COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 10 ottobre 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO DEL MESE

La seduta comincia alle 9,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dell'amministratore delegato del gruppo UniCredit, Alessandro Profumo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e le prospettive del sistema creditizio, con particolare riferimento alle aree meridionali, l'audizione dell'amministratore delegato del gruppo UniCredit, Alessandro Profumo.
Il dottor Profumo è accompagnato dai collaboratori dottor Lamanda, consigliere Scognamiglio e altri. Ringrazio il dottor Profumo e i suoi collaboratori per la loro presenza in Commissione.
Desidero comunicare che questa Commissione ha già audito la Banca d'Italia, nella persona del direttore generale, articolando un percorso che prevede, a conclusione dell'indagine, la presenza del Governatore Draghi per tirare le somme e per relazionare, in maniera puntuale, sui risultati del lavoro svolto dalla Commissione.
Do la parola all'amministratore delegato del gruppo UniCredit, Alessandro Profumo.

ALESSANDRO PROFUMO, Amministratore delegato del gruppo UniCredit. Signor presidente, sono io che vi ringrazio a nome del nostro gruppo e dell'intero sistema bancario per questa iniziativa della Commissione, che ci consente di far conoscere meglio quello che i singoli operatori stanno facendo relativamente all'evolversi del sistema nel suo insieme.
Per favorire la comprensione, ho preparato un documento cartaceo, che scorrerò nel corso della mia esposizione. Se lo riterrete opportuno, potrete interrompermi nel corso della presentazione dei vari punti. Ovviamente, sarò più che contento di rispondere alle vostre domande e cercherò di essere abbastanza sintetico.
Abbiamo suddiviso il documento in tre parti: evoluzione del gruppo UniCredit (per farvi conoscere il gruppo, illustrandovi il nostro percorso di crescita); il sistema bancario nel contesto europeo e il sistema bancario italiano oggi nel Mezzogiorno.
Come ricorderete, Credito Italiano è stata la prima banca privatizzata nel nostro Paese, dopo sessant'anni di proprietà dell'IRI. In seguito, vi è stata una fase di riorganizzazione dell'azienda, soprattutto sul territorio italiano, nel periodo 1993-1998. Proprio nel 1998 abbiamo realizzato la fusione con la holding delle casse di risparmio UniCredit.
Vi ricordo che questa holding deteneva il possesso totalitario di tre casse di risparmio (Cassa di risparmio Verona, Vicenza e Belluno, Cassa di risparmio di Torino e Cassa di risparmio della Marca Trevigiana). In seguito, abbiamo acquisito altre casse di risparmio, segnatamente la


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Cassa di Trieste, la Cassa di Trento, la Banca dell'Umbria e la Cassa di Carpi.
Infine, nel 1999, abbiamo realizzato il primo investimento all'estero acquisendo Bank Pekao. Siamo stati particolarmente fortunati, perché abbiamo acquisito la seconda banca del primo Paese, a quei tempi, come dimensioni, dell'Unione europea.
Nel 2000 abbiamo acquisito Pioneer Investments, società di gestione del risparmio, con sede a Boston; nel 2001 abbiamo riorganizzato totalmente il gruppo, fondendo tutte le casse di risparmio e creando tre banche, focalizzate sui vari segmenti di mercato, sui quali siamo operativi: una banca per le famiglie e le piccole attività economiche, una banca per la media impresa e una banca per i privati, con rilevanti disponibilità economiche.
Nel 2005 abbiamo realizzato l'acquisizione di ECB e nel 2007 di Capitalia. Si è verificata una significativa performance finanziaria: l'utile per azione, ogni anno, mediamente è cresciuto del 31,4 per cento (dal 1994 al 2006) e il rapporto costo-ricavi, che rappresenta un indicatore fondamentale di efficienza, è sceso di 29 punti percentuali nel periodo 1994-2006.
Attualmente, siamo un gruppo - mi riferisco alla pagina 4 del documento - formato da 170.000 dipendenti, circa 40 milioni di clienti e oltre 9.000 filiali in giro per il mondo. Siamo presenti con un'attività bancaria in ventitré Paesi (operatore domestico). Abbiamo una rete internazionale che copre cinquanta Paesi, un'attività di gestione del risparmio di 290 miliardi e una presenza in cinque continenti. Inoltre, ricopriamo il ruolo di operatore regionale, anzi noi preferiamo il termine «europeo», nell'investment banking, con dimensioni piuttosto rilevanti. Abbiamo un giro di affari, in questa linea di attività, che si aggira intorno ai 3,2 miliardi di euro, come volume di ricavi.
Per quanto riguarda la struttura del nostro azionariato, circa il 24 per cento degli investitori sono famiglie retail, il 20 per cento azionisti che definiamo core italiani, fondamentalmente le vecchie fondazioni nate dalle casse di risparmio: mi riferisco, in particolare, alla fondazione di Verona, alla fondazione di Torino, Carimonte, che rappresenta l'unione tra la fondazione del Monte di Bologna, la fondazione di Modena e la fondazione della Cassa Marca Trevigiana. Altri core sono le compagnie di assicurazioni; il 17,4 per cento sono investitori istituzionali in giro per il mondo, il 14 per cento inglesi e l'11 per cento americani.
Ebbene, più del 25 per cento del nostro capitale è ripartito tra Inghilterra e Stati Uniti. La quota di investitori esteri corrisponde a circa l'80 per cento, perché il retail italiano è abbastanza limitato. Difatti, è soprattutto internazionale.
Vi illustro la distribuzione dei nostri famosi 170.000 dipendenti: il 37 per cento sono in Italia, il 15 per cento in Polonia, il 14 per cento in Germania, il 9 per cento in Turchia, il 7 per cento in Austria, il 17,1 per cento in altri Paesi. Quindi, siamo un'azienda internazionale: pensate che abbiamo quasi 16.000 dipendenti islamici, provenienti da Turchia e Bulgaria (lo preciso per darvi l'idea della necessità di integrazione culturale molto complessa). Preciso sempre che noi italiani abbiamo il grande vantaggio di saper gestire le diversità. Difatti, tra Bologna e Verona, dove erano situate due delle nostre banche, c'è più differenza che tra Milano e Londra, come modalità di gestione dell'attività lavorativa. Obiettivamente, questo rappresenta un punto di forza degli italiani rispetto ad altri Paesi.
A pagina 5 ho indicato in che modo si divide la nostra struttura dei ricavi fra linee di attività e Paesi. Le linee di attività, il retail, quindi l'attività con le famiglie e le piccole attività economiche, ricopre il 38 per cento dei nostri ricavi; corporate, che per noi è la media impresa, il 20 per cento; centro-est Europa, il 17 per cento; MIB (marketing investment banking), che rappresenta la nostra attività con il large corporate e l'investment banking, il 14 per cento; private banking asset management l'11 per cento. Il 47 per cento provengono dall'Italia, il 18 per cento dal centro-est


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Europa, il 17 per cento dalla Germania, il 10 per cento dall'Austria e l'8 per cento dagli altri Paesi.
Tutto questo ci ha portato ai vertici del sistema bancario europeo e mondiale. Prendendo in considerazione la capitalizzazione di mercato (a pagina 6) potete notare che noi, con 84 miliardi, siamo la seconda banca dell'area dell'Eurozona e la decima in giro per il mondo. Obiettivamente, credo che sia un dato non banale.
Preciso sempre che tutto questo è stato possibile grazie a buone leggi: la legge Amato è risultata ottima, avendo consentito, tramite la privatizzazione del sistema bancario e le successive aggregazioni, di avere un settore in Italia che può essere ben posizionato, certamente a livello europeo e mondiale. So che l'attività bancaria non è di moda e non riceve un alto grado di apprezzamento, né da parte vostra né da parte del pubblico, ma oggettivamente il sistema bancario rappresenta un'industria italiana ben posizionata in Europa.
Abbiamo il settore finanziario, con Intesa, Generali e noi; il settore dell'energia con ENI ed ENEL, e FIAT e Finmeccanica come grandissime imprese. Io sono innamorato dell'attività bancaria, ma se si continuerà a cercare di penalizzarla, probabilmente perderà la sua importanza in Europa, e non credo che sarebbe un successo per tutti noi.
A pagina 7 viene illustrata la nostra presenza europea (anche se vi sono alcuni Paesi che non appartengono all'Europa). Potete notare una fortissima presenza nella vecchia Europa, in zone estremamente solide e con rilevanti disponibilità economiche (Germania, Austria e Italia); in Germania siamo la terza banca del Paese, in Austria siamo la prima, con circa il 19 per cento del mercato, mentre in Italia siamo la seconda, con il 16 per cento del mercato. Nella nuova Europa, vi sono quattro Paesi in cui siamo leader, ossia siamo la prima banca. A tal proposito, vi confesso che provo sempre un po' di imbarazzo quando si parla di difesa dell'italianità delle banche: ho un po' di problemi ad andare in Austria, piuttosto che in Polonia, in Croazia, in Bosnia Erzegovina, in Bulgaria ed essere la prima banca del Paese, essendo un azionista straniero. Ebbene, lì occupiamo il primo posto.
Inoltre, siamo tra le prime cinque banche del Paese in Slovacchia, Turchia, Repubblica Ceca, Romania, Ucraina, Kazakistan e Slovenia, e tra le prime dieci in Serbia, Russia, Ungheria e nei Paesi Baltici. Come capite, si tratta di una presenza rilevante.
Tra i tassi di crescita del prodotto interno lordo di questi Paesi, atteso nel periodo 2007-2009, il più basso è del 3,5 per cento in Ungheria, mentre il più alto è del 9 per cento in Kazakistan: sono tassi di crescita rilevanti che, ovviamente, fungono da motore per la crescita del nostro gruppo nel suo insieme.
Si dice spesso (mi riferisco al contenuto di pagina 8) che le banche italiane non sono presenti all'estero, ma quando guardiamo i numeri notiamo che nell'Europa centro-orientale UniCredit è assolutamente il leader. Difatti, come totale attivo abbiamo 106 miliardi di euro, il secondo ne ha 62; come ricavi abbiamo 5,2 miliardi di euro, il secondo ne ha 2,9 miliardi; come utile netto di competenza del gruppo abbiamo circa 1,7 miliardi di euro, 857 milioni il secondo; abbiamo 3.151 sportelli, mentre il secondo 2.800. Come potete notare, abbiamo una presenza molto forte a livello internazionale.
Guardando il totale utile netto di gruppo, si nota che più del 50 per cento è generato all'estero: questo lo dobbiamo tenere presente per evitare visioni un po' distorte.
Non lo dico perché si sta parlando di UniCredit, ma perché credo che l'aver assunto, da parte di un gruppo italiano, una posizione simile, dovrebbe rappresentare un motivo di fierezza per tutti.
Affrontiamo il discorso relativo al sistema bancario italiano nel contesto europeo. Intanto, vi espongo un dato estremamente importante, perché anche quando parliamo della struttura di costi dobbiamo tener presente questi elementi. Per quanto riguarda il numero di sportelli


