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COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 11 ottobre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della CONSOB.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico, con particolare riferimento al sistema delle regole e dei controlli, l'audizione di rappresentanti della Consob, a cui do il benvenuto. Sono presenti il professor Massimo Ferrari, responsabile della divisione emittenti, il dottor Apponi, la dottoressa Onofri, il dottor Pisu e il dottor Carriero.
Come è noto, stiamo conducendo questa indagine conoscitiva sulle recenti vicende degli scandali che hanno riguardato il calcio. Ci siamo occupati molto di diritti televisivi. È in corso un esame in sede referente su una proposta di legge del Governo. Tuttavia, un tema di particolare interesse, trasversale alla Commissione, affrontato nel corso degli anni passati, è quello della disciplina societaria, delle riforme e, soprattutto, della quotazione in Borsa di alcune società.
Tra l'altro, recentemente, sono state anche fatte affermazioni impegnative a proposito di ipotesi di cambiamento di questo sistema, di delisting e via dicendo. Siamo molto interessati ad ascoltare la vostra opinione.
Do la parola al professor Ferrari, che esporrà il punto di vista della Consob.
Abbiamo a disposizione il testo scritto, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).

MASSIMO FERRARI, Responsabile della divisione emittenti della Consob. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito che è stato rivolto alla Consob a fornire il proprio contributo a questa indagine conoscitiva sul calcio professionistico.
Illustrerò la relazione, che viene consegnata; anche per ragioni di tempo e per lasciare spazio alle domande, salterò alcuni passaggi che in buona parte sono stati oggetto di precedenti audizioni.
Inizierei con dei brevi cenni sulla quotazione delle società di calcio sul mercato italiano. Fino al 1996, come è noto, in considerazione dello status di società di diritto speciale, senza finalità di lucro, alle società calcistiche era preclusa la possibilità di essere quotate nei mercati regolamentati. Con la legge n. 586 del 18 novembre 1996, che ha abrogato le suddette disposizioni, alle società calcistiche viene riconosciuta la possibilità di perseguire lo scopo di lucro. Tale circostanza rimuove ogni ostacolo alla quotazione nei mercati regolamentati. A seguito di tale riforma, quindi, la Consob e la Borsa italiana - alla quale con il decreto-legge n. 415 del 1996,


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il cosiddetto «decreto Eurosim», viene trasferita la competenza in materia di ammissione, esclusione e sospensione degli strumenti finanziari della negoziazione - affrontano il tema della quotazione delle società di calcio. All'epoca, per la valutazione delle potenzialità e delle criticità delle attività del settore calcio, rappresentava un utile paragone l'esperienza del Regno Unito, dove erano ammesse a quotazione diverse società calcistiche che avevano raggiunto un significativo sviluppo commerciale.
Peraltro, la situazione anglosassone evidenziava una fondamentale differenza rispetto a quella italiana: la presenza di una maggiore diversificazione delle fonti di ricavo e la proprietà dello stadio che, al di là del valore in sé, si riteneva consentisse di ottimizzare lo sfruttamento dei ritorni pubblicitari e di sviluppare attività collaterali.
Quindi, per analogia, per le maggiori società italiane, in una fase pionieristica dell'attività commerciale, legata al mondo del calcio professionistico, si potevano prospettare opportunità in termini economici, legate soprattutto allo sviluppo del mercato dei diritti televisivi, a un più razionale utilizzo degli stadi e alla possibilità di affermazione del cosiddetto merchandising. Con riferimento al mercato dei diritti televisivi, con l'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 15 del 30 gennaio 1999, convertito dalla legge n. 78 del 29 marzo 1999, si è provveduto a conferire la titolarità dei diritti di trasmissione televisiva, in forma codificata, a ciascuna società di serie A e di serie B. Tale disposizione ha segnato il passaggio, per via legislativa, da un sistema basato sulla figura giuridica dei diritti collettivi di trasmissione radiotelevisiva, recepita nel previgente regolamento dalla lega nazionale professionisti, alla soggettivizzazione dei diritti medesimi, permettendo alle società calcistiche di contrattare direttamente con le emittenti i corrispettivi per la cessione dei diritti.
È palese che l'acquisito maggior potere contrattuale dei club più rinomati, ovvero quelli con un più ampio bacino di tifosi, è andato a discapito delle società calcistiche più piccole. A seguito del riconoscimento dello scopo di lucro per le società di calcio, non poteva non riconoscersi alle stesse la libertà di contrattazione per una delle voci più rilevanti in termini di introiti.
Dopo la pronuncia della Corte europea del dicembre 1995, nota come sentenza Bosman, che aveva portato all'abolizione dell'indennità da cessione dei calciatori, si delineava un'aspettativa di minor ritorno economico sul versante dei trasferimenti dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori.
La prima società di calcio ad avere azioni quotate è stata la società sportiva Lazio SpA, ammessa a quotazione il 15 dicembre 1998, a un prezzo corrispondente a 3,357 euro per azione. Successivamente, in data 8 maggio 2000, sono state autorizzate alle negoziazioni in Borsa le azioni dell'AS Roma SpA al prezzo di 5,5 euro e quelle della Juventus Football Club SpA, in data 3 dicembre 2001, al prezzo di 3,7 euro. Con riguardo alla quotazione delle predette società di calcio, la Consob, oltre a verificare che nei prospetti di quotazione fossero inserite tutte le informazioni e le avvertenze richieste dallo schema di riferimento, ha provveduto a richiedere l'evidenziazione delle specificità e delle criticità connesse al settore calcistico.
A fronte delle opportunità prospettiche, rimanevano comunque rischi legati alla volatilità dei ricavi, alla rigidità della struttura dei costi e agli squilibri finanziari. Tali criticità sono evidenziate, come tutte le operazioni di ammissione a quotazione, nelle avvertenze per l'investitore dei prospetti informativi.
Nel periodo successivo alla quotazione delle società calcistiche, a partire dal 2001, le attese opportunità di diversificazione delle fonti di ricavo e le aspettative di razionalizzazione del mercato dei trasferimenti dei diritti alle prestazioni sportive non si sono realizzate. Si è rilevata una crescita dei ricavi, generata quasi esclusivamente dalla vendita dei diritti televisivi, di immagine e delle sponsorizzazioni, ma


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non sono venuti meno, anzi, sotto il profilo finanziario si sono aggravati, quei fattori di debolezza tipici delle società di calcio italiane già evidenziati in sede di quotazione. Mi riferisco, in particolare, alla significativa incidenza dei costi sui ricavi. Gli ingaggi, i costi dei servizi e gli ammortamenti dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori hanno continuato ad assorbire pressoché tutti i ricavi generati dall'attività operativa. Vi sono stati investimenti in atleti professionisti finanziati con incrementi della passività corrente e scarsa patrimonializzazione.
Il decreto-legge n. 282 del 2002, convertito in legge n. 27 del 2003, il cosiddetto «decreto salva calcio», che consentiva di capitalizzare le svalutazioni dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, da un lato ha evitato immediati dissesti finanziari, ma dall'altro non ha affrontato i problemi da un punto di vista strutturale.
La prima società calcistica quotata a denunciare un sensibile peggioramento dei risultati economici e l'incapacità di copertura del fabbisogno finanziario è stata la Lazio, che ha notevolmente risentito, a partire dall'esercizio 2001-2002, del deteriorarsi della situazione finanziaria del proprio azionista di controllo, la Cirio finanziaria SpA, poi culminata in vera e propria crisi nel novembre del 2002, a seguito dei noti eventi di default.
A seguire, nell'esercizio 2002-2003, anche per la Roma, che in passato aveva sistematicamente beneficiato del sostegno finanziario dell'azionista di controllo Roma 2000 srl di proprietà della famiglia Sensi, si è presentata una situazione di forte incertezza, in riferimento alla propria continuità aziendale.
Infine, la Juventus, pur mostrando una situazione gestionale decisamente migliore delle precedenti società, tanto da non ritenere necessario il ricorso al beneficio del differimento in dieci anni delle svalutazioni dei diritti sportivi, riconosciuto dalla legge prima citata, ha potuto chiudere in utile l'esercizio 2002-2003 solo per effetto di un'importante plusvalenza, pari a euro 32,5 milioni, derivante dalla cessione di una quota del 27 per cento circa della partecipazione minoritaria nella controllata Campi di Vinovo SpA, che faceva parte di un progetto denominato «Mondo Juve-Parco Commerciale».
In merito all'attività di vigilanza della Consob sulla trasparenza informativa, essa è dovuta intervenire ripetutamente al fine di assicurare completezza e adeguatezza delle informazioni diffuse dalle società calcistiche, rispetto alle peculiari problematiche societarie ed economico-finanziarie.
Occorre sottolineare che uno dei presupposti dell'efficienza del corretto funzionamento del mercato finanziario è la disponibilità di informazioni di elevato standard qualitativo. Nel caso di società quotate, essendo coinvolti gli interessi di una pluralità di investitori, diventa fondamentale tendere a una situazione di simmetria informativa.
In considerazione delle finalità di tutela del corretto funzionamento dei mercati, già dal 2002, dopo aver riscontrato difformità di comportamenti nella selezione delle informazioni di maggiore rilevanza sull'andamento gestionale - vi è una scarsa attenzione all'evidenziazione dei flussi di cassa - la Consob ha ravvisato l'esigenza di promuovere un livello minimo di standardizzazione: dei contenuti e delle forme di presentazione dei dati relativi ai flussi di cassa generati dalla gestione; delle informazioni relative agli effetti economico-finanziari delle operazioni di trasferimento dei diritti sportivi sui calciatori, e agli stipendi a questi ultimi corrisposti.
Al riguardo, - cito una raccomandazione della Consob del 9 dicembre 2002, con la quale sono stati indicati i dati e le notizie che dovevano essere riportate sia nei comunicati stampa che nelle rendicontazioni periodiche (bilanci semestrali e trimestrali) - la Consob raccomandava la massima prudenza nel rilasciare dichiarazioni in relazione alle trattative di calcio mercato, tenendo conto che, come già osservato da questa Commissione, il preannuncio al mercato di notizie riguardanti accordi vari, che non siano ancora


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sufficientemente definiti, è utile solo nel caso in cui sia necessario garantire parità informativa.
In particolare, nei confronti della Lazio, a partire dal 2002, sono state avanzate 27 richieste dirette ad assicurare adeguati flussi informativi al mercato e alla Consob: tre nel 2002, dieci nel 2003, sei nel 2004, quattro nel 2005 e quattro fino ad oggi, nel corrente anno.
Nel corso del 2003 anche la Roma ha palesato una situazione di crisi ed in relazione al bilancio al 30 giugno 2003, data in cui le società calcistiche chiudono il bilancio, la società di revisione si è dichiarata impossibilitata all'espressione di un giudizio per incertezze, con riguardo al presupposto della continuità aziendale.
A decorrere, quindi, dal mese di ottobre, anche la situazione economico-patrimoniale e finanziaria della Roma è stata sottoposta a costante monitoraggio da parte dell'autorità di controllo. Più specificamente, la Consob ha richiesto alla Roma di aggiornare mensilmente il mercato, con informazioni sulle evoluzioni della situazione finanziaria, consolidata di gruppo, sui debiti scaduti, sui termini di recupero del credito verso la controllante e sulla definizione dei contenuti del piano di ristrutturazione aziendale. Complessivamente, dall'anno 2003, nell'ambito dell'attività di vigilanza, la Consob ha avanzato alla Roma dieci richieste di diffusione al mercato di dati e notizie sulla propria situazione economico-patrimoniale e finanziaria.
Per quanto riguarda la Roma, in relazione ai bilanci del 30 giugno 2003, è stato altresì attivato il potere di impugnativa del bilancio, di cui all'articolo 157 del Testo unico della finanza, dal quale la Consob ha deciso di recedere, in seguito ad eventi sopravvenuti, tali da non richiedere modifiche al quadro informativo fornito dai bilanci impugnati: il riferimento è alla valutazione di crediti verso la controllante Roma 2000 srl per 37 milioni di euro.
Infine, pur non avendo sofferto, come ho già detto, di una crisi economico-finanziaria come le due precedenti società, la Juventus è stata oggetto di accertamenti della Consob a partire dal 2003. Nel merito, sono state effettuate cinque richieste di integrazione dell'informativa da fornire al pubblico, con particolare riferimento all'operazione prima citata di cessione di una quota della società Campi di Vinovo SpA.
Un tema particolare al momento, in relazione alle società calcistiche quotate, è quello che attiene all'applicazione dei nuovi principi contabili internazionali. Il regolamento europeo n. 1606 del 2002 recepito con decreto legislativo n. 38 del 2005 ha richiesto, alle società quotate, di redigere dal 2005 propri conti consolidati, dal 2006 i bilanci individuali in conformità ai principi contabili internazionali nominati International Financial Reporting Standard.
Tale innovazione, alla quale la Consob ha partecipato sia nelle competenti sedi internazionali, sia nella recente fase di recepimento nella legislazione primaria e secondaria, ha come obiettivo l'armonizzazione, nell'ambito del mercato europeo, degli standard contabili e del miglioramento della qualità dell'informazione finanziaria.
Nel caso specifico delle società di calcio, l'esercizio corrente aperto il 1o luglio 2006, che si chiuderà il 30 giugno 2007, sarà il primo in cui Juventus, Lazio e Roma redigeranno il bilancio sulla base di nuovi principi contabili.
Per le tre società non saranno più adottabili alcune delle opzioni agevolative che la normativa nazionale e di settore ha finora concesso alle società calcistiche. Ad esempio, la Lazio e la Roma dovranno eliminare gli oneri pluriennali capitalizzati nell'attivo di bilancio, derivanti dalle svalutazioni eseguite in conformità al cosiddetto «decreto salva calcio», in contropartita al patrimonio netto.
Si tratta di valori estremamente significativi. Ad esempio, gli oneri pluriennali che saranno oggetto di rettifica nell'esercizio in corso, ammontano, rispettivamente, per la Roma a 80,2 milioni di euro e per la Lazio a 127,7 milioni di euro. A titolo di confronto si consideri che il patrimonio netto delle due società, alla


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medesima data, ammonta a 67,8 per la Roma e a 29,6 milioni di euro per la Lazio. Ciò potrebbe comportare, in assenza di variazioni positive, un patrimonio netto negativo.
Tali notizie sono state oggetto di richiesta di informativa al mercato, da parte della Consob, da maggio a giugno di quest'anno con conseguenti risposte da parte delle società.
In particolare, la Lazio ha specificato che la stima complessiva degli effetti negativi sul patrimonio netto derivante dalla prima applicazione dei nuovi principi contabili, anche con riferimento all'eliminazione della voce «oneri pluriennali da ammortizzare», è pari a circa 80 milioni di euro, determinata dalla svalutazione dell'importo relativo al decreto prima citato.
Inoltre, sempre secondo quanto riportato dalla Lazio sono presenti nel patrimonio della società plusvalenze inespresse, la cui valorizzazione consentirà di neutralizzare gli effetti negativi, rispettando puntualmente la normativa UEFA di riferimento ed i principi contabili internazionali.
Tali ultime dichiarazioni formeranno oggetto di ulteriori approfondimenti della Consob - mi sento dire che formano oggetto - anche in considerazione delle specifiche condizioni poste dagli stessi principi contabili internazionali, per rivalutare le attività immateriali, quali i diritti alle prestazioni sportive dei giocatori e i marchi, a valori concorrenti - i cosiddetti fair value - come la presenza del mercato attivo, che è un altro requisito richiesto dai principi contabili internazionali.
Altro fattore critico, riscontrato nel corso dell'attività di vigilanza da parte della Consob, riguarda le regole di governo societario, la cosiddetta corporate governance, e i presidi di controllo all'interno delle società di calcio quotate.
Nel corso dell'attività di vigilanza la Consob ha infatti rilevato una palese concentrazione di poteri in mano a poche persone chiave, in assenza di segregazione tra funzioni decisionali e di controllo, nonché la sostanziale mancanza di procedure definite, con frequenti rinvii alla prassi.
Si è rilevata, inoltre, una significativa carenza di piani di intervento periodici e delle verifiche operate dalla funzione di controllo interno, nonché la mancanza di uniformità delle suddette verifiche, e di reportistica specifica.
Tutto ciò ha comportato inevitabili ricadute, in termini di indipendenza sulle scelte operate dagli amministratori, a prescindere dai modelli societari adottati, ovvero tradizionale o dualistico.
Si pensi che la Consob è dovuta intervenire, ad esempio, su una società di calcio quotata, dopo aver rilevato che il presidente del consiglio di sorveglianza, che nel sistema dualistico rappresenta l'organo di controllo sulla gestione, era il legale del presidente del consiglio di gestione, nonché azionista di riferimento, a dispetto degli stringenti requisiti di indipendenza, previsti dalle norme dettate dal Testo unico della finanza, come di recente modificato dalla legge n. 262 del 2005.
Si è rivelata dunque una gestione che poteva definirsi in alcuni casi di carattere familiare, nella quale le decisioni venivano affidate, con deleghe pressoché illimitate, agli amministratori delegati e ai direttori sportivi, adducendo come giustificazioni generici motivi di riservatezza, efficienza e rapidità e che solo successivamente, a consuntivo, venivano assoggettate alla ratifica del consiglio di amministrazione. Un'altra area nella quale sono possibili margini di intervento è quella dei modelli organizzativi dei codici etici previsti dal decreto legislativo n. 231 del 2001.
Ora, alcune brevi note di confronto sulla situazione, in termini comparati, a livello europeo.
In Europa oggi sono quotate 27 società titolari di squadre professionistiche di calcio. In particolare le società britanniche sportive quotate - tra le quali si citano Tottenham, Newcastle, Aston Villa, e Manchester United - operano tramite più società controllate, che svolgono attività diversificate in altri sport, nel tempo libero, nei media e nel settore immobiliare.


