Doc. IV, N. 2-A
RELAZIONE
DELLA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI
(Relatore: Enrico COSTA)
sulla
DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE AL SEQUESTRO DI CORRISPONDENZA
concernente i deputati
BONIFAZI e BOSCHI
nonché
Luca LOTTI
(deputato all'epoca dei fatti)
(nell'ambito del procedimento penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP)
pervenuta dal tribunale di firenze
sezione giudici per le indagini preliminari
il 23 novembre 2023
Presentata alla Presidenza il 22 marzo 2024
Onorevoli Colleghi! – La Giunta per le autorizzazioni riferisce all'Assemblea in merito a una richiesta di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – formulata dal GUP presso il Tribunale di Firenze con ordinanza del 20 novembre 2023, pervenuta alla Camera il successivo 23 novembre – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP). L'on. Bonifazi non è invece indagato.
1. Premessa. Le sedute della Giunta dedicate all'esame della richiesta del GUP del Tribunale di Firenze.
Prima di entrare nel merito del contenuto della relazione, sembra opportuno riepilogare brevemente le tappe più significative che la Giunta ha percorso prima di votare la proposta del relatore. Al riguardo, si ricorda in particolare che:
a) nella seduta del 14 dicembre 2023, il relatore ha esposto i contenuti della richiesta di autorizzazione al sequestro proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze nonché i più significativi principi individuati dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prassi parlamentare in materia di autorizzazioni ad acta previste dall'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione. All'esito di tale seduta, i Gruppi presenti hanno convenuto all'unanimità di invitare l'Autorità giudiziaria procedente a integrare la documentazione trasmessa inviando alla Camera anche la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli onn. Boschi e Lotti nonché la richiesta di sequestro probatorio della corrispondenza di tali parlamentari formulate dalla Procura di Firenze;
b) nella seduta del 18 gennaio 2024, il medesimo relatore ha sintetizzato i contenuti delle predette richieste di rinvio a giudizio e di sequestro di corrispondenza, trasmesse alla Camera il 4 gennaio. All'esito di tale seduta, tutti i Gruppi presenti hanno convenuto sull'opportunità di acquisire anche le sentenze che la Corte di cassazione ha adottato, tra il 2020 e il 2022, in relazione ai sequestri probatori disposti dalla Procura di Firenze nell'ambito dell'inchiesta sulla Fondazione Open; si tratta, infatti, di decisioni che hanno consentito di comprendere più a fondo le questioni giuridiche sottese al caso esaminato. Tali sentenze – e in particolare la n. 12094, la n. 28796, la n. 30225 e la n. 34265 del 2020; nonché le sentenze n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022 – sono state trasmesse a tutti i membri della Giunta;
c) nella seduta del 7 febbraio 2024, la Giunta ha ascoltato l'on. Bonifazi ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento. Nella stessa seduta il relatore ha altresì sintetizzato i contenuti delle note scritte inviate dagli onn. Boschi e Lotti il precedente 5 febbraio, che sono state messe a disposizione dei componenti della Giunta (come d'altra parte tutta la documentazione inviata dall'Autorità giudiziaria di Firenze);
d) nelle sedute del 20 e del 28 febbraio 2024, la Giunta si è confrontata su quelle che sono state individuate come le principali questioni sottese alla richiesta di autorizzazione in esame;
e) infine, nella seduta del 21 marzo 2023, la Giunta ha approvato la proposta del relatore di negare l'autorizzazione al sequestro in questione.
2. La proposta della Giunta di negare l'autorizzazione al sequestro di corrispondenza.
Ciò premesso, la Giunta propone all'Assemblea di negare al GUP presso il Tribunale di Firenze l'autorizzazione a sequestrare la corrispondenza dei deputati Bonifazi, Boschi e Lotti, così come indicata nel prospetto trasmesso alla Camera il 23 Pag. 3novembre 2023, in allegato alla richiesta del medesimo GUP.
I motivi che inducono la Giunta a formulare tale proposta di diniego sono essenzialmente tre e consistono nel fatto che la predetta richiesta di autorizzazione al sequestro:
1) è stata trasmessa alla Camera solo dopo l'effettiva acquisizione della corrispondenza dei parlamentari, che è già avvenuta durante le indagini preliminari, in violazione di quanto stabilisce l'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 (v. par. 3);
2) presenta chiari indizi di fumus persecutionis nei confronti dei deputati interessati (v. par. 4);
3) non è sufficientemente motivata per quanto attiene all'esigenza del «sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare», che la giurisprudenza costituzionale richiede con riferimento alle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione (v. par. 5).
Nei paragrafi che seguono saranno illustrati, per ciascuno dei predetti motivi, gli argomenti che militano a sostegno delle conclusioni indicate.
3. La ratio dell'autorizzazione ad actum di cui all'articolo 68, terzo comma, della Costituzione. Violazione, nel caso concreto, della regola della natura preventiva della richiesta di autorizzazione al sequestro di corrispondenza dei parlamentari.
Con riferimento al primo motivo anticipato nel par. 2, sembra innanzitutto opportuno ricordare – in via preliminare e generale – che, secondo quanto afferma la Corte costituzionale (sentenza n. 390 del 2007), l'autorizzazione ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione «postula un controllo sulla legittimità dell'atto da autorizzare [da parte delle Camere competenti], a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione può comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, infatti, con l'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento». Infatti – prosegue la Corte costituzionale – «l'art. 68 Cost. mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a
proteggerlo, cioè, dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione». Analogamente, in un'altra decisione (la n. 188 del 2010), la Consulta ha affermato che, in sede di esame della richiesta di autorizzazione proveniente dall'Autorità giudiziaria, le Camere sono chiamate a valutare la sussistenza dei «requisiti di legalità costituzionale» della richiesta medesima.
Con specifico riferimento al sequestro di corrispondenza dei parlamentari (che è il caso che pacificamente ricorre nella fattispecie), la Consulta ha indicato con estrema chiarezza – nella sentenza n. 170 del 2023 – quali debbano essere le condizioni e i requisiti procedurali che l'Autorità giudiziaria deve rispettare affinché la richiesta di autorizzazione possa essere considerata legittima sotto il profilo costituzionale. In particolare, la Corte ha innanzitutto sottolineato che l'autorizzazione al sequestro (ove appunto riguardi la corrispondenza di parlamentari) è regolata esclusivamente dall'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003, e non anche – neppure in via di estensione analogica – dall'articolo 6 della medesima legge. Da ciò consegue – chiarisce ancora la Consulta – che l'Autorità giudiziaria è tenuta a
chiedere tale autorizzazione alla Camera competente prima di eseguire il sequestro, non essendo prevista né dalla legge né dalla Costituzione la possibilità di un'autorizzazione successiva, che è invece riconosciuta dal citato articolo 6 della legge n. 140 del 2003 solo con riguardo alle c.d. intercettazioni casuali delle comunicazioni dei parlamentari.
Del resto, il menzionato articolo 4, comma 2, della legge n. 140 del 2003, nel disciplinare il sequestro di corrispondenza Pag. 4nei confronti dei membri del Parlamento, stabilisce che l'autorizzazione debba essere richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento «da eseguire» e che «in attesa dell'autorizzazione, l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa».
La Consulta ha poi precisato che – ove si tratti di «contenitori» di dati informatici appartenenti a terzi (telefoni cellulari, computer o di altri dispositivi) nella cui memoria siano conservati messaggi inviati in via telematica a un parlamentare o da lui provenienti – gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre, in confronto al terzo non parlamentare, il sequestro di tali «contenitori». Tuttavia – sottolinea la medesima Corte – «nel momento in cui riscontrano la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, [i medesimi organi inquirenti] debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro». Sempre secondo la
Consulta, «l'autorizzazione va chiesta a prescindere da ogni valutazione circa la natura 'mirata' od 'occasionale' dell'acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l'apprensione dei dispositivi appartenenti a terzi». Infatti, «la distinzione tra captazioni 'indirette' e captazioni 'occasionali' – con limitazione alle prime dell'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva all'esecuzione dell'atto, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003 (sentenza n. 390 del 2007; in senso conforme, sentenze n. 157 del 2023, n. 38 del 2019, n. 114 e n. 113 del 2010) – non è riferibile alla fattispecie di sequestro di corrispondenza riguardante i parlamentari. A differenza delle intercettazioni – le quali consistono in una attività, prolungata nel tempo, di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi nel momento in cui l'atto investigativo è
disposto – il sequestro è finalizzato all'acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti. Una volta riscontrato che si tratta di messaggi di un parlamentare, o a lui diretti, diviene quindi in ogni caso operante la guarentigia di cui all'articolo 68, terzo comma, della Costituzione».
Nel caso oggi all'esame della Camera, la declinazione delle regole enunciate dal Giudice delle leggi induce a ritenere che la richiesta di autorizzazione inviata dal GUP presso il Tribunale di Firenze si ponga al di fuori del quadro costituzionale che disciplina il sequestro di corrispondenza dei parlamentari e segnatamente dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003.
Infatti, nella richiesta pervenuta il 23 novembre 2023, il medesimo GUP afferma espressamente che la corrispondenza degli onn. Bonifazi, Boschi e Lotti – oggetto della istanza di autorizzazione – è già stata estratta dai dispositivi elettronici sequestrati ai terzi. Dai prospetti allegati alla stessa domanda e dall'ulteriore documentazione inviata alla Giunta il 4 gennaio 2024, si evince poi chiaramente che le altre comunicazioni intercorse via e-mail tra i predetti parlamentari, di cui si chiede il sequestro, sono state già acquisite in forma cartacea nel corso delle perquisizioni riguardanti altri imputati nel medesimo procedimento penale. Inoltre – come emerge dalla richiesta di rinvio a giudizio che indica, tra le fonti di prova, anche le acquisizioni documentali conseguenti alle attività di perquisizione e sequestro, e come d'altra parte risulta dalle note scritte inviate dagli onn. Boschi e
Lotti oltreché dall'audizione dell'on. Bonifazi – la corrispondenza dei parlamentari in questione è già stata utilizzata dai pubblici ministeri ai fini dell'esercizio dell'azione penale (nonché trasmessa al GUP unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio) e fa tuttora parte del fascicolo dell'udienza preliminare.
Alla luce delle considerazioni che precedono e tenuto ancora una volta conto dei principi contenuti nella fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, appare chiaro che – formalmente – il GUP presso il Tribunale di Firenze chiede di essere autorizzato a eseguire il sequestro probatorio di corrispondenza di parlamentari, ma che – sostanzialmente – tale sequestro è già stato compiuto nel corso delle Pag. 5indagini preliminari. In realtà, quindi, il medesimo GUP chiede – a sequestro avvenuto – di essere autorizzato ad utilizzare processualmente gli esiti di tale strumento investigativo. In definitiva, cioè, il GUP in parola chiede una sorta di «autorizzazione in sanatoria» avente ad oggetto quanto è già stato acquisito (indebitamente) nel corso delle indagini preliminari. Tale
richiesta, però, contrasta con quanto affermato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 170/2023 più volte richiamata, ha stabilito che «l'autorizzazione resta pur sempre preventiva rispetto al sequestro di corrispondenza, senza trasformarsi in una autorizzazione ex post ai fini dell'utilizzazione processuale delle risultanze di un atto investigativo già eseguito: autorizzazione che l'articolo 6 della legge n. 140 del 2003 prevede solo in rapporto alle intercettazioni e all'acquisizione di tabulati telefonici e non pure al sequestro di corrispondenza».
Al riguardo, si tenga peraltro presente che, ad avviso della Corte costituzionale, la necessità dell'autorizzazione preventiva al sequestro di corrispondenza «non prefigura un privilegio del singolo parlamentare in quanto tale (...) ma una prerogativa strumentale [...] alla salvaguardia delle funzioni parlamentari, volendosi impedire che intercettazioni e sequestri di corrispondenza possano essere 'indebitamente finalizzat[i] ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attività' (sentenza n. 390 del 2007; in senso analogo, sentenze n. 38 del 2019 e n. 74 del 2013, ordinanza n. 129 del 2020). (...) Condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione del mandato parlamentare possono bene derivare, infatti, anche dalla presa di conoscenza dei contenuti di messaggi già pervenuti al destinatario».
4. Fumus persecutionis in senso oggettivo.
Con riferimento al secondo motivo anticipato al par. 2, la Giunta ritiene che la richiesta dell'Autorità giudiziaria di Firenze sia caratterizzata dalla presenza del fumus persecutionis in senso oggettivo. Secondo la prassi parlamentare, tale fumus ricorre ove emergano «oggettivi indici sintomatici di un uso distorto delle funzioni giudiziarie, quali vizi procedurali gravi, o carenze nella motivazione o una manifesta infondatezza dell'azione giudiziaria, tali da rivelare un utilizzo abnorme degli strumenti giudiziari» (così il DOC IV n. 6-A della XVII legislatura; nello stesso senso si veda, per la Camera: DOC IV n. 4-A della XVIII legislatura; per il Senato, v. DOC IV n. 14-A della XVII legislatura; DOC IV n. 13-A della XVII legislatura; DOC IV n. 9-A della XVII legislatura. Si vedano, inoltre le sentenze della Corte costituzionale n. 390 del 2007, n. 188 del 2010 e n. 74 del 2013).
Le ragioni che depongono a favore di tale conclusione si rinvengono essenzialmente dall'analisi delle menzionate sentenze della Corte di cassazione (n. 28796, n. 30225 e n. 34265 del 2020; n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022) e consistono nel fatto che:
1) in tre sentenze pronunciate una di seguito all'altra, la medesima Corte di legittimità ha ritenuto insussistente il fumus del reato di illecito finanziamento ai partiti, che è alla base dell'indagine penale in corso (v. par. 4.1.);
2) nelle stesse sentenze i giudici della Cassazione hanno annullato analoghi decreti di sequestro probatorio (per manifesta sproporzione e perché caratterizzati da finalità meramente esplorative), che erano stati disposti dalla Procura di Firenze (e peraltro confermati dal Tribunale del riesame) nell'ambito della stessa inchiesta da cui trae origine la richiesta di sequestro in parola (v. par. 4.2.).
4.1. Assenza del fumus commissi delicti come indice sintomatico del fumus persecutionis.
Il primo indice sintomatico del fumus persecutionis consiste dunque nel fatto che la Corte di cassazione ha escluso per ben tre volte di seguito (v. sentenze 28796/2020; n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022) la sussistenza del fumus del reato di illecito finanziamento ai partiti (articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e articolo 4 della legge n. 659 del 1981) nell'ambito della Pag. 6stessa inchiesta da cui trae origine la richiesta al sequestro in esame. Ciò, essenzialmente per i due motivi esposti di seguito:
a) Non dimostrata natura di articolazione politico-organizzativa di partito della Fondazione Open.
Nelle sentenze appena citate la Cassazione ha affermato innanzitutto che l'Autorità giudiziaria di Firenze (Procura e Tribunale del riesame) non avrebbe adeguatamente provato quello che è un pilastro fondamentale dell'accusa e cioè che la fondazione Open fosse una articolazione politico-organizzativa di partito, come tale rilevante ai sensi e per gli effetti del citato articolo 7 della legge n. 195 del 1974. La Corte ha sottolineato, in particolare, che la magistratura inquirente non avrebbe dato adeguata dimostrazione del fatto – ritenuto essenziale ai fini della configurabilità del reato di illecito finanziamento – che la fondazione Open fosse uno «strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti» e che vi fosse una «simbiosi operativa» tra i due enti. Ciò, in quanto non sarebbe stata tenuta in sufficiente considerazione una cospicua attività della
fondazione di promozione di iniziative culturali e politiche, autonoma e distinta da quella del partito.
