Onorevoli Colleghi! - L'urgenza di affrontare il tema del funzionamento, dell'efficacia e soprattutto delle condizioni di detenzione amministrativa all'interno dei centri di identificazione ed espulsione e in quelli di prima accoglienza per gli stranieri giunti illegalmente nel territorio nazionale è stata riproposta per l'ennesima volta dai fatti avvenuti poco prima dello scorso Natale sia presso il centro di prima accoglienza di Lampedusa, ove la somministrazione delle terapie antiscabbia sarebbe avvenuta in condizioni degradanti le cui immagini, riprese occultamente da uno degli immigrati ivi ospitati, hanno avuto larga diffusione nei mezzi d'informazione nazionali e internazionali, sia presso il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, alle porte di Roma, dove nove immigrati ivi trattenuti hanno posto in atto una clamorosa protesta suturandosi la bocca.
Già nelle precedenti legislature, e in particolare nella scorsa, diversi parlamentari hanno ripetutamente effettuato visite in diversi centri di identificazione ed espulsione, da un lato riscontrando di persona le terribili condizioni di vita cui sono sottoposti i soggetti trattenuti in via amministrativa; dall'altro registrando l'impossibilità di mutare - nelle condizioni date - le condizioni di trattenimento assicurando i livelli minimi di tutela dei diritti umani fondamentali all'interno dei centri di identificazione ed espulsione. Certo, piccolissimi benché significativi miglioramenti sono stati apportati a partire dal Governo Monti, quanto meno con il ripristino della facoltà di accesso della stampa all'interno dei centri di identificazione ed espulsione. Tuttavia, non v’è dubbio che l'attuale sistema non sia assolutamente in linea con i requisiti minimi di rispetto dei diritti umani
fondamentali, stabiliti dall'Unione europea e dalle norme di diritto internazionale, e presenti innumerevoli criticità sotto diversi punti di vista, non ultimo quello della sua efficacia sotto il profilo delle procedure di identificazione ed espulsione: basti pensare che attualmente un soggetto sottoposto a detenzione amministrativa può restare all'interno di un centro di identificazione ed espulsione fino a diciotto mesi, senza che si giunga utilmente alla sua identificazione e, ricorrendone i presupposti, all'espulsione, e senza che siano riconosciuti neppure i diritti minimi previsti dall'ordinamento penitenziario in favore dei detenuti.
È bene dunque chiarire che l'intento sotteso alla presente proposta di istituzione di una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta è non soltanto quello di disporre di dati aggiornati sulle condizioni di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, ma soprattutto quello di giungere, attraverso questi dati, ad elaborare nuove e adeguate soluzioni normative. Infatti le drammatiche notizie sulle pessime condizioni dei soggetti trattenuti all'interno dei centri, che spesso rappresenterebbero veri e propri trattamenti disumani o degradanti per persone sottoposte ad una mera detenzione amministrativa, non sono certo una novità e sono ormai all'ordine del giorno dei fatti di cronaca. Quelle che ancora mancano sono invece le risposte adeguate, in termini di vivibilità ed efficienza, alle diverse criticità denunciate.
Del resto, mette conto forse ricordare in questa sede (anche al fine di non ripercorrere inutilmente strade già percorse) che la Commissione De Mistura, voluta dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Giuliano Amato e istituita per compiere verifiche ed elaborare strategie relativamente ai centri per immigrati - allora denominati centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) - già nel gennaio del 2007 segnalava numerosi problemi, che nel frattempo non sono mai stati affrontati. Nella relazione conclusiva, in particolare, si affermava che «nella legislazione vigente la gran parte delle condizioni di irregolarità di soggiorno trovano come unica risposta l'espulsione. Si genera una spirale caratterizzata dalla produzione continua di provvedimenti espulsivi che risultano ben difficilmente eseguibili sia in ragione del loro numero eccessivo, sia in ragione del generarsi di un circolo vizioso di contrapposizione tra la
Pubblica Amministrazione e lo straniero il quale, non vedendo la convenienza di un comportamento di trasparenza e di collaborazione con le Autorità, mette in atto diverse strategie di resistenza, prime tra tutte, l'occultamento dell'identità. La Commissione ritiene, quindi, che l'approccio normativo complessivo al fenomeno andrebbe profondamente modificato riconducendo l'espulsione alla sua natura di provvedimento necessario da applicarsi come ultima ratio, laddove tutte le altre possibilità di regolarizzare si siano rivelate in concreto non possibili. L'efficacia dell'esecuzione coattiva degli allontanamenti (e pertanto la credibilità complessiva del sistema) risulta infatti fortemente legata alla necessità di ridurre tali provvedimenti ad un numero contenuto, sui quali la pubblica sicurezza possa agire con efficacia disponendo delle risorse economiche e del personale necessario in rapporto all'entità del compito
richiesto».