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bancari ogni mille abitanti, solo la Spagna ne ha più di noi, con tipologie di servizi diversi: ad esempio, in linea di massima, nelle banche iberiche non si possono fare transazioni allo sportello al di sotto di 500 euro, perché una transazione per contanti ha un costo molto rilevante e non ha nessuna remunerazione.
Quando un cliente viene a prelevare o a versare dei contanti - come sapete, in quel caso, non sono previste commissioni - quell'operazione ha un costo tra i 5 e gli 8 euro, che rappresenta il costo del tempo-uomo per effettuare la transazione. In Italia il numero di sportelli è quasi raddoppiato nel periodo 1990-2005, mentre in Inghilterra sono previsti, ogni mille abitanti, meno della metà rispetto ai nostri. Ovviamente, si tratta di un servizio di prossimità che ha un costo rilevante.
Il secondo dato che voglio esporvi credo che sia motivo di chiarezza, soprattutto per voi, perché è nato in relazione alle leggi emanate in Italia.
L'Italia ha sei banche che hanno più di 8 miliardi di euro di capitalizzazione: è il Paese che ha più banche grandi nell'area dell'Eurozona, grazie alla legge Amato e al processo di privatizzazione realizzato nel nostro Paese.
A pagina 12 viene illustrato un altro dato molto importante, vista anche la polemica sollevata sui costi bancari rispetto ai bilanci familiari. Guardando i ricavi generati nel segmento retail per nucleo familiare - che, tra l'altro, sostiene la nostra struttura di costi - è possibile notare che solo la Germania ha un valore più basso dell'Italia. Questi sono dati pubblici, non di parte: la fonte è la Commissione europea, direzione generale competition interim report II. Per ogni famiglia, in Germania, i ricavi del sistema bancario sono 1.100 euro, mentre sono 1.300 in Italia, 1.800 in Spagna, 1.900 in Francia, 2.000 in Inghilterra.
Prendendo visione dell'incidenza dei ricavi nel segmento retail sul prodotto interno lordo - la fonte è sempre la stessa - noteremo che in Germania corrisponde all'1,7 per cento, in Italia al 2 per cento, in Francia al 2,9 per cento, in Spagna al 3,3 per cento, in Inghilterra al 4,2 per cento. Tutto questo, fondamentalmente, è dovuto al fatto che da noi sono previsti volumi, per abitante, più bassi rispetto alla media europea, sia nel comparto dei mutui (4.600 euro verso 11.700), sia nel credito al consumo (1.300 euro verso 2.300).
Credo che sia importante avere ben chiari questi numeri.
A nostro parere, anche la pagina successiva è molto importante. Difatti, guardando le transazioni per tipologia di mezzo di pagamento, vi renderete conto che in Italia il 90 per cento sono realizzate per contanti, il 10 per cento con altri strumenti di pagamento, in Germania il 78 per cento, in Olanda il 67 per cento, in Inghilterra il 65 per cento, in Francia il 59 per cento. Come ho già precisato, la transazione per contanti, in termini di costo per il sistema bancario, è assolutamente molto pesante.
Un altro tema che, secondo noi, desta un certo grado di preoccupazione riguarda le rapine. Nel 2005 in Italia ci sono state più rapine che in tutto il resto d'Europa. Quella che vedete è la somma degli altri Paesi. In effetti, non si parla esattamente dell'Europa, ma dei Paesi membri della Federazione bancaria europea. Noi raccogliamo i dati attraverso la Federazione bancaria europea, quindi si tratta dei Paesi dell'Unione europea, escludendo Bulgaria e Romania, ma comprendendo Norvegia, Svizzera e Islanda. Tuttavia, il numero resta abbastanza impressionante, se pensate che la sommatoria di Spagna, Germania, Inghilterra, Francia, e via elencando, raggiunge il totale di 2.700. Purtroppo questa è un'altra fonte di costo. Difatti, i costi che noi dobbiamo sostenere per la sicurezza, predisponendo delle guardie al di fuori degli sportelli, si aggirano intorno a decine di milioni di euro.
Il costo medio per anno per conto corrente in Italia è più alto che negli altri Paesi. Questo dato corrisponde alla realtà (ed è riportato a pagina 14). A nostro giudizio, ci sono motivazioni legate ai costi di cui abbiamo poco fa preso visione: prossimità, transazioni per contanti, rapine, e via elencando. Tuttavia, resta il


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dato di fatto che sui conti correnti siamo più cari rispetto agli altri Paesi. Prendendo visione degli altri servizi (riportati a pagina 15) potrete notare che le commissioni medie di pagamento con carte di credito sono leggermente sotto la media (1,70) - notate le tipologie di costi che hanno gli altri Paesi - così come le commissioni medie per pagamento con carta di debito si aggirano intorno ai 17 centesimi su una transazione di 25 euro contro, ad esempio, i 53 centesimi della Spagna.
Come potete vedere, siamo allineati su queste tipologie di servizi e risultiamo essere il Paese meno caro, prendendo in considerazione le transazioni e le commissioni unitarie di compravendita titoli.
A pagina 16 viene precisato che abbiamo sempre azioni e obbligazioni allo sportello e via Internet. Notate quanto è cara l'Inghilterra: 1,9-1,5 per azioni e obbligazioni, mentre noi siamo a 0,7-0,3; su Internet noi siamo a 0,3-0,2, mentre l'UK a 1-0,8.
Nell'ambito dei costi bancari, il conto corrente ha un valore più alto, mentre tutti gli altri servizi si trovano nella media, o addirittura al di sotto. Questo punto va tenuto presente, per non rischiare di guardare esclusivamente una sola voce di costo.
Come abbiamo visto, da noi i ricavi totali per famiglia sono tra i più bassi, e questo credo che sia estremamente importante.
A questo punto parlerei del sistema bancario italiano oggi, in riferimento al Mezzogiorno.
Il sistema bancario, nel suo insieme, ha sostenuto l'economia in modo estremamente rilevante. Per quanto riguarda il livello di crescita dal 1998 al 2007 degli impieghi totali, soprattutto con impieghi a medio e lungo termine - quindi, che sostengono maggiormente i processi di investimento delle imprese - potete notare che c'è stata una crescita dell'8 per cento annuo, quindi di molto superiore al tasso di crescita del prodotto interno lordo nominale, dell'11,1 per cento del tasso di crescita degli impieghi a medio e lungo termine e del 4,6 per cento degli impieghi a breve termine. Questa situazione ci porta ad essere più allineati al sistema bancario europeo, in termini di struttura, anche delle passività, delle nostre imprese, accompagnandole da una diminuzione del livello di sofferenza. Portando a 100 gli impieghi totali e le sofferenze del 1998, noteremo che queste ultime sono scese poco sopra a 60, mentre gli impieghi sono andati al di sopra di 220.
Crediamo, quindi, che il sistema bancario abbia mostrato una buona capacità nel selezionare la rischiosità delle imprese alle quali si prestava.
A pagina 20 è riportato un grafico, a mio parere, fondamentale. Nel 1990 avevamo come margine di interesse, in percentuale, dei fondi intermediati - sto parlando del sistema bancario nel suo insieme - quasi il 3,5 per cento. Nel 2006 abbiamo raggiunto l'1,4 per cento. Stiamo parlando di una industria che ha più che dimezzato i suoi margini di interesse, ossia il margine industriale.
Quando diciamo che i processi di aggregazione non hanno portato benefici alla clientela, esprimiamo tecnicamente un pensiero errato: leggendo i numeri, infatti, è possibile comprendere che abbiamo più che dimezzato i margini unitari, a livello di sistema. In altre parole, i numeri contraddicono quella affermazione.
Stiamo parlando di un'industria che nel 1990 vendeva dei beni con 100 euro di margine industriale, e che oggi vende lo stesso bene con un margine industriale di 40 euro. Se non chiariamo questo punto, rischiamo di sollevare affermazioni non basate su elementi fattuali.
Questo fenomeno è stato importante - come è segnalato a pagina 21 - anche per le imprese del Mezzogiorno. Nel 1998 il differenziale dei tassi di impiego a medio e lungo termine, tra Mezzogiorno e nord, era di 120 punti base, mentre nel 2007 di 30 punti base. In sostanza, il differenziale si è diviso per quattro. Sul breve termine, siamo passati da 230 punti base a 70 punti base. Ponderando per il fattore dimensionale della clientela - al sud le imprese sono mediamente più piccole - la differente composizione per settori, noteremo


