Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 16,10.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla violazione dei diritti umani nel mondo, l'audizione del dirigente del Collettivo per i diritti umani nel Sahara occidentale, Aminatu Haidar.
Questa audizione si svolge in condizioni particolari, in quanto la posizione della questione di fiducia in Assemblea ha portato a rivedere le iniziative programmate e ad anticipare ad oggi le audizioni previste per la giornata di domani.
Nel salutare e ringraziare per la presenza la signora Aminatu Haidar, preannuncio che al termine di questa riunione comunicheremo quando sarà possibile svolgere la prevista audizione di monsignor Raùl Vera López, in quanto attentiamo di verificare l'orario di arrivo di alcuni aerei.
Do la parola alla signora Aminatu Haidar, dirigente del Collettivo per i diritti umani nel Sahara occidentale, per lo svolgimento della sua relazione.
AMINATU HAIDAR, Dirigente del Collettivo per i diritti umani nel Sahara occidentale. Vi saluto e vi ringrazio per avermi dedicato il vostro tempo. Sarà mio compito mettervi al corrente di quanto sta accadendo attualmente nel territorio occupato nel Sahara occidentale, in particolare per quanto riguarda i diritti umani.
Io difendo i diritti umani. Sono stata anche sostenuta da Amnesty International, in quanto faccio parte di quelle che vengono definite persone scomparse: infatti, per tre anni e sette mesi sono stata tenuta in luoghi segreti, dove ho subito trattamenti crudeli. Quindi, ho potuto rendermi conto del significato di questi orrori sulla mia carne e sulla mia dignità. Ho infatti dovuto subire ogni tipo di tortura psicologica e fisica, sono stata completamente tagliata fuori dal mondo esterno. La mia stessa famiglia mi aveva data per morta, non poteva più nutrire speranze sulla mia sorte.
Nel 1991 sono stata liberata insieme a un gruppo di persone che erano state arrestate insieme a me, il cosiddetto «gruppo della commissione», così chiamato perché era stato rapito poco prima della visita di una Commissione ONU, in preparazione del referendum di autodeterminazione. All'epoca ero una studentessa e, insieme a un gruppo di altri studenti e a un altro centinaio di persone, avevamo deciso di manifestare in maniera pacifica di fronte a questa Commissione, proprio per rivendicare il referendum e per avere notizie sulla sorte di più di cinquecento sahrawi scomparsi dal 1976.
Siamo stati liberati nel giugno del 1991 grazie a pressioni internazionali e anche perché la nostra liberazione faceva parte del piano per il processo di pace, il quale prevedeva, tra le varie condizioni, il rilascio dei detenuti politici, uno scambio di prigionieri e il cessate il fuoco.
Da quell'epoca ad oggi sono stata continuamente umiliata e intimidita, fermata dalla polizia marocchina ogni volta che cercavo di spostarmi sul territorio. Nonostante le molteplici richieste non sono mai riuscita ad ottenere un passaporto. Nel 2001 sono riuscita a trovare un lavoro. Nel 2005, però, mi è stato congelato lo stipendio a causa del mio attivismo nel campo dei diritti umani. La motivazione precisa del congelamento è stata la mia richiesta che fosse celebrata la giornata della donna. Era la prima volta che una donna sahrawi poteva festeggiare la giornata a lei dedicata.
Nel maggio del 2005, grazie all'appoggio di Amnesty International, ho potuto sporgere denuncia al tribunale amministrativo di Agadir in merito alla mia richiesta di passaporto, e finalmente l'ho ottenuto.
Nel giugno del 2005 c'era un gruppo di donne sahrawi che chiedevano notizie dei loro familiari scomparsi. Chiedevano, inoltre, il rilascio dei prigionieri politici detenuti nelle galere marocchine. In base all'articolo 19, in quanto difensore dei diritti umani, ero obbligata ad essere presente a questa manifestazione, per poter sostenere queste famiglie, ma anche per essere testimone delle eventuali violazioni perpetrate dalle forze di polizia.
Questa manifestazione, come le altre, è stata repressa in maniera brutale dalla polizia. Ci sono stati degli scontri spietati con i manifestanti. Io stessa sono stata vittima di questa violenza, di questa tortura. Ho riportato due ferite alla testa, con undici punti di sutura, oltre a diverse fratture costali. Mi hanno lasciato lì per terra, in strada, per ore, coperta di sangue, finché un altro militante per i diritti umani mi ha soccorsa e mi ha portata all'ospedale dove ho ricevuto le prime cure. Subito dopo sono stata nuovamente sequestrata. Sono stata condotta al comando di polizia, dove mi hanno trattenuta tre giorni e tre notti. Ho subito continui interrogatori sulla mia attività nel campo dei diritti umani, sulle mie relazioni con le altre organizzazioni che difendono i diritti umani e anche circa la mia opinione sulla questione del Sahara occidentale. Io non ho mai nascosto nulla, ho anche rilasciato delle interviste ai mass media, nelle quali mi sono sempre dichiarata a favore dell'autodeterminazione.
Dopo questi tre giorni sono stata portata davanti ad un giudice istruttore al quale, però, era stato presentato un dossier completamente falsificato, che non conteneva assolutamente le mie dichiarazioni e che, del resto, io non avevo sottoscritto. Sulla base di questo dossier, il giudice ha ordinato la mia incarcerazione. Sono stata condannata a sette mesi di prigione. Ho anche affrontato uno sciopero della fame di cinquantuno giorni, insieme ad altri trentasette militanti.
Fortunatamente ho avuto il sostegno di alcuni legali internazionali: il giudice Quatrano, di Napoli, un rappresentante di Amnesty International, avvocati spagnoli, francesi e svizzeri. Per evitare la presenza di questi osservatori internazionali al processo, lo stesso è stato rinviato ben sette volte. Questi avvocati internazionali, però, hanno insistito per essere presenti e alla fine ci sono riusciti. La loro presenza ha fatto sì che fosse alleggerita la pena che ho subito. Invece, altri militanti del gruppo di cui parlavo prima a proposito dello sciopero della fame hanno subito addirittura condanne per quindici o venti anni, semplicemente per aver partecipato a una manifestazione pacifica.
Ventiquattro ore prima della mia liberazione hanno avvisato la mia famiglia che sarei stata lasciata in pieno deserto, a trentasei chilometri da El-Ayoun, in tende montate all'ultimo momento. Anche se la mia famiglia doveva spostarsi a trentasei chilometri dalla capitale, la polizia ha circondato la zona con trenta blindati.
Anche in occasione della mia liberazione ci sono state torture e violenze a danno di donne e di giovani venuti semplicemente ad accogliermi, a salutarmi.
Perfino mia figlia, che all'epoca aveva 11 anni, ha dovuto subire un interrogatorio da parte della polizia. Quella che doveva essere una giornata di gioia per lei, perché poteva riabbracciarmi, si è trasformata in una giornata di terrore a causa della polizia.
Dopo questo episodio ho potuto recarmi all'estero. Avendo, infatti, ricevuto un premio per i diritti umani da una fondazione spagnola, le autorità marocchine hanno consentito al mio espatrio. Questo mi ha dato l'occasione di visitare altri paesi europei oltre che gli Stati Uniti e l'Africa del sud, dove ho tentato di sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale sulla gravissima situazione dei diritti umani nel mio paese e sulla tristissima situazione in cui versa il popolo sahrawi, in particolare nelle zone inaccessibili agli osservatori internazionali.
