BOZZA NON CORRETTA

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COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 20 giugno 2007


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ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico, con particolare riferimento al sistema delle regole e dei controlli.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. Premesse.

La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) della Camera dei deputati ha condotto nella XIV legislatura - 2001-2006 - un'indagine conoscitiva sul calcio professionistico nell'intento di acquisire una visione d'insieme delle dinamiche evolutive del fenomeno calcistico, con particolare riferimento a: organizzazione delle attività, sistema di finanziamento e ulteriori problematiche attinenti le società professionistiche, anche in riferimento alle questioni relative alla commercializzazione e all'utilizzo dei diritti televisivi; valorizzazione dell'attività sportiva giovanile e delle attività sociali connesse al calcio dilettantistico; modalità di intervento per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di violenza all'interno e all'esterno degli stadi, con particolare riguardo a misure alternative a quelle di ordine pubblico; connessioni tra le attività della Federazione italiana gioco calcio (FIGC) e quelle del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).
Al termine dei propri lavori, la Commissione ha quindi approvato un documento conclusivo condiviso da tutte le forze politiche, che conteneva un invito agli organi di autogoverno del calcio ad individuare autonomamente - vale a dire senza interventi legislativi - soluzioni idonee alle questioni emerse e, soprattutto, a promuovere un processo riformatore intorno al mondo del calcio. In quella occasione, la VII Commissione, nell'intento di offrire un contributo all'individuazione di soluzioni strutturali, e non limitate a fronteggiare l'emergenza, per i problemi del mondo del calcio, ha espresso i seguenti suggerimenti:
a) una revisione del sistema di mutualità tra le società professionistiche finalizzata all'individuazione delle specifiche «missioni» dei diversi campionati di categoria;
b) il potenziamento del sistema dei controlli sull'andamento finanziario delle società, con l'introduzione di penalizzazioni in termini di punti in classifica e la creazione di un organo di controllo autorevole e autonomo;
c) la promozione di nuove modalità di utilizzo e valorizzazione degli stadi, al fine di ottenere rilevanti benefici su una pluralità di piani, da quello economico con l'incremento e la diversificazione delle entrate delle società - a quello della sicurezza - con una più ampia responsabilizzazione delle società su questo terreno.

A seguito del dibattito sollecitato dall'indagine conoscitiva, gli organi di autogoverno del calcio hanno adottato alcune iniziative volte ad avviare un processo riformatore interno, introducendo innanzitutto un sistema più severo di controlli e sanzioni sulla situazione finanziaria delle società sportive, con l'avvio di un processo di modifica del sistema di mutualità interna basato sulla ripartizione dei proventi, primi fra tutti quelli derivanti dalla vendita dei diritti televisivi. Al riguardo, oltre al documento approvato dal Consiglio federale della FIGC l'11 novembre 2004 sulle conclusioni dell'indagine conoscitiva, si ricorda l'incontro organizzato


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dalla stessa FIGC nel gennaio 2006 sul tema «Progetti, riforme, valori: le nuove sfide per il calcio italiano», cui hanno partecipato tutte le componenti del mondo del calcio, in un dibattito aperto al contributo di operatori economici, esperti, studiosi di diritto sportivo, operatori dell'informazione, rappresentanti delle forze sociali e dei tifosi.
Tuttavia, occorre constatare che il mondo del calcio non è stato in grado di elaborare al suo interno soluzioni condivise, in grado di portare a compimento quel processo riformatore che tutti avevano sollecitato nel corso dell'indagine del 2004.
A distanza di quasi due anni dalla conclusione dell'indagine, infatti, il settore è stato travolto da una nuova crisi, riguardante in particolare il settore arbitrale e l'attività degli agenti di calciatori (cosiddetti «procuratori»), che è sembrata investire in generale tutto il sistema delle regole attorno al quale ruota la realtà del calcio. Si è assistito infatti ad una alterazione dei tradizionali equilibri organizzativi e finanziari del sistema e dei rapporti tra le sue diverse componenti, che ha determinato contrapposizioni di interessi tra le società di vertice, inserite in un circuito sportivo e spettacolare di livello europeo, le società minori degli stessi campionati professionistici e le società dilettantistiche e di base.
I nuovi fatti emersi nel corso del mese di maggio 2006, in concomitanza con la conclusione del campionato di calcio di Serie A 2005/2006, hanno indotto quindi la Commissione cultura a svolgere un nuovo approfondimento su tali questioni, allo scopo di conoscerne la dinamica ed approfondirne le cause. La Commissione ha pertanto ritenuto opportuno procedere all'avvio di una nuova indagine conoscitiva - deliberata nella seduta del 27 giugno 2006 - al fine di acquisire informazioni complete ed aggiornate con riferimento, in particolare, ai seguenti aspetti:
l'evoluzione degli eventi relativi al funzionamento delle regole e dei controlli nel settore del calcio professionistico riscontrati nel maggio 2006, con particolare riferimento alle cause che li hanno determinati;
le problematiche connesse al sistema di finanziamento delle società professionistiche e a quello dei controlli;
le questioni relative all'utilizzo dei diritti televisivi, anche rispetto all'uso delle nuove tecnologie;
il ruolo assunto dai soggetti che operano nel mondo del calcio in relazione agli eventi realizzatisi, con particolare riferimento a quello degli agenti di calciatori e degli operatori del settore arbitrale.

Nel corso dell'indagine svolta dalla Commissione cultura, sono stati quindi auditi i seguenti soggetti:
il commissario straordinario della FGCI, professor Guido Rossi;
il presidente dell'Associazione italiana allenatori, professor Renzo Ulivieri;
il commissario straordinario dell'Associazione italiana arbitri, professor Luigi Agnolin;
il presidente dell'Associazione italiana calciatori, Sergio Campana;
il presidente del CONI, Giovanni Petrucci;
il presidente della Lega nazionale professionisti, Antonio Matarrese;
il capo Ufficio indagini della FIGC, Francesco Saverio Borrelli;
il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri;
rappresentanti degli organi di giustizia sportiva e di controllo della FIGC (Commissione d'appello federale, Corte federale, CO.VI.SO.C e CO.A.VI.SO.C.);
rappresentanti di SKY Italia, di La 7 e di emittenti locali;
il presidente della Lega nazionale dilettanti, Carlo Tavecchio;
il presidente della Lega professionisti di serie C, Mario Macalli;


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rappresentanti di aziende operanti nel settore della telefonia e di internet;
rappresentanti della CONSOB;
il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
l'onorevole Josè Luis Arnaut, in qualità di esperto del settore del calcio e dello sport;
rappresentanti della RAI;
esperti in materia di diritto sportivo;
rappresentanti di associazioni di tutela dei consumatori;
il nuovo commissario straordinario della Federazione italiana gioco calcio, dottore Luca Pancalli;
rappresentanti di tifoserie di squadre di Serie A e B.

Le audizioni si sono concluse il 21 dicembre 2006.
Sono state, pertanto, svolte 18 sedute di audizioni con 54 soggetti diversi, di cui alcuni di gruppo omogeneo, come le emittenti locali o gli esperti di diritto sportivo, per un totale di oltre 32 ore di seduta.
Occorre evidenziare che, anche in considerazione degli interventi che hanno seguito l'indagine del 2004, la VII Commissione con la nuova indagine non ha inteso limitarsi a suggerire soluzioni e a promuovere un processo riformatore interno, ma ha voluto individuare soluzioni pratiche volte ad avviarlo concretamente. In tal senso, come si vedrà meglio in seguito, la Commissione - durante lo svolgimento dell'indagine - ha avviato la discussione del disegno di legge C. 1496, di iniziativa governativa, recante delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pubblico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli eventi sportivi dei campionati e delle altre competizioni professionistiche organizzate a livello nazionale. Tale provvedimento legislativo, approvato definitivamente dalla Camera nella seduta del 20 giugno 2007, pur nel rispetto dell'autonomia del settore, si è posto l'obiettivo di riequilibrare la distribuzione delle risorse derivanti dal mercato dei diritti televisivi tra le società che partecipano ai campionati professionistici e, in particolare, ai campionati di calcio mediante l'introduzione di un nuovo sistema imperniato sulla vendita centralizzata dei diritti televisivi in grado di garantire una ripartizione tra tutte le squadre secondo criteri di mutualità che assicurino lo svolgimento di un campionato più equilibrato.

2. L'evoluzione degli eventi relativi al funzionamento delle regole e dei controlli nel settore del calcio professionistico riscontrati nel maggio 2006, con particolare riferimento alle cause che li hanno determinati.

La crisi del calcio ha riguardato in modo particolare le istituzioni, portando l'illecito sportivo «a livelli fino ad ora impensabili», come ricordato anche nel corso dell'audizione del Commissario straordinario, professor Guido Rossi. A seguito dell'attività investigativa posta in essere principalmente dalle procure di Napoli e di Roma, a cominciare dal mese di maggio 2006, è emerso quindi un quadro del mondo del calcio interessato da una «serie straordinariamente grave di illeciti, diffusi e ramificati, che hanno coinvolto a vario titolo le principali istituzioni del calcio italiano, i loro vertici ed organi di controllo e di giustizia, alcuni importanti club, dirigenti sportivi, arbitri».
Nel corso dell'indagine è emerso che sotto il profilo della qualificazione giuridica gli illeciti sono stati inquadrati dagli inquirenti nei reati di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva, minacce, illecita concorrenza. Se si guarda, invece, agli effetti ed alle conseguenze dei comportamenti contestati, l'aspetto più preoccupante della crisi del sistema calcio è sembrato - secondo gli auditi - l'asservimento ad interessi di parte dei vertici e degli organi di controllo


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della FIGC e delle sue componenti più importanti, tra le quali l'Associazione italiana arbitri, che ha prodotto una fortissima capacità di condizionamento ed influenza dei e sui soggetti che avrebbe dovuto garantire, in posizione di terzietà, la regolarità dei campionati, la corretta distribuzione delle risorse economico-finanziarie, l'esistenza di meccanismi elettivi dei vertici federali realmente democratici.
La perdita di indipendenza e di terzietà dei vertici federali e degli organi di controllo, cioè dei soggetti deputati a garantire il rispetto delle regole del gioco, è stata accompagnata e, forse, resa più agevole dal venire meno di altri sistemi di controllo, quelli esterni. Nel corso delle audizioni si è fatto riferimento, in particolare, al mondo dei media, anch'esso in parte legato agli interessi dei soggetti dominanti il sistema, così come al malcostume di richiedere, autorizzare o pretendere trattamenti di favore per società, dirigenti e giocatori che hanno violato le regole del gioco, motivandoli con la strumentale e falsa esigenza di salvaguardare la passione e gli interessi dei tifosi.
In proposito, il Capo ufficio indagini della FIGC, dottor Francesco Saverio Borrelli nella sua audizione del 20 settembre 2006, ha messo in evidenza che vi è stato «uno scadimento graduale del senso delle regole, una sorta di appannamento della sensibilità ai valori etici dello sport, che pure labialmente, oralmente, vengono celebrati, quasi con delle sottolineature spesso anche retoriche, a vantaggio dei valori spettacolari, economici; il tutto in funzione di una conservazione dello status quo nella fascia alta dei club blasonati, con delle subalternità, talvolta clientelari, da parte dei club minori».
Nel corso delle audizioni sono state individuate, quindi, alcune cause principali riguardanti la disciplina interna del calcio, che hanno contribuito a determinare la situazione sopra descritta; in particolare, il conflitto di interessi e i limiti del sistema elettivo; la designazione degli arbitri e degli assistenti; l'organizzazione degli agenti di calciatori; la responsabilità oggettiva delle società; il sistema di giustizia sportiva e il rapporto con la giustizia ordinaria; il sistema dei controlli sulle società sportive.
Per quanto riguarda il conflitto di interessi e i limiti del sistema elettivo, è stata messa in evidenza la fragilità delle regole, con particolare riguardo ai sistemi di elezione degli organi federali, delle leghe, delle associazioni di varia natura in cui si articola l'ordinamento sportivo. Ciò ha fatto sì che i controllori venissero nominati dai controllati e tra i controllati. Tale sistema ha anche comportato che le squadre più deboli sotto il profilo negoziale - nella cessione, ad esempio, dei propri diritti televisivi - si dovevano alleare passivamente alle squadre più forti, le quali ne hanno condizionato fatalmente il voto e spesso i comportamenti sportivi, aumentando in tal modo la loro influenza dominante. Uno dei fenomeni più evidenti, come conseguenza di questo sistema elettivo, è stato rappresentato dalla difficoltà, o quasi impossibilità, di cambiamento dei vertici, i quali, una volta insediati, sono divenuti di fatto inamovibili, perpetuando così il sistema. È emerso quindi che la maggior parte delle componenti a struttura corporativa dell'ordinamento sportivo - e così, fra gli altri, la FIGC, le leghe, le società, nonché le varie associazioni - non hanno provveduto a creare sistemi di controllo interno, del tipo, per fare un esempio, ormai classico, di quelli previsti per le persone giuridiche dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, di disciplina della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Per quanto riguarda i rapporti economici con le leghe, inoltre, è stata segnalata un'anomalia con riferimento ai contributi annuali della FIGC ai bilanci delle stesse (contributi che riguardano parte dei contributi stanziati dal CONI a favore di FIGC). Si è riscontrato, infatti, che nonostante sia previsto dalle norme federali che tali contribuzioni debbano essere destinate alla costruzione di nuovi impianti o all'implementazione degli attuali, il consiglio federale, nel passato, ha sempre deliberato e corrisposto importi rilevanti pur senza una specifica finalità.