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Per le società sportive britanniche, già più di dieci anni fa, una rilevante percentuale dei ricavi derivava dall'esercizio di attività commerciali, come merchandising, catering, speciale accoglimento di pubblico aziendale, conferenze. Esse utilizzano, come fattore critico di successo, l'immagine dei propri campioni, al fine di promuovere l'incremento dei ricavi nelle attività commerciali, investendo altresì significative risorse nella crescita del proprio vivaio di calciatori, anche a discapito di acquisti da terze società.
Dal punto di vista patrimoniale, le stesse sono proprietarie degli stadi e dei complessi sportivi, e presentano mediamente una solida patrimonializzazione. Il modello danese - a titolo esemplificativo si ricordano il Brondby e il Football Club Copenhagen, la società si chiama Parken Sport - rispecchia in gran parte quella anglosassone, con un significativo focus sulla gestione degli stadi, i cui introiti contribuiscono in modo rilevante ai ricavi delle società stesse.
Di converso, è peculiare e interessante il modello utilizzato dalle società calcistiche turche, per esempio il Galatasaray. Si riscontra, infatti, in quel mercato, una dicotomia tra attività sportiva e commerciale, realizzato attraverso lo scorporo degli asset commerciali in una società controllata, quotata sul mercato nazionale.
Ulteriore caratteristica di questo modello è la concessione in leasing dei giocatori dalla società sportiva, proprietaria degli stessi diritti, alla società commerciale quotata. Ciò favorisce una minore incidenza del costo degli atleti sui conti della società quotata. Peraltro, non sembra essere attuata con successo in questo modello una politica di diversificazione dei ricavi che appaiono incentrati sui diritti televisivi.
Nell'appendice del documento che abbiamo consegnato è riportato un confronto tra le principali voci di bilancio delle società quotate in Europa.
Al fine di illustrare invece le performance azionarie del comparto del calcio, è stato preso in considerazione un indice che le racchiude tutte, il Dow Jones Football, composto dalle principali società proprietarie di squadre calcistiche.
Nella «torta» presentata dal grafico, sono indicati i pesi percentuali che i diversi mercati azionari hanno in termini di società calcistiche quotate. In termini di performance, quindi di andamento borsistico, a pagina 11 della relazione è riportato un grafico in salita (in grigio scuro), che rappresenta l'andamento dei mercati azionari europei dal 1996 ad oggi. Il grafico in discesa è invece il grafico del settore delle società calcistiche europee, che registra una significativa perdita approssimabile a circa il 60 per cento del valore.
Rispetto a tale indice, l'andamento delle società italiane quotate è peggiore (è rappresentato a pagina 12): in nero compare l'indice delle società europee, mentre gli altri tre grafici riguardano l'andamento delle società calcistiche quotate sul mercato italiano.
Un elemento ancor più indicativo della storia di queste società quotate è rappresentato dalla cosiddetta volatilità che indica, in maniera puntuale, riflessa nei prezzi, a seguito dei prezzi delle azioni, il rischio, quindi le oscillazioni medie che questa società registrano.
È stato preso in considerazione un indicatore che ha una serie storica di 30 giorni. Come si può vedere, la volatilità di queste società, quindi le oscillazioni medie giornaliere sono significativamente superiori a quella dell'indice del mercato azionario italiano, indicato nel grafico nero, che ha andamento sostanzialmente stabile, addirittura decrescente negli ultimi mesi, che attesta questa volatilità all'11,4 per cento, mentre la volatilità di queste società, di questi titoli, è arrivata anche a livelli del 63, 77, o 79 per cento.
Infine, anche in merito al tema che ha richiamato il presidente, sul delisting delle società quotate, alcuni riferimenti soprattutto sul quadro normativo attualmente in vigore.
Il delisting può realizzarsi a seguito di una offerta pubblica di acquisto volontaria, quindi la cosiddetta OPA totalitaria,


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finalizzata al delisting. Laddove questa offerta pubblica raggiunga la titolarità di più del 90 per cento del capitale con diritto di voto, si verifica un presupposto per promuovere una ulteriore offerta pubblica di acquisto, la cosiddetta OPA residuale, ai sensi dell'articolo 108 del Testo unico della finanza, in base al quale chiunque detenga una partecipazione superiore al 90 per cento delle azioni ordinarie, promuove un'offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni con diritto di voto, al prezzo fissato dalla Consob, se non ripristina, entro centoventi giorni, un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento della negoziazione.
In tal caso la Consob determina, quindi, un prezzo di offerta, tenendo conto tra l'altro del corrispettivo dell'offerta pubblica precedente, laddove vi sia stata, del prezzo medio ponderato di mercato dell'ultimo semestre, del patrimonio netto rettificato a valore corrente dell'emittente e dell'andamento e delle prospettive reddituali dello stesso.
Nel caso in cui l'offerta raggiunga una percentuale del capitale delle azioni con diritto di voto superiore al 98 per cento, l'offerente potrà procedere al diritto di acquisto sulla restante parte, a norma dell'articolo 115 del Testo unico della finanza, il cosiddetto squeeze out.
Altra previsione normativa che può consentire un delisting si verifica per effetto dell'incorporazione della società quotata in una non quotata. Lo stato di società quotata cessa nel momento in cui la stessa viene incorporata da un'alta società non quotata, e in tale ipotesi, l'articolo 2437-quinquies del codice civile, attribuisce il diritto di recesso, a quei soci che non hanno concorso alle deliberazioni che comportano l'esclusione dalla quotazione.
Nei casi in questione, le percentuali di possesso degli azionisti di riferimento, quindi l'assetto proprietario delle società quotate sul mercato italiano (in particolare il dottor Lotito per la Lazio detiene il 29,86 per cento del capitale, la Giovanni Agnelli & C Sapa per la Juventus detiene il 62,01 per cento del capitale, mentre la compagnia Petroli SpA della Roma detiene il 67,09 per cento del capitale) rendono necessario, a norma di legge, la promozione di una OPA totalitaria volontaria, alla quale solo nel caso di raggiungimento del 90 per cento potrà seguire l'OPA residuale, presupposto per la cessazione delle quotazioni delle azioni.
Tuttavia, l'importante presenza di azionisti di minoranza, nonché gli attuali livelli di quotazione delle azioni rispetto al momento in cui le stesse furono quotate, potrebbe rendere incerto il raggiungimento della quota del 90 per cento da parte del socio di riferimento.
In conclusione, ad oggi non si riscontra ancora la presenza di quei segnali positivi di superamento delle problematiche del settore calcio. Il mercato dei diritti televisivi appare ormai consolidato in pochi operatori e l'ottica degli stessi è quella di riduzione dei costi derivanti dall'utilizzo dei diritti di immagine, in considerazione degli attuali margini reddituali inferiori a quelli in precedenza prospettati. I programmi di diversificazione delle attività, annunciati al momento della quotazione, non hanno allo stato trovato compiuta attuazione.
La sola razionalizzazione del mercato dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori non si è dimostrata fino ad ora sufficiente a garantire uno stabile equilibrio economico e finanziario delle società in parola, né il ricorso al mercato dei capitali, in sede di offerta iniziale, nonché all'atto dei successivi aumenti di capitale, ha permesso di risolvere in modo permanente le carenze e le criticità evidenziate.
Le fragilità dell'industria del calcio hanno trovato riscontro anche negli andamenti dei prezzi di borsa delle azioni delle società quotate, rispetto ai prezzi di collocamento. Per Lazio, Roma e Juventus si sono registrate perdite pari, rispettivamente, al 98, all'82,4 e al 54 per cento.
L'esperienza maturata nel nostro paese, così come l'analisi dei modelli attuati negli altri contesti europei, offre taluni spunti di


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riflessione che potranno essere valutati, per quanto di competenza, dai soggetti interessati.
In primo luogo, appare una condizione imprescindibile per il riequilibrio economico della gestione delle società sportive la riduzione dell'incidenza sui ricavi dei costi della produzione, tra i quali assume rilievo il costo degli stipendi dei calciatori.
Sarebbe inoltre auspicabile che i programmi di diversificazione dell'attività riprendano reale vigore, in quanto appaiono costituire un punto di forza delle società quotate estere, in qualche misura comparabili.
Non è compito della Consob esprimersi sul merito tecnico, industriale o politico e delle regole del gioco specifiche di determinati settori economici, ivi incluso quello del calcio.
Vi è invece la necessità, per l'autorità di vigilanza, di individuare i riflessi sul mercato finanziario delle aree critiche che interessano le società quotate, ivi inclusa quella del calcio, al fine di assicurare la massima trasparenza delle informazioni e la correttezza dei comportamenti.
Infine, occorre ricordare come l'acquisizione dello status di società quotata abbia comportato, per Roma, Lazio e Juventus, rispetto alle altre società calcistiche non quotate, un elevato standard dell'informazione finanziaria, con la pubblicazione di dati contabili infrannuali, trimestrali, rispetto alla sola redazione del bilancio annuale. Sono quindi previsti per esse i seguenti oneri: obblighi di comunicazione al mercato di ogni fatto rilevante ed in grado di influenzare sensibilmente l'andamento delle quotazioni; l'adozione di modelli di governance, anche se solo recentemente attuati, maggiormente rigorosi; la redazione, a partire dall'esercizio in corso, dei bilanci in conformità con i principi contabili internazionali, che garantiranno una comparabilità dei dati contabili con le altre società europee quotate; l'assoggettamento alla vigilanza della Consob, che si è palesata nei numerosi interventi precedentemente citati.
Tali maggiori adempimenti ed obblighi non possono evitare le debolezze economiche, patrimoniali e finanziarie delle società in parola. Tuttavia consentono a tutti gli stakeholders (i cosiddetti portatori di interessi), dagli investitori tesi ad apprezzare correttamente l'investimento fino a chi segue il settore per motivi di semplice passione calcistica, di pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull'evoluzione dell'attività di tali emittenti.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

NICOLA BONO. Ringrazio il dottor Ferrari della sua relazione. È stata illuminante per alcuni aspetti ed esplicativa per altre questioni che avevamo già avuto modo di capire e intuire.
Vorrei rivolgere qualche domanda, per una sua valutazione circa questa problematica. Innanzitutto, tra le righe del suo intervento, credo di capire che lei sia dell'idea che una delle chiavi per risolvere la questione della crisi che ha colpito le squadre di calcio italiane sia intanto non consentire più la soggettività dei diritti televisivi, ma una loro possibile gestione in termini collettivi. Le chiedo un'opinione in ordine a questo aspetto, che riguarda la nostra proposta di legge.
In secondo luogo, pur evidenziando tutte le problematicità - probabilmente non è compito suo, ma una valutazione la vorrei - non è arrivato alla conclusione che forse la quotazione delle società sportive in Borsa non sia un fatto che risponde a criteri puntuali di carattere e di natura economica e giuridica, e che molto probabilmente è alla base di una deriva di ordine morale nella gestione di queste strutture. Tra tutte le problematicità che ha individuato (volatilità dei ricavi, rigidità dei costi e assenza di cespiti patrimoniali), lei, dottor Ferrari, non ha fatto quasi nessun cenno - ma forse mi sono distratto io - alla madre di tutte le volatilità (come direbbe qualcuno), che consiste nella valutazione del patrimonio calciatori, il quale è soggetto a oscillazioni indipendenti da qualunque criterio di razionale previsione.


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Concludendo, la differenza sostanziale che c'è tra la struttura di quotazione in Borsa delle società europee rispetto alla situazione italiana può determinare l'opportunità della soppressione definitiva della possibile quotazione in Borsa delle società sportive italiane? Oppure, avendo lei fatto una elencazione di ipotesi di lavoro e intervento, ritiene che adottando quelle ipotesi come misure di riferimento si possa, al contrario, risolvere il problema delle quotazioni?
Personalmente sono dell'idea che forse sarebbe il caso di produrre una norma soppressiva del fine di lucro delle società sportive, in modo da tagliare alla radice l'esigenza di una loro disciplina, anche in Borsa, con l'assistenza e la sorveglianza della Consob.
Questa però è una mia opinione; vorrei capire se vi sono elementi di giudizio diversi.

ANTONIO RUSCONI. Vorrei dire, a nome de L'Ulivo, che definire il quadro preoccupante sembra un eufemismo. Di fatto, sembra palese che la quotazione delle società in Borsa è stata un errore nel quadro del calcio professionistico in Italia.
Secondo me, avete sottolineato un dato estremamente importante: l'esperienza inglese, la proprietà degli stadi, l'uso degli stessi, la diversificazione dei ricavi. Questo è stato detto da tutti i presidenti di squadre di serie A che abbiamo audito nel 2004, ma non è stato fatto niente al riguardo. In tal caso, infatti, nessuno venderebbe fuori dal nuovo stadio dell'Arsenal o del Chelsea l'80 per cento di magliette contraffatte, come avviene all'Olimpico o a San Siro, perché all'interno dello stadio troverebbe gli unici negozi che vendono le magliette originali dei campioni e degli ospitati. Ho fatto un esempio banale per dire dei diritti, delle risorse che le società dovrebbero avere e che invece non hanno.
La seconda domanda riguarda la presenza, in questo caso, di un investitore un po' particolare. In banca, a ognuno di noi vengono fornite informazioni sui rischi di eventuali investimenti; in questo caso, invece, non so quanta informazione corretta abbia avuto il cittadino - tifoso - azionista rispetto ai rischi cui andava incontro. Abbiamo avuto tragedie, come quella dei bond argentini. Allora domando: gli azionisti male informati hanno possibilità di accedere a eventuali risarcimenti?
La terza domanda, e concludo. Si è detto che c'è un costo eccessivo dei giocatori. Questo è vero, ma andrebbe ricollegato agli effetti della sentenza Bosman che, di fatto, ha messo in crisi il sistema patrimoniale delle società, in particolare portandole ad atteggiamenti che non ritengo positivi - mi riferisco alle plusvalenze - per cui alcuni calciatori, prima del tutto anonimi, diventavano famosi perché la loro valutazione era iperbolicamente alzata.
Non sarebbe il caso, invece, di prendere atto che così non funziona, com'è stato fatto dalla Commissione nel 2004, di rivedere, soprattutto in Italia, lo status del calciatore professionista, che non può essere solo un lavoratore subordinato o un professionista? Mi si risponde che lo Stato non avrebbe entrate sicure, ma a fronte di rateizzazioni dell'IRPEF in 23 anni - spero di non sbagliare il dato - la sola serie A è indebitata fiscalmente per 550 milioni di euro. Dunque, mi sembra che lo Stato riscuota comunque poco, se poi è costretto a questi patteggiamenti poco onorevoli. D'altro canto, per non perdere il giocatore a parametro zero, le società sono «costrette» a contratti particolarmente onerosi e lunghi nel tempo. Quindi, è necessaria una rivisitazione dello status del calciatore, altrimenti il dato diventa insanabile.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. In primo luogo, desidero ringraziare il professor Ferrari per questa audizione.
Comincerei con una domanda secca: le chiedo in che misura il fatto che una società calcistica venga quotata in Borsa, e che quindi si trasformi in una società per azioni che segue le logiche del mercato e della ricerca del profitto, possa avere facilitato in qualche modo la spiacevole


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stagione di «Calciopoli». Quando una società viene quotata in Borsa, le vincite di una squadra non rappresentano più soltanto delle soddisfazioni di gioia per chi ha vinto o di dolore per chi ha perso, ma hanno delle ripercussioni finanziarie notevoli. Le domando quanto questa ricerca del profitto possa aver influenzato il non far cominciare le partite da zero a zero, cercando altre forme poco pulite per ottenere la vittoria.
Questo perché sono fermamente convinta che il calcio, come altre entità (acqua, telefonia, beni culturali, energia elettrica), non può seguire solo regole di mercato, ma è patrimonio di tutti perché è cultura e ha ripercussioni su tanti campi, anche sull'ordine pubblico. Ciò riguarda soprattutto società che spesso hanno, come unica proprietà, i calciatori, che vengono capitalizzati. Si tratta però di un capitale che può facilmente vaporizzarsi con l'infortunio, per esempio, di un singolo calciatore. Penso che anche questa Commissione debba lavorare, com'è stato ricordato prima, per studiare nuove ipotesi di ricavi alternativi per le società calcistiche, che non dispongono neanche della proprietà degli stadi.
Lo stadio di Barcellona, tanto per fare un esempio, è un'attrazione turistica oltre che sportiva per la città. Ci sono notevoli flussi economici che derivano dalla vendita dei gadget all'interno dello stesso museo, come ricordava il deputato Rusconi. Le chiedo di dare una risposta a questa mia domanda.

LUCIANO CIOCCHETTI. Avrei soltanto una brevissima domanda con riguardo ai poteri della Consob; la relazione è molto chiara e credo che ci sia bisogno di poche riflessioni.
Nel momento in cui alcune società di calcio sono state quotate in Borsa, forse la Consob poteva intervenire e cercare di capire che sarebbe stato difficile che quel sistema funzionasse senza una proprietà definita, se non quella legata ai contratti dei calciatori, con la volatilità dei risultati, che fanno muovere in modo diverso il valore delle azioni, e con una condizione tutta italiana in cui gli stadi non sono di proprietà delle società di calcio, ma per la maggior parte delle amministrazioni comunali. Non sarebbe stato giusto impedire la quotazione in Borsa? La Consob aveva poteri in quella fase? Poteva rimandare la previsione legislativa al momento in cui le società italiane di calcio si fossero eventualmente adeguate alla condizione di essere società che hanno patrimonio stabile e cespiti che consentano loro di poter sostenere questo tipo di attività? Questa è la domanda generale che mi pongo.
Dalla sua relazione emergono molti aspetti e condizioni forti di difficoltà che questo sistema ha provocato. Il problema resta individuare la via di uscita. Sono convinto che bisogna modificare la legge n. 91, che bisogna intervenire sullo status giuridico delle società professionistiche, non solo di quelle di calcio, configurando uno status giuridico ad hoc, attraverso statuti speciali o altre forme di questo genere.
Dalla sua relazione e dalla normativa attuale mi pare di capire che la situazione sia complicata, almeno per le tre società di calcio già quotate: è difficile farle uscire dalla quotazione in Borsa, salvo attraverso il ricorso a una OPA. Sappiamo però bene che, a parte i pacchetti della proprietà di maggioranza relativa, e in qualche caso di maggioranza assoluta, c'è una diffusione molto parcellizzata delle azioni. La maggior parte, infatti, sono state acquistate dai tifosi. Si tratta quindi di piccoli pacchetti azionari che sarà difficile ricostruire.
Quale può essere un eventuale ragionamento, che questa Commissione affronterà nel corso del tempo, di revisione della legge n. 91? Quale potrebbe essere un suo consiglio, oltre alle procedure giuridiche e al delisting, per arrivare, anche con una modifica normativa, a un riequilibrio di questo settore e a una configurazione giuridica più rispondente al mondo professionistico sportivo?

VITO LI CAUSI. Desidero fare una domanda. Come si fa ad adottare un criterio di valutazione per le quotazioni in Borsa, considerato che le squadre di calcio


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che sono quotate non sono proprietarie di strutture, né di beni strumentali? Ritengo che siano povere di beni immobili e ricche di beni mobili, cioè di calciatori. In questa maniera, come avviene la tutela degli investitori? Questo è quello che più mi appassiona sapere.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Ferrari.