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che, sostanzialmente, non sono riscontrabili differenze. Difatti, vi sto riportando una media totale. Al nord vi sono le grandi imprese.
Da una ricerca - pagina 22 - fatta per conto di Capitalia da Data Bank emerge che i rapporti con il sistema bancario, apparentemente, non rappresentano l'ostacolo principale all'attività imprenditoriale.
Per quanto riguarda, infatti, la percezione degli ostacoli all'attività di impresa noteremo il funzionamento della giustizia civile, l'insufficienza di infrastrutture, le difficoltà di smaltimento dei rifiuti, i problemi logistici, l'insufficienza delle reti di telecomunicazioni, il reperimento di personale qualificato e l'insolvenza recupero crediti. Il rapporto con il sistema bancario, paradossalmente, è avvertito come un problema più al centro-nord che al centro-sud, come impedimento allo svolgimento dell'attività imprenditoriale. Questa indagine è stata svolta, per Capitalia, da Data Bank, quindi da un'entità esterna.
Proseguo il mio discorso abbastanza velocemente perché lei, signor presidente, mi ha chiesto di lasciare spazio alle domande. Su eventuali dubbi, ovviamente, torneremo in seguito.
Al centro-sud ci sono delle difficoltà di ordine ambientale. Difatti, prendendo in considerazione le rapine denunciate ogni centomila abitanti, nel periodo 1984-2006, noteremo che il trend è in salita sia al centro-sud che al centro-nord. Tuttavia, oggettivamente, è riscontrabile una differenza abbastanza significativa. Considerando la durata media dei procedimenti civili in Corte d'appello, per area geografica, purtroppo ci renderemo conto che al nord trascorrono 660 giorni e a sud 875. Obiettivamente, questo aspetto appesantisce la nostra operatività.
Pensate che in Germania, quando un mutuo non viene pagato, non si supera mai l'arco di tempo di un anno per poter rientrare in possesso del collaterale, mentre in Italia la media si aggira intorno ai 7 anni. Capite bene che, purtroppo, questa differenza rappresenta un costo per le banche.
Peraltro, come gruppo - mi potete seguire a pagina 24 - crediamo nel centro-sud, tant'è che abbiamo portato avanti l'operazione di Capitalia, che comporta una nostra presenza molto rilevante proprio in questa zona d'Italia. Come potete vedere, oggi il Mezzogiorno rappresenta il 21 per cento degli sportelli complessivi di gruppo: dopo l'operazione abbiamo più di 5.000 sportelli in Italia, quindi una quota molto rilevante.
Il processo di integrazione Capitalia, ovviamente, prevedrà un intenso progetto di tipo informatico. Difatti, noi ci stiamo avviando verso la unificazione delle piattaforme informatiche, proprio per ottimizzare la qualità del servizio ai nostri clienti e per raggiungere - ci troviamo a pagina 26 - un modello che li porrà al centro della organizzazione, in modo estremamente forte.
Avremo una banca focalizzata sulla media impresa, ossia la UniCredit Corporate Banking, dove migreranno circa quarantamila aziende medio-grandi dalle reti del gruppo Capitalia; una banca focalizzata sulle famiglie con rilevanti disponibilità economiche (UniCredit Private Banking), dove migreranno circa ventimila clienti, e tre banche - perché Bipop Carire verrà assorbita in UniCredit Banca - focalizzate sulle famiglie e sulle piccole attività economiche: UniCredit Banca, UniCredit Banca di Roma e UniCredit Banco di Sicilia. La UniCredit banca coprirà la zona dall'Emilia Romagna in su, la Banca di Roma quella dall'Umbria in giù - quindi Marche, Lazio e tutte le altre regioni del centro-sud, con il marchio UniCredit Banca di Roma - e la UniCredit Banco di Sicilia, appunto, tale isola.
Nell'ambito delle imprese il centro-sud avrà un ruolo predominante per noi. Per voi, abbiamo diviso l'informazione per grandi, medie e piccole aziende.
Per quanto riguarda la nostra quota di mercato sui cosiddetti «clienti censiti» comuni - voi sapete che abbiamo a disposizione la centrale dei rischi, parlando di clienti che hanno operatività con noi e altre banche - nelle grandi aziende, al nord raggiungiamo il 15,2 per cento di


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penetrazione, mentre al sud il 18,5 per cento; nelle medie aziende, al nord il 20,9 per cento, al sud il 23,7 per cento; nelle piccole aziende, al nord il 24,4 per cento, al sud il 32,7 per cento. Il centro, come vedete, è sottorappresentato nelle grandi aziende e sovrarappresentato nelle medie e nelle piccole aziende, fondamentalmente per l'importanza di Capitalia nel Lazio.
Ho accennato, poco fa, al discorso dell'unificazione dei sistemi informativi. Si tratta di un argomento estremamente importante, in quanto le famiglie potranno disporre immediatamente dei migliori prodotti bancari dei due gruppi, da SuperQuinto, CartaEtica, Piattaforma genius, Fondi Pioneer, a migliori servizi come le apparecchiature di bancomat intelligenti e le operazioni di deposito e operatività per ventiquattro ore, sette giorni alla settimana. Abbiamo già reso gratuiti i prelievi da tutti i bancomat del gruppo e anche da quelli situati nelle città in cui il gruppo non è presente, mediante prelievi richiesti ad altre banche. In altre parole, recandosi in un comune nel quale noi non siamo presenti, prelevando allo sportello di un nostro concorrente, le spese addebitateci da quest'ultimo le manteniamo a nostro carico, rendendo il prelievo gratuito per i nostri clienti. Lo stesso discorso vale per i prelievi effettuati all'estero dai nostri clienti sui nostri sportelli. Tenete presente che abbiamo 4.500 filiali all'estero, di conseguenza riteniamo questo aspetto estremamente importante.
Il fatto che UniCredit banca, prima di Capitalia, prestasse una forte attenzione al centro-sud, è confermato dai numeri che vi vado a segnalare nelle prossime pagine. Potete notare che noi, dalla fine del 2004 al giugno 2007, comprendendo i grandi gruppi, siamo passati dall'11,5 al 12 per cento di penetrazione, mentre escludendoli siamo maggiormente cresciuti dall'11,6 al 13,2 per cento. Difatti, come gruppo bancario, abbiamo sempre prestato grandissima attenzione alla media e piccola impresa più che alla grande.
Anche nelle famiglie produttrici e nello small business (pagina 30) UniCredit banca, nel centro-sud, è passata dal 2,74 per cento di penetrazione al 4,22 per cento, mentre sugli impieghi a medio termine dall'1,18 all'1,70 per cento: siamo, dunque, cresciuti in modo consistente nel centro-sud con le famiglie produttrici.
A pagina 31 è riportata un'altra affermazione preconcetta secondo la quale le banche del nord si recano al sud per raccogliere e, in seguito, impiegano al nord. Potete notare come questo numero, questa visione comune, sia per noi quantomeno falso. Difatti, al sud raccogliamo 100 euro e ne impieghiamo 189: quindi 89 euro li prendiamo da qualche altra parte e li impieghiamo al sud. Vi sto mostrando dei numeri di bilancio. A me piace parlare verificando i numeri e non basandomi su posizioni preconcette. Il sistema ha un rapporto del 143 per cento, quindi dà l'idea di come UniCredit fosse già particolarmente attenta alla situazione del centro-sud.
Crediamo, quindi, di aver contribuito alla crescita di quest'area del Paese, anche creando dei legami internazionali. Difatti, con questa rete all'estero aiutiamo la penetrazione internazionale delle nostre imprese. Come potete vedere, il centro-sud, in termini di crescita delle esportazioni per area geografica, ricorrenti nel periodo 2003-2006, è stata l'area del Paese che ha «performato» meglio. Inoltre, c'è stata una evoluzione del PIL pro-capite nel Mezzogiorno che, negli ultimi, anni ha sempre «performato» meglio del centro-nord: in effetti, anche negli anni non positivi, ha avuto un andamento negativo inferiore rispetto a quanto non abbia avuto il centro-nord.
Ho concluso la mia breve presentazione. Spero, quantomeno, di aver introdotto gli argomenti che lei riteneva essere alla base della vostra indagine conoscitiva.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FELICE BELISARIO. Signor presidente, innanzitutto rivolgo un saluto ai colleghi, essendo oggi il mio primo giorno di scuola in questa Commissione.


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Inoltre, ringrazio il dottor Profumo per la puntualità e la chiarezza dell'esposizione, supportata in modo sintetico dai quadri riepilogativi che ci ha fornito. Cercherò di scendere un po' più sulla terra. Noi ci troviamo di fronte a un gruppo bancario di straordinaria presenza e importanza, che deve misurarsi con la globalizzazione e con i problemi che, a tutto tondo, l'economia oggi pone sul tavolo internazionale. Tale gruppo deve, altresì, fornire delle risposte alle criticità presenti nel Mezzogiorno d'Italia. Cercherò di affrontarle.
Introduco un primo dato. La domanda di prestito al consumo, nel Mezzogiorno d'Italia, è notevolmente aumentata, con un proliferare di finanziarie di tutti i tipi che, spesso, rappresentano l'anticamera del fenomeno usura e che, alcune volte, comprendono anche - parlo di dati ufficiali - problemi di racket.
Dottor Profumo, il sistema bancario italiano come può rispondere a questo reale problema, nel momento in cui - come giustamente lei ci ha fatto osservare - sulle grandi operazioni c'è maggior margine di profitto, mentre sulle operazioni diffuse è più difficile la gestione e, alcune volte, anche il recupero dell'insolvenza? Questa è la prima domanda.
La seconda domanda è la seguente: in una zona che ha difficoltà di espansione del tessuto produttivo, e dove gli investimenti esteri diventano sempre più difficili, specialmente nella parte più a sud del Mezzogiorno, quali forme di incentivazione il suo gruppo pensa di poter calare in queste realtà, considerando che i tassi di interesse - lei lo ha confermato, anche se il gap si è ridotto - sono comunque più alti rispetto a quelli delle altre zone del Paese?

