COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di marted́ 24 ottobre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE UMBERTO RANIERI

La seduta comincia alle 9,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del direttore esecutivo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), Pascal Lamy.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla globalizzazione, l'audizione del direttore esecutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio, Pascal Lamy.
Saluto il direttore Lamy, autorevole protagonista del dibattito sulle prospettive politiche ed economiche dell'Europa, impegnato nella guida di un'organizzazione fondamentale ai fini della governance nel mondo del nostro tempo. Lo ringrazio per aver accolto l'invito a partecipare a questa audizione, cui siamo particolarmente interessati.
Per quanto riguarda l'organizzazione dei tempi, l'audizione dovrà concludersi entro le ore 11, perché riprenderanno le votazioni in Assemblea. Pertanto, dopo la relazione introduttiva, sarà necessario contenere il tempo di ciascun intervento entro tre minuti, al fine di consentire al direttore Lamy di svolgere una replica di almeno cinque minuti. Confido nell'autodisciplina dei partecipanti a questo incontro.
Do ora la parola al direttore Lamy, ringraziandolo nuovamente per la sua presenza.

PASCAL LAMY, Direttore esecutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio. Grazie di avermi invitato a questi lavori. È la mia prima visita a Roma, da quando lo scorso anno ho assunto le funzioni che attualmente svolgo.
Da cinquanta anni, per quanto concerne questioni di politica commerciale internazionale, è l'Unione europea ad avere competenze essenziali. Tuttavia, l'Unione europea è formata da Stati membri.
Ritengo importante e saggia l'iniziativa di svolgere questa serie di audizioni sulla globalizzazione e sugli elementi, le funzioni e le organizzazioni che oggi possono contribuire ad un miglior governo mondiale, tenuto conto che vi partecipate attraverso le competenze che l'Italia - come gli altri Stati membri dell'Unione - ha delegato al livello comunitario.
In questa breve introduzione, vorrei fornirvi la mia visione della globalizzazione, delle sfide che essa comporta sul piano del governo mondiale e anche della collocazione dell'OMC in questa nuova realtà che esiste da un paio di decenni ed è definita globalizzazione.
Per me essa rappresenta una fase storica di espansione accelerata del capitalismo di mercato, che ha conosciuto e conoscerà fasi simili nella storia. Da un certo punto di vista, la possiamo assimilare o paragonare all'ultima grande ondata dello stesso ordine, cui il mondo ha assistito


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nel 1800 con la rivoluzione industriale.
Si tratta di una trasformazione di fondo delle società, che riceve in gran parte il suo impulso dalla rivoluzione tecnologica e, in particolare, dalla diffusione delle tecnologie dell'informazione e che ha condotto ad una rapidissima ricomposizione su scala mondiale delle forze economiche e geopolitiche.
Ritengo che questa globalizzazione abbia effetti estremamente positivi, sui quali non intendo soffermarmi, limitandomi a citare i benefici che apporta ai cittadini sul piano politico, con le connessioni loro offerte per quanto attiene alle possibilità di conoscenza, oltre che di maggiore libertà. Bisogna considerare, inoltre, i vantaggi per il mondo economico, giacché siamo in una fase in cui l'efficacia del sistema economico sta conoscendo un'evoluzione molto positiva, grazie alla connessione di tutti con tutti, che consente una diffusione accelerata dell'innovazione e dell'efficienza economica, nonché una migliore allocazione di tutti i fattori produttivi (capitale, lavoro o anche know how). Questi effetti sono estremamente positivi - come ben sa ogni lettore di Schumpeter - e tuttavia sono accompagnati da aspetti meno positivi e da altri nettamente negativi.
Oltre al fatto che, come in ogni processo di ricomposizione economica e sociale, accanto a molti vincenti si conta anche un certo numero di perdenti, esistono fenomeni alquanto preoccupanti, quali la rarità delle risorse energetiche, il degrado ambientale, la possibilità di emigrazione o la diffusione di certe pandemie.
Questa crescente interdipendenza aumenta i benefici, ma anche l'instabilità, basti pensare al posto che occupano in questa globalizzazione economica i mercati finanziari. Quindi, riscontriamo aspetti positivi e negativi e, come in ogni impresa umana, l'approccio politico adeguato consiste nel tentativo di incrementare i benefici, riducendo i costi, il che implica un approccio proattivo. Tutti noi, dunque, individuiamo la necessità di gestire la globalizzazione attraverso un adeguato approccio politico, inevitabilmente globale.
Da questo punto di vista, ci imbattiamo nella grande difficoltà di conciliare con esso il nostro retaggio politico di sovranità dello Stato nazione, che è e rimane il luogo precipuo della sovranità e dell'esercizio del sistema democratico.
Il sistema politico rimane dunque contrassegnato dalla preminenza dello Stato nazione, e, per quegli Stati nazionali del pianeta che sono delle democrazie - e sono la maggioranza - questo rappresenta un fenomeno di rilievo.
Molte delle questioni che dobbiamo discutere si collocano a livello globale in quanto implicano negoziati e accordi. Esiste quindi questa asimmetria, ormai ben nota, tra l'aspetto globale di molti problemi e il fatto che la precipua organizzazione dei poteri politici rimanga locale. Da questa dicotomia emergono alcune difficoltà, perché i cittadini dei nostri paesi sono divenuti consapevoli di come alcune questioni globali possano avere soltanto risposte globali, sebbene la loro influenza si limiti ad eleggere i propri Parlamenti e a controllare i propri Governi, in un ambito di competenze non sorpassato, ma certamente più parziale di quanto non fosse in passato. Da ciò deriva la sensazione di ansietà - se non di spossessamento - che si constata in Europa, ma anche in America latina, in Asia, in Africa.
Si è dunque diffusa l'opinione che la globalizzazione implichi sensazioni di ansietà, perplessità, spossessamento, mentre personalmente ritengo che a crearle non sia la globalizzazione, bensì l'assenza di mezzi per affrontarla in modo adeguato. In altri termini, è piuttosto l'insufficienza di governo mondiale a creare problemi, a rischiare di devitalizzare i sistemi democratici che rappresentano l'imprescindibile da preservare sul piano politico.
Quindi, dobbiamo affrontare questa questione e prefiggerci come obiettivo globale quello di gestire la globalizzazione traendone gli effetti positivi, limitando quelli negativi, concentrandoci soprattutto sull'eliminazione degli effetti negativi che