Chiamata per la terza volta a stabilire se il Tribunale del riesame di Firenze si fosse attenuto ai principi stabiliti nelle due precedenti sentenze di annullamento con rinvio (n. 28796/2020 e n. 29409 del 2021), la Corte di cassazione ha definitivamente annullato – senza rinvio – i decreti di sequestro disposti dalla Procura. Nella menzionata pronuncia n. 11835 del 2022 la Corte ha di nuovo censurato l'operato del Tribunale del riesame di Firenze sottolineando che tale Ufficio giudiziario – nel qualificare la fondazione Open quale «articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico», in ragione della funzione asseritamente servente dalla stessa svolta in favore della c.d. corrente renziana – «non ha precisato sotto quale profilo la concreta attività della Fondazione avrebbe esorbitato l'ordinaria attività di una fondazione politica e l'ambito dell'agire lecito delineato
dall'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149 del 2013, nel testo vigente all'epoca dei fatti. Questa disposizione, infatti, espressamente riconosce e consente che le fondazioni di partito possano raccogliere fondi, erogare somme a titolo di liberalità e contribuire al finanziamento di iniziative in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne o di parlamentari o consiglieri regionali, in misura superiore al dieci per cento dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente. Il giudice del rinvio, dunque, in ossequio ai principi affermati dalle sentenze rescindenti, avrebbe dovuto, in via preliminare, verificare se l'attività della Fondazione Open avesse esorbitato o meno dall'ambito fisiologico della fondazione politica delineato dal legislatore e solo successivamente verificare se l'eventuale presenza di una attività distonica rispetto al modello legale consentisse di considerare la stessa quale 'articolazione
politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana)'. Il Tribunale del riesame di Firenze, nel provvedimento impugnato, ha, invece, invertito i poli logici della verifica giudiziale allo stesso demandata, prescindendo nella verifica della operatività della Fondazione Open dal confronto con il modello delineato dal legislatore per le fondazioni politiche. Il giudice del rinvio, obliterando lo statuto legislativo delle fondazioni politiche, ha, pertanto, considerato la Fondazione Open una 'articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico' esclusivamente in ragione della funzione asseritamente servente dalla stessa svolta in favore della corrente renziana. L'erogazione di finanziamenti e di servizi a titolo gratuito nei confronti di un partito o di un parlamentare è, tuttavia, espressamente contemplata dall'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149 del 2013 e, dunque, non può essere invocata per dimostrare che una
fondazione politica abbia esondato dall'ambito fisiologico della propria attività»;
b) Non dimostrata natura illecita dei contributi in denaro erogati alla fondazione Open.
L'ulteriore motivo per cui la Corte di cassazione ha ritenuto insussistente il fumus commissi delicti ipotizzato dalla Procura di Firenze consiste nel fatto che tale Pag. 7Ufficio giudiziario (così come successivamente il Tribunale del riesame) non avrebbe dimostrato il carattere illecito del finanziamento erogato alla fondazione Open. Il particolare, la suprema Corte ha sottolineato che «il Tribunale del riesame ha obliterato che nel delitto di illecito finanziamento ai partiti il perimetro dell'area del penalmente rilevante muta a seconda della natura del soggetto contributore e, segnatamente, a seconda che sia un soggetto pubblico (o a partecipazione pubblica) o una società privata e che, in tal caso, illecita non è l'erogazione del contributo in sé considerata ma l'inosservanza all'obbligo di trasparenza sub specie di adozione di una delibera
assembleare e di iscrizione del finanziamento in bilancio» (sentenza n. 11835 del 2022). In effetti, nella richiesta di rinvio a giudizio, non è neppure fatta menzione della circostanza che i contributi finanziari erogati alla fondazione Open – oggetto dell'ipotizzato finanziamento occulto illecito – non sarebbero stati deliberati dai competenti organi societari né iscritti nel bilancio (circostanze, queste, che rappresentano gli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e all'articolo 4 della legge n. 659 del 1981).
4.2. Illegittimità dei sequestri disposti nella medesima inchiesta sul caso Open come ulteriore indizio del fumus persecutionis.
Il secondo indizio sintomatico della sussistenza del fumus persecutionis nel caso concreto è rappresentato dal fatto che la Corte di cassazione – nelle sentenze prima richiamate – ha giudicato sproporzionati, e caratterizzati da meri fini esplorativi di notizie di reato, altri (analoghi) sequestri disposti dalla Procura di Firenze nell'ambito della stessa indagine da cui scaturisce la richiesta in esame.
Ad esempio, nella già citata sentenza n. 34265 del 2020, la Corte critica il fatto che «il Tribunale [del riesame], che pure era stato investito di specifiche questioni relative alla pertinenza delle cose sequestrate ed alla adeguatezza e proporzionalità del mezzo di ricerca della prova, non ha spiegato (...) perché, a fronte di isolati versamenti in favore della Fondazione Open da parte di persone terze estranee, dovesse considerarsi legittimo, rispetto al reato per cui si procedeva (...), un sequestro onnivoro ed invasivo di una serie indifferenziata di dati personali. (...) Un sequestro, quello oggetto della ordinanza impugnata, strutturalmente asimmetrico rispetto alla notizia di reato per cui si procedeva, rispetto al fatto per cui si investigava, rispetto al ruolo che in detto fatto avrebbero avuto gli odierni ricorrenti, rispetto al suo oggetto; un sequestro che finisce per assumere, sul piano
quantitativo e qualitativo, una non consentita funzione esplorativa, finalizzata alla eventuale acquisizione, diretta o indiretta, di altre notizie di reato».
Analogamente, nella menzionata sentenza n. 11835 del 2022, la Corte afferma che «la generalizzata acquisizione del materiale informatico (...) pare, dunque, irrelata rispetto alle verifiche documentali necessarie per affermare la sussistenza del reato di finanziamento illecito dei partiti, tanto da fare assumere al vincolo cautelare reale carattere esplorativo e sproporzionato (sul punto, ex plurimis: Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti, Rv. 279949 – 02; Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018, Macis, Rv. 274781 – 01). (...) Tali rilievi – termina la Corte – unitamente a quelli formulati in ordine alla carenza della dimostrazione, sia pure in termini di fumus commissi delicti, del carattere illecito del finanziamento e alla distonia tra i beni in sequestro e il reato per il quale la misura cautelare è stata disposta, impongono l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata,
nonché del decreto di sequestro probatorio». Conseguentemente, la Corte ha disposto la restituzione dei beni acquisiti, ivi compresa la copia integrale del contenuto dei supporti informatici (c.d. copia forense). Richiamando infatti una pronuncia delle Sezioni Unite in tema di sequestro di materiale informatico (SS.UU, sentenza n. 40963 del 20/07/2017), essa ha affermato che «la mera reintegrazione nella disponibilità del titolare del bene fisico oggetto di un sequestro probatorio non elimina il pregiudizio determinato dal vincolo cautelare su diritti fondamentali certamente Pag. 8meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza e al segreto o, comunque, alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo, tutelati anche dall'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dall'art. 8 della Convenzione Europea dei
diritti dell'uomo».
Per concludere sul punto, la Giunta ritiene quindi che, nella fattispecie in esame, la presenza del fumus persecutionis sia comprovata dal fatto che l'Autorità giudiziaria procedente ponga a fondamento della propria richiesta di autorizzazione il medesimo impianto accusatorio che è già stato reiteratamente censurato dalla Corte di cassazione e, inoltre, chieda di avallare (peraltro ex post) l'esecuzione di un sequestro analogo a quelli che, nell'ambito della medesima inchiesta, sono già stati qualificati dalla Corte di legittimità come sproporzionati e caratterizzati dalla presenza di finalità meramente esplorative, cioè di ricerca di altre notizie di reato.
5. Insufficiente motivazione circa il bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco.
Con riferimento al terzo e ultimo motivo anticipato al par. 2, la Giunta è dell'avviso che la richiesta del GUP presso il Tribunale di Firenze non sia ispirata – come richiede la Corte costituzionale in particolare nella sentenza n. 188 del 2010 – all'esigenza del «sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare».
Al riguardo, è opportuno ribadire nuovamente che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la capacità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione «assume significati ulteriori laddove siano in questione le comunicazioni di un parlamentare. Non già perché la riservatezza del cittadino, che è altresì parlamentare, abbia un maggior valore, ma perché la pervasività del mezzo d'indagine in questione può tradursi in fonte di condizionamenti sul libero esercizio della funzione». In tali casi – sottolinea il Giudice delle leggi – si possono aprire «squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare, specialmente istituzionali, di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine, e riguardanti altri soggetti (in specie, altri
parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell'indipendenza e della libertà della funzione» (così la sentenza n. 38 del 2019. Con riferimento alla fattispecie in esame, occorre peraltro ricordare che l'Autorità giudiziaria procedente ha chiesto di poter sequestrare anche la corrispondenza che riguarda parlamentari diversi dagli onn. Bonifazi, Boschi e Lotti, per i quali però non è stata avanzata una specifica domanda).
Nella stessa prospettiva la Consulta evidenzia, in un'altra decisione, che «tutti gli organi costituzionali hanno necessità di disporre di una garanzia di riservatezza particolarmente intensa, in relazione alle rispettive comunicazioni inerenti ad attività informali, sul presupposto che tale garanzia – principio generale valevole per tutti i cittadini, ai sensi dell'art. 15 Cost. – assume contorni e finalità specifiche, se vengono in rilievo ulteriori interessi costituzionalmente meritevoli di protezione, quale l'efficace e libero svolgimento, ad esempio, dell'attività parlamentare e di governo» (sentenza n. 1 del 2013).
Proprio in considerazione della particolare idoneità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione e del rischio che un uso improprio di tali strumenti possa essere indebitamente finalizzato a incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, la Corte costituzionale esige che, nella richiesta di autorizzazione ad actum, l'autorità giudiziaria dia compiutamente conto di aver effettuato un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionali in rilievo: da un lato quello sotteso alle esigenze investigative e, dall'altro, quello al libero e indipendente svolgimento del mandato parlamentare. Ad avviso della Consulta, serve dunque «un adeguato e specifico corredo motivazionale che possa consentire al destinatario della richiesta di valutare l'avvenuto contemperamento [da parte dell'autorità giudiziaria
Pag. 9procedente] degli interessi in gioco. Ciò che conta è, dunque, che questo contemperamento avvenga e che le ragioni siano palesate». In proposito, la Corte si spinge pertanto ad affermare che l'autorizzazione ad actum possa essere concessa «solo se la [sua] necessità emerge in modo palese e stringente dalle prospettazioni dell'Autorità giudiziaria che, coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, deve dare conto di avere esperito le soluzioni alternative ragionevolmente ipotizzabili (...) ovvero della presumibile impraticabilità delle medesime. (...) E non vi è dubbio che la mancanza o anche solo la carenza di motivazione sul punto può costituire legittimo fondamento per il diniego dell'autorizzazione da parte della Camera competente, senza
alcuna esorbitanza dai propri poteri» (così la sentenza n. 188 del 2010).
Nella richiesta proveniente dall'Autorità giudiziaria, invece, non appare in alcun modo considerata l'incidenza della misura richiesta sul libero esercizio del mandato parlamentare né è giustificata l'impossibilità di ricorrere a soluzioni procedimentali alternative a un così massiccio sequestro di corrispondenza, che peraltro è intercorsa in un periodo che va dal 2011 al 2019 ancorché i reati contestati sarebbero stati commessi tra il 2014 e il 2018. Pur chiedendo di essere autorizzato a sequestrare un enorme numero di comunicazioni riguardanti deputati (circa 4.200), il GUP presso il Tribunale di Firenze sembra dare per scontato – in quanto sul punto non fornisce motivazione alcuna – che l'interesse sotteso alle esigenze investigative e probatorie dell'Autorità giudiziaria debba prevalere, integralmente e automaticamente, su quello al libero e indipendente svolgimento del mandato
parlamentare. Ma tale impostazione metodologica contrasta – oltre che con i principi sopra esposti – anche con un ulteriore orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui tutti i valori fondamentali tutelati dalla Costituzione «si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri [...]. Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe 'tiranno' nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette» (così la sentenza n. 85 del 2013). Per questo – prosegue la Consulta – «la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi,
nel rispetto dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza» (così la sentenza n. 20 del 2017).
***
Per tutte le considerazioni sinora esposte, la Giunta per le autorizzazioni propone all'Assemblea di negare al GUP presso il Tribunale di Firenze l'autorizzazione al sequestro della corrispondenza concernente i deputati Bonifazi, Boschi e Lotti, richiesta con ordinanza del 20 novembre 2023, pervenuta alla Camera il 23 novembre 2023.
Enrico COSTA, relatore
Pag. 10ALLEGATO
Estratto dei resoconti sommari della Giunta
per le autorizzazioni del 29 novembre, 6, 14 e 20 dicembre 2023, 18 gennaio, 7, 20 e 28 febbraio, 14 e 21 marzo 2024
Mercoledì 29 novembre 2023
Comunicazioni del Presidente.
Enrico COSTA, presidente, comunica alla Giunta che, con nota pervenuta il 23 novembre 2023, il Tribunale di Firenze – Sezione Giudici per le indagini preliminari – ha trasmesso alla Camera una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco BONIFAZI e Maria Elena BOSCHI nonché Luca LOTTI, deputato all'epoca dei fatti, nell'ambito del procedimento penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP. La domanda è stata trasmessa in pari data alla Giunta per le autorizzazioni per il seguito di competenza ed è disponibile sul sito della Camera (Doc. IV, n. 2).
Mercoledì 6 dicembre 2023
Sui lavori della Giunta.
Enrico COSTA, presidente, fa presente che all'ordine del giorno della prossima seduta, che sarà presumibilmente convocata per giovedì 14 dicembre, sarà iscritto anche l'inizio dell'esame della domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza di cui al Doc. IV, n. 2, sulla quale sarà lui stesso a riferire alla Giunta.
Giovedì 14 dicembre 2023
AUTORIZZAZIONI AD ACTA
Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Esame e rinvio).
Enrico COSTA, presidente e relatore, fa presente che l'ordine del giorno reca l'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – inviata dal GUP del Tribunale di Firenze – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP).
Come anticipato nella seduta del 29 novembre 2023, sarà lui stesso a svolgere l'incarico di relatore.
Relazione pertanto alla Giunta nei termini che seguono.
La richiesta di autorizzazione proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze.
Con nota pervenuta il 23 novembre 2023, il GUP del Tribunale di Firenze ha chiesto alla Camera l'autorizzazione a eseguire il sequestro probatorio di corrispondenza (e-mail, messaggi WhatsApp e «immagini») riguardante gli onn. Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi, nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato. Nella nota viene precisato che tali comunicazioni sono state rinvenute all'interno dei dispositivi informatici sequestrati nel 2019 ad alcuni finanziatori della Fondazione Open nonché nel corso della perquisizione avvenuta presso lo studio legale del Presidente di tale Fondazione.
Il medesimo GUP ha inviato analoga richiesta al Senato al fine di ottenere dall'altroPag. 11 ramo del Parlamento l'autorizzazione al sequestro di corrispondenza del sen. Renzi.
Le richieste di autorizzazione in questione, formulate ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003, intervengono dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, che ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato nel 2022 dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica di Firenze a seguito dell'esecuzione del sequestro – disposto senza previa autorizzazione del Senato medesimo – di alcune comunicazioni intervenute tra il terzo titolare del dispositivo elettronico sequestrato e il sen. Matteo Renzi. Tale importante sentenza ha statuito che hanno natura di «corrispondenza» (rilevando quindi ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione) anche i messaggi di posta elettronica e WhatsApp già ricevuti e letti dal destinatario (conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario stesso o del mittente) fino a quando – per il
decorso del tempo – essi abbiano perso ogni «carattere di attualità» in rapporto all'interesse alla loro riservatezza, trasformandosi in meri documenti storici. Secondo le indicazioni offerte dalla Corte, tale carattere di attualità deve presumersi fino a prova contraria quando si discuta di messaggi scambiati a distanza di tempo non particolarmente significativa rispetto al momento in cui dovrebbero essere acquisiti, specie se ancora custoditi in dispositivi protetti da codici di accesso.
La richiesta di autorizzazione in esame ha ad oggetto – complessivamente – circa 4200 messaggi elettronici scambiati tra il 2012 e il 2019. In un articolato prospetto, allegato alla richiesta del GUP del Tribunale di Firenze, sono indicati: 1. il tipo di comunicazione di cui si chiede l'autorizzazione al sequestro (e-mail, chat WhatsApp e «immagini»); 2. gli interlocutori, con specifico riferimento ai parlamentari coinvolti (che talvolta sono anche più di due in una medesima comunicazione); 3. la data e l'ora dei messaggi; 4. la tipologia di supporto (informatico o cartaceo) in cui sono contenuti tali messaggi. In relazione a talune comunicazioni viene precisato che esse sono contenute nei faldoni relativi al «sequestro del 17.09.2019» e al «sequestro del 20.11.2019». Da tale prospetto emerge che alcune comunicazioni di cui si chiede l'autorizzazione al
sequestro riguardano anche altri parlamentari attualmente in carica, diversi dagli onn. Boschi, Bonifazi e Lotti; in relazione a tali parlamentari non è stata tuttavia avanzata specifica richiesta di autorizzazione.
Nella richiesta inviata alla Camera, il GUP del Tribunale di Firenze afferma che «il sequestro di tale corrispondenza, peraltro già estratta dai dispositivi elettronici sequestrati ai terzi, è possibile soltanto se la Camera dei deputati concederà l'autorizzazione di cui all'art. 4 l. n. 140/2003».