Grazie a questa campagna e all'intervento di numerosi paesi e del Parlamento europeo, le autorità marocchine il 15 novembre mi hanno concesso di rientrare a El-Ayoun, senza ritirarmi il passaporto e senza farmi subire intimidazioni dirette. Hanno continuato, però, con le intimidazioni indirette rivolte ai miei figli e alla mia famiglia. La tortura psicologica continua, dato che ci sono sempre, davanti a casa mia, due macchine della polizia e quattordici agenti. Qualunque spostamento io faccia, sono sempre seguita dalla polizia. Se ricevo la visita di giovani che vengono a parlarmi, questi immediatamente sono portati al commissariato, dove subiscono torture e intimidazioni.
La situazione dei diritti umani, in generale, nel Sahara occidentale, è veramente grave e peggiora di giorno in giorno. Non abbiamo diritti politici e civili, non possiamo creare associazioni, né manifestare pacificamente, esprimerci o circolare liberamente. I difensori dei diritti umani vengono continuamente umiliati, torturati. Per evitare che essi svolgano il loro lavoro, le autorità marocchine rivolgono loro intimidazioni di ogni genere: deportazioni forzate nelle città marocchine, divieto di avere un passaporto, congelamento degli stipendi o licenziamenti ingiusti. Per non parlare, naturalmente, degli arresti ingiustificati e delle torture.
Gli osservatori internazionali sono tenuti lontani. È stato rifiutato, per esempio, l'accesso alla Commissione ad hoc del Parlamento europeo, in risposta a una richiesta di visita avanzata il 6 ottobre 2006. Ci sono state espulsioni di diciassette delegazioni spagnole, tra parlamentari, organizzazioni non governative e giornalisti. Decine di giornalisti vengono continuamente espulsi. L'ultimo caso riguarda Lars Bjork, giornalista svedese, accusato di avere relazioni con i terroristi e per questo trattenuto due giorni al commissariato e interrogato. Tutto questo solo per aver filmato una manifestazione pacifica.
Dal punto di vista economico e sociale, come sapete, il nostro non è un territorio autonomo, ma è molto ricco di risorse naturali. Il popolo sahrawi non può in alcun modo trarre vantaggio da queste ricchezze, perché esse vanno direttamente ad accrescere il patrimonio del regime. In realtà, non ne trae alcun vantaggio neanche il popolo marocchino. Il popolo sahrawi vive, quindi, in totale povertà. Purtroppo, gli accordi tra l'Unione europea e il Marocco mettono a rischio queste ricchezze naturali e, soprattutto, l'esistenza del nostro popolo.
Ci sono stati anche pareri espressi dal Consiglio di sicurezza dell'ONU - in particolare da Hans Corel - ma non vengono rispettati. Continuo a chiedere al presidente del Parlamento europeo che questi pareri vengano almeno utilizzati come arma di pressione sul regime marocchino, per obbligarlo a rispettare i diritti fondamentali del popolo sahrawi.
Oggi il Marocco continua a violare i diritti più elementari del popolo sahrawi e, cosa ancora peggiore, sta portando avanti una politica per spingere i giovani alla migrazione clandestina. Solo nel mese di novembre scorso, 70 giovani sahrawi hanno perso la vita nell'Oceano Atlantico.
Il dramma che viviamo è ogni giorno più profondo. Chiediamo alla comunità internazionale, attraverso voi, di proteggere questa popolazione civile inerme, che
vuole semplicemente manifestare pacificamente per chiedere di vivere come tutti gli altri popoli.
È stata redatta un'importante relazione dalla Commissione ad hoc, incaricata dal Segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, di visitare i nostri territori dal 17 al 19 aprile 2006. La relazione contiene raccomandazioni importanti, ma soprattutto afferma che qualsiasi violazione commessa contro il popolo sahrawi da parte del Marocco è legata al mancato rispetto dell'autodeterminazione. Io, in quanto vittima ma anche sostenitrice dei diritti umani, sono perfettamente d'accordo con queste conclusioni. Posso assicurarvi che, prima di trovare una soluzione definitiva al conflitto, occorre esercitare pressioni sul Marocco, affinché venga garantito almeno il rispetto dei diritti fondamentali del nostro popolo.
Per questo motivo lancio un vero e proprio grido di dolore, rivolgo un appello solenne a nome di tutti quei bambini che, nei territori occupati, non possono vivere la loro infanzia perché continuamente minacciati dalla repressione e dalla tortura. Le scuole sono state addirittura trasformate in commissariati e la presenza della polizia è costante anche nelle scuole. Questo, naturalmente, rappresenta una tortura psicologica sia per i bambini sia per le loro madri.
A nome di tutti i militanti per i diritti umani, vi invito a visitare i territori occupati per constatare direttamente e confermare quanto noi diciamo o, eventualmente, quanto afferma il Marocco.
Considero un'iniziativa lodevole quella di aver creato un Comitato per i diritti umani in seno a questa assemblea. Vorrei invitarvi a istituire una commissione d'inchiesta che si rechi direttamente nei territori occupati. Vorrei chiedervi di mobilitarvi affinché il Marocco rispetti e applichi le convenzioni che ha firmato in materia di diritti umani. Del resto, il Marocco fa anche parte della Commissione dei diritti umani dell'ONU, quindi è tenuto - dovrebbe esserlo - a rispettare queste convenzioni.
Ieri sono stati condannati undici giovani sahrawi, sulla base di accuse assolutamente false, soltanto per aver partecipato a manifestazioni pacifiche e per aver espresso liberamente il proprio sostegno all'autodeterminazione. Sono stati arrestati, inoltre, quattro difensori dei diritti umani.
Vi ringrazio ancora e mi scuso per essermi dilungata, ma dovete capire che si tratta di una sofferenza lunga trent'anni, che non può essere riassunta in qualche minuto.
Sarò comunque lieta di rispondere a vostre eventuali domande.
PRESIDENTE. La ringrazio. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
ALESSANDRO FORLANI. Innanzitutto, ringrazio la signora Haidar per aver voluto partecipare a questa audizione e per la sua ampia esposizione. Ciò che la signora ha detto è sicuramente molto utile ad arricchire la nostra conoscenza della situazione all'interno dei territori ancora occupati dal Marocco, quindi delle condizioni in cui vivono le popolazioni rimaste nel territorio del Sahara occidentale sotto il dominio marocchino.
La relazione ci è utile anche per capire quali sono i margini di un'azione politica, propagandistica e culturale, per la popolazione sahrawi su quei territori, quali sono i livelli di tolleranza - a quanto ci è stato riferito, molto esigui - da parte del regime marocchino.
Personalmente ho partecipato a missioni parlamentari, una in Algeria e una in Marocco, durante le quali si è quasi sempre parlato del problema dell'autodeterminazione del popolo sahrawi e delle sorti dei territori del Sahara occidentale. Durante la missione in Algeria ci siamo recati nei campi di Tindouf a visitare la popolazione insediata in quei territori e abbiamo partecipato a incontri e discussioni sul tema dell'autodeterminazione.