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Merita qui segnalare che nel corso delle audizioni è emerso che il controllo contabile-gestionale della FIGC è demandato al solo collegio dei revisori contabili, che, per evidenti ragioni di tempo e di struttura, non può da solo svolgere le necessarie attività di verifica. L'assenza di un effettivo e strutturato sistema di controllo è ancora più significativa nel mondo dell'Associazione italiana arbitri, soprattutto alla luce del fatto che il costo degli ufficiali di gara rappresenta il 23 per cento dei ricavi complessivi della Federazione. Analogo discorso riguarda le altre strutture periferiche. In Commissione è stato quindi espresso l'auspicio di una rapida istituzione di un adeguato sistema di controlli volti alla revisione dei meccanismi di spesa della struttura centrale; alla verifica dei budget dei comitati provinciali e regionali; al monitoraggio dei rimborsi arbitrali, soprattutto in relazione all'assegnazione delle diarie per le trasferte ai singoli direttori di gara, anche in considerazione del fatto che il patrimonio netto della FIGC, dal 2001 al 2005, è sceso da oltre 41 milioni di euro a 6,5 milioni di euro.
Per quello che riguarda la designazione degli arbitri e degli assistenti, gli auditi hanno ricordato quindi come le recenti indagini abbiano posto in evidenza una serie di relazioni, contatti telefonici, segnalazioni, esortazioni agli arbitri da parte dei soggetti interessati che hanno presumibilmente contribuito a falsare il corretto svolgimento delle gare. Da più parti sono stati sottolineati invece i due profili posti alla base dell'attività degli arbitri: la terzietà e la competenza tecnica, che, secondo gli auditi, occorre ripristinare con determinazione. Alcuni hanno inoltre evidenziato come il fatto che l'Associazione italiana arbitri sia inserita nella struttura della Federcalcio non favorisca questa terzietà; altri hanno tuttavia osservato che questo è il modello organizzativo a livello internazionale e che una modifica a livello nazionale non sarebbe opportuna. Il sistema del «sorteggio con griglie» è stato d'altra parte criticato da più parti, mentre alcuni hanno suggerito un ritorno al sorteggio integrale, ad una rotazione assolutamente meccanica di arbitri e partite, o, in alternativa, alla nomina, anno per anno, di un designatore responsabile, titolare di pieni poteri quanto alla scelta degli arbitri, soggetto a valutazione da parte degli organi competenti.
Con particolare riferimento al settore arbitrale, l'allora Commissario straordinario dell'Associazione italiana arbitri, professore Agnolin, nel corso della sua audizione del 2 agosto 2006, ha auspicato una riorganizzazione del settore, in cui l'Associazione disponga di poteri più ampi ed in cui le singole sezioni (attualmente 212, che raccolgono 30 mila arbitri) siano chiamate ad un ruolo formativo permanente a sostegno della crescita culturale e professionale e della dignità di tutti. A tal fine, è stato suggerito l'abbassamento dei limiti di età per accedere ai corsi in modo da allungare il periodo formativo.
Si è inoltre auspicata l'istituzione di una scuola nazionale di formatori e motivatori con indirizzi comuni; il coinvolgimento di tutte le sezioni su progetti formativi sociali e culturali del territorio; una scuola di formazione di quadri dirigenti periferici; una presenza fissa di arbitri delegati nel mondo della scuola, per formazione e animazione del territorio e per l'acquisizione di crediti.
Con riferimento agli allenatori, il Presidente dell'Associazione italiana allenatori calcio, professore Ulivieri, nella sua audizione del 1o agosto 2006, dopo aver ricordato il valore della scuola allenatori della Federazione, ha auspicato una rinnovata attenzione verso la scuola, cui negli ultimi anni sono mancati gli investimenti necessari per garantire un adeguato livello di qualità. Il professore Ulivieri ha inoltre messo in evidenza la necessità di garantire la rappresentanza con pari dignità di tutte le componenti del calcio in seno alla Federazione; il decreto legislativo n. 242 del 1999, cosiddetto decreto Melandri, ha già garantito tale presenza a livello centrale, ma non a livello periferico, con una rappresentanza delle componenti tecniche nei consigli regionali e provinciali. È stata altresì posta la questione della liberalizzazione dei corsi per allenatore con un


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accento sulla necessità che anche nelle squadre giovanili - anzi soprattutto in quelle, laddove la funzione di allenatore è anche una funzione di educatore - vi siano allenatori qualificati.
Per quanto riguarda la responsabilità oggettiva delle società, è da ricordare che l'articolo 2 del codice di giustizia sportiva della Federcalcio detta norme particolarmente severe sul tema della responsabilità dei singoli e delle società. In particolare, i soggetti dell'ordinamento federale sono responsabili delle violazioni delle norme loro applicabili commesse a titolo di dolo o di colpa. I dirigenti che hanno la legale rappresentanza delle società sono ritenuti anch'essi responsabili, sino a prova contraria, delle infrazioni addebitate alle società medesime. Il calciatore che funge da capitano della squadra, inoltre, in una determinata gara è responsabile degli atti di violenza a danno degli ufficiali di gara compiuti da calciatori della sua squadra finché non sia individuato l'autore dell'atto. Le società possono essere, infine, ritenute responsabili anche a titolo di responsabilità oggettiva o di responsabilità presunta; esse rispondono direttamente dell'operato di chi le rappresenta ai sensi delle norme federali e sono oggettivamente responsabili agli effetti disciplinari dell'operato dei propri dirigenti, soci di associazione e tesserati. Tale principio è stato considerato necessario da più parti nel corso delle audizioni, al fine di garantire l'ordinato svolgimento delle competizioni e di assicurare una concreta attività di vigilanza da parte delle società. Alcuni vi hanno riconosciuto infatti la specificità dell'ordinamento sportivo che, in Italia come all'estero, consiste proprio nell'ammettere alle competizioni solo chi rispetta le regole ed i principi di lealtà. Altri, tuttavia, hanno valutato l'attuale formulazione del principio non conforme alle norme di diritto comune. Proprio questi ultimi hanno suggerito di inserire nella normativa interna criteri simili a quelli previsti dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 231 del 2001, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi da loro appartenenti. La società, cioè, potrebbe essere dichiarata non punibile se fornisse la prova di avere adottato tutti quegli accorgimenti organizzativi che sono destinati a prevenire la commissione di illeciti da parte degli appartenenti. In ogni caso, la valutazione sulla sufficienza o meno delle cautele adottate e delle misure organizzative assunte non potrebbe non appartenere al momento conoscitivo di competenza del giudice.
Tuttavia, la questione che è apparsa di maggior rilievo nel corso dello svolgimento dell'indagine conoscitiva, e sulla quale gli auditi hanno auspicato una profonda riforma delle norme interne, ha riguardato il sistema di giustizia sportiva e il rapporto con la giustizia ordinaria. In questo senso, merita preliminarmente ricordare che l'ordinamento sportivo è un ordinamento separato e come tale garantito dalle norme internazionali e nazionali. Ai sensi del decreto legge n. 220 del 2003, infatti, la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale. I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo. All'ordinamento sportivo è riservata altresì la disciplina delle questioni aventi ad oggetto l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; ad esso sono inoltre riservati i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. In tale ambito, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del CONI e delle federazioni sportive, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo.


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Si ricorda a questo proposito che il sistema di giustizia sportiva è composto da corti federali, normalmente di primo grado e d'appello, e dalla Camera di conciliazione e arbitrato dello sport (prevista dall'articolo 12 dello Statuto del CONI), le cui pronunce hanno carattere definitivo. Sono inoltre organi di giustizia sportiva l'Ufficio indagini e la Procura federale. Ai sensi dell'articolo 23 del Codice di giustizia sportiva, poi, tutti gli organi di giustizia sportiva agiscono in piena indipendenza, autonomia e terzietà. L'intero sistema trova peraltro fondamento sulle clausole compromissorie, disposizioni contenute negli statuti e nei regolamenti di ogni Federazione sportiva che impongono agli aderenti e agli affiliati l'obbligo di accettare e rispettare le norme e i provvedimenti federali, nonché, per le controversie insorte fra di essi, di adire esclusivamente gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo. L'Ufficio indagini ha invece il compito di svolgere d'ufficio, su denuncia o su richiesta, indagini nelle materie della giustizia sportiva, fatte salve le indagini riguardanti i casi di tesseramento nell'ambito regionale, che sono demandate ai competenti Comitati regionali, i cui organi possono, in casi particolari, richiedere l'intervento dell'Ufficio. Il medesimo Ufficio svolge, altresì, ogni altra indagine richiestagli espressamente dagli organi federali; il Procuratore Federale avvia l'azione disciplinare nei casi previsti dal codice e svolge le funzioni requirenti davanti agli organi di giustizia sportiva.
Per completezza va quindi ricordato che il giudizio per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale ed economica è di competenza delle Commissioni disciplinari in prima istanza e della Commissione d'Appello Federale (CAF) in seconda ed ultima istanza. La Commissione d'Appello Federale, in particolare, è competente a giudicare in ultima istanza sulle impugnazioni avverso le decisioni delle Commissioni disciplinari, della Commissione tesseramenti e della Commissione vertenze economiche nei casi indicati nella parte III del citato Codice di giustizia sportiva; giudica altresì nei procedimenti per revocazione. Si ricorda poi la Corte federale, che, in base al Codice di giustizia sportiva, interpreta le norme statutarie e regolamentari; giudica i dirigenti federali in materia di incompatibilità e sulla legittimità delle norme federali in rapporto allo Statuto; dirime i conflitti di attribuzione e di competenza tra organi federali; delibera sulle eccezioni attinenti alla regolarità del funzionamento di organi federali; decide sui gravami avverso la validità delle assemblee o delle relative delibere. La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport è invece istituita ai sensi dello Statuto del CONI al fine di assicurare la risoluzione delle controversie in materia di sport. Oltre alla funzione consultiva, l'organo svolge funzioni di conciliazione di controversie in materia sportiva, in caso di una controversia che contrappone una Federazione sportiva nazionale a uno o più soggetti affiliati, tesserati o licenziati ovvero siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione sportiva nazionale o comunque quando si tratti di decisioni non soggette ad impugnazione nell'ambito della giustizia federale. Alla Camera, inoltre, previo espresso accordo tra le parti, può essere devoluta qualsiasi controversia in materia sportiva, anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati: in ogni caso, la procedura di arbitrato è ammissibile a condizione che siano previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione sportiva nazionale o comunque si tratti di decisioni non soggette ad impugnazione nell'ambito della giustizia federale. Gli arbitri decidono secondo le norme e gli usi dell'ordinamento sportivo nazionale ed internazionale.
Fatte queste necessarie premesse, è da evidenziare che rispetto a tale divisione delle competenze, la maggior parte degli auditi ha auspicato innanzitutto una riorganizzazione dell'ufficio indagini avente compiti inquirenti al fine di aumentarne gli strumenti investigativi; ad esempio, mediante la collaborazione delle forze di polizia, nei limiti in cui questo non ponga a repentaglio il segreto delle investigazioni di carattere penale né i principi di rispetto della privacy dei cittadini. A questo proposito,


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si ricorda che la legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante interventi nel settore del gioco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche, consente all'autorità giudiziaria di trasmettere atti delle proprie indagini all'ufficio indagini della giustizia calcistica. Al riguardo, nel corso delle audizioni è emersa la proposta di modifica di tale legge, nel senso di allargare tale possibilità oltre i limiti attualmente vigenti dell'illecito sportivo e delle scommesse. Spesso, in occasione di fatti estremamente gravi quali fallimenti di società o sfruttamento di calciatori minori, secondo gli auditi, non vi sarebbe infatti la possibilità di ottenere gli atti dall'autorità giudiziaria.
Nel corso delle audizioni è stato avanzato anche il suggerimento di una unificazione tra l'ufficio indagini e la procura federale, come già accade nell'ambito dell'Associazione italiana arbitri, il cui regolamento all'articolo 32 prevede che la procura arbitrale ha insieme funzioni inquirenti e requirenti, mentre nella giustizia della Federazione, invece, le funzioni inquirenti sono lasciate all'ufficio indagini e quelle requirenti alla procura federale. Ciò consentirebbe di ridurre i tempi dei procedimenti e favorirebbe una maggiore unità di intenti.
Al contrario, le funzioni più propriamente ispettive - come presenziare a tutte le partite del campionato di serie A, di serie B, di serie C1 e a buona parte anche di quelle di serie C2, per verificare che vengano rispettati determinati parametri, regole di sicurezza e via dicendo - potrebbero essere affidate ad una sorta di ispettorato centrale, con più generali poteri ispettivi, come struttura dipendente dalla presidenza, naturalmente con l'obbligo di rapporto alla procura federale in caso di constatazione di illeciti o di infrazioni.
In linea generale, è stata inoltre evidenziata la ridondanza dei gradi di giudizio. Con particolare riferimento all'arbitrato - che avviene dopo le sentenze della giustizia sportiva - è stato segnalato come quest'ultima fase si svolga in contraddittorio non più con il procuratore federale ma con la presidenza della Federazione, che fino a quel momento non ha svolto alcun ruolo nel procedimento. Si è evidenziato d'altra parte che rimane aperta la possibilità del ricorso giurisdizionale al TAR e poi al Consiglio di Stato, determinando così una moltiplicazione dei gradi di giudizio. Pur se sul punto gli auditi hanno espresso posizioni diverse, è comunque emersa da più parti l'esigenza di una riduzione dei gradi di giudizio.
Per contro, alcuni dei soggetti auditi hanno difeso l'istituto arbitrale, evidenziando come lo stesso consenta una tutela esterna alla giustizia federale ma, allo stesso tempo, offra la possibilità di chiudere la controversia nell'ambito dell'ordinamento sportivo, con un effetto preclusivo verso la giustizia statale, se non in sede di impugnazione del lodo. Proprio questa sua capacità di tutelare interessi economici senza trascinare il conflitto nell'ambito della giustizia statale consentirebbe infatti di far funzionare lo sport.
Con riferimento più in generale al rapporto tra giustizia ordinaria e giustizia sportiva, è emersa invece la necessità di costruire, tenendo conto della citata legge n. 280, gli snodi interni della giustizia sportiva e quelli esterni verso il giudice ordinario, interrogandosi anche sull'opportunità di garantire la validità nei singoli statuti della clausola compromissoria, che rappresenta una forma di adesione ad un sistema. Tutti gli auditi hanno comunque concordato sulla necessità di tenere conto della specificità dell'ordinamento sportivo, ossia delle regole particolari che derivano dall'esigenza di contemperare la necessità di intervenire velocemente ed efficacemente per consentire l'espletamento del fenomeno sportivo e, allo stesso tempo, di garantire esigenze di tutela e di giustizia a coloro che sono associati nel settore.
Nel corso delle audizioni è altresì emersa la necessità di rivedere le modalità di reclutamento dei componenti degli organi della giustizia sportiva. In questo senso è stato auspicato da una parte un rapporto più stretto con la giurisdizione ordinaria, per evitare che i controllori


