo de L'Ulivo (sono presenti in aula, tra gli altri, gli onorevoli Franceschini e Violante). In questi giorni è stata infatti posta, anche autorevolemente, la questione di ripristinare un corretto rapporto ed una corretta dialettica fra maggioranza e opposizione in merito al funzionamento delle istituzioni. Credo che il Presidente Prodi si sia in questo momento allontanato dall'aula, ma il ministro Chiti avrà modo di riferirgli quanto sto per dire.
Questo ennesimo episodio - testè richiamato dal collega La Malfa - rischia di rendere incredibili le parole pronunciate al riguardo e di pregiudicare quella possibilità, poiché - come ha ricordato l'onorevole La Malfa - ci siamo opposti alla decisione, presa a maggioranza dall'Ufficio di Presidenza, di autorizzare tutte le componenti del gruppo Misto a costituirsi in gruppo (ed esattamente, quattro componenti della maggioranza e una dell'opposizione). La conseguenza naturale era che il gruppo Misto assumesse la configurazione propria di un gruppo piccolo, residuale, nel quale le forze in campo sarebbero state quelle che sarebbero rimaste iscritte al gruppo in seguito alle trasformazioni intervenute.
La decisione presa dai tre deputati de L'Ulivo di iscriversi al gruppo Misto per configurare un nuovo equilibrio politico che possa consentire alla maggioranza di assicurarsi la presidenza del gruppo Misto e, quindi, di iscrivere tra il gruppi di maggioranza anche quello Misto, mi pare davvero gravissima, tale da alterare le caratteristiche del gruppo stesso, compromettendone l'autonomia e facendolo diventare, come ha detto bene l'onorevole La Malfa, un gruppo politico di maggioranza. Mi pare che questo non possa assolutamente essere consentito dal Presidente Bertinotti, proprio perché fa seguito ad una decisione contrastata dell'Ufficio di Presidenza, la quale però aveva come naturale conseguenza quella di un gruppo Misto con le caratteristiche che in quel momento erano note.
Presidente, mi permetto di aggiungere all'invito istituzionale che l'onorevole La Malfa ha rivolto al presidente Bertinotti, un invito anche politico al gruppo de L'Ulivo e ai gruppi di maggioranza affinché in qualche modo esercitino un po' di persuasione morale verso i deputati interessati, chiedendo loro, se non sia proprio indispensabile in ragione del loro spirito di autonomia e di partecipazione, di non partecipare alla riunione prevista per questa sera e di rimanere nel gruppo del quale hanno fatto parte per questo primo mese e nel quale sono stati eletti, cioè il gruppo de L'Ulivo.
Questo sarebbe quello che ci aspettiamo per dare un seguito con i fatti a parole che, altrimenti, rimarrebbero scritte nel vento (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e Alleanza Nazionale).
FRANCESCO NUCARA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, il problema non è, secondo me, tanto nel fatto che deputati di altri gruppi si iscrivano al gruppo Misto, ma nel fatto che, mentre alle ore 13 il gruppo Misto risultava composto da tredici componenti, alle ore 19 il gruppo era convocato per l'elezione del presidente ed alle 17 siamo diventati sedici! Mi sembra veramente un fatto poco elegante, per non dire altro, molto discutibile: alle 13 eravamo un determinato numero e, poiché alle 19 si sarebbero svolte le votazioni per l'elezione del presidente, alle 17 siamo diventati un altro numero.
Credo che queste cose non si possano fare nell'ambito delle istituzioni parlamentari, non si possono fare nell'ambito della vita: sono cose che si possono fare in altri luoghi meno nobili, se non «ignobili».
Non è un problema che può riguardare le istituzioni il fatto che giungano, quale «soccorso rosso», tre deputati nelle ultime ore che precedono la convocazione del gruppo. Sarebbe opportuno un minimo di buonsenso!
RICCARDO MIGLIORI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, anche a nome del gruppo di Alleanza nazionale, intendo sottolineare con forte preoccupazione questi iniziali fenomeni di trasmigrazione tra gruppi, che sono legati unicamente ad un'esigenza di carattere partitico, al fine del controllo politico del gruppo Misto.
Esprimo tale preoccupazione in quanto, già questa mattina, si sono registrati piccoli ma significativi strappi al regolamento che, a mio avviso, l'Ufficio di Presidenza dovrebbe valutare con estrema attenzione, proprio perché ci troviamo, al di fuori di ogni logica di indulgenza, all'inizio della legislatura.
Un collega, contrariamente alle prescrizioni del regolamento, ha parlato in lingua straniera in quest'aula; il Presidente - al di fuori della prassi - partecipa a votazioni importanti, seppure a latere di votazioni in quest'aula e oggi assistiamo ad una utilizzazione strumentale del regolamento.
Faccio presente alla Presidenza l'esigenza di una scrupolosa attenzione in
ordine a tali fenomeni, che possono comportare una degenerazione dell'interpretazione di prassi corrette del regolamento. Cosa accadrebbe se gruppi, quale quello di Alleanza Nazionale, si dividessero in quattro gruppi - come potrebbero tranquillamente fare - dando vita ad una logica interpretativa del regolamento ad usum Delphini?
Ecco perché, anche noi intendiamo sottolineare con forza il ragionamento sereno, pacato, ma allo stesso tempo altamente responsabile del collega Vito, affinché i gruppi de L'Ulivo - che dispongono di una grande presenza numerica in quest'aula - abbiano una concomitante responsabilità politica per una effettiva gestione responsabile comune della nostra istituzione.
Abbiamo iniziato molto male, signor Presidente: lo vogliamo sottolineare con forza (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Riferirò al Presidente della Camera circa l'oggetto degli interventi che si sono succeduti sull'ordine dei lavori. È chiaro che si tratta di questione politica e non puramente regolamentare. A norma del regolamento, il passaggio da un gruppo senza indicazione di un altro gruppo comporta l'iscrizione automatica al gruppo Misto, ma è evidente - ripeto - che l'oggetto della discussione non è puramente regolamentare, ma di opportunità politica.
Sulla composizione e sulla funzione del gruppo Misto, l'Ufficio di Presidenza ha lungamente dibattuto. Riferirò comunque immediatamente al Presidente della Camera quanto emerso nei precedenti interventi.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, ritengo che, nel rispondere ai colleghi, lei si sia giustamente richiamato al regolamento e alle modalità con le quali i singoli deputati si iscrivono ai gruppi.
È evidente che in questo caso siamo di fronte ad una questione esclusivamente regolamentare, mentre non vi è spazio per un richiamo a questioni di opportunità politica. L'opportunità politica riguarda una discussione che non rientra nelle questioni poste dai colleghi, riferendosi a problemi di carattere esclusivamente personale dei singoli deputati che hanno deciso di passare ad un gruppo. Dunque, non è in discussione una questione di opportunità politica relativa al controllo di un gruppo formatosi o in formazione alla Camera dei deputati.
Quindi, credo sia opportuno - come lei ha indicato, signor Presidente - rimettersi alla decisione del Presidente della Camera, tenendo conto evidentemente - come da lei peraltro affermato inizialmente - che si tratta non di una questione di opportunità politica, ma di una questione di applicazione del regolamento che compete alla Presidenza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, come dimostra il voto al Senato, sembra che lei incontri nel Parlamento italiano molta più condivisione rispetto al desiderio della maggioranza degli italiani che non l'hanno votata. Le dirò subito che non trovo immorale, ma consequenziale alla loro natura politica e all'età, il fatto che i magnifici sette senatori a vita le abbiano dato la fiducia, con un'unica eccezione: il Presidente Ciampi. Lo poteva e lo doveva evitare, portando maggior rispetto verso quella parte del paese che invece giudica già il suo Governo come un colossale esercizio di potere. Penso che questo piccolo neo sia andato in parte ad offuscare la fama di colui che si è sempre voluto definire il garante di tutti gli italiani.
Caro compianto Presidente Sandro Pertini, sei stato e rimarrai sempre il Presidente della Repubblica più amato da tutti gli italiani. Cade così un tabù, su cui non si dovevano e non si potevano apportare critiche. Oggi il Ciampi ministro e Presidente del Consiglio prevale sul Ciampi Presidente della Repubblica, gli diamo finalmente il benvenuto nell'agone passionale della politica quotidiana come ad un figliol prodigo.
A parte tutto ciò, riconosco che lei sta centrando tutti gli obiettivi, e il modo formale e sostanziale con cui lei ha saputo fare cappotto di tutte le più alte cariche istituzionali - in questi secondi anche del gruppo misto -, ad iniziare da come ha saputo far bruciare Massimo D'Alema per ben due volte, sono segni di determinazione e di una forte volontà politica. L'appello al rispetto dell'opposizione e all'unità del paese è in realtà un inutile esercizio di retorica e di luoghi comuni. Cosa le importa, signor Presidente, di un'opposizione che ancora crede di poter tornare al voto tra un anno e non ha ancora ben compreso che è stata già sfrattata sull'Aventino?
Quindi, signor Presidente del Consiglio, sono qui non per piangere Cesare, ma per tesserne le lodi, come recita la famosa frase di Antonio nel Giulio Cesare. Quei giornali che chiamavano il suo Governo un «Prodino» dovranno ben presto ricredersi e giudicare i mal di pancia che ogni tanto emergono dai suoi alleati. Ieri Mastella, poi Di Pietro, su cui vorrei aprire una parentesi. Il collega dell'Italia dei Valori prima ha parlato di moralità: se io, come sindaco di Aulla e ora come sindaco di Villafranca, avessi fatto quello che ha fatto Di Pietro avrebbero buttato via la chiave e ora sarei ancora in carcere, mentre lui è diventato ministro della Repubblica. A costoro sono seguiti Diliberto, i repubblicani alla Sbarbato, i radicali della «mosca» nel pugno, per finire con mezza Rifondazione Comunista. Non si tratta di segnali di crisi imminente, ma sono semplici dolorini passeggeri da sottosegretariato, da bende e prebende. Evidentemente, non conoscono bene la sua apparente bonarietà casereccia, io la vedo in altro modo e credo che lei finalmente abbia in mano tutto il paese che conta, dalla satira che sta smobilitando, quella dei giullari di medievale memoria, alla magistratura, dai sindacati ai vertici di Confindustria, dai direttori di giornali ai registi cinematografici di tendenza, dai centri sociali a Ballarò, dai comitati di redazione televisivi a Celentano, con una concentrazione di potere rispetto alle quale il tanto sbandierato conflitto di interessi dell'onorevole Berlusconi impallidisce. Sono sicuro, infatti, che sistemerà anche quello, perché, diciamolo chiaramente, per arrivare a tanto ella ha faticato non poco, imbarcando tutto e tutti, fino al punto di rendere protagonista e asse portante per il paese una galassia di estremismo rosso orgoglioso e impenitente, che sicuramente lascerà la propria impronta nella storia del primo direttorio, quello che finalmente lei ha realizzato. Ella, come Marat nella rivoluzione francese, ha realizzato il primo direttorio anche qui in Italia. Non vedendo all'orizzonte un Bruto o una Carlotta Corday capaci di fare l'estremo gesto per salvare la Repubblica, vilmente mi adeguo e ritengo quindi inutile stare a commentare il suo discorso programmatico, in cui è lasciata la porta aperta a tutto e al contrario di tutto, come dimostrano i primi confusi, balbettanti e contraddittori interventi televisivi dei suoi neo-ministri, a cui ben presto ella chiarirà tutte le idee.
Le ho portato un regalo augurale, signor Presidente, il primo di molti che noi deputati Socialisti italiani del Nuovo PSI (tra l'altro, nel 1892 c'era solamente Andrea Costa; oggi siamo io e l'onorevole Del Bue: dopo centoventiquattro anni, abbiamo raddoppiato!) le faremo durante il suo Governo. Si tratta di un pendolino, ma non di un treno ad alta velocità, perché, signor Presidente, con Di Pietro alle infrastrutture, Bianchi ai trasporti e Pecoraro Scanio all'ambiente, i nostri treni andranno al rallentatore, saranno «treni lumaca». Si tratta di un pezzo di antiquariato, di uno strumento famoso, di un'acquasantiera, famosa per predire il
futuro nelle sedute spiritiche, superiore e ben più precisa delle normali tazzine e piattini.
Questo pendolino oggi le offre una grande opportunità di Governo, quella di aggiungere al suo discorso programmatico un qualcosa che lei non aveva previsto o dimenticato e che pure è importante per un'Italia che ha saputo rendere protagonista televisiva anche Vanna Marchi. Lei potrebbe non accettarlo e dire che non è certamente con un pendolino che si possono fare previsioni di Governo. Allora, il discorso potrebbe farsi serio e lei deve ancora spiegare a tutti gli italiani da chi o da quale organizzazione eversiva ha saputo dove era tenuto prigioniero Aldo Moro prima che venisse ucciso. È una cosa di poco conto? No, non è una cosa di poco conto, tant'è vero che lo stesso Mussolini, alla fine, ha dovuto assumersi la responsabilità politica dell'assassinio del socialista Matteotti. Fatto ciò, ha realizzato il suo ventennio, ma ha dovuto compiere questo passaggio.
Lei, questa risposta, signor Presidente, deve darla, perché in una suprema concezione della democrazia dello Stato, chi vuole essere Cesare deve almeno avere la moglie al di sopra di ogni sospetto. Lo ripeto: lei deve riferire al Parlamento da chi ha saputo e perché proprio lei doveva sapere qualcosa di importante sui tragici accadimenti che hanno segnato la storia democratica della nostra Repubblica, altrimenti oggi possiamo rimuovere il busto di Aldo Moro dalla Sala gialla sita al secondo piano di palazzo Montecitorio, anche se è posto in un angolino. Tenga presente, signor Presidente del Consiglio, che questo lo chiederò in tutte le forme possibili, fino a quando lei non lo avrà chiarito a me e a tutti gli italiani che ci stanno ancora ascoltando, poiché tutti devono avere la certezza su chi e in che modo intenda governarci.
Questo è il suo enorme conflitto di interessi con tutta l'Italia, troppe volte sottaciuto e lasciato cadere, come se fosse una cosetta da nulla. E, visto che intende risolvere tutti i conflitti di interesse, iniziamo da questo e compiremo un passo importante per fare chiarezza su troppe ombre che non possiamo trascinarsi dietro come un vizio assurdo; oppure il pendolino vale e lei ha risolto così il suo problema. Allora, sarà mia cura farlo avere alla sua persona per migliorare la qualità decisionale del suo Governo.
Se non possiamo darci una mano tra noi, signor Presidente, a che serve essere deputati? E contro il suo direttorio alzo, a difesa del riformismo dell'Italia e degli italiani, il simbolo del socialismo riformista, i garofani rossi (Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e di Forza Italia)!
FABIO EVANGELISTI. Presidente, abbiamo trovato la macchietta della XV legislatura!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capezzone, al quale ricordo che ha dieci minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.
DANIELE CAPEZZONE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signore e signori ministri, colleghe e colleghi, non è senza emozione che mi accingo a prendere la parola per la prima volta in quest'aula, per questo che è, nello stesso tempo, l'intervento di un deputato della Rosa nel Pugno, laica, socialista, liberale e radicale, ma anche l'intervento, dopo dieci anni (non accadeva dal 1996, prima dell'intervento di questa mattina del collega D'Elia), di un militante politico radicale, di un rappresentante di quel movimento per i diritti umani e civili, per il diritto e la libertà che, in primo luogo con Marco Pannella, ha animato ed anima da decenni la vita civile del paese.
Speriamo di essere degni di quest'aula e - se mi è consentito - di onorare anche questa storia politica così ricca e così peculiare.
Mi addolora solo il fatto che a prendere la parola non abbia potuto essere, come avremmo voluto e sperato, Luca Coscioni (Applausi), incarnazione e simbolo di una battaglia di umanesimo liberale: la lotta per la libertà di cura e di ricerca. Luca
non ce l'ha fatta. Glielo hanno impedito la malattia e la morte. Siamo qui anche per proseguire il suo percorso, celebrato da tanti post mortem ma anche così tormentato ed ostracizzato in vita dagli oscurantismi, dalle superstizioni, dalle paure della modernità, che sembrano segnare tanta parte del ceto dirigente del paese
Signor Presidente Prodi, noi sosterremo il suo cammino, anche se - e lo diciamo con chiarezza - altro avremmo sperato da lei e dalla coalizione che lei guida. In pochi mesi l'Unione ha consumato una decina di punti di vantaggio rispetto al centrodestra. La vittoria è giunta per appena 25 mila voti qui alla Camera, e forse sarebbe il caso di tenerlo presente nell'interloquire con La Rosa nel Pugno, che ha con determinazione convinto un milione di elettori a stare da questa parte. Mesi di difficoltà, perfino per parlarci, per incontrarla; ma questa è una storia che lei conosce bene, così come lei sa bene quanto tentammo di sgolarci nell'ultimo mese prima del voto, per evitare che grossolanità e leggerezze, in primo luogo in materia di tasse, ci costassero in modo pesante ed irrimediabile.