Ricordo che durante la visita in Marocco abbiamo partecipato ad un incontro con una Commissione dei diritti umani
dell'Assemblea legislativa marocchina. Da parte della classe dirigente marocchina abbiamo ricevuto rassicurazioni sul raggiungimento di certi livelli di tutela dei diritti umani sul loro territorio. Si tendeva ad accreditare lo Stato marocchino come uno dei paesi islamici in cui appare più avanzata la cultura dei diritti umani e della democrazia parlamentare. In Marocco c'è un Parlamento, ci sono dei partiti e un Governo espressione del voto dei cittadini. Il Parlamento ha un margine di sovranità probabilmente minore rispetto alle democrazie occidentali, ma c'è un sistema di democrazia rappresentativa e, almeno a parole, ci è stata manifestata una concezione avanzata dei diritti umani.
A maggior ragione, sono ancora più sconcertanti i suoi racconti circa le violenze perpetrate, proprio da parte di organi di polizia, a El-Ayoun o, comunque, nei territori occupati. Certo, più volte ne avevamo avuto la percezione, attraverso notizie e lettere che denunciavano episodi di questo tipo.
Vorrei sapere se, al di là dell'attenzione degli osservatori nazionali e della tutela di giuristi internazionali che partecipano a questi processi, per i sahrawi che vivono nei territori occupati - per coloro che, sotto il dominio marocchino, sono in qualche modo perseguitati in virtù delle opinioni espresse, delle manifestazioni cui partecipano, dell'impegno politico - siano previste forme di tutela all'interno del sistema giudiziario marocchino, istanze più elevate di giurisdizione cui rivolgersi per invocare una tutela rispetto a queste violazioni, violenze e prevaricazioni. Insomma, chiedo se, all'interno del sistema giudiziario marocchino, ci siano autorità in grado di intervenire rispetto a queste azioni. Lo ripeto, in tal senso ci erano state date alcune garanzie e rassicurazioni.
Chiediamo, per avere un'idea sul reale atteggiarsi di quel Governo e di quel regime, se veramente all'interno del sistema siano possibili forme di tutela o se, invece, la condizione dei dissidenti a questo punto possa soltanto essere confortata e sostenuta dalle pressioni internazionali, dalla nostra solidarietà.
Vorremmo capire quale può essere l'effetto e il riscontro della nostra continua pressione e sollecitazione sulle autorità marocchine rispetto al problema dei sahrawi - non soltanto delle popolazioni sahrawi presenti sul territorio marocchino o comunque occupato dal Marocco, ma anche di coloro che sono in esilio in Algeria - e rispetto ai futuri processi di autodeterminazione e alla futura possibilità di reintegrare l'intera popolazione sahrawi su un territorio dove possa godere della necessaria e dovuta libertà.
IACOPO VENIER. Anch'io voglio rivolgere il più caloroso benvenuto alla nostra ospite ed esprimere la solidarietà del mio partito e mia personale per la terribile vicenda che ella ha vissuto in questi anni di militanza politica dalla parte dei diritti umani e politici del suo popolo.
Ringrazio la signora Haidar anche per aver raccontato, attraverso la sua vicenda personale, la condizione di un popolo che vive sotto occupazione, concentrandosi sulla situazione di coloro che versano in questa condizione. Questa è la sede del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati ed è opportuno non aprire una discussione generale intorno al conflitto in corso, ma concentrarsi sulla situazione delle popolazioni che vivono sotto occupazione.
Non possiamo dimenticare che la situazione chiama in causa la responsabilità delle Nazioni Unite, perché il Sahara occidentale vive un inconcluso processo di decolonizzazione. L'occupazione del Marocco nel Sahara occidentale non può essere, per principio, accettata come un dato di fatto; tra l'altro esiste un accordo delle Nazione Unite che prevede il principale dei diritti politici di un popolo, ossia l'autodeterminazione attraverso referendum.
È molto grave che da parte del Marocco non si sia accolta la volontà del popolo sahrawi, dentro e fuori le zone occupate, di scegliere la via della politica: quello che ci è stato chiesto è un intervento per garantire la possibilità di condurre politicamente una lotta. Si accusano
coloro che domandano di poter agire politicamente, che chiedono uno spazio democratico, uno spazio politico, di essere dei terroristi. La signora Haidar è stata perseguitata in molti modi ed è stata accusata di propagandare una causa terroristica. Coloro che hanno rapporti con le organizzazioni per i diritti umani del popolo sahrawi vengono chiamati amici dei terroristi.
Questo è un punto politico importante, poiché si chiede alla comunità internazionale di verificare le condizioni di vita di quelle popolazioni e di confrontarle con quanto sostenuto dal Marocco.
Il Marocco non è assolutamente credibile quando parla di processi di riconoscimento di un'autonomia nello Stato marocchino, poiché non concede diritti politici e culturali al popolo sahrawi, dunque nega che questa proposta possa rappresentare una soluzione. È evidente che siamo in presenza di un processo che porterà all'assorbimento di quella popolazione.
Per quanto mi riguarda, chiedo al presidente e, per suo tramite, alla Commissione esteri, di calendarizzare una missione nei territori occupati, che tenga conto dei diritti umani e non di una discussione più generale sull'applicazione degli accordi di pace. Attraverso questa missione potremmo fare chiarezza su ciò che sta accadendo in quella martoriata parte del mondo.
RAMON MANTOVANI. Anch'io ringrazio la signora Haidar per la sua testimonianza ed esprimo la solidarietà personale e di tutti noi per i trattamenti denunciati.
Le rivolgerò solamente due domande. L'inviato speciale di Kofi Annan, circa due anni fa, ha formulato una proposta. Vorrei sapere se, dal momento che le autorità marocchine non hanno accettato di accedere alla via negoziale per la soluzione del conflitto, la condizione dei diritti umani, civili e politici nei territori occupati sia migliorata o peggiorata. In altre parole, vorrei sapere se le violazioni dei diritti umani siano semplicemente da attribuirsi ad una vocazione repressiva del Governo marocchino o siano usate come leva all'interno di una discussione più generale per la soluzione del conflitto.
In secondo luogo, lei ha detto di essersi recata in altri paesi europei, negli Stati Uniti e in Sudafrica, dove ha reso note le denunce sulle violazioni dei diritti umani. Le chiedo se abbia notizia di attività di altri Parlamenti, con i quali lei è entrata in contatto, che sono risultate utili alla soluzione di questo problema. Se sì, quali? Per noi può essere interessante conoscere, oltre che l'esperienza di altri Parlamenti, anche la sua opinione sull'attività degli stessi, per capire quali iniziative possiamo mettere in campo per quanto ci riguarda.
TANA DE ZULUETA. I colleghi Venier e Mantovani, che mi hanno preceduto, hanno espresso osservazioni che condivido.
Anch'io voglio ringraziare la signora Aminatu Haidar per la sua testimonianza. La ringrazio per quello che ha avuto il coraggio di dire e di fare. Aver intrapreso questo percorso, come lei ha fatto, partendo dalla tutela dei diritti dei propri concittadini, è molto importante; ed è un percorso al quale noi possiamo dare seguito, come ha suggerito l'onorevole Venier. Qualsiasi negoziato politico deve partire da questa base, cioè dal pieno riconoscimento e dalla piena tutela dei diritti dei cittadini del Sahara.