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ricadono sui perdenti della globalizzazione. Come abbiamo visto, infatti, nella ricomposizione delle forze economiche nel globo esistono vincenti e perdenti, per cui è evidente l'esigenza di politiche pubbliche adeguate, essenziali per questo dosaggio.
Per passare ad una parte leggermente più precettistica, rispetto a questa rapida diagnosi, desidero illustrare velocemente alcuni aspetti, il primo dei quali riguarda i diversi modi di rafforzare il governo mondiale, ovvero, seguendo l'esempio del commercio internazionale, cercare di mettere in luce possibilità e difficoltà inerenti a questa governance.
La governance mondiale o globale non è un governo mondiale, che sappiamo non essere alla nostra portata, sia che lo si consideri auspicabile e utopistico, sia non auspicabile - opinione anch'essa rispettabile - perché in realtà si tratta di interdipendenza.
Dobbiamo gestire questa interdipendenza, predisponendo un sistema che si giustapponga (quando non si sovrapponga) alla governance domestica e interna, che abbiamo ereditato dal passato. A questo fine, occorre prospettare innovazioni in vari settori, la prima delle quali è l'esigenza di identificare i valori comuni del mondo globalizzato. Ritengo non si possa prospettare un sistema decisionale o di governance se, alla sua base, non esiste un accordo su cosa sia auspicabile e cosa non sia tale. Certamente, tutti gli elementi della società e del sistema internazionale hanno interessi da difendere. Questa rappresenta la concezione classica della sovranità nazionale, in base alla quale un paese non ha né amici, né nemici eterni, ma è necessario spingersi oltre questa definizione - peraltro assolutamente legittima - degli interessi, per affrontare invece la questione dei valori.
La globalizzazione mette in contatto popoli e società che, nel corso della storia, hanno effettuato scelte talvolta simili, talvolta assai diverse, ed è quindi necessario avviare un dibattito su quelli che potrebbero essere dei valori collettivi, così da definire meglio gli interessi comuni.
Nel sistema internazionale da delineare, esiste un certo numero di beni pubblici che dobbiamo essere in grado di identificare. Ci servono dei valori, dunque, nonché dei soggetti che abbiano una legittimità sufficiente per coinvolgere l'opinione pubblica nella discussione e che siano in grado di farsi carico della responsabilità dei risultati.
Potere e democrazia non sono solo procedure, ma rappresentano anche la capacità di fornire risultati corrispondenti alle aspettative dei cittadini, in modo tale da affrontare le questioni della rappresentanza e della legittimità. A tal proposito, sappiamo bene che, più il potere si allontana dal cittadino, più la sua legittimità diventa opinabile. Questo si verifica nelle nostre organizzazioni e classi politiche, come in quelle internazionali, ma, poiché abbiamo bisogno di gerarchie internazionali per far funzionare questi sistemi collettivi, occorre che la legittimità, la qualità, la trasparenza di tali poteri siano garantite. Questa è una sfida di grande portata, perché finora non siamo riusciti a strutturare quello che potrebbe rappresentare un sistema democratico internazionale e, sotto certi profili, addirittura sovranazionale. È un ambito in cui è necessario approfondire la riflessione politica.
Inoltre, ciò che ci è stato tramandato, ed oggi esiste nell'ambito dei sistemi nazionali, rispecchia uno schema stabile da un paio di secoli, che esige una revisione.
Il sistema internazionale che abbiamo ereditato si fonda su due grandi principi, il primo dei quali è che sono gli Stati nazione ad avere il monopolio della sovranità. Accantoniamo l'esperienza europea che, sotto questo profilo, è specifica e molto particolare. A livello mondiale, in nessun altro luogo del globo sono state tentate esperienze del genere, anche se esistono delle imitazioni.
I due principi sono dunque il monopolio dello Stato nazione e il carattere specializzato delle istituzioni internazionali. Esistono infatti un'organizzazione internazionale per il commercio, una per la sanità, una per il sociale, una per i trasporti aerei, una per le poste, una per le


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telecomunicazioni. Il retaggio istituzionale del primo e del secondo conflitto mondiale si è tradotto in una costellazione di organizzazioni specializzate, di cui gli Stati nazionali fanno parte, e il principio che tiene insieme questo sistema prevede che l'opera di tali organizzazioni sia per definizione coerente, in quanto gli Stati che ne fanno parte sono per definizione coerenti.
Questa è la teoria del sistema, ma è chiaro che la realtà non vi corrisponde e che negli interventi in campo ambientale, sanitario, commerciale o sociale a livello mondiale, si riscontrano problemi di sovrapposizione, di coerenza.
Il semplice fatto che gli Stati membri di queste organizzazioni siano coerenti non è sufficiente a reggere il sistema, perché esistono discordanze tra la teoria del sistema e la sua prassi. La nostra difficoltà consiste nel comprendere quale delle due debba essere cambiata.
L'esperienza internazionale da me maturata negli ultimi anni mi ha indotto a ritenere che sia necessario riflettere sulla teoria, perché è quella, probabilmente, a non essere pienamente idonea.
Desidero concludere questa introduzione con qualche considerazione sulla OMC. Con forse eccessiva brevità, supponiamo che il sistema internazionale - come la fisica della materia - conosca tre stati: gassoso, liquido e solido.
Il sistema internazionale westfaliano è lo stato gassoso, il sistema dell'Unione europea è lo stato solido, mentre l'OMC è una via di mezzo tra loro, quindi uno stato liquido. Si tratta di un sistema intergovernativo, di un'organizzazione in cui tutte le decisioni sono prese dai suoi membri, in cui vi è solo l'autorità esecutiva che io esercito in maniera assai limitata. I 149 Stati membri rappresentano il corpo legislativo e decidono con cicli negoziali che si ripetono ogni dieci anni circa, durante i quali si decidono le regole degli scambi mondiali, come gli ostacoli agli scambi alla frontiera e oltre frontiera, quali gli standard, le norme tecniche.
Esiste dunque un corpo legislativo e poi un corpo giudiziario. L'OMC ha avuto una specificità nel paesaggio della governance internazionale, perché per la risoluzione delle controversie dispone di un meccanismo molto potente, che non ha equivalenti nel resto del sistema internazionale, perché le regole del commercio mondiale possono essere applicate tramite dei contenziosi che contrappongono uno Stato membro dell'OMC a un altro Stato, accusato di non rispettare le regole. Il rispetto di tali regole è oggetto di una procedura giudiziaria che può essere anche corredata da sanzioni, la cui attuazione è estremamente specifica.
Sotto un certo profilo, quindi, l'OMC si colloca tra qualcosa di totalmente frammentato, in cui le decisioni sono in toto nelle mani degli Stati sovrani, e un sistema invece più elaborato in cui esiste un grado di vincolo collettivo, in qualche modo sovranazionale.
Questo sistema dell'OMC si fonda sulla specificità. Il mandato che gli Stati membri hanno conferito all'organizzazione è quello di gestire l'apertura degli scambi, basandosi sulla convinzione che in tal modo si contribuisca alla crescita ed al benessere e che il protezionismo, per motivi storici e di teoria economica, abbia dimostrato la sua inefficacia.
Tuttavia, questa volontà di tendere verso l'apertura degli scambi deve essere qualificata, specialmente quando si tratti di articolare l'espansione degli scambi con la tutela di valori o di interessi fondamentali per gli Stati membri dell'OMC, quali la salute o l'ambiente.
Le regole, i codici, la legislazione dell'OMC autorizzano gli Stati membri a istituire ostacoli agli scambi in un certo numero di casi, ad esempio in base a considerazioni sanitario-ambientali. Questo rientra nelle nostre regole e anche nella giurisprudenza del nostro meccanismo di risoluzione delle controversie, e, negli ultimi dieci anni, ci ha indotto a precisare punti non chiari.
Concludo, evidenziando come l'organizzazione mondiale del commercio, che rappresenta un elemento più progredito rispetto ad altri nel paesaggio delle organizzazioni internazionali, si scontri tutta