È da qui che occorre ripartire: dall'economia. Il ministro Padoa Schioppa, come il Governatore di Bankitalia, Draghi, rappresenta una certezza, un frangiflutti tra le onde. Dobbiamo aiutarlo non solo nella difficile cura dei conti pubblici - con le brutte scoperte che si preparano sul rapporto deficit-PIL -, ma nella sfida della crescita. «Crescita, crescita, crescita» deve essere il nostro mantra. Per fare questo, occorre una terapia d'urto, una scossa positiva, anche il senso di uno sblocco psicologico. Non crediamo che possa bastare l'intervento sul cuneo fiscale. Occorre dare il senso di una pagina nuova, parole e fatti chiari sulle liberalizzazioni, contro ogni oligopolio, ed azioni concrete anche in termini di riforme senza spesa, come suggerisce da tempo, ad esempio, Francesco Giavazzi. Occorre abolire gli ordini professionali, per riaprire una società chiusa, prigioniera di lobby e corporazioni. Occorre abolire il valore legale del titolo di studio universitario, per garantire uno shock nel senso della competizione positiva e dell'invito ai giovani a scommettere su di sé più che sul possesso di un pezzo di carta.
Anche in termini di mercato del lavoro, noi stimiamo il ministro Damiani, ma in tutta franchezza crediamo che egli sia partito con il piede sbagliato, attaccando il Libro bianco di Marco Biagi, che qualcuno - Sergio Cofferati, e non lo dimentichiamo - osò definire limaccioso. È invece proprio da lì che occorre ripartire. Siamo stati i primi a dire che non potevano essere solo i lavoratori a correre i rischi della flessibilità. Tuttavia, sbarazzarci della legge n. 30 del 2003 sarebbe un grave errore. Va invece riequilibrata e completata, proprio nella direzione del rapporto Biagi, riscrivendo il sistema degli ammortizzatori sociali, che in questo paese - penso alla cassa integrazione, con 6 miliardi e mezzo di ore erogate dal 1977, per un costo di 250 mila miliardi di lire e senza salvare davvero un posto di lavoro! - hanno finito spesso per tutelare troppo pochi e soprattutto le grandi imprese decotte, a danno dei settori più trainanti. Intanto, su 100 persone che perdono il lavoro in Italia, solo 17 hanno una qualche forma di tutela. Ecco perché bisognerebbe invece pensare al modello inglese, con un sussidio di disoccupazione e un meccanismo di welfare to work: formazione per rientrare presto nel circuito positivo.
Più coraggio, Presidente! Meriti e bisogni, dicevano i modernizzatori liberalsocialisti più di vent'anni fa. E, ancora oggi, una politica innovativa e coraggiosa, anche contro il conservatorismo di una parte della sinistra, avrebbe la doppia caratteristica di rimettere il paese in movimento e, insieme, di aiutare i più deboli. Ha detto Tony Blair: ogni volta che ho introdotto una riforma, mi sono pentito solo di non essermi spinto ancora più avanti. Teniamo questa citazione come monito e come bussola.
Mi avvio rapidamente a concludere sugli altri temi. Il primo: la laicità. I diritti civili sono sotto attacco, sia per la tendenza del ceto politico a genuflettersi, sia per il tentativo delle gerarchie vaticane di
dettare tempi, forme e contenuti dell'agenda governativa e politico-parlamentare. Noi diciamo «no»! Non esiste un solo paese al mondo in cui le gerarchie di una confessione, da una parte, godano di privilegi eccezionali (Concordato, otto per mille, insegnanti di religione scelti dal vescovo e pagati dallo Stato) e, dall'altra, pretendano di entrare a gamba tesa nell'agone politico.
Il programma dell'Unione su tutto questo è vago, lacunoso, insufficiente, e un segno di speranza viene solo dalle belle e coraggiose dichiarazioni rese dalla ministra Bindi, a cui facciamo i nostri auguri, insieme alle sue colleghe Turco e Pollastrini, che hanno compiti delicatissimi in questa materia.
Della giustizia ha parlato il collega D'Elia. Dopo tanti mesi, è stato confortante, Presidente, il suo richiamo all'amnistia, che deve essere premessa per una grande riforma della giustizia. Ma ora occorre passare insieme dalle parole ai fatti.
In politica internazionale, avremmo voluto che si ponesse l'accento sulla sfida storica della promozione della libertà e della democrazia; sulla possibilità per milioni di donne e di uomini, tuttora vittime di atroci dittature, di conoscere nella loro vita la speranza di un destino di libertà. Occorre lavorare su questo con la non violenza, che è altra cosa da un pacifismo che, troppe volte nella storia, ha assistito passivamente allo scempio della democrazia e della libertà. Ma occorre farlo anche con un'irriducibile politica contro ogni dittatura. Ci conforta e ci emoziona su questo la presenza al Governo di Emma Bonino. Siamo certi che, a partire dai nevralgici compiti che sono i suoi, in quella terra di confine tra la costruzione del diritto internazionale e la crescita delle relazioni economiche, la ministra Bonino onorerà il Governo e il paese.
Ho lasciato per ultima, signor Presidente, una ferita grave contro il bene supremo di una comunità civile: la legalità. Lei sa bene che otto parlamentari sono stati regolarmente votati ed eletti ma sono ancora estromessi dal Parlamento a causa di un'interpretazione abusiva della legge elettorale. Perché la maggioranza tace? Forse, acconsente? Parrebbe di sì, dopo la sconcertante decisione di inserire nell'organo che dovrà decidere su tutto questo anche due diretti interessati, i parlamentari Zanda e Sinisi. Lei sa che, per battaglie di legalità come questa, sono state in passato messe in campo da Pannella, dai radicali, le lotte non violente più gravi e rischiose. Attendiamo, signor Presidente, la valutazione e gli impegni politici: l'evangelico «sì, sì, no, no» del capo della coalizione che abbiamo scelto di sostenere.
Auguri, signor Presidente, signore e signori ministri, avrete il sostegno della Rosa nel Pugno, laica, socialista, liberale e radicale, ma lo avrete non per vivacchiare e gestire l'esistente, bensì per provare a cambiare il paese e anche per provare a cambiare la sinistra italiana, che ne ha grande bisogno (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monaco, al quale ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, intervengo per fare alcune sottolineature sulle comunicazioni rese dal Presidente del Consiglio.
In primo luogo, ho riscontrato una stretta aderenza al programma elettorale. Ovvio, si dirà. Non è così. Si è fatto a gara nel dire un gran male della campagna elettorale; in particolare, si è lamentata l'asprezza dei suoi toni. Su un punto, ma un punto decisivo, mi permetto di dissentire da questo luogo comune, da questa sorta di sport nazionale. Il programma, in verità solo il nostro programma, è stato -- eccome - al centro del confronto politico elettorale; ed è giusto che sia così. È giusto che il Presidente del Consiglio ci riproponga qui, cioè in Parlamento, esattamente le linee portanti di quel programma che rappresenta il cuore, l'asse portante del patto da noi siglato con i cittadini
elettori. Il problema è di metodo, perché la centralità del programma è un guadagno per la democrazia italiana; è il portato buono della cosiddetta democrazia governante e di quel bipolarismo nel quale i cittadini scelgono i Governi che, appunto, si legano ad un preciso programma. Non era così nel primo tempo della Repubblica che, a mio avviso, a torto taluni rimpiangono.
Seconda sottolineatura. Le sessantuno cartelle del Presidente Prodi sono tutte attraversate da un'ispirazione genuinamente riformatrice. Una parola abusata, questa - riformismo, riformatori -, che esige un chiarimento. Riformatore il programma lo è, a mio avviso, in vari sensi. Innanzitutto, è riformatore nel senso di una vocazione e di una cultura di governo dentro un grande paese avanzato e occidentale. Non c'è traccia nelle comunicazioni del Presidente del Consiglio di massimalismo (lo segnaliamo anche a Sergio Romano, l'editorialista del Corriere della Sera).
In secondo luogo, è riformatore nel senso opposto ad una posizione conservatrice, cioè come apertura al cambiamento, come sostegno e accompagnamento dei processi di modernizzazione, come innovazione e slancio verso il futuro. Da qui la centralità del tema della formazione, del tema del lavoro, con speciale attenzione alle giovani generazioni. Riformatore non nel senso di un cambiamento qualsiasi, di una modernizzazione indifferente ai valori ed alla qualità sociale, ma nel senso esattamente contrario: il segno e la direzione di quel cambiamento devono andare nella direzione di una maggiore qualità ed equità sociale. Questa non può non essere la cifra etico-politica dell'Unione, di una coalizione larga e plurale di centrosinistra e delle sue culture politiche, nitidamente alternative a quelle della Casa delle libertà; una direzione riformatrice alternativa a quella seguita dal Governo Berlusconi.
Coglie nel segno l'onorevole Bondi quando segnala una marcata discontinuità rispetto al riformismo del Governo precedente, ma questo è infatti ciò che ci siamo proposti: non una semplice alternanza di gruppi dirigenti, ma una vera e propria alternativa nei valori e nelle politiche. Non vorrei essere frainteso: non mi riferisco all'idea di fare tabula rasa, di azzerare tutto ciò che ha fatto il Governo che ci ha preceduto - idea giacobina e peraltro impraticabile -, ma - questo sì - al proposito di dare corso ad un programma alternativo nei suoi presupposti ideali e, su quella pietra di paragone, stabilire ciò che delle leggi introdotte dalla Casa delle libertà è con esso compatibile e ciò che non lo è.
Terza sottolineatura: il proposito di imprimere al paese una svolta politica che abbia anche lo spessore, la pregnanza di una svolta etica. A questo ci siamo impegnati: ad un'opera di ricostruzione - sottolineo la parola ricostruzione - del tessuto morale e del costume civico. Si è parlato di una scossa etica, oltre che di una scossa economica. Tra tutti, è questo il compito più impegnativo, dopo anni di ferite, di forzature, di strappi inferti alla legalità e al civismo del nostro paese.
Penso siano da inscrivere in questa prospettiva: l'impegno a ripristinare il senso e la cultura della legalità e il principio secondo il quale la legge è uguale per tutti; l'impegno a ristabilire il primato degli interessi generali sugli interessi particolari nella preparazione delle leggi (il titolo eloquente del nostro programma era «Per il bene dell'Italia»; appunto, l'interesse generale); l'impegno ad ingaggiare una lotta all'evasione e all'elusione fiscale e, più in radice, a contrastare l'idea malsana del fisco inteso come furto e come rapina di Stato («mettere le mani nelle tasche degli italiani»); l'impegno infine a ridurre i costi esorbitanti della politica e delle istituzioni, a disboscare gli enti inutili, così da dare il buon esempio, cominciando da noi.
Quarta sottolineatura. Nelle comunicazioni del Presidente Prodi si fissa la distinzione tra programmi di governo, utilmente e doverosamente alternativi, e regole del gioco politico auspicabilmente condivise, a cominciare dalle regole più alte e più delicate: le regole costituzionali
e quelle elettorali, che non possono essere varate unilateralmente a colpi di maggioranza, secondo logiche e interessi di parte. Più di tanta retorica bipartisan, questo è il modo più sicuro ed efficace per unificare e riconciliare un paese politicamente diviso.
Dopo il referendum costituzionale non potremo non riprendere insieme il filo di un riformismo costituzionale saggio e compatibile con la fedeltà ai principi e ai diritti fondamentali scolpiti nella nostra Carta, non con il mito fallace della grande riforma onnicomprensiva, ma attraverso circoscritte revisioni su tre punti: il rafforzamento degli istituti di garanzia, la stabilizzazione degli esecutivi e il Senato delle autonomie, a completamento della riforma del titolo V.
Quinta sottolineatura: il ripristino dell'ispirazione europeista dopo il deragliamento del recente passato, in coerenza con la storica tradizione e vocazione del nostro paese. L'Europa è una risorsa e non un problema per noi: di lì passa il nostro futuro. L'Europa come attore globale, come fattore di pace e di giustizia internazionale in un mondo che vogliamo finalmente multipolare: questa ha da essere la bussola della nostra politica estera! Come lo fu nel 1996, quando coniammo due slogan speculari: «Portare l'Italia in Europa» e «Portare l'Europa in Italia». Ai due slogan, ancora attualissimi, ne aggiungiamo, oggi, altri due: «L'Italia può contare solo se conta l'Europa» e «L'Europa può ripartire» - ce l'ha rammentato il Presidente Napolitano da un luogo così evocativo come Ventotene, ieri - «se i paesi fondatori dell'Unione, e l'Italia tra questi, riprenderanno la testa del processo di costruzione europea».
Sesto rilievo: la fiducia nel dialogo tra le culture e le religioni. Bene ha fatto il Presidente Prodi a rimarcare che anche i concreti, minuti programmi di governo, più o meno consapevolmente, partecipano di una visione del mondo: visione del mondo non in senso astratto, ideologico, ma come visione della concreta condizione di questo nostro mondo, di questo tornante della storia, oggi segnato dal confronto tra le religioni, le culture, le civiltà e, purtroppo, anche dal terrorismo e dalle guerre.
Il Governo ci dice, sul punto, due cose preziose. Primo: «no» ai fondamentalismi ed alle guerre di religione e «sì» al rispetto, alla conoscenza ed al dialogo. E ancora: la laicità dello Stato, bene intesa, non è indifferenza, ma garanzia per il libero dipanarsi del confronto tra culture e religioni su base paritaria e dentro le nostre società, sempre più segnate dal pluralismo. È visione non scontata questa, tutt'altro che priva di implicazioni in tema di diritti di cittadinanza, di legislazione sociale, di politiche dell'immigrazione.
Ancora, una settima osservazione: la scommessa sulla concertazione sociale. Non è buonismo, non è captatio benevolentiae delle forze sociali, non è abdicazione alla responsabilità della sintesi e della decisione ultima in capo alla politica, ma la convinzione che, nelle società avanzate, ove il potere è diffuso, le riforme sono più agevoli se sostenute da un largo consenso. Del resto, le forzature sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e la finta riforma-manifesto sulle pensioni - guarda caso, differita al 2008 - sono lì a dimostrare che il decisionismo ostentato dal Governo Berlusconi ha prodotto strappi a saldo zero!
Infine, nelle parole del premier ho riscontrato - e con questa considerazione concludo - un doppio sentimento: di lucida, pensosa consapevolezza della portata dei problemi, della condizione critica in cui versa il nostro paese e, dunque, delle responsabilità che incombono su di noi, ma, insieme - ecco il secondo sentimento compresente - la fiducia nelle risorse, non nostre, ma degli italiani. Dunque, la fiducia che insieme ce la possiamo fare, che rimettere in piedi l'Italia e dare una concreta prospettiva di vita e di futuro alle giovani generazioni è possibile.
Noi, caro Presidente Prodi, nel dare fiducia a lei ed al suo Governo, ci associamo a quel duplice sentimento - di responsabile coscienza, ripeto, della portata dei problemi, ma, insieme, di fiducia negli italiani - che abbiamo avvertito nelle
sue parole, nelle sue comunicazioni. E nel darle, appunto, la nostra fiducia, le assicuriamo che, sul fronte parlamentare, le daremo il nostro più convinto sostegno (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bono, al quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.
NICOLA BONO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi si consenta, in via preliminare, di complimentarmi per l'impressionante serie di primati raggiunti da questo Governo.
Innanzitutto, è certamente il Governo più antimeridionale della storia d'Italia: solo sei ministri su venticinque sono del Mezzogiorno, e la Sicilia non ha avuto alcuna rappresentanza! È un fatto storicamente senza precedenti nella storia repubblicana, che mortifica e mette all'opposizione la terza regione d'Italia. Ma non era il centrodestra che aveva tendenze antimeridionali? È un Governo che, conseguentemente, ha la più alta concentrazione di ministri piemontesi: sembra di essere tornati agli albori dello Stato unitario! È il secondo più numeroso; ma confidiamo che, quanto prima, conquisti anche questo primato, che è veramente a portata di mano: il settimo Governo Andreotti aveva 101 poltrone. È certamente il Governo più ingrato, avendo soppresso il Ministero per gli italiani nel mondo, i cui rappresentanti lo hanno letteralmente miracolato.
È il Governo più arrogante, avendo occupato tutti gli spazi istituzionali, compresa la Presidenza della Repubblica, che per principio è il luogo dell'unità nazionale. È il meno democratico, perché si basa sul voto della minoranza degli italiani ed utilizza sette senatori a vita che nessuno ha eletto. È certamente il più sensibile alle aspettative dei poteri forti: nel Governo ci sono nomine che appaiono a garanzia delle aspettative delle fondazioni bancarie; ci pare molto grave lo spostamento del CIPE dall'Economia alla Presidenza del Consiglio, con una chiara tendenza a privilegiare l'aspetto della politica industriale rispetto a quello della coesione territoriale, così come appare evidente una certa deriva in ordine alle tendenze di rafforzamento dei meccanismi delle partecipazioni statali, e potremmo continuare.
