COMMISSIONE IX
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 4 luglio 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni Silveri, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO LANDOLFI. Non mi limiterò a porre domande al ministro Gentiloni Silveri, ritenendo opportuno, anche per conferire un minimo di organicità al mio intervento, fare qualche considerazione e qualche puntualizzazione rispetto al testo che il ministro ha consegnato nella seduta precedente.
Partirò dal dato relativo agli assetti radiotelevisivi, in particolare da un'affermazione del ministro Gentiloni Silveri, contenuta anche nel testo scritto, in merito all'attuale legge di riferimento. Il ministro ha sostenuto che la legge Gasparri è ormai obsoleta e superata in almeno tre punti: la transizione dall'analogico al digitale, il sistema integrato delle comunicazioni e l'assetto della concessionaria del servizio pubblico.
Ebbene, su tali questioni vorrei svolgere alcune considerazioni, dalle quali discenderanno, poi, delle domande al signor ministro. Nel testo vi è un riallineamento dello switch-off, in relazione al passaggio dall'analogico al digitale, per quanto riguarda le regioni pilota (Sardegna e Valle d'Aosta), e si riconosce che in Europa è stata introdotta una forchetta temporale che va dal 2010 al 2012, ma anche da prima del 2010, con una anticipazione che peraltro venne indicata su segnalazione del Governo italiano. Ovviamente, questo non è un dato da sottovalutare. Infatti, dopo una polemica infinita nella scorsa legislatura, si riconosce che il passaggio dall'analogico al digitale terrestre non è un'ossessione italiana, figlia del conflitto di interessi, ma un grande ed ambizioso obiettivo europeo, rispetto al quale l'Italia si trova in una situazione sicuramente più avanzata nei confronti di altri paesi europei, seconda solo al Regno Unito, ma prima di tutti gli altri paesi per quanto riguarda i servizi interattivi.
Che oggi il Governo accetti la necessità del passaggio dall'analogico al digitale - anche, se non soprattutto, al digitale terrestre - è un riconoscimento delle politiche che sono state svolte e perseguite nella scorsa legislatura.
Per restare su questo tema, c'è la questione del frequency trading. Nel testo del ministro è scritto che occorrono nuove regole, perché quelle attuali aggravano il


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duopolio. La compravendita delle licenze è stata introdotta dalla legge n. 66 del 2001, legge approvata dal centrosinistra allo scadere della XIII legislatura, in cui l'Ulivo ha governato. Ogni compravendita è passata al vaglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell'Autorità antitrust. La legge menzionata stabilì anche l'obbligo per i possessori di più di un multiplex (RAI, Mediaset e La7, dunque Telecom) l'obbligo di devolvere il 40 per cento della capacità trasmissiva per terzi produttori di contenuti.
La legge Gasparri ha esteso tale obbligo fino allo switch-off, ossia dal periodo della sperimentazione fino allo spegnimento della televisione analogica. Perché ricordo questo dato? Lo ricordo perché da esso emerge una differenza di vedute su come assicurare concorrenza al mercato radiotelevisivo, soprattutto televisivo. Vi è una visione che vuole assicurare concorrenza deprimendo le imprese e un'altra visione che vuole ampliare la concorrenza allargando il mercato e, di conseguenza, anche attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie.
Noi abbiamo inteso il digitale terrestre non come uno strumento da utilizzare per un allargamento artificioso del mercato, ma come una grande opportunità che è tale se si considera che in cinquant'anni di televisione analogica sono nate dodici concessionarie nazionali. In pochi anni i multiplex digitali hanno consentito l'ingresso di molti nuovi soggetti e il netto aumento del numero delle concessionarie.
Chiedo al ministro Gentiloni Silveri per quale motivo bisognerebbe dichiarare fallita la legge di sistema, se il passaggio dall'analogico al digitale terrestre comporta problemi, tutto sommato, di scadenze o di regole, che dovranno essere aggiornate, e se il SIC è stato finalmente calcolato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ricordo che da ministro sollecitai l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a calcolare il SIC. In un Paese in cui si calcola il PIL, non capisco quali ostacoli impediscano di calcolare il SIC, un paniere che ha recepito la modernità, la convergenza multimediale. Perché, dunque, si dovrebbe dichiarare fallita la legge di sistema? Perché impegnarsi fortemente a cancellarla, laddove basterebbe riformarla, ritoccarla, adeguarla e rimodularla?
Per quanto riguarda la RAI, signor ministro, la legge n. 112 del 2004, ovvero la legge Gasparri, prevede un meccanismo di dismissione che poi è stato tradotto dalla concessionaria, un anno fa, come impegno alla quotazione in Borsa, ma è noto che i due aspetti non sono strettamente correlati. Vorrei sapere da lei, signor ministro, se il Governo vuole privatizzare la RAI: se vuole privatizzarla tutta o se vuole privatizzare una rete. Sembra di capire che si intende accantonare la legge Gasparri e passare dal modello Maccanico - che prevedeva due reti alla RAI, più una terza senza pubblicità, e due reti a Mediaset, più una terza sul satellite - a un modello che prevede una netta separazione societaria tra la società del servizio pubblico, la società della TV commerciale e la società che gestisce gli impianti, quindi l'operatore di rete. È questa la scelta che compie il Governo? È stato considerato che in alcuni casi - per la natura delle trasmissioni o per il loro impatto particolarmente ampio - è controverso se si tratti di trasmissioni di natura commerciale o di servizi di diritto pubblico? Ad esempio, in questo caso, i diritti del calcio a chi andrebbero? Alla società di diritto commerciale o alla società del servizio pubblico?
Pongo un altro quesito: il passaggio dall'analogico al digitale consente la liberalizzazione e la liberazione di frequenze. L'attuale maggioranza, quando era opposizione, ha più volte chiesto che le frequenze liberate tornassero allo Stato, nonostante il frequency trading e la compravendita delle licenze e nonostante le imprese avessero effettuato ingenti investimenti per l'adeguamento degli impianti. A parte le frequenze ridondanti, che dovranno tornare in potestà dello Stato, una volta pronto il database unico delle frequenze, siete sempre dell'avviso che le frequenze liberate dovranno tornare allo Stato, nonostante la compravendita delle licenze e gli investimenti effettuati?


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Ricordo, ancora, un'altra questione: nella scorsa legislatura abbiamo registrato una polemica feroce sugli incentivi, peraltro diretti ai consumatori, per l'acquisto di decoder per il digitale terrestre. La commissione per la concorrenza, in seno all'Unione europea, aveva dichiarato tali incentivi inammissibili. Con la legge finanziaria per il 2006 - lo ricordo perché ero io ad avere la responsabilità del Ministero - sono stati erogati contributi e incentivi che non risultano essere stati censurati dalla Commissione europea, perché modificammo la formulazione della norma. Venne eliminato qualsiasi riferimento alla qualità terrestre del digitale e fu chiaramente specificato che gli incentivi erano destinati all'acquisto di piattaforme aperte, quindi interoperabili tra di loro, e tali da garantire l'interattività e l'accesso da remoto; quindi, si trattava di digitale terrestre in grado sviluppare i nuovi servizi collegati alla interattività. Il nuovo Governo ha intenzione di predisporre altri incentivi per diffondere il digitale terrestre, nella misura e con la formula che l'Unione europea non ha censurato?
Vi è, inoltre, la questione del contratto di servizio. Le chiedo, ministro Gentiloni Silveri, se lei abbia intenzione di riprendere l'idea del «bollino di qualità», che io rilanciai, dopo essere stata proposta da un grande professionista della RAI che risponde al nome di Giovanni Minoli. Il «bollino di qualità» presenta un principio di trasparenza in favore dell'utente contribuente ed un principio di responsabilità editoriale in capo a chi fa servizio pubblico. Ciò vuol dire che chi è a casa avrebbe la possibilità di vedere, attraverso un bollino, se un certo programma è stato finanziato direttamente dal canone o dalla pubblicità. Dal momento che, molto opportunamente, il ministro Gentiloni Silveri ha aperto una consultazione pubblica sul contratto di servizio tra RAI e Ministero, vorrei sapere se l'idea del bollino di qualità possa trovare o meno diritto di cittadinanza nel contratto di servizio che si sta predisponendo. Vorrei sapere, inoltre, se le linee guida formulate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni siano rimaste le stesse o se siano state un po' «asciugate», dal momento che le stesse, in qualche modo, rappresentavano già un contratto di servizio.
Per quanto riguarda i diritti delle trasmissioni televisive delle partite di calcio, nel testo si legge che ci sarà un passaggio alla vendita collettiva. Presenterete un disegno di legge sull'argomento? Terrete presente che oggi, rispetto al 1998, anno in cui il centrosinistra sancì il passaggio dalla vendita collettiva alla vendita individuale dei diritti televisivi, è completamente cambiato il quadro tecnologico? Allora vi era una sola piattaforma tecnologica gestita da due operatori; oggi vi è concorrenza tra piattaforme. Sarebbe pertanto opportuno tenere conto anche del mutato contesto nel quale si andrebbe ad inserire l'eventuale provvedimento in merito, disegno di legge o altro.
Ho letto, poi, che si auspica una maggiore rapidità delle procedure per le misure di sostegno alla radiofonia. Ricordo a me stesso che nella legge finanziaria per il 2006 abbiamo esteso alle radio le procedure previste per l'erogazione dei contributi alle televisioni locali, basate sull'autodichiarazione ed i controlli a posteriori, con la possibilità di anticipare al 90 per cento il contributo, al pari di quanto avviene per le televisioni locali. Vorrei sapere se intendete ancora avvalervi di tale misura di ristoro, importantissima per la radiofonia.
Per quanto riguarda le Poste italiane, anche il presidente Meta, nella sua introduzione, ha fatto riferimento alla manovra tariffaria che fu approvata dal precedente Governo, ossia da me, perché fu approvata con un decreto ministeriale, quindi con un atto del ministro, ad elezioni già concluse. Colgo questa occasione per puntualizzare alcuni aspetti. La manovra tariffaria è un atto di alta amministrazione, è il portato di una complessa procedura di cui il decreto ministeriale è solo l'ultimo atto, preceduto dalla attivazione del Consiglio superiore delle comunicazioni e del NARS (Nucleo consulenza Attuazione linee guida Servizi di pubblica utilità), organismo, quest'ultimo, in cui siedono anche i consumatori.