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via con la gestione della coerenza, in quanto è ormai stabilita la coesistenza dei valori di apertura degli scambi e di quelli della tutela della salute o dell'ambiente.
Da qualche tempo e soprattutto da un anno, stiamo cercando di andare oltre, in un'altra dimensione della coerenza che è essenziale e riguarda l'apertura degli scambi e le questioni dello sviluppo.
Dei 149 membri dell'OMC, tre quarti sono paesi in via di sviluppo, per i quali le questioni di apertura degli scambi rivestono un'enorme importanza, perché è in gioco il loro stesso inserimento. Da questo dipende la loro possibilità di crescita e di riduzione della povertà.
Se riflettiamo sull'ultimo ventennio, riscontriamo esempi felici, come in Asia, esempi assai più inquietanti, come in Africa, ed esempi intermedi, come quanto accaduto in America latina.
All'ordine del giorno del ciclo negoziale, cominciato nel 2001 e che per ora incontra notevoli difficoltà, specialmente a causa del blocco agricolo, in merito alla riduzione delle sovvenzioni che bloccano gli scambi e alle riduzioni alla protezione, abbiamo collocato questo al centro del negoziato, in modo da poter articolare meglio in futuro le questioni dell'apertura degli scambi e dello sviluppo dei paesi che oggi costituiscono la grande maggioranza dei paesi membri dell'OMC.
Questa è una questione di coerenza, che ci ha portato nel corso dello scorso anno e ci porterà negli anni prossimi ad articolare meglio gli aiuti allo sviluppo, per quanto riguarda l'assistenza tecnica e finanziaria e le questioni di sviluppo commerciale. Sarà soprattutto necessario prestare attenzione alla capacità di questi paesi di dotarsi delle infrastrutture o dei sistemi tecnici che consentano loro, una volta rivedute le regole generali - come tentiamo di fare in questo grande negoziato - rispetto a come erano state fissate nel 1994 alla fine del ciclo precedente, di decollare in campi come l'agricoltura, le tariffe industriali, l'apertura dei mercati dei servizi, le sovvenzioni alla pesca, la revisione delle norme anti-dumping. Sorvolo su questi argomenti perché si tratta di questioni tecniche che, eventualmente, riprenderemo.
Questo grande treno negoziale deve essere diretto a creare un sistema più favorevole per i paesi in via di sviluppo di quanto non sia stato in precedenza. Ciò è complesso per tanti motivi, anzitutto perché ovviamente in alcune zone esistono resistenze politiche, specie in campo agricolo. Parliamo di resistenze ad una riduzione delle protezioni o delle sovvenzioni, nella misura in cui esse perturbano gli scambi. Questo è inevitabilmente complicato, anche a causa del fatto che, contrariamente all'opinione diffusa, da questo punto di vista non esiste più un mondo del nord e uno del sud, ma molti nord e molti sud.
Inoltre, mi pare sempre più evidente che la Cina e l'India non facciano più parte della stessa categoria del Senegal o del Laos.
Queste trasformazioni rappresentano una parte di questa nuova geografia di forze, che si va delineando nell'ambito dell'OMC.
Da questo punto di vista - e qui mi fermo per dare tempo alle vostre domande e al dibattito - l'OMC in qualche modo è un crocevia, un laboratorio, un test in cui è in gioco una ricomposizione delle forze economiche e politiche, una parte dei progressi della governance mondiale. Ritengo che questo sia il motivo per cui il successo o il fallimento di questo grande negoziato nei prossimi cinque o dieci anni implicherà una forte ripercussione sull'evoluzione del resto del sistema internazionale. In altri termini, se l'obiettivo deve essere quello di progredire nella gestione della globalizzazione in modo da utilizzarne le forze per il benessere della nostra popolazione, allora è e sarà in gioco nei mesi a venire la riuscita o il fallimento di questo grande negoziato, attualmente fermo sulle questioni agricole. Di qui, l'effetto di sinergia tra le riflessioni che avete lanciato a medio e lungo termine. Tuttavia, è importante sapere anche cosa accadrà a breve termine, e qui il vostro appoggio ci sarà prezioso perché il negoziato


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vada a buon fine. Questo è quanto intendevo evidenziare con estrema semplicità in questa introduzione, così da lasciare spazio al nostro scambio di opinioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Lamy per la sua relazione. Nel dare la parola ai deputati che intendano formulare domande o chiedere precisazioni, invito a contenere i tempi della discussione, considerato che alle 11 dovremo essere in aula.