È certamente il più contraddittorio, perché, dopo avere accorpato con la riforma Bassanini i ministeri ed aver creato appositamente la figura dei viceministri, ha «spacchettato» - ma che brutto termine, tra l'altro, che usate - i ministeri e lasciato i viceministri, creando quindi un esercito di poltrone con costi enormi per l'erario, alla faccia del risanamento. È il Governo più pasticcione, atteso che al suo primo Consiglio ha commesso l'imperdonabile errore di sottrarre la previdenza sociale al Ministero del lavoro (è come sottrarre l'aviazione al Ministero della difesa per darlo a quello dei trasporti). È il più scandaloso perché alcuni «spacchettamenti» sono indigeribili, come infrastrutture e trasporti, università e pubblica istruzione, lavoro e solidarietà sociale. L'unica nota condivisibile è l'accorpamento del turismo ai beni culturali, che era un'idea su cui da tempo mi ero battuto personalmente e che trovo assolutamente positiva.
È il Governo più misterioso, perché sono stati istituiti alcuni ministeri di cui nessuno capisce l'oggetto dell'intervento: quello per la famiglia, quello per la gioventù e lo sport, riesumato dalla prima Repubblica dopo 32 anni, quello della solidarietà sociale. Questo davvero devono spiegarci a cosa serve, ma soprattutto dovrebbero spiegarlo al ministro che, non sapendolo neanche lui, si dedica ad un'attività che lo gratifica di più: quella di polemizzare con il Santo Pontefice.
È il Governo più a sinistra della storia d'Italia, con spazi esagerati all'ala radicale della coalizione. È certamente il più deludente, tutti delusi: partiti, donne, singoli aspiranti ad entrare, ancora più mortificati alla luce della sua composizione numerica esagerata. Una delusione collettiva; altro che squadra coesa che durerà cinque anni: in questo caso, neanche cinque mesi!
Desidero fare una previsione: credo che il percorso sarà difficile e lungo, ma anche che il termine ultimo non potrà superare l'autunno del 2007, perché alla seconda finanziaria questo Governo imploderà. L'unico dato positivo è l'apprezzamento per l'atteggiamento anche scaramantico di Prodi sul numero 17, ma non credo che gli porterà bene. Un Governo che su tante questioni è partito con il piede sbagliato: la conferma del «no» al ponte di Messina, ulteriore emarginazione della Sicilia; la revisione della legge Biagi, magari con il metodo Zapatero, una vera e propria follia; le «bacchettate» al Papa di un ministro sul delicatissimo tema dei Pacs; la smentita di Ciampi sulla definizione dei nostri militari in Iraq, negando che si tratti di una missione di pace.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
NICOLA BONO. Concludo, Presidente. Nel frattempo l'economia riparte e i bugiardi dicono che è merito della sinistra. Vigileremo sul programma, sulla difesa dell'ordine pubblico, sull'onore dei nostri militari in Asia, sulle scelte economiche e sulla competitività, sulle coperture del cuneo fiscale, sulla famiglia naturale. Faremo la nostra parte, senza sconti. Si auguri, professor Prodi, di saper fare la sua con il beneplacito di tutti i suoi variopinti compagni di viaggio: credo che sarà estremamente difficile e improbabile (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, l'insulto del collega Barani al presidente dell'Italia dei Valori non merita risposta, se non per ricordare che Antonio Di Pietro si è sottoposto a tutti i processi ai quali è stato chiamato, uscendone sempre assolto con formula piena, a differenza di altri personaggi politici, del passato e del presente, che ai processi hanno cercato di sfuggire, ammettendo così, implicitamente, le loro colpe.
ANTONIO BORGHESI. Non mi voglio soffermare sulle cause, delle quali si è già molto dibattuto, che hanno condotto il nostro paese verso il fondo della graduatoria della competitività. I ricercatori - e sia lei, signor Presidente del Consiglio, sia chi le parla ha dedicato gran parte della sua vita professionale alle attività di ricerca scientifica - lo avevano previsto, restando vox clamantis in deserto.
Mi piace qui ricordare, signor Presente del Consiglio dei ministri, un aneddoto che la riguarda e che risale a circa trent'anni or sono. Il mio maestro, prematuramente scomparso e che di lei fu amico, Giovanni Panati - al quale va oggi il mio deferente pensiero -, decise di portare due giovani assistenti ad un convegno a Tirrenia, promosso dalla rivista L'Industria, da lei a quel tempo diretta. Il suo intervento, quell'anno, ebbe per tema «la deindustrializzazione del sistema economico italiano» e mi colpì molto, poiché aprì un velo su scenari futuri, dei quali a quel tempo nessuno ancora parlava.
Sono passati trent'anni: oggi la deindustrializzazione è vissuta in modo drammatico, ed uno dei punti dolenti del nostro sistema economico è quello di basarsi ancora largamente su settori maturi piuttosto che su comparti ad alta innovazione e tecnologia. Vorrei rilevare che nei primi, sotto la spinta della competizione internazionale resa obbligata dalla globalizzazione, sono in corso rilevanti processi di razionalizzazione per certi versi anche dolorosi, a causa della perdita di posti di lavoro passati e, forse, futuri. Per questo motivo, mi permetto di richiamare l'attenzione sul fatto che una riduzione generalizzata del cuneo fiscale potrebbe condurre, in modo «drogato», ad una sospensione di siffatti processi, poiché si ridarebbe
fiato ad aziende che non possono più stare sul mercato. Dobbiamo, invece, assecondare tali processi, favorendo in modo adeguato lo style made in Italy o il design made in Italy piuttosto che il made in Italy. Suggerisco, pertanto, che la riduzione del cuneo contributivo sia di tipo selettivo, valutando settore per settore, piuttosto che di tipo generalizzato, e che abbia maggior peso nei servizi all'industria.
Una seconda riflessione nasce dalla certezza che le imprese possano sopravvivere e svilupparsi nella competizione solo attraverso il binomio ricerca-innovazione, il quale, a sua volta, è in generale direttamente proporzionale alla dimensione aziendale. La fragilità del nostro sistema economico-industriale rispetto ai nostri concorrenti, infatti, risiede proprio nella minuscola dimensione media delle nostre imprese.
Vi è inoltre un problema settentrionale, signor Presidente del Consiglio dei ministri, che va affrontato, in particolar modo rivolgendosi alle imprese che, soprattutto nel nord-est d'Italia, hanno dimensioni ridottissime. I tentativi finora compiuti per superare questo nodo strutturale hanno dimostrato di non dare i frutti sperati: anche in questo caso, allora, bisogna cambiare metodo.
Il programma dell'Unione prevede azioni in tale direzione, ma esse, signor Presidente del Consiglio, devono essere coraggiose, fino alla rinuncia, ad esempio, non tanto al prelievo attuale quanto a quello futuro, sterilizzando per sempre le riserve da fusione ed accompagnandole con altre sostanziali riduzioni dei carichi fiscali nei primi dieci anni dalla fusione.
Per la ricerca, dobbiamo realizzare ciò che, fino ad oggi, non è ancora riuscito a nessuno nel nostro paese: mettere realmente le università al servizio dello sviluppo, attraverso crediti di imposta - che noi proponiamo pari a 1,5 volte l'investimento - a favore delle imprese che coinvolgeranno le università nelle loro attività di ricerca e innovazione.
Vi è infine, a mio avviso, un terzo elemento per il rilancio della nostra economia: i servizi. La direttiva Bolkestein forse dovrà essere emendata in qualche punto, ma nella sua sostanza dovrà essere confermata. In Italia, infatti, troppi servizi godono di protezioni corporative. Vi sono sacche di inefficienza nei settori pubblico e privato che mettono a repentaglio la possibilità di favorire l'ulteriore espansione e sviluppo di un sistema produttivo che, nell'immaginario collettivo dei nostri competitor, era sintetizzato dall'immagine del volo del calabrone.
A titolo d'esempio e in conclusione, le società autostradali producono enormi liquidità e prosperano con tariffe sottratte per definizione al principio di concorrenza, che consentono mediamente di far emergere 20-30 euro di utile netto ogni 100 euro incassati. Ed il fatto che, per moltissimi anni, dette società fossero praticamente pubbliche ha permesso di coprire gli occhi di fronte a ciò in cambio di investimenti in sostituzione di regioni, province e comuni. Ma la tariffa è sempre stata considerata uno strumento di politica economica, dovendo equilibrare il rapporto con le altre modalità di trasporto per tenere anche conto delle diseconomie ambientali. Ma chi deve occuparsi di ripristinare tale danno? Non è forse una delle competenze dello Stato? Se è così, visto che oggi le società autostradali sono uscite dall'orbita pubblica, mi sento di proporre la scomposizione della tariffa in due parti: quella che ripaga i costi e il giusto margine del concessionario e quella che servirà per ripagare le diseconomie esterne create dalla circolazione, una sorta di accisa.
Detto questo, mi permetto di affidarle, signor Presidente del Consiglio, queste brevi riflessioni con la speranza che ella possa rapidamente dar corso al suo, anzi al nostro programma di Governo che, ne sono certo, permetterà all'Italia di riprendere le posizioni che merita nel contesto politico ed economico internazionale (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Il vicepresidente Tremonti mi ha reso noto che durante il suo
turno di Presidenza è stato sollevato dal deputato La Malfa e da altri deputati un problema riguardante la convocazione e la composizione del gruppo Misto.
La questione, come voi sapete, non consente alla Presidenza della Camera di intervenire dal punto di vista regolamentare; tuttavia è stato sollevato un problema di opportunità a cui, credo, dobbiamo essere sensibili. Mi sono così impegnato sull'unico terreno che mi era possibile, quello non già della persuasione morale, ma della persuasione politica. Sono quindi intervenuto, trovando molta disponibilità e molto ascolto, presso i parlamentari Milos Budin, Maria Letizia De Torre e Laura Froner, che con la loro scelta volontaria di adesione al gruppo Misto avevano determinato la condizione su cui era intervenuto il deputato La Malfa. I tre parlamentari mi hanno confermato la loro intenzione di iscriversi al gruppo Misto, ma di fronte al problema che è stato sollevato ho potuto acquisire la loro totale disponibilità a non partecipare alla riunione del gruppo Misto indetta per le ore 19, cosicché la riunione avverrà con la stessa composizione che il gruppo aveva precedentemente all'adesione dei tre parlamentari, in modo tale da non sollevare alcun dubbio sulla volontà politica delle persone e delle istituzioni nelle quali lavoriamo.
Ringrazio per la loro sensibilità i parlamentari e auguro buon lavoro al gruppo Misto per la sua riunione.
È iscritto a parlare il deputato Dozzo. Ne ha facoltà.
GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, nella sua comunicazione alla Camera dei deputati lei ha fatto riferimento alla questione etica della politica, concetto nobile che deve essere alla base dell'agire politico di ciascuno di noi.
GIANPAOLO DOZZO. Ma, a questo punto, le chiedo se sia etico ottenere la fiducia al proprio Governo attraverso i voti dei senatori a vita (Commenti del deputato Nannicini), i voti di chi pochi giorni prima dichiarava di essere super partes e, appena dismessa la divisa di Presidente della Repubblica, è entrato nell'agone politico con il suo voto determinante.
Le chiedo, signor Presidente del Consiglio dei ministri, se siano etiche alcune dichiarazioni rilasciate dopo le votazioni sulla fiducia, del tipo «Ora farò come la cantante Mina, sparirò», oppure le dichiarazioni dei nuovi adepti di Ponzio Pilato della serie, «Si pronunci la Conferenza episcopale italiana sulle unioni di fatto e in materia di procreazione assistita», dato che le assicurazioni autorevoli che erano state date confermavano che non vi sarebbero state iniziative da parte del Governo in queste materie.
Assicurazioni autorevoli puntualmente smentite quarantotto ore dopo, considerate le dichiarazioni del ministro per la famiglia (o per le famiglie, poi vedremo) Bindi.
Signor Presidente, queste sono le affermazioni di chi le ha permesso di ottenere la fiducia al Senato. È questa, forse, l'etica cui lei si riferiva? Ciò serva anche di lezione a chi, all'interno della Casa delle libertà, pochi giorni fa sosteneva che occorre essere bipartisan quando si concorre all'elezione delle alte cariche dello Stato. Non mi sembra che vi sia stato, da parte vostra, un alto senso dello Stato nelle vicende politiche a cui abbiamo assistito in questi giorni.
Signor Presidente, nella sua relazione lei ha affermato che intende tagliare le auto blu e il personale di scorta ai politici: anche questa è una lodevole intenzione. Allora, mi può spiegare perché ha moltiplicato i ministeri, fino ad arrivare al numero di diciotto? È una questione etica anche questa o, forse, è solamente una mera spartizione partitica, che nulla ha a che vedere con l'etica della politica? In questo turbinio di nuovi ministeri, di materie trasferite da un ministero all'altro, avete già combinato dei bei pasticci! Tutta una serie di assurdità tali che, se fossero
state realizzate da un Governo di colore diverso dal vostro, si sarebbero già visti manifestare in piazza i sindacati, i neogirotondini di turno, le associazioni dei consumatori e gli enti locali, per non parlare della stampa che, come sempre, su tale questione ha messo il silenziatore.
Complimenti, signor Presidente, è un bell'inizio per il suo Governo! Un Governo che vuol far credere di essere capace di risolvere i problemi di questo paese.
Lei chiede al nord di essere la locomotiva di questo Stato. Mi viene spontaneo chiedere se ancora il nord abbia voglia di fare da traino a chi non vuole assolutamente capire le vere esigenze dei popoli del nord. Siete venuti nelle nostre piazze a proclamare che il modello di sviluppo che per anni è stato la linfa vitale dell'economia italiana è sbagliato o - peggio ancora - è un modello incentrato sugli egoismi personali o quant'altro. Quante volte abbiamo ascoltato queste vostre affermazioni anche da parte di chi, signor Presidente della Camera, ricopre ora importanti cariche istituzionali, oppure da parte di coloro che in questo momento guidano ministeri fondamentali per l'economia!
Ora, lei chiede ulteriori sacrifici e maggiori contributi al nord. Non vorrei - lo ha appena detto un collega della maggioranza - che lei pensasse subito ad una tassa per lo sviluppo. Ma in cambio di cosa lei avanza queste richieste? Forse, in cambio di infrastrutture moderne ed efficienti? Non mi sembra, vista la mancanza di sue dichiarazioni a favore di opere viarie e infrastrutturali importanti per il nord. Al contrario: abbiamo assistito ad una serie di dichiarazioni, da parte dei suoi ministri, contraddittorie e di segno estremamente negativo.
PRESIDENTE. Onorevole Dozzo...
GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, le chiedo ancora un minuto di tempo. In quelle dichiarazioni ho ravvisato una sorta di intento punitivo verso quella parte del paese che non l'ha votata.
E, ancora, signor Presidente, è sicuro che il nord la voglia seguire sull'introduzione della droga libera e sull'immigrazione incontrollata? Infatti, questi sono gli intendimenti di alcuni suoi ministri. È sicuro che il nord voglia fare da traino ad un Governo che pone come priorità il provvedimento sull'amnistia, facendo sì che siano rimessi in libertà migliaia di malviventi? È sicuro, signor Presidente, che il nord si metta a disposizione di chi, quando era Presidente della Commissione europea, non ha saputo non dico tutelare i cittadini italiani, ma nemmeno quelli europei? Non so se lei ricorda un famoso provvedimento - che sicuramente rammentano i nostri vignaioli - che consentiva di inserire le menzioni tradizionali dei nostri vini sulle etichette dei produttori extracomunitari, facendo sì che queste bottiglie di vino, con le nostre denominazioni tradizionali (Brunello di Montalcino, Chianti, Amarone e quant'altro), potessero essere vendute in Europa.
Lei ha fatto questo e poi dice che bisogna combattere la globalizzazione ed i rischi della globalizzazione stessa! Se il suo modo di governare è quello da lei usato nei cinque anni di Presidenza della Commissione europea, signor Presidente, spero che domenica e lunedì prossimi ed il 25 giugno i cittadini del nord sappiamo dare una risposta contraria alle sue aspettative. Grazie per la sua attenzione, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella, alla quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, gentili rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, vorrei iniziare il mio intervento esprimendo il più sentito e sincero apprezzamento per il discorso del Presidente del Consiglio, per il profilo alto e solido proposto e l'impostazione strategica di limpida discontinuità politica e culturale rispetto al Governo precedente. Con convinzione ed entusiasmo, non solo voterò la fiducia ma, assieme ai parlamentari
Verdi e dell'Unione, mi impegno a sostenere e rafforzare l'azione di governo soprattutto perché posizioni ed orientamenti espressi e condivisi a livello programmatico non abbiano a trovare impedimenti, arretramenti, ma vengano consolidati e portati a progressiva e puntuale attuazione.