Il medesimo GUP ha ritenuto di dover chiedere l'autorizzazione in esame anche con riferimento alla corrispondenza dell'on. Lotti, deputato cessato dal mandato. Ciò perché, a suo avviso, «quanto al momento in cui la carica di Parlamentare assume rilevanza ai fini dell'applicazione della garanzia dell'art. 4 l. n. 140/2003, tenuto conto che la funzione della garanzia prevista dall'art. 68 Cost. è la tutela della integrità ed indipendenza della funzione parlamentare (...), la limitazione della libertà del parlamentare imputato o indagato si verifica al momento della ricerca ed acquisizione dei mezzi di prova, che avviene con la perquisizione ed il sequestro e non al momento della utilizzazione degli stessi ai fini del giudizio di responsabilità. Pertanto, considerato che le comunicazioni in questione sono state rinvenute all'interno dei dispositivi elettronici di terzi nel corso delle indagini
preliminari [svoltesi nel 2019, n.d.r.], quando LOTTI era ancora Parlamentare, deve trovare applicazione anche per le chat e le e-mail che lo riguardano la garanzia di cui all'art. 68 Cost., risultando irrilevante il fatto che oggi tale imputato non rivesta più quella carica».
I fatti per i quali è in corso il procedimento penale innanzi al Giudice dell'udienza preliminare di Firenze e le norme che si assumono violate.
In base a quanto si evince dalla richiesta di autorizzazione del GUP presso il TribunalePag. 12 di Firenze, l'ipotesi di reato formulata nei confronti degli onn. Boschi e Lotti è quella di illecito finanziamento dei partiti (articolo 7 della legge n. 194 del 1974 e articolo 4 della legge n. 659 del 1981) in quanto, «quali componenti del Consiglio direttivo della Fondazione OPEN, riferibile a Matteo RENZI e da lui diretta, di fatto articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana), ricevevano in violazione della normativa citata, alcuni contributi di denaro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione OPEN; somme che venivano utilizzate per sostenere l'attività politica di RENZI, LOTTI e BOSCHI e della corrente renziana. I contributi e le donazioni volontarie in questione sono stati accreditati sul c/c
della Fondazione OPEN negli anni 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018 ed ammonterebbero complessivamente a circa 3.5 mln di euro».
La Procura della Repubblica di Firenze contesta inoltre agli onn. Lotti e Boschi, «in concorso con gli altri soggetti componenti il consiglio direttivo della Fondazione OPEN e con il Sen. RENZI, di aver ricevuto, in violazione della normativa citata, a mezzo dell'interposizione fittizia della Fondazione, contributi in forma indiretta consistiti in beni e servizi, acquistati dalla Fondazione OPEN utilizzando il denaro proveniente dalle donazioni volontarie e dai contributi suddetti versati dai finanziatori». I fatti sarebbero stati commessi a Firenze dal 7.11.2014 al 1.07.2018.
All'ex deputato Lotti è anche contestato il reato di corruzione impropria (articolo 318 c.p.) in quanto «nella sua qualità di parlamentare della Camera dei deputati, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, segretario del Comitato Interministeriale per la programmazione economica, si sarebbe ripetutamente adoperato nel periodo 2014-giugno 2018 affinché venissero approvate dal Parlamento disposizioni normative favorevoli per un determinato gruppo societario, ricevendo indebitamente, per l'esercizio delle sue funzioni, utilità consistenti in contributi di denaro che venivano versati, tramite l'intermediazione di altro soggetto, in parte alla Fondazione OPEN e in parte al “Comitato Nazionale per il sì”, nonché facendosi promettere il versamento di un ulteriore contributo di denaro che sarebbe poi stato accreditato sui e/e della Fondazione OPEN».
Al riguardo, si ricorda che, in base all'articolo 318 c.p., «il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da tre a otto anni».
L'on. Francesco Bonifazi non è invece indagato.
Il GUP del Tribunale di Firenze non ha trasmesso alla Camera né la richiesta di rinvio a giudizio né la richiesta di sequestro probatorio formulate dalla Procura per cui, almeno allo stato, le imputazioni ascritte ai parlamentari in questione nonché le esigenze poste alla base della richiesta di sequestro probatorio sono palesate solo nella sintesi elaborata dal Giudice richiedente.
Al riguardo, occorre tener presente che, nella seduta del 13 dicembre u.s., la Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato – che ha avviato l'esame della analoga richiesta del GUP di Firenze in relazione alla corrispondenza del sen. Renzi – ha deciso di chiedere al medesimo GUP di trasmettere la richiesta di rinvio a giudizio formulata dai pm.
L'asserita rilevanza delle comunicazioni oggetto della domanda di sequestro ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio.
Ad avviso del GUP di Firenze, i «messaggi e le e-mail richieste appaiono attinenti alle imputazioni sopra indicate nonché rilevanti ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio, in quanto gli onn. Boschi e Lotti erano consiglieri della Fondazione Open all'epoca dei fatti, mentre l'on. Bonifazi era parlamentare del PD e tesoriere pro tempore del partito. Considerato che le comunicazioni in questione sono state rinvenute all'interno di dispositivi elettronici appartenenti a soggetti che avevano rapporti con la citata Fondazione, esse appaiono rilevanti per poter apprezzare le relazioni intercorrentiPag. 13 tra i consiglieri della Fondazione e i finanziatori della stessa e quindi:
a. per verificare se la funzione e lo scopo di tali donazioni e contributi fosse quello ipotizzato dal Pubblico Ministero, ovvero sostenere Matteo Renzi e i parlamentari a lui vicini al di fuori delle finalità statutarie della Fondazione;
b. per verificare i rapporti tra la Fondazione Open e il Partito Democratico, avendo ipotizzato il PM che tale Fondazione fosse un'articolazione di partito;
c. per verificare, al di là delle cariche rivestite nel Consiglio direttivo della Fondazione Open, chi fosse l'effettivo gestore dell'Ente;
d. in relazione alla contestazione del reato di corruzione al solo on. Lotti, per acquisire ulteriori elementi a conferma dell'ipotesi accusatoria e quindi a conferma dell'esistenza dell'accordo corruttivo tra il parlamentare e l'imprenditore corruttore».
Il quadro normativo e costituzionale concernente la richiesta di sequestro di corrispondenza dei parlamentari. I principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di autorizzazioni ad acta.
Come è noto, ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione, è necessaria l'autorizzazione della Camera competente «per sottoporre i membri del Parlamento (...) a sequestro di corrispondenza». In attuazione di tale disposizione costituzionale, la legge n. 140 del 2003 stabilisce che:
a) «quando occorre eseguire nei confronti di un membro del Parlamento (...) sequestri di corrispondenza (...) l'autorità competente richiede direttamente l'autorizzazione della Camera alla quale il soggetto appartiene. L'autorizzazione è richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento da eseguire; in attesa dell'autorizzazione, l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa» (articolo 4);
b) «con la richiesta di autorizzazione prevista dall'articolo 4, l'autorità competente enuncia il fatto per il quale è in corso il procedimento indicando le norme di legge che si assumono violate e fornisce alla Camera gli elementi su cui fonda il provvedimento» (articolo 5).
Al fine di delineare il perimetro delle attribuzioni costituzionali spettanti alla Camera e quindi per individuare quelli che costituiscono i parametri di giudizio in base ai quali questo ramo del Parlamento è chiamato a vagliare l'istanza del GUP del Tribunale di Firenze, sembra opportuno sintetizzare preliminarmente i più significativi principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di autorizzazioni ad acta previste dall'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione. Ciò, ovviamente, nei limiti in cui essi rilevino nel caso concreto oggi all'esame della Giunta.
In proposito, occorre innanzitutto tener presente che la Corte costituzionale ha sottolineato che – a seguito della riforma dell'articolo 68 della Costituzione avvenuta nel 1993 – non è più richiesta, in via generale e preventiva, l'autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti dei parlamentari, ma solo quella volta al compimento di specifici atti processuali limitativi della libertà personale e della sfera di comunicazione dei parlamentari medesimi (c.d. autorizzazione ad acta), in quanto «solo tali atti sono considerati idonei a incidere sulla libertà e l'indipendenza della funzione parlamentare». Conseguentemente – prosegue la Consulta – le medesime libertà e indipendenza della funzione parlamentare «sono suscettibili di sacrificio solo nei limiti in cui il compimento in concreto di taluno di essi [cioè degli atti per i quali
occorre chiedere l'autorizzazione alla Camera di appartenenza n.d.r.] – in relazione alla sua attitudine tipica – corrisponda a specifiche esigenze procedimentali e, in particolare, investigative. Al riguardo, la legge n. 140 del 2003 significativamente prescrive che tanto il compimento – nei confronti diretti del parlamentare – dell'atto da autorizzare preventivamente (artt. 4 e 5), quanto l'autorizzazione all'utilizzazione nei confronti del parlamentare stesso di un atto già compiuto nei confronti di altro soggetto (art. 6), devono Pag. 14essere assistiti da un criterio di “necessità” (in tale senso dovendosi intendere anche l'espressione “quando occorre”, recata dal comma 1 dell'art. 4)», la cui mancanza potrebbe costituire il sintomo di un «intento persecutorio» della richiesta di
autorizzazione. Al riguardo – afferma ancora il Giudice delle leggi – «l'autorità giudiziaria richiedente (...) deve, essa per prima, commisurare le proprie scelte anche all'esigenza del sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare. Detta autorità è tenuta, quindi, a determinare in modo specifico i connotati del provvedimento [della cui esecuzione chiede l'autorizzazione] e a dare adeguato conto delle relative ragioni, con motivazione non implausibile, nella richiesta di autorizzazione ad eseguirlo, così da porre la Camera competente in condizione di apprezzarne compiutamente i requisiti di legalità costituzionale» (sentenza n. 188 del 2010). In tale prospettiva – precisa ancora la Consulta – «l'autorizzazione preventiva contemplata dalla norma costituzionale postula un controllo sulla legittimità
dell'atto da autorizzare, a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione può comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, infatti, con l'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento». Più precisamente, «l'art. 68 Cost. mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioè, dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione» (sentenza n. 390 del 2007). Ovviamente – precisano i giudici della Corte – la Costituzione «non assegna al Parlamento un potere di riesame di dati processuali
già valutati dall'autorità giudiziaria. Consente, tuttavia, alle Camere di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l'impianto accusatorio e che non sia, dunque, pretestuosa» (sentenza n. 74 del 2013).
La Consulta ha poi rimarcato che la capacità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione «assume significati ulteriori laddove siano in questione le comunicazioni di un parlamentare. Non già perché la riservatezza del cittadino, che è altresì parlamentare, abbia un maggior valore, ma perché la pervasività del mezzo d'indagine in questione può tradursi in fonte di condizionamenti sul libero esercizio della funzione». In tali casi – sottolinea la suprema Corte – si possono aprire «squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare, specialmente istituzionali, di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine, e riguardanti altri soggetti (in specie, altri parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela
dell'indipendenza e della libertà della funzione» (sentenza n. 38 del 2019).
Al riguardo, il Giudice delle leggi evidenzia in altra decisione che «tutti gli organi costituzionali hanno necessità di disporre di una garanzia di riservatezza particolarmente intensa, in relazione alle rispettive comunicazioni inerenti ad attività informali, sul presupposto che tale garanzia – principio generale valevole per tutti i cittadini, ai sensi dell'art. 15 Cost. – assume contorni e finalità specifiche, se vengono in rilievo ulteriori interessi costituzionalmente meritevoli di protezione, quale l'efficace e libero svolgimento, ad esempio, dell'attività parlamentare e di governo» (sentenza n. 1 del 2013).
Proprio in considerazione della particolare idoneità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione e del rischio che un uso improprio di tali strumenti possa essere indebitamente finalizzato a incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, la Corte costituzionale esige che, nella istanza con cui ne chiede l'utilizzo, l'autorità giudiziaria dia compiutamente conto di aver effettuato un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionali in rilievo: da un lato quello sotteso alle esigenze investigative e, dall'altro, quello al libero e indipendente Pag. 15svolgimento del mandato parlamentare. Ad avviso della Consulta, serve dunque «un adeguato e specifico corredo motivazionale che possa consentire al destinatario della richiesta di valutare l'avvenuto
contemperamento [da parte dell'autorità giudiziaria procedente] degli interessi in gioco. Ciò che conta è, dunque, che questo contemperamento avvenga e che le ragioni siano palesate». In proposito, la Corte si spinge ad affermare che l'autorizzazione ad actum possa essere concessa «solo se la [sua] necessità emerge in modo palese e stringente dalle prospettazioni dell'Autorità giudiziaria che, coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, deve dare conto di avere esperito le soluzioni alternative ragionevolmente ipotizzabili (...) ovvero della presumibile impraticabilità delle medesime. (...) E non vi è dubbio che la mancanza o anche solo la carenza di motivazione sul punto può costituire legittimo fondamento per il diniego dell'autorizzazione da parte della Camera competente, senza alcuna
esorbitanza dai propri poteri» (sentenza n. 188 del 2010).
Inoltre, con specifico riferimento al sequestro di corrispondenza, occorre evidenziare sul piano procedurale che la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 ha stabilito che l'autorizzazione delle Camere a eseguire tale atto investigativo può essere solo di tipo preventivo, ai sensi di quanto dispone citato articolo 4 della legge n. 140/2003. Tale autorizzazione, dunque, non può mai essere concessa ex post, come invece accade quando l'autorità giudiziaria chieda, ai sensi dell'articolo 6 della medesima legge, di poter utilizzare successivamente, in sede processuale, quelle intercettazioni che – originariamente disposte nei confronti di terzi – hanno però casualmente captato comunicazioni di parlamentari. Al riguardo, la Consulta ha precisato che – ove si tratti di «contenitori» di dati informatici appartenenti a terzi (telefoni cellulari, computer o di altri dispositivi)
nella cui memoria siano conservati messaggi inviati in via telematica a un parlamentare, o da lui provenienti – gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre, in confronto al terzo non parlamentare, il sequestro di tale «contenitore». Tuttavia sottolinea la Consulta – «nel momento in cui riscontrano la presenza in esso di messaggi intercorsi con un parlamentare, [i medesimi organi inquirenti] debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro». Sempre secondo la Consulta, «l'autorizzazione va chiesta a prescindere da ogni valutazione circa la natura 'mirata' od 'occasionale' dell'acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l'apprensione dei
dispositivi appartenenti a terzi». Infatti, «la distinzione tra captazioni 'indirette' e captazioni 'occasionali' – con limitazione alle prime dell'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva all'esecuzione dell'atto, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003 (sentenza n. 390 del 2007; in senso conforme, sentenze n. 157 del 2023, n. 38 del 2019, n. 114 e n. 113 del 2010) – non è riferibile alla fattispecie di sequestro di corrispondenza riguardante i parlamentari. A differenza delle intercettazioni – le quali consistono in una attività, prolungata nel tempo, di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi nel momento in cui l'atto investigativo è disposto – il sequestro è finalizzato all'acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti. Una volta riscontrato che si tratta di messaggi di un parlamentare, o a lui diretti,
diviene quindi in ogni caso operante la guarentigia di cui all'articolo 68, terzo comma, della Costituzione». Pertanto – conclude la Corte – «l'autorizzazione resta pur sempre preventiva rispetto al sequestro di corrispondenza, senza trasformarsi in una autorizzazione ex post ai fini dell'utilizzazione processuale delle risultanze di un atto investigativo già eseguito: autorizzazione che l'articolo 6 della legge n. 140 del 2003 prevede solo in rapporto alle intercettazioni e all'acquisizione di tabulati telefonici e non pure al sequestro di corrispondenza».
I parametri in base ai quali la Camera è chiamata a valutare la richiesta del GUP del Tribunale di Firenze alla luce dei principi indicati dalla giurisprudenza costituzionale.
Alla luce dei principi sopra ricordati, appare opportuno schematizzare sinteticamente gli ambiti di competenza e i parametri entro i quali la Camera è chiamata a valutare la richiesta di autorizzazione proveniente dal GUP del Tribunale di Firenze. In generale, gli sembra si possa affermare innanzitutto che questo ramo del Parlamento debba verificare la sussistenza dei requisiti di legalità costituzionale dell'atto da autorizzare. Ciò, al fine di verificare che il potere giurisdizionale sia stato correttamente esercitato nei confronti dei deputati interessati nonché di porre al riparo costoro da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del mandato rappresentativo (sentenze n. 188 del 2010 e n. 74 del 2013).