MARGHERITA BONIVER. Vorrei ringraziare il direttore Pascal Lamy per averci fornito un affresco assolutamente affascinante, non soltanto dell'organizzazione, ma anche delle tensioni che inevitabilmente si registrano quando si affronta - come ha fatto con molta competenza - il problema ancora irrisolto della cosiddetta global governance.
Mi sembra assolutamente imprescindibile il raggiungimento di uno stadio di modernizzazione delle nostre istituzioni. Quando parlo di istituzioni non mi riferisco solo a quelle nazionali, ma anche a quelle europee, che offrono quella visione - da lei descritta con molta efficacia - di stadio gassoso, liquido e solido.
Desidererei conoscere la sua opinione su quali siano le modalità per raggiungere uno stadio più avanzato di modernizzazione delle nostre istituzioni.
La seconda questione che volevo porle è quella, annosa, dell'ingresso della Cina nel WTO, ovvero quello che è sembrato essere un vero terremoto, perché non accompagnato da una severa osservanza di quelle regole che invece il WTO sembrava aver dettato all'ingresso di questa grande potenza economica. Abbiamo visto che le industrie europee, soprattutto nel settore del tessile - ma mi riferisco con una maggiore cognizione di causa a quelle italiane -, hanno sofferto moltissimo di questo ingresso e anche forse di una insufficiente severità nell'osservanza delle norme anti-dumping nei confronti del tessile cinese, che ha invaso il mercato europeo. Anche su questo, volevo sapere se ritiene che la questione, a distanza di qualche anno dall'ingresso della Cina nel WTO, abbia raggiunto un livello più accettabile.

FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Ringrazio anche io il direttore Lamy per la sua esposizione ampia e largamente condivisibile. Lei ha citato Schumpeter e vorrei ricordare che al World economic forum di Davos di qualche anno fa l'allora presidente Clinton pose come elemento centrale, a seguito delle tensioni esplose, il governo anche sociale della globalizzazione. Da allora è passato qualche anno e ho l'impressione che la globalizzazione non sia attualmente quella auspicata dalla sua relazione, ma piuttosto una globalizzazione «arcipelago» in cui si riscontrano grandi isole, come la Cina, l'India e il Brasile, che praticamente si espandono a macchia d'olio.
Credo che l'OMC - e qui vengo alla sua domanda - possa fare molto di più non ragionando esclusivamente in termini di controllo della globalizzazione dal punto di vista del funzionamento del mercato, ma pensando di più ai consumatori.
Vorrei dire che proprio in questi ultimi giorni, in varie parti d'Europa, sono scoppiate polemiche molto feroci per il riso arrivato sugli scaffali dei supermercati.
Il tempo è limitato, ma vorrei ricordare anche il problema delle carni ormonate e della lite feroce tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America. Quindi, ritengo che uno dei compiti dell'OMC sia anche quello di porre maggiore attenzione ai consumatori, visto che in questo processo globale il consumatore è spesso meramente un oggetto cui si impone di acquistare prodotti.
Le chiedo dunque se sia possibile introdurre elementi da parte dell'OMC in questa direzione.

SABINA SINISCALCHI. Grazie, direttore Lamy. Non può immaginare quanto sia grande l'opportunità di averla qui con noi, e mi permetta di esprimerle, innanzitutto, la solidarietà per il gravoso compito che le è stato affidato.
Siamo tutti preoccupati per lo stato in cui si trova oggi l'Organizzazione internazionale


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del commercio e vorremmo chiederle quali ritiene siano le prospettive di questa organizzazione, ossia se riuscirà a realizzare le grandi finalità per cui è stata costituita, ovvero garantire un accesso, su condizioni paritarie, a tutti i paesi e a tutte le economie di questo pianeta.
Desidero fare alcune considerazioni. A mio avviso, esistono delle difficoltà originali nell'Organizzazione mondiale del commercio, derivanti dal fatto che essa non si fonda su un principio di pari opportunità - «uno Stato, un voto» -, perché le decisioni vengono prese nelle green rooms dove i paesi più forti hanno maggior potere contrattuale.
Sappiamo, altresì, che i paesi in via di sviluppo hanno un accesso limitato a questa organizzazione, se non altro perché non riescono ad avere una adeguata rappresentanza a Ginevra. Decine di paesi non hanno neanche un funzionario che siede a Ginevra. Quindi, in fondo, i paesi più forti determinano le scelte della OMC.
Nel caso degli accordi sulle proprietà intellettuali, i paesi dell'OCSE hanno più dell'80 per cento delle royalties dei brevetti e ciò provoca dei danni sociali, dei danni allo sviluppo. Del resto, come lei ha segnalato, è necessario tener conto dello sviluppo quando si guarda al mercato. Parliamo, dunque, di danni allo sviluppo, ad esempio, nella materia dell'accesso ai farmaci.
Le chiediamo quindi quale sia il futuro della OMC, se esso si identifichi con gli accordi bilaterali che il commissario Mandelson sta prospettando, gli EPA (European Partnership Agreements). Siamo molto preoccupati, perché riteniamo che questo rappresenti un'ulteriore restrizione dell'accesso alle pari opportunità dei paesi in via di sviluppo.

VALDO SPINI. Grazie al direttore Lamy. Per sua conoscenza, qualche anno fa sono stato il traduttore italiano della teoria dello sviluppo economico di Schumpeter, e quindi ho molto apprezzato la sua citazione.
Formulerò due domande brevissime. Desidererei sapere se l'idea di un consiglio di sicurezza economico e sociale nell'ONU possa aiutare il WTO, o se invece sia priva di influenze.
La seconda questione si lega a quella riguardante la Cina, perché vorrei sapere come interpretiate il ruolo dell'India.

IACOPO VENIER. Al direttore Lamy rivolgo una domanda forse provocatoria, ma essenziale. Desidero infatti chiedere se esista un futuro per l'Organizzazione mondiale del commercio. Di fronte allo scontro che si è andato allargando e ha visto un'importante parte dei paesi in via di sviluppo al fianco delle organizzazioni che hanno contestato le politiche del WTO, ora assistiamo ad una scelta da parte degli Stati Uniti e dell'Unione europea che mira a preferire gli accordi bilaterali o regionali allo sviluppo di una politica e di un confronto multilaterale. Vorrei quindi sapere se questa organizzazione abbia un futuro, o non sia piuttosto preferibile - come affermato dall'onorevole Spini - ricondurre questa grande questione all'interno del sistema delle Nazioni Unite, dando anche una legittimazione diversa a questo tipo di confronto.
Vorrei una vostra valutazione anche riguardo alla reale esistenza di una sovranità possibile di fronte ad una finanziarizzazione così estrema dell'economia mondiale e a un ruolo così attivo delle multinazionali, che anche nelle decisioni dell'Organizzazione mondiale del commercio incidono molto più di quanto si immagini, e più di molti Stati mondiali.
Infine, vorrei sapere se acqua, scuola e salute possano essere considerate merci e ricondotte direttamente sul piano della liberalizzazione, oppure se si debba riflettere sulla richiesta della sovranità alimentare, della diffusione dei brevetti come elementi fondamentali per quella governance senza la quale non può che verificarsi una competizione selvaggia.
La ringrazio fin da ora per le risposte che mi vorrà dare.