Signor Presidente del Consiglio, è di venerdì scorso la sentenza della Corte di cassazione che conferma la condanna, già comminata in appello, dei vertici di Montedison, responsabili di non aver rispettato le norme di tutela della salute dei lavoratori e di salvaguardia dell'ambiente. Si tratta di una sentenza storica che, certo, non risarcisce pienamente il danno umano ed ambientale, enorme ed irreversibile, i morti ed i malati per CVM del petrolchimico di Porto Marghera, la sofferenza dei familiari delle vittime, l'inquinamento di terreni e fondali di un'area vastissima a ridosso della città di Venezia, la cui bonifica, come è noto, richiede uno sforzo economico gigantesco. Questo no, purtroppo: i tempi della giustizia - come lei, signor Presidente, ha sottolineato nel suo discorso - sono lenti, i reati spesso si prescrivono, le normative non sempre sono stringenti, le interpretazioni giurisprudenziali talvolta incoerenti. Tuttavia, questa sentenza rappresenta una svolta: dà ragione alla denuncia di un operaio del petrolchimico di Marghera, Gabriele Bortolozzo, che molti anni or sono, assieme ad un pugno di compagni di lavoro, di ambientalisti ed attivisti di Medicina democratica, fornì la documentazione di base per l'inizio del poderoso lavoro inquisitorio del magistrato Felice Casson, ora collega senatore. Tale sentenza afferma in modo netto ed inequivocabile la centralità e priorità del diritto alla salute e della salvaguardia dell'ambiente, che non possono e non devono essere sacrificati alla logica del profitto e del mercato.
Mentre il comune di Venezia si avvia ad indire una grande consultazione sulla permanenza a Porto Marghera di una chimica legata al ciclo del cloro e del fosgene, noi chiediamo al Governo di affrontare con un approccio davvero innovativo e lungimirante questa come altre cruciali questioni legate alla necessità di trasformazione e di conversione industriale, di uscita dalla crisi sistemica di un modello di sviluppo che ha esaurito, assieme ai beni e risorse sociali ed ambientali, la propria forza propulsiva e competitiva.
C'è un altro punto su cui vorrei richiamare la sua attenzione, signor Presidente: quello della salvaguardia di Venezia e della sua splendida laguna. Nel programma dell'Unione non si fa cenno specifico a come il Governo dovrà porsi rispetto alla tanto discussa chiusura delle bocche di porto con le grandi dighe mobili, meglio note come Mose. Noi riteniamo che sia indispensabile sospendere i lavori e, prima che i danni di un'opera costosissima e pericolosa per gli equilibri idrodinamici e geomorfologici del sistema lagunare siano resi irreversibili, fare quello che non si è mai fatto: un'analisi dei progetti alternativi più duttili, sperimentabili e meno costosi, un'applicazione rigorosa della normativa nazionale e comunitaria in materia di valutazione di impatto strategica.
Sulle grandi opere, condividiamo la scelta di ridisegnare il sistema infrastrutturale, secondo le linee delineate nel programma, e di stabilire, a fronte di risorse limitate, le priorità; come pure condividiamo la scelta di ripristinare il ruolo decisionale e la responsabilità degli enti locali e di coinvolgere le comunità del territorio interessate dalle scelte.
Siamo d'accordo sulla necessità ed il proposito, da lei espressi, di dare un segnale forte - ripeto - di discontinuità rispetto alle politiche delle Governo precedente, per combattere la crisi che pesa sul paese non solo sul piano economico-finanziario ma - e questo è più grave e difficile da contrastare - sul piano culturale ed etico, circa il conflitto di interessi, il pluralismo del sistema dell'informazione e della comunicazione, il ripristino della fiducia tra cittadini ed istituzioni; dobbiamo profondere il massimo dell'impegno e mettere mano a tutte quelle leggi approvate nel corso della passata legislatura che hanno prodotto squilibri e guasti.
Discontinuità, quindi, anche in politica estera, che si traduce fin da ora nella decisione di ritiro delle nostre truppe dall'Iraq, nella volontà di reimpostare la politica sul piano internazionale, scegliendo il multilateralismo, la prevenzione dei conflitti e il prosciugamento dei bacini dell'odio, la costruzione di un ordine giuridico internazionale in sintonia con quanto previsto dalla nostra Costituzione. Discontinuità anche in ordine agli indirizzi di economia e finanza, alle politiche ambientali, sociali e dell'immigrazione, a quelle per la scuola, la ricerca e l'università, in modo tale da garantire in maniera omogenea e uguale, efficace in tutto il paese, la possibilità di crescita e sviluppo in termini di qualità e vera competitività.
Ma, per affrontare una sfida di questa portata, dobbiamo avere il paese, le donne e gli uomini in carne ossa con noi; dobbiamo avere la capacità di interloquire con coloro che non hanno votato per noi, di rispondere ad aspettative, esigenze, preoccupazioni, convinzioni che si sono espresse anche negandoci il voto e la fiducia.
I problemi di una società che nel corso di questi ultimi anni si è impoverita, di un sistema formativo e della ricerca su cui non si è voluto investire, di un mercato del lavoro che non garantisce ai giovani, soprattutto del meridione, buona e sicura occupazione, di un sistema di welfare messo alle strette da nuove incombenze e tagli ai trasferimenti agli enti locali, riguardano tutto il paese. Magari potessimo condividere con l'opposizione almeno il livello dell'analisi delle criticità, la lettura sobria della realtà, e da lì partire per proporre ricette, anche alternative, percorsi e soluzioni differenti e dialetticamente messi a confronto. Sarà molto difficile, purtroppo, ma è una via che si deve tentare.
Un'ultima considerazione, Presidente. Molte parlamentari hanno posto il problema, da lei opportunamente sollevato, della scarsa presenza di donne nella compagine governativa. Io osservo che, nonostante le regole inscritte in quasi tutti gli statuti dei partiti della nostra coalizione, nonostante le affermazioni fatte in tante occasioni, anche qui, in quest'aula, da vari leader, la ricerca dell'equilibrio tra i sessi nella ricerca dei rappresentanti di Governo, non è stato scelto un criterio guida. È stato sacrificato, è evidente, ad altre logiche.
Vi sono state pressioni alla competizione, resa ancora più aspra dalla legge elettorale vigente, tra partiti ed in seguito alla conseguente spartizione dei posti pattuita tra i leader.
Nessuna di noi credo si aspettasse un esito così deprimente. Siamo state spiazzate, ma la lotta per il potere non risparmia colpi, lo sappiamo: le donne o servono allo scopo o spariscono! I titoli, i talenti, le virtù contano di meno o non prevalgono!
Non si tratta solo di correggere il tiro con nuove regole. Questi dispositivi - lo ripeto - sono presenti negli statuti, ma magari bastasse. Quanto è successo è il segno di un'arretratezza politica e culturale. È una criticità del sistema, il segno di una distanza drammatica tra istituzioni e paese reale, tra politica e società.
Credo che non possiamo - donne e uomini dell'Unione, ma non solo - sottrarci ad una profonda riflessione, ad un'assunzione di responsabilità, evitando di rimuovere quei conflitti e contraddizioni che possono essere salutari e utili per produrre quei mutamenti di pratica e cultura politica indispensabili per il buon Governo del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e dell'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Belisario, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti di tempo. Ne ha facoltà.
FELICE BELISARIO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, signori ministri, onorevoli colleghe e colleghi, se volessimo caratterizzare le comunicazioni che il Presidente Prodi ha reso a questa Assemblea potremmo dire, senza incertezze, che esse indicano un diverso modo di intendere la funzione di Governo che deve esprimersi in un clima di serenità, di concertazione e di ottimismo. Non vi è chi non abbia colto nelle sue
parole, onorevole Prodi, la preoccupazione di dover lavorare sodo con la squadra, prendendo in mano le redini di uno Stato in cui le contraddizioni economiche, sociali, culturali e politiche, sono state esasperate - chissà se a volte deliberatamente !- ma che devono essere oggi superate in fretta per il bene di tutti i nostri connazionali e non certamente di una sola parte.
Due sono i punti che vorrei brevemente trattare e che stanno molto a cuore all'Italia dei valori: mi riferisco alle condizioni per restituire competitività al sistema economico e stabilità alle relazioni sociali e al funzionamento della giustizia.
In ordine alla prima questione, vorrei ricordare che l'economia liberale si fonda sul rispetto di regole certe e condivise. In Italia, di regole ve ne sono, forse, fin troppe, ma non sempre sono chiare e, a volte, è mancata persino la volontà di farle rispettare, se addirittura non è emersa quella di eluderle.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'economia è stata in balia dei più furbi e prepotenti che, in ogni settore della vita pubblica e privata, sono stati portati in continuazione a sfruttare sanatorie, prescrizioni, condoni di varia natura, indulti et similia.
Purtroppo, e lei, signor Presidente, lo conferma nelle sue comunicazioni, è passata l'idea che è possibile, pur violando consapevolmente la legge, sperare di farla franca. Prima ancora dei codici, è stata calpestata l'etica dei comportamenti che deve presiedere ad ogni azione umana.
Al punto in cui siamo, tutti, la famiglia, il mondo dell'istruzione, della cultura e del volontariato, le forze produttive e sociali e, ovviamente, prima degli altri noi della politica dobbiamo sanare questo vulnus pericoloso per i nostri giovani, bombardati da modelli di vita a volte tutt'altro che encomiabili.
Pertanto, per ridare credibilità al nostro sistema va innanzitutto stanato, senza esitazioni e blandizie, tutto quel mondo imprenditoriale sommerso che sottrae risorse fresche ad un'equilibrata politica di risanamento e di investimenti.
Vanno ridati fiducia e sostegno al sistema delle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto connettivo dell'Italia. Pur nella necessaria compatibilità con la libera concorrenza, va salvaguardata la proprietà italiana di grandi imprese che sono strategiche per il paese, connotandone alcune di esse persino l'immagine stessa.
Va combattuta la criminalità organizzata che condiziona almeno quattro regioni, che condiziona visibilmente l'imprenditoria e la vita socioeconomica e che tende più spesso a internazionalizzare influenze e guadagni. È finanche pleonastico sottolineare che gli investimenti stranieri sono destinati ad annullarsi proprio in quelle regioni perché nessuno avrà voglia di investire avendo un partner irritante e pericoloso.
Al riguardo, intendo suggerirle, signor Presidente, il rifinanziamento del fondo antiracket e antiusura proprio per contribuire con forza a liberare il mondo delle imprese, specie nel Meridione d'Italia, dallo strangolamento dell'usura e dal ricatto della malavita.
Ella lo ha affermato: il Mezzogiorno non è un peso, ma è una risorsa. Per questo deve liberarsi al più presto di ogni forma di malaffare.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Belisario.
FELICE BELISARIO. Presidente Prodi, onorevoli colleghi, comprenderete l'attenzione che l'Italia dei Valori presta alla giustizia e al rispetto della legalità. Intendiamo mantenere gli occhi bene aperti: una giustizia più giusta non è quella che consente la dilatazione dei processi penali per un frainteso eccesso di garantismo e neppure quella che non è riuscita a tagliare i tempi dei processi civili, né quella che consente processi amministrativi caratterizzati da un rito fin troppo sommario nella fase cautelare.
Non serviva e non serve la riforma dell'ordinamento giudiziario approvata nella scorsa legislatura, forse in modo confuso e probabilmente con intento punitivo.
La riforma va immediatamente sospesa e calibrata per il meglio.
Mi avvio alla conclusione, Presidente. Chiediamo l'attuazione in questa legislatura del processo telematico civile per abbattere i tempi; conosciamo il particolare clima di emergenza che attraversa il mondo penitenziario, ma ritengo che ogni provvedimento vada meditato, preceduto da una chiara indicazione delle priorità della riforma per evitare che diventi un rattoppo.
A pochi giorni dal 2 giugno, nel sessantesimo anniversario dall'avvio dei lavori della Costituente, intendendo qui ribadire l'impegno dell'Italia dei Valori per respingere con il referendum la riforma che, a nostro avviso, stravolge la Costituzione, vorrei rendere un omaggio ai nostri padri costituenti, concludendo con le parole di Piero Calamandrei: «Per fare buona politica non c'è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie: la buona fede, la serietà e l'impegno morale. In politica, la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l'essere un buon affare».
PRESIDENTE. La prego di concludere!
FELICE BELISARIO. Noi siamo al suo fianco, Presidente, perché nel suo Governo ci sono anche grandi uomini e professionalità di grande statura: le auguriamo buon lavoro. A questa Assemblea rivolgiamo l'augurio di un impegno costante e proficuo, libera da faziosità e intolleranze (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Italia dei Valori e dei Verdi - Congratulazioni).
In conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.
Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di cinque minuti.
MARIO BARBI. Signor Presidente, colleghe, colleghi, parlo per la prima volta in quest'aula, lo faccio con emozione, ma anche con orgoglio, consapevole della dignità del luogo in cui siedono i rappresentanti della nazione, accomunati, credo, al di là delle diverse appartenenze, dall'amore per l'Italia. Il nostro è un grande paese, merita un Governo all'altezza delle sue possibilità e delle sue ambizioni.
Ecco allora, signor Presidente del Consiglio, che vorrei esprimere un apprezzamento pieno, sincero e convinto per la compagine di Governo e per il programma che lei ha presentato all'esame del Parlamento.
La fiducia che lei chiede al Parlamento è la naturale conseguenza della preferenza che gli elettori hanno mostrato per la proposta dell'Unione di centrosinistra. Questo nostro paese, in cui lunga e intramontabile sembrava la pratica del trasformismo e della cultura della consociazione, ha scelto da un quindicennio ormai la strada del bipolarismo e dell'alternanza.
Lei, signor Presidente del Consiglio, ha contribuito con costanza, tenacia e coerenza a dare forma e sostanza a questa ricostruzione bipolare del sistema politico, tenendo fermo nell'Unione il filo dell'Ulivo. Il filo di un percorso politico che oggi dà il nome al più grande gruppo della Camera, il filo di un percorso politico che presto darà la forma al soggetto democratico e riformista di cui l'Italia ha bisogno per guidare, certo in concorso con gli alleati di centro e di sinistra riuniti nell'Ulivo, quel grande progetto di rinnovamento, indispensabile per il nostro paese se non vogliamo accontentarci di scivolare alla periferia del mondo, come già accadde tra la fine del Rinascimento e l'avvio del Risorgimento nazionale.
Signor Presidente del Consiglio, per la seconda volta, lei ha sconfitto la destra, portando al Governo le correnti e le culture riformatrici di questo paese. Si parla di contrapposizione e paese diviso, ma nella contrapposizione, se vi è la condivisione
delle regole, si può vedere anche l'unità del sistema, ovvero quella concordia che lei ha ricordato nel suo discorso programmatico. Concordia, dunque, ma non confusione di ruoli e di proposte, anzi distinzione di ruoli e di proposte, a partire anche dalla politica del nostro paese verso l'Europa, in quanto il ritorno dell'Italia al centro dell'Europa è un'esigenza non solo nostra, ma dell'intera Unione europea. Occorre ricucire lo strappo determinato da quella lettera sulla guerra di Bush in Iraq, alla quale aderì il Governo italiano nel 2003 che, seguendo la decisione unilaterale britannica, suggellò in modo vistoso e grave la disunione europea.
Distinzione vi è anche sulla riforma della seconda parte della Costituzione del centrodestra che sarà sottoposta a referendum il 25 e 26 giugno prossimi. Noi voteremo «no», in quanto non la condividiamo, non ne condividiamo l'impianto squilibrato dei poteri, la macchinosità del processo legislativo, la tendenziale diversificazione dei diritti di cittadinanza. Per questo, per l'unità nazionale, voteremo «no»; dunque, non perché siamo contro le riforme, ma perché siamo per riforme condivise, per un assetto equilibrato dei poteri, per una democrazia governante e per un federalismo solidale nel rispetto assoluto dei valori della prima parte della Costituzione.
Signor Presidente, lei nel suo discorso ha fatto un forte richiamo alle regole e alla necessità di scuotere il paese dal torpore e dalla rassegnazione. Le sue proposte sono importanti e convincenti: la riduzione delle tasse sul lavoro, per liberare risorse per gli investimenti e per migliorare i redditi di lavoro dipendente; le politiche per la famiglia, la natalità e le politiche per i giovani, per l'istruzione, la ricerca e contro la precarietà.
Si tratta delle stesse proposte che lei, Presidente Prodi, ha fatto in campagna elettorale ed è questa una prova di grande serietà. Grande in questo senso e in questa prospettiva è il compito della politica. La sobrietà che lei ha richiamato deve partire dal collegamento degli eletti con il territorio, legame spezzato da questa sciagurata legge elettorale. Spetta alla politica promuovere il civismo e il senso del dovere, a partire dai comportamenti fiscali dei cittadini.