MASSIMO FERRARI, Responsabile della divisione emittenti della Consob. Grazie, presidente. Intanto, come premessa, perché ricorre in alcune domande, volevo esplicitare meglio che sul tema del cosiddetto scandalo «Calciopoli» non ho fatto alcun riferimento nel corso della relazione. Sono allegati gli andamenti dei prezzi dei titoli in un dato che è stato commentato in varie sedi e, rispetto all'inizio del 2006, sembrerebbe che non vi siano stati significativi effetti di questo scandalo sulle quotazioni attuali. Con riferimento ai conti economici di queste società, sarà importante vedere quelli che verranno pubblicati successivamente nei prossimi mesi.
Mi sembra che in questi giorni vi siano scadenze importanti in merito alle penalizzazioni, che indubbiamente influiscono sulle previsioni di introiti da parte di varie società. Faccio solo un esempio. Quello che la Juventus ha perso in termini di diritti o di sponsorizzazioni lo ha potuto sicuramente guadagnare in termini di plusvalenze realizzate sui calciatori. Ad oggi, quindi, non parrebbe ci siano effetti, motivo per cui mi sono permesso di non fare commenti.
Sul tema dei diritti collettivi, nella relazione si dice che il passaggio dal diritto collettivo al diritto individuale era collegato al passaggio da società senza finalità di lucro a società con finalità di lucro, nel senso che una società per azioni, indipendentemente dal fatto se sia quotata o meno, difficilmente può essere tutelata da un meccanismo in cui non ha un'azione diretta che influisce su una gran parte - anzi, sulla parte determinante - dei ricavi della stessa società. Invece, è esperienza ormai condivisa da tutti che, sia il bacino dei tifosi, sia la conoscibilità del marchio hanno inciso significativamente sulla negoziazione del diritto televisivo. La Consob, quindi, si limita a constatare questo. Immagino che si possano trovare soluzioni per tutelare la società per azioni, quindi tutti gli azionisti, anche in un ambito di negoziazione collettiva dei diritti. Credo però che vadano previsti dei meccanismi ad hoc.
Sul tema dei pro o contro della quotazione, nella relazione - lo ripeto - abbiamo cercato di rappresentare i pro, nel senso che, per le regole che disciplinano l'attività di Borsa italiana e di Consob, lo status di società quotata ha richiesto e richiede tutt'oggi un regime di trasparenza che le altre società per azioni calcistiche ad oggi non hanno, soprattutto in termini di frequenza informativa, principi contabili internazionali e corporate governance.
Sul tema sollevato da diverse domande, le possibilità di delisting, mi permetto di dare una risposta collegiale: non spetta alla Consob, in alcun modo, esprimere un giudizio di merito. Abbiamo descritto le previsioni normative e rappresentato le difficoltà derivanti dall'assetto proprietario non solo dall'azionista di controllo, ma anche dal forte frazionamento degli altri azionisti, che crea comunque delle difficoltà e dei problemi. Difatti, se avvenisse un delisting, ad esempio, per una contestuale volontà e iniziativa di tutti gli azionisti di maggioranza, qualora essi decidessero di lanciare un'OPA totalitaria, il prezzo difficilmente potrebbe essere conveniente (viste le forti perdite che ci sono state) per tutti i risparmiatori, che potrebbero anche non aderire all'offerta stessa. Questo, quindi, non risolverebbe il problema del delisting.
Il confronto internazionale che abbiamo approfondito anche ai nostri fini di vigilanza, dimostra che sono possibili ed esistono in altri mercati società calcistiche quotate, così come sono presenti nei mercati internazionali società di ogni settore industriale e di servizi. Quello che voglio sottolineare è il fatto che il modello vincente


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non è detto che sia sempre e solo quello della proprietà dello stadio. Ci sono anche modelli - per questo abbiamo citato il Galatasaray - che addirittura prevedono il leasing per i diritti dei calciatori. Questa società ha un'incidenza dei costi sui ricavi più bassa e una struttura dei costi molto più elastica. Riesce quindi a realizzare dei risultati economici interessanti, anche se lì non c'è stata la cosiddetta diversificazione dei ricavi ancora focalizzata sui diritti tv.
Sul tema della quotazione, ricordo che il passaggio fondamentale è stato fatto dal legislatore nel momento in cui ha riconosciuto il passaggio della società senza finalità di lucro a società con finalità di lucro. In quel momento si è aperto lo spazio per la quotazione, e non c'è nessun organismo, non solo in Italia, ma nemmeno all'estero, che possa intervenire sul merito. Sarebbe francamente anche pericoloso.
Il compito della Consob è verificare la completezza della documentazione e la trasparenza delle informazioni del prospetto informativo di quotazione. Ricordo che l'ammissione a quotazione è compito di Borsa italiana, che è una società privata, sulla quale la Consob, comunque, ha un dovere di vigilanza. I controlli che vengono effettuati, sia da Borsa italiana, sia da Consob, riguardano le informazioni di ogni tipo, anche dati previsionali. Infatti, quasi tutte le società si quotano anche sulla base delle aspettative di reddito: alcune predispongono previsioni con bassi margini di errore, e penso al settore delle utilities, citato anche prima. Altri settori, invece, hanno margini di errore sulle previsioni molto più elevati.
I dati previsionali, ad oggi, vengono certificati dalle società di revisione per attestare che le metodologie seguite siano robuste e solide. Ovviamente, l'investimento in capitale azionario comporta il rischio che queste previsioni non si avverino, si avverino parzialmente o, come accade in alcuni casi, si avverino su altri fronti.
Sul merito della vigilanza della trasparenza informativa agli investitori, che è nostro compito, nostro dovere, possiamo certamente affermare di averlo svolto compiutamente, in questo caso, con interventi ripetuti e anche costosi: vi sono solo tre società, di dimensione tutto sommato modesta, e che coinvolgono un numero di investitori non così significativo; esse tuttavia hanno richiesto un'attenzione enorme da parte della Consob, ma non solo, anche da parte di altri organismi.
Gli azionisti hanno possibilità di rivalsa nei confronti degli amministratori, come in ogni società per azioni: qualora venissero rilevate delle irregolarità, possono avviare azioni nei confronti degli amministratori.
Per quanto riguarda il tema dello status dei calciatori, francamente non è di nostra competenza e avremmo delle difficoltà anche a entrare nell'argomento tecnico, dal momento che noi ci limitiamo ad osservare come il costo dei calciatori, voce che rappresenta un asset molto importante delle società calcistiche, presenta un'incidenza troppo significativa sui ricavi.
Sulla valutazione dei calciatori, il tema è dibattuto, così come i temi di valutazione di molti asset, cioè di attività non materiali. Si pensi alla valutazione di un marchio o di altri beni intangibili: il compito della Consob è di verificare che vengano fatti nel rispetto delle regole contabili, e su questo svolge attività anche la società di revisione che certifica i bilanci.
Sul tema, invece, se lo status di società quotata abbia influito su una spasmodica ricerca di profitto e, quindi, abbia favorito anche comportamenti non corretti, come parrebbe emergere dagli ultimi scandali, mi sento di dire che non è lo status di società quotata che lo determina. Semmai, lo status di società per azioni, laddove la finalità di lucro nell'interesse dell'azionista di controllo e degli altri azionisti diventa predominante e si riconosce anche un valore al mercato, in alcuni casi porta a comportamenti virtuosi, in altri a comportamenti patologici, come in questo settore. Devo dire però che l'esperienza dimostra che nel tempo anche in altri settori si sono diffuse situazioni patologiche.
Sul tema del cosiddetto delisting, non ci sentiamo di aggiungere nulla di più di


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quanto abbiamo detto in termini di riferimenti normativi. Alla Consob spetta di applicare la legge e di garantire trasparenza informativa e correttezza dei comportamenti sul mercato a tutela soprattutto dei risparmiatori.
Richiamo l'esempio europeo: qui mi sembra che ci troviamo di fronte ad un settore non necessariamente affetto da patologie, ma a un caso italiano nel quale quel settore ha delle patologie. Quindi spetta, ovviamente, al legislatore valutare le possibilità e gli spazi che ci sono per intervenire in tal senso.
Mi auguro di aver risposto a tutto, perché mi ero appuntato velocemente tutte le domande. Eventualmente, sono a vostra completa disposizione.

PRESIDENTE. Ringraziamo vivamente il professor Ferrari e gli altri rappresentanti della Consob per questa interessantissima audizione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato, Antonio Catricalà.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico, con particolare riferimento al sistema delle regole e dei controlli, l'audizione del presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato. È un grande piacere per la VII Commissione avere come ospite il presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato, consigliere Antonio Catricalà, a cui do il benvenuto, così come al dottor Fiorentino, al dottor Galasso, al dottor Lalli e al dottor Sommella.
Come lei sa bene, presidente, ci stiamo occupando delle questioni legate al recente scandalo che ha coinvolto il calcio italiano. In modo particolare, in questo momento ci interessa il tema dei diritti televisivi, su cui è in corso in questa Commissione l'esame in sede referente del disegno di legge del Governo, della delega del Governo, e di altre proposte dei colleghi di tutti i Gruppi. Ci interessa molto conoscere la sua opinione su questa materia e, in generale, sulla disciplina del mercato e delle società che operano nel calcio.
Il presidente Catricalà ha consegnato un testo scritto, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Gli do quindi la parola per lo svolgimento della sua relazione.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato. La ringrazio, onorevole presidente. Ringrazio i componenti della Commissione per averci invitato a raccontare la nostra attività e le nostre impressioni su questo particolare settore del calcio professionistico.
Abbiamo iniziato l'indagine conoscitiva nel marzo 2005, a seguito di denunce che arrivavano da varie parti del mercato calcistico, in particolare da allenatori e calciatori. Abbiamo avviato un'indagine sulla base della considerazione che il mondo del calcio è un mondo di sport, quindi è autonomo, ma i suoi risvolti possono avere effetti di carattere giuridico, economico e sociale anche nei mercati che sono assoggettati a vigilanza da parte dell'Autorità. Abbiamo incontrato subito varie difficoltà nel condurre queste indagini, non essendo noi provvisti di poteri tipici della autorità giudiziaria, in quanto autorità solo amministrativa. Abbiamo riscontrato che molti denunzianti ritrattavano le accuse e, al momento delle audizioni, si registravano alcune reticenze.
Ecco perché l'indagine è partita lentamente e ha avuto un'accelerazione quando abbiamo ricevuto un sollecito dalla FIGC, per la verità pochi giorni prima che si verificasse lo scandalo che tutti conosciamo, a chiudere almeno la parte relativa ai procuratori, dato che c'era il problema della GEA che sembrava essere una società dominante nel mercato. Abbiamo aderito all'invito e abbiamo chiuso la parte relativa all'attività dei procuratori; quindi, abbiamo inviato al Parlamento i risultati dell'indagine conoscitiva.


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Ebbene, dal punto di vista concorrenziale, da tale indagine derivava un quadro desolante: ci si trovava in presenza di divieti di contrattare e, addirittura, di contattare chi fosse già in possesso dell'opzione con un procuratore. Si trattava di clausole leganti con penali fortissime - addirittura, con l'obbligo di pagare la provvigione al procuratore anche nel caso in cui egli non avesse contribuito con la sua attività all'ingaggio del calciatore - esclusive e contratti leganti per molti anni. Soprattutto, avevamo rilevato un'esaltazione di un'incompatibilità: nel regolamento veniva esaltato il conflitto di interessi. Nel regolamento (che è della FIGC, non della FIFA, che è di tutt'altra natura) viene indicata una causa di conflitto di interessi, essere cioè figlio o parente di persona che ha un incarico di rilievo nella Federazione o nelle società. Quindi, il procuratore è in conflitto di interessi quando c'è un suo parente in queste posizioni.
Questo tipo di incompatibilità, però, non si traduce in un dovere di astensione dal contratto o dall'attività, ma rimane puramente e semplicemente indicata come ipotesi di conflitto di interessi. Si traduce in un obbligo di dichiarare l'appartenenza a quella famiglia, il che significa che il figlio del dirigente di una società calcistica deve dichiarare di essere il figlio, e lo fa secondo norme regolamentari, acquisendo una posizione di particolare forza nel mercato al di là dei propri meriti competitivi.
Questo tipo di incompatibilità in altri paesi è sanzionato. Ad esempio, la Football Association in Inghilterra ha approvato un regolamento - mi pare il 1o gennaio 2006 - in cui si fa riferimento al concetto di close family per stabilire l'incompatibilità all'attività da parte del singolo procuratore nel caso in cui abbia parenti nella Federazione o nelle società. In Italia non siamo arrivati ancora a questo punto, nonostante subito dopo il commissariamento il professor Rossi sia entrato in contatto diretto con me e con i nostri uffici per la costituzione di un tavolo tecnico per risolvere questo problema. Di comune accordo, è stato steso un regolamento nuovo a livello tecnico per i procuratori, in cui le clausole leganti vengono escluse, le esclusive ridotte, c'è maggiore libertà di concorrenza e soprattutto si viene a creare una disciplina del conflitto di interesse di tipo differenziato. Difatti, non si fa di tutta l'erba un fascio, ma si stabilisce l'incompatibilità tra la close family, e nell'ambito della close family, tra procuratore e dirigente della società.
Invece, se il rapporto parentale riguarda un procuratore e un dirigente della Federazione, ciò non costituisce di per sé una causa di incompatibilità, perché la Federazione, essendo organo istituzionale, deve comportarsi in maniera neutra e imparziale. Però è giusto che quel procuratore sia sottoposto a un particolare monitoraggio, e, se commette illecito disciplinare approfittando dello stato parentale, si determina un'aggravante nella sanzione.
Il lavoro tecnico non ha poi avuto seguito, nel senso che il professor Rossi si è dimesso. Oggi c'è un nuovo commissario, che nei giorni scorsi ha ripreso i contatti con noi. Speriamo dunque che si possa giungere a una conclusione. Probabilmente avremmo già dovuto aprire una istruttoria, perché questo regolamento è una tipica decisione coordinata tra imprese ed è un'intesa anticoncorrenziale, e ha bisogno di modifiche. Non l'abbiamo fatto non tanto per rispetto dell'ordinamento sportivo, quanto perché c'è stato promesso continuamente, prima dai procuratori poi dalla Federazione, che il regolamento sarebbe stato cambiato. È passato un anno e più, e io mi sento un po' in ritardo con i miei doveri di Antitrust. Ecco perché mi auguro che questa situazione abbia termine entro l'anno; dopodiché dovremo aprire un'istruttoria, e le istruttorie di questo tipo il più delle volte si concludono con una condanna a una sanzione pecuniaria.
L'indagine, nel frattempo, sta proseguendo sul sistema dei finanziamenti delle società, ma anche e soprattutto sul sistema delle regole, perché per i finanziamenti queste società si basano solo sui diritti calcistici. Tutto il resto sono piccole fonti


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che non danno contenuto all'attività commerciale. Probabilmente, si potrebbe pensare ad una diversa gestione degli stadi, si potrebbe immaginare una dipendenza dello stadio direttamente dalla società di calcio, si potrebbe pensare ad un'attività di merchandising da parte di queste squadre; la fantasia non manca, se ci si mette a lavorare su questo.
Il problema dove è più difficile intervenire è il tema delle regole. Questo perché l'impressione che l'Autorità ha avuto, da questi primi risultati che vengono dall'indagine, è che ci sia una commistione forte tra Lega e FIGC e che da questa commistione derivi che spesso i controllori sono designati, sia pure indirettamente, dai controllati. Questo problema riguarda anche gli arbitri, che hanno una dipendenza dalla FIGC. Quest'ultima a sua volta ha una forte dipendenza dalla Lega calcio, che è una libera associazione in cui, chiaramente, le imprese più forti riescono ad affermare maggiormente le loro ragioni. Da ciò discende che i campionati alla fine vengono vinti sempre dalle stesse squadre e molto spesso c'è disinteresse da parte del pubblico per questo sport, che invece per l'Italia costituisce, ora più che mai, un settore di eccellenza, un vero primato.
Per quanto riguarda i diritti, seguiamo l'andamento di questo disegno di legge, ma in realtà c'era già stato un pronunciamento negli anni scorsi dell'Autorità che aveva ritenuto che la vendita collettiva dei diritti sportivi da parte della Lega non fosse in regola con le norme antitrust. Però, quel parere era stato scritto quando c'era un mercato diverso e quando c'erano diverse regole procedimentali. In particolare, all'epoca, non esistevano piattaforme diverse da quella della rete analogica e qualunque intesa doveva essere previamente comunicata all'Autorità, che doveva autorizzare.
Oggi il mercato e il sistema autorizzatorio sono cambiati. Con il regolamento n. 1 del 2003 l'Autorità non deve esprimersi preventivamente sulle intese, ma è sufficiente che vigili sull'andamento del mercato in quel settore, perché un'intesa che può apparire anticoncorrenziale viceversa può portare benefici al mercato. Pensiamo che una vendita collettiva possa portare benefici al mercato. Quello che non condividiamo è l'imposizione per legge di questa vendita. Faccio notare che un contratto imposto dalla legge viene a creare nella libertà negoziale dell'autonomia privata una forte deroga. D'altra parte, per la Bundesliga e in particolare per la Premier League, si vendono i diritti sia in forma cumulativa, sia a pacchetti. Ciò nasce da un accordo tra le parti, tant'è che noi pensiamo che se ci fosse un incoraggiamento a fare di più e meglio si potrebbe giungere a un accordo per la vendita collettiva.
Non è, però, la vendita a preoccuparci. Piuttosto ci preoccupa la spartizione del ricavato. Il vero problema è che, qualunque sia la scelta, alla mutualità viene destinato soltanto il 19 per cento delle risorse, il che ci sembra irrisorio. Continuiamo nell'indagine con l'intenzione di seguire anche la raccomandazione che ci viene dall'Europa e da un comitato costituito ad hoc sotto la presidenza inglese per seguire il mondo dello sport, e soprattutto quello del calcio.
In estrema sintesi, questo è il contenuto della relazione che ho scritto. Sono presenti anche i collaboratori e i dirigenti dell'Antitrust che hanno lavorato a questa audizione; siamo a vostra disposizione, qualora fosse necessario, per qualsiasi chiarimento.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Catricalà. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONIO RUSCONI. Su questi argomenti parlo a titolo personale. Innanzitutto la ringrazio per la chiarezza, e ritengo che il documento che ho letto potrebbe essere siglato tranquillamente all'unanimità da questa Commissione, anche perché l'ultimo paragrafo è intitolato «necessità di una riforma generale», il che dovrebbe essere il risultato di questa indagine; altrimenti ci limiteremmo al singolo


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aspetto mentre mi sembra che il tema del conflitto di interessi sia - come lei ha rimarcato - comune a molti settori.
Poiché gran parte delle audizioni dovrebbero servire a fare domande, desidererei avere dei consigli per affrontare - con strumenti ancora da verificare, ma in tempi brevissimi - la nuova legge sui diritti televisivi. La consideriamo una legge che centralizza i diritti televisivi, perché nessuno ha l'assurda pretesa che Inter e Chievo ricevano la stessa cifra o abbiano gli stessi diritti, ma il problema è come rendere appetibili anche i diritti del Chievo. Abbiamo l'esperienza negativa del 2004 in cui queste cose erano state richieste all'unanimità, e condivido in maniera forte quello che lei ha affermato relativamente alla commistione tra Lega e FIGC. Sempre nel documento unanime del 2004 si sottolineò il caso della AGEA e soprattutto come in quel caso, al di là dei numeri indubbiamente eccessivi, fossero assistiti dagli stessi procuratori giocatori e allenatori che quattro giorni dopo l'audizione si sarebbero scontrati in campo, magari in sfide nelle quali ad una squadra non importava più nulla del campionato mentre nell'altra squadra c'era in gioco la zona champion invece che la salvezza. Tutta la Commissione fu fin troppo lodata sia dal presidente della FIGC Carraro, che affermò di prendere immediatamente provvedimenti su quei consigli preziosi per il mondo del calcio, sia dal presidente della Lega. La storia ci insegna come andò a finire. Siamo accusati, rispetto all'impianto della legge sui diritti, di ledere l'autonomia del mondo del calcio. Il problema è come salvaguardare i diritti di tutte le società e la redistribuzione all'interno del mondo del calcio, che era avvenuta precedentemente in piena autonomia. Aggiungo, con la stessa franchezza con cui lei ha parlato, che si trattava di piena autonomia clientelare, ovvero i soldi della mutualità dati alla serie B servivano per eleggere il presidente della Lega. Si può dunque affermare di aver rispettato l'autonomia, ma è un tipo di autonomia che, secondo me, ha poco a che fare con l'equità e la giustizia. Prima, nell'interessante incontro con la Consob, è emerso che le società vanno in borsa, per esempio in Inghilterra, perché le entrate e le risorse sono molte diversificate, per esempio per l'uso degli stadi. Qui la principale entrata è esclusivamente quella dei diritti. Allora mi chiedo come intervenire affinché una redistribuzione interna - penso ai vivai dei dilettanti - possa beneficiare anche di questo.
La seconda domanda verte sulle norme transitorie, argomento per noi estremamente difficile, perché si interviene su diritti che ci sono già. Il dottor Confalonieri, con la franchezza che gli è propria, nella sua audizione ha affermato che hanno dei diritti, con la possibilità di rinnovo automatico di questi diritti anche fino al 2011.
Il gruppo Sky ci ha fatto presente come la loro situazione fosse più limitata perché avevano avuto la possibilità di diritti solo biennali, e ieri, alla presenza di un esiguo numero di parlamentari, abbiamo audito i gruppi del mobile. Ho confessato la mia ignoranza in quello che probabilmente rappresenta il mercato del futuro, e insieme abbiamo constatato che l'esclusiva potrebbe essere in questo caso un limite per accrescere le risorse del mondo del calcio. Vorrei quindi sapere anche da questo punto di vista, come Antitrust, quali suggerimento dare a fronte dei tempi stretti della legge. In definitiva la domanda finale concerne le modalità con le quali aprire a un maggiore pluralismo dei diritti, con un dato di vera democrazia, senza conflitti di interessi che sono palesi - qui dovremmo ricordare come sia avvenuta l'apertura al digitale terrestre, come abbia concorso un'unica azienda, come di fatto questo abbia coinciso in finanziaria con evidenti operazioni di incentivo a questo tipo di attività - e come salvaguardarci rispetto alle norme transitorie e ai diritti che queste società hanno acquisito.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Grazie, dottor Catricalà, lei è presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato dal 9 marzo 2005, nominato dai precedenti presidenti