FRANCO CECCUZZI. Signor presidente, ringrazio il dottor Profumo per l'illustrazione, ma soprattutto per la storia di successo in essa contenuta.
Dai dati che lei, dottor Profumo, ci ha presentato emerge che il 53 per cento del ricavo del vostro gruppo proviene dall'estero. Si tratta di un dato molto rilevante. Lei non ritiene che, anche per gli altri nostri gruppi bancari, questo rappresenti un terreno sul quale lavorare? Se noi considerassimo un processo produttivo più simile agli altri, sarebbe certamente un processo replicabile. La concorrenza nel nostro Paese è diventata sempre più forte, tanto che abbiamo una presenza di banche straniere proporzionalmente più alta rispetto alla nostra presenza all'estero.
Pertanto, non c'è soltanto un problema di crescita per gli altri gruppi italiani, ma probabilmente anche un problema di allargamento del perimetro del mercato. Difatti, altri gruppi, più di UniCredit, hanno concentrato il rischio di impresa in un solo Paese - il nostro - dove ci sono forti concentrazioni di competitori.
Lei ha recentemente annunciato che aprirete 800 sportelli nell'Europa centrale e dell'est.

ALESSANDRO PROFUMO, Amministratore delegato del gruppo UniCredit. Quasi mille!

FRANCO CECCUZZI. Lei ha escluso il nord Africa e l'Europa mediterranea. Lo ha fatto per il vostro gruppo - per vostri motivi di logica industriale - oppure ha escluso queste zone, dal punto di vista dell'appetibilità di questi mercati, della concorrenza, della presenza di forti banche spagnole, anche per gli altri gruppi italiani?
La seconda domanda riguarda la questione banca universale - conflitto di interessi. Mi sembra che il problema emerso non sia risolvibile: se lo risolvessimo, priveremmo le nostre banche di strumenti importanti dal punto di vista della competizione con gli altri Paesi.
Tuttavia, un problema emerge nel rapporto con la clientela. Secondo lei l'intermediario banca è sempre in grado di offrire una consulenza globale, disinteressata ed efficace per il cliente, oppure è almeno in parte, se non del tutto, dominato dal fatto che, essendo produttore di prodotti - mi scusi l'espressione - ha interesse a infilare nella sua rete i prodotti che esso stesso produce?


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GIAMPAOLO FOGLIARDI. Signor presidente, sulla falsariga di quanto ha detto il collega Ceccuzzi, anch'io ringrazio il dottor Profumo per l'esposizione. La mia è una riflessione in senso lato, forse perché ho seguito dalla mia città, Verona, il passaggio dalla Cassa di risparmio all'UniCredit, assistendo a tutte le vicende, oggi anche con la Fondazione, con un ruolo importante, con la percezione di un certo distacco da quel contatto continuo sul territorio, da quel collegamento diretto con il cittadino, con l'utente e con l'imprenditore. Ritengo giustissima anche la distinzione tra corporate, retail, private, e via elencando.
In base ai quadri che sono stati illustrati, riflettevo sul dato emerso riguardante la difficoltà dell'Azienda Italia rispetto al movimento del credito finanziario, paragonato con le altre città. La domanda che le pongo, dottor Profumo, è la seguente: sia pure nella globalizzazione, nel mondo che si apre, nella caduta delle barriere e nell'evoluzione enorme che c'è stata in questi ultimi anni, non è che la banca sta pensando, in fondo, nonostante la validità del sistema Italia, che la prospettiva futura per la stessa sia da ravvisare più nell'Europa e nel mondo, andando, in un certo qual modo, non dico a tralasciare o a trascurare, ma quantomeno a sottovalutare un rapporto di tipo diverso?
La mia preoccupazione, il mio timore, anche in prospettiva dell'evoluzione che si è verificata, è che si possa giungere indirettamente alla proiezione di una banca, sempre più grande, attenta più al mondo e all'Europa che al Paese.

MARIA LEDDI MAIOLA. Signor presidente, ringrazio il dottor Profumo per la relazione che credo contenga alcuni dati interessanti e, comunque, non noti (quantomeno, io non conoscevo alcuni aspetti).
Dottor Profumo, come lei giustamente ci ricorda, i numeri parlano, ma bisogna tenere conto di un aspetto. Mi riferisco, in particolare, a una questione sulla quale c'è molta sensibilità, ossia quella relativa al margine di interesse. È stato, giustamente, richiamato il dato crudo e oggettivamente incontestabile, riportato a pagina 20, circa il passaggio del margine di interesse dal 3,5 per cento del 1990 all'1,4 per cento del 2006. Credo che sia un punto indiscutibile; anche voi fate i conti con la differenza tra dati oggettivi e percezione.
È vero che il dato oggettivo è ineccepibile, ma anche la percezione è un aspetto di cui bisogna tenere conto. Noi facciamo regolarmente i conti tra il dato oggettivo e ciò che viene percepito in merito a molte altre questioni.
Le pongo una domanda su un argomento, per me, di particolare interesse, nell'ambito dell'attività che svolgo in Parlamento. La vostra consolidata presenza all'estero, con particolare riferimento all'Europa, sicuramente vi ha messo costantemente in rapporto con norme, regolamenti e strutture burocratiche degli altri Stati. L'aspetto che mi interessa conoscere, come dato oggettivo, è se esiste una sostanziale e reale differenza rispetto all'organizzazione e al rapporto che si determina tra lo Stato e l'impresa che si insedia. Quali sono state le vostre migliori esperienze? Quali sono gli Stati nei quali avete ottenuto procedure velocizzate e che possono essere riconosciuti, ad esempio, per la loro snellezza procedurale ed efficacia di intervento?

FRANCESCO TOLOTTI. Signor presidente, mi sembra che la relazione del dottor Profumo sia stata molto chiara e confermi il ruolo fondamentale che, all'interno di un processo molto intenso di ristrutturazione del nostro sistema bancario, ha svolto una realtà come UniCredit.
Vorrei porre due domande al dottor Profumo. La prima prende spunto dal contenuto di una delle pagine del documento (precisamente, di pagina 14). Ho seguito con attenzione le motivazioni che portano il sistema bancario italiano a presentare gestioni di conti correnti in larga misura fuori media, per eccesso, rispetto al resto d'Europa. Le motivazioni sono state addotte e hanno fondamento. Tuttavia, in che modo si può intervenire per poter avvicinare questi valori a quelli


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della media? Anche le famiglie e i clienti retail possono percepire il grande sforzo messo in campo, che ha comportato risultati significativi, confermati dal resto del report.
La seconda domanda riguarda una questione che non è stata affrontata - in quanto esula dallo specifico oggetto della relazione - ma che, a mio avviso, è molto importante. Il nostro Paese si caratterizza per una grande questione ancora aperta, e che deve trovare soluzione, ovvero quella che potremmo definire «dei risparmiatori traditi».
Mi sembra che UniCredit si sia segnalata, all'interno del sistema bancario, come il player che ha manifestato, forse sin da subito, una disponibilità vera ad assumersi responsabilità, a dialogare, a cercare composizioni e a non irrigidirsi in atteggiamenti di negazione. Tuttavia, vi è ancora molto da fare, anche perché abbiamo elaborato una legge sulla tutela del risparmio il cui core business si è occupato di cose importanti, ma senza proporre - a mio parere - valide soluzioni, sul versante della tutela del risparmio.
In relazione alla discussione, aperta anche in Parlamento, circa l'adozione di strumenti di legge che aiutino la posizione dei risparmiatori - mi riferisco, ad esempio, a class action - l'esperienza di UniCredit, nella gestione di questa crisi conseguente al risparmio tradito, quali suggerimenti può offrire?
Esiste un ruolo utile che può essere assunto dalle associazioni dei consumatori? È preferibile una via di tipo concertativo che metta in conto una assunzione di responsabilità, per quanto compete, da parte del sistema bancario complessivamente, oppure sono altre le strade che devono essere perseguite?
Mi esprimo in questi termini perché, non più tardi di ieri, il presidente ha ricevuto una delegazione dei famosi risparmiatori coinvolti nei bond argentini. Il sistema bancario, insieme ad altri attori, ha le sue responsabilità. Tuttavia, ritengo che da un sistema bancario, che ha saputo rinnovarsi e ristrutturarsi nei termini che oggi sono stati qui presentati, possano provenire, oltre ad assunzioni di responsabilità, anche suggerimenti importanti.