Ciò non significa che l'organo politico disponga di un potere di riesame dei dati processuali già valutati dall'autorità giudiziaria, ma vuol dire in particolare che tale organo deve appurare che la richiesta di autorizzazione:
a) sia adeguatamente motivata in termini di necessità ai fini dello svolgimento delle indagini (sentenza n. 188 del 2010);
b) sia proporzionata, adeguata e coerente con l'impianto accusatorio (sentenze n. 390 del 2007; n. 188 del 2010; n. 74 del 2013);
c) sia ispirata all'esigenza del sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare e sia quindi adeguatamente motivata per ciò che attiene, per un verso, al bilanciamento degli interessi costituzionali in rilievo e, per altro verso, all'individuazione di soluzioni alternative ragionevoli, ritenute non praticabili (sentenza n. 188 del 2010);
d) sia di carattere strettamente preventivo, cioè abbia ad oggetto la corrispondenza non ancora acquisita, in quanto o non ancora estratta dai dispositivi informatici (ove si tratti di comunicazioni elettroniche) oppure non ancora appresa materialmente (ove si tratti di corrispondenza cartacea), vertendosi in materia di sequestro di corrispondenza di parlamentari che è disciplinato esclusivamente dall'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 (sentenza n. 170 del 2023);
e) non celi intenti persecutori nei confronti del/i parlamentare/i interessato/i (sentenze n. 390 del 2007, n. 188 del 2010 e n. 74 del 2013). Nella prassi parlamentare (v., per la Camera, Doc. IV, n. 6-A della XVII legislatura e Doc. IV, n. 4-A della XVIII legislatura. Per il Senato, v. Doc. IV, n. 14-A della XVII legislatura; Doc. IV, n. 13-A della XVII legislatura; Doc. IV, n. 9-A della XVII legislatura), tale fumus persecutionis viene generalmente inteso in due accezioni, vale a dire come:
1. fumus persecutionis in senso soggettivo, che sussiste ove si riscontri un palese intento persecutorio da parte delle persone che compongono l'Ufficio giudiziario;
2. fumus persecutionis in senso oggettivo, che ricorre ove «si evidenziassero oggettivi indici sintomatici di un uso distorto delle funzioni giudiziarie, quali vizi procedurali gravi, o carenze nella motivazione o una manifesta infondatezza dell'azione giudiziaria, tali da rivelare un utilizzo abnorme degli strumenti giudiziari per colpire l'esponente politico ben al di là delle effettive necessità di giustizia.
In altri termini, non è possibile escludere la sussistenza del fumus persecutionis quando l'iter del procedimento giudiziario si sviluppa in modo contraddittorio e senza assicurare il pieno rispetto delle garanzie processuali che il nostro ordinamento offre ai cittadini oggetto di indagini» (Doc. IV, n. 6-A della XVII legislatura).
Occorre tuttavia tener presente sul piano metodologico che, durante l'esame della richiesta di autorizzazione in questione, tutte le valutazioni dovranno essere circoscritte nel perimetro dei poteri della Giunta che, per il principio di separazione dei poteri, non possono sostanziarsi in una Pag. 17forma surrettizia di controllo giurisdizionale.
Ritiene pertanto imprescindibile attenersi rigorosamente a tale impostazione metodologica, senza sconfinare in campi riservati all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria. Una diversa impostazione finirebbe infatti per porsi in contrasto con il profilo funzionale (ossia con la tutela della funzione parlamentare) delle guarentigie previste dall'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione; profilo che invece costituisce il substrato giustificativo di tutto il sistema delle inviolabilità, che rappresentano una deroga al principio di parità di trattamento di tutti i cittadini di fronte alla giurisdizione e, in quanto tali, sono ammesse solo in relazione agli stretti limiti della tutela della funzione parlamentare.
Conclude la relazione proponendo alla Giunta di chiedere al GUP del Tribunale di Firenze di inviare alla Camera tanto la richiesta di rinvio a giudizio quanto la richiesta di sequestro probatorio formulata dalla procura della Repubblica di Firenze. Tale integrazione istruttoria gli sembra infatti necessaria ai fini delle successive valutazioni da parte della Giunta.
Pietro PITTALIS (FI-PPE), nel concordare col Presidente in ordine alla necessità dell'integrazione istruttoria prospettata, sottolinea in via del tutto preliminare che, anche se i fatti di reato contestati dalla procura si riferiscono al periodo intercorrente tra il 2014 e il 2018, la richiesta di sequestro in esame ha ad oggetto anche comunicazioni intervenute tra il 2011 e il 2013 nonché dopo il 2018.
Dario IAIA (FDI) ringrazia il presidente per l'accurata e approfondita relazione. Concorda sulla necessità di acquisire la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di sequestro probatorio della procura della Repubblica di Firenze. Ritiene tuttavia necessario anche comprendere – eventualmente attraverso l'esame della documentazione che sarà inviata – a quale titolo l'autorità giudiziaria di Firenze detiene la corrispondenza dei parlamentari di cui si discute. A suo avviso, andrebbe in particolare chiarito se vi sono provvedimenti di sequestro ancora in atto e se le comunicazioni dei parlamentari in questione sono state già estratte dai dispositivi elettronici o comunque acquisite in forma cartacea.
Laura CAVANDOLI (LEGA) dopo aver ascoltato i chiarimenti del Presidente, concorda in ordine alla necessità di disporre l'integrazione istruttoria come prospettata nei precedenti interventi.
Marco LACARRA (PD) concorda in ordine alla necessità di disporre l'integrazione istruttoria come prospettata nei precedenti interventi.
Carla GIULIANO (M5S) concorda in ordine alla necessità di disporre l'integrazione istruttoria come prospettata nei precedenti interventi.
Enrico COSTA, presidente e relatore, prende atto dell'unanimità dei Gruppi presenti circa la necessità di chiedere al GUP di Firenze sia la richiesta di rinvio a giudizio sia la richiesta di sequestro probatorio formulate dalla procura della Repubblica del medesimo capoluogo toscano. Non essendovi ulteriori interventi, si riserva di convocare la Giunta in una prossima seduta per il seguito dell'esame della domanda del GUP di Firenze.
Mercoledì 20 dicembre 2023
Comunicazioni del Presidente.
Enrico COSTA, presidente, in relazione alla richiesta del GUP presso il Tribunale di Firenze di essere autorizzato a eseguire un sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi, Boschi e Lotti di cui al Doc. IV, n. 2, comunica che:
a) il Presidente della Camera ha autorizzato la proroga di 45 giorni del termine di cui dispone la Giunta per riferire in Assemblea. Il termine, così differito, scade dunque il 6 febbraio 2024;
b) come convenuto nella Giunta nella seduta di giovedì scorso, ha chiesto via PEC al predetto GUP di Firenze di trasmettere Pag. 18alla Camera anche la richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dei parlamentari indagati nonché la richiesta di sequestro probatorio avanzata dai pubblici ministeri nell'ambito dell'udienza preliminare. Ciò, al fine di consentire alla Camera di disporre di un più ampio quadro istruttorio utile a valutare la domanda di autorizzazione in questione.
Giovedì 18 gennaio 2024
AUTORIZZAZIONI AD ACTA
Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 20 dicembre 2023.
Enrico COSTA, presidente e relatore, ricorda che l'ordine del giorno reca il seguito dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – inviata dal GUP del Tribunale di Firenze – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP).
Ricorda ancora che, facendo seguito alla lettera da lui inviata all'esito di quanto convenuto da tutti i Gruppi nella seduta del 14 dicembre scorso, il predetto GUP di Firenze ha trasmesso alla Camera anche la richiesta di rinvio a giudizio degli onn. Luca Lotti e Maria Elena Boschi nonché la richiesta di sequestro (probatorio) di corrispondenza concernente – oltre che i predetti onn. Boschi e Lotti – anche l'on. Bonifazi (che non è non indagato), entrambe formulate dai pubblici ministeri allo stesso GUP.
In quanto relatore, sintetizza di seguito il contenuto di tali atti.
La richiesta di rinvio a giudizio degli onn. Boschi e Lotti formulata dalla procura di Firenze.
Dalla lettura della richiesta di rinvio a giudizio si trova conferma di quanto ha anticipato nella precedente relazione del 14 dicembre scorso e cioè del fatto che l'ipotesi di reato formulata dalla procura di Firenze nei confronti degli onn. Boschi e Lotti è quella di illecito finanziamento dei partiti (fattispecie disciplinate dall'articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e dall'articolo 4 della legge n. 659 del 1981) in quanto, quali «componenti del Consiglio direttivo della Fondazione OPEN, riferibile a Matteo RENZI (e da lui diretta), di fatto articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana) ... ricevevano in violazione della normativa citata, i seguenti contributi di denaro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione OPEN; somme che venivano utilizzate per sostenere l'attività politica di RENZI, LOTTI e BOSCHI e della corrente renziana».
Nella medesima richiesta di invio a giudizio sono poi indicati alcuni prospetti recanti i «contributi e le donazioni volontarie» accreditati sul c/c della Fondazione OPEN negli anni dal 2014 al 2018, che ammonterebbero complessivamente a circa 3,5 mln di euro, nonché l'elenco dettagliato dei finanziatori/donatori.
La Procura della Repubblica di Firenze contesta inoltre agli onn. Lotti e Boschi, in concorso con gli altri soggetti componenti del Consiglio direttivo della Fondazione Open e con il sen. Renzi, di aver ricevuto, «in violazione della normativa citata», a mezzo dell'interposizione fittizia della Fondazione, contributi in forma indiretta consistiti in beni e servizi, acquistati dalla medesima Fondazione utilizzando il denaro proveniente dalle donazioni volontarie e dai contributi suddetti versati dai finanziatori. I fatti sarebbero stati commessi a Firenze dal 7.11.2014 al 1.07.2018.Pag. 19
Uno degli assi portanti sui cui si basano le accuse che la procura di Firenze muove ai parlamentari coinvolti consiste nella convinzione che la Fondazione Open sia stata (all'epoca dei fatti) una «articolazione politico-organizzativa» del Partito democratico, cioè avrebbe operato esclusivamente al servizio di tale partito, mettendo a disposizione della c.d. corrente renziana contributi finanziari e servizi. Al riguardo, ricorda che l'articolo 7, secondo comma, della legge n. 195 del 1974 sanziona penalmente il finanziamento societario occulto (cioè quello non preceduto da una delibera dell'organo sociale competente né successivamente esposto in bilancio), ove questo sia eseguito non solo a favore di un partito in senso stretto, ma – appunto – anche di una sua «articolazione politico-organizzativa».
Al riguardo – salvi gli approfondimenti giurisprudenziali che proporrà al termine della relazione – gli pare doveroso ricordare che, come è anche emerso dal dibattito politico, parlamentare e giornalistico, la Corte di cassazione, chiamata in più occasioni a pronunciarsi tra il 2020 e il 2022 sulla legittimità dei decreti di sequestro probatorio disposti dalla procura di Firenze prima della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, ha più volte censurato l'impianto accusatorio della procura di Firenze sottolineando – tra le altre cose – che tale ufficio inquirente non avrebbe adeguatamente dimostrato che la Fondazione Open fosse un'articolazione interna del Partito Democratico e cioè non disponesse di una sfera di azione diversa e autonoma da quella della citata forza politica.
Ai fini, poi, di un proficuo dibattito sui profili della vicenda rientranti nella competenza della Giunta, gli sembra opportuno sottoporre all'attenzione dei colleghi anche la circostanza che la procura di Firenze, nella richiesta di rinvio a giudizio (che dovrebbe contenere «l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto» – v. articolo 417 c.p.p.), non fa menzione di aver verificato che i contributi finanziari erogati a Open – che costituirebbero l'oggetto del finanziamento occulto illecito – non siano stati deliberati dai competenti organi societari né iscritti nel bilancio (circostanze, queste, che, come detto, rappresentano gli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 7 della legge n. 195 del 1974).
Nella medesima richiesta di rinvio a giudizio viene altresì confermato che all'ex deputato Lotti è contestato anche il reato di corruzione impropria (articolo 318 c.p.) in quanto «nella sua qualità di parlamentare della Camera dei deputati, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, segretario del Comitato Interministeriale per la programmazione economica», si sarebbe «ripetutamente adoperato nel periodo temporale 2014-giugno 2018 affinché venissero approvate dal Parlamento disposizioni normative favorevoli» per un determinato gruppo societario; in cambio, egli avrebbe ricevuto utilità consistenti in contributi di denaro che sarebbero stati versati, tramite l'intermediazione di altro soggetto, in parte alla Fondazione Open e in parte al «Comitato Nazionale per il sì».
Al riguardo si limita a segnalare – anche ai fini di una valutazione da parte della Giunta – come la procura, almeno nella richiesta di rinvio a giudizio, non chiarisca in che cosa sarebbero consistiti gli asseriti, ripetuti interessamenti dell'on. Lotti volti a far approvare dal Parlamento disposizioni normative favorevoli a un determinato gruppo societario né quali sarebbero tali disposizioni né, ancora, quale sarebbe il nesso causale intercorrente tra l'esercizio della funzione parlamentare/ministeriale e il versamento dei contributi alla Fondazione Open e al Comitato per il sì.
Da ultimo, sottolinea che la richiesta di rinvio a giudizio in questione individua la Camera dei deputati come possibile parte offesa dei reati ipotizzati, ma non ne vengono esposte le motivazioni, come di norma avviene in tale fase del procedimento.
La richiesta di sequestro probatorio di corrispondenza formulata dalla procura di Firenze al GUP.
Per quanto attiene alla richiesta di sequestro (probatorio) di corrispondenza depositata dalla procura nel corso dell'udienzaPag. 20 preliminare, fa innanzitutto presente che, in essa, i magistrati inquirenti fiorentini sottolineano la rilevanza dei principi di diritto contenuti nella sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, nella consapevolezza che essi «sono destinati ad avere indubbie ricadute, nella presente vicenda processuale, anche con riferimento agli imputati Boschi Maria Elena, parlamentare della Camera dei deputati dal 15/3/2013 e tuttora in carica, e Luca Lotti, parlamentare della Camera dei deputati dal 15/3/13 e cessato dalla carica il 12/10/22».
Di tale fondamentale decisione la stessa procura di Firenze richiama alcuni decisivi passaggi in cui il Giudice delle leggi afferma che:
a) la tutela della corrispondenza prevista dall'articolo 15 della Costituzione non si esaurisce con la ricezione del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permane finché la comunicazione conservi carattere di attualità e interesse per i corrispondenti. In particolare, viene evidenziato il punto della sentenza in cui la Corte sottolinea che «analogamente all'art. 15 Cost., quanto alla corrispondenza della generalità dei cittadini, anche, e a maggior ragione, l'art. 68, terzo comma, Cost. tutela la corrispondenza dei membri del Parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”. (...) Tale carattere deve presumersi, sino a prova contraria, quando si discuta di messaggi scambiati – come nella specie – a una distanza di tempo non particolarmente significativa rispetto al momento in cui dovrebbero essere acquisiti e nel corso dello svolgimento del mandato parlamentare in cui tale momento si colloca, e per giunta ancora custoditi in dispositivi protetti da codici di accesso. La conclusione è, dunque, che, per questo verso, si è al cospetto di sequestri di corrispondenza rientranti nell'ambito della guarentigia di cui all'art. 68, terzo comma, Cost.»;
b) l'autorizzazione delle Camere a eseguire il sequestro di corrispondenza di parlamentari può essere solo di tipo preventivo ai sensi di quanto dispone l'articolo 4 della legge n. 140/2003 e non anche di tipo successivo, come invece accade nel caso delle intercettazioni di comunicazioni, ove peraltro queste siano meramente fortuite e occasionali (articolo 6 della medesima legge n. 140/2003). In particolare, la stessa procura di Firenze richiama il punto della sentenza n. 170/2023 in cui la Corte costituzionale afferma che «gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre – in confronto al terzo non parlamentare – il sequestro del “contenitore” (nella specie, del dispositivo di telefonia mobile). Nel momento, però, in cui riscontrano la presenza in esso di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro».
Di tale richiesta di sequestro probatorio sottopone all'attenzione dei colleghi, come spunto di riflessione per il dibattito in Giunta, un aspetto che gli sembra molto importante e cioè che – come peraltro anticipato esplicitamente nella richiesta di autorizzazione inviata alla Camera dal GUP di Firenze – le copie cartacee della maggior parte delle e-mail di cui si chiede l'autorizzazione al sequestro sono già state materialmente acquisite dagli inquirenti. Così come – analogamente – appare confermato il fatto che le chat e l'ulteriore corrispondenza informatica riguardante i parlamentari in questione è già stata estratta dai dispositivi sequestrati agli imputati e ad altri soggetti terzi nel corso delle indagini preliminari. Ciò è accaduto – evidentemente – in quanto la procura di Firenze, prima della sentenza della Corte costituzionale n.
170/2023, ha ritenuto di poter procedere al sequestro di corrispondenza (ritenuta mera documentazione) concernente parlamentari, anche senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenzaPag. 21 ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione.
Al riguardo, la procura richiedente afferma che «poiché la documentazione cartacea sequestrata (...) e le copie forensi dei supporti informatici sequestrati ad imputati e a terzi non parlamentari è stata acquisita agli atti, non vi è alcuna ragione che impedisca di procedere secondo il regime autorizzativo delineato dalla Corte costituzionale e chiedere alla Camera dei deputati l'autorizzazione al sequestro di tali messaggi». In buona sostanza, dunque, sembra che la procura chieda l'autorizzazione a usare processualmente la corrispondenza già di fatto acquisita all'esito di precedenti atti investigativi. Ciò, anche in considerazione del fatto che l'articolo 4 della legge n. 140 del 2003, ad avviso della procura, andrebbe interpretato in modo analogo a quanto disposto dall'articolo 6 della medesima legge con riferimento alle intercettazioni casuali e cioè nel senso di consentire comunque
l'utilizzo processuale nei confronti dei terzi non parlamentari della corrispondenza con i parlamentari medesimi, anche in assenza di autorizzazione delle Camere di appartenenza.