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della Camera e del Senato, e la sua nomina è stata accompagnata da molte polemiche perché era una decisione spinosa scegliere chi dovesse rivestire questo ruolo. Il tema dell'antitrust è molto sentito e ritengo che la sua figura sia di straordinaria importanza. Ho seguito molto attentamente anche i suoi commenti sul passaggio della vendita di diritti televisivi da individuali a collettivi, sui quali questa Commissione mi sembra sia orientata. Non elencherò tutti i motivi di questo passaggio, ricordando semplicemente l'intento di evitare che solo poche squadre possano avere le risorse finanziarie necessarie non solo ad acquistare calciatori di lusso, ma anche a comprarli e tenerli congelati, in panchina, pur di non dare la possibilità ad altre squadre di averli, come il caso Recoba evidenzia. Sono le stesse logiche del mercato televisivo, in cui la televisione commerciale può congelare anche una persona di successo pur di non cederla alla concorrenza, magari facendogli fare solo delle televendite pur di non farlo entrare nella programmazione di altri canali.
Tutto ciò può essere consentito per una televisione commerciale, mentre invece in uno sport di massa dovremmo riflettervi per il carattere pubblico che ha lo sport - e soprattutto il calcio - in Italia. Ritengo che anche l'eccessivo accumulo di denaro da parte di alcune squadre abbia purtroppo favorito Calciopoli, nei tentativi di condizionare le partite con mezzi poco leciti. Adesso ci sono anche le indagini sull'arbitro Mazzoleni a proposito della partita Lazio-Cagliari, e si arriva addirittura al fatto paradossale che, poiché le società sportive non dispongono di proprietà come gli stadi, quindi molto spesso i calciatori rappresentano l'unica proprietà su cui si capitalizza, il «patron» di una squadra tenga così tanto alle sue proprietà da pagare una società investigativa per controllarne i movimenti anche al di fuori dei campi di allenamento e dello stadio.
Signor presidente, lei ha anche parlato di ciò che avviene all'estero. In America lo sport professionistico conosce bene le regole antitrust; ho seguito anche le indagini e la relazione sulla close family, cioè sulla necessità di escludere che un agente porti sia gli allenatori che il calciatore. Questa dovrebbe essere poi una tematica di cui discutere anche relativamente alla televisione, perché molto spesso accade lo stesso, per cui chi porta il grande presentatore come agente obbliga la stessa trasmissione ad avere, poi, tutta una serie di persone.
Proprio su questo le voglio chiedere quanto ancora oggi possano influire sull'equilibrio sportivo alcune commistioni presenti nella nostra politica tra importanti ruoli rivestiti, quali essere presidente di una grande televisione ed anche di una squadra.

MARIO PESCANTE. Dottor Catricalà, innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma ero ben rappresentato dal mio capogruppo. Inoltre, avevo la presunzione di conoscere il suo punto di vista, perché ho letto la memoria. Mi permetta di dire che la condivido in toto, ma c'è qualcosa che non va: siccome non condivido la posizione dell'onorevole Rusconi, il quale ultimo a sua volta condivide in toto, cerco di fare chiarezza. Questo è abbastanza normale anche perché sullo sport esiste un feeling cosiddetto trasversale - e mi fa molto piacere - tra chi se ne occupa, ma spesso, poi, si verificano queste contraddizioni.
Concordo con quanto affermato a pagina 7 della sua relazione, dove lei dice che - ho lasciato gli occhiali e cito a memoria, professor Catricalà, quindi spero di non sbagliare -, con riferimento alle problematiche economiche, che l'intervento normativo è una penalità (posizione datata), rischia di non essere conclusivo, qualora - come da lei già affermato in un'intervista - non si accompagni ad una incisiva riforma del meccanismo interno dell'ordinamento calcistico che presiede alla ripartizione.
Mi ero illuso che si potesse arrivare alla rapida approvazione di una legge che sostituisse la vecchia legge D'Alema - dico D'Alema, ma voluta da tutti e addirittura


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consentita anche dall'Authority - sui diritti soggettivi, ma con imbarazzo mi trovo di fronte ad una scelta che non posso condividere, e non dal punto di vista politico, per cui le pongo subito la domanda.
Lei dice che debbono attivarsi dei meccanismi interni. Ora, questo evidentemente è un problema che avevano anche i colleghi della maggioranza, e che hanno risolto intervenendo legislativamente con una sollecitudine che, francamente, non ho mai condiviso. C'è una Commissione che sta lavorando molto bene - e lei può immaginare con quale fastidio possa fare i complimenti al presidente Folena, ma sono obbligato - che ha ereditato un lavoro fatto molto bene in precedenza, anche perché il sottosegretario ero io e quindi mi sono permesso di fornire alcune indicazioni, e stavamo giungendo a una conclusione condivisa.
Il fatto nuovo è che, se non ricordo male, lei segnalava - non le chiedo un parere politico, non le compete e non voglio vincolarla in alcun senso - che il meccanismo è interno, mentre invece il Governo ha previsto nel disegno di legge delega che il meccanismo non sia interno, ma la regola sia del Parlamento. Questo costituisce un atto di estrema gravità, mai accaduto nella storia dei rapporti tra sport e politica, perché si interviene in un ambito che oserei definire regolamentare non fornendo criteri generali - si abolisce una legge e se ne fa una nuova -, ma addirittura indicando come ripartire denaro privato di soggetti privati.
È stato rilevato che questi soggetti si muovono impropriamente per delega dello Stato, ma lo Stato ha il compito di organizzare lo sport, ma non il campionato di calcio. Si tratta di soggetti privati in ambito privato. La mia preoccupazione è che, mentre oggi si parla di diritti televisivi, domani, rispetto al CONI e allo sport italiano, per il quale esiste una legge che concede autonomia - questo deve essere chiaro -, si chiederà ragione di come venga ripartito il contributo pubblico destinato a enti pubblici.
Allora, il commento del collega Rusconi, che ritengo demagogico e populista, avrebbe forse dovuto considerare anche tutto il resto della vita sociale, politica ed economica del paese. Se dovremo intervenire con lo stesso vigore anche in altri settori - non parlo di questa Commissione - mi chiedo che ne sarà dell'autonomia e della democraticità, e che cosa avverrà anche nei confronti delle federazioni, perché ad esempio il Governo e il collega Rusconi non sono soddisfatti dei contributi che spettano alla Federazione bocce rispetto ai professionisti del ciclismo.
Se lei mi dice che si tratta di una questione politica, allora non è tenuto a rispondermi; in caso contrario vorrei chiedere se sia rilevante dal punto di vista giuridico il fatto che esista una legge delega al Governo, che abbiamo condiviso, anche se ne avrei fatto a meno in questa fase. Avrei preferito pensare prima alle regole in base ai lavori della Commissione, però prendiamo atto della decisione del Parlamento. Oltre ad aver deciso che i diritti devono essere collettivi - e va bene - si scende addirittura nel dettaglio delle ripartizioni in percentuale (50, 5, 45 per cento).
Questo, purtroppo, renderà impossibile un'approvazione sollecita della legge. Se lei ritiene che si assuma una posizione politica, ovviamente non le chiedo una valutazione. Invece, le sarei grato se volesse esprimerci un parere dal punto di vista giuridico.

PRESIDENTE. Deputato Pescante lei ha già fornito informazioni un po' «eccentriche» rispetto all'audizione sull'andamento legislativo. Sono naturalmente un ottimista, proprio perché mi ispiro al suo lavoro di sottosegretario nella passata legislatura.

GIUSEPPE GIULIETTI. Non le chiederò giudizi politici, signor presidente, però l'onorevole Pescante mi ha sollecitato, perché non c'è solo - questione delicatissima - l'autonomia delle federazioni, ma stiamo parlando del mercato televisivo italiano che, come lei saprà, è chiuso, con imprese titolari di concessioni.
Lei sa meglio di me che le modalità di partenza del digitale, come ha scritto autorevolmente,


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hanno ridotto ulteriormente la liberalizzazione di questo mercato, perché non c'è una competizione che si è allargata. Quindi, non esiste solo il profilo che riguarda le società sportive e non possiamo fingere di ignorare che trattiamo una materia delicatissima dal punto di vista industriale, democratico ed istituzionale. Questo lo dico per evitare che questa Commissione - condivido gli interventi dei colleghi - finisca per parlare più del conflitto di interessi e della legge Gasparri, che non del merito, che è invece rappresentato dai diritti sportivi.
Se allarghiamo eccessivamente la nostra discussione per finalità che non comprendo, quali ad esempio la conservazione dei diritti quali sono e di un mercato chiuso, è evidente che essa cambia aspetto. A me va bene, ma cambia aspetto, e bisogna sapere che ciò implica reazioni e controreazioni che aprono un altro campo di discussione. Personalmente, mi atterrei al merito - lo consiglio a me stesso e a tutti gli altri - perché è un ambito assai delicato, che non riguarda solo l'autonomia dello sport, ma anche l'autonomia dei mercati, signor presidente, e ciò che l'Europa ci ha segnalato con precisione su molte questioni.
Ne abbiamo discusso più volte, e lei sa che avrei fatto una norma di un solo articolo: draconiani poteri alle autorità, intervento delle autorità a gamba tesa sulle posizioni dominanti, sanzioni adeguate. Sono disposto a firmare una legge così, costituita da un solo articolo. Spero di avere l'unanimità, ma temo che ciò non potrebbe accadere su una proposta liberale, libertaria e che dà il potere di intervento all'Autorità. Scusate, se si vuole discutere di questo, allora facciamolo, a me va benissimo. Ho pronta questa legge di un articolo, che sarebbe la via maestra e che, se necessario, proporrò al Governo, perché mi pare di cogliere nella sua ispirazione il disegno della figura di un arbitro esterno, dotato però di poteri. Quindi, le chiedo, nel parlare di interventi sulla ripartizione delle risorse se, qualora non arrivasse mai questo regolamento, questa disposizione, o questo accordo, ci sarebbe un interesse prevalente alla regolazione del mercato, o invece una subalternità delle authority e del Parlamento ad ogni tipo di corporazione. È evidente che debba realizzarsi uno strumento che induca a farlo, altrimenti si può fingere di non sapere e quindi consentire di bloccare ulteriormente la situazione. Le chiedo dunque se non sia necessario individuare uno strumento adeguato a realizzare questi accordi.
In secondo luogo, se ricordo bene, signor presidente, la funzione principale dell'Autorità è impedire la formazione di accordi di cartello e di interventi distorsivi del mercato in qualsiasi settore di riferimento. Poiché essi si sono verificati in questo settore - non sono affermazioni mie, ma lei lo ha rilevato più volte -, vorrei sapere se l'Autorità in questa fase, al di là di come si vendano i diritti (collettivi, centralizzati, individuali), sia provvista di tutte le previsioni legislative e degli apparati sanzionatori adeguati, per intervenire in caso di distorsione non con un cartellino giallo, signor presidente, ma con uno rosso, che tuteli gli interessi di tutti.
Siccome nelle sue relazioni mi è parso di cogliere che soprattutto l'apparato sanzionatorio sia largamente insufficiente, mi chiedo, al di là del giudizio sulle modalità di vendita, quali siano gli strumenti da consegnare in questo provvedimento all'Authority, in virtù dei quali l'Autorità, al primo dubbio di distorsione, possa intervenire in tempi stretti e con sanzioni adeguate, senza alcuna distinzione.
Quindi, le chiedo anche se siano sufficienti le dotazioni di mezzi per poter svolgere l'attività di ispezione, perché non vorrei che - come ribadito più volte dal collega Ciocchetti, ma non solo - cambiassimo le modalità di vendita, ma poi si riformasse un accordo di cartello di altra natura e non ci fosse la possibilità di un intervento né del Parlamento, né dell'Autorità, scoprendo nel dibattito che la definizione non è adeguata, come già accaduto sul conflitto di interessi. In quel caso è stata fatta una norma, ma essa non è interpretabile. Vorrei evitare che si verificasse


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di nuovo, quindi le chiedo un giudizio di merito, perché sono favorevole a recepire le osservazioni di merito non politiche - non mi permetterei di chiederle - dell'Autorità.
Vorrei sapere inoltre se l'attuale ripartizione dei diritti - ricordo infatti senza polemica che ve ne siete occupati -, in particolare con riferimento alla durata dei contratti, che si è già determinata, signor presidente (e non possiamo ignorarlo perché c'è il mercato), così come si è determinata, non abbia già provocato una chiusura del mercato e se, quindi, persino l'intervento arrivi in ritardo, in quanto l'interesse generale era per consentire l'ingresso di nuovi operatori. Le domando se, nell'assetto attuale, si possa prevedere l'ingresso di un qualunque nuovo operatore sano di mente.
Desidero sollevare un'ultima questione sul diritto di cronaca. So che non riguarda voi direttamente, bensì l'altra autorità, ma mi permetto di sollevarla per il rispetto verso la vostra competenza. È stata posta dalle emittenti locali e, se non è corretto che lei risponda, se non dipende da lei, non voglio minimamente trascinarla su questo tema. Altrimenti, vorrei sapere se lei ritenga normale concepire nell'acquisizione dei diritti anche una limitazione del diritto di cronaca, per cui sia possibile al titolare dell'avvenimento ridurre anche la possibilità di descrizione dell'avvenimento in modo chiaro. Sul diritto di cronaca in radio, per esempio, esiste una serie di accordi in esclusiva delle grandi aziende, RAI compresa, che tendono addirittura a limitare il diritto di cronaca, non le immagini, cosa diversa.
Ritengo che si tratti di un elemento rischioso, perché introduce un principio che, se vale per il calcio, potrà valere domani per altri grandi eventi venduti in esclusiva. È la privatizzazione della notizia. Lo chiedo a lei perché so che ha dedicato tempo a tale questione.
Vorrei sapere se, dal momento che il digitale terrestre è già partito, abbiate previsto un'indagine dell'Autorità sul pluralismo editoriale che si è effettivamente realizzato, su quali siano le imprese in competizione, quali siano quelle che svolgono una reale attività informativa, che non sia ripetizione di archivio, o di cose già andate in onda. Ci serve per capire se stiamo parlando di un ampliamento, oppure - cosa assolutamente lecita, preciso che non sto dando un giudizio - di una redistribuzione dell'esistente, in modo tale da decidere come comportarsi.

LUCIANO CIOCCHETTI. Tre cose velocissime, anche perché la relazione è molto chiara. Quindi, intervengo solo per approfondire tre aspetti. Ritengo che, parlando dell'attività di agente dei calciatori, si tocchi uno dei punti distorsivi più evidenti del settore che ha portato, appunto, alla costituzione di «posizioni dominanti». Ci si chiede se sia sufficiente un regolamento della Federcalcio, o serva anche - come avvenuto in altri settori, in particolare qualche anno fa in quello degli agenti dello spettacolo legati all'attività degli enti lirici - realizzare una normativa anche per legge. Allora non ha funzionato molto bene, ma credo che stabilire almeno dei limiti in questa materia, che possano anche andare oltre il regolamento della Federcalcio, potrebbe essere un'ipotesi di lavoro.
Per quanto riguarda la questione dei diritti televisivi, di cui si è dibattuto e si dibatte molto, credo che concordiamo tutti sulla cointestazione dei diritti tra la Lega - cioè chi organizza il campionato - e le società che partecipano al campionato stesso. È rimasto ancora da risolvere il punto relativo ai criteri di ripartizione dei diritti, se debba decidere la legge, o autonomamente la Lega che organizza il calcio, o se addirittura possa crearsi una mediazione tra queste due esigenze. La legge rappresenta chiaramente una decisione rigida, per modificare la quale sono necessarie altre norme legislative, il che significa creare una rigidità al sistema e, in qualche modo - come evidenziava l'onorevole Pescante - , entrare nell'autonomia del mondo dello sport.
Allora, si potrebbe legare questo aspetto - mi pare lo rilevasse anche l'onorevole Giulietti - ad un discorso di


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vigilanza da parte degli organi superiori alla Federcalcio e alla Lega, quindi del CONI per quanto riguarda lo sport, dell'Antitrust per quanto riguarda, invece, l'aspetto più generale della gestione. Creare quindi un sistema più flessibile, un sistema anche di controlli assicurato da una autorità interna al mondo dello sport e da una autorità esterna, come può essere configurata dall'Antitrust; questa potrebbe rappresentare un'ipotesi di lavoro. Vorrei conoscere la sua opinione in merito.
Inoltre, lei, presidente, ha trattato un passaggio relativo alla commistione esistente tra la governance della Federcalcio e la Lega. Sicuramente questo aspetto esiste, però non vorrei che si corresse il rischio di entrare in una materia delicata. Di fatto, la Lega è la Confindustria, se vogliamo darle una identificazione anche più ampia, e cioè un'associazione privata di cui fanno parte le società, per cui rappresenta il sindacato patronale dei proprietari delle società di calcio. La Federcalcio, invece, è l'organo che rientra nell'ordinamento generale dello Stato, per quanto riguarda la normativa che regola le federazioni, e nell'ordinamento sportivo, quindi delle decisioni regolate dal CONI.
È chiaro che il rischio esiste perché il sistema elettorale della Federcalcio fa sì che le componenti che votano siano le società, i giocatori, gli arbitri, insomma tutti coloro che in qualche modo compongono il quadro sociale del settore. Ritengo pericolosa la proposta di stabilire una regola di assoluta terzietà dell'organo di governo della Federcalcio, perché si rischia di andare all'opposto della pericolosità di un eventuale conflitto di interessi tra Lega e Federcalcio. Quindi, l'approfondimento richiesto è in merito a questa vicenda.