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siano nominati dai controllati, oppure che i controllati siano giudicati da coloro che sono stati da loro nominati. Si è ritenuto opportuno, dall'altra, evitare che la giustizia sportiva pecchi di autoreferenzialità, divenendo un ordinamento troppo distaccato, autonomo e lontano rispetto all'ordinamento statale, con, al suo interno, rimedi giurisdizionali inefficaci e non autosufficienti, In tal senso tra le possibilità ipotizzabili, è stata anche rappresentata l'opportunità di revocare il divieto del Consiglio superiore della magistratura di far partecipare i magistrati in servizio a qualsiasi organo di giustizia sportiva.

3. Le problematiche connesse al sistema di finanziamento delle società professionistiche, a quello dei controlli e al rapporto di lavoro professionistico.

L'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione cultura della Camera ha costituito d'altra parte l'occasione di affrontare anche il tema del finanziamento delle società professionistiche, dei controlli e del rapporto di lavoro professionistico.

3.1 Le società sportive professionistiche.

La Commissione si è a lungo soffermata sulla natura giuridica delle società sportive e sulle implicazioni che gli attuali assetti societari sembrano avere sull'andamento delle competizioni sportive. L'interesse trasversale della Commissione si è in particolare concentrato sull'opportunità o meno di rivedere la normativa del 1996, di seguito descritta, che ha trasformato le società sportive in società a fini di lucro, e su eventuali modelli stranieri da recepire nell'ordinamento nazionale, anche se, in proposito, una parte degli auditi - pur sottolineando la necessità di rafforzare la dimensione sociale dello sport, anche con misure nel campo dell'istruzione e della sanità - ha ritenuto sostanzialmente irrealistico un ritorno al passato, cioè all'abolizione dello scopo di lucro. Altri, invece, ne hanno eccepito la problematicità.
È da ricordare che in molti Paesi europei si è affermato il modello della società sportiva a scopo di lucro. A questo proposito è emerso nel corso delle audizioni come il problema principale che si pone al decisore pubblico consista nel far funzionare un mercato che ha fattori di criticità molto forti.
La disciplina generale in materia di società professionistiche è contenuta nella legge 23 marzo 1981, n. 91, recante norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, cui è sotteso il principio fondamentale per il quale l'attività sportiva è libera, sia che venga svolta in forma individuale o collettiva, a livello dilettantistico o professionistico. Quanto alla natura giuridica delle società sportive, la legge n. 91 del 1981 prevede in primo luogo che nel settore professionistico possono operare solamente le società costituite nelle forme della società per azioni o società a responsabilità limitata. A seguito delle modifiche intervenute con il decreto-legge 20 settembre 1996, n. 485, recante disposizioni urgenti per le società sportive professionistiche, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 1996, n. 586, si è consentito quindi alle società professionistiche il perseguimento dello scopo di lucro. In base alla normativa previgente, infatti, le società sportive dovevano prevedere nel proprio statuto che gli utili fossero interamente reinvestiti nella società per il perseguimento esclusivo dell'attività sportiva. L'articolo 10 della legge n. 91 del 1981, come novellato, dispone invece che l'atto costitutivo preveda, da un lato, che la società possa svolgere esclusivamente attività sportive e quelle ad esse connesse e, dall'altro, che una quota degli utili, in misura non inferiore al 10 per cento, sia destinata alle scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva.
Con lo stesso decreto-legge sono stati inoltre introdotti nella legge n. 91 del 1981 la limitazione, al solo fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, delle verifiche sull'equilibrio finanziario delle società sportive da parte delle federazioni sportive, che effettuano tali


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verifiche su delega del CONI e secondo le modalità e i principi da questo stabiliti; l'eliminazione - a seguito della cosiddetta «sentenza Bosman» - di ogni riferimento al pagamento di una indennità di preparazione e promozione (cosiddetto «parametro») da parte della società con la quale un atleta professionista stipula un nuovo contratto alla società titolare del precedente contratto dello stesso atleta. La sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 15 dicembre 1995, nel procedimento C-415/93, ha altresì dichiarato illegittime, ai sensi dell'articolo 48 del trattato CEE, le norme adottate dalle organizzazioni sportive che consentivano alle società calcistiche di schierare nelle competizioni ufficiali solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
Tali interventi hanno quindi modificato profondamente la natura della società sportiva nel senso di una sua progressiva assimilazione alle società disciplinate dal codice civile; permangono tuttavia alcune peculiarità che consentono di definire una «specificità» delle società sportive. Le società sportive sono sottoposte infatti ad un sistema di controlli più invasivo di quello che il codice civile prevede per le società per azioni o a responsabilità limitata. Tale sistema è sostanzialmente delineato dalla stessa legge n. 91 del 1981 e successivamente precisato, come si vedrà meglio in seguito, negli statuti e nei regolamenti interni del CONI, delle Federazioni e delle Leghe nazionali. Segnatamente, le società sportive, tra l'altro, devono prevedere nell'atto costitutivo l'esclusivo svolgimento di attività sportiva ed attività ad esse connesse e strumentali; sono tenute altresì ad ottenere l'affiliazione ad una federazione del CONI per acquisire l'omologazione dell'atto costitutivo come società sportive da parte del Tribunale. Si segnala a questo proposito che l'articolo 10 della citata legge n. 91 del 1981 prevede la revoca dell'affiliazione da parte della federazione sportiva nazionale per gravi infrazioni all'ordinamento sportivo; tale revoca determina l'inibizione dello svolgimento dell'attività sportiva.
Le medesime società devono inoltre depositare l'atto costitutivo presso la federazione sportiva nazionale alla quale sono affiliate, cui deve essere altresì comunicata ogni avvenuta variazione dello statuto o modificazione concernenti gli amministratori ed i revisori dei conti; devono provvedere obbligatoriamente alla nomina del collegio sindacale, anche in deroga alle disposizioni limitative previste dall'articolo 2477 del codice civile per le società a responsabilità limitata; sono sottoposte alle verifiche sull'equilibrio economico finanziario della gestione - ed ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive, per delega del CONI, secondo modalità e princìpi da questo approvati - ai fini dell'ammissione al campionato.
È da ricordare poi che l'articolo 16-bis delle norme organizzative interne della Federazione Italiana gioco calcio (NOIF) esclude partecipazioni o gestioni che determinino in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica o al campionato organizzato dal Comitato interregionale. Alle federazioni sportive nazionali, inoltre, è attribuito un potere di denuncia all'autorità giudiziaria qualora vi sia un fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società. Più recentemente poi, con l'articolo 5, comma 2, lettera e-bis) del decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 15, che ha modificato il decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, è stato attribuito al CONI, in aggiunta alla funzione di stabilire i criteri e le modalità di esercizio dei controlli sulle società sportive da parte delle federazioni, un potere sostitutivo qualora ciò sia necessario per garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, in caso di verificata inadeguatezza dei controlli effettuati. A seguito ditale modifica, il CONI ha approvato, il 23 marzo 2004, i Criteri Generali e le modalità dei controlli delle Federazioni Sportive Nazionali sulle società sportive di cui all'articolo 12 della legge 23 marzo 1981, n. 91


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ed ha costituito una apposita commissione incaricata di svolgere i controlli in via sostitutiva, la CO.VI.S.P., Commissione di vigilanza sugli sport professionistici.
Va ricordato, ai fini del presente documento, che la delibera prevede in particolare che le Federazioni assicurino che le società professionistiche, all'atto dell'iscrizione ai campionati, garantiscano di essere in regola con i pagamenti delle retribuzioni ai dipendenti e collaboratori e dei relativi contributi previdenziali, assicurativi e assistenziali e con il versamento delle ritenute fiscali e con gli adempimenti fiscali e con il versamento delle relative imposte. Le medesime società devono altresì presentare il bilancio consuntivo relativo all'ultimo esercizio regolarmente certificato da società di revisione, ove previsto dalla normativa vigente; lo stato patrimoniale ed il conto economico semestrale regolarmente certificato da società di revisione, ove previsto dalla normativa vigente, e accompagnato da un budget che garantisca l'equilibrio finanziario, idoneo allo svolgimento dell'intera stagione agonistica. In caso di bilancio in perdita o di delibere di aumento di capitale, sono inoltre tenute a prestare garanzie fidejussorie esclusivamente da parte di istituti bancari, con esclusione dell'azione di rivalsa nei confronti della società sportiva.

3.2 Il sistema dei controlli interni.

Si ritiene opportuno d'altra parte ricostruire, in estrema sintesi, anche l'attuale sistema dei controlli interni, così come emerso nel corso dell'indagine.
I controlli sull'equilibrio finanziario delle società di calcio sono svolti dalla Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC). Il Consiglio federale della FIGC approva annualmente il documento che regola termini e modalità di ammissione delle società ai Campionati professionistici, ai sensi dell'articolo 89 delle norme organizzative interne federali (NOIF) sopra richiamate. Da ultimo, il documento sopra citato del 20 gennaio 2006, relativo alla stagione 2006/2007, ha confermato la previsione di sanzioni amministrative e di punti di penalizzazione in classifica a carico delle società ritardatarie rispetto ai termini fissati per la presentazione della documentazione comprovante il rispetto dei prescritti adempimenti economici, fiscali e previdenziali. Si prevede che la contabilità delle società sportive, ai sensi dell'articolo 84 delle NOIF, sia tenuta utilizzando il piano dei conti approvato dalla FIGC, idoneo sia alla redazione del bilancio di esercizio sia a consentire i predetti controlli, per i quali la FIGC si avvale di un organismo tecnico di supporto, la Covisoc, la Commissione per la vigilanza controllo delle società di calcio professionistiche. Tale organo, nel rispetto di quanto previsto dalla legge n. 91 del 1981, esamina la documentazione per la verifica dei requisiti per l'iscrizione ai campionati e svolge una continua attività di monitoraggio sulla situazione delle società.
È da aggiungere che l'informativa periodica alla Co.vi.soc riguarda, inoltre, la relazione semestrale ed una serie di prospetti contabili quali il rapporto tra ricavi e indebitamento (RI), che non può essere inferiore a tre (in caso di mancato rispetto del parametro, il rapporto deve essere ripristinato mediante incremento dei mezzi propri da destinare a riduzione dell'indebitamento, la concessione di finanziamenti infruttuosi o il rilascio di garanzie); il rapporto patrimonio netto contabile/attivo patrimoniale (PA), che non deve essere inferiore a 0,10 e il rapporto patrimonio netto contabile/diritti pluriennali (PD), che non deve essere inferiore a 0,25. Si tratta di parametri idonei a garantire un più stringente controllo sulle società, consentendo di evidenziare anche la relazione tra la loro situazione patrimoniale e il totale dei loro investimenti o, comunque, dei debiti che hanno assunto nel tempo. È stato poi reintrodotto dall'articolo 88 delle NOIF l'obbligo della certificazione dei bilanci per la Serie A, a decorrere dalla stagione 2004-2005, esteso anche alle società di Serie B a partire dalla stagione 2005-2006. Tutte le società professionistiche, inoltre, devono