Da ultimo segnala – sempre al fine di offrire ai colleghi alcuni spunti di riflessione utili per il dibattito in Giunta – che, in base a quanto è anche emerso dal dibattito politico, parlamentare e giornalistico, la Corte di cassazione avrebbe annullato (tra il 2020 e il 2022) taluni analoghi sequestri di documenti e di corrispondenza disposti dalla procura di Firenze nell'ambito della medesima inchiesta non solo per difetto del fumus commissi delicti, ma anche per mancanza di proporzionalità e continenza dell'estensione di tali misure investigative.
Alla luce delle considerazioni che precedono, propone – ove la Giunta concordi – di incaricare gli Uffici di acquisire le sentenze della Corte di cassazione che hanno riguardato i sequestri disposti dalla procura di Firenze nell'ambito dell'inchiesta riguardante la Fondazione Open; tali sentenze potrebbero essere inviate a tutti i Capigruppo assieme alla decisione della Corte costituzionale n. 170 del 2023.
(La Giunta concorda)
Enrico COSTA, presidente, non essendovi interventi, si riserva di convocare la Giunta in una prossima seduta per l'ulteriore seguito dell'esame della questione e convoca l'immediata riunione dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.
Mercoledì 7 febbraio 2024
AUTORIZZAZIONI AD ACTA
Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 18 gennaio 2024.
Enrico COSTA, presidente e relatore, ricorda che l'ordine del giorno reca il seguito dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – inviata dal GUP del Tribunale di Firenze – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP).
Al riguardo, comunica innanzitutto alla Giunta che il Presidente della Camera – facendo seguito alla sua richiesta inviata all'esito di quanto concordato nell'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, del 1° febbraio scorso – ha acconsentito alla proroga di ulteriori 45 giorni del termine per riferire all'Assemblea sulla domanda di autorizzazione in esame. Tale termine, così prorogato, scadrà dunque il prossimo 22 marzo.Pag. 22
In secondo luogo, ricorda che, all'esito di quanto convenuto unanimemente nella seduta del 18 gennaio scorso, gli Uffici hanno inviato ai membri dell'Ufficio di Presidenza e ai rappresentanti dei Gruppi le sentenze con cui la Corte di cassazione, tra il 2020 e il 2022, è stata chiamata a valutare la legittimità dei sequestri disposti dalla Procura della Repubblica di Firenze nell'ambito dell'inchiesta riguardante il caso della Fondazione Open. Si tratta, in particolare, delle sentenze nn. 12094, 28796, 30225 e 34265 del 2020; nonché delle sentenze nn. 29409 del 2021 e 11835 del 2022: sono decisioni che consentono di comprendere più a fondo le questioni giuridiche sottese al caso che stiamo esaminando.
In terzo luogo, informa la Giunta che nei giorni scorsi sono pervenute le note scritte inviate dagli onn. Lotti e Boschi ai sensi dell'articolo 18, co. 1, del Regolamento. Prima di far entrare l'on. Bonifazi – che è in attesa di essere ascoltato personalmente dalla Giunta ai sensi del medesimo articolo 18, comma 1, del Regolamento – illustra una sintesi di tali note, ricordando che esse sono a disposizione di tutti per la consultazione integrale presso gli uffici.
1. Le note inviate dall'on. Lotti.
La relazione inviata dall'on. Lotti mette preliminarmente in evidenza che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, anche le chat, le e-mail e i messaggi già ricevuti dal destinatario devono essere qualificati come corrispondenza. Da ciò consegue che, ove tale corrispondenza abbia come interlocutori i parlamentari, l'autorità giudiziaria deve chiedere l'autorizzazione alla Camera di appartenenza qualora intenda sequestrarla. A differenza di quanto accade per le intercettazioni, tale autorizzazione deve essere necessariamente richiesta in via preventiva ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione, non essendo ipotizzabile un'autorizzazione successiva ai fini del mero utilizzo in sede processuale degli atti già acquisiti.
L'on. Lotti stigmatizza pertanto il fatto che il Pubblico Ministero abbia «acquisito la mia corrispondenza telefonica in forma di chat e, senza chiedere alcuna autorizzazione, né preventiva, né successiva, abbia versato tale materiale nel fascicolo del Giudice per l'udienza preliminare, che deve valutare se vi siano le condizioni per un mio rinvio a giudizio o piuttosto per il mio proscioglimento. (...) Il Pubblico Ministero procedente avrebbe dovuto [preventivamente] chiedere l'autorizzazione alla Camera di appartenenza per procedere alla acquisizione, tramite sequestro, della corrispondenza che mi coinvolgeva e non successivamente per poterla utilizzare. (...) L'attuale richiesta del Giudice per l'udienza preliminare tenta di rimediare all'errore dell'organo accusatorio, ma rimane oggettivamente tardiva».
Peraltro – prosegue l'on. Lotti – «anche prima dell'intervento della Corte costituzionale era chiaro che l'Autorità giudiziaria procedente avrebbe dovuto chiedere l'autorizzazione alla Camera di appartenenza, e che adagiarsi sulla giurisprudenza di legittimità avrebbe costituito quantomeno un azzardo, in quanto le sentenze emesse su questo argomento non riguardavano un membro del Parlamento».
Pertanto – conclude l'on. Lotti – «ne consegue che la richiesta di autorizzazione a procedere inviata dall'autorità giudiziaria non risponde al criterio indicato nella lettera d) del resoconto di codesta Giunta del 14.12.23 che correttamente esige che tale richiesta 'sia di carattere strettamente preventivo, cioè abbia ad oggetto la corrispondenza non ancora acquisita, in quanto o non ancora estratta dai dispositivi informatici (ove si tratti di comunicazioni elettroniche) oppure non ancora appresa materialmente (ove si tratti di corrispondenza cartacea), vertendosi in materia di sequestro di corrispondenza di parlamentari che è disciplinato esclusivamente dall'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003 (sentenza n. 170 del 2023)'. Né, corrisponde, per effetto a catena, al criterio di cui alla lettera a) del citato documento del 2023, ovvero che 'sia
adeguatamente motivata in termini di necessità ai fini dello svolgimento delle indagini (sentenza n. 188 del 2010)', in quanto essendo oltremodo tardiva non può presentare alcun carattere di necessità rispettoPag. 23 ad un prospettivo sviluppo investigativo. Né, evidentemente, tale richiesta può rispondere ai parametri della lettera c), ovvero che 'sia ispirata all'esigenza del sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare e sia quindi adeguatamente motivata per ciò che attiene, per un verso al bilanciamento degli interessi costituzionali in rilievo e, per altro verso, all'individuazione di soluzioni alternative ragionevoli, ritenute non praticabili': la tardività della richiesta ha determinato, inevitabilmente, l'elusione del predetto bilanciamento in quanto, non essendo stata tempestivamente coinvolta
codesta Giunta, tutta la mia corrispondenza è, di fatto, già stata inserita nel fascicolo processuale e diffusa ai mezzi di informazione, con la chiara conseguenza che i diritti costituzionali del parlamentare, anche solo quello alla privacy, propria di ogni cittadino, non siano neanche stati presi in considerazione».
2. Le note inviate dall'on. Boschi.
Nelle note inviate lunedì scorso, anche l'on. Boschi chiede alla Giunta di non accogliere la richiesta di autorizzazione proveniente dal GUP del Tribunale di Firenze.
Seguendo i parametri di valutazione che sono stati discussi in particolare nella seduta della Giunta tenutasi il 14 dicembre 2023, l'on. Boschi indica i motivi in base ai quali andrebbe a suo avviso rigettata la richiesta del predetto GUP di Firenze. Nel rinviare alla lettura integrale della dettagliata e compiuta relazione inviata, riporta di seguito gli argomenti sintetizzati dalla stessa on. Boschi al termine della sua memoria. In particolare, secondo l'on. Boschi, la richiesta dell'autorità giudiziaria:
1) «omette qualsiasi motivazione in termini di 'necessità ai fini dello svolgimento delle indagini'. Ed è da ritenere che non potesse fare altrimenti, dato che le indagini si sono concluse da più di due anni e non sono certo suscettibili – soprattutto nell'attuale fase processuale – di ulteriore svolgimento»;
2) «non risulta affatto 'proporzionata, adeguata e coerente con l'impianto accusatorio', dal momento che si chiede di autorizzare il sequestro di comunicazioni di Parlamentari anche precedenti e successive al periodo in cui il reato sarebbe stato commesso, e si omette di motivare in ordine alla rilevanza della singola comunicazione»;
3) «non è certamente ispirata all'esigenza del 'sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare', dal momento che omette totalmente di motivare in ordine al doveroso bilanciamento degli interessi costituzionali che vengono in rilievo e alla sicura esistenza di alternative ragionevoli e praticabili per accertare le medesime circostanze che dovrebbero essere accertate attraverso il sequestro che si chiede di autorizzare»;
4) «ha ad oggetto corrispondenza già (illegittimamente) acquisita al fascicolo processuale e si configura, nella sostanza, come una inammissibile richiesta di autorizzazione ad utilizzare processualmente la corrispondenza illegittimamente acquisita». Al riguardo, l'on. Boschi giudica di assoluto rilievo il fatto che «le comunicazioni di cui si chiede di autorizzare il sequestro, in realtà, sono state già estratte dai dispositivi informatici sequestrati nei quali erano custodite; quelle rinvenute su supporto cartaceo, in occasione della perquisizione effettuata presso lo studio professionale del Presidente, sono state già sequestrate. Le une e le altre sono state riprodotte in più documenti (oltre che in diverse informative di polizia giudiziaria), che il Pubblico Ministero ha trasmesso al GUP unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio e fanno tuttora parte del fascicolo processuale: il Giudice, infatti, non ha accolto la richiesta di materiale estromissione di quegli atti, reiterata dalle difese dopo la pubblicazione della sent. n. 170/2023 della Corte Costituzionale, ma si è limitato a dichiararli inutilizzabili. Questa circostanza dimostra che la richiesta sottoposta alla Vostra valutazione si pone in aperto contrasto con il disposto degli artt. 68, comma 3, Cost. e 4 L. n. 140/2003 e con il 'modulo procedurale' imposto da tali disposizioni, che è stato puntualmente esplicitato dalla sentenza appena citata»;
5) Infine, ad avviso dell'on. Boschi, la richiesta dell'autorità giudiziaria «non consentePag. 24 di escludere con certezza la sussistenza del fumus persecutionis, ove si considerino:
a) le peculiarità che hanno caratterizzato l'indagine (con l'esecuzione di numerosi provvedimenti di sequestro nei quali la suprema Corte di Cassazione ha rinvenuto un indebito carattere esplorativo);
b) la scelta del momento in cui esercitare l'azione penale (che ha sostanzialmente vanificato le esigenze di tutela dell'interesse costituzionalmente tutelato alla segretezza della corrispondenza e alla disponibilità esclusiva del proprio patrimonio informativo);
c) e soprattutto il fatto che l'ipotesi accusatoria, secondo cui la Fondazione Open avrebbe agito quale articolazione del Partito Democratico, ovvero da soggetto fittiziamente interposto all'erogazione di finanziamenti e contributi in favore di parlamentari dell'asserita corrente renziana, è stata in ben tre sentenze ritenuta infondata dalla Suprema Corte di Cassazione: “Il Tribunale del riesame, nel qualificare la Fondazione Open ... articolazione politico-organizzativa del Partito democratico (corrente renziana) non ha rispettato i principi già affermati nelle sentenze rescindenti emesse nelle precedenti fasi di questo procedimento e soprattutto non ha considerato compiutamente la disciplina dettata per le fondazioni politiche dall'art. 5, co. 4, del d.l. n. 149 del 2013 nel testo vigente all'epoca dei fatti (Cass pen. sez. VI, sentenza n. 11835 del 2022; nello stesso senso Cass. pen., sez. II, sentenza n. 29409 del 2021; Cass. pen. VI, sentenza 28796 del 2020)”».
Terminata l'illustrazione della sintesi delle note scritte inviate dagli onn. Boschi e Lotti, invita l'on. Bonifazi a entrare in aula affinché possa essere ascoltato personalmente dalla Giunta.
(Il deputato Francesco Bonifazi entra in aula)
Enrico COSTA, presidente e relatore, ricorda che l'odierno ordine del giorno della Giunta reca il seguito dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza proveniente dal GUP del Tribunale di Firenze, che concerne anche gli onn. Boschi e Lotti.
Ricorda a tutti che l'on. Bonifazi non è indagato nel procedimento penale da cui trae origine la domanda di autorizzazione in esame. Rammenta ancora che – per quanto più specificamente attiene alla posizione dell'on. Bonifazi – il GUP di Firenze ha chiesto di essere autorizzato a disporre il sequestro di tre e-mail (rispettivamente del 15.12.2014, del 16.12.2014 e del 25.07.2017) che vedono come interlocutori l'on. Bonifazi e l'avv. Alberto Bianchi, ex Presidente della Fondazione Open. In due di queste e-mail (e precisamente in quelle del 15 e del 16 dicembre del 2014) appare come interlocutore anche l'on. Lotti. Da quanto emerge dalla documentazione inviata dall'autorità richiedente, tali e-mail sono state già acquisite in forma cartacea dalla Procura del capoluogo toscano – e da questa ancora custodite presso i locali degli uffici giudiziari – a
seguito della perquisizione presso lo studio dell'avv. Bianchi avvenuta il 26 novembre 2019.
Chiede pertanto all'on. Bonifazi di fornire alla Giunta i chiarimenti che ritiene opportuni sulla richiesta di sequestro in questione.
Francesco BONIFAZI (IV-C-RE), nel ringraziare la Giunta per la disponibilità ad ascoltarlo di persona, ritiene necessario evidenziare preliminarmente alcuni aspetti per poi passare successivamente ad analizzare la richiesta proveniente dal GUP del Tribunale di Firenze alla luce dei parametri discussi in occasione della seduta della Giunta del 14 dicembre 2023.
Al riguardo, sottolinea in primo luogo – come anticipato poc'anzi dal Presidente Costa – di non essere indagato nell'ambito del procedimento penale in corso presso il Tribunale di Firenze. Aggiunge, inoltre, che la richiesta di autorizzazione al sequestro di corrispondenza che lo riguarda ha ad oggetto solo tre e-mail che egli ha ricevuto e alle quali, peraltro, non ha dato risposta. Pur non potendo esporre il contenuto di tali e-mail, ritiene che esse siano del tutto inconferenti rispetto all'impianto dell'accusa della procura. In secondo luogo, nel Pag. 25ricordare che il sequestro di cui oggi si discute è già stato materialmente eseguito nel 2019, stigmatizza il fatto che l'autorità giudiziaria di Firenze abbia chiesto l'autorizzazione alla Camera solo nel 2023, in sostanza solo per ratificarne gli effetti. Ciò, però, è
stato fatto in violazione di quanto dispongono l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e l'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 che, per come interpretati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 170 del 2023, impongono che tale richiesta di autorizzazione sia solo di tipo preventivo, non essendo ammissibile una sorta di autorizzazione in sanatoria ex post. In terzo luogo, fa presente alla Giunta che il sen. Renzi, tra il 24 e il 27 novembre del 2020, aveva già segnalato alla procura di Firenze la necessità di acquisire la preventiva autorizzazione parlamentare, ma che la procura medesima ha ritenuto comunque di andare avanti in violazione delle norme che ha prima citato. In quarto luogo, evidenzia che la menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 mette bene in evidenza la diversità degli istituti del sequestro di corrispondenza, da un lato, che è disciplinato dall'articolo 4 della legge n. 140 del
2003, e delle intercettazioni di comunicazioni dei parlamentari, dall'altro, che sono regolate dall'articolo 6 della medesima legge; diversità da cui consegue l'impossibilità di applicare analogicamente al sequestro di corrispondenza dei parlamentari la possibilità dell'autorizzazione successiva, che è invece prevista solo per le intercettazioni. Ciò conferma l'illegittimità, sotto il profilo costituzionale, della odierna richiesta del GUP del Tribunale di Firenze, che risulta palesemente tardiva.