FULVIO TESSITORE. Mi scuso preliminarmente, perché non sono un giurista, non sono competente della materia, quindi se dovessi dire troppe inutili sciocchezze la prego di tenerne conto e di non perdere tempo con le mie affermazioni. Mi è parso di capire, ascoltando la sua relazione, che il problema fondamentale da lei posto è la constatazione di un certo disagio per quanto riguarda l'incidenza della regolamentazione attuale di questo mondo, che ha un ruolo fondamentale dal punto vista economico, di costume e culturale.
La mia domanda è più che altro una curiosità da incompetente. Vorrei conoscere la sua opinione sui limiti dell'autonomia dell'ordinamento sportivo. Desidero aggiungere solo due chiose a questa curiosità. La prima è che, come lei sa meglio di me, le autonomie sono ormai numerose e, come professore universitario, citerei l'autonomia universitaria. Sappiamo bene quanti problemi ha determinato, tanto che mi troverei in difficoltà a ipotizzare un'autonomia di questa importante realtà garantita a priori, laddove ne esistono altre, forse non meno incidenti sulla realtà del paese, che a giudizio di tutti richiedono una regolamentazione.
Forse si tratta di una fissazione, ma non mi stancherò mai di ripetere - anche se non ho necessità di ricordarlo a lei - che l'autonomia è un concetto positivo, non negativo. Quando qualcuno ritiene che l'autonomia sia la possibilità di fare tutto ciò che non è proibito dalla legge, ritengo affermi qualcosa che non rientra nel concetto di autonomia, forse in quello dell'eteronomia.
Dicevo questo anche in relazione a un tema presente nella sua relazione, poiché non credo che l'internazionalizzazione del mondo sportivo possa avere incidenza su questo, in quanto - lei può confermarlo - oggi ci troviamo in una situazione in cui, sempre di più, c'è una deterritorializzazione dello Stato, e quindi del diritto. Quindi, neanche da questo punto di vista si può concepire una realtà estranea. Le chiedo scusa, perché probabilmente sono argomenti insignificanti.

PRESIDENTE. Vorrei aggiungere anch'io una questione sulla scia degli interventi dell'onorevole Pescante, di Giulietti e di altri. A questo punto dell'indagine conoscitiva, sono convinto che l'autonomia dello sport nel nostro paese, nel corso di questi anni, abbia rappresentato un valore autentico, nel senso rilevato da Tessitore


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di valore inteso non come separazione o chiusura, ma in senso aperto. Questa autonomia non è stata minacciata dalla politica, cui anzi ha chiesto di intervenire, anche in modo per me discutibile, come nel caso del decreto «salvacalcio».
Piuttosto è stata minacciata dal fatto che le regole del mercato, anche per una qualche responsabilità politica, applicate tout court in un ambito come quello sportivo e calcistico nel quale agiscono imprese di diritto privato che fino al 1996 non avevano scopo di lucro, hanno determinato obiettivamente un cambiamento profondo. Fino a qualche anno fa nessuno avrebbe immaginato di affermare, ad esempio, che titolari dei diritti televisivi sono esclusivamente le singole società di calcio.
Però, dal punto di vista del diritto privato, le società di calcio che rivendicano questi diritti hanno ragione. Ritengo dunque che il disegno riformatore verso il quale ci dobbiamo orientare - non mi riferisco solamente alla parte televisiva - non deve essere quello di creare una zona di separazione, un'autonomia in senso negativo, la costruzione di un muro, l'espellere fuori tempo e fuori Europa le regole del mercato e del calcio. Questo non ci porterebbe a nulla, mentre piuttosto dobbiamo studiare le misure di specialità (si è parlato di statuti speciali per le società calcistiche, come ipotesi di lavoro). Non entro qui sulle questioni di cui abbiamo parlato prima con la Consob, della transizione, del delisting delle società oggi quotate in borsa, quanto piuttosto su come tali società si finanzino e come si diversifichino le fonti di finanziamento, aspetti di grande interesse.
Questo mi porta ad affermare che concorderei con una linea intermedia. A differenza di Rusconi e di Pescante, non mi permetto di dichiarare che condivido al 100 per cento le parole della sua relazione. Per non farle un torto, condivido la sua relazione, ma essa non è un disegno di legge. Se anche lei fosse nell'arena politica e dovesse scrivere un disegno di legge, probabilmente si troverebbe a confrontarsi con gli stessi problemi che tutti noi cerchiamo oggi di risolvere.
Lei ha citato alcune cose circa la necessità di avere norme sufficientemente flessibili, tant'è vero che il Governo è stato indotto a presentare uno strumento legislativo - la delega - che, nell'esercizio del decreto delegato, garantisse rispetto alla forma legislativa tradizionale alcuni criteri in materia di flessibilità. Questo lo dico paradossalmente, perché sapete come stia cercando di realizzare un'opera che ci permetta di superare la diatriba sulla delega intervenendo in sede legislativa come Commissione.
Ritengo necessario evitare entrambi i rischi: il rischio di una legificazione eccessiva - una ripartizione di risorse decisa per legge in modo rigido sarebbe un grave errore, perché comporterebbe la necessità di tornare successivamente sullo strumento legislativo - e quello di una totale delegificazione, che si affidi solo alle società, che oggi sono in queste condizioni, e al mondo della Lega calcio e della Federazione italiana giuoco calcio, che in questo momento è commissariato e sta ridefinendo le proprie regole, trovandosi nella situazione ben descritta da Rusconi per quanto riguarda l'elezione delle presidenze e, quindi, con il problema del legame tra ripartizione delle risorse e assetti interni.
Sottolineo senza polemica che, fino a tre mesi fa, il presidente della Lega calcio è stato il presidente di una delle principali società attrici, la quale era presieduta come presidente onorario dall'allora Presidente del Consiglio, titolare anche della società che, con il Governo passato - come ha ricordato Giulietti -, con il digitale terrestre attivamente sostenuto dalle leggi finanziarie, ha sviluppato una nuova tecnologia. Questo non per polemica, ma per fare una considerazione obiettiva di un dato di fatto sul quale ci siamo trovati ad intervenire.
Ritengo dunque che la soluzione intermedia, qui auspicata da molti, anche da chi vi parla, e che sarà ragione di un'autentica ricerca unitaria, potrebbe intervenire


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su due punti, il primo dei quali riguarda gli strumenti di controllo e di verifica con effettivi ed imprescindibili poteri sostitutivi. Non possiamo infatti limitarci a dare solo poteri sanzionatori, ma a un certo punto, qualora non vi fosse un'adeguata capacità di ripartizione all'interno, dobbiamo intervenire con poteri sostitutivi che siano più energici rispetto a quelli previsti, per esempio, nel disegno di legge del Governo. Bisognerà poi valutare a chi essi spettino, se ad un'autorità interna al mondo sportivo o - come ipotizzavano i colleghi Giulietti e Ciocchetti - all'Antitrust.
Per quanto attiene al secondo punto, dal punto di vista legislativo non ha senso intervenire con una norma che affermi il principio della contitolarità, e quindi della cessione collettiva dei diritti, senza stabilire, pur non intervenendo nel merito specifico della ripartizione, un limite insuperabile. Altrimenti, quel principio non può realizzarsi. Ritengo che tale limite dovrebbe essere individuato nell'equa distribuzione di metà delle risorse. Sul resto deciderete. Non mi scandalizza che poi il Parlamento stabilisca un 5 per cento a sostegno dei vivai: non è poco decidere sul restante 45 per cento, perché possiamo cancellare ogni riferimento in sede legislativa (bacino d'utenza, storia, risultati del campionato precedente), ma quello vuol dire tutto. Significa che, su una base comune, intervengono poi la Lega e la Federazione italiana giuoco calcio con poteri sostitutivi (Ciocchetti ipotizza eventualmente il CONI nel suo progetto di legge). Questa mi sembra una reale soluzione di mediazione.
Affermo questo non per conoscere l'opinione del presidente Catricalà, che non vogliamo trascinare nel nostro acceso ma interessante confronto politico e legislativo, quanto per fornire un contributo alla sua replica sul significato di un intervento flessibile da modificare rispetto a un mercato in evoluzione come quello che abbiamo di fronte.
Do la parola al presidente Catricalà per la replica.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Cercherò di dare un ordine logico alle mie risposte, cercando di tenere distinte quelle che sono le posizioni dell'Autorità che, come collegio, ha avuto modo di confrontarsi e di esprimersi, da quelle che sono invece le impressioni che sto maturando con i dirigenti presenti in questa indagine conoscitiva.
Le sono particolarmente grato per le domande e le indicazioni che devono costituire l'obiettivo sul quale orientare questa indagine conoscitiva, per svolgere un'indagine che non sia solo teorica e di principio, ma sia calata nella realtà. La prima domanda alla quale credo di dover rispondere, perché inquadra quanto dirò, è quella sull'importanza dell'autonomia posta dal professor Tessitore.
Si chiede quali siano i limiti di questo ordinamento. Tutta la prima parte dell'indagine conoscitiva è dedicata a scoprire questi limiti, che però abbiamo già individuato, in quanto esiste a livello europeo una decisione del tribunale di primo grado del gennaio 2005 che ci indica dove l'ordinamento sportivo è protetto da una rete di invalicabilità in quanto diritto originario e diritto internazionale, e dove invece l'autorità statale ha la facoltà e il dovere di intervenire. Quindi, laddove esistano effetti di tipo economico e sociale derivanti dall'attività meramente agonistica, le regole che presiedono quel mercato possono essere di interesse statale e diventa un dovere intervenire.
Da qui mi risulta più semplice rispondere a tutto il resto. Il problema della mutualità è evidentemente l'inadeguatezza delle risorse che vanno alle piccole squadre. Qui è evidente che l'Autorità antitrust non può avere una posizione «dirigista», che contrasterebbe con la sua missione di far lavorare il mercato e di intervenire solamente in caso di abusi. Però la situazione che si è verificata può giustificare un intervento statale, perché abbiamo assistito a uno scandalo particolarmente rilevante, che ha anche destabilizzato la nostra immagine sportiva a livello internazionale - poi riconquistata fortunosamente


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e per merito sul campo di gioco -, dovuto a squilibri evidenti e ormai perduranti.
Se la vendita collettiva è uno strumento idoneo, certamente bisognerà regolamentare poi la ripartizione. Non è detto però che, a priori, sia necessario regolamentarla, come non è detto che la legge debba necessariamente prevedere come obbligatoria la vendita dei diritti: potrebbe limitarsi a renderla facoltativa. A questo punto, secondo me, la Lega è matura per accettare questo tipo di decisione e ritengo che l'indicazione data dal presidente Folena - cercare una soluzione all'interno, altrimenti intervenire con poteri sostitutivi - possa rappresentare un'ottima soluzione che concede anche il tempo di adattarsi a nuove regole. È quello che stiamo facendo all'Antitrust per il regolamento dei procuratori.
L'onorevole Rusconi segnalava anche altri aspetti di grande importanza, tra i quali la differente importanza dei vari giocatori. Una cosa è il vivaio - ma aggiungo anche il giovane calciatore -, ben altra è il professionista affermato, che gioca in serie A e in nazionale. Considerare quest'ultimo un lavoratore subordinato mi sembra una protezione eccessiva, una grossa forzatura, mentre non è così per i giovani e per i vivai, perché essi hanno bisogno di alcune protezioni.
Questo pertanto è un settore di intervento dello Stato, perché la definizione di lavoratore subordinato deriva da una legge del 1991 che viene ad ingessare tutto il resto, creando anche un costo particolare dei calciatori, tenuto conto che ormai il ritiro del cartellino non è più previsto e che si fanno questi contratti particolarmente lunghi e tutto si ingessa, rendendo le società schiave di scelte che hanno compiuto diversi anni prima.
L'altra questione di grande profilo, che segnalava l'onorevole Rusconi, riguarda il periodo transitorio, attualmente regolato da contratti che sono stati già esaminati dall'Antitrust, che è intervenuta ritenendo che ci fosse un abuso di posizione dominante. Vorrei anticipare una risposta all'onorevole Giulietti, ricordando che l'Antitrust non ha poteri sui contratti, perché valuta solamente le fusioni e le concentrazioni, e non esamina il contratto. Il suo intervento è stato dovuto a un'esagerazione nelle esclusive, nei tempi, nelle prelazioni, e ha ricondotto il tutto alla normalità.
Ritengo che il problema dei diritti transitori sia sufficientemente ridotto, giacché si tratta di diritti che vanno su una sola piattaforma per una sola rete. Con alcune accortezze tali diritti saranno salvaguardati, per evitare una censura di incostituzionalità di una legge che interviene su contratti che hanno già superato tutti gli esami dell'Antitrust e dell'altra Autorità.
Per la verità, in quella occasione, l'Autorità non sanzionò, ma dichiarò che c'era stato un abuso di posizione dominante da parte di Mediaset, e la sanzione non fu applicata perché eravamo intervenuti molto tempo prima, e quindi non c'era stata una effettività di questi contratti nel mercato.
L'altro problema è quello relativo alla democrazia nel mondo sportivo sollevato da tutti gli onorevoli intervenuti. Bisogna distinguere la Lega dalla Federazione, ma alla fine è questo il mondo dello sport. Questo è costituito però soprattutto dai tifosi, cioè da coloro che, senza essere iscritti a nessuna federazione, vanno a comprare il biglietto e talvolta si espongono anche al rischio essere colpiti da qualche oggetto contundente pur di seguire la squadra.
Poiché appartengo personalmente a questo mondo - parlo a titolo personale, perché non ho mai parlato di tifo calcistico in autorità -, penso che questo debba essere tenuto in considerazione, perché è la forza di questo sport, che lo rende effettivamente invincibile rispetto agli altri sport, perché nessuno ha questo grado di agonismo, non in campo, ma sugli spalti.
L'onorevole Pescante sollevava la questione della ripartizione interna o per legge. Come dicevo prima, il riparto interno è chiaramente preferibile, come lo è una scelta virtuosa della Lega. Non esiste un limite pregiudiziale all'intervento statale,


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ma esso diventa particolarmente pesante, perché si deve fare con la legge, e si sa che le leggi sono difficilissime da rimuovere.
L'onorevole Giulietti ha sollevato questioni di particolare rilievo, soprattutto sul mercato televisivo dei diritti in generale e su quanto sta accadendo oggi nel mercato televisivo. L'Autorità deve essere grata all'onorevole Giulietti, perché una legge che reca il suo nome ci ha fornito gli strumenti per compiere fino in fondo il nostro dovere in tema di pubblicità ingannevole, e non abbiamo la giustificazione di non avere avuto gli strumenti per assicurare una pubblicità chiara, giusta e informativa.

EMERENZIO BARBIERI. È stato un caso fortuito se la legge reca quel nome!

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Effettivamente, la chiamiamo legge Giulietti, perché è conosciuta con questo nome.
Abbiamo una possibilità di intervento, laddove vediamo un cartello, riscontriamo un'intesa sostanzialmente restrittiva della concorrenza, oppure constatiamo come una posizione dominante sia in crescita e cominci a diventare più pericolosa in sede di acquisizione di altre aziende.
Sono i due momenti in cui l'Autorità può intervenire, sia nel mondo dei diritti in generale, sia su quello delle trasmissioni televisive. Non siamo una Autorità di regolazione poiché interveniamo solo su casi specifici e, intervenendo su questi, abbiamo constatato come non ci sia stata, per ora, alcuna forma di allargamento dei soggetti che operano in questo mercato, e che l'accaparramento delle frequenze digitali abbia sempre riguardato i due soggetti oggi già predominanti.
Devo anche dire - questa è una sede importante - che la RAI ad un certo punto si è fermata, senza che ne capissimo il motivo. Mi auguro comunque che compri le frequenze e non ce lo comunichi, perché è preferibile fare una piccola sanzione dopo, in ottemperanza all'obbligo, piuttosto che sapere che la RAI rinuncia al digitale, giacché vediamo che gli altri, ovvero Mediaset, hanno acquistato finché non abbiamo posto un limite. Le ultime frequenze digitali che abbiamo autorizzato erano destinate al DVBH, cioè alla trasmissione sui telefonini. Abbiamo imposto a Mediaset di tenere distinti i contenuti dal mezzo trasmissivo e di non fare pubblicità su quel mezzo, il che, anche in questo caso, rappresenta una misura inadeguata rispetto all'importanza del fenomeno, però l'Autorità non poteva certo bloccare il progresso di una tecnologia che solo questa azienda portava avanti. Allora, la RAI deve sentire lo stimolo di procedere, perché può ancora acquisire.
Non abbiamo un apparato sanzionatorio sui diritti, come del resto su nessuno dei contratti, che esaminiamo solo se le aziende lo vogliono, facendocene valutare la concorrenzialità e, nel caso di procedure già aperte, possiamo intervenire.
Per quanto riguarda il nostro potere di controllo - l'onorevole Ciocchetti aveva chiesto se avessimo l'effettiva possibilità di intervenire e di modificare il sistema -, attualmente abbiamo dei limiti, che derivano dalla legge ed anche dalla tradizione degli Antitrust europei e di quello americano.
In alcuni casi, però, l'Autorità è stata indicata come controllore di un processo. Per esempio, in materia di energia, quando si sono si sono fatte le tre Genco, si è stabilito che l'Autorità avrebbe vigilato affinché nessuno potesse importare o fabbricare più del 50 per cento di energia elettrica di queste Genco.
In quel caso abbiamo avuto poteri di intervento, perché sono stati richiamati i poteri della legge n. 287. Un'altra norma prevedeva che vigilassimo anche sulla privatizzazione di queste Genco. La privatizzazione va molto a rilento, e per le Genco - le tre nuove aziende di produzione di energia elettrica - non è stata prevista alcuna sanzione.
L'Autorità protesta e scrive al Parlamento - mi sono recato in altre Commissioni,


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per essere ascoltato su questo punto - ma, laddove non c'è sanzione, la norma resta purtroppo inapplicata.
Quanto al problema Lega - FIGC, mi è piaciuto ascoltare quello che ho sempre pensato: la Lega è la «Confindustria», ma la FIGC è il «ministero dello sviluppo economico». Questa interferenza non può esistere. Mi rendo conto che si tratta di un problema di democrazia e che dall'altra parte voi avete il grave onere di stabilire un rapporto tra democrazia e commistione. Non spetta a me indicare come dobbiate risolverlo, ma l'Autorità ha sempre auspicato che non ci fosse conflitto di interessi, e su questo penso di interpretare proprio lo spirito del collegio in tutte le sue decisioni, anche quelle di natura antitrust.
Mi pare di aver risposto a tutto. Sono contento che sia rientrata l'onorevole Luxuria, cui mi rivolgo perché i limiti della nostra indagine non ci consentono di rispondere a tutte le questioni che sono state oggi segnalate. Desideravo ribadire, come ho detto anche agli altri, che avrei tenuto distinte le mie valutazioni personali da quelle dell'Autorità, perché l'Autorità è un organo collegiale, e su alcuni aspetti si è espressa.
Lei, onorevole, ha ricordato che la mia nomina è stata di pertinenza di un Presidente della Camera e di un Presidente del Senato che appartenevano ad una maggioranza che oggi è minoranza.
Francamente, non ho mai valutato la mia nomina in base a una maggioranza o a una minoranza, perché nella mia storia professionale sono stato sempre un servitore dello Stato, e ho lavorato con chiunque mi abbia chiamato: ho lavorato con Ruberti, con Piazza, con Maccanico. Quando mi hanno chiamato alla Presidenza del Consiglio, sono andato a fare il segretario generale della Presidenza del Consiglio, non il segretario particolare del Presidente del Consiglio, quindi ho rivestito una carica istituzionale, che è contemplata fra quelle alle quali può far seguito la nomina di presidente di un Antitrust, ovvero faceva parte del mio percorso professionale.
A 23 anni ero magistrato, a 30 ero consigliere di Stato e già decidevo in perfetta autonomia questioni molto più rilevanti di quelle che oggi sono chiamato a decidere come presidente dell'Antitrust. Ecco perché non ho avuto nessun imbarazzo ad accettare la nomina e a fare il mio dovere, perché è mia abitudine non avere appartenenze politiche, ma essere solo un servitore delle istituzioni.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. No, al contrario, intendevo esprimerle apprezzamento!