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Solo a conclusione di questa procedura è stato emanato il decreto ministeriale che ha portato all'equiparazione della posta ordinaria con la posta prioritaria, innalzando, tuttavia, anche gli standard di qualità. È chiaro che, nel momento in cui la posta ordinaria è diventata prioritaria, gli standard di qualità, e quindi i tempi di consegna della posta ordinaria sono diventati gli stessi di quella prioritaria. Si tenga presente che l'86 per cento della cosiddetta posta massiva è oggi utilizzato dall'impresa. La posta ordinaria era utilizzata solo per il 14 per cento delle famiglie e per il restante 86 per cento dalle imprese. Ebbene, vorrei sapere, signor ministro, se lei revocherà tale decreto sulla manovra tariffaria o se, invece, lo confermerà.
Sempre per restare nell'ambito delle poste, sulla questione della liberalizzazione - tema del quale si parla - vorrei ricordare che Poste italiane ha già subito due fasi di liberalizzazione: nel 2003 quella della posta registrata, le cosiddette raccomandate assicurate, e nel 2006 quella della posta sopra i cinquanta grammi. Ora, quando si parla di liberalizzazione completa, vorrei che si prestasse un po' di attenzione: dal 1o gennaio 2009 si porrà il problema del finanziamento dell'onere del servizio universale. Nel momento in cui si liberalizza completamente il mercato, c'è da porsi il problema di un maggior finanziamento dell'onere del servizio universale. Teniamo presente che Spagna e Francia già guardano con una certa perplessità a tale data ed a tali modalità di completa liberalizzazione, che invece viene guardata con particolare interesse da Germania, Olanda e Regno Unito, paesi, questi ultimi, che hanno lucrato rendite di posizione derivanti da un monopolio che non ha conosciuto alcuna forma di liberalizzazione. Nel momento in cui ci accingiamo a intraprendere questo percorso - europeo, dunque obbligato - dobbiamo fare molta attenzione e tentare di entrarvi con i «bicipiti» abbastanza sviluppati, perché si tratta di entrare in un'arena di giganti. Entrarvi con i «bicipiti» di un neonato farebbe molto male al mercato nazionale, non solamente a Poste italiane.
Ricordo un'ultima questione, ministro - e concludo - che riguarda il digital divide, che non attiene solo al divario tecnologico che vi può essere all'interno delle diverse aree di un paese, ma alla pari opportunità di accesso alle nuove tecnologie. Ebbene, vorrei sapere che cosa intende fare il Governo in merito a tale problema, perché nella scorsa legislatura abbiamo posto in essere tutto ciò che era possibile fare. Abbiamo offerto incentivi per la banda larga, è stata creata una società di scopo (Infratel) - nata da un accordo di programma tra ministro delle comunicazioni, Ministero dell'economia e Sviluppo Italia - che sta realizzando i lavori in assoluto rispetto del principio di neutralità tecnologica, per la fibra ottica nelle regioni dell'Obiettivo 1. C'è stata la liberalizzazione del Wi-Fi, è stata avviata la liberalizzazione del Wi-Max.
Avevamo, dunque, una visione in base alla quale tutto il paese doveva essere messo in condizione di accedere ai benefici della rete, tenendo presente che non esiste soltanto un digital divide che deriva dall'accessibilità, ma esiste anche un altro tipo di digital divide, connesso all'utilizzabilità. Da uno studio condotto alcuni anni fa dalla Fondazione Ugo Bordoni è emerso, ad esempio, che moltissime tra le piccole e medie imprese italiane, soprattutto del nord, usano la rete solo per scaricare la posta. Ciò naturalmente le paralizza sotto il profilo della guida dei processi, dell'internazionalizzazione e di altro. A mio avviso, anche per superare tali barriere occorre essere guidati da una visione della politica, è in qualche modo necessaria una regia politica. Nella scorsa legislatura, per l'eliminazione del digital divide all'interno del nostro paese, abbiamo costituito un'apposita società e agito attraverso un sistema di incentivi, promuovendo liberalizzazioni e sperimentazioni. Ad esempio, il decreto di liberalizzazione del Wi-Fi consente ai piccoli comuni - dove mai l'operatore avrebbe portato la banda larga, perché troppo oneroso


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- di usufruire di tale tecnologia. Le chiedo pertanto, signor ministro, se come Governo intendete proseguire su questa strada o se avete altre ricette da proporre.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor ministro, faccio un rapido accenno ad una questione che lega alcuni temi di cui si occupa il suo Ministero a problematiche di carattere più generale.
Nei programmi di tutte le forze politiche degli opposti schieramenti di centrodestra e centrosinistra non sono mancati, anche nel corso dell'ultima campagna elettorale, riferimenti precisi ad una particolare attenzione che dovrebbe essere posta alle aree montane, in particolare a quelle dove, più che altrove, la vita economica e sociale presenta difficoltà particolari. È di tutta evidenza che una tra le condizioni essenziali per mantenere vive le suddette aree - che sono a torto considerate marginali, ma che in realtà svolgono una funzione di equilibrio essenziale - è fornirle dei servizi necessari ad un livello e ad una qualità pari a quelli offerti alle aree cosiddette forti del nostro paese.
Ebbene, signor ministro, le reti e i servizi di comunicazione elettronica e la rete dei servizi postali fanno parte delle reti che dobbiamo assicurare alle ricordate aree, anche se i costi unitari sono, e non possono che essere, maggiori rispetto ad altre aree del paese. Le chiedo che si adottino criteri non unicamente economico-finanziari nel valutare tali servizi all'interno delle aree suddette. Ciò vale sia per il mantenimento della rete degli uffici postali - che il presidente, giustamente, nel corso della precedente riunione definiva un servizio sociale -, sia per la progettazione e la promozione delle reti informatiche in tali realtà, in quanto dette reti hanno una valenza non solo di carattere economico-finanziario, ma ben più generale.
Nel testo che lei ci ha consegnato sulle linee programmatiche del suo Ministero vi è un'indicazione interessante e precisa in tal senso. Vi è l'impegno del Governo per l'accesso e la diffusione della banda larga su tutto il territorio nazionale, fino ai piccoli comuni, permettendo a questi ultimi di connettersi in rete e consentendo agli utenti dei loro territori di accedere comodamente all'e-government. Noi auspichiamo che si operi effettivamente in tale direzione.
A tale questione si ricollega anche un altro tema, di cui si è discusso nel corso delle audizioni, che concerne direttamente la Valle d'Aosta e la Sardegna. Mi riferisco alla sperimentazione della transizione dall'analogico al digitale, che finora, per il modo in cui è stata realizzata, ha suscitato non pochi dubbi e molte perplessità, in modo tale che alcuni iniziano a domandarsi in Valle d'Aosta - ma credo anche altrove - cui prodest, a chi giova l'indirizzo che è stato intrapreso. Non vorremmo che il tutto si riducesse alla vendita di decoder che, tra l'altro, nel 2008, alla nuova data dello «spegnimento», od oltre, nel 2010 o nel 2012, potranno essere già obsoleti. Vorremo avere qualche sua considerazione e riflessione in merito. L'operazione ha certamente un senso positivo, se non solo consente di ampliare la quantità delle reti disponibili che possono essere ricevute, ma va anche nella direzione ricordata in precedenza da altri colleghi, cioè se diventa un veicolo effettivo per portare nuovi servizi sul territorio. Altrimenti è un'operazione su cui si può effettivamente discutere. Ci sembra tuttavia che questo tipo di sperimentazione sia particolarmente debole proprio per quanto riguarda l'offerta di nuovi servizi.
Nello specifico, poi, della situazione valdostana, vorrei ricordare che si tratta di assicurare, anche nel nuovo sistema, la possibilità di ricezione di France2 e Tele Suisse Romande, come peraltro è indicato sia nel protocollo di intesa dell'aprile 2005, sia nel recente protocollo che lei ha siglato con la regione Valle d'Aosta. Anche su tale tema sarebbe opportuno avere ulteriori precisazioni.

SERGIO OLIVIERI. Signor presidente, desidero esprimere in premessa un sincero apprezzamento per la disponibilità del ministro, il quale, nel corso della seduta precedente, ha anche voluto fornire alla