Per quanto più specificamente attiene ai criteri di valutazione fatti propri dalla Giunta nella seduta del 14 dicembre scorso, è dell'avviso che essi non siano stati rispettati dall'autorità giudiziaria. Infatti, per quanto riguarda la verifica della presenza di una adeguata motivazione circa la necessità del compimento dell'atto di indagine, fa presente che la Corte di cassazione ha in più occasioni criticato l'impianto accusatorio della procura di Firenze, in base al quale la Fondazione Open sarebbe stata una articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico. Per ciò che invece concerne il requisito della proporzionalità, pur ribadendo l'esiguità della misura che lo riguarda (sequestro di sole tre e-mail), evidenzia che la Corte di cassazione, nelle sentenze più volte citate anche dalla Giunta, ha in più di un'occasione censurato la sproporzione dei sequestri
disposti dalla procura di Firenze, che ha definito come «un inutile sacrificio di diritti». Ugualmente non rispettato gli appare il criterio richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, in base alla quale l'atto da autorizzare ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione deve essere ispirato all'esigenza del sacrificio minimo indispensabile della libertà e dell'indipendenza della funzione parlamentare. Sul punto, non solo evidenzia l'assenza di qualsivoglia motivazione, ma ribadisce anche il fatto che la procura ha già eseguito il sequestro della corrispondenza in questione, senza in alcun modo coinvolgere preventivamente il Parlamento. Per quanto concerne poi la sussistenza del fumus persecutionis, oltre a riaffermare che la Corte di cassazione ha già più volte annullato i decreti di sequestro eseguiti dalla magistratura inquirente, sottolinea un aspetto processuale che gli sembra
particolarmente anomalo. In particolare, si riferisce al fatto che la procura di Firenze – all'indomani della decisione della Corte di cassazione di rinviare di qualche giorno, per approfondimenti, la decisione sulla legittimità di uno dei decreti di sequestro alla camera di consiglio del 18 febbraio 2022 (decisione con cui la suprema Corte ha poi annullato senza rinvio tale sequestro), ha ritenuto di esercitare l'azione penale mediante la richiesta di rinvio a giudizio, senza attendere – come sarebbe stato fisiologico – la definitiva sentenza della Cassazione medesima. Tale scelta processuale ha fatto sì che tutta la corrispondenza, il cui sequestro è stato annullato a distanza di pochi giorni, sia confluita nel fascicolo dell'udienza preliminare e divenuta pubblica.
Per concludere evidenzia che, di là dalla propria posizione nella vicenda in esame, la Giunta dovrebbe riflettere in generale Pag. 26sul rischio che fondamentali prerogative parlamentari subiscano indebiti condizionamenti da parte di altri poteri dello Stato.
Enrico COSTA, presidente e relatore, chiede se vi siano interventi o quesiti da rivolgere all'on. Bonifazi.
Pietro PITTALIS (FI-PPE) ringrazia il collega Bonifazi per la sua chiarezza e per aver fornito elementi utili alla valutazione del caso sul quale la Giunta è chiamata a decidere.
Enrica ALIFANO (M5S) sottolinea l'importanza di approfondire la vicenda alla luce delle sentenze della Corte di cassazione intervenute tra il 2020 e il 2022.
Enrico COSTA, presidente e relatore, nel ringraziare e salutare l'on. Bonifazi, rinvia il seguito dell'esame della richiesta del GUP di Firenze ad altra seduta, che si riserva di convocare.
Martedì 20 febbraio 2024
AUTORIZZAZIONI AD ACTA
Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 7 febbraio 2024.
Enrico COSTA, presidente e relatore, fa presente che l'ordine del giorno reca il seguito dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – inviata dal GUP del Tribunale di Firenze – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP).
Rammenta altresì che, nelle riunioni dell'ufficio di presidenza (integrato dai rappresentati dei gruppi) del 1° e del 7 febbraio scorsi, era stato concordato che la seduta odierna sarebbe stata dedicata a un primo confronto generale sulla richiesta proveniente dal GUP di Firenze, anche in vista della predisposizione della sua proposta di deliberazione alla Giunta, in qualità di relatore.
Sottolinea in particolare che, nella riunione dell'ufficio di presidenza del 7 febbraio scorso, erano stati individuati – anche alla luce della documentazione inviata dall'autorità giudiziaria richiedente nonché dagli on. Boschi, Lotti e Bonifazi (quest'ultimo audito direttamente dalla Giunta) – alcuni temi di massima su cui poter discutere (ferma restando, ovviamente, la possibilità di introdurne altri). Ricorda in particolare che essi concernevano i seguenti aspetti:
a) le ricadute sul caso in esame dei principi esposti nella sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 e in particolare della regola secondo cui la richiesta di autorizzazione al sequestro di corrispondenza di parlamentari deve essere necessariamente preventiva e non successiva, come invece è previsto per il caso delle intercettazioni telefoniche;
b) le ricadute sul caso in esame – in particolare per ciò che attiene alla verifica dell'eventuale sussistenza del fumus persecutionis – delle pronunce della Corte di cassazione che vi sono state trasmesse, nelle quali la Corte stessa: 1) non ha ritenuto adeguatamente dimostrata la tesi della procura della Repubblica di Firenze, secondo la quale la Fondazione Open dovrebbe essere qualificata come articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico; 2) ha dichiarato illegittimi i sequestri disposti dalla medesima procura sia perché ritenuti privi del fumus commissi delicti sia perché mancanti di proporzionalità e continenza nonché perché caratterizzati da fini meramente esplorativi;
c) l'adeguatezza della motivazione circa il bilanciamento degli interessi costituzionaliPag. 27 in gioco, che l'autorità giudiziaria deve compiere in base alla giurisprudenza costituzionale; ciò, con particolare riferimento, da un lato, all'interesse allo svolgimento delle indagini e al perseguimento dei reati; e, dall'altro, all'esigenza del sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare, in modo che questa non subisca illegittime interferenze e condizionamenti indebiti da parte dell'autorità giudiziaria medesima;
d) il fatto che, in alcune conversazioni via e-mail di cui si chiede l'autorizzazione al sequestro, appaiono come interlocutori altri soggetti che erano parlamentari sia al momento dell'acquisizione di tali conversazioni da parte della procura di Firenze (settembre 2019) sia al momento della richiesta di autorizzazione in esame (novembre 2023): si tratta, in particolare dell'on. Bonafè (che nel 2019 era parlamentare europea e che risulta interlocutrice in 18 e-mail) e dell'on. Guerini (che risulta interlocutore in 2 e-mail), per i quali, però, non è stata chiesta una specifica autorizzazione. A ciò si aggiunga che, in 20 e-mail di cui si chiede l'autorizzazione al sequestro, risulta interlocutore anche il sen. Renzi.
Chiede quindi ai colleghi se intendono intervenire.
Antonella FORATTINI (PD-IDP), da remoto, evidenzia la necessità che la Camera e il Senato proseguano di pari passo l'esame della richiesta proveniente dal GUP del Tribunale di Firenze posto che si tratta della medesima questione, che peraltro trae origine dallo stesso procedimento penale. Nel merito, afferma di aver approfondito con i colleghi la documentazione inviata dall'autorità giudiziaria e le memorie difensive presentate dai deputati interessati. Ciò che a suo avviso appare chiaro è che la richiesta di autorizzazione al sequestro da parte del GUP del Tribunale di Firenze sia successiva rispetto alla materiale acquisizione della documentazione de qua. Ritiene dunque evidente che l'autorità giudiziaria chieda impropriamente una sanatoria successiva. Le sembra, inoltre, che la motivazione posta alla base della richiesta di autorizzazione sia insufficiente e che l'entità del sequestro che si intende eseguire sia sproporzionata. Infine, anche dopo aver letto le sentenze della Corte di cassazione sul caso Open, crede di poter anticipare che, a suo avviso, risulti sussistente nel caso di specie il fumus persecutionis nei confronti dei parlamentari imputati.
Carla GIULIANO (M5S), nel premettere che altri aspetti della vicenda saranno approfonditi in vista della dichiarazione di voto, ci tiene a sottolineare sin d'ora alcuni profili. In primo luogo, evidenzia che la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 ha innovato profondamente i precedenti orientamenti giurisprudenziali, anche della Corte di cassazione, in materia di «corrispondenza». In particolare, sottolinea che ciò che ora deve essere inteso come «corrispondenza» (e-mail, messaggi di testo già letti dal destinatario) veniva invece qualificato come semplice «documento» prima della menzionata sentenza della Consulta; «documento» che, in quanto tale, poteva essere liberamente acquisito dalla magistratura inquirente senza che fosse necessaria alcuna autorizzazione. In secondo luogo, ritiene che, nel caso di specie, l'estrazione dei messaggi non sia ancora avvenuta e che quindi la richiesta di autorizzazione proveniente dal GUP di Firenze sia di natura preventiva e dunque coerente con i principi contenuti nella sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023. Ciò detto, sottolinea come la Giunta sia chiamata a valutare essenzialmente due aspetti: 1) se la richiesta di autorizzazione in questione contenga un'adeguata motivazione circa la necessità dell'atto da compiere; 2) se sussiste il fumus persecutionis. Per quanto concerne il fumus, ritiene che esso sia insussistente, considerato il fatto che i dispositivi sequestrati dalla procura di Firenze appartenevano a terzi non parlamentari. Per quanto invece riguarda la motivazione, è dell'avviso che essa sia stata sufficientemente esposta nella richiesta inviata alla Camera.
Alessandro PALOMBI (FDI), da remoto, nel ritenere già molto esaurienti i contenuti delle relazioni del Presidente della Giunta e delle note difensive inviate dai deputati Pag. 28interessati, si limita a evidenziare che occorre essere molto pacati e attenti nell'esaminare la richiesta in questione, posto che la decisione della Camera sul punto costituirà per il futuro un precedente di grande peso. Nel rinviare a una motivazione più ampia che sarà svolta in sede di dichiarazioni di voto, condivide l'osservazione dell'on. Forattini, secondo cui è opportuno procedere parallelamente con il Senato.
Enrica ALIFANO (M5S) ritiene che la Giunta sia chiamata a operare su un duplice piano di azione e, più precisamente, a valutare due diverse tipologie di richieste di autorizzazione: una riferita al tabulato che riporta solo gli estremi della corrispondenza intercorsa e l'altra avente ad oggetto il contenuto dei messaggi oggetto di tale corrispondenza. Con riferimento alla richiesta di acquisizione del tabulato, ricorda che, per giurisprudenza costante, l'autorizzazione può essere anche successiva, come accade per le intercettazioni telefoniche. Per quanto invece concerne la richiesta di acquisizione dei messaggi, evidenzia come, nel caso di specie, essa appaia pur sempre di carattere preventivo posto che, sotto il profilo formale, né la Camera né il giudice procedente hanno preso visione del contenuto di tali messaggi.
Pietro PITTALIS (FI-PPE) evidenzia come il contenuto dei messaggi e delle e-mail, di cui ora si chiede l'autorizzazione al sequestro, lo conoscano tutti, essendo stato già da tempo pubblicato sui giornali: è la conseguenza dell'attività illegittima della magistratura inquirente, che ha sequestrato tale corrispondenza senza chiedere preventivamente alcun tipo di autorizzazione. Afferma poi che, se è vero che la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 ha modificato un pregresso orientamento giurisprudenziale, è altrettanto vero che tale pregresso orientamento non si riferiva alla corrispondenza di parlamentari, che è invece coperta dalla guarentigia di cui all'articolo 68, terzo comma, della Costituzione. A suo avviso, la procura di Firenze si è mossa al di fuori del perimetro della legalità; ritiene pertanto che, data la gravità della violazione di prerogative costituzionali, vi siano gli estremi per una segnalazione disciplinare al Ministro della Giustizia e al Consiglio superiore della Magistratura.
Devis DORI (AVS) ritiene che le relazioni del Presidente siano meritevoli di attenzione e di considerazione. Si riserva pertanto di esprimere più compiutamente la posizione del proprio Gruppo in sede di dichiarazione di voto.
Pietro PITTALIS (FI-PPE) ritiene di dover aggiungere che la richiesta di sequestro di corrispondenza relativa all'on. Bonifazi, che non è indagato nel procedimento penale in esame, sia completamente incongrua e immotivata.
Ingrid BISA (Lega), nell'apprezzare i contenuti delle relazioni del Presidente, condivide le argomentazioni svolte dalla maggioranza dei colleghi che l'hanno preceduta ed evidenzia in particolare l'assenza di specifica motivazione in relazione alla richiesta concernente l'on. Bonifazi.
Enrico COSTA, presidente e relatore, non essendovi altri interventi, rinvia il seguito dell'esame della richiesta del GUP di Firenze alla prossima seduta, che si riserva di convocare.
Mercoledì 28 febbraio 2024
AUTORIZZAZIONI AD ACTA
Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 20 febbraio 2024.
Enrico COSTA, presidente e relatore, ricorda che l'ordine del giorno reca il seguito Pag. 29dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – inviata dal GUP del Tribunale di Firenze – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP).
Rammenta altresì che, come concordato nella precedente seduta del 20 febbraio scorso, la seduta odierna è dedicata a un ulteriore confronto generale sulla richiesta proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze, anche in vista della predisposizione della sua proposta di deliberazione alla Giunta, in qualità di relatore.
Chiede pertanto ai colleghi – e in particolare a quelli che non erano presenti la volta scorsa – se intendono intervenire alla luce del dibattito finora svoltosi.
Laura CAVANDOLI (Lega), nel ribadire l'importanza della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 che ha qualificato come «corrispondenza» anche i messaggi whatsapp e le e-mail ricevute dal destinatario, ritiene tuttavia che agli stessi esiti interpretativi si potesse giungere anche in precedenza mediante una interpretazione costituzionalmente conforme delle norme. Sostiene quindi che la richiesta del GUP presso il Tribunale di Firenze debba considerarsi in ogni caso tardiva, in quanto avvenuta a corrispondenza già sequestrata. Aggiunge, inoltre, che la medesima richiesta non risponda al canone di «necessità» richiamato dalla giurisprudenza costituzionale, posto che la procura di Firenze potrebbe acquisire le medesime informazioni in altra maniera. Sottolinea, infine, come l'inchiesta della medesima procura sia stata già ripetutamente censurata dalla Corte di cassazione.
Devis DORI (AVS), nel riservarsi di chiarire la posizione del proprio Gruppo nella futura dichiarazione di voto, sottolinea sin d'ora l'importanza della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 e, in particolare, la necessità che la richiesta di autorizzazione al sequestro sia di natura preventiva.
Pietro PITTALIS (FI-PPE), nel riportarsi a quanto già esposto nelle precedenti sedute, si riserva di svolgere ulteriori approfondimenti in sede di dichiarazione di voto.
Dario IAIA (FDI) sottolinea l'importanza che, nel caso di specie, rivestono sia la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 sia le sentenze della Corte di cassazione relative ai sequestri disposti dalla procura di Firenze nell'ambito dell'inchiesta sul caso della fondazione Open. In particolare evidenzia come la richiesta di autorizzazione al sequestro di corrispondenza avrebbe dovuto precedere la materiale acquisizione della medesima, posto che per tale istituto non è prevista l'autorizzazione successiva come accade nel caso delle intercettazioni di comunicazioni. Peraltro, sottolinea come il patrimonio probatorio acquisito dalla procura non sia stato condiviso con la Camera. Infine, fa presente come, anche a suo avviso, molti capi di imputazione formulati nella richiesta di rinvio a giudizio siano del tutto generici e indeterminati.
Antonella FORATTINI (PD-IDP) nel riportarsi a quanto già esposto nelle precedenti sedute, si riserva di svolgere ulteriori approfondimenti in sede di dichiarazione di voto.
Enrico COSTA, presidente e relatore, non essendovi altri interventi, chiude la seduta della plenaria per passare alla riunione dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, nel corso della quale saranno concordati i futuri passaggi organizzativi relativi al caso in esame.
Giovedì 14 marzo 2024
AUTORIZZAZIONI AD ACTA
Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal Pag. 30GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 28 febbraio 2024.
Enrico COSTA, presidente e relatore, ricorda che l'ordine del giorno reca il seguito dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – inviata dal GUP del Tribunale di Firenze – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP). Fa presente che, invece, l'on. Bonifazi non è indagato.
Rammenta inoltre che, come concordato nella precedente riunione del 28 febbraio scorso, la seduta di oggi sarà dedicata alla formulazione della sua proposta alla Giunta. Informa quindi i colleghi che, nella seduta di ieri, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato ha approvato la proposta del relatore, sen. Durnwalder, di rigettare la corrispondente richiesta di autorizzazione al sequestro di corrispondenza del sen. Renzi, inviata dal medesimo GUP presso il Tribunale di Firenze.