ALBERTO FLUVI. Signor presidente, volevo porre tre velocissime domande. Riallacciandomi all'intervento dell'onorevole Ceccuzzi, vorrei fare una riflessione, e chiedere l'opinione del dottor Profumo, circa l'evoluzione del sistema bancario nel nostro Paese.
L'onorevole Ceccuzzi ha precisato che, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una penetrazione nel nostro sistema bancario di molte banche estere, in modo particolare europee. Mi sembra che lo stesso Governatore della Banca d'Italia, nelle sue considerazioni finali del maggio scorso, abbia sottolineato che all'incremento teorico di una concorrenza, nel sistema bancario nel nostro Paese, non corrisponde una concorrenza reale sui prodotti e sui costi. Insomma, l'ingresso in Italia di importanti banche europee (due, in maniera particolare) non ha comportato un incremento di concorrenza nel sistema bancario.
La seconda domanda riguarda la questione dei mutui subprime. Dottor Profumo, lei ha svolto un intervento molto interessante - che io condivido - se non erro una decina di giorni fa, riportato in un articolo de Il Sole24ore, circa le cause che hanno comportato la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, in seguito propagatasi in tutto il mondo. Ebbene, se non ricordo male, lei ha definito questa crisi grave, ma allo stesso tempo salutare.
Condivido questa sua affermazione, in linea teorica e in linea di principio, sebbene, subito dopo, sono portato a mettermi nei panni di chi ha subìto tale crisi: salutare sì, ma le conseguenze non ricadranno su chi ha consentito l'esplosione di questa bolla speculativa, bensì sui risparmiatori.
La mia è una riflessione a voce alta, ma non ho soluzioni e proposte. Vorrei ascoltare una sua opinione in merito a questo punto. Quali ritiene siano gli strumenti per evitare in futuro il ripetersi di crisi di questa natura? Leggendo un'intervista del CEO di Goldman Sachs, nei giorni scorsi,


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mi sembrava di aver capito che si rifiutavano soluzioni regolamentatorie eccessive, successive alle crisi sistemiche di questa natura. Penso, ad esempio, a quanto è accaduto, qualche anno fa, negli Stati Uniti, con la Sarbanes Oxley. Sostanzialmente sosteneva, se ricordo bene, che l'eccesso di regolamentazione produce poi un eccesso dei costi nel sistema. Come è possibile evitare il ripetersi di crisi di questa natura?
La mia impressione, da deputato non esperto della materia, è che i tentativi di risposta che le autorità monetarie, in questi mesi, hanno cercato di offrire al mercato - ossia l'iniezione di liquidità nel mercato - rischiano di ripercorrere la stessa strada che ha portato alla creazione della bolla speculativa. L'eccessiva liquidità nel mercato ha prodotto, sostanzialmente, questa bolla speculativa scoppiata poco prima dell'estate.
In questo senso, un'affermazione interessante del Governatore della Banca d'Italia, Draghi, nell'ultima riunione del CICR - mi sembra di metà settembre - credo che offra uno spunto di riflessione, che mi sembra sia contenuto, se non ho compreso male, all'interno dei documenti che lei ci ha consegnato. Mi riferisco al fatto che il core business delle banche si è progressivamente spostato dall'attività principale della raccolta e del prestito del denaro, all'attività delle commissioni. Questo aspetto potrebbe snaturare la questione, o comunque comportare altri tipi di ragionamenti.
Espongo la mia terza, e ultima, considerazione. Dal prossimo gennaio entrerà in vigore l'accordo di Basilea 2. È vero che nel corso dell'anno, probabilmente, alcune esperienze voi le avrete vissute, ma vorrei conoscere l'aspetto relativo all'impatto. Dal momento che la vostra banca - come lei ha rivendicato, secondo me, giustamente - è concentrata in maniera particolare sulle piccolissime e medie imprese, che tra l'altro rappresentano il tessuto economico del nostro Paese, vorrei sapere, poiché dai giornali si apprende la notizia di una possibile modifica dell'accordo di Basilea 2, prima dell'entrata in vigore nel prossimo 1o gennaio, quali sono le vostre impressioni nate da questi primi mesi di esperienza.

ANTONIO PEPE. Signor presidente, anch'io voglio ringraziare il dottor Profumo, complimentandomi peraltro con il gruppo che egli presiede per i successi che è riuscito a conquistare a livello mondiale.
Prendo atto, leggendo la relazione, che l'UniCredit ha erogato finanziamenti nel Mezzogiorno in misura quasi doppia rispetto ai volumi raccolti. Mi complimento, quindi, con il dottor Profumo per i risultati che, magari, altri gruppi non hanno raggiunto. Tuttavia, esiste ancora un problema. Il costo del denaro, nel sud, è sicuramente ancora più alto rispetto al nord, anche se questo differenziale è andato negli anni diminuendo.
Spesso questo maggior costo del denaro nel sud è stato addebitato al fatto che vi sono, in questa zona, più difficoltà nel recuperare crediti, a causa delle lunghe procedure esecutive.
Con la modifica del codice di procedura civile, anche in termini di esecuzioni immobiliari, anche le procedure si sono snellite. Di conseguenza, questa motivazione non ha più fondamento. Del resto si tratta di un cane che si morde la coda: le imprese del sud - parlo soprattutto di queste ultime, ma il discorso vale anche per le famiglie - pagando di più il denaro, a livello concorrenziale, rispetto alle imprese del nord, si trovano in una posizione sicuramente più difficile, riscontrando maggiori difficoltà nel controbattere e, quindi, nel crescere.
Vorrei chiedere al dottor Profumo se il gruppo di UniCredit ha in programma di abbattere questo differenziale di costo di denaro tra nord e sud, proprio per mettere le imprese del sud nelle condizioni di non essere in posizione inferiore, rispetto a quelle del nord. In caso contrario, queste imprese non potranno mai essere concorrenti con le imprese del nord o con quelle d'Europa (dal momento che ci troviamo in un mercato globalizzato).
Rivolgo al dottor Profumo una seconda, e velocissima, domanda. La Commissione


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finanze, qualche tempo fa, ha approvato una risoluzione con la quale impegnava il Governo a intervenire sul sistema bancario, per ridurre il costo delle operazioni. Non mi riferisco soltanto al costo del denaro, ma anche a quello delle singole operazioni: le commissioni che si pagano quando si preleva dal conto corrente, o quando si versa sullo stesso, i costi che si sostengono per ottenere una cancellazione di ipoteca, gli interessi che vengono pagati dal cliente quando versa assegni sul conto corrente (che decorrono anche dopo sette o otto giorni).
Ebbene, vorrei sapere dal dottor Profumo se il costo del sistema bancario italiano - per le operazioni di conto corrente, ma anche per quelle connesse - è in linea con quelli che sono i costi del sistema bancario europeo, o se il sistema italiano ha costi maggiori rispetto al resto d'Europa.

MARIA IDA GERMONTANI. Vorrei fare solo due brevi riflessioni.
A partire dagli anni novanta fino ad oggi, si sono verificati alcuni cambiamenti, sia nella legislazione nazionale che in quella comunitaria, che, attraverso il processo delle privatizzazioni, hanno comportato una rivoluzione nel sistema bancario. Questo ha portato ad una maggiore apertura concorrenziale derivante dalla legislazione comunitaria, all'integrazione monetaria realizzata con la moneta unica, alla globalizzazione, che ha coinvolto i mercati finanziari mondiali. La Commissione è interessata a capire proprio come, alla luce di questi cambiamenti, il settore bancario abbia razionalizzato i propri assetti organizzativi, e questo risulta chiaramente dalla relazione che il professor Profumo ci ha esposto, della quale lo ringrazio molto.
Tuttavia, l'obiettivo concreto della nostra indagine è identificare quei correttivi alla normativa che possono favorire l'instaurarsi di una più stretta collaborazione tra il mondo produttivo in generale - e meridionale in particolare, visto che a questo è diretta la nostra indagine - e il sistema bancario, individuando gli strumenti finanziari più adeguati a sostenere la crescita dimensionale e il tasso di innovazione delle aziende, e a facilitare il ricorso ai mercati dei capitali di rischio.
Avendo io stessa un'esperienza nel settore parabancario, ritengo che l'individuazione degli strumenti finanziari - che, dalla fine degli anni settanta a oggi hanno avuto una grande evoluzione, importati dal mondo anglosassone e adattati alla realtà italiana - sia un campo molto importante.
Detto questo, credo che dovremmo valutare le conseguenze determinate da questo processo di aggregazione sul sistema bancario in generale (e nel Mezzogiorno in particolare), sia rispetto alle condizioni di accesso al credito degli operatori e degli imprenditori, soprattutto nel meridione - quindi, relativamente all'eventuale differenziale dei tassi sui mutui e sugli altri contratti di finanziamento applicati ai clienti -, sia in riferimento alla capacità di mantenere un rapporto stretto con il territorio e con il tessuto socio-economico, che è costituito, in larga parte, non solo nel sud ma in tutto il territorio - a parte alcune concentrazioni di grandi imprese nel nord - dalle piccole e medie imprese.
Pertanto, ci interessa capire come Unicredit possa stabilire e mantenere questo forte rapporto con il territorio e con le piccole e medie imprese in esso collocate, pur essendo un grande e importante gruppo.