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dimostrare di essere in regola con i pagamenti (senza rateizzazioni) nei confronti dei tesserati, dell'erario e degli enti previdenziali, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 85 delle NOIF.
Tra i nuovi criteri di controllo sulle società sportive fissati dalla FIGC, è d'altra parte da ricordare quello legato al sistema delle licenze UEFA, che consente alle società di partecipare alle competizioni internazionali per squadre di club organizzate dall'UEFA, secondo il disposto dell'articolo 52-bis NOIF. La Licenza UEFA deve essere obbligatoriamente richiesta da tutte le società iscritte al Campionato di Serie A e può essere richiesta da qualsiasi società iscritta al Campionato di Serie B. La medesima Licenza ha efficacia per una sola stagione sportiva e deve essere richiesta annualmente (il 25 gennaio 2007 è stato approvato il nuovo testo del Manuale per l'ottenimento delle licenze, che entrerà in vigore dalla stagione sportiva 2007/2008).
Sussiste, poi, il divieto per coloro che hanno determinato la non ammissione del club al campionato per il mancato rispetto dei requisiti economico-finanziari, di partecipare alla nuova società cui viene assegnato il titolo sportivo di categoria inferiore. In tal caso, la FIGC può attribuire, gratuitamente, il titolo sportivo - vale a dire il riconoscimento delle condizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un determinato Campionato - inferiore di una categoria rispetto a quello di pertinenza della società ad altra società, che sia in grado di fornire garanzie di solidità finanziaria e continuità aziendale, secondo il disposto dell'articolo 52 delle NOIF, come modificato dal Consiglio federale nella riunione del 14 maggio 2004, cosiddetto Lodo Petrucci.
Nel corso delle audizioni svolte, che hanno consentito anche di ricostruire l'articolato meccanismo di controlli come sopra evidenziato, è emerso quindi che la Covisoc ha recentemente definito una nuova struttura di bilancio per le società, approvata dalla FIGC, previo parere positivo del CONI, secondo quanto confermato anche dal comunicato ufficiale della FIGC del 6 settembre 2006. Il nuovo piano dei conti consentirebbe quindi di individuare una struttura di bilancio innovativa, soprattutto per le informazioni che devono essere contenute nella nota integrativa e che migliorerebbero significativamente la capacità informativa di questo strumento del bilancio. Verranno ad esempio messe in evidenza tutte le plusvalenze che vengono realizzate sul trasferimento dei calciatori che, con il bilancio precedente, rischiavano di sfuggire al controllo.
È da aggiungere che la Commissione ha potuto riscontrare nel corso dell'indagine che in caso di violazione delle norme federali in materia economico-finanziaria, la Covisoc può proporre alla FIGC di assumere provvedimenti nei confronti delle società, inclusi inchieste e procedimenti disciplinari. Le sanzioni previste sono, a seconda della gravità delle violazioni, la sospensione dei contributi federali, la decadenza dagli stessi o la non iscrizione ai campionati. Per quanto riguarda i poteri sanzionatori, la Covisoc può d'altra parte irrogare direttamente solo le sanzioni di sospensione dei contributi federali e la non ammissione alle campagne trasferimenti, mentre sulle sanzioni previste da parte degli organi di giustizia sportiva deve procedere attraverso il deferimento alla procura federale.
È emerso d'altra parte che competente in materia di controlli è anche la Co.a.vi. soc, la Commissione di appello per la vigilanza e il controllo delle società di calcio professionistiche, istituita il 17 marzo 2004 come organismo di secondo grado. In particolare, essa esprime parere motivato alla FIGC sui reclami proposti dalle società avverso i provvedimenti di non ammissione ai campionati ed ha poteri decisionali in merito ai reclami delle società avverso i provvedimenti di non ammissione ad operazioni di acquisizione del diritto alle prestazioni dei calciatori. Per le società quotate in borsa un ulteriore organismo di controllo è costituito invece dalla CONSOB, la quale ha il compito di verificare, ai fini dell'autorizzazione alla


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pubblicazione, la correttezza del prospetto informativo riguardante l'emittente e gli strumenti finanziari delle società quotate in borsa, con particolare riferimento ai rischi derivanti dall'investimento. La CONSOB vigila altresì su indipendenza e idoneità tecnica delle società di revisione, alle cui attività di controllo il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ha attribuito, insieme ai controlli interni, una funzione di particolare rilievo. Secondo quanto è emerso nel corso delle audizioni, le società quotate presentano un elevato standard dell'informazione finanziaria, con la pubblicazione di dati contabili infrannuali, trimestrali, rispetto alla sola redazione del bilancio annuale. Tali maggiori adempimenti ed obblighi - che non possono evitare le debolezze economiche, patrimoniali e finanziarie delle società consentono di pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull'evoluzione dell'attività ditali emittenti.
Nel corso dello svolgimento dell'indagine conoscitiva è stata inoltre evidenziata la questione dell'applicazione dei nuovi principi contabili internazionali. A questo proposito si ricorda che il regolamento europeo n. 1606 del 2002, recepito con decreto legislativo n. 38 del 2005, ha richiesto alle società quotate di redigere dal 2005 i propri conti consolidati e dal 2006 i bilanci individuali in conformità ai principi contabili internazionali nominati International Financial Reporting Standard. Tale innovazione ha come obiettivo l'armonizzazione, nell'ambito del mercato europeo, degli standard contabili e del miglioramento della qualità dell'informazione finanziaria. Nel caso specifico delle società di calcio, l'esercizio corrente, aperto il 10 luglio 2006, che si chiuderà il 30 giugno 2007, sarà il primo in cui Juventus, Lazio e Roma redigeranno il bilancio sulla base di nuovi principi contabili. Per le tre società non saranno più adottabili alcune delle opzioni agevolative che la normativa nazionale e di settore ha finora concesso alle società calcistiche.
L'indagine conoscitiva ha consentito di approfondire lo stato degli ulteriori controlli affidati alla Lega nazionale professionisti. La Lega infatti, per il raggiungimento delle proprie finalità, gode di autonomia organizzativa ed amministrativa e, con funzioni rappresentative delle società associate, svolgendo tutti i compiti e le attribuzioni conseguenti, salvo quelli che, per disposizioni di legge, di Statuto Federale o contenute nelle norme organizzative interne della FIGC, sono di competenza di quest'ultima. In particolare, per quanto riguarda l'iscrizione ai Campionati, l'articolo 4 del regolamento della Lega prevede che le società debbano: a) aver adempiuto ogni obbligazione nei confronti dei propri tesserati nonché degli Enti federali e delle società affiliate alla FIGC; b) prestare garanzie idonee a coprire l'eventuale disavanzo di gestione e a costituire idonea cauzione per i debiti oggetto di controversia non ancora definita; c) depositare una lettera di impegno annuale che obblighi la Società al pagamento delle quote di contribuzione annuale.
Si è riscontrato d'altro canto nel corso dell'indagine che tale complesso e articolato sistema di controllo non ha tuttavia consentito alle società sportive di raggiungere risultati economici soddisfacenti. Complessivamente, infatti, secondo quanto è emerso nel corso delle audizioni, la situazione economica delle società calcistiche, seppure con alcuni miglioramenti, rimane piuttosto critica, con un alto livello di debito, tanto che, secondo alcuni le ragioni del dissesto sarebbero da individuare soprattutto in una «malaccorta gestione imprenditoriale». Al riguardo, è stata da più parti auspicata una revisione delle norme che riguardano l'attività di controllo, volta alla loro semplificazione, in modo da evitare duplicazioni e contrasti fra le disposizioni ed eliminare l'eventualità di dubbie interpretazioni, nonché una maggiore attenzione all'aspetto dell'equilibrio economico, con specifico riferimento al rapporto tra costi e ricavi, finora trascurato a favore dei controlli sull'equilibrio finanziario delle società, ossia al rapporto fra il capitale e indebitamento. In


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questo senso, è stata rappresentata l'esigenza di individuare qualche indicatore di equilibrio economico che aiuti le società a ricostituire un conto economico che risponda meglio ai principi della sana e prudente gestione delle società, anche di quelle di calcio.
Nel corso dell'audizione del 26 settembre 2006, è stato poi auspicato un collegamento più stretto della Covisoc con la procura federale e con gli organi della giustizia sportiva, in modo da facilitare la comprensione delle questioni su cui questi organi sono chiamati a deliberare nonché un allungamento del mandato fino a tre anni, con possibilità di un solo rinnovo, in modo da avere più tempo per giungere alla conclusione dei processi in corso.
Un ulteriore fattore critico emerso nel corso delle audizioni è stato quello relativo alle regole di governo societario, la cosiddetta corporate governance, e i presidi di controllo all'interno delle società di calcio, anche quotate. È emerso infatti nel corso dell'audizione dell'11 ottobre 2006, che nell'attività di vigilanza la Consob ha rilevato una palese concentrazione di poteri in mano a poche persone chiave, in assenza di separazione tra funzioni decisionali e di controllo, nonché una sostanziale mancanza di procedure definite, con frequenti rinvii alla prassi. Si è rilevata, inoltre, una significativa carenza di piani di intervento periodici e di verifiche operate dalla funzione di controllo interno, nonché la mancanza di uniformità delle suddette verifiche, e di reportistica specifica. Tutto ciò ha comportato inevitabili ricadute, in termini di indipendenza sulle scelte operate dagli amministratori, a prescindere dai modelli societari adottati, ovvero tradizionale o dualistico. È emersa in questo senso una gestione che poteva definirsi in alcuni casi di carattere familiare, nella quale le decisioni venivano affidate, con deleghe pressoché illimitate, agli amministratori delegati e ai direttori sportivi, adducendo come giustificazioni generici motivi di riservatezza, efficienza e rapidità e che solo successivamente, a consuntivo, venivano assoggettate alla ratifica del consiglio di amministrazione.
In tale ambito, nel corso dell'indagine conoscitiva è stato quindi espresso l'auspicio dell'adozione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire illeciti amministrativi, in analogia con quanto previsto dall'articolo 6 del citato decreto legislativo n. 231 del 2001, ai sensi del quale l'ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza. In ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i predetti illeciti.
Sulla questione della natura giuridica delle società di calcio, della possibilità che esse mantengano lo scopo di lucro e sulla quotazione in borsa si è aperto invece un ampio dibattito nel corso delle audizioni. In questo senso, alcuni soggetti auditi non hanno ritenuto che la trasformazione in SpA sia stata una delle ragioni fondamentali della crisi, anche se la maggior parte di essi ha concordato sulla necessità che il Parlamento esamini a fondo la questione al fine di individuare un modello di società per azioni a statuto speciale.
La maggior parte degli auditi si è poi dichiarata contraria alla quotazione in borsa delle società, soprattutto perché allo stato attuale le società non dispongono di un patrimonio, quale ad esempio, la proprietà degli stadi. I rappresentanti della Consob, tuttavia, nel corso dell'audizione già ricordata dell'il ottobre 2007 hanno chiarito la complessità di una eventuale procedura di delisting delle società sportive quotate, mettendo anche in evidenza il fatto che attualmente nessuna delle società quotate rientra nelle categorie previste dalla normativa vigente per accedere a tale istituto. Si segnala, peraltro, che un primo tentativo di delisting avviato da ultimo da parte di una società sportiva si è concluso con un fallimento dell'offerta pubblica d'acquisto totalitaria lanciata quale primo passaggio necessario per tale operazione.
In termini comparati, con riferimento alla situazione europea, è emerso anche


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nel corso dell'audizione di Josè Luis Arnaut che in Europa oggi sono quotate 27 società titolari di squadre professionistiche di calcio. In particolare le società britanniche sportive quotate - tra le quali Tottenham, Newcastle, Aston Villa e Manchester United - operano tramite più società controllate, che svolgono attività diversificate in altri sport, nel tempo libero, nei media e nel settore immobiliare. Per le società sportive britanniche d'altra parte, già più di dieci anni fa, una rilevante percentuale dei ricavi derivava dall'esercizio di attività commerciali, come merchandising, catering, speciale accoglimento di pubblico aziendale, conferenze. In questi casi si utilizza infatti, come fattore di successo, l'immagine dei propri campioni, al fine di promuovere l'incremento dei ricavi nelle attività commerciali, investendo altresì significative risorse nella crescita del proprio vivaio di calciatori, anche a discapito di acquisti da terze società. Dal punto di vista patrimoniale, le stesse sono proprietarie degli stadi e dei complessi sportivi, e presentano mediamente una solida patrimonializzazione.
L'indagine ha consentito quindi di appurare che il modello danese d'altro canto - a titolo esemplificativo si ricordano il Brondby e il Football Club Copenhagen, la cui società di riferimento è la Parken Sport - rispecchia in gran parte quella anglosassone, con un significativo focus sulla gestione degli stadi, i cui introiti contribuiscono in modo rilevante ai ricavi delle società stesse. Di converso, è peculiare e interessante il modello utilizzato dalle società calcistiche turche, come per esempio il Galatasaray. Si riscontra, infatti, in quel mercato, una dicotomia tra attività sportiva e commerciale, realizzato attraverso lo scorporo degli asset commerciali in una società controllata, quotata sul mercato nazionale. Ulteriore caratteristica del modello turco è la concessione in leasing dei giocatori dalla società sportiva, proprietaria degli stessi diritti, alla società commerciale quotata. Ciò favorisce una minore incidenza del costo degli atleti sui conti della società quotata. Peraltro, non sembra essere attuata con successo in questo modello una politica di diversificazione dei ricavi che appaiono incentrati sui diritti televisivi.
Nel corso delle audizioni è stata quindi avanzata la proposta di intervenire sulla natura giuridica delle società, attraverso la previsione di un sistema di amministrazione cosiddetto «duale», caratterizzato dalla possibilità di associare, nel controllo della società, la proprietà privata ad un meccanismo di rappresentanza dei vari stakeholders delle comunità locali ed eventualmente delle comunità degli appassionati.