1. Prima di illustrare il contenuto della sua proposta, gli sembra opportuno riepilogare brevemente le tappe più significative che la Giunta ha percorso prima di pervenire alla fase conclusiva del procedimento in esame. A tal fine, ricorda in particolare che:
a) nella seduta del 14 dicembre 2023, ha esposto l'oggetto della richiesta di autorizzazione al sequestro proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze nonché i più significativi principi individuati dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prassi parlamentare in materia di autorizzazioni ad acta previste dall'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione. All'esito di tale seduta, i Gruppi presenti hanno convenuto all'unanimità di invitare l'Autorità giudiziaria procedente a integrare la documentazione trasmessa inviando alla Camera anche la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli onn. Boschi e Lotti nonché la richiesta di sequestro probatorio della corrispondenza di tali parlamentari formulate dalla Procura di Firenze;
b) nella seduta del 18 gennaio 2024, ha sintetizzato i contenuti delle predette richieste di rinvio a giudizio e di sequestro di corrispondenza, trasmesse alla Camera il 4 gennaio. All'esito di tale seduta, tutti i Gruppi presenti hanno convenuto sull'opportunità di acquisire anche le sentenze che la Corte di cassazione ha adottato, tra il 2020 e il 2022, in relazione ai sequestri probatori disposti dalla Procura di Firenze nell'ambito dell'inchiesta sulla Fondazione Open; si tratta, infatti, di decisioni che hanno consentito di comprendere più a fondo le questioni giuridiche sottese al caso che stiamo esaminando. Tali sentenze – e in particolare la n. 12094, la n. 28796, la n. 30225 e la n. 34265 del 2020; nonché le sentenze n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022 – sono state trasmesse a tutti i membri della Giunta;
c) nella seduta del 7 febbraio 2024, la Giunta ha ascoltato l'on. Bonifazi ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento. Nella stessa seduta egli ha altresì sintetizzato i contenuti delle note scritte inviate dagli onn. Boschi e Lotti il precedente 5 febbraio, che sono state peraltro messe a disposizione dei componenti della Giunta;
d) nelle sedute del 20 e del 28 febbraio 2024, la Giunta si è confrontata su quelle che sono state individuate come le principali questioni sottese alla richiesta di autorizzazione in esame.
2. Ciò premesso – e alla luce del dibattito sinora svoltosi – propone alla Giunta di negare al GUP presso il Tribunale di Firenze l'autorizzazione a sequestrare la corrispondenza dei deputati Bonifazi, BoschiPag. 31 e Lotti, così come indicata nel prospetto trasmesso alla Camera il 23 novembre 2023.
I motivi che lo inducono a formulare tale proposta di diniego sono essenzialmente tre e consistono nel fatto che la predetta richiesta di autorizzazione al sequestro:
a) è stata trasmessa alla Camera solo dopo l'effettiva acquisizione della corrispondenza dei parlamentari, che è già avvenuta durante le indagini preliminari, in violazione di quanto stabilisce l'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 (v. punto 3);
b) presenta chiari indizi di fumus persecutionis nei confronti dei deputati interessati (v. punto 4);
c) non è ispirata all'esigenza del «sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare», che la giurisprudenza costituzionale richiede con riferimento alle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione (v. punto 5).
Nei paragrafi che seguono va a illustrare, per ciascuno dei predetti motivi, gli argomenti che militano a sostegno delle conclusioni indicate.
3. Con riferimento al primo motivo anticipato al punto 2, gli sembra innanzitutto opportuno ricordare – in via preliminare e generale – che, secondo quanto afferma la Corte costituzionale (sentenza n. 390 del 2007), l'autorizzazione ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione «postula un controllo sulla legittimità dell'atto da autorizzare [da parte delle Camere competenti], a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione può comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, infatti, con l'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento». Infatti – prosegue la Corte costituzionale – «l'art. 68 Cost. mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a
proteggerlo, cioè, dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione». Analogamente, in un'altra decisione (la n. 188 del 2010), la Consulta ha affermato che, in sede di esame della richiesta di autorizzazione proveniente dall'Autorità giudiziaria, le Camere sono chiamate a valutare la sussistenza dei «requisiti di legalità costituzionale» della richiesta medesima.
Con specifico riguardo al sequestro di corrispondenza dei parlamentari (che è il caso che pacificamente ricorre nella fattispecie), la Consulta ha indicato con estrema chiarezza – nella sentenza n. 170 del 2023 – quali debbano essere le condizioni e i requisiti procedurali che l'Autorità giudiziaria deve rispettare affinché la richiesta di autorizzazione possa essere considerata legittima sotto il profilo costituzionale. In particolare, la Corte ha innanzitutto sottolineato che l'autorizzazione al sequestro (ove appunto riguardi la corrispondenza di parlamentari) è regolata esclusivamente dall'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003, ma non anche – neppure in via di estensione analogica – dall'articolo 6 della medesima legge. Da ciò consegue – chiarisce ancora la Consulta – che l'Autorità giudiziaria sia tenuta a chiedere
tale autorizzazione alla Camera competente solo prima di eseguire il sequestro, non essendo prevista né dalla legge né dalla Costituzione la possibilità di un'autorizzazione successiva, che è invece riconosciuta dal citato articolo 6 della legge 140 del 2003 esclusivamente con riguardo alle cosiddette intercettazioni casuali delle comunicazioni dei parlamentari.
Del resto, il menzionato articolo 4, comma 2, della legge n. 140 del 2003, nel disciplinare il sequestro di corrispondenza nei confronti dei membri del Parlamento, stabilisce che l'autorizzazione debba essere richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento «da eseguire» e che «in attesa Pag. 32dell'autorizzazione, l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa».
La Consulta ha poi precisato che – ove si tratti di «contenitori» di dati informatici appartenenti a terzi (telefoni cellulari, computer o di altri dispositivi) nella cui memoria siano conservati messaggi inviati in via telematica a un parlamentare o da lui provenienti – gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre, in confronto al terzo non parlamentare, il sequestro di tali «contenitori». Tuttavia – sottolinea la medesima Corte – «nel momento in cui riscontrano la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, [i medesimi organi inquirenti] debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro». Sempre secondo la
Consulta, «l'autorizzazione va chiesta a prescindere da ogni valutazione circa la natura “mirata” od “occasionale” dell'acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l'apprensione dei dispositivi appartenenti a terzi». Infatti, «la distinzione tra captazioni “indirette” e captazioni “occasionali” – con limitazione alle prime dell'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva all'esecuzione dell'atto, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003 (sentenza n. 390 del 2007; in senso conforme, sentenze n. 157 del 2023, n. 38 del 2019, n. 114 e n. 113 del 2010) – non è riferibile alla fattispecie di sequestro di corrispondenza riguardante i parlamentari. A differenza delle intercettazioni – le quali consistono in una attività, prolungata nel tempo, di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi
nel momento in cui l'atto investigativo è disposto – il sequestro è finalizzato all'acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti. Una volta riscontrato che si tratta di messaggi di un parlamentare, o a lui diretti, diviene quindi in ogni caso operante la guarentigia di cui all'articolo 68, terzo comma, della Costituzione».
Nel caso all'esame della Giunta, la declinazione delle regole enunciate dal Giudice delle leggi induce a ritenere che la richiesta di autorizzazione inviata dal GUP presso il Tribunale di Firenze si ponga al di fuori del quadro costituzionale che disciplina il sequestro di corrispondenza dei parlamentari e segnatamente dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003.
Infatti, nella richiesta pervenuta alla Camera il 23 novembre 2023, il medesimo GUP afferma espressamente che la corrispondenza degli onn. Bonifazi, Boschi e Lotti – oggetto della istanza di autorizzazione – è già stata estratta dai dispositivi elettronici sequestrati ai terzi. Dai prospetti allegati alla stessa domanda e dall'ulteriore documentazione inviata alla Giunta il 4 gennaio 2024, si evince poi chiaramente che le altre comunicazioni intercorse via e-mail tra i predetti parlamentari, di cui si chiede il sequestro, sono state già acquisite in forma cartacea nel corso delle perquisizioni riguardanti altri imputati nel medesimo procedimento penale. Inoltre – come emerge dalla richiesta di rinvio a giudizio che indica, tra le fonti di prova, anche le acquisizioni documentali conseguenti alle attività di perquisizione e sequestro, e come d'altra parte risulta dalle note scritte inviate dagli
onn. Boschi e Lotti nonché dall'audizione dell'on. Bonifazi – la corrispondenza dei parlamentari in questione è già stata trasmessa dai pubblici ministeri al GUP unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio e fa tuttora parte del fascicolo dell'udienza preliminare.
Alla luce delle considerazioni che precedono e tenuto ancora una volta conto dei principi contenuti nella fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, appare chiaro che il GUP presso il Tribunale di Firenze chiede – sì – di essere autorizzato a disporre il sequestro probatorio di corrispondenza di parlamentari, ma che tale sequestro è già stato eseguito nel corso delle indagini preliminari. In realtà, quindi, il medesimo GUP chiede nella sostanza – a sequestro avvenuto – di essere autorizzato ad utilizzare processualmente la corrispondenza già acquisita all'esito di precedenti atti investigativi; in definitiva, cioè, egli chiede una sorta di «autorizzazionePag. 33 in sanatoria». Ciò, però, contrasta con quanto affermato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 170
del 2023 più volte richiamata, ha stabilito che «l'autorizzazione resta pur sempre preventiva rispetto al sequestro di corrispondenza, senza trasformarsi in una autorizzazione ex post ai fini dell'utilizzazione processuale delle risultanze di un atto investigativo già eseguito: autorizzazione che l'articolo 6 della legge n. 140 del 2003 prevede solo in rapporto alle intercettazioni e all'acquisizione di tabulati telefonici e non pure al sequestro di corrispondenza».
Al riguardo, si tenga peraltro presente che, ad avviso della Corte costituzionale, la necessità dell'autorizzazione preventiva al sequestro di corrispondenza «non prefigura un privilegio del singolo parlamentare in quanto tale (...) ma una prerogativa strumentale [...] alla salvaguardia delle funzioni parlamentari, volendosi impedire che intercettazioni e sequestri di corrispondenza possano essere “indebitamente finalizzat[i] ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attività” (sentenza n. 390 del 2007; in senso analogo, sentenze n. 38 del 2019 e n. 74 del 2013, ordinanza n. 129 del 2020). (...) Condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione del mandato parlamentare possono bene derivare, infatti, anche dalla presa di conoscenza dei contenuti di messaggi già pervenuti al destinatario».
4. Con riferimento al secondo motivo anticipato al punto 2, ritiene che la richiesta dell'Autorità giudiziaria di Firenze sia caratterizzata dalla presenza del fumus persecutionis in senso oggettivo. Secondo la prassi parlamentare, tale fumus ricorre ove emergano «oggettivi indici sintomatici di un uso distorto delle funzioni giudiziarie, quali vizi procedurali gravi, o carenze nella motivazione o una manifesta infondatezza dell'azione giudiziaria, tali da rivelare un utilizzo abnorme degli strumenti giudiziari» (così il DOC. IV, n. 6-A della XVII legislatura; nello stesso senso si veda, per la Camera: DOC. IV, n. 4-A della XVIII legislatura; per il Senato, v. DOC. IV, n. 14-A della XVII legislatura; DOC. IV, n. 13-A della XVII legislatura; DOC. IV, n. 9-A della XVII legislatura. Si vedano, inoltre le sentenze della Corte costituzionale n. 390 del 2007, n. 188 del 2010 e n. 74 del 2013).
Le ragioni che depongono a favore di tale conclusione si rinvengono essenzialmente dall'analisi delle menzionate sentenze della Corte di cassazione (n. 28796, n. 30225 e n. 34265 del 2020; n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022) e consistono nel fatto che:
1) in tre sentenze pronunciate una di seguito all'altra, la medesima Corte di legittimità ha ritenuto insussistente il fumus del reato di illecito finanziamento ai partiti, che è alla base dell'indagine penale in corso (v. par. 4.1.);
2) nelle stesse sentenze i giudici della Cassazione hanno annullato analoghi decreti di sequestro probatorio (per manifesta sproporzione e perché caratterizzati da finalità meramente esplorative), che erano stati disposti dalla Procura di Firenze (e peraltro confermati dal Tribunale del riesame) nell'ambito della stessa inchiesta da cui trae origine la richiesta di sequestro in parola (v. par. 4.2.).
4.1. Il primo indice sintomatico del fumus persecutionis consiste dunque nel fatto che la Corte di cassazione ha escluso per ben tre volte di seguito (v. sentenze 28796 del 2020; n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022) la sussistenza del fumus del reato di illecito finanziamento ai partiti (articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e articolo 4 della legge n. 659 del 1981) nell'ambito della stessa inchiesta da cui trae origine la richiesta al sequestro di cui la Giunta si sta occupando. Ciò, essenzialmente per i due motivi che espone di seguito.
a) Non dimostrata natura di articolazione politico-organizzativa di partito della Fondazione Open.
Nelle sentenze appena citate la Cassazione ha affermato innanzitutto che l'Autorità giudiziaria (Procura e Tribunale del riesame di Firenze) non avrebbe adeguatamente provato quello che è un pilastro fondamentale dell'accusa e cioè che la FondazionePag. 34 Open fosse una articolazione politico-organizzativa di partito, come tale rilevante ai sensi e per gli effetti del citato articolo 7 della legge n. 195 del 1974. La Corte ha sottolineato, in particolare, che la magistratura inquirente non avrebbe dato adeguata dimostrazione del fatto – ritenuto essenziale ai fini della configurabilità del reato di illecito finanziamento – che la Fondazione Open fosse uno «strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti» e che vi fosse una «simbiosi operativa» tra i due enti. Ciò, in quanto non
sarebbe stata tenuta in sufficiente considerazione una cospicua attività della Fondazione di promozione di iniziative culturali e politiche, autonoma e distinta da quella del partito.
Chiamata per la terza volta a stabilire se il Tribunale del riesame di Firenze si fosse attenuto ai principi stabiliti nelle due precedenti sentenze di annullamento con rinvio (n. 28796 del 2020 e n. 29409 del 2021), la Corte di cassazione ha definitivamente annullato – senza rinvio – i decreti di sequestro disposti dalla Procura. Nella menzionata pronuncia n. 11835 del 2022 la Corte ha di nuovo censurato l'operato del Tribunale del riesame di Firenze sottolineando che tale Ufficio giudiziario – nel qualificare la Fondazione Open quale «articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico», in ragione della funzione asseritamente servente dalla stessa svolta in favore della cosiddetta corrente renziana – «non ha precisato sotto quale profilo la concreta attività della Fondazione avrebbe esorbitato l'ordinaria attività di una fondazione politica e l'ambito
dell'agire lecito delineato dall'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149 del 2013, nel testo vigente all'epoca dei fatti. Questa disposizione, infatti, espressamente riconosce e consente che le fondazioni di partito possano raccogliere fondi, erogare somme a titolo di liberalità e contribuire al finanziamento di iniziative in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne o di parlamentari o consiglieri regionali, in misura superiore al dieci per cento dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente. Il giudice del rinvio, dunque, in ossequio ai principi affermati dalle sentenze rescindenti, avrebbe dovuto, in via preliminare, verificare se l'attività della Fondazione Open avesse esorbitato o meno dall'ambito fisiologico della fondazione politica delineato dal legislatore e solo successivamente verificare se l'eventuale presenza di una attività distonica rispetto al modello legale consentisse di considerare
la stessa quale “articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana)”. Il Tribunale del riesame di Firenze, nel provvedimento impugnato, ha, invece, invertito i poli logici della verifica giudiziale allo stesso demandata, prescindendo nella verifica della operatività della Fondazione Open dal confronto con il modello delineato dal legislatore per le fondazioni politiche. Il giudice del rinvio, obliterando lo statuto legislativo delle fondazioni politiche, ha, pertanto, considerato la Fondazione Open una “articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico” esclusivamente in ragione della funzione asseritamente servente dalla stessa svolta in favore della corrente renziana. L'erogazione di finanziamenti e di servizi a titolo gratuito nei confronti di un partito o di un parlamentare è, tuttavia, espressamente contemplata dall'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149
del 2013 e, dunque, non può essere invocata per dimostrare che una fondazione politica abbia esondato dall'ambito fisiologico della propria attività».
b) Non dimostrata natura illecita dei contributi in denaro erogati alla Fondazione Open.
L'ulteriore motivo per cui la Corte di cassazione ha ritenuto insussistente il fumus commissi delicti ipotizzato dalla Procura di Firenze consiste nel fatto che tale Ufficio giudiziario (così come successivamente il Tribunale del riesame) non avrebbe dimostrato il carattere illecito del finanziamento erogato alla Fondazione Open. Il particolare, la suprema Corte ha sottolineato che «il Tribunale del riesame ha obliterato che nel delitto di illecito finanziamento ai partiti il perimetro dell'area del penalmente rilevante muta a seconda della natura del soggetto contributore e, segnatamente, a seconda che sia un soggetto pubblico (o a partecipazione pubblica) o una Pag. 35società privata e che, in tal caso, illecita non è l'erogazione del contributo in sé considerata ma l'inosservanza all'obbligo di trasparenza sub specie di adozione di una delibera assembleare e di iscrizione del finanziamento in bilancio» (sentenza n. 11835 del 2022). In effetti, nella richiesta di rinvio a giudizio, non è neppure fatta menzione della circostanza che i contributi finanziari erogati alla Fondazione Open – oggetto dell'ipotizzato finanziamento occulto illecito – non sarebbero stati deliberati dai competenti organi societari né iscritti nel bilancio (circostanze, queste, che rappresentano gli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e all'articolo 4 della legge n. 659 del 1981).