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Commissione un testo scritto, una linea guida che consentisse a tutti noi un approfondimento.
D'altra parte, abbiamo iniziato un percorso che durerà a lungo (cinque anni), che dovrà vederci costantemente impegnati in un confronto con il Governo per fare in modo di segnare in questi cinque anni la svolta di cui il paese ha bisogno.
Vorrei partire da questa considerazione, che secondo me è la premessa per ogni ragionamento. Il voto espresso alle elezioni di aprile ci ha detto che la maggioranza degli elettori vuole una forte discontinuità con le politiche precedenti. Ebbene, credo che ciò debba essere il punto di partenza, la premessa indispensabile di ogni nostra riflessione in relazione alle politiche che il nostro Governo dovrà portare avanti in questi cinque anni. Tali politiche, per l'appunto, non potranno non essere contraddistinte da una forte discontinuità con le politiche, che definisco neoliberiste, portate avanti dal Governo precedente.
Alla luce di tale considerazione, vorrei sviluppare alcuni sintetici e molto schematici ragionamenti. Nel paragrafo del programma dell'Unione, con il quale tutti insieme abbiamo vinto le elezioni, relativo agli assetti della RAI e dei servizi pubblici, si dice chiaramente che nei principali Paesi europei il servizio pubblico è affidato a società pubbliche e che è importante che la RAI si rinnovi e si ristrutturi come holding pubblica. Quindi il programma con il quale il centrosinistra si è presentato agli elettori è, a mio giudizio, molto chiaro e netto e ribadisce, per l'appunto, il carattere pubblico della RAI.
Ho rapidamente letto le linee guida che sono state consegnate e ho constatato che c'è una critica, più che condivisibile, rispetto alle politiche, ai tentativi di privatizzazione parziale che sono stati condotti negli anni precedenti. Tuttavia, probabilmente per difetti miei di comprensione, non ho letto con altrettanta chiarezza l'impostazione politica, più che condivisibile, che ho riscontrato nel programma elettorale dell'Unione, talché chiederei a lei, signor ministro, se volesse fare una precisazione su questo punto ovvero se volesse ribadire l'assoluta centralità del programma con il quale, tutti insieme, ci siamo presentati alle elezioni, conquistando il consenso degli elettori, in relazione al tema dell'assetto societario della RAI.
Mi piacerebbe, inoltre, che si approfondisse un po' un ragionamento politico-culturale in relazione alla necessità che si sviluppi una forte iniziativa, per l'appunto politico-culturale, per favorire l'introduzione di necessari elementi di correttezza e moralizzazione anche nell'azienda RAI.
Signor ministro, quanto accaduto e venuto alla luce negli ultimi giorni ha profondamente turbato l'opinione pubblica. Dunque, nel nome della discontinuità cui accennavo in precedenza, parrebbe necessario un forte impulso da parte del Governo, che, naturalmente nel rispetto dell'autonomia aziendale, favorisse anche in RAI una svolta e una netta discontinuità rispetto alle politiche precedenti.
In relazione alle Poste italiane, condivido la critica mossa nel documento delle linee guida, laddove, per l'appunto, la questione dell'aumento delle tariffe disposto all'ultimo momento viene criticata, anche perché scollegata dalla dimensione generale del contratto di servizio. Tuttavia, anch'io ho difficoltà a capire la ricaduta concreta e operativa di tale critica. Quindi, ritengo che se si sviluppa una critica così forte e fondata rispetto alla ricordata scelta, occorrerebbe che il Governo ci dicesse come intende rapportarsi con la ricaduta concreta dell'aumento delle tariffe: sostanzialmente se intende revocare, cancellare, superare il provvedimento menzionato o se intende limitarsi ad una critica formale, senza poi far seguire ad essa un comportamento altrettanto coerente dal punto di vista concreto.
Auspicherei anche che in questi cinque anni riuscissimo a sviluppare un confronto politico, anche in questo caso senza voler ledere l'autonomia di Poste italiane. Credo, infatti, che un confronto politico spetti alla politica, in relazione alla vera o presunta razionalizzazione della presenza sul territorio di Poste italiane. È stata condotta -


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ed è ancora condotta - una politica di soppressione di molti presidi sul territorio da parte di Poste italiane. Ora, non penso che si tratti di rivendicare la presenza ovunque diffusa degli uffici, anche laddove sarebbe davvero eccessiva. Tuttavia, non le sfuggirà, signor ministro, che in molti casi l'ufficio postale rappresenta un valore aggiunto dal punto di vista sociale per molti quartieri e per molti comuni. Penso che il problema non possa essere affrontato esclusivamente con i criteri dell'autofinanziamento degli uffici - ossia, se l'ufficio ha una certa rendita economica si tiene in piedi, altrimenti lo si chiude -, ma che occorra considerare anche l'utilità sociale di tali presenze.
Quindi, in nome della discontinuità nei confronti delle politiche liberiste, mi piacerebbe che il nostro Governo aprisse un confronto su questo terreno. Così come vorrei che cominciassimo a ragionare per tempo in relazione alla scadenza del 2009, sempre con riferimento a Poste italiane. Non vorrei, infatti, che ci trovassimo di fronte ad una deregulation delle condizioni salariali, contrattuali e normative dei lavoratori. Vorrei capire se e come il Governo intende arrivare al 2009: magari pensando ad uno schema contrattuale unico nel nostro paese per tutti i lavoratori che opereranno nel settore postale, evitando una concorrenza basata su una sorta di dumping sociale che credo noi, come centrosinistra, non potremmo accettare.
Per concludere, signor ministro, ho recentemente incontrato molti lavoratori delle poste ed ho riscontrato in loro una diffusa preoccupazione per il futuro e un senso di frustrazione e di smarrimento per le vicende degli ultimi anni, durante i quali - dicono i lavoratori - il fattore lavoro, alle Poste italiane, è stato in qualche modo mortificato ed inascoltato e le relazioni con i vertici aziendali sono state difficili.
Spero che il nuovo Governo di centrosinistra voglia mettere il fattore lavoro al centro della propria politica, sapendo che il vero patrimonio delle aziende, in questo caso anche delle nostre poste, è la capacità professionale, la volontà e la voglia di sacrificio dei lavoratori. Se si prescinde da tale aspetto, non riusciremo a compiere grandi passi in avanti.

DAVIDE CAPARINI. Prendo atto che il Governo ha cambiato posizione e che, esaurita la campagna elettorale, sono mutati i toni. Leggendo le linee programmatiche del Ministero, intravedo addirittura una continuità con la gestione precedente, sia pure espressa con una certa timidezza, anche se l'intervento del collega Olivieri, testé svolto, ha messo paletti ben precisi ed ha sistemato un po' le cose dal punto di vista del centrosinistra.
La relazione del ministro Gentiloni Silveri è passata, ad esempio, dalla fase della demonizzazione del digitale terrestre a quella in cui si prende atto che l'operato della Casa delle Libertà, tanto contestato dai banchi dell'opposizione nella passata legislatura, mirato ad ammodernare il paese, era quanto meno utile e addirittura - leggo - «(...) condiviso in larghissime parti (...)». Quindi, possiamo continuare a lavorare sulla piattaforma digitale, nell'ottica di quel pluralismo tanto invocato dal centrosinistra e da noi messo in atto. Noi siamo passati dalle parole ai fatti, fatti con i quali il ministro Gentiloni Silveri si è confrontato, prendendo atto che la transizione già in atto al digitale terrestre può e deve essere implementata con la diffusione dei decoder. Mi ricordo che dai banchi della maggioranza abbiamo attuato numerose politiche per diffondere i decoder, politiche contro cui il centrosinistra ha più volte usato toni molto duri.
Vorrei chiedere al ministro Gentiloni Silveri, preso atto che l'obiettivo dello switch-off è ancora valido, e che, quindi, il DDT rimane un punto di arrivo importante per il paese e che è necessario diffondere la rete in modo capillare, quali sono le iniziative da intraprendere, come verranno diffusi i decoder e come ne sarà implementato l'acquisto. Avevamo una formula che ha ottenuto ottimi risultati. La relazione del ministro Gentiloni Silveri li ha ritenuti insufficienti; ne prendo atto e me ne compiaccio, in quanto ciò sta a


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significare che questo Governo seguirà, con rinnovato entusiasmo e magari con maggiori capacità e soprattutto risorse, la linea che avevamo già intrapresa.
Per quanto riguarda la RAI, l'intervento del collega Olivieri ha profilato lo «spettro» del disegno di legge atto Senato n. 1138 della XIII legislatura. Chi è un po' «vecchio» delle aule parlamentari o ha avuto modo di cimentarsi con gli aspetti del servizio pubblico - come l'attuale presidente della RAI - sa quale angoscia susciti nel centrosinistra tale semplice numero.
Si profilano altri cinque anni in cui il Governo sostiene una tesi e parti della maggioranza ne sostengono, come ho appena ascoltato, altre? Avremo quindi evidenti discrasie, con un assetto societario della RAI differente da quello che la norma prevede? Leggo una bozza del progetto della XIII legislatura che ha visto il centrosinistra in maggioranza e noto le stesse identiche obiezioni che osservavo dieci anni fa, che di fatto hanno reso impossibile la realizzazione del progetto dell'allora Governo di centrosinistra, ma soprattutto l'esercizio del servizio pubblico nella RAI. Erano stati creati i presupposti per una parziale collocazione della RAI sul mercato e, comunque, per una separazione, con la divisionalizzazione della società tra la sfera del servizio pubblico e la sfera commerciale. L'operazione, però, aveva creato evidenti difficoltà, cui abbiamo tentato faticosamente di porre rimedio durante la scorsa legislatura.
Per quanto riguarda il digital divide, prendo atto con piacere che l'enorme lavoro compiuto, la diffusione del Wi-Fi, del Wi-Max, l'Internet Protocol Television, la fibra ottica, la banda larga e l'enorme lavoro di digitalizzazione - i dati sono inconfutabili - è sicuramente importante. Oggi ci preoccupa l'analogic divide - conio questo termine - perché prendiamo atto che la liberalizzazione delle Poste ha creato evidenti discriminazioni territoriali. In alcuni casi, con la diffusione del digitale non siamo riusciti a colmare la suddetta discriminazione. In tal senso, come intende muoversi il ministro? Ho ascoltato, anche in interventi di altri colleghi, parlare di aree marginali. Noi avevamo un progetto molto chiaro nelle aree dell'Obiettivo 1 e 2 e l'abbiamo attuato, seppur con evidenti difficoltà di alfabetizzazione digitale. Vorrei capire la posizione del ministro al riguardo.
Inoltre - e concludo, in quanto molti aspetti sono stati ben illustrati dal precedente intervento del ministro uscente - vorrei sapere qualcosa in merito al monopolio di Telecom. Ho detto circa le preoccupazioni evidenti che hanno mosso le nostre azioni in cinque anni di Governo: preoccupazioni del duopolio RAI-Mediaset per quanto riguarda la televisione, ma mi preoccupo anche del monopolio per quanto riguarda le telecomunicazioni, un monopolio, di fatto, di Telecom.
È recentemente venuto alla luce un affaire, per quanto riguarda la violazione della legge sulla privacy, che ha toccato da vicino ed ha urtato la sensibilità di milioni di cittadini. Vorrei capire, da questo punto di vista, cosa intende fare il Governo.
Faccio notare che c'è una liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni ancora da completare, per quanto riguarda l'ultimo miglio, che darebbe la possibilità di liberare ulteriori risorse. Per quanto riguarda la violazione della privacy - il ministro lo sa bene, in quanto da presidente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi ha partecipato a numerose audizioni - anche la RAI non è da meno. Anzi, in forza del contratto che ha stipulato con lo Stato, la RAI dispone di database del Ministero dell'economia e delle finanze ed è quindi il soggetto che, ad oggi, nel paese, dispone della maggiore quantità di informazioni sulle persone: a quelle che attinge dal Ministero dell'economia e delle finanze si aggiungono anche quelle che la RAI acquista da soggetti privati.
In tal senso, «toccata con mano» l'esperienza di Telecom e sapendo che il ministro Gentiloni Silveri ha avuto modo, nella sua precedente esperienza parlamentare, di conoscere a fondo le problematiche riguardanti il canone RAI - strumento


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vetusto, che mi auguro questo Governo riesca ad ammodernare nelle modalità di reperimento e di sottoscrizione - mi chiedo se il Governo avrà l'accortezza e, soprattutto, l'attenzione per evitare le continue violazioni della privacy dei cittadini.