Lei ci ha riferito episodi recenti molto preoccupanti. Questi episodi rappresentano un segnale negativo, in quanto il Governo marocchino sta tentando, in questa fase, di dare credito ad un approccio diverso, ad un approccio politico. Quello che lei ha detto ci fa capire che a questo approccio manca una base legale, poiché è assente la tutela dei diritti dei cittadini.
Pertanto, mi associo alla richiesta dell'onorevole Venier.
PRESIDENTE. Do nuovamente la parola alla signora Aminatu Haidar per la replica.
AMINATU HAIDAR, Dirigente del Collettivo per i diritti umani nel Sahara occidentale. La
giustizia marocchina purtroppo non fa nulla, anche perché riceve sempre istruzioni dall'alto, dalla centrale di Rabat, dai responsabili diretti della sicurezza del Marocco. Ci sono state centinaia di denunce di torture, ma ad esse non è mai stato dato seguito.
C'è stato anche un tristissimo episodio nell'ottobre del 2005. Nel corso di una manifestazione, infatti, il giovane Lmbarki Hamdi è stato ucciso da due poliziotti, i quali non sono mai stati giudicati. È vero che, a seguito delle pressioni internazionali, i due poliziotti sono stati arrestati e attualmente restano in carcere in ottime condizioni - non paragonabili a quanto ho dovuto subire io durante la prigionia - e non hanno ancora subito alcuna condanna.
La giustizia marocchina è letteralmente coinvolta nelle violazioni dei diritti umani. Lo posso confermare anche attraverso l'invio delle denunce che sono state avanzate, di foto e altri documenti a sostegno di quanto affermo.
Esistono anche relazioni di osservatori internazionali svizzeri, spagnoli e francesi che hanno assistito ai processi e che confermano come in Marocco non esista una giustizia. Molto recentemente, il 15 gennaio 2007, il giudice Quatrano ha pubblicato una relazione su un processo tenutosi a Smara, da cui emerge una giustizia strumentalizzata, in cui le sentenze si basano su accuse assolutamente false condannando in realtà detenuti politici, come possono confermare anche gli avvocati sahrawi.
Del resto, anche le condizioni in cui si svolge il processo non rispondono a criteri di giustizia perché la polizia è sempre presente e il giorno della sentenza il tribunale viene addirittura circondato da agenti. I familiari dei detenuti non sono ammessi al processo e subiscono persino violenze di fronte al tribunale.
Posso dunque confermare che la situazione dei diritti umani peggiora ogni giorno, perché il popolo sahrawi lotta incessantemente per l'esercizio del diritto all'autodeterminazione, laddove il Marocco vuole obbligarlo a riconoscersi marocchino e ad accettare solo una forma di autonomia. Se tale conflitto non troverà soluzione, le violazioni continueranno e la propaganda marocchina che afferma di aver concesso il diritto a manifestare pacificamente o a creare associazioni può essere facilmente smentita.
Se non ci sarà un referendum e quindi non si individuerà la soluzione a questo problema, sono certa che le violazioni continueranno, come confermato anche dalle commissioni che hanno visitato i nostri territori. Del resto, esistono esempi molto recenti ed eloquenti. L'11 marzo, a Dakhla, 40 persone sono state vittime di torture a seguito di una manifestazione e tra queste vi erano anche alcuni parlamentari sahrawi eletti al Parlamento marocchino. Il 12 a El-Ayoun una manifestazione di ragazzini di 12-14 anni è stata repressa. Il 14 all'università di Marrakech ci sono state repressioni a danno di studenti che avevano promosso una giornata di solidarietà con il popolo sahrawi, denunciando anche la diminuzione degli aiuti umanitari a suo favore.
Questo conferma dunque come la repressione e le detenzioni arbitrarie continuino e come la situazione dei diritti umani non possa migliorare senza un intervento internazionale e una comune pressione sul Marocco.
Mi è stato anche chiesto di eventuali interventi di altri parlamentari in nostro favore. L'Africa del sud recentemente ha emesso una risoluzione in cui si chiedeva il referendum di autodeterminazione e il rispetto dei diritti umani del popolo sahrawi; lo stesso ha fatto il Parlamento spagnolo. Ho anche visitato il vostro Parlamento nel giugno 2006 e il Presidente mi aveva assicurato che sarebbe intervenuto chiedendo al Governo del Marocco la protezione dei diritti umani del nostro popolo e l'autodeterminazione.
Alcuni parlamentari statunitensi hanno inviato una lettera a Condoleeza Rice chiedendo di intervenire e di fare pressioni sul Marocco, affinché fosse assicurata la protezione dei diritti umani e lo svolgimento del referendum. In questa lettera, la Francia è stata accusata di complicità.
Il 25 o 26 ottobre 2005 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui si chiede la protezione dei diritti umani del popolo sahrawi, la liberazione di detenuti politici e il rispetto del diritto all'autodeterminazione.
Sulla base di questa risoluzione, è stata creata la commissione ad hoc per visitare i campi profughi, ma il 6 ottobre 2006, ventiquattro ore prima della visita nei territori occupati, le autorità marocchine hanno rifiutato l'accesso.
GIORGIO CARTA. Poiché sono arrivato in ritardo, mi sono riproposto di ascoltare la signora e di non ribadire le considerazioni di altri sulla solidarietà.
Ritengo che la presidenza possa promuovere, oltre che in sede ONU e Unione europea, anche nell'ambito di iniziative internazionali, quali la Conferenza dei paesi del Mediterraneo che si occupa di problemi di natura economica con accordi anche parziali e bilaterali, l'introduzione di un criterio che collochi alla loro base i diritti umani, su cui peraltro si innestano problemi politici e di ordine generale.
I problemi politici riguardano i rapporti con il Marocco e con i paesi caratterizzati da diverse etnie che vogliano giungere all'autodeterminazione, fenomeno non esclusivo di questo popolo, bensì diffuso in numerose parti del mondo, anche ad est. Tale rapporto tuttavia non può essere considerato solo in funzione del conflitto interno, ma implica in generale i diritti umani da collocare alla base di qualsiasi accordo e di qualsiasi contesto internazionale.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Carta. Ringrazio ancora la signora Aminatu Haidar. Quanto appena rilevato dall'onorevole Carta è estremamente importante, perché spesso affrontiamo il problema dell'equilibrio da stabilire fra le relazioni internazionali e il rispetto dei diritti umani come uno dei criteri di orientamento delle scelte di politica estera.
Alla signora Haidar vorrei esprimere tre considerazioni. La prima è che, per quanto riguarda il comitato sulla questione del Sahara occidentale, esiste continuità di attenzione. Nel passato è stato un problema all'attenzione di questo Comitato e ritengo dovrà esserlo anche in futuro, perché in esso c'è un impegno in tal senso.