Un'ultima notazione: la politica ha bisogno di più solidità e meno spettacolo, di meno dipendenza dalla televisione e di dipendenza dalle comunità e dai territori. È anche per questo che mi auguro che, tra le priorità dell'azione del suo Governo, vi sia il riordino del sistema delle comunicazioni. Occorrono regole migliori per la concorrenza e il pluralismo. Non è bene che l'azienda del servizio pubblico sia assoggettata alla cultura della televisione commerciale, anche se forse è auspicabile che una parte di questa azienda sia destinata all'attività commerciale; ma, allora, che ciò avvenga a partire da una distinzione societaria che ci consenta un rendiconto e un governo distinto delle due missioni svolte!
Non è poi comprensibile che il pluralismo esterno del sistema televisivo non sia almeno pari a quello che conosciamo per la carta stampata, né è comprensibile che l'inaccettabile concentrazione di risorse e di ascolti, che caratterizza il sistema televisivo tradizionale, continui a crescere anche nel cosiddetto nuovo mondo digitale, accompagnata tra l'altro da un rinnovato legalizzato sacco delle frequenze come negli anni Ottanta.
Signor Presidente del Consiglio, abbiamo fatto molta strada per costruire un sistema politico moderno e stabile. Molta ne resta da fare per migliorare e rilanciare il paese. Con lei non corriamo il rischio di tornare indietro. Sono dunque lieto di votare la fiducia al suo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dell'Italia dei Valori - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, una fase politica si è chiusa, una nuova si apre. Penso che ciò apparirà con maggiore chiarezza tra alcune settimane,
dopo le elezioni amministrative e, soprattutto, dopo il referendum del 25 giugno. Non è difficile, infatti, prevedere che esso avrà conseguenze profonde sugli sviluppi politici. Se vincerà il «no» sarà dissolto il cemento del compromesso politico senza il quale il centrodestra non è più in grado di ambire al governo del paese. In ogni caso, ritorna la questione irrisolta della riorganizzazione del sistema politico italiano, questione che si intreccerà nei prossimi mesi e nei prossimi anni con quella dell'azione di governo e delle sue difficili sfide. La maggiore o minore stabilità politica e l'esito stesso della scommessa del Governo dipenderà dal fatto che entrambe queste «gambe» svolgano la propria funzione e portino il peso con una distribuzione equilibrata.
È in questo quadro che si colloca il progetto dell'Ulivo, che, per questo, non è una questione privata di una parte del centrosinistra. Il cammino che insieme, caro Presidente Prodi, abbiamo iniziato per la costruzione di un nuovo soggetto politico - cammino che ha avuto nella costituzione dei gruppi parlamentari dell'Ulivo una tappa molto importante -, che forse avrebbe richiesto una maggiore solennità, non riguarda solo due partiti, DS e Margherita, nè soltanto la sinistra ed il centrosinistra. Soltanto una sgradevole avarizia e una inguaribile vocazione minoritaria può indurre a pensare in questi termini. Venendo da Torino, non riesco a non pensare ad un riformismo che non sia il risultato del rapporto e della contaminazione delle culture socialiste, cattoliche e liberali.
Qualcuno può davvero pensare che il movimento che già attraversa il centrodestra e che è destinato ad accrescersi sia un fenomeno che non riguarda il centrosinistra e la stessa prospettiva dell'Ulivo? No; se vuole fornire all'Italia quel bipolarismo maturo che ne accresca le energie, ne migliori le performance e che sappia far diventare la politica una risorsa e non un handicap, il centrosinistra deve guardare oltre se stesso.
Si dice sempre, con tanti esempi e richiamando tante ragioni, che il fascismo ha colpito la sinistra; ma forse molto di più il fascismo italiano ha colpito la destra, impedendone per molti decenni un autonomo e significativo ruolo politico. La formazione anche in Italia di una moderna destra europea sarà uno dei punti importanti dell'agenda politica dei prossimi anni. Poiché le forze politiche non sono sistemi chiusi ed autosufficienti, con questo processo anche noi del centrosinistra dovremo fare i conti ed interagire. Anche così si difende e si sviluppa il bipolarismo.
Rasserenare la democrazia italiana è obiettivo più ambizioso di un semplice, anche se non disprezzabile, fair play istituzionale. Rasserenare la democrazia è una questione che non riguarda le élite politiche, che pure hanno grandi responsabilità, ma i cittadini italiani ed il loro rapporto con la politica. I primi destinatari del bipolarismo mite non sono gli avversari, ma i cittadini, per i quali più si alza il volume del suono ed il livello delle grida, più diminuisce la possibilità di capire e di partecipare.
Rasserenare la democrazia è la condizione affinché si possa rispondere alla domanda di serietà, di responsabilità, di sobrietà e di misura, così forte nel paese. Rasserenare la democrazia è la condizione affinché la ricerca del consenso non impedisca né a chi governa né a chi fa l'opposizione di pronunciare accanto alla parola «diritti» la parola «doveri».
Voi, come centrodestra, di fronte alla crisi del rapporto tra la politica e parti importanti della società italiana avete giocato con durezza la carta dell'antipolitica, ma non direi il vero se non rilevassi che questa tentazione non ha riguardato solo voi.
Rasserenare la democrazia è, quindi, una sfida a voi, ma è anche, in primo luogo, una sfida a noi stessi. È una condizione per combattere l'antipolitica e ristabilire una praticabilità del campo per la partecipazione dei cittadini.
Chi di noi non ha conosciuto l'entusiasmo della democrazia diretta per le primarie? Ma, accanto alle primarie, è necessario un solido tessuto di democrazia
rappresentativa, della quale i partiti sono e resteranno i protagonisti essenziali. Su questo punto, il professor Giuliano Amato potrebbe rievocare per noi la lezione di Otto Kahn Freund. Ralf Gustav Dahrendorf intitolò un suo celebre libretto Quadrare il cerchio. Forse, allo stesso modo potrebbero essere riassunti i compiti che attendono il suo Governo: rispondere al bisogno di salario e di reddito e, al tempo stesso, ridurre il disavanzo pubblico ed accrescere la competitività; ridurre la precarietà, aumentare la sicurezza e, al tempo stesso, riconoscere il bisogno di flessibilità; ridurre le disuguaglianze e promuovere, al tempo stesso, la libera iniziativa degli individui.
Solo se usciamo dalla logica dei giochi a somma zero, solo se mettiamo in moto giochi a somma positiva, potremo riuscire a quadrare questo cerchio. E questo è il ruolo della politica e della democrazia, se riesce ad essere all'altezza delle sue tradizioni e delle sue promesse.
Buon lavoro, Presidente Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi de l'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forlani, al quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il Governo che si presenta a questa Assemblea per conseguirne la fiducia evidenza, fin nei suoi albori, condizioni di evidente precarietà e debolezza politica, non soltanto per gli aspetti ormai cronici di eterogeneità culturale tra le forze che costituiscono la coalizione di centrosinistra, più volte rilevati in questi anni dall'odierna opposizione, ma anche per il contesto in cui l'attuale maggioranza si è formata.
L'esito del voto di aprile ha evidenziato un sostanziale pareggio tra le due coalizioni contrapposte e questo significa, sul piano politico, che, in realtà, l'esecutivo appena costituito può ritenersi rappresentativo di una metà degli elettori e non rispondente all'orientamento espresso dall'altra metà. Noi, comunque, rispettiamo questo risultato e la legittimità di questo Governo e ci apprestiamo a concorrere con i nostri alleati allo svolgimento sereno del ruolo di opposizione; un'opposizione forte sul piano politico e parlamentare, soprattutto per il margine assai risicato che si rileva al Senato e che rende precaria la tenuta della maggioranza sui singoli provvedimenti di iniziativa governativa.
Ma un'opposizione forte, numericamente consistente, è anche investita da una pesante responsabilità di fronte al paese, allo stesso modo del Governo. È un'opposizione che può sensibilmente condizionare, in virtù degli strumenti regolamentari, l'attività legislativa ordinaria e l'azione della maggioranza. Ma, proprio per questo, le strategie della minoranza parlamentare devono, a mio giudizio, essere improntate al senso di responsabilità, ad una particolare attenzione alle esigenze, alle priorità del paese e alla tenuta istituzionale. Quindi, non un'opposizione barricadera e pregiudiziale, chiusa alla valutazione critica dei singoli provvedimenti proposti dal Governo e dalla maggioranza, ma un'opposizione attenta al merito dei problemi, ai contenuti delle proposte, alla diversa valenza dei provvedimenti.
Costante preoccupazione di tutti può ritenersi la possibilità di un intento demolitorio nei confronti di un'intensa e organica azione di riforma che ha caratterizzato la lunga fase del Governo di centrodestra nella scorsa legislatura, sotto la guida del Presidente Berlusconi: un periodo di grande travaglio sul piano internazionale, con riflessi particolarmente pesanti per un paese come il nostro, già gravato da croniche criticità (debito pubblico, la carenza di materie prime, la dipendenza da fonti energetiche molto costose); un periodo, tuttavia, in cui si è riusciti a garantire, per la prima volta, la governabilità e la stabilità di una medesima coalizione, di uno stesso primo ministro per un'intera legislatura, come ha
riconosciuto, qualche giorno fa, anche il neo eletto Capo dello Stato, cui rivolgo il mio saluto in quest'occasione.
Si è anche riusciti, nella scorsa legislatura, a varare finalmente importanti riforme di settore in grado di concorrere alla crescita e alla modernizzazione del paese, di frenarne le spinte recessive, di garantire condizioni di maggiore equità sociale e di più equilibrata distribuzione del reddito. Si è intervenuti in diversi campi, dalla scuola al mercato del lavoro, dal fisco alla previdenza, dalla sicurezza all'immigrazione, dal diritto societario alle semplificazioni normative, dalla competitività alle politiche familiari. Su questi ed altri aspetti della nostra attività riformatrice siamo pronti a contrastare con fermezza e determinazione ogni iniziativa che tenda a snaturarne i contenuti o a stravolgerne l'impostazione.
Pur non condividendo la logica del muro contro muro, che ha così intensamente caratterizzato il confronto fra le due coalizioni nell'ultimo decennio, ed anzi auspicando che quanto meno su alcuni aspetti fondamentali si torni, prima o poi, a dialogare, difenderemo con estrema decisione le riforme già adottate nell'interesse del paese.
Sotto questo aspetto, già dalle sue parole, signor Presidente del Consiglio, si avvertono dei segnali che, almeno a mio avviso, sono preoccupanti. In particolare, il suo giudizio sulla legge n. 30, del 2003 la cosiddetta legge Biagi, rispecchia quello delle componenti estreme della sinistra e della CGIL, quasi debba ritenersi la riforma stessa, e non la particolare congiuntura economica, la causa scatenante della precarietà occupazionale. Tale legge ha rappresentato, viceversa, un rimedio in grado di offrire prospettive di lavoro, anche a termine, anche flessibile, ma con le adeguate garanzie e tutele e in condizioni di trasparenza, a giovani o meno giovani che in questa fase sarebbero stati altrimenti condannati alla cronica disoccupazione oppure al lavoro sommerso.
Così come siamo preoccupati per le sorti della riforma scolastica dell'ex ministro Moratti, dopo avere ascoltato i propositi enunciati in ordine all'istruzione. Ritengo si tratti di una riforma che ha adeguato il nostro sistema alle sfide del nostro tempo e della globalizzazione, nonché alle rinnovate esigenze del mercato del lavoro. Tra l'altro, nelle dichiarazioni programmatiche, si è qualificata come sbagliata la pretesa liquidazione della formazione tecnico-professionale, quando invece la ratio della riforma è stata proprio quella di qualificare ulteriormente quel canale di istruzione, elevandolo ai livelli dell'istruzione tecnica tradizionale, proprio ai fini di quella valorizzazione la cui necessità viene invece segnalata ed auspicata nelle dichiarazioni programmatiche.
Rispetto poi ad un'altra importante riforma della scorsa legislatura, la cosiddetta Bossi-Fini (la riforma del testo unico sull'immigrazione), che il Presidente del Consiglio bolla nelle sue dichiarazioni programmatiche come demagogica ed inefficace, penso che essa abbia il merito di aver sancito il principio che vincola l'accesso al nostro territorio al contratto di lavoro, per favorire condizioni di vita autosufficienti e dignitose per gli immigrati e per tenere sotto controllo il fenomeno anche sotto il profilo della sicurezza. Si possono certo rivedere taluni aspetti, alla luce dell'esperienza e del monitoraggio, in un settore così delicato e in costante evoluzione; tuttavia, il principio deve essere comunque salvaguardato.
Ho ricordato solo alcune delle riforme di civiltà che potrebbero essere soppresse o stravolte sotto la spinta di culture massimaliste, il cui peso è cresciuto nell'ambito de L'Unione dopo queste elezioni. Verso questi intenti di liquidazione dei frutti di un'intensa e produttiva stagione di Governo appena terminata noi dispiegheremo un costante impegno di resistenza e di contrasto parlamentare, in coerenza con le nostre convenzioni e nel pieno rispetto di quelle dei nostri elettori.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Picano, al quale ricordo che ha 12 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
ANGELO PICANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il discorso programmatico
del Presidente del Consiglio si propone di portare l'Italia a ritrovarsi ad essere un paese normale ed unito. Per paese normale egli intende la dialettica politica come momento di confronto delle idee e dei programmi, e non come occasione di lacerazione della comunità nazionale. Egli è cosciente della stabilità del nostro sistema, che ha retto di fronte a tante spinte disgregatrici, dal terrorismo ai momenti di ristrutturazione del nostro sistema produttivo, alle gravi crisi della finanza pubblica.
Le sfide del XXI secolo, però, sono tante e l'Italia fa fatica ad affrontarle. La prima difficoltà che il paese ha incontrato è quella dei necessari aggiornamenti della Costituzione, necessitati dalle rapide evoluzioni del contesto socio-economico nazionale ed internazionale.
La Costituzione non è una legge come le altre, ma costituisce la base e l'appoggio indispensabile di ogni legge e di ogni indirizzo politico, la cui discrezionalità è, appunto, segnata dai confini della Costituzione stessa. Soprattutto in un sistema di tipo democratico, seppure idealmente considerato nella Costituzione, dovrebbero riflettersi il costume più profondo e stabile di una collettività, la sua identità e i suoi valori più durevoli, quelli cioè destinati ad accompagnare la trasformazione stessa della società. Perciò, il consenso di tipo costituzionale, divenuto problematico per il cedimento dei tradizionali collanti sociali, esige nella società e nelle istituzioni, oggi più che mai, ampi processi dialogici e mediativi e, dunque, una sfera pubblica largamente partecipata ed orientata alla sintesi.
La revisione costituzionale, che nel novembre 2005 è stata approvata in via definitiva dal Parlamento a stretta maggioranza governativa, è ora attesa da un referendum popolare confermativo, ultima tappa prima dell'entrata in vigore e, insieme, ultima occasione disponibile per fermarla. Tale revisione non è riconducibile ad uno scontro tra destra e sinistra, ma chiama in causa il futuro dell'idea stessa di Costituzione e, con essa, la condizione di pensabilità di una democrazia che non sia meramente formale.
Al di là delle scelte di merito, il testo è stato approvato al di fuori di ogni dialogo e, quindi, con chiusura verso ogni logica mediativa. L'attuale revisione costituzionale è stata giocata su equilibri interni alla maggioranza e si compone di istanze, spesso prive di coerenza logica, portate avanti dalle singole forze partitiche nell'alleanza di Governo. È chiaro che, in un sistema così fragile di equilibri, tutti interni alla maggioranza, ogni cedimento all'opposizione avrebbe comportato lo scardinamento della costruzione e con essa, probabilmente, dell'alleanza di Governo. In questo modo, però, tutto il costituzionalismo che, in ultima analisi, è tecnica di contenimento del potere, risulta ignorato e si prepara un'instabilità costituzionale, con la Costituzione coinvolta nel gioco delle rappresaglie tra coalizioni che si alternano al Governo.
Per questi motivi, siamo contrari alle modifiche apportate alla Costituzione dalla vecchia maggioranza di centrodestra e ci comporteremo di conseguenza al prossimo referendum, sulle linee indicate dal Presidente del Consiglio.
Durante un suo discorso, il Presidente Ciampi, in ricordo del giudice Livatino, ebbe ad affermare che la giustizia è il valore fondante di ogni Costituzione democratica. Le parole del Presidente condensano in modo mirabile i concetti basilari della Costituzione che, con l'adesione più totale al principio della separazione dei poteri, è volta a garantire la vita stessa dello Stato mediante un giusto equilibrio di tutte le sue componenti. Infatti, le migliori democrazie hanno i migliori sistemi giudiziari. Anche la contesa sui voti deve essere risolta da corti di giustizia, e l'efficienza del sistema economico dipende dalla rapida e chiara definizione dei rapporti controversi di debito e credito di esecuzione dei contratti, e così via.