PIERO TESTONI. Sono grato al ministro Gentiloni Silveri anche per l'impostazione che ha dato a questa audizione, con la divisione dei tempi tra la sintesi che ci ha illustrato nella scorsa seduta ed il documento che ci ha proposto.
Studiando tale ultimo documento, ciò che più mi ha colpito è che la filosofia ad esso sottesa è il rinvio del digitale terrestre. Il primo segnale si era già avuto con il rinvio al 2008, ricordato anche da un collega, del passaggio nelle due regioni pilota, ossia Sardegna e Valle d'Aosta.
Noi, tanto meno io, non vogliamo fare un processo alle intenzioni del Governo, men che meno a quelle personali di un ministro di cui è nota la prudenza ed anche - mi permetto di rilevarlo - le apprezzabili capacità diplomatiche rispetto alla soluzione di nodi, in una materia così delicata, che non soltanto sono di natura politico-culturale, ma hanno ricadute importanti di natura economica. Tuttavia, ho la sensazione - e, persino, il sospetto - che gli indizi dell'esistenza di quella che chiamerei «la filosofia del rinvio» siano ben precisi e si materializzino nel documento che il ministro Gentiloni Silveri ha avuto l'amabilità di consegnarci per uno studio più approfondito.
Voglio essere più chiaro e diretto. A me pare che l'intera impostazione soffra di una strumentalità mascherata sapientemente, garbatamente ed abilmente con la scusa del rinvio, ma sostanzialmente riconoscibile sotto un trucco, inteso nel senso di un intelligente maquillage. Si evitano, a nostro avviso, o si trascurano o si pospongono una riflessione puntuale ed un necessario approfondimento su riscontri obiettivi - quelli sì - che il passaggio al digitale comporterebbe per tutto il paese, per le conseguenze economiche di cui abbiamo parlato per un'intera legislatura e per lo sviluppo tecnologico connesso a tale svolta.
Si opta, invece, signor ministro, per una posizione che considero strumentale e, in apparenza - solo in apparenza - salomonica. E dico in apparenza, perché, nella realtà delle cose - possiamo leggere questo orientamento anche tra le righe di un documento redatto in maniera precisa -, ci si orienta per una proroga dei tempi del digitale. Si tratta di una proroga fintamente neutra e neutrale, mirante a favorire, forse a giustificare, un passo indietro, anzi due: si configura, in tal modo, un ritorno del tutto antistorico ad una regolamentazione dell'analogico. Non lo dico io, non lo diciamo, credo, solo noi: è una posizione clamorosamente anomala e diversa rispetto ad un contesto europeo che opta per provvedimenti legislativi volti ad accelerare, non a frenare, il processo digitale. La linea dell'Unione - naturalmente quella europea - è per un'accelerazione della transizione al digitale terrestre; altro che rinvio!
Invece, la filosofia del ministro Gentiloni Silveri mi pare orientata ad un secondo primato, che considero paradossale: «fotografa» una specie di schizofrenia in cui, mentre le imprese accelerano, è il Governo che frena e rinvia. Più nel dettaglio, si sceglie di far abortire un'occasione straordinaria di progresso tecnologico e di apertura al mercato, inseriti in un contesto di autentico pluralismo. Si preferisce frenare, anziché accelerare, con il retropensiero di rimettere mano ad un sistema televisivo già superato nei fatti.
Non ci convince neppure, signor ministro, la giustificazione di tale filosofia: si vuole sostenere che, poiché sarebbero necessari cinque o sei anni per l'avvento vero del digitale, è giustificato un intervento sull'esistente. L'idea va ribaltata, come sta capitando non in India o in Cina, ma in Europa, se si considera ciò che accadrebbe se il Governo credesse davvero e sul serio a questa svolta, anziché giudicarla irrealistica nei tempi designati. Si aprirebbe un percorso a tappe per fissare strumenti, iniziative e paletti condivisi, un vero passaggio epocale che avrebbe l'esecutivo nel ruolo di protagonista.


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Una certa propaganda a buon mercato, che non può sfiorare un esperto come il ministro Gentiloni Silveri, ripete che il digitale è una fotocopia dell'analogico; eppure esistono già trenta canali nazionali, al posto degli otto analogici. E sappiamo che in Italia le aziende principali si apprestano a lanciare nuovi canali gratuiti di estrema qualità, per tenere il passo con la concorrenza europea. Riteniamo che sia difficile mettere in dubbio che la misura del 40 per cento di cessione della capacità trasmissiva apra l'ingresso di soggetti terzi nel settore televisivo, come mai era successo prima.
Infine, per la tanto avversata gestione del trading delle frequenze, colpevole, secondo molti, di chiudere il sistema, affermiamo che esso ha consentito l'ingresso nel mercato televisivo di soggetti nuovi, che mai ne avevano fatto parte. Parlo di 3, del gruppo L'Espresso e di TF1.
Insomma, vogliamo chiederci come mai, mentre il Regno Unito investe massicciamente per incentivare il passaggio al digitale e mentre Francia, Germania e Spagna abbreviano la data dello switch-off, il Governo italiano si inchioda - e, in qualche misura, ci inchioda - dopo la clamorosa accelerazione dell'ultimo biennio, che ha ricordato anche l'ex ministro Landolfi, che ci aveva portato ad essere secondi in Europa. Lo stop del Governo blocca ogni investimento e annuncia lo slittamento di fronte a tutte le aziende, che chiedono esattamente il contrario.
Ho esordito dicendo che non voglio processi alle intenzioni, ma sarebbe ipocrita da parte mia tacere sull'impressione generale - parlo di impressione motivata e mi vorrei limitare a ciò - che tale impostazione del Governo suggerisce sulla materia: in qualche misura, conferma una voglia, un desiderio od una tentazione - come preferite - di riproporci schemi consunti, vecchi di almeno dieci anni, magari con l'intento di colpire alcuni gruppi, di dividere il servizio pubblico o di creare condizioni che favoriscano l'ingresso di cordate o gruppi amici. Lo diciamo più con mestizia, che con allarmismo, restando certamente vigili; altrimenti, non si capirebbe questo atteggiamento, questa filosofia di freno e di ritardo, contro una strada che abbiamo giudicato maestra, ma sulla quale discutiamo sempre di avanzamento tecnologico, di progresso industriale e di apertura effettiva del mercato.
Questa - e non altra - è per noi la direzione di ingresso di nuovi soggetti, indicando misure e tempi che già esistono, se vogliamo, per arrivare insieme ad un sistema televisivo più moderno e diverso, che il paese merita, credo, al di là dei meriti e dei demeriti di questa maggioranza, dei meriti e dei demeriti dell'opposizione.

MARIO BARBI. Ringrazio il ministro Gentiloni Silveri per il testo e l'esposizione che ne ha fatto in apertura di audizione la volta scorsa. È stata un'esposizione chiara, che contiene elementi precisi e condivisibili nell'impianto complessivo.
Rilevo che l'onorevole Testoni e l'onorevole Caparini non sono d'accordo nel modo di giudicare e osservare quanto il ministro ha detto relativamente al passaggio, nel sistema radiotelevisivo, dal sistema analogico al sistema digitale. Ciò è il segno che alcune diversità esistono nell'opposizione ed anche che il tema si presta a giudizi controversi. È bene che sia così, perché fin dall'inizio, ossia fin da quando la legge Gasparri fu presentata come disegno di legge, si sviluppò una discussione molto accesa sul giudizio che se ne doveva dare e sulle funzioni, sulle modalità e le finalità che tale legge perseguiva.
La legge è in vigore da ormai molto tempo, e possiamo chiederci se sia stato un successo, se abbia funzionato o no. Possiamo dire - almeno io lo dico dal punto di vista della maggioranza attuale e del gruppo dell'Ulivo e credo di non discostarmi dall'opinione degli altri gruppi della maggioranza - che la suddetta legge sia stata un successo e, nel contempo, un fallimento.
È stata un successo al fine di mantenere e consolidare, rafforzandoli, gli interessi esistenti del sistema televisivo, nella sua componente duopolistica, favorendone uno sviluppo pressoché monopolistico. È