In secondo luogo, come ricordato dall'onorevole Venier, questa sede focalizza la propria attenzione sulla questione dei diritti umani, sebbene dalla discussione sia emerso il rapporto, sottolineato anche dalla signora Haidar, fra la questione dei diritti umani e i problemi dell'autodeterminazione e della soluzione politica, e quindi dell'iniziativa volta in questa direzione. Siamo attenti ad entrambi i campi e tentiamo di sostenere le posizioni delle organizzazioni internazionali, ritenendo però che queste non debbano sostituire, bensì favorire il dialogo e il negoziato diretto fra le parti in causa, che rimane una delle chiavi per risolvere i problemi.
Infine, accogliendo una richiesta della signora Haidar ripresa da altri parlamentari, esamineremo la possibilità di prevedere una missione del nostro Comitato, valutando le modalità in cui possa svolgersi.
La ringrazio nuovamente moltissimo per la sua testimonianza e per la sua presenza. Dichiaro conclusa l'audizione.
Informo i colleghi che ci sono stati ritardi aerei, ma ora monsignor Raúl Vera López sta raggiungendo la nostra sede. Sospendo quindi la seduta, che riprenderà alle 18,10 con l'audizione di Monsignor Raùl Vera López.
La seduta, sospesa alle 17,30, è ripresa alle 18,10.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla violazione dei diritti umani nel mondo, l'audizione del dirigente del Centro per i diritti umani «Fray Bartolomé de Las Casas», monsignor Raúl Vera López.
Do il benvenuto a monsignor Vera López, che ascoltiamo molto volentieri. Gli do quindi la parola per lo svolgimento della relazione.
RAÙL VERA LÓPEZ, Dirigente del Centro per i diritti umani «Fray Bartolomé de Las Casas». Vi ringrazio molto. Tenterò di utilizzare il poco italiano che ho imparato: grazie ai tre anni di studi svolti qui e alla vicinanza che ho da lungo tempo con l'Italia, mi rimane ancora un po' di conoscenza della lingua. Vi ringrazio di cuore per avermi concesso questa opportunità, perché siamo molto preoccupati per la situazione del Messico.
Sono presidente del Centro di animazione per le missioni indigene e pochi giorni fa ci siamo riuniti con circa 60 persone, tra cui alcuni che lavorano con gli indigeni, ma il 70 per cento era costituito da indigeni. Abbiamo ascoltato numerosi racconti che testimoniano come nel Messico si stia diffondendo verso la popolazione un atteggiamento ufficiale caratterizzato da durezza e da - non trovo un'altra parola - autoritarismo.
Comincio da un episodio recente. Tre settimane fa un gruppo di militari, che adesso sono ovunque per fronteggiare il narcotraffico - si rivela estremamente pericoloso che i militari assumano il ruolo proprio della polizia nella questione del narcotraffico -, in una comunità dello stato di Veracruz chiamata Zongolica ha assalito un'anziana di 78 anni e l'ha violata. Quest'anziana era un'indigena che controllava il suo gregge di pecore, parlava il nahuatl e nella sua lingua ha raccontato l'accaduto agli indigeni che l'hanno trovata. È stata ricoverata prima in un piccolo ospedale, successivamente sono intervenute le autorità e l'hanno portata in un ospedale più grande, ma la signora è morta dopo meno di 24 ore dalla violenza. È stata avviata un'indagine investigativa e pochi giorni fa il Presidente della Repubblica ha pubblicamente affermato che la signora sarebbe morta a causa di una gastrite molto avanzata.
Sin dall'inizio del regime di Calderon, l'esercito ha rivestito un ruolo molto importante per lui, che ha sorpreso l'opinione pubblica vestendosi da militare. Poche settimane dopo la sua elezione, è apparso totalmente vestito in abiti da campagna, non solo il cappello, ma anche la giacca e tutto il resto. È stata un'immagine molto negativa. La percentuale di aumento del salario dei lavoratori messicani non è arrivata neanche all'1 per cento, mentre all'esercito egli ha aumentato lo stipendio del 10 per cento. Questi messaggi sono molto pericolosi.
L'11 luglio dello scorso anno, poco dopo le elezioni presidenziali tenutesi il 2, nel villaggio di Castagnus, nella mia diocesi, una notte un gruppo di venti militari, che sorvegliava le schede delle votazioni, si è recato in una zona dove si trovano prostitute - in Messico «zona di tolleranza» - e ha costretto le donne a sottostare ai suoi voleri, obbligandole a ballare e violandole. Due donne hanno raccontato di essere state violentate contemporaneamente una da tre soldati e l'altra da cinque. Sono donne della mia diocesi, con le quali ho parlato direttamente tre giorni dopo; ho ascoltato tutto il racconto e come diocesi, insieme con il centro dei diritti umani presente nella diocesi, abbiamo protestato e informato dell'accaduto i gruppi per la difesa dei diritti umani a livello internazionale. Abbiamo convinto queste donne a sporgere denuncia e, in seguito a questa denuncia, sono andati in carcere otto soldati. Era la prima volta che soldati violentatori finivano in prigione.
Vi racconto questo perché attualmente siamo alla fine del processo: una delle donne si è presentata in tribunale e ha dichiarato che una mia collaboratrice le avrebbe offerto 200 pesos, che equivalgono a 20 dollari, circa 17 euro, perché dichiarasse di essere stata violentata. Esiste però la documentazione della violenza, con le prove, le verifiche ed i testimoni necessari. Le ragazze non volevano sporgere denuncia, però le abbiamo convinte poco dopo l'accaduto.
È molto strano che, un giorno dopo la vicenda di Zongolica in cui un'anziana è stata violentata sempre da soldati - la notizia è stata diffusa a livello nazionale
confrontando i due episodi -, questa ragazza, che prima non voleva presentarsi in giudizio, si sia presentata ed abbia accusato la diocesi attraverso una persona che le avrebbe offerto soldi per dichiarare il falso. La ragazza accusa anche un'avvocatessa, che appartiene ad un gruppo di difesa delle donne, di averle dato 50 dollari per lo stesso motivo. Abbiamo saputo che la ragazza aveva ricevuto molto danaro per dichiarare questo, ma tutto ciò in seguito alla vicenda di Zongolica. È molto spiacevole l'atteggiamento a cui stiamo assistendo da parte dei militari.
Per quanto riguarda la questione del narcotraffico, si è aperto il fuoco tra i militari ed i narcotrafficanti, ma i narcotrafficanti stanno rispondendo, uccidendo molte persone. Questa mi sembra una questione molto delicata. L'atteggiamento del Presidente di appoggiarsi all'esercito è stato evidente immediatamente, all'indomani delle elezioni. È stato redatto anche l'elenco di quante volte sia apparso insieme all'esercito, di quante volte abbia pranzato o fatto colazione in compagnia dei militari. Questo è molto pericoloso, ma viene motivato con la consapevolezza del Presidente di essere arrivato debole all'elezione, come testimoniano numerosi indizi di brogli.
Nella mia diocesi ho appreso notizie molto chiare direttamente dalle persone che sono andate a denunciare i fatti a Torreón, città importante dove c'è un'altra diocesi, ma che si trova nello stesso Stato, Coahuila. Torreón ha due distretti elettorali in cui sono stati allestiti mille seggi.