PRESIDENTE. Gli apprezzamenti per la relazione del dottor Profumo credo siano fuori discussione. Io vorrei tornare brevemente alla considerazione iniziale sul processo delle grandi aggregazioni, alla privatizzazione delle prime banche.
Ricordo che, nel 1991 - ero sottosegretario alle partecipazioni statali -, rilasciai un'intervista nella quale dicevo che le banche cosiddette pubbliche - Credito italiano, Banca commerciale e via dicendo - dovevano essere privatizzate; per questa mia opinione, fui oggetto di un violento attacco da parte di un giornalista economico, Giuseppe Turani, che su la Repubblica e poi successivamente su Il Mondo mi diede quasi del pazzo. Io sostenevo


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quello che credo sia un principio elementare: non essendo, quello bancario, un settore strategico dell'interesse dello Stato, ritenevo che dovessero essere favorite al massimo le privatizzazioni. Con mia grande soddisfazione, questo si è avverato, ed ha avuto un incremento notevole.
In questo momento siamo arrivati ad una fase particolarmente espansiva anche sul piano della concretizzazione di questo sistema. Io vorrei chiederle, se è possibile, una valutazione circa il complessivo processo di ristrutturazione del sistema bancario, e vorrei sapere se ritiene che gli attuali equilibri raggiunti possano considerarsi non solo sostanzialmente stabili, ma suscettibili di ulteriori modifiche e integrazioni.
Per ciò che riguarda il sud, invece - io sono un uomo del sud - vedo che, alla fine, anche nell'ambito della relazione svolta dal dottor Profumo, sono citati elementi molto positivi relativi all'apporto dato dal sistema bancario in genere, e dal suo gruppo, all'evoluzione e al rilancio dell'economia del Mezzogiorno. Tuttavia, esiste una differenza di fondo - riscontrata anche dalla relazione del direttore generale della Banca d'Italia - sul costo del denaro da nord a sud, che è pari all'1,5 per cento dal punto di vista formale e che, dal punto di vista sostanziale, considerando i costi nel loro complesso, sale al 4 per cento. Non si tratta, quindi, di cosa di poco conto, e le chiedo se, nel gruppo da lei egregiamente presieduto e amministrato, siano in corso iniziative per il recupero di questo gap tuttora esistente. I dati relativi a questa differenza non derivano dalle statistiche, ma sono forniti dalla Banca d'Italia.
L'ultima valutazione che le chiedo di fare è se, a suo avviso, l'aggregazione delle banche locali a grandi gruppi pone un problema circa i contatti con il tessuto economico locale; è opportuno migliorare il monitoraggio delle richieste, e accompagnare queste eventuali iniziative lungo un processo di crescita.
Vorrei, infine, porle una domanda di carattere più generale, ricollegandomi alla turbolenza dei mercati finanziari in questa fase attuale, nella quale assistiamo anche ad un'eccessiva disinvoltura nella crescita di impieghi, e mi riferisco, soprattutto, all'uso indiscriminato della leva finanziaria e degli strumenti finanziari derivati. Le chiedo se questo indichi la necessità di rivedere gli strumenti per la correzione dei rischi, anche se, per ciò che riguarda la parte pubblica e gli enti locali soprattutto, credo che questo discorso sia meritevole di una maggiore attenzione, dedicata, precisa e puntuale, circa i rimedi per evitare scossoni che potrebbero avere conseguenze veramente disastrose per il bilancio dello Stato.
Le ho esposto le mie brevissime considerazioni e le domande. Credo che il giro delle richieste sia concluso; spetta a lei, dottor Profumo, trarre le conclusioni, rispondendo ampiamente e con soddisfazione alle nostre richieste.

ALESSANDRO PROFUMO, Amministratore delegato del gruppo UniCredit. Grazie presidente. Considerati i tempi che lei mi aveva concesso sono un pochino preoccupato, perché mi sono state fatte tante domande; cercherò di essere abbastanza veloce.
Onorevole Belisario, la sua domanda si collega in parte a quella dell'onorevole Germontani: lei parlava del credito al consumo, mentre l'onorevole Germontani parlava, invece, del rapporto con la media impresa; in entrambi i casi si chiedeva che cosa può fare una banca per aumentare la capacità di accesso al credito.
Io sono profondamente convinto che la banca non debba svolgere funzioni pubbliche; noi siamo un'azienda, un'impresa e, anche ai fini dei vari codici civili e penali che ci governano, dobbiamo prestare del denaro quando sappiamo che viene poi rimborsato; dopodiché, parlando nello specifico del tema dei prestiti al consumo, io ritengo che, da parte nostra, non si possa fare altro che consigliare una profonda revisione della normativa antiusura perché, obiettivamente, la norma attuale, ponendo un tetto ai tassi di interesse ai quali noi possiamo operare, ci obbliga a tagliare il livello di accettazione del credito


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a un certo tasso di rischiosità. Ovvero, un cliente che, dal nostro punto di vista, ha una rischiosità più elevata di quanto il tasso massimo a noi consentito ci consenta di ripagare, riceverà da parte nostra un rifiuto dell'erogazione creditizia.
Il dottor Carosio, vicedirettore della Banca d'Italia, ha affrontato il tema in Senato; le normative antiusura sono state riviste in quasi tutti i Paesi europei e, oggettivamente, per le caratteristiche dell'attuale normativa, si pongono dei limiti abbastanza rilevanti all'operatività specifica.
Come credito al consumo noi abbiamo una forte operatività, nel senso che abbiamo una società totalmente dedicata - la Clarima Banca - e una rilevante attività anche nella cessione del quinto dello stipendio, ambito nel quale Capitalia possiede una professionalità specifica.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, la interrompo un attimo. L'onorevole Pepe era assente nell'audizione precedente, e non conosce quanto è già stato detto sul problema del credito al consumo. Rispetto agli altri Paesi europei, in Italia utilizziamo questo strumento in misura nettamente inferiore. È un settore in espansione, ma non abbiamo dati certi in merito.

ALESSANDRO PROFUMO, Amministratore delegato del gruppo UniCredit. Torno a dire che, oggettivamente, c'è una limitazione. Come lei sa, i tassi di usura sono diversi per noi e per le società finanziarie; questo crea ulteriori distorsioni nel mercato, ed io auspico una revisione generale della normativa.
Il punto fondamentale per la facilitazione dell'accesso al credito è costituito dai fondi di garanzia; ad esempio, noi abbiamo avviato un'operatività rilevante nel campo dei prestiti d'onore, valorizzando la relazione con quelle fondazioni bancarie che hanno creato dei fondi di garanzia per aumentare la nostra capacità di erogazione a quelle fasce di studenti meritevoli che, in relazione alla rischiosità specifica, potrebbero non avere accesso al credito, ma per i quali riteniamo opportuno facilitarne l'ottenimento.
Lo stesso discorso vale per le piccole e medie imprese (rispondo anche al tema del differenziale dei tassi): a parità di rating applichiamo gli stessi tassi sia al nord che al sud. I differenziali indicati dai dati della Banca d'Italia sono piuttosto contenuti; a pagina 21 della mia relazione - può consultarla, onorevole Pepe - riportiamo i dati del differenziale di tasso tra Mezzogiorno e nord Italia, gli impieghi a medio e lungo termine e gli impieghi a breve termine (30 punti base e 70 punti base): larga parte di questa differenza è spiegata dalle dimensioni di impresa e dai settori, ma per parità di rating noi applichiamo gli stessi tassi al nord e al sud. Spero di aver parzialmente risposto alle vostre domande.
Onorevole Ceccuzzi, non sono in grado di dire se sia opportuno o meno che gli altri gruppi bancari italiani si sviluppino all'estero come Unicredito: io gestisco la strategia di Unicredito, e ritengo, comunque, che sia quasi impossibile riuscire ad avere una nostra presenza internazionale, a meno che non si verifichi una grandissima aggregazione fra alcuni di questi operatori; ricreare la presenza che oggi noi abbiamo nel centro e nell'est Europa è tecnicamente impossibile, perché non ci sono asset in vendita, non ci sono banche in vendita che possano consentire di coprire questo gap.
Pertanto, a meno che uno degli altri grandi operatori non realizzi un'aggregazione particolarmente significativa, ritengo che sia piuttosto difficile raggiungere il peso dei ricavi che abbiamo all'estero. Teniamo presente che, alla fine di quest'anno, il rapporto dei ricavi all'estero sarà al 55 per cento, e tenderà a crescere in modo più significativo perché quei Paesi hanno una crescita del prodotto interno lordo più elevata di quella che abbiamo in Italia.
Lei accennava al nord Africa e al Mediterraneo. È noto che il nostro principale concorrente domestico, Intesa-San Paolo, ha una presenza in Egitto; una scelta, quindi, è già stata fatta. Tenete presente che quella parte del mondo, potenzialmente interessante, oggettivamente