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stata un fallimento per quanto riguarda le promesse che aveva fatto, che erano promesse di maggiore pluralismo e di maggiore concorrenza, da raggiungere mediante tale strumento, tale cambio di tecnologia, che è stato usato come un'ideologia, come un modo per aggirare una serie di disposizioni e di obiettivi presenti nella politica italiana almeno dal 1994, dall'epoca della sentenza della Corte costituzionale. Tale sentenza individuava un elemento di incostituzionalità nella legge Mammì del 1990 e nella possibilità di assegnare agli operatori privati tre reti; definiva tale possibilità, prevista dalla legge Mammì, una lesione del pluralismo. Tutto ciò senza voler affrontare la questione delle successive misure di attuazione della sentenza della Corte, che furono previste dalla legge Maccanico del 1997, ma non furono mai attuate, per una serie di vicende che sarebbe troppo lungo riepilogare nel dettaglio.
Ci troviamo di fronte ad un disegno di innovazione tecnologica che - ha ragione l'onorevole Caparini - merita di essere perseguito, ma che è stato perseguito per ragioni sbagliate e con modalità sbagliate. Ha fatto bene il ministro a riconoscere l'impossibilità di mantenere una tempistica che nessuna delle condizioni esistenti di mercato permetteva di mantenere, rinviando l'orizzonte dello spegnimento dell'analogico a tempi più ragionevoli e realistici.
Questo dato va, a mio avviso, considerato come fondamentale: i tempi si allungano. Il digitale terrestre e non terrestre, ossia il passaggio dal sistema di trasmissione analogico ai sistemi ed alle piattaforme - sottolineo il plurale, perché c'è un principio di neutralità tecnologica che andrebbe rispettato, cosa che ha sottolineato il ministro - di trasmissioni digitali è un obiettivo che, come altri paesi, anche il nostro paese persegue. È bene, però, che lo persegua seguendo un principio di neutralità, con i tempi giusti e facendo sì che questo percorso porti, come effettivamente era stato promesso, ma non mantenuto, ad un aumento della concorrenza e del pluralismo.
Non voglio tediarvi, ma le vendite dei decoder per il digitale terrestre negli ultimi mesi sono crollate: 59 mila ad aprile rispetto ai 281 mila di ottobre dello scorso anno, quando c'era l'offerta del calcio a pagamento. Ci troviamo con un processo di concentrazione che aumenta anche grazie al digitale. Mediaset, nel 2005, ha incamerato il 93,5 per cento dei ricavi del settore digitale. Nel campo delle frequenze digitali notiamo una concentrazione incredibile in capo ad un unico soggetto: Mediaset ha un totale di 940 frequenze digitali, a fronte di 143 della RAI. Anche in questo caso siamo di fronte ad una percentuale del 60 per cento delle frequenze attualmente impiegate per il digitale in capo ad un solo operatore. Per non parlare dell'offerta: i canali sono apparentemente tanti ma l'offerta è povera. I multiplex di Mediaset, sempre per fare un esempio non a caso, sono praticamente duplicati perché c'è la necessità, da parte dell'operatore, di trasmettere le partite a pagamento od i programmi a pagamento con la tessera a consumo e quindi la necessità di passare il programma dall'uno all'altro, a seconda delle occasioni e delle priorità del momento.
Nel settore delle frequenze la concentrazione aumenta, nel settore dei ricavi la concentrazione è massima: signor ministro, cerchiamo di riportare questo cambio di tecnologia verso un aumento dell'offerta. Occorre forse aumentare l'offerta generalista delle diverse piattaforme; se ciò non viene fatto questa operazione tecnologica di grande interesse si riduce, per un verso, a un'operazione di alibi per il mantenimento di interessi forti, per l'altro all'apertura di nuovi mercati - la pay per view - che nulla hanno a che fare con l'incremento dell'offerta al servizio dell'utenza in generale.
È vero che, se le cose stanno così, si pone il problema della permanenza della concentrazione nel settore televisivo, che resta ancora quello dominante e resterà tale, non fosse altro per il rinvio dei tempi di spegnimento dell'analogico a favore del digitale. È questa la situazione della revisione analogica. Non siamo tornati nel


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1994 o nel 1997, ma abbiamo lo stesso problema di allora, per di più aggravato. Spiace dirlo, ma questo è un tema che - credo - non potremo fare a meno di affrontare. Il ministro ha fatto riferimento alla necessità di riconsiderare le modalità di individuazione e applicazione di norme antitrust settoriali per il sistema televisivo, mostrando di non considerare molto l'efficacia del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni) ai fini del risultato che dovrebbe garantire, ovvero la prevenzione e l'impedimento del formarsi di posizioni dominanti. Credo che alla concezione di posizioni dominanti non potremo non soffermarci nuovamente, non potremo non porci tale problema, e dovremo farlo con gli strumenti che ci sono. Il Governo farà delle proposte, i gruppi parlamentari ne faranno altre, ma comunque dovremo porci la questione.
La concentrazione della raccolta della pubblicità è a livelli tali da non potersi considerare normale, in linea con le realtà dei paesi europei con i quali amiamo confrontarci e ci riteniamo, giustamente, omologhi. Anche ciò richiede un'attenzione ed un intervento, considerando anche il quadro europeo.
Signor ministro, è in corso di discussione e di revisione la direttiva «TV senza frontiere». Dalle notizie in mio possesso - peraltro il testo, nella sua prima formulazione, credo sia in prima lettura in Parlamento - il testo presenta criticità molto forti: deregolamenta in un modo, credo, non sopportabile, il settore delle comunicazioni commerciali, ossia della pubblicità televisiva; usa formulazioni che aprono spazi ad interpretazioni che circoscrivono limiti di affollamento maggiorati rispetto a quelli esistenti, forme di pubblicità più circoscritte a paragone del tipo trasmesso in televisione. Ciò vuol dire che si apriranno contenziosi e conflitti interpretativi piuttosto consistenti.
Invito caldamente il ministro Gentiloni Silveri ad avere attenzione per questo processo di definizione della nuova direttiva. Forse non basta che la direttiva contenga, come contiene e come conteneva la precedente, la clausola che ogni paese può, per ragioni di tutela del pluralismo e di interessi particolari e speciali, adottare misure più restrittive di quelle che la direttiva stessa introduce come criteri di massima e come tetti da non oltrepassare.
Affronto brevemente ancora un tema: le frequenze, lo Stato e i beni pubblici. Il tema della sovranità dello Stato sui beni pubblici è di rilievo fondamentale. Andrebbe fatta una riflessione a tale riguardo; forse la Commissione potrebbe applicarsi in modo particolare. Non so se esistano studi già realizzati su tale argomento, ma le modalità di concessione, di utilizzo e di valorizzazione di tali beni pubblici da parte del nostro paese, anche nella loro sequenza storica, sono questioni che meriterebbero di essere messe a fuoco e sulle quali sarebbe utile chiedersi se uno Stato possa continuare a rinunciare all'esercizio di qualsiasi forma di sovranità su un bene così importante e per un periodo di tempo così lungo, senza avere una politica né una strategia. Si parla di un periodo ormai di trent'anni. Sarebbe interessante anche confrontare la nostra esperienza con quella di altri paesi - quelli citati precedentemente - con cui amiamo confrontarci.
Un'ultima annotazione sulla RAI. Credo che il servizio pubblico soffra di una crisi di identità, di uno smarrimento di missione. A mio avviso, il servizio pubblico va mantenuto come elemento centrale del sistema delle comunicazioni e dell'offerta televisiva (non solo televisiva in senso stretto, ma anche nell'offerta di contenuti). Dovremmo riqualificare, ridefinire e potenziare il servizio pubblico, guardando più al futuro che al passato, ai nuovi servizi, alle nuove piattaforme, alle cose nuove che vogliamo offrire ed alle domande nuove cui vogliamo rispondere.
Credo che dovremmo fare ciò, avendo allo stesso tempo attenzione per un'azienda che ha grandi potenzialità, che tuttavia non riesce a dispiegare in modo sufficiente, in parte perché non ha direttive, in parte perché la legge Gasparri la lascia in mezzo al guado di una finta privatizzazione che non si realizzerà, in parte perché ha una duplice missione: una


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commerciale ed una, appunto, di servizio pubblico. Su tale aspetto sarà bene riflettere. La RAI ha bisogno di direttive. Il contratto di servizio cui ha fatto cenno il ministro Gentiloni Silveri è un passaggio importante. La RAI ha bisogno anche di avere un futuro. Credo che alla RAI non possa bastare - e neanche a noi, come Parlamento - avere rimesso sulla «plancia di comando» uomini designati dai partiti. Va ripensata la governance, la struttura della società e va potenziato enormemente il suo ruolo di servizio pubblico, guardando al futuro.

SERGIO PIZZOLANTE. Vorrei far notare, senza ironia, che all'onorevole Barbi è sfuggito il senso ironico dell'intervento dell'onorevole Caparini: ha visto differenze tra gli interventi degli onorevoli Caparini e Testoni che, in realtà, non ci sono.
Vorrei rivolgerle, signor ministro, alcune domande e svolgere brevissime riflessioni sui temi del pluralismo e del mercato e sui processi di digitalizzazione.
Per quanto riguarda il mercato, vorrei sapere cosa lei intenda, in realtà, con i continui richiami al pluralismo e all'apertura di nuovi spazi di mercato contro il duopolio televisivo. Infatti, altro è creare nuovi spazi in un mercato dinamico ed evoluto, ed altro ancora è creare, per legge, con forzature dirigistiche, nuovi spazi in un mercato statico, con il Governo e la politica che si preoccupano di delimitare le dimensioni delle aziende in campo, circoscrivendo gli spazi di azione e di crescita di fatturato.
In questo caso, dietro l'obiettivo giusto del pluralismo, si celerebbe l'obiettivo vero che, secondo me, è Mediaset. Ciò non ha nulla a che fare con il pluralismo e con il mercato ma avrebbe, invece, molto a che fare con la politica. Non ho ascoltato su questo, a dire il vero, parole chiare da parte sua. Invece, sono state molto chiare e gravi le parole dei rappresentanti del partito di maggioranza relativa della maggioranza: mi riferisco all'onorevole Giulietti e all'onorevole Barbi.
Penso che l'unico modo per superare il duopolio e sottrarlo all'influenza diretta della politica, rendendo, in tal modo, il mercato più ricco e dinamico, sia privatizzare la RAI. Solo in tale maniera si può creare più mercato, più pluralismo, maggiore qualità dell'informazione. Mantenere pubblica la RAI significa cristallizzare il mercato. L'operazione di ingegneria societaria che lei propone, se possibile, peggiora la situazione.
Come al solito, si concentra una grande attenzione sul processo di digitalizzazione delle reti televisive. La legge n. 66 del 2001, voluta dall'allora maggioranza di centrosinistra, fissò al 31 dicembre 2006 la data ultima entro la quale il segnale analogico sarebbe stato spento ed il digitale terrestre sarebbe rimasto l'unico sistema di trasmissione televisiva a terra. Quella stessa data fu assunta dalla riforma voluta dalla successiva maggioranza di centrodestra, che, successivamente, la spostò di due anni, al 2008. Nel mentre si reclama a gran voce l'opportunità di politiche condivise, vale a dire di proposte e di idee sulle quali raccogliere la convergenza di un Polo e dell'altro, non si può fare a meno di notare che fissare una data ultima per lo spegnimento del segnale analogico sia stato un errore condiviso.
Vi è, poi, un processo di digitalizzazione, generalmente trascurato, relativo alla radio. Fino ad ora non sono state le radio a disinteressarsi al dato, ma, semmai, la pubblica autorità a rendere loro le cose assai difficili, quando non impossibili. So bene che il ministro eredita una situazione non facile, ma non credo che la si alleggerisca sfuggendo ai veri nodi del problema. Secondo la conferenza di Wiesbaden e secondo il piano di ripartizione delle frequenze italiano, la radiofonia DAB deve svilupparsi sul canale 12 della banda VHF. Quel canale però è in larga parte occupato dalla RAI, per la precisione dalla seconda rete televisiva. Non ha molto significato dire di voler favorire lo sviluppo del DAB, che oltre ad essere una buona intenzione politica, è anche un obbligo di legge, se non si chiarisce che quel canale deve essere liberato e restituito alla sua legittima destinazione. Taluno crede che la soluzione possa essere,