Un avvocato mio amico - non perché sia di Saltillo, ma perché sua moglie, mia cara amica, è dello Stato di Guerrero, dove sono stato vescovo per 8 anni - è venuto insieme ad un altro avvocato a sporgere denuncia. Hanno controllato i verbali di ogni seggio, in una settimana hanno revisionato mille verbali. Questo ragazzo mi ha detto che 400 verbali erano stati manomessi, perché riportavano o più voti o meno voti, ovvero la somma finale delle schede di questi seggi non corrispondeva al numero dei votanti. Hanno quindi riscontrato una differenza di 6 o 7 voti in più o in meno, laddove è noto come il signor Calderòn abbia vinto solo per 1-1,5 voti in ogni seggio.
Questo fatto è emerso senza che io abbia indagato, solo perché sono miei amici, li ho incontrati e mi hanno raccontato di essere stati in Coahuila, a Torreón, e di aver sporto denuncia.
Nella sede di Saltillo, dove vivo, sono accaduti altri due episodi. Soltanto 2 deputati del PRI hanno vinto in Coahuila. Uno di loro ha ricevuto la notizia che aveva vinto con un numero preciso di voti, ad esempio 100, e non ha creduto a questo numero: «Cento? Almeno ditemi 105, 102, 93! No, non vi credo». Nel distretto gli hanno quindi proposto di prendere a campione 3 seggi dove aveva vinto e 3 dove aveva perso, di aprire le urne e di contare le schede. E nei 6 seggi aveva vinto.
Le elezioni dunque sono avvenute in questo modo. Alla fine l'istituto elettorale aveva annunciato che erano state già contate le schede nel 99,6 per cento dei seggi, per 39 milioni di votanti; prima avevano comunicato che aveva votato il 59,9 per cento dei votanti. Quelli dell'opposizione, che stavano perdendo, hanno rilevato come il 59,9 per cento equivalesse a 42 milioni, laddove invece si stavano riportando i dati di 39 milioni di votanti, quindi ne mancavano altri 3 milioni. Il giorno dopo le elezioni, l'istituto elettorale ha subito dichiarato che non si trattava di 3 milioni, ma di 2,5 milioni di voti che erano dubbi, per cui erano stati accantonati. Perché non è stato detto subito? Era stato detto che era stato computato il 99,6 per cento dei voti.
Ho studiato ingegneria e quindi conosco un poco di statistica. Risulta che la differenza tra Felipe Calderòn e il suo oppositore Lopez Obrador durante tutto il conteggio non è arrivata a superare il 4 per cento iniziale. Dopo, infatti, si è ridotta all'1 per cento ed è finita allo 0,58 per cento, ma per la maggior parte del conteggio è rimasta nella media dell'1 per cento. Hanno poi comunicato il risultato dei 2,5 milioni di voti: il 38 per cento per
il partito della coalizione, il 34 per cento per il partito rivoluzionario e il 28 per cento per Calderon.
Quella sera tornavo dal deserto e avevo con me la calcolatrice: ho calcolato come quei 2,5 milioni di voti rappresentassero il 5,9 per cento dei voti totali e ci fosse totale disparità rispetto alle percentuali ricavate dal conteggio fatto al computer, che aveva evidenziato una differenza dell'1 per cento. Considerando come ad un gruppo di conteggio rapido sia sufficiente l'8 per cento per valutare l'intero sistema, poiché avevamo un campione del 6 per cento da cui si evincevano dati totalmente opposti, ho capito che avremmo avuto guai con queste elezioni.
La mia interpretazione dell'attuale situazione del Messico è che Calderon non si sente sicuro e perciò sta appoggiandosi all'esercito. L'obiettivo di perseguire i cartelli del narcotraffico deve essere affiancato da una campagna di detenzione delle persone che si occupano del riciclaggio del denaro, perché i cartelli non potrebbero raggiungere questo potere nel paese se non godessero della copertura di alti funzionari. Si rileva dunque un apparato d'immagine. Tutti lamentiamo la situazione e un eccessivo potere assunto dall'esercito, aspetto che ritengo il più grave.
Ho portato qui un elenco: il caso di Atenco, che voi senz'altro conoscete bene, il caso di Lydia Cacho, il caso di Guahaca, nella mia diocesi il caso della miniera Pastas de Conchos, in cui sono stati sepolti 65 minatori il 19 febbraio dell'anno scorso. A un anno di distanza, i corpi non sono stati ancora estratti. Con il dipartimento pastorale del lavoro, che ho presieduto fino allo scorso novembre e di cui sono ancora membro, abbiamo compiuto un enorme sforzo per riuscire a far capire come stanno le cose. Nella miniera si diceva sempre: i minatori sono i colpevoli perché sono imprudenti e per questo le mine esplodono. La mina è esplosa il 19 febbraio dell'anno scorso. Abbiamo condotto un'indagine con i minatori e abbiamo evidenziato come la miniera fosse totalmente fuori dalle regole: l'organizzazione responsabile della miniera non aveva ottemperato alle norme di sicurezza, motivo per cui, al momento dell'esplosione, è crollato tutto.
Se anche qualche minatore fosse rimasto solo ferito, non sarebbe uscito dal tunnel della miniera, perché esso non aveva un'impalcatura di acciaio: gli archi erano tutti separati, non avevano alcuna struttura di collegamento tra loro, che, in caso di esplosione, permettesse lo scuotimento evitando il crollo.
Tali condizioni sono emerse dalla nostra indagine. Finalmente, dopo tredici mesi è stato spiccato un mandato di cattura per cinque impiegati, ma nessuno dei padroni della miniera è stato citato, anche perché quattro consiglieri d'amministrazione fanno parte della fondazione in favore dei poveri Vamos Mexico, fondata dalla moglie del Presidente Fox, Martha Sahagùn. Poiché si trattava di suoi compagni, non è stato fatto niente contro di loro. E noi abbiamo protestato fortissimamente. Questa situazione evidenzia come la questione dei diritti umani sia ancora priva di un referente etico solido.
Il signor Calderon ha promesso di essere il Presidente dell'occupazione. Qual è la prima cosa che succede? Il salario minimo scende a meno dell'1 per cento. E tutti abbiamo detto: è così che c'è l'occupazione?
Un altro aspetto molto delicato di cui siamo testimoni nella parte nord è il trattamento riservato ai ragazzi che migrano dal centro America e che devono attraversare il Messico. Prima del mandato presidenziale di Calderon, questi giovani migranti godevano di una certa libertà. Essi si spostano soprattutto in treno e la polizia ferroviaria, che non dipende più dallo Stato ma da privati, viola le ragazze e le butta persino dal treno. Abbiamo accolto tanti mutilati; quattro anni fa tre ragazzi sono stati uccisi nella mia zona. I soldati all'ingresso della frontiera meridionale violano la maggior parte delle donne. Tutto questo avviene da un po' di tempo. Posso fornirvi un film, a cui ho collaborato per far conoscere questa sofferenza.
L'istituto nazionale che si occupa dell'immigrazione prima svolgeva un ruolo
più efficace ed esisteva una difesa per questi ragazzi, mentre oggi, da quando vige questo regime, effettua solo retate contro i centro-americani, apertamente. Oggi si riscontra molta durezza. Il segretario di Governo scelto da Calderon è una persona divenuta tristemente famosa per la repressione dei ragazzi che hanno manifestato contro la globalizzazione nell'incontro sull'economia tenutosi a Guadalajara tre o quattro anni fa. Il segretario di Governo ha messo in carcere questi ragazzi, ha violato i loro diritti umani ed è stato accusato di tanti misfatti. È un uomo duro, che usa questi metodi.