La giustizia ha patito moltissimo il durissimo conflitto nella quale è stata coinvolta negli ultimi anni. Per questo motivo, abbiamo molto apprezzato lo spirito
di ricostruzione dell'armonia dei poteri dello Stato enunciato dal Presidente Prodi, segnando così la fine della guerra fredda con i magistrati. È possibile oggi sperare che le importanti e necessarie riforme siano ottenute con spirito collaborativo tra tutte le forze politiche e con assoluta attenzione a chi da tempo sostiene che non è ancora superata l'emergenza criminale degli scorsi decenni e che è primariamente necessaria una legislazione rispettosa dei diritti di tutti.
La giustizia, già lenta per una pessima consuetudine mai energicamente combattuta, è stata ultimamente posta in ulteriore difficoltà anche dall'alluvione delle leggi che hanno continuamente mutato le carte, spesso senza una visione organica e non raramente per fini di utilità dei governanti anziché dei cittadini. È necessario perciò agire per modificare le norme di riforma dell'ordinamento giudiziario che mettono a rischio l'indipendenza della magistratura.
È auspicabile, per la chiarezza politica, che si eliminino le leggi approvate per interessi personali, ma occorre nello stesso tempo sfoltire la pletora di disposizioni che generano incertezze in ogni settore, modificare il processo civile, ricorrendo alle competenze che l'università e le professioni possiedono, riordinare i riti alternativi del processo penale, ormai sfuggiti ad una concezione ordinata e ed organica. Nella chiarezza dei programmi e delle linee di indirizzo della maggioranza, la giustizia deve riacquistare efficienza, rapidità, quindi credibilità, nell'interesse del paese. Con questo spirito, ci auguriamo un atto di clemenza che possa sfoltire le carceri e funzionare da segnale di pacificazione sociale.
Abbiamo apprezzato le prime mosse del ministro Mastella, tese a riportare la fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia e quella degli operatori di giustizia nei confronti del Governo.
La dichiarazione dell'onorevole Prodi che il Governo intende mettere la famiglia al centro della propria azione nella sfera sociale trova completamente d'accordo l'Udeur. Abbiamo apprezzato i provvedimenti annunciati dal Presidente del Consiglio; noi, come lui, siamo convinti che il problema della famiglia meriti decisamente una assoluta priorità. La politica sembra spesso ignorare questa esigenza, perché continua a far riferimento agli individui, come se l'Italia fosse popolata da single e, non soprattutto, da mariti e mogli, da figli e figlie.
In questa luce, vanno ripensate le modalità di lavoro, l'organizzazione dei servizi, gli orari dei negozi, la struttura stessa della città. È necessario, pertanto, ripensare la politica urbanistica. Negli anni del secondo dopoguerra abbiamo visto affermarsi una concezione massificante e classista della struttura cittadina, per cui i quartieri sono stati progettati per censo: quelli poveri fatti di grandi casermoni senza servizi e quelli ricchi provvisti di tutte le comodità. Ne è venuta fuori una costante frustrazione, specialmente nei giovani abitanti dei ghetti popolari, e spesso è scoppiata la rivolta. L'esplosione dei giovani delle banlieue francesi ne è un esempio.
Bisogna perciò adottare una concezione urbanistica che tenga conto dei quartieri come sedi di una comunità umana, nei quali vanno incoraggiati e resi possibili il dialogo e l'integrazione. Tutti i cittadini devono sentirsi di pari diritto e con le stesse opportunità. In questo modo, daremo un contributo alla costruzione di città belle ed interclassiste, che manterranno gli equilibri sociali e toglieranno la terra sotto i piedi ai violenti.
Le dichiarazioni del ministro Bindi sulle coppie di fatto ci inducono a ricordare che su questa materia non c'è vincolo di coalizione. Perciò, noi Popolari-Udeur esamineremo le varie proposte presenti in Commissione per dare una regolamentazione alle coppie di fatto, a condizione che non siano equiparate al matrimonio, così come previsto dalla Costituzione.
Come è necessario integrare i diversi strati sociali all'interno della città, così si impone la ricerca costante dell'unità nazionale attorno a progetti di sviluppo che coinvolgano tutte le aree del paese. L'idea del Mezzogiorno esposta dal Presidente del
Consiglio ridà a quest'area un ruolo geopolitico da protagonista, quale ebbe qualche millennio fa al tempo della Magna Grecia e di Roma. Un ponte tra il sud e l'est del mondo con il nord Europa ha bisogno di infrastrutture, quali porti, strade, ferrovie, ma soprattutto di reti di telecomunicazione. La banda larga deve arrivare dappertutto, anche nei comuni più piccoli, perché in questo modo permettiamo a tutti i giovani, a tutte le famiglie, a tutte le imprese, di uscire dall'isolamento e di collegarsi con il mondo. Le tecnologie dell'informazione costituiscono una delle più grandi svolte della storia dell'umanità, perché coinvolgono e sconvolgono, in termini di estensione e di profondità, tutti i campi delle attività umane.
Signor Presidente, una particolare attenzione va data in questa prospettiva alle piccole e medie aziende del Mezzogiorno, come pure a quelle aree del sud del Lazio escluse ex abrupto, nel 1994, dall'«area Cassa», con la conseguenza che abbiamo dovuto assistere ad una graduale, ma costante deindustrializzazione, che ha provocato molti disagi, ma anche molta disoccupazione.
Signor Presidente del Consiglio, le sfide che attendono il Governo sono tante, ma lei già nel passato ha dato prova di saper governare le difficoltà. Siamo sicuri che anche questa volta saprà dimostrare rispetto per le istituzioni, capacità di governo dell'economia, solidarietà nei confronti dei più deboli e impegno per una politica di pace. In questo cammino avrà il completo appoggio dei parlamentari Popolari-Udeur (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romani, al quale ricordo che dispone di dieci minuti. Ne ha facoltà.
PAOLO ROMANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo che si presenta all'esame di questa Assemblea nasce debolissimo: gli elettori gli hanno negato una maggioranza al Senato e concesso una maggioranza esigua e risibile alla Camera. Anzi, il corpo elettorale nel suo complesso, signor Presidente del Consiglio, le ha negato la maggioranza dei voti.
Tralascio le sospette differenze del numero di schede bianche tra Camera e Senato; faccio finta di dimenticare l'improvvisa e, ancora una volta, sospetta diminuzione delle schede bianche tra le elezioni del 2006 e quelle del 2001; mi auguro solo che alle Giunte delle elezioni delle due Camere sia data la possibilità di riesaminare voti, schede e somme dei verbali, per garantire ai cittadini italiani, soprattutto a quel 50 per cento degli italiani che non vi ha votato, che l'attuale maggioranza formale non abbia usurpato la vittoria che oggi vi consente di governare.
Se lei, signor Presidente, dispone, oggi, di una maggioranza, ad esempio al Senato, questo è il risultato di un sistema elettorale che ha mescolato il privilegio dato alle regioni più piccole con il risultato degli eletti all'estero. Piccolo particolare: i cittadini residenti all'estero che vi hanno votato vengono premiati oggi con la soppressione del Ministero per gli italiani nel mondo!
A tutto ciò aggiungasi che ci troviamo in una situazione nella quale risulta sempre più decisivo il ruolo dei senatori a vita, i quali non hanno dietro di loro una legittimazione democratica.
Ora lei, signor Presidente, che può contare su una maggioranza formale così esile nelle due Camere - anzi, in questa Camera, su una maggioranza più forte soltanto perché con 24 mila voti ha preso 63 deputati in più, uno ogni 400 elettori -, lei, signor Presidente, che rappresenta un Governo che è minoranza nel paese e nel corpo elettorale, avrebbe dovuto fare qualcosa di diverso: avrebbe potuto e dovuto riconoscere che il paese è spaccato e che il risultato che ha conseguito non è stato un chiaro risultato elettorale; e avrebbe potuto e dovuto prendere atto della sua debolezza e chiamare, responsabilmente, tutte le forze politiche intorno al tavolo, per decidere come tirare il paese fuori da una situazione così difficile.
Lei, invece, signor Presidente, ha deciso di fare una cosa diversa: ha deciso di mettere in pratica le 281 pagine del suo programma elettorale; ha deciso di portare al Governo forze e personalità politiche così diverse e disparate che già nei primi giorni dal giuramento hanno fatto una quantità incredibile di dichiarazioni tutte in contraddizione fra di loro!
Le faccio solamente alcuni esempi. Il professor Prodi ha parlato della volontà, per quanto riguarda l'azione del suo Governo, di un forte - cito - e costante impegno nella lotta al terrorismo internazionale. Nella politica globale per la lotta al terrorismo - ha ancora detto Prodi - noi saremo partecipi convinti con i nostri valori e le nostre risorse. Peccato che vi stiate preparando a fuggire a gambe levate dell'Iraq, anche se il suo ministro degli esteri, D'Alema, ha avuto la spudoratezza di dire che l'Italia non scappa. Ma, intanto, tutti sembrano d'accordo nel volere il ritiro immediato delle truppe.
Ma non c'è solo il problema della nostra presenza in Iraq. Parliamo anche di Afghanistan. Cito: «ormai, dopo gli ultimi gravi fatti di sangue, ciò che accade a Kabul non è più solo un problema di Rifondazione». Parla così Patrizia Sentinelli, sottosegretario agli esteri e viceministro per la cooperazione allo sviluppo. Secondo la parlamentare di Rifondazione comunista, Prodi - cito sempre - dovrà occuparsi con urgenza dell'Afghanistan e si dovrà affrontare il problema della presenza italiana in Afghanistan. Come se il sacrificio di tanti nostri soldati e lo straordinario lavoro umanitario svolto in questi anni non abbiano avuto alcun significato!
Sulle grandi opere, sulla TAV in particolare, il ministro delle infrastrutture, Di Pietro, ha già tentato - invano - di aprire un dialogo; quindi, se non altro, ha tentato una posizione che non fosse irresponsabilmente di chiusura. Peccato che il sottosegretario all'economia Cento e la già citata collega Sentinelli abbiano già detto chiaramente che la TAV non si farà! Stessa sorte per il ponte sullo stretto di Messina, sul quale il ministro dei trasporti, titolare di un ministero tutto ancora da costruire, il professor Bianchi, ha già detto che si tratta di un'opera dannosa ed inutile, in polemica, anche in questo caso, con il ministro delle infrastrutture Di Pietro.
Anche sulla droga la posizione del ministro Ferrero di Rifondazione comunista è chiara: «La prima cosa sarà quella di abrogare la legge Fini-Giovanardi», non ricordando che l'attuale normativa è in perfetta sintonia con l'indicazione delle Nazioni Unite e con la politica antidroga della stragrande maggioranza dei paesi europei.
Ma il colmo lo raggiungiamo sulla legge Bossi-Fini. È sempre il ministro comunista Paolo Ferrero che chiarisce la sua posizione: «Sulla Bossi-Fini do un giudizio negativo: di fatto è impossibile entrare legalmente nel nostro paese e, quindi, occorre dare un permesso di soggiorno per la ricerca di un posto di lavoro della durata di un anno», dice a tutti i clandestini che sono oggi presenti e che sicuramente in futuro si riverseranno in massa nel nostro paese. Ovviamente, nel frattempo, sempre secondo il ministro comunista al welfare, si dovranno abolire i centri di permanenza (CPT).
Morale: stiamo comunicando ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo e all'Europa che l'ingresso nel nostro paese è libero per tutti e che chiunque può acquisire un permesso di soggiorno senza l'obbligo di garantire il rispetto delle regole che il nostro paese si è dato e che, a questo punto, valgono solo per i cittadini italiani.
Tralascio per amore e carità di patria l'incredibile ed avvilente polemica sulla parata militare del 2 giugno. Se una parte importante di questa maggioranza ritiene inopportuno l'omaggio alle nostre Forze armate, che da anni si celebra in occasione della festa della Repubblica, non so proprio dove andremo a finire.
Prima di concludere, vorrei fornire una risposta doverosa al neoministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni, il quale, in un'intervista pubblicata oggi su la Repubblica, ha dichiarato «morta» la legge Gasparri. Volevo solamente ricordarle, signor
ministro - leggerà poi il resoconto -, che, per quanto riguarda il digitale terrestre, nei due anni di applicazione delle misure contenute nella legge l'Italia ha recuperato tutti i ritardi rispetto agli altri paesi europei e, dopo la Gran Bretagna, è il paese europeo in cui il digitale è maggiormente diffuso (4 milioni di decoder, con una penetrazione del 20 per cento). La data del 2008, data dello swicht off, è ancora quella maggiormente all'avanguardia in Europa e molti paesi si stanno allineando alla scadenza e all'esperienza italiana.
Inoltre, proprio grazie alla razionalizzazione delle frequenze seguita dal digitale, l'Italia è il primo paese europeo che avvierà il servizio di DVB-H sulla televisione mobile, ed anche questo è un primato che viene studiato all'estero.
Il digitale è la grande opportunità per il nostro paese. Sono già diffusi nazionalmente 28 canali - forse non tutti lo sanno - che fanno capo a sette editori diversi (RAI, Mediaset, Telecom, Sport Italia, Il Sole 24 ore, BBC, Class Editori) e, proprio per la legge Gasparri tanto vituperata, nel settore televisivo è inoltre entrato il gruppo L'Espresso, cosa che fino a ieri non si poteva realizzare. Infine, grazie alla legge Gasparri, per la prima volta la RAI è divenuta un'istituzione bipartisan con l'elezione del presidente a maggioranza dei due terzi. Non solo, sempre la legge Gasparri ha istituito la contabilità separata, introducendo i meccanismi per individuare l'utilizzazione delle risorse da canone da quelle commerciali. Penso che avremo tempo per discuterne in modo più approfondito, viste anche le cose che ha detto oggi il ministro Gentiloni.
Signor Presidente del Consiglio, non so se andrete molto lontano. So solo che la sinistra radicale è il pilastro fondamentale della vostra maggioranza e vi procurerà non pochi problemi. Noi faremo un'opposizione dura ed intransigente, nel segno della rappresentanza e in nome di quel 50 per cento e più di cittadini italiani che non vi ha votato, che non ha creduto nelle vostre promesse e che è preoccupato per il futuro dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Musi, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Li Causi, al quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
VITO LI CAUSI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli ministri, onorevoli colleghe e colleghi, condivido pienamente l'attenzione che il Presidente Prodi, nelle sue dichiarazioni programmatiche, ha riservato alle questioni economiche e sociali del nostro paese, in particolare a quelle del Mezzogiorno, consapevole che lo sviluppo della Sicilia - che io ho l'onore di rappresentare - passi non nell'avere quattro ministeri o sessantuno deputati a zero, bensì nella necessità di un progetto che non si inventa, ma si vive, e che venga condiviso dall'intera nazione.
La Sicilia e il Mezzogiorno, infatti, hanno bisogno di quelle risorse finanziarie che, sino ad oggi, sono state limitate. In Sicilia occorrono grandi investimenti infrastrutturali nei porti, negli interporti, nelle strade e nelle reti ferroviarie. Si tratta di opere pubbliche che attribuirebbero al meridione un ruolo centrale in tutta la regione del Mediterraneo, la quale, negli anni a venire, diverrà area di libero scambio. Sono infrastrutture che agevolerebbero anche il circuito turistico, nonché tutte le attività legate alla valorizzazione del suo consistente patrimonio artistico, paesaggistico e culturale. Lo sviluppo del territorio siciliano creerebbe opportunità di lavoro tali da non costringere più i nostri giovani a lasciare la propria terra: a quel punto, signor Presidente, allora sì che saremmo favorevoli alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina!
È necessario, altresì, elaborare un provvedimento che alleggerisca l'attuale, insostenibile situazione delle carceri e che riattribuisca alla esecuzione della pena quello scopo rieducativo che gli è proprio, il quale costituisce un principio cardine
del nostro ordinamento. Come non ricordare, a tale riguardo, l'accorato appello del nostro amato Papa Giovanni Paolo II, il quale, in occasione della sua visita al Parlamento, ritenne opportuno rilevare come la politica non avesse fatto nulla e come bisognasse accelerare i tempi e dare un segnale concreto. Si tratta di un segnale che ritengo debba essere lanciato all'inizio di questa XV legislatura.
La maggioranza si è prefissata di perseguire una coesione istituzionale. Bisogna restituire fiducia alla magistratura e concedergli serenità, nel pieno rispetto dell'autonomia del potere giudiziario, così come il medesimo rispetto deve essere garantito alla classe politica nell'esercizio delle sue funzioni. Questo Governo si è prefissato, altresì, l'obiettivo di perseguire la coesione sociale, dandosi obiettivi di pace e lavoro per tutto il nostro paese.