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al contrario, lo spostamento del DAB sulla banda UHF, che ha caratteristiche del tutto diverse, più idonee - semmai - all'emittenza locale. Ritengo dovrebbe chiarirsi, già in questa sede, che le due bande potrebbero essere utilizzate contemporaneamente e non alternativamente.
Lei, signor ministro, ha citato i numeri dell'emittenza locale, certamente molto alti, forse troppo. Intendo dire che è interesse di tutti - imprese, cittadini e sistema dell'informazione - che ciascun editore possa raggiungere dimensioni economiche che lo rendano realmente autonomo e capace di aspirare a maggiore sviluppo. In tal senso il DAB è, per il settore radiofonico, un'occasione unica di ampliamento della competizione, del pluralismo ed anche dell'espansione delle radio locali.
Richiamo, inoltre, la sua attenzione a quanto da lei sostenuto al punto d) della parte della sua relazione dedicata alle comunicazioni elettroniche. Il DVB-H è un'evoluzione del digitale terrestre televisivo di cui, in altra parte della stessa relazione, si constata lo scarso successo. Sarebbe davvero originale che l'appendice finisse con l'essere più interessante dell'intero corpo. Non solo, il ministro faccia attenzione ad un dato: la citata delibera dell'AGCOM contiene un principio pericoloso, che fa venir meno la dovuta neutralità tecnologica cui l'autorità deve ispirarsi. Se si concede, senza che alcuna legge lo regoli, un autonomo sviluppo del DVB-H, si finisce col penalizzare proprio lo sviluppo del DAB, che invece la legge tutela. In altre parole, è una delibera dell'AGCOM a stabilire quale tecnologia sia migliore per poter trasmettere suoni ed immagine sui telefonini, anziché la libera competizione fra sistemi e imprese.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCO BELTRANDI

ANTONIO PEZZELLA. Sarò estremamente breve, limitandomi a una domanda «secca» riguardante le Poste. Ho letto il testo che lei ha consegnato. Noto che questa è una Commissione che si appassiona molto alle televisioni, un po' meno - ho ascoltato gli interventi di alcuni colleghi - al sistema postale, sul quale ci sarebbe molto da dire e da ragionare.
Mi limito, come ho detto, ad una domanda che riguarda i concessionari postali. Le Poste italiane hanno annunciato che, entro fine anno, bandiranno una gara. Essendo stato consigliere di amministrazione delle Poste durante la gestione Passera, ricordo che all'epoca il Governo, per evitare la possibilità che i medesimi concessionari vendessero le loro licenze a società straniere, operò in modo tale che i concessionari stessi stipulassero accordi con le Poste per determinare anche un mercato interno. Ora le Poste annunciano che porranno tutto a gara e ciò creerà uno scompenso per 90 aziende che lavorano in Italia e che ormai sono presenti sul mercato da decenni, con conseguente preoccupazione per la perdita di posti di lavoro, soprattutto per aziende che, nel tempo, hanno dato la possibilità alle Poste di avere performance abbastanza importanti su alcuni particolari tipi di attività.

PRESIDENTE. Do la parola al ministro Gentiloni Silveri per la replica.

PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro delle comunicazioni. Grazie, presidente. Cercherò di rispondere al maggior numero possibile di questioni, ma le stesse questioni certamente non finiscono qui. Se non ricorderò tutte le questioni poste, avremo comunque occasione di tornarvi.
Vorrei isolare l'argomento su cui si sono svolti più interventi. Quasi tutti gli intervenuti si sono soffermati sulla transizione al digitale terrestre, per poi affrontare questioni più particolari. Vi è stata una polemica politica molto forte sul tema del digitale terrestre e quando ci sono delle forti polemiche politiche talvolta non si va per il sottile, si semplificano le questioni. Tuttavia, per ricostruire onestamente la vicenda dalla scorsa legislatura credo non sfugga, almeno ai colleghi che ne sono stati protagonisti, che vi sono state due dimensioni di discussione. Mi spiace


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parlare del passato, ma ciò ci aiuta a parlare anche dei prossimi anni.
Da un lato vi è stata una discussione esplicitamente politica, dall'altro una discussione su scelte e strategie tecnologiche. Su entrambe si è discusso e si sono registrati forti disaccordi. La discussione politica era molto semplice: non coinvolgeva un giudizio favorevole o sfavorevole sul digitale terrestre, tantomeno sulla televisione digitale, al punto che, come è noto, nel ping-pong della scorsa legislatura la questione è stata diversamente «rimpallata» da una parte all'altra; infatti la prima legge sul digitale terrestre, la n. 66 del 2001, è stata varata da una diversa maggioranza.
La discussione politica verteva essenzialmente su un punto: l'opposizione della scorsa legislatura sosteneva che si stesse facendo un utilizzo della transizione al digitale terrestre con date e tempi non credibili, per un fine politico molto semplice, ovvero quello di interrompere un percorso di giurisprudenza costituzionale che prevedeva, ad una certa data, lo spostamento di Retequattro sul satellite.
È noto che il non completamento di quel percorso, stabilito, come ricordato, dalla giurisprudenza costituzionale, fu, alla fine, deciso sulla base del fatto che l'avvento del digitale terrestre avrebbe prodotto un aumento consistente di pluralismo, togliendo di mezzo i presupposti delle relative decisioni della Corte costituzionale.
Non mi soffermerò ulteriormente su tale discussione, ma l'oggetto del confronto politico fu tale: non pro o contro il digitale ma pro o contro l'idea che il percorso del digitale terrestre potesse risolvere la questione delle posizioni dominanti nella televisione analogica e, a quell'epoca, il tema Retequattro.
Vi è, poi, un altro aspetto di questa discussione, più che mai attuale. La strategia seguita negli ultimi anni sul digitale terrestre conteneva altri due corollari, oltre il tema politico. Anzitutto: come si gestisce in Italia il cosiddetto switch-over, ossia il processo che conduce al digitale terrestre? La risposta che è stata data è: sostanzialmente con un finanziamento pubblico ai decoder del digitale. Inoltre: come si arriva alla televisione digitale in Italia? A tale ulteriore quesito si è risposto: sostanzialmente promovendo in modo esclusivo, o molto prevalente, il digitale terrestre.
Mentre non credo sia particolarmente interessante tornare alla discussione politica - lo si farà successivamente, al dibattito sul percorso della giurisprudenza costituzionale, anche se dovremo nuovamente affrontare tale problema nei prossimi mesi ed anni - è molto interessante constatare oggi a che punto è la strategia di switch-over, qual è il suo stato di salute.
Penso che noi, non in quanto Governo, maggioranza o opposizione, ma attraverso un'analisi abbastanza obiettiva - ritengo che le analisi obiettive, alla fine, si facciano strada - dovremmo prendere atto che i due presupposti di quella strategia oggi sono incrinati - qualcuno dice venuti meno - perché la via del finanziamento ai decoder ci è preclusa da una procedura di infrazione dell'Unione europea.
Diceva l'onorevole Landolfi che per lo spicchio residuo nel 2006 di incentivi destinati alle regioni Sardegna e Valle d'Aosta - che sono piccola cosa rispetto al finanziamento dei due anni precedenti in termini economici - non c'è una specifica procedura di infrazione. Penso che non valga la pena fare una prova in vivo e, proseguendo su tale strada, vedere come vada a finire la questione e se, come già è accaduto riguardo il finanziamento generale ai decoder, alcuni soggetti poi si vorranno rivolgere all'Unione europea. Ad esempio, la dimostrazione della interoperabilità dei decoder che attualmente si utilizzano, è una dimostrazione tecnicamente non scontata.
Su questa strategia faccio alcune osservazioni. Con il sistema del finanziamento ai decoder - che attualmente, nelle sue grandi dimensioni, è preclusa - non si va avanti nella strategia del digitale terrestre. In secondo luogo, quando parliamo di televisione del futuro e televisione digitale anche in Italia, come in qualsiasi altro paese europeo, ci dobbiamo abituare all'idea


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che la televisione del futuro sarà digitale: la televisione digitale però non sarà esclusivamente, e in molti paesi non sarà neanche prevalentemente - penso alla Germania - digitale terrestre.
In Italia il digitale terrestre può avere un ruolo aggiuntivo per il fatto che, alcuni decenni orsono, il nostro paese ha perso completamente il treno della televisione via cavo. Occorrerà valutare le diverse piattaforme digitali oggi disponibili, perché, poi, chi di noi è in grado di fare previsioni sullo sviluppo della IPTV, su quanto crescerà e si svilupperà quel meccanismo? Siamo in un percorso in grande trasformazione e sappiamo due cose: la strategia basata sugli incentivi economici ai decoder è arrivata un po' ad un binario morto; il digitale di cui dobbiamo parlare è un digitale che ha molte piattaforme, molte soluzioni tecnologiche, una delle quali, di interesse notevole per l'Italia, è il digitale terrestre, ma non è l'unica.
Possiamo anche fare il gioco dello «scaricabarile» sui rinvii, ma i rinvii sulle scadenze che erano state fissate prima delle prese d'atto dell'attuale Governo sono stati fatti dal Governo precedente. Credo che nessun Governo, ma neanche nessun parlamentare, considererebbe la possibilità di procedere allo switch-off in territori nei quali il 20, 30, 40 o 50 per cento della popolazione, che tra l'altro paga il canone, non è raggiunta dalla televisione digitale terrestre. Di fronte alla richiesta del presidente della regione Sardegna, di intesa con il presidente della regione Valle d'Aosta, l'idea del rinvio mi sembrava assolutamente ovvia, scontata.
Qual è la situazione in queste due regioni? Nella regione Sardegna vi sono oltre 241 mila decoder, distribuiti con il finanziamento pubblico. Per offrirvi un punto di riferimento, nella regione Sardegna gli abbonati RAI sono 442 mila. È noto che non tutti i decoder presenti hanno avuto il contributo pubblico, ve ne sono quindi ragionevolmente più di 241 mila, saranno 280 mila, ma sappiamo anche che, purtroppo, non tutti i televisori corrispondono ad un abbonato RAI perché, come è noto, in Italia vi è un certo tasso di evasione. La percentuale che offre la statistica di Poste italiane, che gestisce l'invio dei contributi - percentuale che attualmente in Sardegna è del 54 per cento -, tenendo conto che vi sono più decoder rispetto a coloro che hanno ricevuto un contributo, ma anche più utilizzatori della RAI di quelli che effettivamente sono registrati come pagatori del canone, oscilla tra il 50 ed il 60 per cento. Qualsiasi Governo, di qualsiasi colore, di fronte a dati di tal genere dispone un rinvio.
Il problema in Valle d'Aosta non è molto diverso, anche se vi è una penetrazione molto più elevata. La Valle d'Aosta ovviamente ha difficoltà a completare l'ultima parte, anche in considerazione delle caratteristiche orografiche. Approfitto per dire all'onorevole Nicco che certamente è giusto affermare che in alcune aree territoriali, che hanno caratteristiche particolari, non può essere solo il criterio dell'economicità quello in base a cui ci si muove.
Cosa fare di fronte a tale situazione, se è vero il mio presupposto? Ne parlo in questa Commissione parlamentare perché sarà un oggetto su cui il Governo si dovrà orientare nelle prossime settimane. Come è noto, a metà luglio è programmato un incontro a Napoli in cui diversi broadcaster si incontrano per cercare di immaginare una strategia per il futuro. Ho l'impressione - semplifico e chiedo scusa - che alla strategia basata sul «diamo incentivi ai decoder» debba subentrare, se si crede nello switch-over, una strategia basata sui contenuti. Le due storie di successo del digitale terrestre in Europa - free view britannica e digitale terrestre francese - sono basate sulla presenza di situazioni televisive in cui la televisione gratis, in Francia come in Gran Bretagna, nel telecomando dispone di un numero di canali più limitato che in Italia.
Noi partiamo con una televisione free che non è il massimo dal punto di vista, almeno a mio avviso, della qualità, anche se lo è stata qualche tempo fa. Tuttavia, dal punto di vista della numerosità dell'offerta gratuita siamo molto forti. Il digitale