SANDRA CIOFFI. La ringrazio moltissimo, direttore Lamy, di essere intervenuto, perché in questo momento concordiamo


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pienamente con il suo modo di affrontare la globalizzazione, da cui bisogna certamente trarre gli effetti positivi, limitando i danni per i perdenti, con assoluta coerenza rispetto ai valori.
Lei ha citato un meccanismo potentissimo per cercare di limitare questi danni. Mi chiedo in cosa consistano e come questi potenti meccanismi possano limitare i danni di una globalizzazione selvaggia, che colpisce soprattutto i più deboli, come le donne, i giovani, i bambini. Mi riferisco, ad esempio, al lavoro nero dei bambini, al lavoro sottopagato delle donne, alla vera tutela dei diritti umani.
Vorrei inoltre sapere come questo meccanismo di controllo possa aiutare paesi che - come il nostro e tanti altri - vivono attualmente il pericolo della globalizzazione quasi selvaggia di paesi emergenti come la Cina o l'India, come possa garantire una globalizzazione vera, che non colpisca i più deboli.

ALESSANDRO FORLANI. Grazie, dottor Lamy di questa ampia e per noi molto preziosa esposizione. Come da lei segnalato, per svolgere un ruolo di governance mondiale e gestire l'interdipendenza originatasi dalla più rapida e capillare diffusione dell'informazione, dai grandi processi di innovazione tecnologica ai quali abbiamo assistito negli ultimi decenni, realizzando una sorta di coordinamento tra le esigenze di regole generali comuni e la salvaguardia della sovranità degli ordinamenti nazionali, sono necessarie organizzazioni al cui interno gli Stati si rendano disponibili a delegare una quota di sovranità.
Questa era la logica istitutiva delle grandi organizzazioni mondiali che lei ha citato, in particolare dell'Organizzazione mondiale del commercio, nata sotto auspici molto favorevoli e soprattutto sulla base di una diffusa consapevolezza della necessità di un organismo che avesse l'obiettivo - minimale, ma molto importante in un quadro di sviluppo non equilibrato della comunità e dell'economia mondiale - di garantire pari dignità di accesso e regole uniformi per i paesi che si affacciassero ai mercati mondiali.
A distanza di qualche anno dalla sua riconversione rispetto ai vecchi accordi GATT, non mi sembra che l'Organizzazione mondiale del commercio abbia raggiunto l'obiettivo delle pari opportunità di accesso ai mercati, né quello della creazione di regole comuni per l'approccio ai mercati da parte degli operatori dei singoli Stati. Da un lato si assiste al persistere dei sussidi, per esempio delle produzioni agricole, che penalizzano e talvolta vanificano l'accesso ai mercati mondiali dei prodotti agricoli dei paesi più poveri, che rappresentano molto spesso la gran parte della loro economia e della loro produzione ...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ALESSANDRO FORLANI. Ho concluso, presidente. Da una parte non è stato dunque garantito l'accesso dei paesi poveri ai mercati, dall'altra non sono state stabilite regole comuni, perché negli stessi mercati esistono produzioni realizzate secondo regole molto diverse, stabilite dagli ordinamenti nazionali sul piano fiscale, lavorativo, ambientale e sanitario. Si tratta pertanto di una competizione basata su disparità, non equità di condizioni. Mi sembra quindi che nessuno dei due obiettivi sia stato finora raggiunto dall'organizzazione.

RAFFAELLO DE BRASI. Grazie, direttore Lamy. Lei ha parlato della necessità di un cambio della teoria e desidererei sapere se intendesse riferirsi a una maggiore sovranità globale, e ad una minore sovranità nazionale e minore specializzazione internazionale degli organismi. Vorrei inoltre capire a che punto si trovi la citata innovazione politica globale dal punto di vista del confronto delle idee e delle sedi nelle quali si realizza. Se non ho frainteso il suo ragionamento, nel parlare di un maggiore peso di paesi in via di sviluppo come la Cina, l'India, il Brasile, la Russia, si riferiva al riequilibrio di un potere a scapito degli attori che oggi


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possiedono l'egemonia. Da questo punto di vista, la posizione europea mi sembra parte del problema. Lei ha citato l'agricoltura, ma potremmo fare altri esempi.
Vorrei dunque sapere se l'Europa debba ritenersi un ostacolo all'interno di questo nuovo ciclo di negoziati, dove si vorrebbe che la liberalizzazione dei mercati rappresentasse una leva per uno sviluppo più equilibrato.

TANA DE ZULUETA. Le domande poste sono state tante e, ritengo, sufficienti. Vorrei ringraziare anch'io il dottor Lamy e porgli una domanda, che verte sui valori, perché egli ha citato l'ambiente e la salute, ma non il lavoro. Questo è un paradosso storico, visto che il suo ufficio si trova nell'ex Bureau international du travail. Ebbene, dottor Lamy, la sua presenza qui è fondamentale per aggiornarci sull'analisi della governance mondiale, ma rappresenta anche un passo diplomatico per il rilancio del Doha Round. A questo scopo, oggi un giornale italiano riporta una sua dichiarazione, in cui fa esclusivamente appello all'interesse nazionale per chiedere all'Italia di sostenere posizioni più flessibili. Desidererei che ci dicesse a che punto si trova questo negoziato anche rispetto agli altri partner, in particolare agli Stati Uniti.

PIETRO MARCENARO. Volevo semplicemente chiederle cosa ritiene sia accaduto, signor Lamy, in questi anni per indurre il direttore generale del WTO a intervenire scegliendo di parlare non di prezzi, di dogane e di mercati, bensì di istituzioni, di democrazia, di governo e di politica. Vorrei sapere cosa è accaduto in questi anni perché le cose siano cambiate così profondamente.

PRESIDENTE. Do ora la parola al direttore esecutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio, Pascal Lamy, per una replica.