La diagnosi del CENAMI (Centro nazionale di aiuto alle missioni indigene) è che il futuro per i poveri, nel Messico, sarà ancora più repressivo.
Procedo a ritroso, dal presente al passato. Quanto ai fatti di Guahaca, ho ascoltato le sofferenze delle persone, dei civili ingiustamente coinvolti. Nel caso di Lydia Cacho, sono stati registrati i dialoghi del governatore di Puebla con una persona che la Cacho ha denunciato nei suoi articoli e in un libro perché implicata con un pedofilo che possiede centri turistici e alberghi in cui si offrono ragazzi e bambini per la prostituzione. Esiste una catena di pedofili.
La giornalista ha denunciato tutto questo e il governatore di Puebla l'ha fatta prelevare e l'ha minacciata. Esistono registrazioni delle sue conversazioni telefoniche con la persona accusata, in cui il governatore chiedeva che la ragazza fosse messa a tacere; l'interlocutore ha assicurato il suo intervento e il governatore gli ha offerto due bottiglie di cognac. Questo governatore, tuttavia, è stato coperto da tutti i deputati del PRI nel Congresso, quando è stato chiesto un giudizio politico e si esigevano le sue dimissioni.
Il suo è un atteggiamento dittatoriale di continua violazione dei diritti umani. In seguito all'episodio di Guahaca, 365 organizzazioni sociali si sono coalizzate contro di lui. Avevano cominciato i maestri ma, poiché è intervenuto contro di loro, 365 organizzazioni sociali si sono schierate contro di lui, a favore della promozione di quel popolo, perché esiste una forte tradizione indigena a Guahaca e tanta gente lavora per combattere la povertà diffusa. Queste organizzazioni avevano inutilmente chiesto aiuto al governatore. Quando i maestri hanno chiesto di equiparare i loro stipendi nelle tre o quattro zone più povere a quelli del resto della nazione, e il governatore ha inviato la polizia contro di loro, le organizzazioni hanno dato vita alla famosa APO, un'organizzazione popolare del popolo di Guahaca.
Una commissione di senatori si è recata a Guahaca per verificare la situazione: hanno verificato quale fosse e sono tornati. In un'altra occasione il PRI non ha lasciato che si dichiarasse la sospensione dei poteri del governatore. È stato ucciso un giornalista nordamericano; hanno telefonato al Presidente Fox, che non voleva - o almeno così afferma -, ma ha inviato la polizia federale preventiva. E hanno fatto quello che hanno fatto. Si dice che a difendere strenuamente l'organizzazione fosse la gente della strada, gente priva di futuro che però si è sentita solidale in questa faccenda. Si dice sia stato impressionante. Persone abituate a dormire in strada, vedendo altri come loro manifestare, hanno cominciato ad aiutarli e, quando è iniziata la repressione, sono rimaste schierate in prima fila. È stata una reazione molto interessante. Una giornalista di Saltillo, zona molto conservatrice - e non so perché mi abbiano mandato lì, forse per vedere se mi convertivano -, mi ha detto che quanto stava capitando lì era inimmaginabile.
Comunque, l'aspetto per me più grave in questo momento è che il nostro Governo si stia configurando come fascistoide. Lo dico. È questo che posso dire.
Sono a vostra disposizione per eventuali domande.
PRESIDENTE. La ringrazio, monsignor Raúl Vera López.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
RAMON MANTOVANI. Grazie per la testimonianza, monsignor Raúl Vera
López. Durante il suo discorso, lei ha citato alcuni avvenimenti che questa Commissione conosce. Non è la prima volta che il Centro per i diritti umani «Fray Bartolomé de Las Casas» entra in contatto con questa Commissione e con la Camera dei deputati. Già nella scorsa legislatura due vostri rappresentanti hanno svolto qui un'audizione. E il Comitato di collaborazione con il Parlamento messicano ha incontrato a San Cristobal de Las Casas una delegazione del vostro Centro.
Lei ha fatto riferimento ad alcuni episodi specifici noti al Governo e al Parlamento italiani: il caso di Atenco, il caso di Guahaca ed anche il noto caso di pedofilia. Altre sue riflessioni, sebbene interessanti, non possono essere considerate materiale di lavoro per questo Comitato, perché esso non ha competenza per discutere della natura dei risultati elettorali o anche di scelte politiche del Governo messicano quali la questione salariale.
Collegandomi con le sue considerazioni, vorrei porle una domanda precisa. Se non ho frainteso, lei ha rilevato come, a partire dalle ultime elezioni, ci sia stato un lento ma inesorabile utilizzo dell'esercito per funzioni proprie della polizia, e come questo abbia determinato precise violazioni dei diritti umani. Inoltre, se ho capito bene, in Messico continua il noto fenomeno dell'arbitrio di alcuni poteri che risultano inattaccabili e impermeabili a qualsiasi inchiesta, dal basso o dall'alto, come nel caso del governatore di Guahaca che, in modo conclamato, si è reso responsabile di gravi violazioni dei diritti umani nel suo Stato, senza tuttavia essere rimosso né dalle autorità giudiziarie, né dalla Presidenza della Repubblica.
Vorrei che lei approfondisse un altro aspetto, sul quale mi interessa la sua opinione. Negli ultimi mesi e nelle ultime settimane si assiste ad un incremento delle denunce di violazione dei diritti umani nello Stato del Chiapas. Lei è stato vescovo di quella diocesi, dopo l'emerito vescovo Samuel Ruiz, nel periodo della guerra di bassa intensità, ovvero dell'escalation di attacchi da parte dei militari nei confronti delle comunità indigene non allineate con il governatore dello Stato e con il Governo centrale. Per un periodo, sotto la Presidenza di Fox, questo stato di aggressività e di durezza è andato diminuendo, mentre a me risulta che negli ultimi tempi sia aumentato. Le chiedo pertanto notizie precise su quanto sta avvenendo nello Stato del Chiapas.
Qualora il suo Centro se ne fosse occupato, inoltre, le chiederei di fare il punto su un altro aspetto che il Parlamento italiano ha sempre tenuto sotto osservazione, ovvero sul fenomeno delle centinaia di donne uccise o fatte sparire nella zona frontaliera con gli Stati Uniti, soprattutto nello Stato di Chihuahua, nella città di Ciudad Juàrez. Vogliamo continuativamente monitorare questa vicenda.
Poiché fra poche settimane una delegazione della Commissione esteri si recherà in missione in Messico, dove avrà interlocuzioni a tutti i livelli con le autorità, con i partiti di opposizione e possibilmente anche con parti della società civile e del mondo dell'intellettualità, le chiedo di specificare questo anche al fine di agevolare tale nostro lavoro.
PRESIDENTE. Do nuovamente la parola a monsignor Raùl Vera Lòpez per le risposte ai quesiti posti.
RAÙL VERA LÓPEZ, Dirigente del Centro per i diritti umani «Fray Bartolomé de Las Casas». Mi impegno a farvi pervenire una precisa documentazione da parte del Centro per i diritti umani «Fray Bartolomé de Las Casas» su questa situazione di violazione dei diritti umani.