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terrestre deve diventare un'offerta che si diffonde a ritmi più elevati di quelli registrati negli ultimi mesi. Infatti, onorevoli colleghi, negli ultimi mesi si è arrivati ad una cifra compresa tra i 50 ed i 60 mila decoder venduti. Questo è il sell out totale, non solo per gli strumenti di un certo tipo, ma anche per gli zapper e quant'altro. Per quanto riguarda i decoder più maturi, si è giunti intorno a quota 47-45 mila. Se si comprendono in tale cifra anche gli zapper si giunge ad un numero complessivo di 59-57 mila.
Con questi numeri occorre anche un altro driver del processo, ossia la possibilità di offrire sul digitale terrestre un pacchetto di contenuti più forte e più appetibile di quello attuale: non giudico, sono i dati di ascolto e di raccolta pubblicitaria a farlo. Basta chiedere alla SIPRA o a Publitalia quanti investimenti pubblicitari vi sono oggi nei canali del digitale terrestre e sapremo che bisogna fare uno sforzo ulteriore nell'offerta di contenuti se vogliamo accelerare questo processo.
Sulle altre questioni sarò molto più rapido che sul digitale terrestre. Molti intervenuti hanno affrontato il tema della regolamentazione della televisione analogica, del SIC e dell'attuale situazione del mercato (gli onorevoli Testoni, Landolfi, Beltrandi, Pizzolante e altri). Il SIC è stato conteggiato ma poiché gran parte della discussione si svolse in quest'aula, ci ricordiamo che la discussione sul SIC verteva proprio su questo punto. Vi era la legge n. 249 del 1997 che fissava un limite per il mercato televisivo, per cui non si poteva andare oltre il 30 per cento delle risorse (legge Maccanico).
Cosa succede con il SIC? Si abolisce il suddetto limite e si introduce una nuova soglia più moderna, perché raccoglie la diversa integrazione convergente dei mercati: il 20 per cento del SIC. Il SIC è stato calcolato e, dal mio punto di vista, si è constatato che la finalità della soglia del 20 per cento riferita all'universo del SIC è tendenzialmente ininfluente dal punto di vista del controllo delle posizioni dominanti antitrust; infatti, anche i gruppi che nella televisione analogica sono considerati in letteratura in posizioni dominanti - si può discutere se ne abusano o non abusano, è noto che la legge Maccanico diceva che bastava la posizione dominante nel settore delle comunicazioni per configurare un abuso -, da tale soglia non solo non hanno da temere forme di deconcentrazione, ma ricevono anzi amplissimi margini di ulteriore crescita. È vero, quindi, ciò che l'onorevole Testoni dice di cogliere, un po' maliziosamente, tra le righe dell'esposizione del mio documento. Non devo dirlo «tra le righe»: penso che in una fase di transizione quale la nostra, in cui si arriverà allo spegnimento della televisione analogica tra un certo numero di anni, non di settimane o di mesi, sia giusto, logico e normale regolare, anche ai fini antitrust, la televisione analogica di oggi.
Sarebbe come dire che, in attesa delle fonti energetiche alternative, ci dimenticassimo di regolare l'emissione delle centrali a carbone o dell'attuale mercato energetico. Penso che lo dobbiamo fare. Se poi vi sia un intento punitivo - è un interpretazione che personalmente rifiuto - ne discuteremo nel merito. Tuttavia, è un dato di fatto che la televisione analogica che verrà nei prossimi anni - legiferare in questa materia dura per alcuni anni, non per cinquant'anni; può durare cinque, sei o sette anni la legislazione in tale materia - ha bisogno di regole antitrust per consentire una maggiore apertura dal mercato, per evitare l'anomalia italiana. Provate a considerare l'ammontare del fatturato pubblicitario che fa il terzo soggetto italiano, ossia La7: raccoglie il 2,1 per cento delle risorse pubblicitarie. Se si fa un paragone su quanto raccoglie di risorse pubblicitarie il terzo soggetto nei mercati occidentali, si nota che da nessuna parte si può oscillare tra il 7 e il 25 per cento per il terzo soggetto. Questa è una misura di concentrazione, ma ve ne possono essere altre.
La circostanza che i tempi siano quelli indicati richiede una regolazione della televisione analogica che farà bene al futuro digitale. Non è solo un fatto di giustizia o


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di logica di pulizia dei mercati. È anche il fatto che se non ci poniamo il problema di una maggiore apertura nella televisione di oggi, a cui poi corrispondono i multiplex, è molto difficile che solo perché diventa digitale la televisione si apra. Abbiamo avuto una prova in vivo con il DVB-H negli ultimi mesi: chi è voluto entrare nel DVB-H cosa ha fatto? Uno dei tre soggetti che poi sono entrati si è comprato una propria rete televisiva, spendendo una somma piuttosto considerevole e trovando l'ultimo «spezzone» di dorsale televisiva che c'era sul mercato. Gli altri due soggetti hanno concluso un accordo con Mediaset. Uno dei due, TIM, sia per i contenuti, che per la rete; l'altro, Vodafone, solo per la rete, ma non per i contenuti. Ciò semplicemente perché il mercato della televisione analogica attuale è piuttosto chiuso. Aprirlo non è una misura punitiva, è una misura pro-competitiva, di liberalizzazione, di aiuto alla concorrenza.
Sul tema RAI, che hanno posto gli onorevoli Landolfi, Olivieri e Caparini, ma non solo, va detto che nel programma dell'Unione non c'è la privatizzazione della RAI. Mi pare che l'onorevole Olivieri lo abbia ricordato, o riletto. C'è l'obiettivo, all'interno di una holding, di operare una distinzione societaria che, a mio avviso, deve riguardare distinte funzioni della RAI: quelle più legate al servizio pubblico, quelle più legate ad una televisione di tipo più commerciale e quelle di «trasporto della rete». Mi dispiace dirla così in breve, ma ognuno di noi può avere proprie opinioni, ed anche il ministro ne ha, ma mi attengo «militarmente» a ciò che è stato convenuto all'interno della coalizione.
Il contratto di servizio, su cui vari colleghi, anche l'onorevole Carra che oggi non c'è, sono intervenuti, penso debba andare un po' a prefigurare questa direzione, nel senso di una maggiore qualificazione di ciò che è servizio pubblico nella RAI. Con il bollino (chiede l'onorevole Landolfi)? Penso che il bollino sia - lo dice la parola stessa - una sigla finale di un percorso. Facciamo un esempio: se applicassimo il bollino al modo in cui attualmente il contratto di servizio descrive ciò che è servizio pubblico, rischieremmo di creare più sconcerto che chiarezza nel telespettatore. Come viene descritto oggi il servizio pubblico non lo devo dire certo all'onorevole Landolfi. In sostanza vi è un elenco di generi, undici tipizzazioni di generi, e si dice alla RAI che tutto ciò che rientra in tali undici generi deve superare una certa quota, su Raiuno e Raidue, mi pare il 65 per cento ed una quota più alta, l'80 per cento, su Raitre. Quindi, tutto ciò che appartiene a tali undici generi è servizio pubblico.
È una distinzione che ha una sua tradizione ed una sua storia, ma che è molto difficile considerare come una risposta alla nostra esigenza di qualificare adeguatamente ciò che è servizio pubblico. Pensiamo alla discussione che si è sviluppata su questo tema in alcuni tra i maggiori paesi europei ed allo sforzo che dobbiamo compiere, che deve vedere come protagonista il Parlamento, oltre ai mondi che ho iniziato a consultare ieri, per definire meglio ciò che è servizio pubblico. Quando avremo inserito tale meccanismo nel contratto di servizio, e anche trovato il sistema per renderlo, in un certo senso, cogente nei confronti della RAI - altrimenti la RAI sta sempre in paradiso, ossia ci propone un elenco in cui dice che non l'80, ma il 93 per cento della programmazione fa parte di sport, approfondimento e via elencando - ne prenderemo atto e ci metteremo pure il bollino. Penso che la proposta dia maggiore visibilità e chiarezza ad un percorso che, tuttavia, dobbiamo costruire.
L'onorevole Giulietti chiedeva delucidazioni sull'authority e sulle sue capacità di sanzione. Oggi non c'è, ma non voglio non rispondere. Penso che l'Authority delle comunicazioni abbia bisogno, dal Parlamento, di un rafforzamento dei propri poteri di sanzione, perché in alcuni casi, come è noto, il meccanismo di diffide e contro-diffide non arriva mai ad una sanzione che eserciti un effettivo deterrente.
Sono anche d'accordo con gli onorevoli Giulietti e Beltrandi, che sottolineavano l'esigenza, per avere un mercato più competitivo,