PRESIDENTE. L'onorevole Luxuria le aveva fatto i complimenti, anche se vi è stato un fraintendimento.
Le vorrei chiedere un piccolo ampliamento, e mi scuso se ne ha già parlato e mi è sfuggito.
Sul tema sollevato dall'onorevole Rusconi, visto che la norma dovrebbe intervenire anche sulle modalità con cui vengono svolte queste gare, oppure divisi questi diritti sulle diverse piattaforme, vorrei sapere se lei abbia dei consigli da darci, se ritenga opportuno intervenire con il sistema normativo.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente della Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Guardi, presidente, ad un certo punto lei ha affermato che il punto problematico è rappresentato dal rapporto tra le deleghe e gli atti delegati. Ritengo che la delega debba essere di principio e non debba forzare troppo. Mi pare che ci sia un decreto delegato che deve passare al vostro esame, ed è in quell'ambito che va esercitato un controllo parlamentare molto forte, nel senso che sarà necessario l'esame di un testo già scritto su cui prendere posizione.
Non segnalerei proporzioni, ma questa è una posizione Antitrust per qualsiasi tipo di mercato, perché, laddove la proporzione crei un problema in quanto troppo piccola, è necessario ritornare alla legge, mentre lo strumento Antitrust è molto più semplice: una nostra decisione è rivedibile, purché cambino le condizioni di mercato.


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Ecco perché sento di poter affermare che l'Antitrust è in grado di gestire un controllo su questa situazione, purché ci vengano dati anche i poteri.

MARIO PESCANTE. In tema di autonomia dello sport mi piacerebbe un confronto bilaterale con il professore, perché qui si confonde sempre tra lo sport e il campionato di calcio, che sono due cose diverse. Ci sono 18 società professionistiche e milioni di praticanti, ma questo è un altro discorso.
Parlavamo di autonomia dello sport. Quando lei ha adoperato il termine riequilibrio, ho chiesto se riteneva si dovesse intervenire - libero di non rispondere - anche nella determinazione di percentuali che per cambiare necessitano di un'altra legge.
Vorrei capire se questo suo intervento riguardasse la mia domanda, o fosse un discorso più generale.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente della Autorità garante per la concorrenza e il mercato. In generale, quando c'è una percentuale rigida che viene determinata, preferiamo che sia demandata ad una autorità di settore, ad una autorità generale come la nostra, per stabilire se esista la congruità, perché nel ritorno al Parlamento il mercato sarà già cambiato.

PRESIDENTE. Il professore Catricalà è stato chiarissimo, lo ringrazio, così come ringrazio i suoi collaboratori.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 16,35, è ripresa alle 19.

Audizione dell'onorevole Josè Luis Arnaut, in qualità di esperto del settore del calcio e dello sport in generale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle recenti vicende relative al calcio professionistico, con particolare riferimento al sistema delle regole e dei controlli, l'audizione dell'onorevole Josè Luis Arnaut, in qualità di esperto del settore del calcio e dello sport in generale.
Voglio dare il benvenuto all'onorevole Josè Luis Arnaut. Tutti noi abbiamo letto il rapporto indipendente sullo sport europeo che egli, insieme ad altri, ha curato.
La nostra Commissione ha deciso di cominciare, nel mese di luglio, un'indagine conoscitiva, dopo le note vicende meglio conosciute come «Calciopoli» (lo scandalo che ha riguardato il calcio professionistico). In modo particolare, l'indagine verte su ciò che attiene alla responsabilità del legislatore (cioè del Parlamento), nonché dell'Esecutivo (cioè del Governo), senza ledere in alcun modo l'autonomia dello sport. Si intende inoltre accertare quali siano le norme necessarie per una riforma che eviti il riprodursi di fenomeni di questo tipo.
Noi ci stiamo occupando in questo momento, in modo particolare nella sede referente della nostra Commissione, della revisione della disciplina dei diritti televisivi. Questi ultimi rappresentano, per le squadre di calcio del nostro paese, di gran lunga la fonte più rilevante di entrate, stimata nell'ordine del 60 per cento delle entrate totali.
L'orizzonte dei problemi affrontati nella nostra indagine comprende molti altri aspetti: le caratteristiche delle società sportive (che in Italia, nel 1996, sono diventate società con fine di lucro, cosa che ha spinto alcune di esse a quotarsi in Borsa), il mercato economico che ruota attorno al calcio, la convivenza del diritto allo sport per tutti e della difesa di un grande bene collettivo - quale il calcio è - con gli interessi delle attività economiche e delle imprese che hanno a che fare col mondo del calcio.
Do ora la parola all'onorevole Josè Luis Arnaut per un'introduzione, cui seguiranno gli interventi e le domande delle colleghe e dei colleghi.

JOSÈ LUIS ARNAUT, Esperto del settore del calcio e dello sport in generale. Grazie, presidente. Per me è una grande soddisfazione - ed anche un grande onore


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- essere di fronte alla vostra Commissione, per presentare la relazione che segue, nella mia funzione di presidente della Commissione indipendente dello sport europeo.
Questa Commissione indipendente è direttamente legata all'esigenza dei politici europei - in particolare, i ministri della Francia, dell'Italia, della Germania, del Regno Unito e della Spagna - di far fronte alla situazione conseguente al rifiuto del Trattato costituzionale europeo da parte di Olanda e Francia, nonché per far fronte all'incertezza riguardante lo sport e, in particolare, il calcio in Europa. Nel 2005 è stato quindi deciso, dalla presidenza di turno inglese dell'Unione, che era venuto il momento di agire per attuare i principi del documento europeo allora esistente, basato sulla Dichiarazione di Nizza del 2000. Si tratta del documento in vigore ancora oggi, dato appunto il rifiuto del Trattato costituzionale.
La situazione attuale dello sport europeo - e del calcio in generale - richiede oggi, più che mai, un intervento determinato, sia da parte dell'Unione europea, sia da parte delle autorità governative e sportive di tutta l'Europa. Un intervento che deve sempre avvenire nel rispetto dell'autonomia delle autorità sportive.
È molto importante il principio secondo cui i governi e la Commissione europea devono sempre rispettare l'autonomia delle autorità sportive, conservando la specificità sportiva, una delle caratteristiche del modello europeo di sport. Le autorità pubbliche, nel rispetto di queste regole, devono agire e non soltanto reagire.
La risposta, che finora è stata trovata dai governi europei, è sempre stata una risposta di reazione e mai una risposta di azione, né una risposta di prevenzione. Questa situazione è tanto più grave, in quanto lo sport europeo rappresenta il 60 per cento dello sport mondiale e il calcio europeo rappresenta l'80 per cento del calcio mondiale.
Come gli onorevoli deputati sanno, la visibilità di quanto succede in questo campo dello sport ha sempre conseguenze a livello globale, nonché impatto notevole sull'opinione pubblica europea. I ministri e i governi - tra questi il Governo italiano - che erano stati all'origine di questa iniziativa, di concerto con la FIFA e l'UEFA, in un incontro svoltosi a Lipsia hanno deciso quale sarebbe stato il mandato di questa Commissione indipendente.
Il mandato conteneva sette punti, suddivisi in due gruppi.
Un primo gruppo riguardava la definizione e il contributo all'implementazione di un modello europeo dello sport. Un secondo gruppo riguardava l'analisi di tutte le regole del governo dello sport; specificamente, noi abbiamo analizzato quelle che riguardano uno sport particolare: il calcio. La prima parte del lavoro è rappresentata quindi da una parte concettuale e generica, a livello europeo, riguardante lo sport. È stata creata una commissione - comprendente un gruppo di lavoro economico, uno politico ed uno giuridico - che doveva rispondere ai cinque ministri dell'epoca, alla FIFA e all'UEFA. Abbiamo potuto inoltre avere la collaborazione di una serie di università.
La relazione è disponibile sul sito www.independentsupportreview.com, che è stato visitato, fino ad oggi, da 1 milione e 300 mila persone, con circa 300 mila downloads.
Da tutto il lavoro svolto si può definire il modello europeo dello sport. In Europa, lo sport è organizzato tramite una struttura piramidale. Alla base della piramide troviamo lo sport dilettantistico. Ai livelli successivi troviamo poi nell'ordine: le squadre, le associazioni locali e regionali, le leghe, le federazioni nazionali, le federazioni europee o continentali e infine la FIFA.
Il modello europeo dello sport è basato su due principi fondamentali: in primo luogo, il principio dell'organizzazione nazionale dello sport e, in secondo luogo, il principio della federazione unica. Quest'ultima è una caratteristica fondamentale, alla base di tutte le strutture, sia professionistiche sia dilettantistiche, di tutti e 25 i paesi dell'Unione di allora. Ciò ci differenzia dal modello americano dello sport.


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Il modello dello sport europeo trova origine in due principi storici.
Il principio delle strutture aperte, che consente la promozione o la retrocessione all'interno delle strutture (all'opposto del modello americano, che prevede strutture chiuse).
L'altro principio storico - che dobbiamo conservare e proteggere - è in sostanza il principio di mutualità (o della solidarietà finanziaria), secondo cui si tende ad assicurare una redistribuzione di risorse dalle squadre più ricche alle meno ricche e allo sport amatoriale.
Il riconoscimento di questo modello dello sport europeo è già stato effettuato dalla Commissione europea, che ha definito cinque funzioni principali per lo sport in generale: la funzione educativa, la funzione di salute pubblica, la funzione sociale, la funzione culturale e infine la funzione ricreativa.
È importante, comunque, che gli enti di governo dello sport rispettino anche alcuni principi fondamentali, e - fra l'altro - si attengano alla separazione dei poteri.
Il mandato che i ministri ci avevano assegnato era quello di analizzare la struttura europea del calcio, quindi non abbiamo analizzato altre strutture. Secondo la nostra analisi, quindi, le strutture attuali della UEFA stabiliscono una devoluzione di poteri al congresso, dal congresso al comitato esecutivo e poi al CU e al presidente. Esse stabiliscono anche l'importante principio del ricorso al tribunale dello sport e all'arbitrato, in caso di controversie.
Queste strutture non sono rigide e non possono essere tali. Esse si devono poter sviluppare ed evolvere come qualsiasi altra istituzione democratica.
Quindi noi riteniamo che sia raccomandabile un maggiore coinvolgimento degli altri protagonisti interessati allo sport e in particolare al calcio: per esempio le leghe, nonché le squadre di calcio (i club). Pensiamo anche che il principio di promozione e di retrocessione - che è dimostrazione visibile della natura aperta dello sport, e che ci distingue dal modello americano - sia una caratteristica che, in Europa, dobbiamo conservare e proteggere.
Anche il principio di redistribuzione finanziaria appare di analoga importanza.
Per quanto riguarda il problema della composizione delle controversie, dobbiamo dire che l'arbitrato deve essere affrontato come uno degli aspetti del modello europeo da stimolare. Noi invitiamo tutti i governi, e la Commissione europea, a promuovere l'arbitrato: che possa essere riconosciuto dai tribunali civili, proprio per cercare di ridurre i conflitti. Si tratterà di tribunali di arbitrato in grado di giudicare rapidamente, con competenze particolari nel campo sportivo e, quindi, in possesso di una buona conoscenza della materia. Questi tribunali non devono essere confusi con i tribunali che trattano meramente di questioni sportive. I cosiddetti tribunali sportivi devono esistere e rimanere. Noi riteniamo che si debba fare ricorso ai tribunali di arbitrato in alternativa ai tribunali civili.
Pensiamo anche che il principio della redistribuzione debba essere rafforzato. I campionati - in particolare la Champions League dell'UEFA - devono aumentare la propria trasparenza ed assicurare la rendicontazione del denaro ridistribuito.
Riteniamo anche che non vi possano essere obiezioni legali e giuridiche, a livello europeo, per quanto riguarda la concentrazione dell'attività di regolamentazione e di altre funzioni cruciali in capo agli enti di governo dello sport. Ciò è già stato riconosciuto dalla Comunità europea, quando ha approvato il marketing centralizzato dei diritti commerciali della Champions League dell'UEFA e della Serie A inglese.
L'ente di governo dello sport deve, però, continuare ad evolversi e deve essere responsabile di fronte a tutti i protagonisti, senza abusare dei propri poteri di regolamentazione per fini commerciali.
Bisogna infine analizzare i problemi che riguardano l'organizzazione e la gestione. Tali problemi sono legati al funzionamento delle società sportive, delle


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autorità del calcio, nonché all'efficienza del sistema di regolamentazione del calcio europeo e nazionale.
Un aspetto critico che abbiamo rilevato è stato quello della proprietà e del controllo delle società sportive.
La situazione è critica dalla Finlandia al sud dell'Europa. Non esiste un modello speciale di proprietà che sia migliore, o che possa essere raccomandato. Tutti i modelli che abbiamo identificato, nei 25 paesi, presentano vantaggi ed inconvenienti. Non si deve, peraltro, attraverso l'Unione europea, imporre una struttura di proprietà che debba essere applicata dappertutto. Il principio di sussidiarietà deve essere assicurato.
La preoccupazione fondamentale dei governi nazionali e dell'Unione, piuttosto, dovrà rivolgersi all'adozione di principi solidi di gestione finanziaria e di trasparenza all'interno delle squadre, indipendentemente dalla loro forma giuridica. Analogamente è augurabile escludere persone inadeguate dal coinvolgimento nelle società sportive, anche se si sa che questo comporta delle sfide.
Per quanto riguarda la gestione finanziaria, bisogna riconoscere che in passato sono stati compiuti errori.
La nuova metodologia adottata dall'UEFA costituisce un buon passo in avanti, ma ritengo che dovrebbero esistere un codice e un sistema di benchmarking.
Un ulteriore problema, che risalta nell'analisi compiuta, è la necessità di adottare misure per il controllo degli ingaggi. Questa materia è legata, ovviamente, alla gestione finanziaria. Nello studio che abbiamo fatto, abbiamo potuto constatare che l'aumento eccessivo degli stipendi dei giocatori è uno dei motivi che hanno contribuito, negli ultimi anni, alla pessima, o comunque fragile, situazione finanziaria di molte società sportive.
Siamo di fronte, naturalmente, a molte sfide amministrative, ma ogni tentativo di regolamentazione paneuropeo in questo campo deve poter configurare un sistema che permetta di lavorare nel settore dell'attribuzione delle licenze.
Bisogna eseguire uno studio sugli ingaggi, in modo da poter reagire di fronte alle esigenze del calcio europeo. Siamo certi che il mantenimento dello status quo non è una buona soluzione: la questione meriterebbe un'analisi molto dettagliata.
Sarebbe inoltre importante che l'organizzazione e gestione della regolamentazione sportiva - di cui ci si augura l'avvento - venisse attuata da parte degli enti più idonei, nazionali o internazionali.
Il sistema di trasferimento dei giocatori è uno dei casi da considerare. I contenuti dell'attuale sistema, infatti, sono stati molto influenzati dalla legislazione comunitaria. Riteniamo che sarebbe bene, invece, attribuire alle società sportive nazionali la competenza per i trasferimenti dei giocatori a livello nazionale, all'UEFA la competenza per i trasferimenti a livello europeo e alla FIFA il compito di definire dei principi fondamentali da applicare a livello intercontinentale.
Abbiamo potuto vedere che altre esigenze, come quella della licenza per i club - che ci vede favorevoli -, facilitano il controllo del sistema dei trasferimenti nello spazio europeo.
Purtroppo, signor presidente, abbiamo dovuto constatare che si svolgono attività criminali intorno al calcio, a causa sia di un'assenza di regolamentazione, sia dell'aumento dell'importanza finanziaria ed economica del calcio e dello sport in generale. Esiste, per esempio, il rischio di riciclaggio di denaro sporco. Per tale motivo le autorità dello sport devono collaborare con le autorità politiche e di polizia, allo scopo di venire a capo di questo problema.
Inoltre, in Europa si verifica un traffico di giovani giocatori, nei cui confronti sarebbe appropriata una reazione concertata da parte dei governi e del mondo del calcio.
Infine abbiamo le scommesse. Questo è un problema che preoccupa il calcio e lo sport in generale. Non si può ignorare che le scommesse, con lo sviluppo di Internet, hanno assunto carattere sempre più internazionale. Nello stesso momento si deve ammettere che le scommesse sono sempre


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state una fonte di finanziamento notevole per lo sport, basata su lotterie nazionali. Ecco perché temiamo che il trasferimento delle lotterie statali in Europa possa avere effetti disastrosi sul finanziamento dello sport a livello europeo. Per quanto riguarda i rischi legati alle scommesse, come i match-fixing (incontri combinati) o altre forme di corruzione, è necessario dare una risposta che non può essere altro che multilaterale.
Signor presidente, queste sono le caratteristiche del nostro modello europeo, il quale deve riconoscere una caratteristica di cui ho già parlato: quella della specificità dello sport. Tale caratteristica è stata riconosciuta dai Capi di Stato e di Governo, nel 2000, a Nizza, nonché dal Trattato costituzionale, nell'articolo 282, in cui si attribuivano competenze comunitarie.
Che cosa si intende per specificità sportiva? L'espressione significa che lo sport deve essere trattato in conformità a sue proprie regole e che ad esso non si possono applicare criteri commerciali. Affinché sia garantito un funzionamento adeguato delle gare, delle partite, della struttura dei campionati, delle regole dei trasferimenti, eccetera, occorre riconoscere competenze esclusive alle pertinenti entità sportive. Deve rientrare in tali competenze anche un secondo aspetto: l'integrità dello sport, degli agenti e delle società sportive. La specificità dello sport, infine, è garantita anche dalla presenza di regole che riguardano i giocatori formati localmente, nonché quelle legate ai controlli dei costi, e quant'altro.
Signor presidente, concludo trattando la parte finale della nostra relazione.
Stabilita la diagnosi, dovevamo individuare gli strumenti necessari per intervenire a livello europeo. Tali strumenti figurano nella nostra relazione in cui, naturalmente, abbiamo presentato la parte più polemica, cioè quella delle raccomandazioni su ciò che si deve fare.
Abbiamo fatto raccomandazioni in primo luogo alle autorità europee e nazionali del calcio, poi alle istituzioni dell'Unione - come la Commissione - e infine alle autorità del calcio. Abbiamo raccomandato che l'UEFA istituisca strutture più trasparenti, nuove regole di distribuzione, nonché adotti test di idoneità per coloro che assumono ruoli di responsabilità nello sport.
Abbiamo anche sottolineato l'importanza di una serie di regole riguardanti la costruzione di un sistema centralizzato di trasferimenti.
Per quanto riguarda l'Unione europea, abbiamo anche pensato alla possibilità di applicare strumenti esistenti, quali raccomandazioni, regolamenti, direttive (hard law e soft law).
Tre, comunque, sono gli aspetti ai quali abbiamo dato la priorità.
Abbiamo, innanzi tutto, materie sulle quali la Commissione può agire rapidamente. Per esempio, emanando una direttiva che armonizzi la professione di agente. Nei vari paesi troviamo, infatti, regole molto diverse e, in alcuni casi, addirittura non esiste alcuna legislazione. È quindi necessario emanare una legislazione europea nel merito, creando nel contempo un meccanismo di protezione dei minori.
Un secondo aspetto importante su cui intervenire è quello delle scommesse via Internet. Esse non sottostanno ad alcuna forma di regolamentazione. La massima parte delle società che operano su Internet sono offshore e, pertanto, non contribuiscono alla solidarietà del sistema, né pagano tasse nell'ambito europeo.
Per quanto riguarda la terza priorità, noi riteniamo che sia necessario ed augurabile che, attraverso una legislazione nazionale e comunitaria, si affronti il problema dei diritti di comunicazione, incentivandolo con un sistema simile a quello in uso, ad esempio per la Champions League o per il campionato inglese, in modo da poter valutarne i vantaggi. È importante arrivare all'adozione di legislazioni nazionali in merito, in modo da creare certezze ed avere una regolamentazione in questo settore.
Signor presidente, concludo dicendo che riteniamo ci debba essere un accordo formale fra Unione europea e UEFA, affinché


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si instauri una collaborazione istituzionalizzata tra queste due parti. Occorre che vi sia il riconoscimento delle buone regole della pratica sportiva.
Il nostro obiettivo, lo ripeto, è stato quello di analizzare il modello europeo di sport e in particolare il calcio. Abbiamo esaminato altre strutture, per esempio il Comitato olimpico internazionale, che ritenevamo essere al di fuori di un inquadramento giuridico, ma i ministri hanno ritenuto che dovesse essere preservato.
Qual è il follow up? La relazione è stata presentata alla presidenza inglese e al presidente della Commissione europea, Barroso, a maggio. A giugno, la Commissione ha avviato la redazione di un libro bianco, dopo di che vi è stato un processo di consultazione su quest'ultimo. La relazione è stata discussa al Consiglio d'Europa, nonché a livello dei cinque ministri dell'Unione europea che la avevano commissionata. In questo momento è all'esame dei 46 ministri del Consiglio d'Europa, che se ne occuperà a Mosca. Un Consiglio dei ministri informale se ne occuperà a novembre. Infine si svolgerà una riunione comune sulla relazione e si darà un mandato alla commissione, perché possa agire.
È ovvio che la relazione è stata ben accettata, da buona parte della stampa e dell'opinione pubblica europea; è ovvio che ci sono delle resistenze: quando si toccano interessi consolidati si hanno sempre delle difficoltà, ma la nostra determinazione - e il mandato che abbiamo ricevuto - ci permette di lavorare. In questo momento la commissione ha avviato un processo che riteniamo irreversibile. Grazie, presidente.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, presidente Arnaut. Devo dire che veramente è impressionante la sintonia di impostazione con il lavoro che, già nella scorsa legislatura, la nostra Commissione aveva svolto. Si trattò di un'indagine conoscitiva che si concluse con un rapporto votato all'unanimità dalle due grandi aggregazioni di centrosinistra e di centrodestra e che, purtroppo, fu poi largamente ignorato.
E, nuovamente, è impressionante oggi la sintonia con il lavoro che la commissione svolge tramite l'indagine presentata di cui, come ho detto prima, molti di noi avevano già preso visione. In qualche modo i colleghi hanno ispirato una parte del proprio lavoro alle prime indicazioni venute dalla vostra commissione indipendente. Un'iniziativa, quest'ultima, veramente preziosa.
Do ora la parola ai colleghi che intendano formulare quesiti ed osservazioni.