3.3 Il rapporto di lavoro professionistico.

Strettamente connessa alla situazione economica delle società sportive è la questione del rapporto di lavoro degli sportivi professionisti, anch'essa affrontata nel corso dell'indagine conoscitiva.
La citata legge n. 91 del 1981 prevede in questo senso la disciplina in materia di professionismo sportivo, definendo sportivi professionisti gli atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI, cui è demandata la disciplina per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica. Il rapporto di lavoro professionistico, con il conseguente tesseramento, si costituisce con la stipulazione di un contratto in forma scritta tra l'atleta e la società destinataria della prestazione sportiva, secondo il contratto tipo predisposto conformemente all'accordo stipulato ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate: La durata dei contratti viene stabilita con libera trattativa tra l'atleta e la società e non può essere superiore a cinque anni.

La prestazione si configura quindi come lavoro subordinato tranne quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
a) l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;


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b) l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.

È ammessa invece la cessione del contratto prima della scadenza da una società sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive. Nel caso di primo contratto, le federazioni sportive devono prevedere un premio di addestramento e formazione tecnica alla società con la quale l'atleta ha svolto la sua ultima attività dilettantistica. Quest'ultima deve reinvestire tale premio nel perseguimento dei fini sportivi. La legge contiene anche disposizioni sulla tutela assicurativa, sanitaria e previdenziale degli sportivi professionisti, nonché sul trattamento tributario dei redditi derivanti dalle prestazioni sportive e dagli altri contratti tipici del settore dello sport professionistico.
Si segnala che in merito alla retribuzione dei calciatori, l'accordo collettivo per la serie A e B fra FIGC, Lega Nazionale professionisti e Associazione Italiana Calciatori (AIC), stipulato il 4 ottobre 2005, consente ai club di corrispondere una retribuzione fissa e una variabile, a seconda del conseguimento o meno di risultati sportivi individuali o di squadra. La parte fissa può essere convenuta in misura diversa a seconda del campionato di appartenenza e/o della competizione internazionale cui la società partecipa o parteciperà e non può essere in ogni caso inferiore ai minimi federali. E da aggiungere, da ultimo, che i giocatori rappresentano una delle voci caratteristiche del bilancio delle società sportive e sono iscritti a bilancio tra le immobilizzazioni immateriali. Tale circostanza ha determinato alcuni interventi legislativi volti a sanare situazioni di criticità economica connesse a notevoli variazioni del valore di tale voce di bilancio. In questo senso, si ricorda che fino al 1996 l'indennità di preparazione e promozione prevista dalla legge n. 91 del 1981 ha consentito alle società di classificare le somme spese per acquisire i diritti alla prestazione sportiva del calciatore come investimenti e tutti questi diritti, sebbene classificati come beni immateriali, formavano parte delle immobilizzazioni della Società.
Per far fronte alle problematiche derivanti dall'eliminazione di detta indennità intervenuta con il citato decreto-legge n. 485 del 1996, quest'ultimo ha introdotto un regime transitorio in base al quale le società sportive potevano iscrivere nel proprio bilancio tra le componenti attive in apposito conto un importo massimo pari al valore di detta indennità maturata alla data del 30 giugno 1996, a seguito di una apposita certificazione rilasciata dalla federazione sportiva competente. Le società hanno quindi provveduto all'ammortamento del valore iscritto in bilancio entro i successivi tre anni. L'iscrizione a bilancio dei giocatori ha poi determinato un successivo intervento del Governo con l'adozione del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, recante disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, cosiddetto «spalmadebiti», legato al fatto che il valore di tale voce era stato seriamente compromesso dall'andamento negativo del mercato dei giocatori senza che le società avessero provveduto ad ammortizzarne il valore ovvero a svalutarlo. Il provvedimento, attraverso l'introduzione dell'articolo 18-bis nella legge n. 91 del 1981, ha consentito alle società sportive di iscrivere in bilancio, tra le componenti attive quali oneri pluriennali da ammortizzare, le svalutazioni dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, permettendo di procedere all'ammortamento di tale svalutazione in dieci rate annuali di pari importo, ridotte, successivamente, a cinque.
Si ricorda, infine, che l'articolo 35 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico


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e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha previsto, con il fine esplicito di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, che le società di calcio professionistiche inviino per via telematica all'Agenzia delle entrate copia dei contratti di acquisizione delle prestazioni professionali degli atleti professionisti, nonché dei contratti riguardanti i compensi per tali prestazioni.
Proprio sulla questione del rapporto di lavoro dei calciatori, nel corso delle audizioni sono emerse posizioni distinte. Alcuni soggetti, per esempio i rappresentanti dell'Associazione italiana calciatori nel corso dell'audizione del 13 settembre 2006, hanno sostenuto che tale rapporto si configura a tutti gli effetti come un rapporto di lavoro subordinato e che pertanto non è possibile valutare soluzioni diverse rispetto al contratto di lavoro attualmente vigente. Altri, invece, pur riconoscendo le molteplici caratteristiche del rapporto che sembrerebbero ricondurre tale tipologia al lavoro subordinato, hanno sottolineato come, a fronte di remunerazioni particolarmente alte, sia improprio parlare di lavoro subordinato. Tale tipologia di contratto costringerebbe inoltre le società al pagamento di oneri riflessi rilevantissimi, falsificando di fatto le regole della concorrenza a livello europeo.
Nel corso dell'indagine è stata altresì sostenuta la necessità di introdurre un tetto agli stipendi dei calciatori come strumento per ridurre i debiti delle società. Secondo alcuni, tale tetto, cosiddetto salary cap, dovrebbe essere individuato non a livello individuale, ma a livello di tutti i giocatori. In questo senso una parte del patrimonio, o meglio degli introiti delle società calcistiche, limitati al salary cap, dovrebbero riguardare tutti i giocatori. Si è altresì considerata, da parte di altri, l'esigenza di un tetto individuale.
La maggior parte degli auditi, in ogni caso, ha concordato sulla necessità che qualsiasi modifica alla disciplina vigente sia concordata a livello europeo, al fine di compromettere il livello di competitività delle squadre italiane rispetto a quelle degli altri Paesi.

4. Le questioni relative all'utilizzo dei diritti televisivi, anche rispetto all'uso delle nuove tecnologie.

La questione in primo piano e sulla quale la Commissione ha ritenuto di dover intervenire immediatamente con un provvedimento di carattere legislativo, ha riguardato in particolare la ripartizione dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti televisivi.
Su tale questione è opportuno ricordare che la normativa europea ha recentemente modificato il proprio orientamento in senso più favorevole alla vendita collettiva. Si ricorda in questo senso che il Consiglio europeo riunitosi a Nizza nel dicembre 2000 ha assunto una posizione favorevole alla messa in comune di una parte degli introiti derivanti dalla vendita dei diritti TV, ai livelli appropriati, considerandola vantaggiosa per attuare il principio di solidarietà tra tutti i livelli di pratica sportiva e le diverse discipline. In occasione di alcune recenti decisioni della Commissione europea sulla vendita congiunta dei diritti della UEFA Champions League e di alcune leghe nazionali, inoltre, la medesima Commissione ha riconosciuto che i club calcistici siano avvantaggiati dalla vendita dei diritti commerciali tramite un punto vendita unico o un'agenzia di vendita congiunta e che gli effetti negativi derivanti dall'accordo comune di vendita siano controbilanciati dalla maggiore quantità di contenuti resi disponibili per una più ampia distribuzione, tale da consentire di promuovere il progresso tecnico ed economico dei contenuti mediatici stessi e dei nuovi vettori mediatici che li distribuiscono
Tale orientamento è stato confermato, a livello normativo, dall'approvazione, nell'ambito della disciplina comunitaria in materia di concorrenza, dal Regolamento


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CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, che consente alle imprese di evitare un accertamento di infrazione proponendo impegni adeguati. L'autorità di regolazione della concorrenza, infatti, è chiamata ad intervenire solo nel caso in cui lo svolgimento del rapporto manifesti vizi funzionali tali da comportare effetti restrittivi, escludenti o discriminatori.
Come si è già ricordato, la VII Commissione cultura della Camera ha proceduto nel corso dell'indagine conoscitiva all'audizione di José Luìs Arnaut, già ministro del Governo portoghese e autore del Rapporto indipendente sul calcio europeo 2006, avente l'obiettivo di fornire alcune raccomandazioni alle autorità europee e nazionali affinché intervengano con norme trasparenti nell'ambito delle quali gli organi di autogoverno dello sport siano in grado di risolvere le questioni che interessano il settore. In particolare, nel corso della sua audizione, Arnaut ha messo in evidenza due esigenze: da una parte, la necessità di conciliare l'aspetto «sociale» del calcio con le problematiche di carattere commerciale; dall'altra, l'urgenza di fornire certezza e stabilità legale al sistema sportivo. Tali esigenze possono trovare risposta in primo luogo attraverso la completa applicazione dei principi sanciti nella dichiarazione di Nizza, adottata dal Consiglio europeo nel dicembre 2000, che ha sottolineato l'importanza della funzione sociale dello sport e la necessità di tener conto delle sue caratteristiche al momento dell'attuazione di tutte le politiche comunitarie.
Tra le misure volte a garantire l'equilibrio tra le squadre partecipanti ad una stessa competizione, necessario per assicurare l'attrattiva del calcio, l'autore del Rapporto indicato ha altresì ricordato la redistribuzione delle risorse mediante la vendita collettiva dei diritti commerciali, definita, nello stesso tempo, necessaria e compatibile con il diritto comunitario. Lo stesso Arnaut ha poi ricordato che l'indicato Rapporto propone l'adozione da parte della Commissione europea di linee guida relative all'applicazione allo sport delle regole sulla concorrenza, in cui si precisino, tra l'altro, le regole sportive che non rientrano nell'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, le misure che meritano deroghe al divieto di accordi tra imprese nonché la disciplina giuridica di specifiche tematiche quali la vendita collettiva dei diritti, la valorizzazione dei vivai, la partecipazione degli atleti alle rappresentative nazionali, le limitazioni agli stipendi, la concessione delle licenze ai club. Nel complesso, è stata quindi evidenziata la necessità di un'ampia autonomia dello sport, e comunque, anche nei casi in cui le decisioni sportive hanno rilevanza economica, l'esigenza di tenere presente la specificità dello sport, riconoscendo la terzietà delle autorità sportive, che devono in ogni caso agire con ragionevolezza, proporzionalità e senza decisioni arbitrarie nonché essere democratiche e rappresentative.
È stato quindi evidenziato come in altri Paesi europei la situazione sia piuttosto articolata. In Inghilterra, il 50 per cento degli introiti viene diviso in parti uguali, mentre il restante 50 per cento è ripartito in base a principi meritocratici, secondo cioè la classifica del campionato precedente; non c'è poi alcuna mutualità verso le serie inferiori. In Spagna invece esiste una situazione tale per cui Real Madrid, Barcellona e altri dieci club trattano soggettivamente mentre i restanti vendono i diritti collettivamente. In Francia la vendita è invece collettiva, con un contratto di 600 milioni l'anno; in Germania dove la vendita è collettiva, le entrate vengono suddivise in proporzione, in base alla posizione in classifica e ai passaggi in televisione; in Portogallo, infine, la vendita è soggettiva, così come in Olanda, dove però vi sono alcuni correttivi a favore delle squadre minori.
Merita ricordare, per completezza, che, in Italia, la vigente disciplina dei diritti di trasmissione televisiva delle partite di calcio è contenuta nel decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo, convertito


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con modificazioni dalla legge 29 marzo 1999, n. 78, che ha attribuito la titolarità dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata alle singole squadre di calcio di serie A e B. Fino alla stagione 1998-1999 i diritti di trasmissione televisiva delle partite del campionato di Serie A, sia in chiaro sia in criptato, erano negoziati per il tramite della Lega Calcio, che provvedeva a distribuire i relativi proventi tra le società calcistiche professionistiche sostanzialmente su base paritetica. La Lega vende collettivamente i diritti in chiaro sui campionati di Serie A e di Serie B nonché sulla Coppa Italia, risorse che contribuiscono a pagare una parte della mutualità verso la Serie B. I diritti relativi ai programmi realizzati sul campionato nel suo complesso, come prodotto, conseguentemente, appartengono a chi organizza il campionato, cioè alla Lega, mentre le squadre sono proprietarie dei diritti di trasmissione delle singole partite.
Dall'indagine è emerso come il sistema di mutualità ridistribuisca attualmente una quota pari al 18 per cento dei diritti TV e degli incassi da biglietti alla squadra ospite, nonché del 20 per cento dei ricavi da diritti televisivi, in chiaro e criptati, da giochi e scommesse e da sponsorizzazioni dei campionati alla Serie B, con un importo garantito pari a 103 milioni di euro. La questione riguarda principalmente la Serie A e la Serie B perché, come è emerso in particolare nel corso dell'audizione del presidente della Lega professionisti di Serie C, Mario Macalli, la Serie C ha già da tempo attuato forme di ripartizione dei contributi federali sulla base dell'effettivo ricorso delle società a calciatori provenienti dai vivai e tale orientamento è largamente condiviso all'interno del mondo calcistico.
Va aggiunto che in merito ai criteri di ripartizione all'interno della Serie A, com'è noto, l'articolo 46 del Regolamento della Lega nazionale professionisti prevede che i criteri di ripartizione dei crediti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi, approvati dall'assemblea del 19 marzo 1999, abbiano durata fino al 30 giugno 2005 e, qualora non si raggiunga una soluzione idonea a perseguire l'identico scopo mutualistico, si intendano prorogati per un triennio, sino al 30 giugno 2008. Con decisione del 18 dicembre 2003, la Corte federale ha dichiarato tale disposizione inefficace - a decorrere dal 1 luglio 2004 - per eccessiva onerosità sopravvenuta, in quanto impegna le società di Serie A al pagamento di contribuzioni superiori a quanto dalle stesse percepito in base ai diritti televisivi in questione ed ha stabilito che, fermo restando il principio mutualistico, l'accordo fra le Società appartenenti alla Lega debba essere rinegoziato al fine di ricondurlo ad equità. Per la nuova negoziazione la Corte ha stabilito che i criteri di mutualità siano utilizzati in favore di tutte le società economicamente più deboli (prestando attenzione non solo alla collocazione all'interno del campionati di serie A o di serie B, ma anche ad altri criteri, quali quelli del bacino di utenza e della potenzialità di diffusione televisiva delle singole società e della partecipazione alle Coppe europee) nonché il criterio della ragionevolezza, al fine di non imporre oneri eccessivi ai soggetti chiamati unilateralmente ad operare esborsi di denaro in favore di altri soggetti. L'indagine conoscitiva ha consentito di riscontrare che tale decisione ha aperto un dibattito che ancora non ha trovato una soluzione definitiva, anche se è emerso che, nel corso dell'Assemblea della Lega del 7 luglio 2005, è stato raggiunto un accordo di ripartizione che prevede il mantenimento della percentuale delle risorse ripartite (18 per cento), ampliando la base di calcolo con l'inclusione, oltre ai diritti per l'estero e la Tv digitale satellitare e terrestre, anche quelli relativi ad Internet ed alla telefonia mobile. L'accordo è valido fino al giugno 2007.
Come già anticipato in premessa, sulla questione della ripartizione delle risorse economiche, il Governo è intervenuto con l'approvazione di un disegno di legge volto ad introdurre alcune norme nel sistema di ripartizione volte ad assicurare l'equilibrio competitivo tra i soggetti partecipanti alle competizioni. Tale obiettivo è stato raggiunto