PASCAL LAMY, Direttore esecutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio. Cercherò di rispondere a tutti. Mi pare di aver capito di aver tempo fino alle ore 11. L'onorevole Boniver segnalava che la Cina è entrata nell'OMC con condizioni favorevoli e mi chiedeva se stia rispettando le regole che aveva sottoscritto al suo ingresso. La risposta è affermativa, perché all'ingresso della Cina nell'OMC ha fatto seguito un cambiamento strategico di fondo da parte delle autorità cinesi, consistito nell'accettare l'inserimento dell'economia cinese nel commercio internazionale secondo le regole di quest'ultimo, tanto che la Cina ha dovuto pagare il proprio ingresso nell'OMC a un prezzo elevato in termini di apertura del suo mercato, di riduzione delle protezioni alle importazioni e di cambiamento della propria legislazione e delle proprie regole.
Quindi, questo ingresso è stato positivo. Certo, le esportazioni cinesi sono aumentate, ma come contropartita sono aumentate molto anche le importazioni; basti pensare che quanto esportano oggi l'Europa e gli Stati Uniti raggiunge cifre assolutamente non paragonabili a quelle di una decina d'anni fa. È vero che, come succede per un certo numero di membri dell'OMC - si tratti degli americani, degli europei, dei giapponesi o dei brasiliani -, questa applicazione delle norme non sempre è perfetta, e permangono questioni aperte. Contrariamente a quanto molti ritengono, la Cina è ancora un paese in via di sviluppo, sia pure di taglia gigantesca e quindi, ad esempio, l'attuazione delle norme sulla proprietà intellettuale lascia a desiderare.
Tutto ciò è però sotto sorveglianza, in quanto l'OMC è organizzata per sorvegliare l'attuazione delle proprie norme da parte degli Stati membri. Lo si fa ancor più regolarmente per la Cina piuttosto che per gli altri paesi, attraverso i cosiddetti meccanismi di revisione delle politiche commerciali. Quindi questo aspetto è seguito ed esiste anche un meccanismo di risoluzione delle controversie. Ad esempio, esiste un contenzioso in crescita tra gli Stati Uniti e l'Europa, da una parte, e la Cina, dall'altra, riguardante i problemi di tariffazione delle importazioni dei pezzi di ricambio automobilistici. Questo è uno dei


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campi in cui c'è un contenzioso in vista. Non abbiamo certo raggiunto la perfezione (ne siamo ben lontani) e la Cina non fa eccezione rispetto agli altri, ma nel complesso abbiamo tutti l'interesse a che la crescita di questo paese e la rapidità del suo sviluppo avvengano in condizioni di inserimento all'interno di norme comuni.
Riguardo alla globalizzazione ad arcipelago, mi è stato chiesto dall'onorevole Narducci se l'OMC possa intervenire maggiormente in materia di tutela dei consumatori. La risposta è molto semplice: gli Stati membri dell'OMC sono autorizzati a tutelare la salute dei propri consumatori. L'onorevole ha citato il caso degli ormoni e quello del riso geneticamente modificato. Gli europei, che su questo terreno hanno una concezione particolare della precauzione, non condivisa ad esempio dagli americani, sono autorizzati a tutelare la salute dei loro consumatori, a patto che la loro interpretazione della precauzione porti a dissipare l'inevitabile dubbio che si tratti di protezionismo e non di protezione.
In altri termini, se fornite dati sufficienti a ipotizzare un rischio e se le misure di ostacolo agli scambi - in questo caso un divieto di importazione, come quello praticato dagli europei per le carni agli ormoni o gli OGM - risultano proporzionate al rischio che intendete debellare, rimarrete all'interno delle norme dell'OMC. Solo qualora si verificasse una sproporzione tra ciò che imponete come limite agli scambi e il rischio da evitare, passereste dalla protezione al protezionismo.
Abbiamo regole sugli ostacoli agli scambi, sulle norme sanitarie e fitosanitarie, interpretate nell'ambito del meccanismo di risoluzione delle controversie, e la tutela dei consumatori rientra nel paesaggio che amministriamo.
L'onorevole Siniscalchi mi ha posto quattro domande. Mi ha chiesto se nella governance dell'OMC, nelle nostre norme e procedure esistano pari opportunità. La teoria è che tutti i nostri Stati membri sono uguali e partecipano in maniera paritaria alle decisioni, perché le decisioni all'OMC si prendono consensualmente. All'OMC non c'è un Consiglio di sicurezza, non ci sono membri permanenti o diritti di veto o, per esseri più precisi, se c'è diritto di veto, ce ne sono 149. Sotto questo profilo, siamo al vertice di quanto sia realizzabile in termini di democrazia e pari opportunità nel sistema internazionale.
È vero che ci sono delle green rooms, delle riunioni preparatorie alle riunioni collegiali con tutti i nostri membri, ma i paesi in via di sviluppo sono in esse rappresentati. In ogni green room ci sono 20-30 paesi ed essa funziona come una Commissione di un grande Parlamento formato da 149 Stati membri. Le decisioni del Parlamento a 149, infatti, sono preparate da una Commissione che include - come nel vostro caso i partiti politici - le varie parti del globo, e i paesi in via di sviluppo sono rappresentati nella green room in un rapporto numericamente corrispondente a quello degli Stati membri.
È indispensabile, infatti, preparare le decisioni. Non si può sempre decidere questioni di così grande rilievo e con un impatto così immediato sulla vita di miliardi di persone attraverso un consesso di 149 delegazioni, ognuna delle quali è formata da dieci persone.
Sulla questione relativa alla proprietà intellettuale, in effetti abbiamo un accordo in sede di OMC che tutela la proprietà intellettuale e ricalca, sul piano del diritto commerciale internazionale, quanto esiste nell'ambito dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMP).
Tale accordo si fonda sul concetto che, affinché esista innovazione, occorre tutelare la proprietà intellettuale. Di questo si discute oggi soprattutto per quanto riguarda il software, ma questa è la base dell'accordo.
È vero che vi rientrano i brevetti e la loro remunerazione, ma, in particolare nell'ambito dei medicinali, gli Stati membri, modificando l'anno scorso questo accordo - e il Parlamento italiano dovrà prima o poi affrontare la questione, se tutto non sarà valutato a livello comunitario - sono riusciti ad apportare le necessarie correzioni alla tutela della proprietà