ANTONIO RUSCONI. Onorevole Josè Luis Arnaut, innanzitutto grazie per la competenza e per la disponibilità.
La sua relazione è stata esauriente e chiara. Soprattutto ci ha confortato, non entrando nei dettagli, sugli scopi della nuova proposta di legge sui diritti televisivi. Lei ha parlato di centralizzazione dei diritti, di solidarietà finanziaria, di redistribuzione dalle squadre più ricche a quelle meno ricche e di mutualità effettiva.
Su questi punti siamo d'accordo e quindi le pongo solo due questioni.
La prima riguarda un punto da lei affrontato: lo stato patrimoniale di molte società e in particolare di molti club importanti. Noi abbiamo verificato, con la Commissione nel 2004, che la gran parte dei club di serie A denunciava entrate pari all'80 per cento, non delle uscite, bensì degli ingaggi dei giocatori. Di conseguenza, ci si affidava ai mecenati di turno, oppure si contraevano debiti, non si pagava, c'erano arretrati, e quant'altro.
Ora, indubbiamente, ciò può essere il frutto di una gestione poco curata. Ma, in ogni caso, è frutto anche di una inadeguatezza della sentenza Bosman. Quest'ultima ha messo in crisi i patrimoni delle società obbligandole - di fatto - a stipulare contratti molto lunghi e molto onerosi, per impedire che certi atleti passassero ad altri club a parametro zero, cioè non costando nulla. Questo è un vizio del sistema, su cui sarebbe opportuno riflettere a livello europeo. Nessuno ritiene la sentenza Bosman come un diritto acquisito; a dieci anni di distanza, dovremmo forse anche riflettere sulle conseguenze


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negative, che riguardano maggiormente i piccoli club. Questi ultimi hanno giocatori che a novembre si rifiutano di rinnovare il contratto, in quanto sono già d'accordo con qualche società più importante per trasferirsi, a parametro zero, l'anno successivo. Lei comprende che non si tratta di un problema solo dell'Italia o del Portogallo, dell'Inghilterra o della Germania: è un problema che dobbiamo risolvere tutti insieme.
Seconda questione: lo status dei calciatori professionisti, che hanno procuratori, ingaggi favolosi, ma in Italia hanno tuttora lo status di lavoratori subordinati. Io penso che questo status vada rivisto, soprattutto per quei 300-400 giocatori che oltre ad essere professionisti, hanno anche degli ingaggi favolosi, poiché ritenerli dei lavoratori subordinati - e non dei professionisti, come avviene per altri sport - a mio parere è errato.
A me ha fatto molto piacere la sua dichiarazione sul fatto che il sistema dei campionati europei, con retrocessioni e promozioni, ha molta più fantasia - uso un termine improprio - che non il sistema americano. Si consideri ad esempio l'NBA, che è un sistema chiuso. Però il sistema americano, con il salary cap, ha obbligato le società a non superare certi ingaggi.
Io preferisco senz'altro il sistema europeo, ma chiedo: come facciamo a limitare gli ingaggi?
Terzo punto: guardo come a un pericolo l'unione dei grandi club europei, di cui fanno parte anche alcune importantissime società italiane, la Juventus, l'Inter e il Milan, ma anche il Real Madrid e il Barcellona. Mi sembra che, sullo sfondo, ci sia il tentativo finora bocciato (e io dico: per fortuna!) di organizzare un grande campionato europeo, che valga più dei campionati nazionali. Ritengo tale eventualità un pericolo, perché quest'anno - seppure per circostanze dolorose, che speriamo non si ripetano più - una società come il Chievo Verona (squadra di un borgo di Verona di 20 mila abitanti) ha potuto partecipare ai preliminari della Champions League.
Su tutto il resto non ho osservazioni. Mi pare ottimo quanto detto sull'organizzazione della distribuzione dei diritti della Champions League, mi sembra un'ottima cosa.

MARIO PESCANTE. Onorevole Arnaut, mi fa particolarmente piacere rivederla, dopo quell'inizio dei lavori che abbiamo fatto insieme. Al di là delle questioni personali che non interessano gli altri colleghi, vorrei anche ringraziarla per la disponibilità. Tra l'altro, il suo segretario (non so se è la persona col cui ho parlato) parla un italiano perfetto, quindi grazie anche per questo.
Io credo che lei conosca qual è stata la mia diversa posizione, nell'ambito dei ministri che hanno trattato questo argomento. Quindi il mio sarà un intervento, per certi aspetti, con il quale intendo porre alcuni quesiti, non riguardanti solamente il mondo del calcio.
Io credo che lei sia anche al corrente che il suo rapporto è stato oggetto di dibattito nel mondo sportivo europeo, non solo tra CIO, UEFA, FIFA e via dicendo, ma le dico subito che io non ho condiviso questa critica. È importante che le istituzioni europee si incontrino e si confrontino con lo sport. L'errore che abbiamo commesso, in passato, ha avuto risultati estremamente negativi. Non confrontandosi, non incontrandosi, è potuto accadere che istituti previsti dall'Unione europea per regolamentare altri settori sono stati automaticamente applicati nello sport.
Invece, con questo suo modo di procedere - se non altro - si discute, se ne parla, e ci si confronta. Non solo, ma grazie al suo lavoro, io credo che si formi una specie di guide line comune a tutti i paesi europei. Si può condividere o non condividere, ma c'è un limite comune e ciò è molto importante come strumento di lavoro.
Toccherò due argomenti, quello calcistico, ma anche l'altro, perché non ci dimentichiamo che la relazione della sua commissione, nel titolo, parla di rapporto indipendente non sul calcio, bensì sullo sport europeo.


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Il primo argomento riguarda il calcio. Devo dire che l'analisi è molto completa e non esisteva qualcosa del genere neanche negli archivi della UEFA e della FIFA. Chi le ha fatto critiche - anche lo stesso Blatter -, deve riconoscere che non esisteva una documentazione così completa. Nello stesso tempo sono trattati punti importanti, al di là delle cose eccellenti che ha detto il collega. Quest'ultimo è di sinistra e quindi in questo momento fa parte del gruppo degli innamorati degli americani, portando sempre esempi che io non sposerei mai da sportivo europeo. Quel tipo di sport, chiaramente, non è veramente sport. Così vanno le mode e il collega (siamo talmente amici) mi passerà benevolmente questa osservazione.
Devo dire, con molta sincerità, che alcune cose le condivido. Presidente Folena, potremmo esaminare a fondo, in futuro, il discorso sull'arbitrato. Sul problema dei contrasti tra giustizia ordinaria e giustizia sportiva - che non siamo riusciti a risolvere in Italia, ma che non sono neanche riusciti a risolvere in altri paesi - nella relazione sono contenute indicazioni straordinarie. Se l'istituto dell'arbitrato ci viene raccomandato dall'Unione europea, ciò potrebbe essere veramente la soluzione di mille problemi che esistono a livello nazionale.
Il secondo punto riguarda i lavoratori subordinati. Chiedo a lei, che ha esaminato il punto in maniera così approfondita, se è vero che lo status di lavoratore subordinato - che esiste nel suo paese, immagino - sia stato rilevato in tutti i paesi europei affiliati alla FIFA, oppure se in qualcuno di essi il calciatore è equiparato al lavoratore autonomo. Il punto è molto importante, perché nell'audizione che abbiamo avuto con il presidente dell'Associazione calciatori, ci è stato detto che questa figura è preminente in tutta Europa.
Mi scusi se non le pongo ulteriori questioni sul calcio. Mi lasci svolgere adesso una parte critica: ho la sensazione che questa documentazione - ho avuto modo anche oggi di farlo rilevare in sede di Commissione - presenti la visione, un po' particolare, secondo cui, quando si parla di sport si parla di calcio. In essa si inizia parlando dello sport, ma il 90 per cento del discorso poi riguarda il calcio.
Tuttavia, mentre il compito che lei si era prefisso - se non ricordo male - era quello di trovare il modo di attuare le direttive di Nizza sulla specificità dello sport (tenuto conto che il problema della specificità dello sport era stato trattato nell'articolo III-282 della Costituzione europea, oggi congelata, e che quindi prendiamo per buona la dichiarazione di Nizza), voglio ricordarle che l'Unione contribuirà alla promozione dello sport e rispetterà pienamente le specifiche caratteristiche dello sport, la sua autonomia e la sua struttura di volontariato.
La mia domanda è la seguente: ho visto (questo è un documento che hanno predisposto i miei uffici) la tabella e gli strumenti che avete proposto per il riconoscimento della specificità dello sport. E qui, devo dire francamente, sono in totale disaccordo. Lo stesso disaccordo, che come lei sa, è stato anche espresso del presidente del CIO e dai presidenti delle federazioni. Prima di me, il collega è intervenuto parlando della sentenza Bosman. Per la verità, non condivido molto l'opinione, essendo europeista convinto, che si debbano fare eccezioni nel caso dei professionisti. Il guaio è che questa sentenza è applicata a tutte le discipline sportive, e il danno più grande è stato fatto nei confronti dei vivai. Le squadre di pallavolo di campionato, in Italia, ma anche in altri paesi, ormai non hanno più vivai. Le faccio l'esempio della pallanuoto: è molto più facile far giocare giocatori di paesi molto forti, basti pensare alla Slovenia, oppure all'Ungheria e, tra qualche tempo, anche alla Bulgaria, piuttosto che crearsi un proprio vivaio. Questa sentenza Bosman ha trasformato lo sport europeo in una specie di supermercato dello sport, che sta distruggendo gli sport dilettantistici, non quelli professionistici. Ormai è inutile illudersi: una volta era scandalosa la situazione italiana, si parlava dell'Inter con due italiani o un solo italiano. Se però si guarda la squadra ucraina che è venuta


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a giocare a Roma, in essa c'erano sette brasiliani e se andiamo a vedere il Chelsea, constatiamo che ha un inglese solo in squadra. È inutile, questo è un discorso che va abbandonato, quello che io domando invece è che cosa pensate di fare, partendo dal discorso della specificità del modello europeo dello sport, che non ha niente a che vedere con quello americano, perché la loro base è costituita dai college, mentre la nostra base è costituita, in tutta Europa, anche in Portogallo, da società sportive. Se le società sportive uccidono i loro vivai, si uccide la promozione dello sport.
In conclusione, nell'allegato (e qui, forse, c'è anche qualcosa di sbagliato nella traduzione), tutti gli strumenti che avete proposto - ne cito alcuni: agenzia europea per lo sport; linee guida per le norme relative alla libera circolazione; linee guida per l'applicazione delle norme comunitarie sulla concorrenza - hanno poco a che vedere con la specificità. Esiste un problema che dobbiamo avere il coraggio di affrontare, ed è per questo che era previsto un articolo specifico nella Costituzione europea: che cosa si può fare per delimitare i danni della sentenza Bosman. Non mi interessa a livello professionistico, bensì a livello di base, per gli altri sport.
Onestamente, onorevole Arnaut, nella documentazione di tutto ciò non ho trovato traccia e di ciò mi preoccupo molto.
Concludo ripetendo non solo il ringraziamento, ma anche dandole atto del coraggio che ha avuto. Conosco infatti benissimo le traversie che lei ha affrontato. Soprattutto, torno a ripeterlo (ed è per questo che ho fatto domande sullo sport), questo documento sarà estremamente importante come guide line per il nostro futuro lavoro nel Parlamento italiano.

EMERENZIO BARBIERI. Chiedo scusa perché ho perso una parte della relazione introduttiva. Ho letto il rapporto che il nostro servizio studi ci ha preparato e vorrei formulare alcune osservazioni, che poi si traducono in domande. La prima è la seguente: lei ha accennato, nella sua relazione, alla preoccupazione diffusa che l'acquisto di squadre di calcio non diventi l'occasione per il riciclaggio di denaro sporco. Credo sia una preoccupazione giusta, ma vorrei capire di più. Lei ha elementi per dire che, fino ad ora, tale questione si è manifestata in qualcuno dei 25 paesi dell'Unione europea? Oppure lo dice soltanto per esprimere una preoccupazione a futura memoria?
Seconda questione. Avendo fatto parte anche nella precedente legislatura di questa Commissione, che stese quel documento, unanime, a cui ha accennato il presidente Folena, ho maturato la convinzione che la legislazione, in questo settore, o è nazionale, o è europea. Io non sono dell'opinione che due schemi così possano convivere: o di tali questioni si occupano i Parlamenti dei singoli paesi, o se ne occupa il Parlamento e la Commissione Europea. La confusione, quando della stessa questione si occupano sia i paesi nazionali, sia il Parlamento europeo, è assoluta. Non riguarda le questioni di cui ci stiamo occupando, ma vorrei solo ricordare che le questioni del trasporto su strada, siccome sono oggetto di una sorta di concorrenza tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo, producono solo grandi disastri, per cui in alcuni paesi si gira in continuazione con i mezzi pesanti, mentre da altre parti, come lei ben sa (ad esempio in Austria), esistono limiti forti.
Terza questione. Presidente Arnaut, io sono stato cinque anni al Consiglio d'Europa. Se dovessi indicare un organismo inutile, indicherei proprio il Consiglio d'Europa. È una delle cose più inutili che abbia visto nella mia esperienza. Le cito una vicenda, che nulla ha a che fare con la sua relazione, ma che è molto importante. Noi, per cinque anni, ci siamo occupati di come evitare che un signore, che si chiama Lukashenko, potesse continuare a limitare la libertà di stampa nel suo paese. Abbiamo fatto seminari, abbiamo fatto venire giornalisti da Minsk, discusso con loro e fatto risoluzioni poi mandate a Lukashenko che le considerava, in sostanza, carta straccia.


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Se lei si affida al Consiglio d'Europa, ho l'impressione che le sue speranze siano mal riposte: per la sua composizione, per la farraginosità con cui lavora, per le difficoltà. Come si fa a lavorare, quando ci sono quattro sessioni all'anno? È una cosa francamente difficile da pensare.

PRESIDENTE. Credo che ci sia un equivoco, non so se legato alla traduzione. Il presidente Arnaut non si riferiva al Consiglio d'Europa, ma al Consiglio europeo.

EMERENZIO BARBIERI. Però, la traduzione, mentre parlava, è stata «Consiglio d'Europa».

PRESIDENTE. Non è una critica rivolta a lei. È solo una precisazione: al di là di come è andata, il riferimento era al Consiglio europeo.

EMERENZIO BARBIERI. In tal caso, la parte relativa del mio intervento andrebbe cassata. Io mi riferivo al Consiglio d'Europa, perché così è stato tradotto mentre il presidente Arnaut parlava. Se si riferisce al Consiglio europeo, è ovvio che è tutta un'altra cosa.
Voglio richiamarmi alla questione degli ingaggi, cui accennava il collega Rusconi. Non per polemizzare, ma perché mi interessa capire la sua opinione. Che ci siano alti ingaggi è vero, ma non capisco per quale motivo la questione debba riguardare solo il calcio. Noi viviamo in un paese in cui, fino a domenica scorsa, parecchi pensavano che un signore - che si chiama Michael Schumacher - vincesse il campionato del mondo di Formula 1. Non so se lo vincerà, secondo me non ce la farà. Ebbene, leggiamo che Michael Schumacher guadagna quasi 120 miliardi di vecchie lire all'anno, 60 milioni di euro, ma nessuno pone il problema del salary cap nell'automobilismo. Leggiamo che un signore di colore che gioca a golf, Tiger Woods, guadagna circa 150 miliardi di vecchie lire all'anno, e nessuno pone il problema del salary cap. Quindi, non riesco a comprendere bene perché il calcio debba avere regole diverse da quelle degli altri sport.
Ulteriore domanda: il secondo capitolo del suo rapporto si sofferma su alcune questioni, fra cui, giustamente, la fissazione di un limite alle spese. Qui, però - presidente Arnaut lei non c'entra - sarebbe bene che di questa fissazione del limite alle spese tenessero conto anche la FIFA e l'UEFA. Leggiamo sui giornali italiani della vita da nababbo condotta dai presidenti della FIFA e dell'UEFA. Vite da miliardari, questo scrivono i giornali italiani. Se le notizie non sono vere, basta la querela per dimostrare che sono false.
L'ultima questione che voglio porre è relativa al terzo capitolo, dove si dice, a mio giudizio giustamente, che la partecipazione degli atleti all'attività delle squadre nazionali non può assumere carattere oneroso. L'Italia ha vinto il campionato del mondo e abbiamo letto sui giornali che la Federazione - credo, onorevole Pescante, che di questo si tratti - li ha gratificati di 375 mila euro lordi cadauno. Non è per la verità una somma modesta e da fame. C'è gente che impiega una vita, a guadagnare 375 mila euro.
Se lo schema è che la partecipazione alle squadre nazionali debba avvenire - forzo il concetto, ma per farmi capire - quasi a titolo gratuito, io sarei d'accordo. Deve valere per tutti. Inoltre, bisogna pensare a misure forti per quei calciatori che, proprio perché non sono pagati adeguatamente in nazionale, inventano la malattia quando sono convocati. Purtroppo, non accadrà mai, ma il giorno in cui dovesse per caso accadere che la Bielorussia, visto che ne ho parlato prima, vinca il campionato del mondo di calcio, è difficile pensare che Lukashenko darà 375 mila euro a ciascuno dei calciatori.