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applica anche delle normative bancarie diverse dalle nostre. In molti casi si deve applicare la cosiddetta «normativa islamica», che non consente, ad esempio, di applicare interessi; è molto complessa, e richiede una totale riscrittura dei sistemi informativi, con investimenti estremamente consistenti. Inoltre, ci sono alcuni Paesi del nord Africa potenzialmente interessanti, ma che hanno una rischiosità politica piuttosto rilevante.
Dal nostro punto di vista, abbiamo cercato di focalizzarci sulla parte del mondo in cui già operiamo, cercando di far bene il nostro dovere. Mi auguro che altre banche si sviluppino, non nel centro e nell'est Europa - secondo la strategia del «me too», ovvero «solo perché c'è Unicredito allora ci vado anche io» -, ma altrove, in modo da consentire al sistema Paese di avere una copertura territoriale a tutto tondo.
Lei, giustamente, sollevava il tema «banca universale/conflitto di interessi», credo facendo riferimento, in modo specifico, alla gestione del risparmio. C'è un solo Paese al mondo in cui c'è una totale separazione, ed è Israele. Ho grande rispetto per quel Paese, ma prenderlo come esempio di un sistema normativo mi sembrerebbe un pochino forzato. Ritengo che sia fondamentale garantire una governance che consenta indipendenza; non solo e non tanto nella distribuzione, perché credo che tutti noi dobbiamo porre grande attenzione alla qualità del servizio che offriamo ai nostri clienti.
Tutti stiamo aprendo le piattaforme per avere, come si dice tecnicamente, tutte le asset place che sono richieste per servire bene i clienti. Il timore, a cui lei accennava, che siano venduti ai nostri clienti i nostri prodotti solo perché tali, si sta progressivamente riducendo. Teniamo presente che anche le famose cosiddette «piattaforme aperte» americane hanno i fondi della casa, che in media sono il 70-75 per cento dei fondi distribuiti.
Il vero tema è garantire l'indipendenza nella gestione. Da questo punto di vista, per quanto ci riguarda Pioneer Investments ha più consiglieri indipendenti di quanti non siano i consiglieri di nomina di Unicredito, nonostante noi si possieda il 100 per cento dalla società, e qualsiasi transazione fatta con Unicredito deve essere sottoscritta dai consiglieri indipendenti.
Questi consiglieri sono indipendenti sul serio: abbiamo un ex ministro delle finanze irlandese oggi in pensione, un ex direttore generale dell'associazione dei Fondi comuni di investimento negli Stati Uniti, tanto per darvi un'idea della caratura dei personaggi. Credo che l'aspetto dell'indipendenza sia fondamentale.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Fogliardi sul rapporto con il territorio, vorrei innanzitutto fugare subito un dubbio. Per noi l'Italia è importantissima, altrimenti non avremmo fatto l'operazione Capitalia. Oggettivamente l'Italia è uno dei mercati che noi definiamo core, quindi dedichiamo grande attenzione alla nostra operatività.
Per quanto concerne i rapporti con il territorio, credo che lei sappia che a Verona - Castelletti, presidente della Fiera, è presidente del nostro comitato locale - abbiamo costituito 21 comitati locali che, oggettivamente, sono per noi l'antenna fondamentale nei rapporti tra il nostro gruppo e i singoli territori nei quali siamo basati.
Inizialmente siamo partiti con i comitati locali nelle aree in cui eravamo particolarmente forti; dopodiché, considerato l'interesse per quest'iniziativa, l'abbiamo sviluppata in aree nelle quali non eravamo particolarmente radicati. Abbiamo un comitato territoriale in Lazio, preesistente all'operazione Capitalia, uno in Sicilia, e così via. Pertanto, per noi il rapporto con il territorio è fondamentale.
Tengo a dire, anche a parziale risposta ad altre domande, che noi colleghiamo il sistema di incentivazione dei nostri dipendenti al grado di soddisfazione della clientela, tant'è che il nostro trim Index, indice che viene misurato da una società esterna inglese - quindi totalmente indipendente - e che misura il grado di soddisfazione della clientela, è in continua crescita.


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Nella banca retail noi abbiamo oggi un indice pari a 61, laddove la media delle prime cinque banche nostre concorrenti è a 51. Siamo allo stesso livello delle banche di credito cooperativo, nonostante noi non siamo quel tipo di banca.
I sistemi di incentivazione dei nostri dipendenti sono legati a questo indicatore, tant'è che l'anno scorso abbiamo fatto 240.000 interviste. Sapete bene, basandovi molto anche voi sulle ricerche di mercato, che per un'indagine sono sufficienti 1.000 interviste. 240.000 è un numero molto elevato, ma ne facciamo così tante perché vogliamo avere indicatività a livello di sportello, proprio per poter collegare gli incentivi dei nostri dipendenti sportellisti al livello di soddisfazione dei loro clienti.
Spero di aver fugato i suoi dubbi. A Verona stiamo crescendo, e veder crescere le quote di mercato è, in linea di massima, un buon indicatore delle relazioni che si hanno con i territori.
Onorevole Leddi, lei ha ragione sulla differenza tra dati e percezione; come si può immaginare, è uno dei temi su cui, a livello societario e a livello di ABI, ragioniamo di più perché, obiettivamente, crediamo che il sistema bancario abbia fatto, in realtà, anche degli errori (poi rispondo alle domande sul tema del risparmio tradito, come è stato definito dall'onorevole Tolotti).
Ritengo, in ogni caso, che il sistema bancario abbia seguito un'evoluzione che, nel suo complesso, è molto positiva; purtroppo di questo non riusciamo a realizzare una corretta percezione, e di questo dobbiamo farcene carico perché è inutile lamentarsi senza assumersi l'onere di risolvere il problema; questo è un tema al quale tutti noi dedichiamo maggior attenzione, anche intellettuale.
Lei mi chiedeva, inoltre, delle norme e dei regolamenti tra Italia e altri Stati. Vorrei dire una cosa: noi, purtroppo, in linea di massima rappresentiamo l'Italia peggio di quello che è perché, in realtà, quando si va all'estero le cose non sono migliori; dico questo perché ritengo che, in qualche caso, dobbiamo riprenderci un minimo di orgoglio nazionale. Personalmente, sono stato in Germania ed ho spiegato la legge sulle fondazioni bancarie, sostenendo che loro dovrebbero replicarla, perché sono assolutamente convinto che sia una delle migliori leggi sul ridisegno del sistema bancario - se non la migliore - che sono state fatte in Europa.
Parte dei problemi che oggi stanno emergendo - anche, ad esempio, sul tema dei subprime - e che hanno generato anche la crisi della IKB (Deutsche Industriebank) in Germania, sono legati anche al tema delle privatizzazioni, dei modelli di governance, e via dicendo.
Devo dire, anche con una certa fermezza, che, ad esempio, con le nostre operazioni in centro ed est Europa, con gli ICB (International Competitive Bid) abbiamo messo significativamente sotto stress le modalità di relazione fra regolatori, perché si sa che le attività di supervisione sono nazionali, e noi siamo un gruppo europeo.
Ebbene: il livello di cooperazione e di interrelazione fra Banca d'Italia, BaFin, Bundesbank, FMA (Finanzmarktaufsicht) - rispettivamente BaFin e Bundesbank in Germania e FMA in Austria - e Bank Austria, la banca centrale austriaca, è molto buono, e noi non abbiamo avuto modo di verificare una maggior lentezza delle nostre autorità rispetto ad altre.
Si tratta di modelli diversi; ad esempio, i modelli di reporting in Italia sono molto più dettagliati, perché c'è una tipologia di controllo basata maggiormente su flussi informativi che non su verifiche in loco, e questo obiettivamente comporta, ad esempio, una struttura di costi diversi. Per adeguare i sistemi informativi della nostra banca tedesca alle richieste effettuate da Banca d'Italia - e non sto associando un giudizio di valore - abbiamo dovuto investire 11 milioni di euro, perché in Germania i volumi di richieste sono sensibilmente più bassi.
Ad esempio, anche in termini di trasparenza nei rapporti con i risparmiatori, MiFid dovrebbe, per fortuna, portare una certa omogeneità, anche se sappiamo che le implementazioni sono locali; in Germania e in Austria il livello di protezione del


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risparmiatore è notevolmente più basso di quanto non sia in Italia, quindi i costi di compliance per la protezione del risparmiatore, che viene considerato più intelligente di quanto non venga considerato mediamente in Italia, sono molto più bassi. Lo dico per chiarezza. Spero di averle risposto.
Onorevole Tolotti, lei chiede cosa si può fare per avvicinare i costi alla media europea. Noi, ad esempio, abbiamo dei conti correnti che hanno un costo di un euro al mese se si utilizzano strumenti a distanza. Hanno una totale trasparenza, nel senso che il cliente viene avvisato che, qualora dovesse rivolgersi ad uno sportello, pagherebbe un determinato costo. Vendiamo moltissimi conti correnti a pacchetti, uno di questi si chiama Genius One; non bisogna necessariamente utilizzare Internet, si può anche utilizzare il bancomat. Abbiamo, oggi, 1600 bancomat in Italia che accettano versamenti, ad esempio. È un servizio molto importante, ad esempio, anche per i piccoli operatori economici - i negozianti - che, anche durante il week end, possono versare i loro incassi, che vengono immediatamente messi in sicurezza.
I bancomat accettano versamenti sia di contanti che di assegni; l'assegno viene scannerizzato, e lo sportello ne rilascia una fotocopia come ricevuta. Si tratta, quindi, di strumenti estremamente sofisticati.
Noi ci siamo mossi in quella direzione; ricordiamoci che il cliente paga 12 euro di costi bancari e circa 30 euro di imposte, quindi vede un costo facciale di 42 euro. Noi, in questo caso, svolgiamo un'attività di esazione, dobbiamo ricordarcelo. In molti altri Paesi, queste imposte sui conti correnti non esistono.
Per quanto riguarda il risparmio tradito, la class action, come sapete, è in corso di modifica anche negli Stati Uniti, e in modo abbastanza profondo. Personalmente la giudico una normativa estremamente complessa; noi abbiamo un gruppo di lavoro che sta approfondendo la tematica, e i colleghi che si occupano di rapporti con le istituzioni possono farvi avere tutti i documenti specifici. Ritengo fondamentale chiarire in modo molto specifico chi rappresenta chi, perché oggi c'è il grossissimo problema relativo all'interlocutore con cui interfacciarsi: le associazioni dei consumatori sono importantissime, tutti noi abbiamo rapporti con loro ma, oggettivamente, il loro grado di rappresentatività ha, spesso, un certo tasso di complessità. Spero di averle risposto.
Onorevole Fluvi, credo che sia un po' presto per dare un giudizio definitivo sul fatto che la presenza delle banche estere abbia o non abbia aumentato il livello di concorrenza; sono stati introdotti nuovi prodotti (mutui con scadenze molto lunghe, ed altri ancora), ma ricordiamoci che queste banche operano con i vincoli del sistema bancario italiano, quindi quando diciamo che alcune diversità di costo sono legate a elementi oggettivi, intendiamo dire che queste banche hanno un costo del personale, una struttura distributiva, un sistema normativo allineati a quelli con i quali operiamo noi.
Ad esempio, se guardate i risultati della ricerca fatta dall'antitrust sui costi dei conti correnti bancari - nella quale erano state identificate dieci tipologie di clienti - il livello di dispersione del costo dei conti correnti su ognuna di queste dieci categorie è amplissimo; si è fatta, poi, una media, che sarebbe come dire che il costo medio di una camera d'albergo a Roma è 100 euro, dopodiché si va dai 1.000 euro ai 30 euro. La dispersione per ognuna delle dieci categorie dei costi bancari - e, torno a dire di nuovo, calcolata in base ad una ricerca non fatta dal sistema bancario - è molto elevata, il che dà l'idea del grado di concorrenza che c'è.
Io penso che, in Italia, anche per il fatto che ci sia stata una privatizzazione completa del sistema, il livello di concorrenza sia piuttosto elevato.
Da parte nostra - parlo di Unicredito - sono molto bene accetti tutti gli interventi che aumentano trasparenza e concorrenza; tuttavia, quando il potere politico entra nel sistema dei prezzi ci crea dei