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intellettuale, affinché i paesi in via di sviluppo che non hanno accesso ai medicinali generici possano usufruire delle deroghe necessarie. Questo accordo sulla proprietà intellettuale, dunque, che era stato interpretato come un ostacolo per i paesi in via di sviluppo, è stato modificato in modo tale che essi possano avere accesso ai farmaci generici.
Sulla questione bilaterale-multilaterale ho notato che a luglio, dopo la sospensione dei negoziati, si era diffusa una certa moda del bilateralismo. Personalmente, diffido della moda, pur avendo fiducia nel fatto che, come in passato, possa realizzarsi una posizione di equilibrio tra accordi bilaterali all'interno del sistema e accordi multilaterali. In altri termini, se il bilaterale non è un sostituto, ma un complemento del multilaterale, può essere utile, ma è stato evidenziato l'importante problema per cui, se è vero che l'OMC, che è un grande tavolo multilaterale, garantisce che tutti siano su un piano di uguaglianza o almeno abbiano lo stesso potere negoziale, ciò non può accadere quando gli Stati Uniti o l'Europa o la Cina o l'India negoziano un accordo bilaterale con un paese in via di sviluppo di 20 milioni di abitanti. In quel caso esiste uno squilibrio di rapporti di forza nel bilaterale che è incontestabilmente più accentuato di quanto non sia attorno al tavolo dell'OMC.
Questo d'altronde è uno dei motivi per cui, se il negoziato multilaterale si blocca, la soluzione non può, secondo me, essere fornita dall'accordo bilaterale. L'assenza di multilaterale non sarà compensata affatto dal bilaterale. Se il negoziato si blocca sulle sovvenzioni agricole, se alcuni paesi ricchi hanno difficoltà a ridurre i sussidi agricoli che perturbano gli scambi, questo non può trovare risoluzione sul piano bilaterale, perché è fuori dalla portata di un negoziato di tal genere. Esistono dunque dei rischi.
Ribadisco quindi che, se il bilaterale serve come complemento, è da promuovere, mentre invece, se viene utilizzato come alternativa al multilaterale, rappresenta solo un vicolo cieco.
L'onorevole Spini ha parlato dell'idea di un consiglio di sicurezza economico e sociale.
Ebbene, rispondo a titolo personale perché gli Stati membri non si sono mai pronunciati su questa questione. Sono favorevole non per fedeltà verso colui che ha avanzato questa idea da diversi anni e con il quale ho collaborato, cioè Jacques Delors, ma perché corrisponde all'idea originale di quel che doveva essere il sistema delle Nazioni Unite. Nel momento in cui è stato creato l'ONU, si pensava di dare al Consiglio economico e sociale - il cosiddetto ECOSOC - responsabilità di coordinamento in materia di politica economica e sociale, rendendolo il corrispondente di ciò che rappresenta il Consiglio di sicurezza in materia di mantenimento della pace.
Per ragioni storiche diverse, il Consiglio di sicurezza si è poi sviluppato, mentre l'ECOSOC ha visto affievolirsi la sua importanza; ma dovremmo tornare alle origini e affidare al sistema delle Nazioni Unite una missione di coordinamento e di controllo in questo campo, cosa che, in qualità di direttore generale dell'OMC, riterrei positiva.
A proposito della Cina, altro tema geopolitico molto vasto, è una questione di modelli di sviluppo e sistemi politici completamente diversi. La Cina e l'India saranno gli elefanti del mondo di domani, e nel 2050 valuteremo la storia umana considerando che, dal 1850 al 2050, c'è stato un periodo eccezionale in cui la Cina e l'India non sono stati tali, ma che si è trattato appunto di un'eccezione, di cui tener conto nell'analisi storica.
Mi è stato chiesto se esista un futuro per l'OMC, se gli accordi bilaterali continueranno a prosperare. Penso di aver già risposto a questa domanda: l'importante è che questi accordi bilaterali rispondano alla regola multilaterale, perché i testi affermano che essa è preponderante rispetto a quella bilaterale. Il controllo del rispetto di questo principio non è certo una delle nostre qualità primarie, ma è questo il sistema nel quale dobbiamo continuare ad agire.


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Quanto alla domanda relativa alle multinazionali e agli Stati sovrani, è ovvio che le multinazionali influenzano fortemente il commercio mondiale in questo capitalismo di mercati, e - che ci piaccia o no - è questa la realtà odierna. Nell'OMC, però, non sono le multinazionali che negoziano, bensì gli Stati, e, quando si origina una controversia nell'OMC, non si tratta di una controversia fra una impresa e uno Stato, bensì fra due Stati. Quindi le multinazionali non hanno formalmente accesso al potere decisionale, come invece accade all'interno dell'Unione europea, dove una impresa può sottoporre una controversia alla Corte, o nel Nord America.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA

PASCAL LAMY, Direttore esecutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio. A proposito di salute e istruzione - settori che per l'OMC rientrano nella categoria dei servizi - l'idea generale è che sia auspicabile una apertura degli scambi anche in questo campo. Esistono tuttavia delle riserve di sovranità totali e nessuno nell'OMC può obbligare altri ad aprire il proprio mercato della sanità o della istruzione.
Esistono paesi in cui questi mercati sono aperti e altri in cui non lo sono, in alcuni sono servizi pubblici, in altri sono servizi privati, in altri ancora c'è una copresenza dei servizi privati e pubblici, ma si tratta comunque di una sovranità nazionale.
Se l'Unione europea non vuole aprire i propri mercati ad imprese straniere in materia di sanità, nessuno può obbligarla, come non si può obbligare il Panama, la Bolivia o il Senegal a farlo. Le nostre norme in merito sono chiare.
Quanto alla domanda sul giusto mezzo per disciplinare una globalizzazione a volte selvaggia e che sembra essere sottoposta alla legge della giungla, ci servono delle regole, che tuttavia non sostituiscono la qualità di alcune politiche nazionali, perché alcuni aspetti dipendono dalla responsabilità internazionale, altri rientrano nei sistemi nazionali.
Vorrei rispondere alla domanda sul sociale rivoltami dall'onorevole De Zulueta. È vero, ho parlato di salute e di ambiente e non ho parlato di lavoro, ma l'articolazione dell'apertura degli scambi in materia di promozione della salute e dell'ambiente non è identica alla protezione dei lavoratori, non già perché non esista una organizzazione che se ne occupi - c'è una organizzazione internazionale per il lavoro, una per la sanità e una rete di organizzazioni internazionali per l'ambiente - ma perché la nozione fondamentale di diritto sociale è oggi una questione più relativa, rispetto alla salute o all'ambiente. Questi ultimi, infatti, obbediscono a considerazioni oggettive, a quantità e valori che possono essere misurati, mentre la nozione di diritto sociale è molto più relativa ed è legata a diversi sistemi di valore.
I paesi in via di sviluppo hanno sempre considerato questo un punto di onore, evitando che quello che ritengono il loro vantaggio comparativo - ovvero salari meno elevati, spesso accompagnati anche da una minore produttività - non diventi oggetto dello stesso tipo di tutela a cui sono sottoposte la salute e l'ambiente.
Può essere ritenuto giusto o ingiusto, su questo punto devo essere neutrale, ma esiste comunque una differenza di topografia fra la salute e l'ambiente, da una parte, e le norme sociali, dall'altra. Detto questo, c'è l'Organizzazione internazionale del lavoro che si occupa di vietare il lavoro forzato e il lavoro minorile, di imporre una certa parità salariale tra uomini e donne, di tutelare i diritti sindacali, ed ha il compito di far rispettare le norme.
Forse si chiede perché non sia l'OMC a occuparsene ritenendo che l'OMC abbia denti più affilati rispetto all'Organizzazione del lavoro. Personalmente, però, non ritengo sia nostro compito, ma piuttosto dell'Organizzazione internazionale del lavoro.
L'onorevole Forlani ha evidenziato un punto essenziale, ovvero la difficoltà da parte di molti Stati a delegare la loro