Concludo, signor Presidente del Consiglio, assicurandole che noi deputati del gruppo Popolari-Udeur daremo il nostro pieno appoggio parlamentare, nonché il nostro impegno, affinché il Mezzogiorno d'Italia ed il paese intero trovino una guida ferma nel suo Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli, alla quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente del Consiglio, all'indomani di una vittoria quanto mai risicata - è da vedere poi, in sede di Giunta delle elezioni, se sia effettivamente veritiera -, ci si poteva immaginare da lei un comportamento ben diverso, vale a dire ben più istituzionale. Al contrario - immagino come per una sorta di rivincita verso non solo la Casa delle libertà, ma anche quella maggioranza degli italiani che non l'hanno votata -, avete compiuto una brutale occupazione del potere.
Vede, per cinque anni abbiamo ascoltato le vostre invettive: ci avete accusato di arroganza, di occupazione del potere e di non considerare l'opposizione. Ammettiamo con umiltà che, in questa materia, noi eravamo dei «pivellini», mentre voi vi siete dimostrati dei professori universitari!
Avete occupato non solo tutto ciò che vi era da occupare per quanto concerne l'esecutivo, ma anche le cariche istituzionali; almeno, però - poiché vi eravate attribuiti l'appellativo di maestri della politica -, potevate evitarci lo scempio dei Francesco Marini al Senato, oppure la raccomandazione - ben poco istituzionale e precedente all'elezione del Presidente della Repubblica - di far presidiare il Colle da un democratico di sinistra, affinché il primo partito della coalizione non fosse escluso, evitando così ripercussioni sul suo Governo.
In seguito, siete arrivati alla formazione del Governo, e lì vi sono stati ulteriori passi falsi, a cominciare dal primo momento istituzionale che il suo Governo ha vissuto: il giuramento. Hanno giurato ministri di ministeri esistenti, hanno giurato ministri di ministeri che per la legge italiana non esistevano. Poi, avete continuato e mi dispiace soltanto che vi siate fermati a quota 99. Bastava un piccolo sforzo ed eravate a 100, forse a 101; mi auguro soltanto che non siano veritiere le voci giornalistiche secondo cui vi stareste apprestando a nominare un'altra manciata di sottosegretari per accontentare qualche parte particolarmente ingorda della maggioranza che ella presiede.
In più, signor Presidente del Consiglio dei ministri, lei che ci ha richiamato alla serietà, alla sobrietà dei costi della politica, lei che è venuto qui a dirci di limitare le prebende e le auto blu, non so quanto ha considerato il fatto che non vi siete ancora nemmeno insediati a Palazzo Chigi: infatti, se il suo Governo avrà la ventura di durare almeno un anno, costerà a questo paese 15 milioni di euro, e ciò solo per essere entrati!
Ma, vede, oltre alla cifra del potere, mi pare che il suo Governo si caratterizzi anche per essere «contro»: non solo contro tutto quello che ha fatto il Governo Berlusconi - ciò sarebbe legittimo, anche se estremista (siete contro la riforma Moratti, la riforma della giustizia, la riforma
del lavoro, la riforma economica) -, ma anche contro l'operato del primo Governo Prodi, e questo è assolutamente avvilente. I suoi ministri contestano il cosiddetto pacchetto Treu, la legge Turco-Napolitano, chiedono la chiusura dei CPT e hanno azzerato - assieme a lei, poiché autore delle nomine - la legge Bassanini. Noi, che facevamo parte di un altro Governo, l'abbiamo dovuta accettare mentre lei, appena arrivato, ha giustamente azzerato una delle riforme principali del suo precedente Governo.
PRESIDENTE. Onorevole Santelli, si avvii a concludere.
JOLE SANTELLI. Concludo rapidamente, rilevando che questa è sicuramente una maggioranza eterogenea. Lei, Presidente Prodi, continua a nascondersi dietro un poderoso - in termini numerici - programma elettorale. Purtroppo, la realtà è diversa e arriverà alle porte. Credo che dovreste fare - se il programma elettorale è usato come il Vangelo - una particolare ricerca ermeneutica per trovare una maggioranza che sosterrà questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, onorevoli colleghi e colleghe, la SVP ha ascoltato con grande interesse le dichiarazioni programmatiche del Presidente Prodi; esse sono in linea con il programma elettorale della coalizione, condiviso anche dal nostro partito.
Vorrei ricordare all'Assemblea che la decisione di schierarci non era facile per noi, che stiamo storicamente al di fuori dei due blocchi. La SVP non è mai stata e non sarà mai un partito di sinistra poiché, come partito di raccolta delle minoranze linguistiche tedesche e ladine, rappresenta un classico partito di centro. Tanti dei nostri elettori avrebbero preferito una «non scelta» e, quindi, una posizione equidistante tra i due blocchi; però, l'attuale sistema bipolare, imposto anche dalla vigente legge elettorale, non consente una tale scelta, se non al prezzo di essere fortemente penalizzati in termini di rappresentanza politica in Parlamento.
Determinante per la nostra scelta era la personalità del Presidente Prodi, che anche in passato aveva dimostrato di essere un grande amico della nostra terra, delle autonomie speciali e delle minoranze linguistiche, e che ci ha dato ampie garanzie per lo sviluppo dinamico della nostra autonomia.
L'alleanza con le forze del centrosinistra non significa, comunque, che la SVP diventi una parte organica de L'Unione o dell'Ulivo: restiamo un partito di centro con la propria autonomia e indipendenza, sebbene facente parte della coalizione di centrosinistra. Cercheremo, quindi, di rafforzare l'anima centrista della coalizione. Non neghiamo di non essere riusciti a convincere tutto il nostro elettorato della bontà di questa alleanza di cui fanno parte anche i partiti che si ispirano all'ideologia comunista. I nostri elettori si sono, almeno in parte, fatti disorientare dalla campagna di Berlusconi, che dipingeva tutti coloro che non sono e non erano con lui come comunisti. Abbiamo pagato un prezzo politico non indifferente in termini di voti. Il nostro comune impegno deve essere, quindi, quello di recuperare la fiducia dell'elettorato moderato, e ciò non potrà avvenire con belle parole, ma attraverso fatti concreti.
Siamo convinti che con questo Governo saranno finalmente finiti i tempi delle leggi una tantum, dei condoni e dei provvedimenti ad personam e, sicuramente, saranno da revisionare alcune leggi del precedente Governo. Ma siamo assolutamente contrari alla cancellazione indiscriminata di tutto quanto si è fatto. Ciò vale per la legge Biagi, per la legge Bossi-Fini, ma anche per una parte della cosiddetta devolution. Il mondo del lavoro ha sicuramente bisogno di più flessibilità e la precarietà non va combattuta con imposizioni,
ma con incentivi per le imprese che decidono di stabilizzare i rapporti di lavoro.
Siamo per una politica sull'immigrazione rigorosa e coerente, che garantisca ai lavoratori extracomunitari una vita dignitosa; ma riteniamo che sia giusto richiedere loro, altresì, il rispetto delle sensibilità, delle tradizioni e dei costumi della popolazione locale.
In ordine alla riforma costituzionale, bisogna riconoscere che, con un voto trasversale, sono stati recepiti i nostri emendamenti a salvaguardia delle autonomie speciali; in particolare, il principio che modifiche statutarie possano avvenire solo di intesa tra Parlamento e assemblee regionali e provinciali. Queste guarentigie devono, comunque, trovare ingresso nella Carta costituzionale, indipendentemente dall'esito del referendum di giugno.
Ma la vera sfida di questo Governo sarà la politica economica e fiscale. Il Governo Berlusconi ci ha lasciato una pesante eredità con un debito pubblico e un deficit alle stelle. Siamo convinti che la via giusta non siano riduzioni fiscali per guadagnarsi facili consensi, ma la riconquista della competitività; il che non sarà possibile senza una significativa riduzione del costo del lavoro. Condividiamo, quindi, l'obiettivo del Governo di tagliare di cinque punti il costo del lavoro da finanziare con la crescita e con i tagli, e certamente non con aumenti della pressione fiscale per le imprese. Ricordo che le tasse sulle rendite finanziarie in Italia sono inferiori di 8 punti rispetto alla media europea.
Condividiamo e siamo, inoltre, convinti che il Governo Prodi farà ripartire il motore dell'autonomia dinamica, eliminando la situazione di stallo degli ultimi cinque anni.
PRESIDENTE. Onorevole Zeller...
KARL ZELLER. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Zeller, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
KARL ZELLER. Auguro, quindi, un buon lavoro al Presidente Prodi. In futuro saremo partner leali (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche, de L' Ulivo e dei Popolari-Udeur)!
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico che il deputato Giorgio Calò ha inviato al Presidente della Camera, in data 22 maggio 2006, la seguente lettera:
«Essendo entrato a far parte del Governo, con la presente rassegno le mie dimissioni da segretario di Presidenza.
Con i migliori saluti. In fede.
Giorgio Calò».
PRESIDENTE. Comunico che sono stati chiamati a far parte della Giunta delle elezioni i deputati: Emerenzio Barbieri, Felice Belisario, Gabriele Boscetto, Donato Bruno, Gianfranco Burchiellaro, Giuseppe Consolo, Silvio Crapolicchio, Teresio Delfino, Gianni Farina, Gregorio Fontana, Pierfrancesco Gamba, Elisabetta Gardini, Donata Lenzi, Daniele Marantelli, Roberto Maroni, Sergio Mattarella, Rolando Nannicini, Vincenzo Nespoli, Nicodemo Oliverio, Gaetano Pecorella, Maria Cristina Perugia, Antonio Pezzella, Camillo Piazza, Angelo Picano, Rino Piscitello, Franco Russo, Antonello Soro, Maurizio Turco, Denis Verdini, Massimo Zunino.
Comunico, inoltre, che sono stati chiamati a far parte della Giunta per le autorizzazioni i deputati: Maria Teresa Amici, Matteo Brigandì, Nicola Crisci, Raffaele
Di Gioia, Daniele Farina, Paola Frassinetti, Massimo Fundarò, Mariastella Gelmini, Carlo Amedeo Giovanardi, Oriano Giovanelli, Antonio Leone, Pierluigi Mantini, Nino Mormino, Federico Palomba, Maurizio Paniz, Antonio Pepe, Jole Santelli, Marilena Samperi, Rosa Suppa, Lanfranco Tenaglia, Elia Vacca.
PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è convenuto che la Giunta delle elezioni e la Giunta per le autorizzazioni siano convocate domani, martedì 23 maggio, alle ore 14, e comunque al termine della seduta antimeridiana dell'Assemblea, per procedere alla loro costituzione.
Nella seduta di domani sarà iscritta al primo punto dell'ordine del giorno la deliberazione sull'istituzione, ai sensi dell'articolo 22, comma 2, del regolamento, di una Commissione speciale per l'esame di due disegni di legge di conversione di decreti-legge. La costituzione della Commissione avrà luogo nella stessa giornata di domani, alle ore 14. I gruppi sono pertanto invitati a far pervenire alla Presidenza le loro designazioni entro le ore 12 di domani.
Nella seduta di martedì 30 maggio avrà luogo, a partire dalle ore 10, la discussione sulle linee generali dei disegni di legge n. 13 - Conversione in legge del decreto-legge 3 aprile 2006, n. 135, recante disposizioni urgenti per la funzionalità dell'Amministrazione della pubblica sicurezza (da inviare al Senato - scadenza: 2 giugno 2006) e n. 14 - Conversione in legge del decreto-legge 3 aprile 2006, n. 136, recante proroga di termini in materia di ammortizzatori sociali (da inviare al Senato - scadenza: 2 giugno 2006). Il seguito dell'esame dei disegni di legge di conversione avrà luogo nella stessa giornata, a partire dalle ore 15.
Nella stessa seduta, alle ore 12, si procederà all'elezione per l'integrazione dell'Ufficio di Presidenza, ai sensi dell'articolo 5, commi 5 e 9, del regolamento.
È prevista per martedì 6 giugno la convocazione delle Commissioni permanenti per la loro costituzione. I gruppi sono pertanto invitati a far pervenire alla Presidenza le loro designazioni entro il 1o giugno.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 23 maggio 2006, alle 9:
1. - Istituzione di una Commissione speciale, ai sensi dell'articolo 22, comma 2, del Regolamento, per l'esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge.
2. - Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.
La seduta termina alle 20,25.
KHALED FOUAD ALLAM. La quarta questione investe il Mediterraneo. Anche qui le contraddizioni sono numerose; ma proprio perché viviamo nel ciclo della mondializzazione, è necessario per il nostro paese e per il centrosinistra definire politicamente ciò che il Mediterraneo può essere: poiché esso rappresenta il tassello mancante nel quadro della mondializzazione, di fronte a Stati Uniti, subcontinente indiano e Cina. Operare per il Mediterraneo significa molte cose: rilanciare processi economici, favorire l'emergere di una classe dirigente democratica, ma anche risolvere la complessa questione del radicalismo islamico e dell'integrazione delle popolazioni musulmane della diaspora europea. E questo lo abbiamo già iniziato indirettamente: chi vi parla proviene da un altro orizzonte culturale e
antropopologico, ma nel corso degli anni ha costruito la sua italianità; perché integrare significa anche far sentire l'altro coinvolto in uno stesso destino. E mi rendo perfettamente conto che oggi è un momento storico per il nostro paese: perché è la prima volta che l'eterogeneità si fa italiana, e che il nostro Parlamento riflette una società che è cambiata e sta cambiando. Il centrosinistra ha avuto il coraggio di comporre un nuovo tassello per aiutare la trasformazione in atto.
Ultima questione: rivolgo una particolare attenzione alla cultura italiana, perché l'Italia ha storicamente anticipato ciò che può essere definito una mondializzazione dei significati: la sua arte è partita da piccole città per raggiungere il mondo intero. Ciò che ci manca non è certo la cultura, ma la costruzione di politiche, strategie, metodologie per essa: perché oggi le politiche culturali definiscono anche beni economici immateriali. Dobbiamo metterci all'opera per rilanciare tutto ciò.
Concludo con la questione etica, che si pone oggi alla base del governare e del significato di governabilità. Mi è piaciuto, Presidente del Consiglio, quando lei ha affermato che «non ci sono più nemici» e ha fatto della questione etica il paradigma del suo Governo. Quando lei ha più volte insistito sulla nozione di Repubblica, mi è tornato alla mente un pensiero che Michel Foucault formulò nel suo «Corso di biopolitica» al Collège de France: «Che cos'è un pastore? Colui la cui potenza esplode agli occhi degli uomini, come i sovrani, o come gli dèi. Ma gli dèi greci appaiono essenzialmente dall'esplosione? No, affatto. Il pastore vigila, vigila nel senso che sorveglia da tutto ciò che di male può accadere, da tutto ciò che può succedere. Egli dovrà vigilare affinché le cose vadano per il meglio per ciascuno dei capi del suo bestiame. Tutta la preoccupazione del pastore è rivolta verso gli altri, e mai verso se stesso».
NICOLA TRANFAGLIA. Il mondo della cultura e dell'istruzione si attende da lei, signor Presidente del Consiglio, segni chiari e costanti di un'inversione della politica compiuta in questi cinque anni, che punti alla valorizzazione dei giovani talenti di cui l'Italia è ricca, che investa nelle nuove tecnologie, che favorisca lo sviluppo della nostra industria culturale (a cominciare da quella cinematografica).
Ma anche che riporti il mondo dei musei e delle biblioteche ai suoi giorni migliori apprezzando gli sforzi che tanti fanno, all'interno di questi settori pubblici e privati, per porre l'Italia all'attenzione dell'Europa e del mondo per la straordinaria ricchezza costituita dal nostro immenso patrimonio culturale.
Ed è anche sulla base di queste indicazioni che si accompagnano a quelle date nel campo della politica economica e del lavoro, come della politica estera di pace tesa all'unificazione politica dell'Europa e di attenzione verso il Sud dell'Italia e del mondo, della risoluzione dei conflitti di interesse, che noi ci prepariamo a promettere il nostro impegno costante e a sostenere il governo che lei presiede.
GABRIELLA CARLUCCI. Ma la cosa più grave signor presidente, mi permetta l'ardire, sono state le sue scellerate parole sull'Iraq. Lei ha mistificato la realtà. È cosa ben diversa stabilire un piano concordato e condiviso di rientro delle truppe, come proposto dal ministro Martino; altro è, in un discorso d'investitura di un nuovo Governo, parlare di guerra sbagliata (perché, ci sono guerre giuste?) e di un paese occupato.
Come può il capo del Governo di un paese che partecipa all'opera di pacificazione di uno Stato parlare di truppe d'occupazione? Si rende conto che lei invita al «tiro al piccione» sui nostri soldati!