4.2. Il secondo indizio sintomatico della sussistenza del fumus persecutionis nel caso concreto è rappresentato dal fatto che la Corte di cassazione – nelle sentenze prima richiamate – ha giudicato sproporzionati, e caratterizzati da meri fini esplorativi di notizie di reato, altri (analoghi) sequestri disposti dalla Procura di Firenze nell'ambito della stessa indagine da cui scaturisce la richiesta in esame.
Ad esempio, nella già citata sentenza n. 34265 del 2020, la Corte critica il fatto che «il Tribunale [del riesame], che pure era stato investito di specifiche questioni relative alla pertinenza delle cose sequestrate ed alla adeguatezza e proporzionalità del mezzo di ricerca della prova, non ha spiegato (...) perché, a fronte di isolati versamenti in favore della Fondazione Open da parte di persone terze estranee, dovesse considerarsi legittimo, rispetto al reato per cui si procedeva (...), un sequestro onnivoro ed invasivo di una serie indifferenziata di dati personali. (...) Un sequestro, quello oggetto della ordinanza impugnata, strutturalmente asimmetrico rispetto alla notizia di reato per cui si procedeva, rispetto al fatto per cui si investigava, rispetto al ruolo che in detto fatto avrebbero avuto gli odierni ricorrenti, rispetto al suo oggetto; un sequestro che finisce per assumere, sul
piano quantitativo e qualitativo, una non consentita funzione esplorativa, finalizzata alla eventuale acquisizione, diretta o indiretta, di altre notizie di reato».
Analogamente, nella menzionata sentenza n. 11835 del 2022, la Corte afferma che «la generalizzata acquisizione del materiale informatico (...) pare, dunque, irrelata rispetto alle verifiche documentali necessarie per affermare la sussistenza del reato di finanziamento illecito dei partiti, tanto da fare assumere al vincolo cautelare reale carattere esplorativo e sproporzionato (sul punto, ex plurimis: Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti, Rv. 279949 – 02; Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018, Macis, Rv. 274781 – 01). (...). Tali rilievi – termina la Corte – unitamente a quelli formulati in ordine alla carenza della dimostrazione, sia pure in termini di fumus commissi delicti, del carattere illecito del finanziamento e alla distonia tra i beni in sequestro e il reato per il quale la misura cautelare è stata disposta, impongono l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza
impugnata, nonché del decreto di sequestro probatorio». Conseguentemente, la Corte ha disposto la restituzione dei beni acquisiti, ivi compresa la copia integrale del contenuto dei supporti informatici (cosiddetta copia forense). Richiamando infatti una pronuncia delle Sezioni Unite in tema di sequestro di materiale informatico, (SS.UU, sentenza n. 40963 del 20/07/2017), essa ha affermato che «la mera reintegrazione nella disponibilità del titolare del bene fisico oggetto di un sequestro probatorio non elimina il pregiudizio determinato dal vincolo cautelare su diritti fondamentali certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza e al segreto o, comunque, alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo, tutelati anche dall'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dall'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo».
Per concludere sul punto, ritiene quindi che, nella fattispecie in esame, la presenza del fumus persecutionis sia comprovata dal fatto che l'Autorità giudiziaria procedente ponga a fondamento della propria richiesta il medesimo impianto accusatorio che è già stato reiteratamente censurato dalla Corte di cassazione e, inoltre, chieda di avallare (peraltro ex post) l'esecuzione di un sequestro analogo a quelli che, nell'ambito della medesima inchiesta, già sono stati qualificatiPag. 36 dalla medesima Corte di legittimità come sproporzionati e caratterizzati dalla presenza di finalità meramente esplorative, cioè di ricerca di altre notizie di reato.
5. Con riferimento al terzo e ultimo motivo anticipato al punto 2, ritiene che la richiesta del GUP presso il Tribunale di Firenze non sia ispirata – come richiede la Corte costituzionale nella sentenza n. 188 del 2010 – all'esigenza del «sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare».
Al riguardo, è opportuno ribadire nuovamente che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la capacità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione «assume significati ulteriori laddove siano in questione le comunicazioni di un parlamentare. Non già perché la riservatezza del cittadino, che è altresì parlamentare, abbia un maggior valore, ma perché la pervasività del mezzo d'indagine in questione può tradursi in fonte di condizionamenti sul libero esercizio della funzione». In tali casi – sottolinea il Giudice delle leggi – si possono aprire «squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare, specialmente istituzionali, di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine, e riguardanti altri soggetti (in specie, altri
parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell'indipendenza e della libertà della funzione» (così la sentenza n. 38 del 2019. Con riferimento alla fattispecie in esame, ricorda peraltro che l'Autorità giudiziaria chiede di poter sequestrare anche la corrispondenza che riguarda parlamentari diversi dagli onn. Bonifazi, Boschi e Lotti, per i quali però non è stata avanzata una specifica richiesta).
Nella stessa prospettiva la Consulta evidenzia, in un'altra decisione, che «tutti gli organi costituzionali hanno necessità di disporre di una garanzia di riservatezza particolarmente intensa, in relazione alle rispettive comunicazioni inerenti ad attività informali, sul presupposto che tale garanzia – principio generale valevole per tutti i cittadini, ai sensi dell'art. 15 Cost. – assume contorni e finalità specifiche, se vengono in rilievo ulteriori interessi costituzionalmente meritevoli di protezione, quale l'efficace e libero svolgimento, ad esempio, dell'attività parlamentare e di governo» (sentenza n. 1 del 2013).
Proprio in considerazione della particolare idoneità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione e del rischio che un uso improprio di tali strumenti possa essere indebitamente finalizzato a incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, la Corte costituzionale esige che, nella richiesta di autorizzazione ad actum, l'autorità giudiziaria dia compiutamente conto di aver effettuato un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionali in rilievo: da un lato quello sotteso alle esigenze investigative e, dall'altro, quello al libero e indipendente svolgimento del mandato parlamentare. Ad avviso della Consulta, serve dunque «un adeguato e specifico corredo motivazionale che possa consentire al destinatario della richiesta di valutare l'avvenuto contemperamento [da parte dell'autorità giudiziaria
procedente] degli interessi in gioco. Ciò che conta è, dunque, che questo contemperamento avvenga e che le ragioni siano palesate». In proposito, la Corte si spinge pertanto ad affermare che l'autorizzazione ad actum possa essere concessa «solo se la [sua] necessità emerge in modo palese e stringente dalle prospettazioni dell'Autorità giudiziaria che, coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, deve dare conto di avere esperito le soluzioni alternative ragionevolmente ipotizzabili (...) ovvero della presumibile impraticabilità delle medesime. (...) E non vi è dubbio che la mancanza o anche solo la carenza di motivazione sul punto può costituire legittimo fondamento per il diniego dell'autorizzazione da parte della Camera competente, senza alcuna esorbitanza dai propri poteri» (sentenza n.
188 del 2010).
Nella richiesta proveniente dall'Autorità giudiziaria, invece, non appare in alcun modo considerata l'incidenza della misura richiesta sul libero esercizio del Pag. 37mandato parlamentare né è giustificata l'impossibilità di ricorrere a soluzioni procedimentali alternative a un così massiccio sequestro di corrispondenza, che peraltro è intercorsa in un periodo che va dal 2011 al 2019 ancorché i reati contestati sarebbero stati commessi tra il 2014 e il 2018. Pur chiedendo di essere autorizzato a sequestrare un enorme numero di comunicazioni riguardanti deputati (circa 4.200), il GUP presso il Tribunale di Firenze sembra dare per scontato – in quanto sul punto non fornisce motivazione alcuna – che l'interesse sotteso alle esigenze investigative e probatorie dell'Autorità giudiziaria debba prevalere, integralmente e automaticamente,
su quello al libero e indipendente svolgimento del mandato parlamentare. Ma tale impostazione metodologica contrasta – oltre che con i principi sopra esposti – anche con un ulteriore orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui tutti i valori fondamentali tutelati dalla Costituzione «si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri [...]. Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe 'tiranno' nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette» (sentenza n. 85 del 2013). Per questo – prosegue la Consulta – «la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza» (così la sentenza n. 20 del 2017).
Per tutte le considerazioni sinora esposte, propone alla Giunta di negare al GUP presso il Tribunale di Firenze l'autorizzazione al sequestro della corrispondenza concernente i deputati Bonifazi, Boschi e Lotti, contenuta nella richiesta pervenuta alla Camera il 23 novembre 2023.
Non essendovi interventi, rinvia il seguito dell'esame a una prossima seduta che si riserva di convocare.
Giovedì 21 marzo 2024
AUTORIZZAZIONI AD ACTA
Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Seguito dell'esame e conclusione).
La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 14 marzo 2024.
Enrico COSTA, presidente e relatore, ricorda che l'ordine del giorno reca il seguito dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – formulata dal GUP presso il Tribunale di Firenze con ordinanza del 20 novembre 2023, pervenuta alla Camera il successivo 23 novembre – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP).
Rammenta, inoltre, di aver proposto alla Giunta, nella precedente riunione del 14 marzo scorso – in qualità di relatore – di negare l'autorizzazione al sequestro in esame. Nell'evidenziare che la seduta di oggi è dedicata alla votazione su tale proposta, chiede quindi ai colleghi se intendono intervenire per dichiarazioni di voto.
Enrica ALIFANO (M5S), partendo dalla considerazione che il nucleo fondamentale della vicenda all'esame della Giunta consiste nel verificare se i messaggi di testo inviati tramite whatsapp, e-mail o anche immagini costituiscano «corrispondenza», sottolinea che la procura di Firenze ha in un primo tempo acquisito direttamente tali messaggi in quanto, sulla scorta della giurisprudenza consolidata in materia, li qualificavaPag. 38 come semplici «documenti». A suo avviso, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 – che invece ha qualificato come «corrispondenza» i messaggi di testo inviati mediante dispositivi elettronici e letti dal destinatario – la medesima procura si è adeguata ai principi stabiliti dalla Consulta e ha chiesto alla Camera l'autorizzazione al sequestro prevista dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003. D'altra parte, ritiene doveroso sottolineare che i messaggi in esame potrebbero contenere anche prove a favore del terzo non parlamentare: le sembrerebbe quindi ingiusto privare il procedimento di tali fonti di prova, tanto più che le prerogative a favore dei parlamentari sono di stretta interpretazione. Nel concludere, anticipa quindi che il proprio Gruppo è favorevole al rilascio dell'autorizzazione al sequestro richiesta dal GUP del Tribunale di Firenze.
Marco LACARRA (PD-IDP), a nome del Gruppo Partito Democratico sottolinea di condividere la relazione del Presidente nella parte in cui essa evidenzia la necessità che la richiesta di autorizzazione al sequestro proveniente dall'Autorità giudiziaria di Firenze dovesse essere preventiva e non successiva, come invece è accaduto nei fatti. Né, d'altra parte, gli appare possibile il rilascio di un'autorizzazione in sanatoria, che contrasterebbe con quanto previsto dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 e con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 170 del 2023. Pur non condividendo totalmente, invece, l'idea che vi sia stato un intento persecutorio, anticipa che il suo Gruppo voterà a favore della proposta del Presidente di negare l'autorizzazione al sequestro richiesta dal GUP di Firenze.
Devis DORI (AVS), nel sottolineare l'importanza e la delicatezza del voto della seduta odierna evidenzia, per un verso, che la procura di Firenze ha in un primo tempo acquisito la corrispondenza dei parlamentari sulla base della giurisprudenza allora prevalente, ma, per altro verso, che – allo stato – occorre invece sicuramente applicare i principi contenuti nella sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, che impongono chiaramente alla Autorità giudiziaria di inviare alla Camera la richiesta di autorizzazione di cui all'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 prima di eseguire il sequestro di corrispondenza dei parlamentari. Nel caso di specie, invece, si comprende palesemente dalla documentazione inviata come tale corrispondenza sia stata già acquisita dalla magistratura inquirente e trasmessa al Giudice dell'udienza preliminare assieme alla richiesta di rinvio a giudizio. Pur non trovando invece convincenti le argomentazioni sul fumus persecutionis, ritiene che la richiesta di autorizzazione del GUP del Tribunale di Firenze vada respinta.
Dario IAIA (FDI) rileva in primo luogo che analoghi sequestri disposti dalla procura di Firenze nell'ambito della stessa inchiesta da cui trae origine la richiesta all'esame della Giunta sono stati ripetutamente annullati dalla Corte di cassazione, che ha riconosciuto insussistente il fumus commissi delicti. A suo avviso, inoltre, anche la corrispondenza di cui si chiede oggi il sequestro – che peraltro risulta già detenuta dall'autorità giudiziaria procedente – avrebbe dovuto essere restituita ai titolari a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023. In secondo luogo, sottolinea la sproporzione immotivata della misura richiesta dall'autorità giudiziaria procedente, che chiede di poter sequestrare circa 4.200 comunicazioni riguardanti parlamentari, intercorse tra il 2011 e il 2019, mentre i reati contestati si sarebbero consumati tra il 2014 e il 2018. Si tratta, a suo avviso, di anomalie così lampanti e di così grande evidenza da far insorgere notevoli dubbi in merito al procedimento penale in questione; dubbi peraltro avvalorati dalle sentenze di annullamento dei sequestri della Cassazione che prima ha evocato. In terzo luogo, condivide quanto hanno anticipato gli altri colleghi in merito al fatto che l'autorizzazione richiesta dal GUP del Tribunale di Firenze non è stata chiesta prima dell'esecuzione del sequestro della corrispondenza, bensì a sequestro già avvenuto; ciò che però contrasta con quanto chiaramente statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 170 Pag. 39del 2023. D'altronde, a suo avviso non va dimenticato che l'articolo 4, comma 2, della legge n. 140 del 2003 prevede espressamente che, in attesa dell'autorizzazione parlamentare, l'esecuzione del sequestro rimane sospesa. Da ultimo, ritiene doveroso sottolineare, quanto al fumus, che la Corte di cassazione ha ripetutamente evidenziato come, nell'inchiesta condotta dalla procura di Firenze, non fosse dimostrata la sussistenza degli elementi costituitivi del reato di illecito finanziamento ai partiti contestato agli imputati. Per questi motivi anticipa il voto favorevole del Gruppo Fratelli d'Italia alla proposta del relatore di negare l'autorizzazione richiesta dal GUP del Tribunale di Firenze.
Pietro PITTALIS (FI) nel congratularsi col Presidente Costa per l'accuratezza e la completezza della relazione fornita alla Giunta, ritiene doveroso sottolineare la scorrettezza dell'operato della magistratura inquirente di Firenze che, anche prima della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, avrebbe dovuto interpretare in maniera costituzionalmente orientata le norme che riguardano il sequestro di corrispondenza dei parlamentari e chiedere preventivamente l'autorizzazione alle Camere. Al riguardo, precisa peraltro che, anche se il GUP ha provato successivamente a rimediare agli errori dei pubblici ministeri inviando la richiesta di autorizzazione a questo ramo del Parlamento, la Giunta non può che prendere atto della tardività della richiesta medesima. Evidenzia quindi che l'istanza proveniente dal GUP del Tribunale di Firenze non risulta adeguatamente motivata in termini di necessità dell'atto ai fini della prosecuzione delle indagini e che, in ogni caso, la richiesta gli appare sproporzionata in considerazione dell'enorme numero delle comunicazioni che si intende sequestrare e del lungo intervallo di tempo cui esse si riferiscono. Infine, anticipa che il voto del Gruppo di Forza Italia sarà favorevole alla proposta del Presidente di negare l'autorizzazione richiesta dal GUP del Tribunale di Firenze.
Laura CAVANDOLI (LEGA) nel comprendere la posizione espressa dall'on. Alifano circa la portata fortemente innovativa della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, sottolinea tuttavia, in generale, come le sentenze della Consulta abbiano valore retroattivo, senza considerare il fatto che ai medesimi esiti interpretativi, nel caso concreto, poteva pervenirsi anche prima mediante una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme. Il revirement della Corte, inoltre, va a suo avviso letto alla luce dell'esigenza – più volte sottolineata dalla medesima Consulta – del sacrificio minimo indispensabile della funzione parlamentare che, nella specie, non le sembra rispettato. La richiesta in questione, dunque, non le sembra rispettosa del quadro dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale e va, a suo avviso, rigettata. Anticipa quindi che il voto del Gruppo della Lega sarà a favore della proposta del Presidente di negare la richiesta di autorizzazione al sequestro.
Enrico COSTA, presidente e relatore, non essendovi altri interventi, pone in votazione la sua proposta di negare l'autorizzazione al sequestro della corrispondenza concernente i deputati Bonifazi, Boschi e Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, richiesta dal GUP presso Tribunale di Firenze con ordinanza del 20 novembre 2023, pervenuta alla Camera il 23 novembre 2023.
La Giunta approva la proposta del Presidente e relatore, dandogli mandato di predisporre la relazione per l'Assemblea.