Da quanto ho potuto capire, il signor Fox siglò con l'esercito un accordo per diminuire la sua aggressività, ma la guerra di bassa intensità non è finita e la strategia dell'esercito nel Chiapas non è eliminata, ma solo attenuata.
All'inizio della Presidenza di Fox, venne annunciato che sarebbero state tolte le armi ai paramilitari. C'è stato un primo tentativo vicino a monte Libano. L'azione doveva essere compiuta congiuntamente dall'esercito, dal personale della procura generale di giustizia e dalla polizia statale.
La notte prima, l'esercito e la polizia statale si sono rifiutati di andare e, quindi, sono andati soltanto i membri della procura generale di giustizia, che, sebbene tutto dovesse avvenire in segreto, sono caduti in un'imboscata dei paramilitari. Quando hanno tentato di allontanarsi, hanno trovato un distaccamento dell'esercito messicano con un camion che sbarrava la strada; sono andati a chiedere all'esercito di toglierlo, ricevendo solo un rifiuto. Grazie a Dio, uno di loro ha soltanto perso un occhio. Questo ci ha dimostrato come la guerra di bassa intensità fosse mantenuta dall'esercito.
Si rilevano abusi contro i diritti umani. In questo momento non ho con me la documentazione, ma questa sera stessa parlerò al presidente perché ve la faccia pervenire in tempi rapidi.
Lei mi domandava del «femminicidio» che ha sconvolto il paese, ma quello che lei ha indicato non è il solo posto dove questo accade. Anche a Torreón, città di lavoratrici, avvengono femminicidi, come anche in altri posti. Una mia conoscente, Guadalupa Morfin, persona molto giusta e coerente, che difende i diritti umani e ha lavorato a lungo in organizzazioni non governative, ha potuto fare poco o quasi niente. Ciò avvalora l'ipotesi che vi siano implicate organizzazioni internazionali, anche perché si tratta di una zona di frontiera, e che questo debba essere collegato al commercio del sadismo, perché sono stati trovati film con queste ragazze come protagoniste. Si ipotizza un commercio che coinvolge anche persone molto ricche, probabilmente legate al Governo, ed è per questo che sembra una questione irrisolvibile.
Ritengo che, nella fase verso cui stiamo andando, si moltiplicheranno le prove di forza più che di intelligenza e che, senza una pianificazione articolata in base a criteri razionali, in Chiapas si assisterà ad un regresso. Anche nel caso di Castagnus, si sta andando indietro. La questione è molto delicata.
Quando ho appreso della possibilità di quest'audizione, mi sono chiesto cosa avrei dovuto dire. Ora ritengo che ai parlamentari messicani dobbiate domandare quali siano i piani per il Messico, ovvero se siano piani di controllo o di promozione del soggetto sociale. Può sembrare una decisione di tipo politico. Tuttavia, se avrete questo incontro e se vi premono i diritti umani, ritengo che dobbiate domandare quale sia la futura pianificazione del paese, perché il signor Presidente si limita a ribadire promesse. Fa tante dichiarazioni e dice: faremo qui, faremo là. Però le promesse rimangono tali. Ciò che si sta facendo vedere è la forza.
Nel caso di Castagnus, la mia collaboratrice, accusata di aver dato dei soldi per testimoniare il falso, in questi ultimi giorni ha ricevuto strane telefonate in cui le vengono chiesti nomi di militari. Sperimento anche nelle persone vicine una sorta di paura. Per questo ho fatto riferimento alle elezioni, che hanno fatto affermare questo regime senza chiarezza. E il fatto che i governanti si sentano insicuri provoca dubbi profondi.
In questi giorni ho ricevuto una mail in cui mi si informa della difesa di tre indigeni accusati di appartenere ad un gruppo terroristico. Colei che li difende più strenuamente è stata minacciata - chiaramente, ho tutto nel mio computer - di morte in questi giorni; le hanno fatto sentire piccole esplosioni come minaccia. Si tratta di una donna che difende i diritti umani.
Quando lavoravo al caso di Castagnus, anch'io ho ricevuto telefonate in cui mi dicevano: stai prendendo il biglietto. È un modo di dire. Biglietto sta per: viaggiare lontano. È un fatto. Ho vissuto un altro episodio. Si è detto: questi soldati possono essere liberati. E io ho rilasciato dichiarazioni. In un paese, io e l'autista siamo stati inseguiti da una jeep che voleva bloccarci. Per fortuna, abbiamo una buona macchina. Quando sono arrivato nella mia diocesi, infatti, ho subito chiesto una macchina in grado di correre, perché almeno tre volte ho dovuto correre molto in Chiapas, l'ultima volta dieci giorni fa. Si comincia a configurare la forza, la minaccia.
Sono stato a Lima all'inizio di febbraio; appena tornato, sulla porta dell'aereo una
persona in uniforme mi ha chiesto il passaporto, affermando che ci trovavamo in una situazione da codice rosso. Non avevo pronto il passaporto, mi sono arrabbiato e ho protestato, affermando che il Messico sta diventando una dittatura. Ve lo racconto solo per spiegarvi cosa mi sta capitando in questi giorni. E non è un buon segno.
In questo momento, ritengo che voi dobbiate rimanere con questa immagine, consapevoli di come non soltanto agli indigeni del Chiapas, ma a tutti i messicani ci si volga con lo stesso intento repressivo.
PRESIDENTE. Ringrazio monsignor Vera López per la sua testimonianza. L'onorevole Mantovani ha già sottolineato come il nostro Comitato si occupi dei diritti umani e non abbia competenza per esaminare questioni legate a risultati elettorali o a valutazioni politiche generali, sebbene i limiti della questione dei diritti umani siano difficili da definire.
RAÙL VERA LÓPEZ, Dirigente del Centro per i diritti umani «Fray Bartolomé de Las Casas». Non ho chiesto questo, non cerco questo...
PRESIDENTE. Per correttezza, devo ricordare che ad ottobre, in sede di Consiglio d'Europa, ho partecipato ad una discussione sulle elezioni messicane che si è conclusa con una decisione quasi unanime di riconoscimento del valore di quelle elezioni.
I temi sollevati da monsignor Vera López sono di drammatica importanza e attualità, perché siamo al centro della condizione umana moderna, quando si parla della condizione delle donne, del loro trattamento, del problema dei migranti, della condizione del lavoro e della sua esposizione al rischio della vita. Su tali temi dobbiamo intervenire, per quanto è nelle nostre limitate possibilità, e ritengo questa la sede opportuna per conoscere e diffondere le testimonianze.
Come ricordato dall'onorevole Mantovani, a maggio una delegazione della Commissione esteri, di cui questo Comitato fa parte, si recherà in Messico: ritengo che quella sarà una sede molto importante di confronto, di raccolta, di verifica di informazioni. L'audizione odierna ha contribuito a porre alcune domande e a preparare alcune verifiche che potranno essere compiute anche attraverso quella missione.
RAÙL VERA LÓPEZ, Dirigente del Centro per i diritti umani «Fray Bartolomè de Las Casas». Vi ringrazio, anche perché quando mi avete contattato credevo sarebbe stato impossibile essere ascoltato da voi in tempi così brevi.
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 19,10.