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mediante l'introduzione di un nuovo sistema imperniato sulla vendita centralizzata dei diritti televisivi in grado di garantire una ripartizione tra tutte le squadre secondo criteri di mutualità che assicurino lo svolgimento di un campionato più equilibrato. In particolare, una quota prevalente delle risorse è ripartita - anche attraverso regole determinate dal soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva - tra tutti i partecipanti alle competizioni in parti uguali, mentre le restanti risorse sono attribuite al soggetto organizzatore, che provvede a ridistribuirle tenendo conto anche del bacino d'utenza e dei risultati sportivi conseguiti; inoltre, una quota non quantificata nel testo - è destinata alla mutualità generale del sistema; in linea generale, la ripartizione deve avvenire in modo tale da valorizzare e incentivare le categorie inferiori e lo sviluppo del settore giovanile.
Sulla ripartizione delle risorse e sulla necessità di destinare una quota dei proventi allo sviluppo del settore giovanile, si è svolto, durante l'esame alla Camera del disegno di legge C. 1496 citato, un ampio e approfondito dibattito in Commissione cultura, anche con riferimento alla questione se la definizione dei criteri per la ripartizione delle risorse fosse un contenuto proprio della norma di rango primario ovvero se non dovesse essere rimessa all'autonomia contrattuale delle singole società (che l'hanno esercitata finora, anche per il tramite delle Leghe). Tale principio dell'autonomia del mondo dello sport ha ispirato gran parte degli interventi e, sotto questo profilo, nel corso dell'esame sono stati approvati, con alcune riformulazioni volte a tenere in considerazione le diverse posizioni, emendamenti della maggioranza e dell'opposizione. In tal senso, già il nuovo testo presentato dal relatore aveva individuato, anche a seguito dell'orientamento espresso dall'Autorità garante per la concorrenza e il mercato, una formulazione più flessibile, ritenendo eccessivamente vincolante l'introduzione di un limite numerico in una norma di rango primario, Il testo successivamente approvato ha previsto quindi che la ripartizione avvenga anche attraverso regole che potranno essere determinate dal soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva, favorendo in tal modo una iniziativa autonoma del soggetto organizzatore, con l'obiettivo di circoscrivere l'esercizio della delega legislativa e garantire l'autonomia del settore. È stata inoltre precisata la necessità che la ripartizione avvenga in modo tale da valorizzare e incentivare le categorie inferiori e lo sviluppo del settore giovanile.
D'altra parte accanto alla questione della ripartizione dei proventi da diritti TV, è emersa altresì nel corso delle audizioni una questione particolarmente sentita dalle TV locali, vale a dire la disponibilità delle singole partite di campionato e il diritto di cronaca.
In particolare, gli auditi hanno rilevato come i grandi operatori nazionali abbiano la possibilità di acquistare il pacchetto completo di tutte le partite del campionato, senza mandarne in onda la gran parte, con grave danno all'informazione del territorio. In tal caso, è stata auspicata la previsione di una sorta di obbligo di messa a disposizione delle singole partite - dietro un corrispettivo concordato - a favore di una o più televisioni locali che interessano il territorio. Sempre al fine di garantire un'ampia informazione territoriale, generalista e gratuita sul territorio, è stato sollecitato che le differite integrali delle partite di tutte le serie siano accessibili alle emittenti locali a favore di coloro che non hanno la possibilità di accedere alle TV a pagamento. In tal senso, potrebbe essere consentita alle emittenti locali la trasmissione in seconda battuta dell'evento, affinché gli utenti ne possano fruire in modo gratuito.
Un analogo ragionamento è stato svolto con riferimento agli highlights che le TV locali trasmettono attraverso accordi con Sky, RAI e Lega calcio, anche con riguardo al fatto che le emittenti locali, dopo aver acquistato gli highlights, tengono in repertorio una serie di immagini che utilizzano poi nelle trasmissioni future, addirittura


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l'anno successivo, per fare dei paragoni fra quanto avvenuto l'anno precedente e quello successivo.

5. Il ruolo assunto dai soggetti che operano nel mondo del calcio in relazione agli eventi realizzatisi e le modifiche alle norme interne avviate nel corso dell'indagine.

Un approfondimento specifico è stato quindi rivolto dalla Commissione nel corso dell'indagine al ruolo svolto dagli operatori del settore in relazione alle vicende di calciopoli. A seguito dello scandalo che ha coinvolto il mondo del calcio, e il conseguente commissariamento della FIGC, i commissari succedutisi, Guido Rossi e Luca Pancalli, avviarono una riforma dello statuto federale, giacché le problematiche sollevate dalle note vicende avevano mostrato la necessità di una revisione delle norme federali e di quelle statutarie relative ai procedimenti elettorali. Il nuovo statuto è stato approvato dall'Assemblea della Federcalcio, nella seduta del 22 gennaio 2007, a distanza di circa un mese dalla conclusione delle audizioni da parte della Commissione cultura.
In particolare, nel corso della sua audizione il Commissario straordinario della FIGC, Luca Pancalli, ha illustrato le modifiche dello statuto federale, incentrate su tre diversi obiettivi di ordine generale: realizzare un modello di governance più efficiente e trasparente, rendere più funzionale l'organizzazione federale, migliorare il sistema della giustizia sportiva.
Per quanto riguarda la governance, si è inteso restituire alla Federazione una posizione di centralità nell'organizzazione dell'ordinamento calcistico, definendo meglio il suo ruolo rispetto a quelle delle leghe, anche attraverso la previsione di nuove funzioni. Tra queste, si ricorda l'attività di promozione, sviluppo e sostegno ai vivai giovanili, le funzioni di controllo dei requisiti organizzativi, funzionali, economico-gestionali e di equilibrio finanziario delle società, quelle di perseguimento dell'equilibrio competitivo tra società partecipanti ai medesimi campionati e quelle di adozione di un sistema di licenze per la partecipazione ai campionati professionistici, in armonia con i principi e le norme della UEFA, in materia di licenze per le competizioni europee. Riguardo all'elezione del presidente si è semplificata la procedura, superando il meccanismo del cosiddetto diritto di veto (necessità di ottenere almeno un terzo dei voti espressi dai delegati delle società e associazioni di ciascuna Lega e dai delegati di ciascuna componente tecnica). Sono inoltre state previste nuove modalità di individuazione dei vicepresidenti, al fine di garantire la rappresentatività a tutte le componenti del settore.
Quanto al funzionamento dell'organizzazione federale, si è introdotto l'obbligo per il consiglio federale, ispirato al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, di approvare il modello organizzativo e le procedure concernenti il funzionamento della Federazione, con particolare riferimento al tesseramento, all'affiliazione, all'ammissione ai campionati professionistici, al controllo delle società, al controllo sulla regolarità dei campionati di livello nazionale, alla prevenzione e repressione del doping ed alla tutela della salute, alla giustizia sportiva, alla gestione delle squadre nazionali, nonché alla redazione dei documenti contabili interni e all'uso dei fondi federali.
A ciò si aggiunge la previsione dell'obbligo per il consiglio federale di vigilare affinché le procedure adottate siano idonee a prevenire illeciti sportivi, disciplinari o contabili, nonché ad assicurare il rispetto dei principi di correttezza, di lealtà, di probità e, in generale, di etica sportiva, obiettivo che può essere realizzato anche attraverso la costituzione di commissioni interne di controllo composte anche da soggetti esterni.
Un altro aspetto relativo a quest'area è costituito dalla previsione della rappresentanza, da parte di ciascuna Lega, delle proprie società negli accordi relativi alle rispettive competizioni aventi ad oggetto la


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cessione collettiva dei diritti di diffusione attraverso la radiotelevisione e gli altri mezzi di comunicazione, i cui ricavi siano distribuiti con modalità che perseguano l'equilibrio competitivo nei campionati e destinino una quota allo sviluppo del calcio giovanile e di base. Si segnala, infine, la previsione del sistema di controllo sull'equilibrio economico-finanziario, sul rispetto dei principi della corretta gestione delle società professionistiche, anche attraverso una ridefinizione delle funzioni, della posizione e della composizione della commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche, nonché di organi tecnici di controllo su quelle dilettantistiche.
Relativamente alla giustizia sportiva, si è prevista, innanzitutto, l'istituzione di una Commissione di garanzia della giustizia sportiva, per assicurare l'indipendenza e l'autonomia degli organi che la compongono. L'indicata Commissione a tal fine è chiamata a formulare pareri e proposte al consiglio federale in materia di organizzazione e funzionamento degli organi di giustizia sportiva, e anche a seguito di candidature, nomina i componenti degli organi che operano a livello nazionale, adottando provvedimenti disciplinari nei confronti di tutti i componenti dei organi stessi. L'auspicio espresso nel corso dell'indagine a questo proposito è stato che la suddetta nomina avvenga sulla base di un metodo democratico.
La medesima Commissione è formata poi da componenti di nomina mista (CONI, FIGC), scelti tra professori universitari di prima fascia in materie giuridiche e magistrati delle giurisdizioni superiori, ordinarie ed amministrative, e che ogni mandato, non rinnovabile, abbia durata definita.
In secondo luogo, si prevede la ridefinizione del sistema degli organi di giustizia sportiva sia semplificandone l'articolazione - anche attraverso la riconduzione in una sede unitaria presso la Federazione di quelli che operano a livello nazionale presso le Leghe -, sia rendendo più celeri i procedimenti riducendo a due i gradi di giudizio interni alla Federazione.
Infine, sono stati puntualmente individuati i requisiti soggettivi e oggettivi dei componenti degli organi di giustizia sportiva, prevedendo espressamente per quelli che operano a livello nazionale il possesso di specifica competenza ed esperienza nell'ambito dell'ordinamento sportivo.
Per quanto riguarda il regolamento degli agenti, il Commissario Pancalli ha evidenziato come le critiche sollevate alla disciplina dell'attività di agente dei calciatori - oggetto sin da prima della fase commissariale di un'indagine conoscitiva da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato - ed in particolare il conflitto di interessi e la vicenda GEA, ne abbiano reso indispensabile la riscrittura.
Elementi qualificanti della riforma sono, innanzitutto, la previsione di una licenza conseguibile con un esame amministrato dalla Federcalcio e coordinato dalla FIFA, la sostituzione dell'albo degli agenti con un elenco di titolari di licenza, l'ipotesi di incompatibilità - coerentemente con le disposizioni FIFA - dell'attività di agente con qualsiasi incarico rilevante per l'ordinamento sportivo nell'ambito della FIFA, di una confederazione o della Federcalcio, ovvero di una società calcistica, una disciplina più restrittiva dell'attività di agente esercitata sotto forma societaria, limitata a società cui partecipino esclusivamente persone fisiche ed il cui controllo sia riconducibile unicamente ad agenti titolari di licenze, che comunque non potranno essere più di tre.
È previsto, inoltre, il divieto per ogni agente - pena la revoca della licenza - di intrattenere rapporti con una società di calcio italiana o estera in cui il coniuge o un parente entro il secondo grado detenga partecipazioni anche indirette, o ricopra posizioni dirigenziali o comunque di rilievo, e il divieto di ogni altro caso di conflitto di interessi, con la previsione di adeguate sanzioni disciplinari, una nuova disciplina del sistema sanzionatorio devoluto agli organi disciplinari federali, la devoluzione delle controversie alla camera