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problemi, e riteniamo che questo sia estremamente pericoloso (lo dico anche con riferimento a un suo intervento).
Sul tema dei subprime vorrei fare una chiosa: noi siamo spesso criticati anche da voi perché, ad esempio, è difficile che si eroghi il credito a un lavoratore precario, ancor peggio se il lavoratore precario è immigrato (abbiamo ricevuto tante critiche su questo aspetto). Se io erogo un mutuo a un lavoratore precario, sto tecnicamente erogando un subprime; quindi, credo che sia anche importante non buttare via il bambino con l'acqua sporca, perché obiettivamente stiamo parlando di strumenti finanziari il cui grado di trasparenza e complessità è poi diventato presumibilmente eccessivo, ma che hanno consentito l'accesso al credito di fasce molto rilevanti di cittadini.

ALBERTO FLUVI. Problema è che poi è stato più volte rivenduto!

ALESSANDRO PROFUMO, Amministratore delegato del gruppo UniCredit. Il problema è che, tecnicamente, nessuna istituzione finanziaria può tenere a suo carico tutto quel rischio. È un po' come criminalizzare la ricerca: criminalizzare l'innovazione finanziaria è sbagliato per definizione.
Con questo, rispondo parzialmente anche alla sua domanda sul tema dell'eccesso di regolamentazione. Il punto è aumentare la trasparenza degli strumenti, e abbiamo alcuni operatori che hanno gradi di trasparenza molto diversi tra loro. Torno a dire che nessuna istituzione finanziaria poteva erogare quella quantità di mutui e tenerla sui propri libri. Ci sono soggetti diversi che, per le caratteristiche del loro funding, ovvero della loro struttura di passività, vanno alla ricerca di strumenti che hanno gradi di rischiosità molto differenti. È corretto, quindi, impacchettare questi mutui, e poi cederli.
Teniamo presente che sono stati ceduti solo a operatori istituzionali che, quindi, avevano tutte le competenze per valutare la rischiosità implicita di quelle attività.

ALBERTO FLUVI. Ma anche facendone coriandoli?

ALESSANDRO PROFUMO, Amministratore delegato del gruppo UniCredit. Sì, tecnicamente sì. Torno a dire, non sono stati venduti a consumatori o a famiglie, ma ad operatori istituzionali. Tecnicamente è corretto che si frazioni il rischio, altrimenti non ci sarebbe stato quell'accesso al credito per le fasce deboli. Come vedete il tema è molto complesso, e non vorrei che si sovrasemplificasse dicendo che è un'operatività che non va bene.
A mio giudizio il tema chiave è l'aumento del grado di trasparenza dei vari strumenti e operatori finanziari. È chiaro che oggi ci sono operatori finanziari che hanno livelli di trasparenza diversi - ad esempio, gli hedge fund - ed è importante capire quanti investimenti fanno a leva, altrimenti si possono avere situazioni difficilmente valutabili.
A proposito dell'impatto dell'accordo Basilea II: la quantità di capitale che sarà necessaria per l'attività di erogazione del credito - parlo per Unicredito - scenderà in modo rilevante. Si tratta sempre della media del pollo di Trilussa, come si suol dire, ma, mediamente, gli imprenditori e le imprese italiane beneficeranno di Basilea II.
Il vero tema è la connessione fra la quantità di capitale che impieghiamo per una singola linea di credito e la rischiosità di quel soggetto. Mentre prima lavoravamo con una quantità di capitale omogenea per tutti, e i buoni clienti finanziavano i cattivi clienti - sto semplificando -, con Basilea II i cattivi clienti avranno un costo del denaro più alto rispetto ai buoni clienti, indipendentemente dalla loro collocazione geografica. Pertanto, un buon cliente del sud ne beneficia potenzialmente in maniera consistente.
Ripeto sempre che, se anche Basilea II non esistesse, un'azienda di credito ben gestita dovrebbe introdurre quell'accordo, perché oggettivamente rende il costo del denaro per i clienti commisurato alla loro implicita rischiosità.


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Si badi bene che non si lavora solo su dati di bilancio: ad esempio, noi abbiamo una serie storica di dati connessa alla struttura proprietaria e alla governance delle imprese, dove, a diversa struttura proprietaria e a diversa governance, corrispondono diversi livelli di rischiosità. Questi sono elementi di bilancio soft, e non hard. Ritengo, quindi, che Basilea II comporti mediamente una riduzione significativa del capitale assorbito dal rischio di credito. Parte di questo capitale viene reimpiegato per i rischi operativi e, nel complesso, si riduce la quantità di capitale necessario.
Onorevole Pepe, spero di averle già risposto anche richiamando alcune slide della presentazione. Ovviamente, se ha delle ulteriori curiosità siamo più che contenti di risponderle.
Penso di aver risposto anche alle domande dell'onorevole Germontani. Credo che il tema dei fondi di garanzia sia rilevante. Io gestisco un'azienda privata, e credo sia ben noto a tutti voi che sono un forte fautore della operatività privatistica. Dopodiché, nei Paesi più liberali del mondo alcune attività hanno dei fondi di garanzia. Negli Stati Uniti e in Inghilterra, le attività di venture capital prevedono significativi fondi pubblici di garanzia. Credo che dovremmo svincolarci dai luoghi comuni e studiare le cose come sono in realtà.
Facendo un riferimento specifico alla sua domanda sugli strumenti finanziari, le rispondo dicendo che un fondamentale strumento su cui il Parlamento è già intervenuto - ma che va sostenuto in modo forte - sono i confidi, uno strumento fondamentale di riduzione dei rischi e di crescita professionale delle imprese.
Unicredito sostiene i confidi in modo consistente, e abbiamo rapporti molto forti; credo che rappresentino un elemento di grande positività, tra l'altro tipicamente italiano - in altri Paesi questo strumento è meno applicato -, sul quale bisognerebbe focalizzare una grande attenzione normativa.
Il presidente Del Mese mi chiedeva se sono possibili altri passi di ristrutturazione. Io penso che il sistema bancario abbia fatto quasi tutto quello che doveva fare. Credo che ci saranno ulteriori passi nel mondo delle banche popolari; tuttavia penso che, oggi, le grandi operazioni siano alle spalle, quantomeno nel mercato domestico. Che cosa faranno, poi, altri operatori all'estero è di più difficile valutazione.
Sul punto del differenziale di tasso penso di aver già risposto. Sul tema banche nazionali verso banche locali, come dicevo rispondendo ad una precedente domanda dell'onorevole Fogliardi, credo che il punto chiave sia quello di mantenere una forte radice locale. Io dico sempre che noi siamo europei e veronesi, europei e laziali, europei e bavaresi. Ho un po' di difficoltà a vedere qualcosa nel mezzo, lo dico onestamente, perché questa è la vera prospettiva del sistema bancario: i rapporti con i territori sono fondamentali, e si gestiscono con le deleghe. Noi, ad esempio, monitoriamo la situazione; io so, in ogni territorio del nostro Paese, quanti giorni occorrono per dare una risposta dal momento in cui un cliente si rivolge allo sportello. In alcuni casi ci sono degli estremi negativi, ma è una cosa che monitoriamo costantemente, e questo è legato al livello di delega che i colleghi hanno sul territorio.
Quando, con la fusione, abbiamo acquisito la Cassa di Verona, la prima cosa che abbiamo fatto è stata aumentare le deleghe all'allora direttore generale della Cassa di Verona, perché lui doveva andare in Consiglio per molte più cose di quelle per cui sarebbe andato quando noi siamo arrivati come azionisti. Quindi, è bene delegare su tassi e linee di credito e, fondamentalmente, attuare una scarsa rotazione delle risorse. Noi abbiamo ridotto drasticamente la rotazione delle risorse agli sportelli, perché uno dei problemi della grande banca nazionale è che per far carriera si spostano le persone, venendo a perdere così quel legame individuale di cui parlavo. Questo noi l'abbiamo ridotto drammaticamente. L'altro tema sono i comitati territoriali, di cui parlavo prima.
Venendo al tema degli strumenti di valutazione dei rischi e dell'operatività con gli enti locali, a mio avviso devono


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certamente essere effettuate delle valutazioni specifiche. La nostra operatività su quel fronte è stata molto limitata, trattandosi di un'area di attività in cui non siamo mai stati molto presenti. Oggi, per aumentare la nostra capacità di rapporto con gli enti locali, vogliamo focalizzare meglio il credito centrale su quel mercato, ma fino ad oggi abbiamo avuto un'operatività limitata.
Vi ringrazio per l'attenzione, perché anche per noi è estremamente importante interloquire con voi.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Profumo.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,15.