VITO LI CAUSI. Vorrei rivolgere un benvenuto all'onorevole Arnaut. Sono contento della sua presenza presso la nostra Commissione parlamentare. Mi scuso del leggero ritardo, ma avevo una riunione di gruppo del mio partito e comunque ho potuto apprendere che lei


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è favorevole alla vendita centralizzata dei diritti televisivi.
Ebbene, vorrei chiederle come si può effettuare una mutualità effettiva, ossia che le società più ricche possano dare alle società più povere, pur sapendo che le risorse economiche appartengono ai privati. Contestualmente, vorrei sapere com'è possibile rivedere e riequilibrare le cose tra l'Unione europea e i venticinque paesi che ne fanno parte.
Un'altra domanda riguarda gli ingaggi. Ci può essere una terza via, tra il calciatore che gioca come lavoratore dipendente, oppure come lavoratore autonomo? L'Unione europea, in tal senso, intraprenderà una strada, affinché si possa avere una concertazione tra l'Unione stessa e l'Italia?

PRESIDENTE. Prima di darle la parola, presidente Arnaut, vorrei che lei ci fornisse anche il suo punto di vista sul lavoro che avete svolto, nonché un primo bilancio per ciò che riguarda le esperienze dei paesi nei quali le società calcistiche si sono quotate in Borsa.
Oggi, abbiamo tenuto un'audizione con la Consob, l'organismo di controllo della Borsa italiana. Essa è molto critica sull'esperienza italiana e in qualche modo prospetta, anche se la soluzione è molto complicata, per le tre società che oggi sono quotate in Borsa, un'ipotesi di delisting.
Comunque, al di là di questo, ci ha anche riferito (accanto alla esperienza inglese che è più conosciuta, come anche quella danese, sostanzialmente analoga a quella inglese), di un'esperienza recente - che non riguarda un paese dell'Unione europea, anche se è un paese che aspira ad entrare nell'Unione europea, cioè la Turchia - nella quale si sarebbero sperimentate società commerciali distinte dalle società calcistiche (però ad esse collegate), con un avvio anche di quotazioni e di finanziamenti attraverso questo canale.
L'opinione di questa Commissione è abbastanza critica (e autocritica), dal punto di vista dell'istituzione parlamentare, sul modo in cui nel 1996 si è passati nell'ordinamento italiano dalle vecchie società non a fini di lucro a società a fini di lucro. L'effetto concreto - dodici anni dopo - è infatti l'aver constatato voragini finanziarie in alcuni club, aggravate poi dal problema connesso della disciplina dei diritti televisivi. Vorremmo, allora, avere una sua valutazione sul tema quotazioni in borsa e disciplina delle società sportive.

JOSÈ LUIS ARNAUT, Esperto del settore del calcio e dello sport in generale. Vorrei ringraziare lei, signor presidente, e tutti coloro che hanno posto delle domande. In particolare l'onorevole Pescante, mio ex collega nel momento in cui abbiamo trattato della materia della Costituzione. Io, all'epoca, ero ministro, avevo lo sport tra le mie deleghe e ho avuto l'occasione di conoscerlo e di apprezzarlo molto per l'autorità che detiene, a livello europeo, nel campo dello sport. Comunque, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno espresso elogi per il mio lavoro.
Vorrei sapere, signor presidente, se preferisce che risponda alle domande, deputato per deputato, o che riunisca le domande e fornisca delle risposte globali.

PRESIDENTE. Come preferisce lei. Se le vuole riunire, per comodità e fare un discorso più compiuto (comunque gli interventi sono cinque o sei) non c'è problema. Poi, se dovesse venir meno una risposta a qualche questione specifica, gliela sottoporremo nuovamente.

JOSÈ LUIS ARNAUT, Esperto del settore del calcio e dello sport in generale. La ringrazio, signor presidente. Il problema comune a tutti gli interventi è stato quello del finanziamento. Questo è un problema che abbiamo analizzato guardando cosa succede in Europa. Ebbene, in Europa esistono e coesistono tutti i sistemi: le società quotate in borsa, le società commerciali, le associazioni, i club e gli enti giuridici non commerciali. Esistono e coesistono in tutti i venticinque Stati membri.
Noi non abbiamo voluto dire qual è il sistema migliore. Questa valutazione non l'abbiamo fatta, perché non rientrava nel nostro compito. Quello che volevamo dire era che, quale che sia il sistema scelto,


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devono esistere regole di trasparenza e regole di rigore. Inoltre deve esistere quello che in alcuni paesi è denominato «test di idoneità». Si tratta di uno strumento molto importante, al fine di evitare che persone prive della necessaria serietà possano rivestire ruoli di responsabilità all'interno delle società sportive.
Abbiamo trovato situazioni che mi hanno sconvolto. Ho visto una grande squadra europea che stava per essere comprata da un fondo americano, e questo fondo americano offriva agli azionisti non la vittoria in campionato, ma l'8 per cento di ritorno finanziario sulle azioni. Ripeto, un fondo americano che ha comprato una squadra europea non offriva ai membri del club la vincita del campionato, ma garantiva che sarebbero diventati membri del fondo con un rendimento dell'8 per cento.
Qual è lo scopo dello sport? Fare denaro? Oppure, vincere campionati? È questa dualità di situazione che dobbiamo affrontare in Europa. Abbiamo paesi, come la Spagna, dove non esistono società, ma soltanto club. Ci sono dei paesi, invece, dove esistono solo società: ad esempio l'Inghilterra. Ci sono paesi in cui vi sono società sportive e club, come in Francia. C'è l'Italia, una realtà che conoscete molto bene.
Io penso che, quale che sia il sistema, debbano essere stabilite regole uguali in tutta l'Unione europea: le stesse regole di rigore, trasparenza e idoneità. Questi sono in realtà i principi da noi raccomandati.
È impossibile dire quale dei sistemi sia il migliore. La Commissione europea non ha competenze in questo campo: sono d'accordo con l'onorevole Pescante. Ogni paese dovrà scegliere il sistema che preferisce. Però, occorre creare regole che determinino un equilibrio tra lo spirito del nostro modello, il modello europeo - che è il modello della competizione, della solidarietà e della promozione e retrocessione - e la realtà economica, che vuole che lo sport sia anche un affare. Questo è l'equilibrio che noi cerchiamo di ottenere. È per questo che abbiamo cercato di definire alcune regole, analizzando la materia.
Il sistema della centralizzazione e della vendita dei diritti televisivi crea regole di trasparenza, crea un sistema di equilibrio e di regolamentazione del sistema che evita vi siano accordi tra pochi, e che questi accordi vadano a danno dell'intero spirito di solidarietà del sistema sportivo.
Il sistema centralizzato permette di avere vantaggi nella redistribuzione, e non si può pensare che il sistema centralizzato esista senza una legislazione nazionale, pena la creazione di un'ulteriore situazione di caos. Si devono emanare leggi, e allora funzionerà il sistema di sussidiarietà. Quello che viene fatto a livello nazionale, non necessariamente deve essere fatto a livello comunitario. Anche se avremo regolamenti generali a livello europeo, le leggi si devono fare a livello nazionale.
Vengo ora al problema dell'equilibrio finanziario dei club, che preoccupa e si collega alla domanda riguardante gli ingaggi troppo elevati.
Oggi, in Inghilterra, ci sono giocatori che guadagnano, a settimana (ormai i contratti non sono più pagati al mese, bensì alla settimana), centinaia di migliaia di euro. Occorre stabilire una forma di controllo. L'idea del salary cap, cioè del massimale, non è attuabile nell'Europa di oggi.
Il sistema giusto è quello della creazione di regole, rispettando il punto citato dall'onorevole Pescante, e cioè tenendo conto della specificità europea.
Chi vuole essere nel sistema, chi vuole usufruire della centralizzazione e vuole essere al centro del campionato, può spendere soltanto una parte del proprio bilancio in stipendi. In questa maniera, si controllano i salari e i costi. Chi dovesse superare l'importo fissato, verrà escluso e sarà penalizzato sportivamente. Questo è un altro dei vantaggi del sistema centralizzato della vendita dei diritti. Se non c'è un controllo da parte delle autorità sportive, non esiste un'ipotesi, una possibilità giuridica di controllare gli ingaggi miliardari


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che vengono versati ai giocatori. Si ripropone il citato problema della formula uno.

PRESIDENTE. Per realizzare, però, questo obiettivo - che personalmente condivido - non ci vuole una norma nazionale, bensì una norma che abbia una valenza comunitaria. Infatti, si può certamente stabilire una percentuale fissa per tutti i club e per tutte le società, destinata solo agli ingaggi e che non può essere superata senza essere penalizzati. Tuttavia, se questa norma dovesse valere solo in un paese europeo e non negli altri, si determinerebbe obiettivamente un grosso problema per le competizioni europee e per il calcio a livello comunitario. Su questo punto occorrerebbe una iniziativa unitaria, a livello del Consiglio europeo o comunque a livello comunitario. Altrimenti, non raggiungeremo questo obiettivo che, a mio modo di vedere, è abbastanza importante.

JOSÈ LUIS ARNAUT, Esperto del settore del calcio e dello sport in generale. Sono d'accordo con lei presidente. Il fatto è, però, che la Commissione europea non ha competenze in questa materia. Finché l'articolo III-282 della Costituzione non entra in vigore, la Commissione europea non può regolamentare il problema.
Quindi, la forma che abbiamo immaginato per la Champions League è il metodo dell'approccio caso per caso. Questa situazione crea delle incertezze giuridiche. Noi riteniamo debba esistere una rete di legislazione nazionale, basata su principi che abbiamo stabilito, da realizzare in tutti i paesi, in modo da creare un sistema paneuropeo.
Al momento, ripeto, l'Unione europea non ha competenza in materia. Dovremmo avere un regolamento, ma l'Unione europea non può fare regolamenti in questo settore, a meno che non parta un'iniziativa di cooperazione con il Parlamento europeo. Il processo giuridico, per questa soluzione, è estremamente complicato.
Quindi, la soluzione, al momento, è quella di una legislazione nazionale, in via di elaborazione in Italia, Regno Unito, Spagna, Francia. L'evoluzione sta avvenendo e penso che l'esperienza fatta in Inghilterra e nella Champions League possa costituire un esempio da seguire. In Portogallo e in Olanda il sistema esiste, ma indipendentemente dalla legislazione.
Torno alla domanda sul problema del lavoratore subordinato o del professionista. La sentenza Bosman crea un cambiamento del sistema sportivo, per quanto riguarda il trattamento dei giocatori. Noi riteniamo che non vi sia altra soluzione: i giocatori professionisti devono essere considerati lavoratori subordinati. A livello europeo, non vi è altra soluzione.
Tuttavia, la specificità del tipo di lavoro e del contratto di lavoro che hanno deve condurre ad un riconoscimento diverso da quello che si ha con le normali leggi del lavoro. I sindacati non accettano questo trattamento, per due motivi. Innanzi tutto, perché ritengono che si tratti di una riduzione di diritti acquisiti. In secondo luogo, basandosi sulla costituzione vigente in molti paesi, perché si deve applicare ai lavoratori sempre il principio della legge più favorevole. Quindi, si tratta di un problema giuridico e costituzionale complesso. L'unico modo che abbiamo trovato per dare una soluzione, per quanto vaga, è quello di legiferare a monte. Legiferare quindi nelle questioni che sono legate alle regole di governo dei club, sulle regole che sono legate agli agenti professionisti e sulle regole che hanno a che vedere con il trasferimento dei giocatori.
L'unico modo che si ha per controllare qualsiasi situazione è attraverso il rispetto e il rafforzamento del ruolo delle entità sportive. Mi riferisco alle federazioni nazionali per i trasferimenti nazionali, all'UEFA per i trasferimenti europei e alla FIFA per i trasferimenti mondiali.
Una delle poche professioni, in Europa, che non è regolamentata è quella degli agenti procuratori dei giocatori. Esiste un regolamento comunitario che riguarda gli agenti commerciali, ma esclude gli agenti degli sportivi. Ecco perché abbiamo definito il nostro quadro. Abbiamo situazioni in cui la legislazione comunitaria regolamenta


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altre aree: agenti, protezione dei minori, direttiva legata al commercio elettronico. Queste direttive vanno adattate, mutatis mutandis, alla realtà e alla specificità sportiva.
Intendo dire che dalle direttive per gli agenti commerciali e per il commercio elettronico, che escludono lo sport, si dovranno desumere i principi generali e si dovranno creare regole specifiche per lo sport. Tutto ciò si basa su un principio di diritto, che è quello dell'esistenza di legislazioni precedenti che si possono applicare alla realtà sportiva. Il lavoro su questo tema non è stato svolto da me, ma dall'Università libera di Bruxelles, dall'Università di Limoges e da quella di Berkeley. Abbiamo anche il parere, favorevole, di un ex presidente della Corte di giustizia europea, il giudice Da Cruz Vila come nostro consulente giuridico. Abbiamo quindi avuto la cooperazione di specialisti eccellenti. Ha lavorato con me anche un italiano, il professor Massimo Coccia.
Sono d'accordo con il presidente Mitterrand, che diceva che il Consiglio d'Europa è un'agenzia di viaggi. Proprio il Consiglio dell'Unione europea ha creato i mezzi necessari per redigere questo rapporto. Devo dirvi che questo lavoro è il risultato di un impegno globale svolto con altre persone, quindi i ringraziamenti che vi faccio sono anche a nome dei miei collaboratori.
Per quanto riguarda l'arbitrato, bisogna tenere conto di due regole.
Esiste il cosiddetto arbitrato meramente sportivo, che rientra nell'ambito delle entità sportive. Esso deve chiarire - cosa che ancora non è stata fatta (vedi i recenti accordi Melina) - ciò che è esclusivamente sportivo e ciò che non lo è. Bisogna approfondire la specificità dell'integrità dello sport e delle regole sportive. Queste devono essere trattate nei tribunali sportivi.
Quello che, ai termini del diritto costituzionale, rientra invece nelle competenze di un tribunale civile, deve essere trattato nei tribunali civili. Questa è la nostra prospettiva, per quanto riguarda l'arbitrato.
L'onorevole Pescante mescola sport e calcio.
La relazione ha cercato di svolgere un'analisi neutra di quello che è non lo sport, bensì la caratteristica del nostro modello: il modello a piramide, con un'unica federazione per lo sport professionistico e dilettantistico. Il modello in cui i club possono salire e scendere, e secondo il quale si verificano redistribuzioni e mutualità. Questo vale per tutti gli sport: dall'hockey su ghiaccio al basket e ad altri sport. È un modello che esiste ovunque. È vero, la formula uno ha le sue proprie regole, ma non vogliamo parlare dei monopoli.
La nostra idea era quella di far notare che questo è il modello europeo, e che il calcio ne fa parte. Il calcio deve continuare a conservare le misure necessarie per rimanere nel sistema. Il rischio che corriamo è che il calcio possa entrare in una deriva commerciale, finendo al di fuori del nostro modello europeo. Sarebbe un peccato e quindi dobbiamo creare regole, dal momento che il calcio si sta evolvendo in una situazione commerciale, con regole, tuttavia, oramai superate.
Il mondo che oggi abbiamo davanti è differente dal passato.
È necessario trovare un'armonizzazione legislativa, in modo da mantenere un equilibrio tra le due realtà.
Qual è il problema che abbiamo in Europa, e che voi in Italia conoscete bene? Se l'interesse commerciale si sovrappone a quello sportivo, la verità sportiva può essere messa in discussione. Non solo in Italia. In Finlandia sono stati accertati risultati concordati in partite di serie A. In Olanda, in Belgio e anche in Germania sono successi fatti dello stesso tipo. Si tratta di un problema che non riguarda solo il sud dell'Europa - dove gode di una visibilità maggiore - ma anche il nord, che è più progredito in questa attività scandalistica.
Quello che mi fa paura è che possa accadere al calcio ciò che è avvenuto al


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pugilato, che 30 anni fa era un grande sport. Quando l'opinione pubblica ha capito che i risultati erano truccati, si è disinteressata a questo sport, e la boxe ha perso tutta la sua credibilità. Questo è ciò che può accadere anche al calcio.
È per questo motivo che gli enti governativi, i Parlamenti, i Governi, l'Unione europea, il Parlamento europeo, la Commissione europea e gli enti sportivi devono salvaguardare i principi già ricordati e devono lavorare insieme, in modo da poterli conservare.
Mi è stato domandato se avevo esempi di situazioni poco chiare. Fornisco un numero: lo sport europeo rappresenta il 60 per cento dello sport mondiale. Il calcio costituisce l'80 per cento dello sport mondiale. Lo sport in Europa vale l'1 per cento del PIL e, nel mondo, vale il 3 per cento del PIL. Se l'Europa rappresenta più del 50 per cento di questo 3 per cento del mondo, perché lo sport in Europa vale soltanto l'1 per cento del PIL? Per tre motivi. Il primo: a causa dell'attività commerciale dei giocatori e degli agenti che non pagano tasse. Il secondo: perché il nuovo sistema delle scommesse è situato fuori dell'Europa, e quindi è esentasse. Il terzo: perché il sistema di importazione dei capitali, attraverso entità straniere, crea una situazione poco chiara, per quanto riguarda la tassazione dei profitti. È qui che si pone l'esigenza di armonizzazione.
Esiste, poi, un ulteriore problema. Non mi riferisco tanto a quello delle società anonime quotate in Borsa. In questo momento, in Germania, in Inghilterra, ed ora anche in Francia, il paese più conservatore dell'Europa, esistono fondi, gli equity funds che comprano squadre. Otto club in Inghilterra, e anche il Paris Saint-Germain, sono stati comprati da un fondo.
Si tratta di fondi internazionali, non si sa bene a chi appartengano. Non si sa quali entità stiano dietro a questi fondi, che esistono e coesistono con società di scommesse che appartengono ad altri fondi, di cui non si sa nulla. Tutto ciò coesiste.
Se noi non prendiamo misure molto chiare entro poco tempo e non arriviamo a conoscere chi c'è dietro ai fondi proprietari delle società di scommesse, né chi c'è dietro ai fondi proprietari delle squadre, potremmo magari ritrovarci con due squadre appartenenti allo stesso fondo che giocano nello stesso campionato europeo. È per questo, che dobbiamo agire. Purtroppo, in Europa, il potere politico fino ad ora ha soltanto reagito. Dobbiamo prendere subito iniziative, prima che sia troppo tardi.

PRESIDENTE. La ringrazio molto presidente Arnaut, anche per questa replica molto ricca ed esaustiva. Lei fornisce ulteriori elementi, sui quali dovremo riflettere nel prosieguo dei lavori dell'indagine conoscitiva.
A conclusione dei nostri lavori - abbiamo deliberato una proroga al 31 dicembre - la nostra Commissione redigerà un documento conclusivo. Sarà nostra cura farglielo pervenire, affinché possa costituire un ulteriore tassello, un contributo più generale a questa riforma del calcio che deve salvaguardare la specificità europea. Questo è un grande principio che credo ci accomuni. Abbiamo il dovere, come legislatori nazionali, di prendere tutte le misure necessarie.
Ringrazio ancora lei e i suoi collaboratori.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 20,35.

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