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di conciliazione e arbitrato per lo sport, senza pregiudizio per il ricorso all'autorità giudiziaria.
Quanto alla riforma del settore arbitrale, è stato ricordato che il precedente commissario, professor Rossi, ha proceduto al commissariamento dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA), affiliata alla Federcalcio, con la nomina del professor Luigi Agnolin. Il commissario Agnolin ha provveduto alla nomina dei nuovi organi tecnici arbitrali, necessari ad assicurare il regolamentare avvio dei campionati 2006-2007 ed ha collaborato alla stesura del nuovo regolamento dell'AlA, di un codice etico per gli arbitri nonché dei nuovi principi informatori del settore arbitrale e del nuovo regolamento per l'assemblea elettiva. Il 25 novembre 2006 l'AIA si è nuovamente dotata di un organismo democraticamente eletto e di nuovi organi associativi nella pienezza dei loro poteri.
Elementi qualificanti della riforma sono, innanzitutto, la separazione dei ruoli associativi dai ruoli tecnici, nuovi sistemi di governance dell'AIA basati su una più corretta applicazione del principio di democrazia interna, con l'elezione non solo del presidente nazionale, ma anche dei presidenti degli organismi periferici, prima designati dal presidente nazionale; l'accentuazione del principio della collegialità mediante conferimento di maggiori funzioni e poteri al comitato nazionale - compresa la nomina degli organi tecnici nazionali, i designatori arbitrali, responsabili della valutazione degli arbitri nei campionati nazionali; la totale indipendenza delle nomine tecniche rispetto alla Federcalcio e alle Leghe.
Altri punti qualificanti sono la nomina degli organi tecnici, anche periferici, da parte degli organi collegiali periferici con l'eliminazione del previgente sistema verticistico e l'assoggettamento degli arbitri alla potestà disciplinare degli organismi disciplinari della Federcalcio, ad eccezione degli aspetti meramente associativi devoluti ad organismi domestici.
È prevista anche la presenza negli organi tecnici nazionali di un allenatore di chiara fama nominato dal presidente del settore tecnico della Federcalcio, con funzione di ausilio tecnico, e la presenza nel comitato nazionale degli eventuali rappresentanti italiani nelle commissioni arbitrali di FIFA e UEFA.

6. La questione degli stadi e della violenza nelle manifestazioni sportive.

Nel corso dell'indagine conoscitiva, il fenomeno della violenza negli stadi con le relative cause e i possibili rimedi è stato ampiamente rappresentato, tra l'altro, dai rappresentanti delle tifoserie. Questi ultimi hanno evidenziato l'assenza di qualunque forma di controllo per l'accesso allo stadio, vista la possibilità di fornire elenchi con nominativi non sempre veritieri. Da qui la proposta avanzata da taluni di ritornare all'intestazione del biglietto o dell'abbonamento stadio, oppure di dare maggiore responsabilità ai Presidenti dei club che, quando ritirano i biglietti, forniscono l'elenco delle persone trasmesso poi alle forze dell'ordine ai fini del controllo. Su tale punto, è stato manifestata l'esigenza di prevedere personale ad hoc preposto al controllo del documento del biglietto di ingresso, in considerazione dell'impegno delle forze dell'ordine su altre attività.
Con riferimento al fenomeno della violenza negli stadi, nel corso dell'indagine è stata poi sottolineata l'importanza di un approccio equilibrato agli eventi calcistici da parte della stampa, visto che il modo di rappresentare tali eventi può contribuire a produrre determinate reazioni.
Si ricorda che, sotto il profilo normativo, il Parlamento ha approvato nell'ultimo anno importanti interventi volti a prevenire i fenomeni di violenza negli stadi. Una serie di decreti legge - l'ultimo dei quali nell'agosto del 2005 (DL 162/2005) - è intervenuta sulla disciplina generale recata dalla legge 13 dicembre 1989, n. 401, prevedendo: il cosiddetto arresto in flagranza differita dei tifosi violenti, applicabile in via transitoria fino al 30 giugno 2007; il differimento o divieto di manifestazioni sportive da parte del


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Prefetto "per urgenti e gravi necessità pubbliche connesse allo svolgimento delle manifestazioni sportive"; l'introduzione di precise disposizioni in ordine all'organizzazione delle gare ed ai requisiti dell'impianto sportivo nonché all'emissione di biglietti in numero congruo alla capienza dell'impianto; la numerazione dei biglietti di ingresso agli impianti sportivi con capienza superiore a diecimila unità; l'ingresso agli impianti mediante varchi dotati di metal detector per la rilevazione di strumenti di offesa nonché di apposite apparecchiature per la verifica elettronica della regolarità del titolo di accesso (tornelli); la presenza negli impianti di strumenti di videosorveglianza delle aree riservate al pubblico all'interno dell'impianto e nelle sue immediate vicinanze; l'installazione nell'impianto «di mezzi di separazione che impediscano che i sostenitori delle due squadre vengano in contatto tra loro o possano invadere il campo».
Il decreto-legge 17 agosto 2005, n. 162, ha inoltre istituito l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, con il compito di effettuare monitoraggio dei fenomeni di violenza e dello stato di sicurezza degli impianti sportivi; promuovere iniziative coordinate per la prevenzione, anche in collaborazione con associazioni di tifosi ed enti locali; definire le misure che possono essere adottate dalle società sportive per garantire il regolare svolgimento delle manifestazioni sportive.
Tali misure, secondo i dati raccolti dall'Osservatorio nei primi cinque mesi del campionato 2006-2007 hanno consentito di registrare una significativa diminuzione degli incidenti e del numero dei feriti, consentendo l'utilizzo di un minor numero di agenti con conseguente risparmio economico pari a due milioni di euro circa. Diversamente, nei campionati di serie B, dove le misure non sono state adottate per via della minore capienza degli impianti, si è rilevato un aumento dei disordini.
In linea generale, gli auditi hanno messo in evidenza come tali interventi, uniti a quelli per stadi moderni e sicuri, non siano sufficienti da soli a risolvere il fenomeno della violenza negli stadi, senza una parallela politica di valorizzazione delle strutture esistenti ed un'azione politica che coinvolga la scuola, le famiglie, i mezzi di informazione nella diffusione di una cultura sportiva basata sulla crescita della persona e sulla sua educazione. A tal fine è necessario che il calcio riesca a promuovere i valori della competizione leale, del rispetto reciproco e del senso di responsabilità. I giocatori, che vengono sempre più presi ad esempio dai giovani, devono trasmettere loro, attraverso la costante pratica di comportamenti corretti verso l'altro, il piacere del vivere e giocare insieme, senza distinzioni di religione o di razza. Occorre quindi promuovere lo sport come valore educativo, come virtù capace di rimettere al centro le persone e aiutarle a crescere, non soltanto nelle proprie abilità e competenze tecniche, ma come fattore di sviluppo dei nostri livelli di civiltà, come capitale umano a disposizione di tutta la nazione.
In tal senso, già nella indagine conoscitiva conclusa nella XIV legislatura, la Commissione aveva auspicato con forza il superamento della distinzione tra soggetto proprietario e soggetto fruitore degli stadi, con affidamento alle società di calcio - sia professionistiche che dilettantistiche - della gestione diretta degli stessi stadi, individuando nell'istituto per il credito sportivo il partner naturale delle società calcistiche e degli enti locali per la realizzazione dei progetti di ristrutturazione e gestione degli stadi. La Commissione aveva, infatti, ritenuto che gli interventi proposti fossero idonei a determinare nel complesso significativi benefici, non solo in termini economici, ma anche sul piano della prevenzione dei fenomeni di violenza. Tale orientamento era stato condiviso dalla FIGC che, nel documento dell'11 novembre 2004 sulle conclusioni dell'indagine conoscitiva, aveva sollecitato un piano di riqualificazione degli stadi, anche per contrastare il continuo calo di spettatori degli ultimi anni (secondo stime ufficiali, gli stadi nella stagione 2006-2007 hanno registrato un calo di spettatori pari a 1.200.000 rispetto all'anno precedente).


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Al fine di completezza, occorre ricordare che, dopo il termine delle audizioni, si sono verificati gravissimi episodi di violenza in occasione di avvenimenti sportivi, culminati nell'omicidio dell'ispettore Raciti a Catania; tali eventi hanno indotto il Governo ad intervenire con un nuovo decreto-legge, al fine di integrare e migliorare la normativa di contrasto ai fenomeni di violenza sopra descritta. Il decreto-legge 8 febbraio 2007 n. 8 introduce, in particolare, una serie di norme finalizzate ad ampliare e migliorare gli strumenti di prevenzione del fenomeno, anche attraverso l'immediata applicazione di misure che modulano l'organizzazione e lo svolgimento delle manifestazioni sportive riguardanti il gioco del calcio, in relazione al non completo adeguamento degli impianti sportivi alla vigente normativa, nonché attraverso il perfezionamento delle misure volte a contrastare, con maggiore rigore, la degenerazione violenta del tifo sportivo. Il decreto legge prevede inoltre l'apertura di un tavolo di concertazione, cui partecipano i Ministri per le politiche giovanili e le attività sportive, delle infrastrutture, dell'interno e dell'economia e delle finanze, il CONI, nonché i rappresentanti dell'ANCI, delle regioni e delle organizzazioni sportive, per definire un programma straordinario per l'impiantistica destinata allo sport professionistico e, in particolare, all'esercizio della pratica calcistica, al fine di renderla maggiormente rispondente alle mutate esigenze di sicurezza, fruibilità, apertura, redditività della gestione economica finanziaria, anche ricorrendo a strumenti convenzionali.

7. La valorizzazione del settore giovanile.

Tutti gli auditi hanno inoltre concordato sul fatto che qualsiasi riforma del mondo del calcio non potrà avere successo se non sarà dedicata la dovuta attenzione al settore giovanile. I giovani rappresentano, infatti, secondo la gran parte degli auditi, l'elemento portante di questo movimento e meritano grande attenzione, molto più di quanto non accada in questo momento. Tra gli interventi proposti al fine di incentivare un adeguato sviluppo del settore giovanile ed una corretta formazione dei ragazzi, si è innanzitutto sottolineata la necessità di rafforzare il rapporto con le scuole e con i docenti.
È stato peraltro messo in evidenza che mentre i club sportivi impiegano nella formazione dei giovani una rilevante ricchezza tecnica, non vi è alcuna attenzione all'insegnamento delle regole. Proprio in virtù del momento particolare che sta vivendo il settore, è stata ribadita l'urgenza di riorganizzare e trasmettere la cultura delle regole, da ogni punto di vista, gestionale, formativo, educativo, disciplinare.
Si è inoltre constatato che spesso, nella valutazione del futuro, ai ragazzi si sostituiscono i genitori, che esercitano pressioni verso una possibile carriera, mentre i ragazzi sono più orientati al divertimento. Anche sotto questo profilo è stato auspicato un più incisivo intervento delle scuole e del mondo sportivo a tutela del diritto dei giovani ad una adolescenza libera da pressioni di carattere economico o di carriera.
È stata poi ricordata la mancanza di strutture, di spazi anche piccoli, come mini campi recintati, nei quali i ragazzi, in libertà e soprattutto in sicurezza, possano svolgere attività sportiva, senza pericoli derivanti non solo da mezzi ma anche da persone che affluiscono dove ci sono i giovani in quanto materia fragile.
Tra le proposte è stata inoltre avanzata l'ipotesi di inserire una formazione specifica nell'ambito dei programmi didattici della facoltà di scienze motorie per la figura di educatore sportivo, che avrebbe il compito di coordinare le attività motorie promosse dalle scuole, indirizzandole verso una funzione mista in grado di conciliare la pratica sportiva con l'educazione alle regole dello sport.
Nel corso delle audizioni è peraltro emerso che lo sport dilettantistico ha subito un grave danno in seguito al venir meno dei proventi derivanti dal Totocalcio a compensazione dei quali non sono state


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trovate valide alternative di finanziamento. In proposito, il presidente del Coni, dottor Petrucci, ha ribadito la necessità di maggiori risorse rispetto a quelle attuali per compiere un salto di qualità e divenire una nazione nella quale, oltre all'ottenimento dei risultati sportivi, è pienamente praticato anche lo sport, soprattutto nell'età scolastica. A questo proposito, il Presidente Petrucci ha anche sollevato la questione del credito sportivo, che deve essere rivisitato, in quanto attualmente garantisce più o meno gli stessi vantaggi assicurati da altre banche.