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sovranità. Essi accettano il principio in teoria, ma quando poi, dinanzi a resistenze interne, devono spiegare ai loro cittadini che in nome di questo bisogna far evolvere le cose, la situazione è più complessa, e l'unica soluzione è rappresentata dai negoziati.
L'oggetto del round attuale non è sconvolgere le regole, ma aggiungere alle regole messe a punto durante i round precedenti, dal 1947 al 1994, nuove norme che possano armonizzare la situazione attuale con il mondo dell'innovazione, e l'unico modo per realizzarlo è rappresentato dai negoziati.
In questi negoziati abbiamo stabilito la necessità di ridurre le sovvenzioni che perturbano gli scambi in materia agricola, ma adesso bisogna stabilire di quanto, ed è su questo che il negoziato si è bloccato. L'unico modo per trovare una soluzione è riuscire a concluderlo, perché se il negoziato fallisse, il rischio è quello di ritornare nel mondo commerciale internazionale alle regole del 1994, con tutti gli inconvenienti che questo presupporrebbe, oltre alla grande delusione che ne conseguirebbero nei paesi in via di sviluppo.
Mi è stato chiesto se ci siano innovazioni in corso in materia di governance. Su questo stiamo riflettendo all'interno delle Nazioni Unite. Ci sono vari studi e rapporti richiesti da Kofi Annan, e presto ne discuteremo anche a New York in seno alla famiglia dell'ONU, di cui l'OMC non fa parte giuridicamente, ma politicamente.
Al di là dei circoli accademici, è all'interno di questa famiglia dell'ONU che si pongono i problemi della governance e della coerenza. Il riequilibrio dei poteri, comunque, è in corso, perché vent'anni fa, quando all'OMC gli Stati europei avevano trovato un accordo, non si poteva affermare che il negoziato fosse concluso - interpretazione che sarebbe diplomaticamente scorretta - ma sicuramente risolto.
Oggi ci sono invece l'Africa, l'Indonesia, l'India, il Brasile, l'Egitto che hanno un peso, e questa sorta di bilaterale rappresentato da Stati Uniti ed Europa è ormai concluso, perché nuovi elefanti all'interno di questo sistema hanno oggi posto al tavolo negoziale, ed è per questo che, ad esempio, in materia agricola, il giorno in cui Stati Uniti ed Europa troveranno un accordo, dovranno farne parte anche gli indiani e i brasiliani. È questa la nuova geografia che si è imposta più rapidamente all'OMC rispetto ad altre organizzazioni. Prima abbiamo citato il Consiglio di sicurezza, che da questo punto di vista è obsoleto, almeno nella sua composizione. Questa nuova geografia si è invece imposta all'OMC perché il commercio è vita, quindi le cose si impongono più rapidamente che in altri campi.
Penso di aver risposto a tutte le domande, tranne l'ultima, relativa alle poste in gioco per l'Italia in questo negoziato. Da un punto di vista economico, esse sono molte, perché l'Italia - come del resto l'Unione europea - ha una posizione più offensiva che difensiva e, in materia di apertura dei mercati dei servizi e di riduzione delle tariffe industriali, c'è molto da guadagnare per l'Unione europea, e per l'Italia in particolare, da questi negoziati.
Certo, c'è un prezzo da pagare in materia agricola, ma personalmente lo ritengo modesto, in quanto lo avete già pagato attraverso la riforma europea della PAC.
In altri termini, per il prezzo che avete già pagato attraverso la riforma della PAC, potete, traducendolo in termini di OMC, guadagnare in termini di accesso a nuovi mercati o di miglioramento delle regole del gioco. Questa è la parte più mercantilista, ma c'è anche una dimensione sistemica, cioè il valore di questa polizza di assicurazione collettiva - sottoscritta dai membri dell'OMC contro il protezionismo - che è notevole, perché impedisce il verificarsi di questi incidenti protezionisti.
Esiste poi anche una dimensione politica, alla quale molti di voi hanno fatto riferimento, concernente le relazioni tra nord e sud. Se il negoziato fallisse perché, ad esempio, i paesi del nord non ottemperano alla riduzione delle sovvenzioni delle tariffe agricole, questo potrebbe portare alcuni paesi del sud ad un legittimo atteggiamento di rivendicazione e di recriminazione, che avrebbe conseguenze geopolitiche.


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Ritengo che l'Italia, all'interno dell'Europa, tenuto conto anche della sua frontiera così vicina ad altri continenti - fattore che non riguarda altri paesi europei -, dal punto di vista strategico debba prestare grande attenzione alla questione dello sviluppo. Dunque c'è un aspetto mercantilista, che coinvolge tutti, ma c'è anche un aspetto sistemico e politico, sul quale l'Italia dovrebbe concentrarsi.
Vi ringrazio per l'occasione che mi è stata offerta (Applausi).

PRESIDENTE. Siamo noi che la ringraziamo. L'applauso è molto raro in questa sede, ed è segno di un apprezzamento per la generosità del tempo e la profondità dell'analisi, nonché per aver risposto puntualmente alle nostre domande.
La ringrazio, a nome del presidente Ranieri, che si scusa per essersi dovuto assentare per svolgere un intervento in Assemblea. Mi auguro che il suo soggiorno in Italia sia fruttuoso e lei possa portare avanti con successo il suo mandato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,10.