In conclusione, adottando lo schema che ella ha seguito nel destinare loro responsabilità di governo, parlerò di donne. Insomma, faccio un po' come ha fatto lei: tra le «varie ed eventuali»...
Due o sei: non è quella la differenza! Cambia la qualità e, se permette, Letizia
Moratti è stata un grande ministro e ha fatto la più importante riforma della scuola dai tempi di Gentile.
«Si possono cogliere tre messaggi chiari nel modo in cui è stato formato il Governo. Primo le donne non contanto nulla come opinione pubblica e come possibili portatrici di competenza. Escluse da tutte le cariche istituzionali, alle donne sono andati sei ministeri, di cui quattro leggerissimi, senza portafoglio, fatti di avanzi e ritagli. È quasi offensivo! Quasi al punto che sarebbe preferibile che rifiutassero di essere prese in giro e di essere utilizzate per una presa in giro collettiva di milioni di elettrici (...)». Parole come pietre, signor Presidente! E non sono mie! Ma di Chiara Saraceno su la Stampa di venerdì scorso!
Chi vi ha dato il voto comincia a rendersi conto della grande presa in giro. Il Governo dei sindacalisti e dei comunisti è una presa in giro per l'Italia. E se non fosse il mio paese, il paese che amo, il paese per cui ho deciso di impegnarmi in politica, il paese per cui bisogna comunque e sempre combattere la buona battaglia per l'interesse comune, se non fosse per tutto questo, per i valori che mi ha insegnato la mia famiglia e cioè, lo dico in tono volutamente polemico, mio padre e mia madre, se non fosse per tutto questo, vi direi: arrangiatevi!
Ma non posso! E vi garantisco che la nostra opposizione sarà senza quartiere, fino a quando non vi manderemo a casa!
FELICE BELISARIO. Signor Presidente della Camera dei deputati, Signor Presidente del Consiglio e Signori ministri, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, dopo una lunga e aspra campagna elettorale, naturale conclusione di una legislatura che ha prodotto ed acuito divisioni in un clima che ha fermato lo sviluppo del Paese, il nuovo Governo, nella pienezza dei suoi poteri e delle sue funzioni, è pronto a lavorare con pazienza, competenza e passione, sostenuto da una maggioranza coesa e vogliosa di portare a soluzione i tanti problemi lasciatigli in saldo negativo dal Governo precedente.
Presidente Prodi, se volessimo caratterizzare le comunicazioni che Ella ha reso a questa Assemblea, potremmo dire senza incertezze che esse indicano un indirizzo moderno della funzione di governo che deve esprimersi in un clima di serenità, concertazione ed ottimismo. Non vi è chi non abbia colto nelle Sue parole la preoccupazione di dover lavorare sodo con la Sua squadra, prendendo in mano le redini di uno Stato in cui le contraddizioni economiche, sociali, culturali e politiche sono state esasperate, chissà se deliberatamente, ma che devono essere superate in fretta per il bene di tutti i nostri connazionali e non certamente di una sola parte.
La novità vera è rappresentata dalla Sua determinazione nella voglia di fare, speculare alle straordinarie potenzialità di un intero «sistema Italia», impantanato in una evidente difficoltà economica che, ne siamo certi, le scelte di governo e il trend internazionale positivo ci aiuteranno a lasciarci alle spalle.
Due sono i punti che vorrei brevemente trattare e che stanno molto a cuore all'Italia dei Valori: l'uno, le condizioni per ridare competitività al sistema economico e stabilità alle relazioni sociali; l'altro, il funzionamento della giustizia.
Sul primo, vorrei ricordare che l'economia liberale si fonda sul rispetto di regole certe e condivise. In Italia di regole ce ne sono forse fin troppe, non sono sempre chiare e a volte è mancata persino la volontà di farle rispettare, se addirittura non è emersa quella di eluderle.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'economia è stata in balia dei più furbi e prepotenti che in ogni settore della vita pubblica e privata sono stati portati in continuazione a sfruttare sanatorie, prescrizioni, condoni di varia natura, indulti e quanto di simile. Purtroppo, ed Ella lo conferma nelle sue comunicazioni, è passata l'idea che è possibile, pur violando consapevolmente la legge, sperare di farla franca. Prima ancora dei codici è stata
calpestata l'etica dei comportamenti che deve presiedere ad ogni azione umana.
Al punto in cui siamo tutti, famiglia, mondo della istruzione e delle cultura, volontariato, forze produttive e sociali, e ovviamente prima degli altri noi politici, dobbiamo sanare questo vulnus pericoloso per i nostri giovani bombardati da modelli di vita a volte tutt'altro che encomiabili.
Ecco allora che, per ridare credibilità al nostro sistema economico, va innanzitutto stanato, senza esitazioni e blandizie, tutto quel mondo imprenditoriale sommerso che sottrae risorse fresche ad una equilibrata politica di risanamento e di investimenti. Vanno ridati fiducia e sostegno al sistema delle piccole e medie imprese che sono il tessuto connettivo dell'Italia. Pur nella necessaria compatibilità con la libera concorrenza, va salvaguardata la proprietà italiana di grandi imprese che sono strategiche per il paese connotandone alcune di esse persino l'immagine stessa. Va combattuta la criminalità organizzata che condiziona visibilmente la imprenditoria e la vita socio-economica di almeno quattro regioni, ma che tende a nazionalizzare, e sempre più spesso internazionalizzare, influenza e guadagni. È finanche pleonastico sottolineare che gli investimenti stranieri, già fortemente diminuiti nell'ultimo quinquennio, andranno ad annullarsi in queste regioni perché nessuno avrà voglia di investire sapendo in partenza di avere un socio influente e pericoloso come le mafie. Al riguardo desidero suggerirle il rifinanziamento del fondo antiracket e antiusura proprio per contribuire con forza a liberare il mondo delle imprese, specie nel meridione d'Italia, dallo strangolamento dell'usura e dal ricatto della malavita. Il Mezzogiorno, Ella lo ha riaffermato, non è un peso ma una risorsa: per questo deve liberarsi al più presto di ogni forma di malaffare, vero e proprio veleno sociale.
In ogni caso va perseguito con fermezza lo snellimento delle procedure burocratiche i cui ritardi sono diventati un costo insopportabile per tutti i cittadini e, soprattutto, per le imprese. La trasparenza della pubblica amministrazione, di cui la politica deve essere sentinella vigile e intransigente, è vitale per evitare che all'interno della P.A. si annidino sacche di malcostume che possono portare a fenomeni di corruttela, ahinoi, sempre incombenti che danneggiano realmente il mondo produttivo.
Presidente Prodi, onorevoli colleghi, comprenderete l'attenzione che l'Italia dei Valori presta alla giustizia e al rispetto della legalità.
La storia del nostro partito e la positiva peculiarità del nostro leader ci impongono di tenere gli occhi bene aperti. Una giustizia più giusta non è quella che consente la dilatazione dei processi penali per un frainteso eccesso di garantismo e neppure quella che non è riuscita a tagliare i tempi dei processi civili, né quella che consente processi amministrativi caratterizzati da un rito fin troppo sommario nella fase cautelare.
Noi pensiamo ad una giustizia funzionale e celere dove le risorse finanziare consentono il necessario aumento degli organici giudiziari, il potenziamento degli Uffici amministrativi, il completamento dei concorsi per ufficiali giudiziari, l'acquisto e la manutenzione di strumenti informatici e quel o di materiale di cancelleria.
Non serviva e non serve solo la riforma dell'ordinamento giudiziario, voluta dal centrodestra nella scorsa legislatura in modo confuso e con intento punitivo, per dare efficienza ad un settore vitale per la democrazia. Tale riforma, con buona pace di chi l'ha voluta, va immediatamente sospesa ed annullata.
Chiediamo l'attuazione in tempi brevi, ci auguriamo a regime in questa legislatura, del processo civile telematico che potrebbe essere la chiave di volta per eliminare lungaggini, rinvii e quanto altro. Ormai questo sistema giudiziario è subito come una autentica insolenza dai cittadini che non riescono ad avere certezza né dei propri diritti e, purtroppo, neppure di quelli degli altri.
In questo settore non mi nascondo il particolare clima di emergenza che attraversa il mondo penitenziario e ritengo che ogni provvedimento debba essere meditato,
preceduto da una chiara indicazione delle priorità di riforma. Poi possono essere presi provvedimenti che, diversamente, sarebbero un momentaneo rattoppo, mentre bisogna superare definitivamente la fase della emergenza mantenendo la certezza dei diritto con le necessarie garanzie individuali, ma anche realizzando la inviolabile certezza del sistema sanzionatorio.
Ho la consapevolezza che nella nostra maggioranza non mancheranno i necessari approfondimenti, in una dialettica che saprà fare sintesi virtuosa della diversità già peraltro ricondotta ad unità dal comune programma. Ma su questo specifico tema c'è il bisogno del confronto, della collaborazione e la condivisione di tutto il Parlamento o di gran parte di esso.
A pochi giorni dal 2 giugno, nel sessantesimo anniversario dell'avvio dei lavori della Assemblea Costituente intendo qui ribadire l'impegno dell'Italia dei Valori per respingere con il referendum la riforma che stravolge la nostra Costituzione, bisognosa di un deciso restyling ma non di una manomissione.
È in omaggio proprio ai nostri costituenti che intendo concludere con le parole di uno di loro, Piero Calamandrei: «Per fare buona politica, non c'è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie la buona fede, la serietà e l'impegno morale. In politica la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l'essere un buon affare».
A lei, e al suo Governo, Presidente Prodi, auguri di buon lavoro.
A questa Assemblea l'augurio di un impegno costante e proficuo, libero da faziosità e intolleranza.
KARL ZELLER, Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la SVP ha seguito con grande attenzione le dichiarazioni programmatiche del Presidente Prodi. Esse sono in linea con il programma elettorale della coalizione condiviso anche dal nostro partito. Vorrei ricordare a quest'Aula che la decisione di schierarci per noi, che stiamo storicamente al di fuori dei due blocchi, non era facile. La SVP non è mai stato e non sarà mai un partito di sinistra. Come partito di raccolta delle minoranze linguistiche tedesca e ladina la SVP è un classico partito di centro. Tanti dei nostri elettori avrebbero preferito una non scelta e quindi una posizione equidistante tra i due blocchi. Però l'attuale sistema bipolare, imposto anche dalla vigente legge elettorale, non consente una tale scelta se non al prezzo di essere fortemente penalizzati in termini di rappresentanza politica in Parlamento. Determinante per la nostra scelta era la personalità del Presidente Prodi che anche in passato aveva dimostrato di essere un grande amico delle autonomie speciali e delle minoranze linguistiche e che ci ha dato ampie garanzie per lo sviluppo dinamico della nostra autonomia. L'alleanza con le forze del centrosinistra non significa comunque che la SVP diventi una parte organica dell'Unione o dell'Ulivo. Restiamo un partito di centro, con la propria autonomia e indipendenza, sebbene facente parte della coalizione di centro-sinistra. Cercheremo quindi di rafforzare l'anima centrista della coalizione.
Non neghiamo di non essere riusciti a convincere tutto il nostro elettorato della bontà di questa alleanza di cui fanno parte anche partiti che si ispirano all'ideologia comunista. I nostri elettori si sono, almeno in parte, fatti disorientare dalla campagna populista di Berlusconi che dipingeva tutti che non erano con lui come comunisti. Abbiamo pagato un prezzo politico non indifferente in termini di voti. Il nostro comune impegno deve quindi essere quello di recuperare la fiducia dell'elettorato moderato. Ciò non potrà avvenire con belle parole ma solamente fatti concreti: Siamo convinti che con questo Governo saranno finalmente finiti i tempi delle leggi «una tantum», dei condoni e dei provvedimenti ad personam. Sicuramente saranno da revisionare alcune leggi del precedente Governo, ma siamo assolutamente contrari alla cancellazione indiscriminata di tutto quello che si era fatto. Questo vale per la
legge Biagi, per la Bossi-Fini ma anche per una parte della cosiddetta devolution. Il mondo del lavoro ha bisogno di più flessibilità e la precarietà non va combattuta con imposizioni ma con incentivi per le imprese che decidono di stabilizzare i rapporti di lavoro. Siamo per una politica di immigrazione rigorosa e coerente che garantisca sì ai lavoratori extracomunitari una vita dignitosa, ma crediamo sia giusto richiedere a loro altresì il rispetto delle sensibilità, delle tradizioni e costumi della popolazione locale.
In ordine alla riforma costituzionale bisogna riconoscere che - con un voto trasversale - sono stati recepiti i nostri emendamenti a salvaguardia delle autonomie speciali, in particolare il principio che modifiche statutarie possano avvenire solo d'intesa tra Parlamento e Assemblee regionali e provinciali. Queste guarentigie devono comunque trovare ingresso nella Carta Costituzionale indipendentemente dall'esito dei referendum.
La vera sfida di questo Governo sarà la politica economica e fiscale: Il Governo Berlusconi ci ha lasciato una pesante eredità con un debito pubblico e un deficit alle stelle. Siamo convinti che la via giusta non siano riduzioni fiscali per guadagnarsi facili consensi ma la riconquista della competitività il che non sarà possibile senza una significativa riduzione del costo del lavoro. Condividiamo quindi l'obbiettivo del Governo di tagliare di 5 punti il costo dei lavoro da finanziare con la crescita e con tagli e certamente non con aumenti della pressione fiscale per le imprese. Ricordo che le tasse sulle rendite finanziarie in Italia sono inferiori di 8 punti alla media europea. Sarà pertanto necessario un riequilibrio tra le imposte per redditi finanziari e quelli d'impresa: Non è che chi crea posti di lavoro venga tartassato mentre chi investe solamente in borsa gode di un trattamento privilegiato.
Condividiamo un provvedimento di indulto o l'amnistia come richiesto anche dalle autorità ecclesiastiche. In tale contesto speriamo sia possibile risolvere il problema delle persone condannate negli anni sessanta all'ergastolo per gli attentati in provincia di Bolzano, per mettere finalmente una pietra tombale su tale periodo buio della nostra storia.
Siamo inoltre convinti che il Governo Prodi rifarà partire il motore dell'autonomia dinamica eliminando la situazione dì stallo degli ultimi cinque anni: Da anni le norme di attuazione in materia conservatorio, passaggio di ulteriori immobili demaniali e del personale amministrativo della giustizia, per la partecipazione al consiglio dei ministri, per citarne solo alcune, attendono di essere varati.
Signor Presidente, salutiamo con grande favore l'impegno da Lei assicurato per risolvere il problema delle centrali idroelettriche in scadenza che ci sta molto a cuore. Credo che questa sia la volta buona per trovare una soluzione condivisa da ENEL, provincia e comuni e per chiudere così un percorso iniziato con il suo precedente Governo.
Siamo anche convinti che entro breve questa maggioranza ratificherà il protocollo trasporti della Convenzione delle Alpi, tanto osteggiata dalla precede maggioranza, che impedirà la costruzione di ulteriori autostrade transalpine.
Saranno anni difficili e carichi di lavoro. Noi siamo però fiduciosi che Lei e il suo Governo sarà duraturo. La SVP sarà un partner leale e darà il suo contributo per attuare il programma della coalizione, ma saremo altrettanto fermi nell'opporci a provvedimenti di matrice estremista che potrebbero intralciare lo sviluppo del Paese o che siano in contrasto con il comune sentire religioso e etico della maggioranza della popolazione.
Buon lavoro Presidente!
Interventi a titolo personale | 2 ore e 50 minuti (con il limite massimo di 16 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato) |
Gruppi | 11 ore e 36 minuti |
L'Ulivo | 2 ore e 32 minuti |
Forza Italia | 1 ora e 45 minuti |
Alleanza Nazionale | 1 ora e 10 minuti |
Rifondazione Comunista-Sinistra Europea | 52 minuti |
UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) | 51 minuti |
Lega Nord Padania | 42 minuti |
Italia dei Valori | 40 minuti |
La Rosa nel Pugno | 39 minuti |
Comunisti Italiani | 38 minuti |
Verdi | 38 minuti |
Popolari-Udeur | 37 minuti |
Democrazia Cristiana-Partito Socialista | 32 minuti |
Gruppo misto | 34 minuti |
Minoranze linguistiche |
17 minuti |
Movimento per l'Autonomia |
17 minuti |
Interventi a titolo personale | 20 minuti (con il limite massimo di 2 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato) |
Gruppi | 2 ore (10 minuti per gruppo) |
L'Ulivo | |
Forza Italia | |
Alleanza Nazionale | |
Rifondazione Comunista-Sinistra europea | |
UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) | |
Lega Nord Padania | |
Italia dei Valori | |
La Rosa nel Pugno | |
Comunisti Italiani | |
Verdi | |
Popolari-Udeur | |
Democrazia Cristiana-Partito Socialista | |
Gruppo misto | 10 minuti |
Minoranze linguistiche |
5 minuti |
Movimento per l'Autonomia |
5 minuti |