8. Conclusioni.

Il quadro restituito dall'indagine conoscitiva presenta numerose criticità.
Emerge, in primo luogo, come il sistema-calcio sia stato investito da una progressiva evoluzione per effetto della quale l'aspetto economico e commerciale risulti prevalente rispetto a quello sportivo. I fatti, noti alla cronaca, affrontati dalla Commissione cultura della Camera si spiegano in buona parte con la necessità, per le società a scopo di lucro, di realizzare la finalità societaria, e in buona parte col fatto che questa trasformazione ha indotto a sua volta alla costituzione di entità o società trasversali tra diverse componenti del settore capaci di falsare e condizionare in modo sistematico l'andamento dei campionati. Dalle indagini in corso è emerso in modo inequivocabile uno spaccato - il cosiddetto «sistema Moggi» - capace di alterare i risultati della competizione sportiva e di procacciare proventi consistenti, di natura illecita, ai partecipanti a diverso grado del sistema.
Le società di calcio sono da tempo in una situazione di generale deficit soprattutto a causa degli enormi investimenti sempre più necessari per l'ingaggio degli atleti. Una società con grandi esposizioni verso i propri creditori, spesso parte di più larghi gruppi economici con investimenti molteplici, dai quali, indirettamente, drena notevoli risorse, deve trovare la strada per massimizzare le entrate. Se tali entrate sono in larga misura il risultato non degli abbonamenti o dell'attività di merchandising - voci di modesta entità nel volume generale dei bilanci societari - ma piuttosto, almeno in potenza, delle plusvalenze derivate dalla presenza nei mercati azionari e, in misura molto maggiore, degli introiti della vendita dei diritti di trasmissione, è evidente che l'ingenerarsi di un meccanismo distorto non può che portare alle conseguenze evidenziate.
La «privatizzazione» del calcio, intendendo con questa espressione la tendenza a costruire tutto il sistema sportivo prevalentemente su valori di natura economica, è alla base dei fenomeni di corruttela che la giustizia ordinaria e quella sportiva hanno indagato. Entra in gioco, con l'enorme flusso di denaro proveniente dai diritti di trasmissione combinato con la trasformazione delle società di calcio in società per azioni, quotabili o quotate in borsa, l'equilibrio costituzionale disegnato dall'articolo 41, in cui si afferma che il contrappeso alla libertà dell'iniziativa economica privata è rappresentato dall'utilità sociale. Lo sport e il calcio - rappresentando per le proprie finalità intrinseche, a tal fine regolate da un ordinamento di assoluta autonomia, che trova nel CONI la propria espressione massima, un'evidente utilità sociale, così come richiamata nell'articolo 41 della Costituzione - richiedono norme volte a stabilire vincoli e limiti all'iniziativa economica privata al fine di non stravolgerne la missione. Per questa ragione il legislatore avrebbe dovuto predisporre un vero e proprio statuto speciale delle società e delle imprese impegnate nel calcio e negli altri sport.
Non si tratta qui di mettere in campo una disputa ideologica e neppure di rimpiangere i tempi in cui il calcio era più pulito. Si tratta piuttosto di dare il giusto peso alle componenti che hanno influito sulla degenerazione oggetto di questa indagine. Affermare che lo scopo del profitto, nello sport come in altri ambiti culturali, deve essere subordinato ai più alti valori della correttezza e della lealtà, non può rimanere una mozione di intenti,


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nobile ma inefficace. Deve trovare invece puntuale applicazione legislativa e di autogoverno del calcio.
Riguardo le responsabilità degli attori del sistema, in primo luogo va rilevato quanto già accennato in precedenza circa l'inerzia del sistema-calcio, in particolare delle società sportive e delle loro organizzazioni, in ordine ad una necessaria riforma per riportare lo «spirito sportivo» al centro del calcio professionistico. Va sottolineato, tuttavia, che tale inerzia si è accompagnata a quella del decisore politico, almeno fino alla presente legislatura. Se è vero infatti che la precedente indagine conoscitiva aveva rivelato già alcune criticità, è altrettanto vero che nulla è stato fatto per porvi rimedio.
Il legislatore e l'esecutivo non hanno peraltro adottato i necessari provvedimenti per combattere i fenomeni di corruttela. Nella XIII legislatura sono state adottate infatti decisioni i cui risvolti negativi si sono ripercossi successivamente con l'esigenza di adottare i necessari correttivi. Se quindi era una inutile ipocrisia continuare a definire le società di calcio come associazioni senza scopo di lucro, ciò non implicava necessariamente la loro trasformazione in società per azioni e la possibile quotazione in borsa di tali società sulla base del patrimonio rappresentato dai giocatori e dal loro valore sul mercato. Anche il fenomeno delle plusvalenze, così come quello dei passaporti falsi, sono patologie gravi determinate da questa situazione, in cui il valore di mercato dei giocatori e il loro ingaggio rappresentano l'unico parametro di capitalizzazione della società, volto a ottenere principalmente contratti televisivi più convenienti e da drogare - con un vero e proprio «dumping sportivo» - l'andamento della competizione. La vendita soggettiva dei diritti di trasmissione, pur richiesta dall'Unione Europea, anch'essa decisa nella XIII legislatura, ha provocato l'approfondimento di un fossato incolmabile tra le tre società del nord - Juventus, Milan e Inter -, le due della capitale - Roma e Lazio - e le altre.
Nella XIV legislatura, poi, il cosiddetto «decreto spalmadebiti» ha introdotto un trattamento speciale verso le società sportive in presenza di fenomeni di scarsa trasparenza economica.
L'inerzia del sistema-calcio ad autoriformarsi e quella del sistema politico ad adottare le giuste riforme hanno permesso la stagnazione delle già gravi situazioni pregresse e l'instaurarsi di nuovi fenomeni negativi.
Va tuttavia sottolineato che l'emergere degli scandali di «calciopoli» è stato assolutamente salutare tanto per la politica quanto per il calcio. La politica è stata capace di intervenire tempestivamente con alcune riforme, in primo luogo quella dei diritti di trasmissione, che ha bilanciato la differenza tra piccole e grandi società attraverso la commercializzazione centralizzata e l'equa ripartizione degli introiti. Si tratta di una riforma di enorme portata senza la quale sarebbe oggi impossibile parlare di un percorso per uscire dalla situazione emersa grazie alle inchieste. La messa in sicurezza degli impianti inoltre - obiettivo ancora da completare - e l'apertura degli stessi alla parziale gratuità per i minori sono elementi che possono favorire il ritorno delle famiglie negli stadi e quindi una maggiore socializzazione del calcio.
Il calcio, anch'esso, ha ricevuto una scossa salutare, a partire dalla giustizia sportiva che ha saputo individuare e punire i responsabili. Sebbene molti tifosi siano stati delusi dalla progressiva riduzione delle pene nell'ambito dei diversi gradi dei procedimenti scaturiti da «calciopoli», questa Commissione non può che salutare con estremo favore la capacità che la magistratura domestica del calcio ha evidenziato. Non si tratta infatti di gioire per le pene inflitte o di rammaricarsi per la loro riduzione. Si tratta piuttosto di rilevare come la giustizia sportiva sia stata capace di ottenere un risultato giudiziario e di comminare una pena certa e spesso di notevole entità persino a club con enormi influenze sia nel calcio che al di fuori di esso.
Il contributo all'opera di disvelamento dei fenomeni evidenziati - anche sulla base delle indagini della magistratura ordinaria - portato avanti dall'Ufficio indagini


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della FIGC, costituisce un esempio di buona giustizia di cui il Paese ha più in generale bisogno.
Così come va sottolineato l'enorme sforzo di riforma posto in essere dai due commissari straordinari della FIGC avvicendatisi dopo le inchieste, Guido Rossi e Gianluca Pancalli. Riforma - o meglio autoriforma - che è il presupposto per non consentire il ripetersi di fenomeni quali quelli che hanno investito il calcio in questi anni. L'approvazione del nuovo statuto della FIGC, e il rafforzamento dell'autonomia degli arbitri, che l'attuale presidente dell'AIA Gussoni sta portando avanti, sono fatti significativi. Certo, non mancano ancora delle ombre in tale processo, nonché delle code inquietanti delle inchieste in corso, e tuttavia si deve affermare che molto è cambiato, a partire dal metodo e quindi dall'organizzazione del calcio.

8.1 Possibili interventi.

L'indagine, come già detto, ha evidenziato il legame tra i fenomeni degenerativi del calcio e la subordinazione dello sport alla sola logica economica. Compito del legislatore, quindi, è quindi quello di spezzare tale legame, favorendo una sana, efficace e certa competizione, anche economica, tra le società.
Per quanto riguarda l'immediato futuro occorre mettere mano alla riforma delle società sportive attraverso in particolare tre interventi mirati:
1) prevedere che le società sportive attualmente quotate in Borsa, escano da questi mercati con i necessari accorgimenti, e che non vi sia di conseguenza la possibilità di una quotazione in Borsa per altre società, al fine di sciogliere la connessione tra il risultato economico-finanziario e quello sportivo;
2) fermo restando il principio di cui al numero precedente, verificare la sussistenza dei presupposti normativi per consentire la permanenza delle società nei mercati azionari esclusivamente sulla base del patrimonio reale - quello costituito dagli immobili e dai risultati delle attività di merchandising e di vendita dei diritti di trasmissione - verificando eventualmente la separazione societaria tra la squadra sportiva vera e propria e il resto dell'attività societaria, attraverso un adeguato sistema di controllo;
3) favorire la possibilità, per le società sportive, di costruire nuovi impianti dedicati al calcio, o adeguare quelli esistenti, così come avviene anche in altri Paesi, anche attraverso l'approvazione di una specifica proposta di legge sugli stadi (sull'esempio del Taylor Act del Regno Unito), in corso di esame da parte della Commissione.

Si tratta d'altra parte di interventi che riprendono le migliori procedure già adottate da altri Paesi, rivolti in primo luogo a limitare l'influenza del risultato sportivo su quello economico e viceversa.
Per quanto riguarda il mercato dei calciatori, in tale ambito le inchieste hanno disvelato un grado di corruzione e monopolizzazione del sistema inquietante. Per questo si propone una incisiva normativa antitrust specifica che impedisca il monopolio del mercato da parte di una singola o di poche società di intermediazione, rescindendo inoltre ogni legame con le società sportive, affidando ai controllori ampi poteri di intervento e prevedendo, al contempo, la giurisdizione sportiva e quella dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Sempre in tale ambito occorre valutare la possibilità di stabilire un tetto di spesa per singola società, il cosiddetto salary cap o altro strumento adeguato alla struttura del calcio italiano, anche alla luce della disciplina vigente in altri Paesi. Tale tetto non può che essere societario e non individuale per giocatore, poiché sarebbe illegittimo sottrarre alla libera contrattazione tra soggetti privati il compenso massimo per una prestazione. Inoltre esso deve essere imposto a livello europeo al fine di non ingenerare concorrenza sleale tra club di diversi paesi. L'Italia deve farsi promotrice di tale misura nelle sedi comunitarie.


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8.2 Altri provvedimenti di carattere generale.

Di particolare urgenza sono altresì interventi di tipo sociale nel settore. La Commissione ritiene infatti necessario affrontarne il tema con lo stesso spirito del campione del mondo Rino Gattuso che, all'indomani dello scandalo di Calciopoli e poi della vittoria della Fifa World Cup da parte della selezione italiana, ebbe modo di usare parole inequivocabili sia contro la corruzione presente nel calcio che a favore dell'immagine dello stesso presso i giovani che aspirano a divenire atleti, sollecitando investimenti puntuali per la realizzazione di impianti e strutture sportive.
Nell'attuale legislatura si sono già adottati alcuni provvedimenti di segno positivo, come il già ricordato ingresso gratuito negli impianti sportivi per i minori di 14 anni nella misura del 50 per cento delle manifestazioni, voluto fortemente dal relatore per la VII Commissione sul relativo provvedimento, Occorre peraltro proseguire in questa direzione, estendendone peraltro la portata secondo una strategia più generale. Sarebbe in particolare necessario:
1) mantenere ed estendere le agevolazioni fiscali per le attività sportive, con particolare riferimento al settore dilettantistico;
2) destinare una crescente quantità di risorse alla formazione e all'attività sportiva, soprattutto dei giovani, avendo particolare attenzione ai settori dello sport femminile;
3) promuovere l'insegnamento e la pratica delle attività motorie nelle scuole, con la previsione di necessari impianti e finanziamenti, attraverso l'educazione costante degli allievi, soprattutto di quelli più giovani, al rispetto dei valori dello sport, nonché potenziare e sostenere l'attività sportiva nelle università;
4) riportare il credito sportivo a svolgere quella funzione sociale che ha perso nel tempo, trasformandosi sempre più in un semplice istituto di credito. In un Paese in cui vi è una forte carenza di impianti sportivi, soprattutto nelle aree meridionali del territorio, il credito sportivo deve infatti svolgere un ruolo determinante, con l'offerta di prestiti ad interessi veramente agevolati, superando, anche attraverso la creazione di fondi di garanzia presso il CONI, il problema delle garanzie reali a fronte della concessione di mutui ad enti locali, federazioni e società sportive dilettantistiche;
5) prevedere l'impiego dei laureati in scienze motorie per progetti sportivi nelle scuole, nonché stabilire forme di regolamentazione e di riconoscimento della loro attività in altre sportive non agonistiche o di benessere;
6) intervenire incisivamente per combattere il ricorso al doping nello sport, a partire dai settori giovanili dove il fenomeno è di proporzioni che sembrano sfuggire alla consapevolezza comune, attraverso la previsione di forme apposite di controllo e monitoraggio, prevedendo l'applicazione di pene certe e severe per i responsabili e per quanti somministrino a minori sostanze illecite o comunque potenzialmente pericolose per lo sviluppo psico-fisico, nonché la responsabilità oggettiva delle società.

La Commissione cultura ritiene necessario, infine, evidenziare che il sistema dell'informazione, a partire dal servizio pubblico, si faccia carico dell'esigenza di valorizzare, più di quanto sia accaduto in passato, la pratica degli altri sport erroneamente qualificati minori. E anche in questi infatti che recentemente il Paese ha conseguito successi significativi. Auspica inoltre che le risultanze dell'indagine siano oggetto di un ampio dibattito nel movimento calcistico, poiché vi è la consapevolezza che le importanti riforme indicate non potranno essere attuate e diventare efficaci senza il consenso e il coinvolgimento di tutte le componenti del mondo del calcio.

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