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di rafforzare le posizioni dei produttori indipendenti. Sono stati fatti alcuni tentativi in merito: ad esempio l'authority ha regolato il meccanismo di diritti, dicendo che dopo sette anni i produttori possono rientrare in circolo. La situazione al momento è, tuttavia, ancora molto, molto deficitaria. Vi è un mercato che «tira», per certi versi, «alla grande» (ad esempio la fiction italiana va molto bene) ma in cui chi produce continua ad essere molto dipendente da chi distribuisce. Oggi come oggi chi distribuisce fissa tutto, a partire dal prezzo, e gestisce i diritti in Italia ed all'estero. Tale aspetto, che è uno tra i frutti di ciò che chiamiamo duopolio, credo vada corretto.
Per quanto riguarda i diritti del calcio - rispondo all'onorevole Landolfi - penso che entro questo mese, insieme al ministro Melandri, avanzeremo una proposta che da una parte raccoglie un indirizzo non unanime, ma prevalente, da entrambi gli schieramenti, circa la possibilità di tornare a forme di negoziazione collettiva dei diritti. Ci sono proposte di legge di diversi gruppi e diversi schieramenti in merito. Vi è la necessità di evitare, perché sarebbe un esito paradossale, che il ritorno ad una negoziazione collettiva produca effetti di richiusura nel mercato delle diverse piattaforme televisive. Bisognerà evitare, ad esempio, forme di acquisto e resell da parte di un singolo operatore per diverse piattaforme, alcune delle quali, magari, non sono esercite. D'altra parte la recente sentenza dell'antitrust sulla vicenda Mediaset e i diritti del calcio, da tale punto di vista, ci aiuta.
Per quanto riguarda la televisione senza frontiere, bisogna osservare che è un percorso molto importante. A me sembrano due le questioni - ne parlava in precedenza l'onorevole Barbi - che ci interessano molto da vicino. Da un lato, la grande ripartizione tra programmi - come dice il gergo comunitario - lineari e non lineari, quindi della televisione on demand (stanno correggendo il relativo provvedimento, in maniera forse più comprensibile, da non lineare in on demand) e della televisione che viene offerta da un broadcaster, o anche non da un broadcaster, ma per così dire a orario, che non si può scegliere: non un menù da cui si può scegliere, ma una programmazione fissa. A tal riguardo, in passato, il Governo italiano ha operato qualche distinguo: credo che la proposta sia condivisibile.
Vi è, inoltre, una vecchia discussione con l'Unione europea circa le forme di pubblicità. Uno tra i temi in discussione è relativo al product placement. Se n'è discusso molto: è contenuto nella legge Urbani sul cinema, però dobbiamo stare attenti a non favorire gli interessi economici in gioco. Ma il cinema è a caccia di risorse, da un certo punto di vista, è in una condizione in cui anche il mondo dei produttori ha accolto l'introduzione della possibilità del product placement come un'ulteriore opportunità positiva.
Quando si affronta il tema della pubblicità televisiva ci si riferisce ad una realtà che ha fatturati, ricavi, affollamenti e presenze molto, molto notevoli: che ci sia del buono nell'ulteriore aumento di forme possibili di pubblicità con gli schermi divisi e il product placement non lo possiamo accettare aprioristicamente.
Quella della radio, onorevoli Landolfi, Pizzolante ed altri, è chiaramente una situazione non facile: lo riconosceva, intervenendo, l'onorevole Pizzolante. Se ne parla poco, ma dal punto di vista della transizione al digitale delle frequenze è un problema molto più complicato. Possiamo dedicarvi una discussione a parte.
Vorrei dire all'onorevole Landolfi che, come immagino sappia, la questione dei contributi, assolutamente positiva e condivisa, soffre al momento di ritardi, nel senso che i meccanismi di erogazione, probabilmente vanno modificati: taluno propone di delegarli ai CORECOM.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro delle comunicazioni. Ciò che si è registrato anche stamattina in un incontro con l'associazione Aeranti-Corallo, che teneva un


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suo congresso, è una certa insoddisfazione, perché negli ultimi mesi, pure essendo stato deciso il contributo, l'erogazione tarda. Poiché stiamo parlando di quelle mille e più radio locali che sono una voce fondamentale del nostro sistema «democratico», bisogna trovare meccanismi più agili.
Infine, per quanto riguarda il tema delle Poste, su cui sono intervenuti alcuni colleghi (Landolfi, Pezzella, Olivieri, ed altri), il Governo non intende revocare la manovra tariffaria per la semplice ragione che non sembrano sussistere, almeno all'analisi che abbiamo condotto con i nostri uffici che seguono le Poste e con altri uffici del Governo, quelle motivazioni di superiore interesse generale che potrebbero compensare i problemi che la revoca creerebbe, dopo un certo periodo in cui è stata attuata la manovra tariffaria: problemi in termini di contenziosi, di incertezza e quant'altro. Non so se nella scelta - l'onorevole Landolfi diceva che non si tratta di una scelta - ma nei tempi si è creato un problema che, a mio avviso, è quello del disallineamento tra la manovra tariffaria ed il contratto di programma. È evidente che, almeno in linea di principio, i due strumenti dovrebbero marciare insieme, mentre il contratto di programma avrà tempi più lunghi.
Cosa penso di fare? Cosa ci siamo proposti di fare con i nostri uffici? Forse, dotandoci di strumenti diversi da quelli di cui finora si è dotato il Ministero, pensiamo di controllare il rispetto di alcuni parametri che vengono definiti nei contratti di programma. È evidente che se l'esito di questa manovra tariffaria fosse chiamare posta prioritaria tutta la posta senza che effettivamente ci si allineasse agli standard di consegna previsti per la posta prioritaria, si realizzerebbe una presa in giro.
Chi conosce la struttura delle Poste, una grandissima azienda con più di 150 mila dipendenti, sa, come lo sa il ministro, che sono in corso negoziazioni sindacali per assicurare una serie di presupposti - penso a turnazioni notturne - che devono garantire il rispetto degli standard previsti dalla manovra tariffaria. Se le Poste prendono l'impegno manovra tariffaria-standard, quest'ultimo va fatto rispettare, e il Ministero intende farlo rispettare. Ci vogliono strumenti più adeguati, perché chi dovrebbe in teoria far rispettare questi standard fa dei rapporti annuali che non credo siano efficientissimi.
Per quanto riguarda la chiusura degli uffici, sono assolutamente d'accordo con chi sostiene che oggi accettare con superficialità, come fosse una misura di «efficientamento» economico, la chiusura di un ufficio postale, soprattutto in piccoli comuni, in aree montane o «marginali» del paese, è irresponsabile. Tra l'altro, non credo che sia vero neanche l'effetto di efficientamento di queste misure. Ormai, considerato il lavoro diverso che le Poste fanno rispetto al semplice lavoro di servizio postale, molti uffici postali fanno parte della ricchezza di una rete, che presta servizi finanziari e di altro genere. Tra l'altro, molto spesso, nei piccoli centri, svolgono questo lavoro quasi in esclusiva: non ci sono banche o comunque il numero delle filiali bancarie non è equiparabile a quello degli uffici postali.
L'attenzione del Parlamento e la possibilità nel contratto di programma, che dobbiamo definire con il parere delle Commissioni parlamentari, di sottoporre alle Poste maggiori vincoli su questo punto non va necessariamente a scapito dell'efficienza economica. In qualche caso sì, ma allora dobbiamo far prevalere l'interesse generale. Tuttavia, non è vero che in tutti i casi vi è un risparmio quando si chiude, in alcune realtà di tal genere, un ufficio postale. Ci potrebbero essere altri risparmi su cui lavorare.
La liberalizzazione è fissata dall'Unione europea. Da ciò che comprendiamo, è una scadenza che l'Unione intende confermare, nel 2009. L'Italia deve prepararsi a una scadenza di questo genere, così come deve coordinare la sua attività di preparazione con quei paesi, come la Francia e altri paesi latini che guardano con cautela a quel percorso. Si tratta di paesi in cui il servizio postale è meno redditizio - in Italia lo è ancora meno - rispetto a paesi


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quali la Germania o l'Olanda, in cui, come è noto, le Poste ricavano molti guadagni con il servizio postale.
Penso che non dobbiamo fare i «Pierini» della situazione, bloccando il percorso europeo, ma dobbiamo lavorare per individuare tutte le possibilità di accordi intergovernativi che consentano di fare questo passaggio, che va fatto nel modo migliore possibile.
Aggiungo che al vertice di Poste italiane va posto un obiettivo molto semplice. Penso che per Poste italiane - è una sensazione iniziale, è da poco più di un mese che mi occupo di questa questione - non possiamo dare per scontato che non possa raggiungere non dico il pareggio di bilancio, ma almeno un livello di efficienza molto maggiore dell'attuale nel servizio postale. L'idea che il servizio postale, di per sé, non possa migliorare i propri margini e che i margini possano arrivare solo da altri servizi o dall'onere del servizio universale dello Stato mi sembra un po' un luogo comune nel modo in cui viene vissuto; penso vada messa in discussione.
Credo che lo Stato debba chiedere a Poste italiane di migliorare e di avere un piano a medio termine per migliorare i propri margini nel servizio postale, perché, altrimenti, in un mondo più liberalizzato avremo problemi comunque, quale che sia la gradualizzazione che riusciremo eventualmente a negoziare con Bruxelles.

PRESIDENTE. Non voglio aggiungere altro alle mie considerazioni iniziali. Ringrazio i colleghi per aver contribuito a costruire un dibattito che, in questo passaggio, ci vede su posizioni molto chiare.
Desidero rivolgere al ministro Gentiloni Silveri un sentito ringraziamento, dal momento che non si è sottratto a questo confronto, le cui conclusioni hanno arricchito i contenuti di quel documento che egli stesso ha consegnato all'inizio della discussione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.