Nella relazione che venne adottata in seguito al lavoro di analisi condotto dalla Commissione si evidenziavano, in particolare, alcuni significativi e specifici elementi di criticità:
la presenza, all'interno dei CPTA, di situazioni diversissime tra loro, sia sotto il profilo giuridico sia sotto quello dell'ordine pubblico nonché della condizione umana e sociale delle persone trattenute. Tale mescolanza, esasperata dalla elevata presenza di ex detenuti, penalizza in modo particolare gli stranieri a cui carico sussistono solo provvedimenti di allontanamento conseguenti alla perdita di regolarità di soggiorno, nonché le persone più deboli e vulnerabili, che sono esposte ad un clima di costante tensione e potenziale intimidazione interna ai centri;
la presenza nei CPTA di circa il 30 per cento di stranieri che risultano già identificati all'atto dell'ingresso nel centro o che collaborano alla propria identificazione, nei cui confronti il trattenimento risulta finalizzato al solo conseguimento dei titoli di viaggio;
la rilevante presenza nei CPTA di stranieri che erano immigrati legalmente e il cui permesso di soggiorno non è stato più rinnovato in mancanza degli stringenti requisiti reddituali e abitativi previsti dalla legge (cosiddetti «irregolari di ritorno/overstayers»); colpisce in particolare il fatto che sovente trattasi di persone aventi alle spalle periodi anche molto lunghi (superiori al decennio) di presenza continuativa in Italia;
la presenza nei CPTA di stranieri unicamente destinatari di un provvedimento di espulsione congiuntamente con stranieri che, seppure espulsi, erano in attesa dell'esame della loro domanda di asilo. Tale situazione è risultata particolarmente critica: la Commissione, durante le sue visite, ha constatato che i richiedenti asilo non avevano adeguato accesso a servizi di orientamento, informazione e tutela. La strutturazione di servizi dedicati ai richiedenti asilo nei CPTA è risultata infatti carente o in taluni casi del tutto assente;
l'impossibilità per lo straniero trattenuto di ottenere benefìci sia in relazione all'applicazione di misure di rientro volontario, sia in relazione alla durata dell'efficacia dell'espulsione, a seguito della messa in atto di comportamenti collaborativi finalizzati a favorire la propria identificazione;
il numero complessivamente ridotto degli allontanamenti eseguiti direttamente dai centri (11.087 nel 2005, 7.350 nel 2006) rispetto al numero complessivo degli stranieri rintracciati in posizione irregolare 119.000 nel 2005 e 124.000 nel 2006);
l'inadeguato bilanciamento tra l'accresciuta lentezza del turn-over e l'aumento dei costi complessivi per singolo straniero trattenuto;
una correlazione tra l'efficacia degli allontanamenti e fattori disgiunti dall'applicazione della misura del trattenimento (come l'esistenza di accordi di riammissione con i Paesi terzi, come allora nel caso della Romania; la collaborazione delle autorità consolari; la collaborazione dello straniero stesso); sotto questo profilo la Commissione raccomandava un'attenta lettura dei dati relativi al numero degli allontanamenti eseguiti in relazione ai Paesi di provenienza degli stranieri, al fine di evitare di dare una lettura errata dell'efficacia delle misure di allontanamento attuate mediante i CPTA;
la presenza cospicua di stranieri che per diverse ragioni, legate alla loro nazionalità o provenienza, non vengono comunque mai rimpatriati e per i quali il trattenimento risulta del tutto inutile e produce un circolo vizioso;
una rilevante presenza nei CPTA di stranieri ex detenuti, nei cui confronti sarebbe stato possibile e necessario procedere all'accertamento dell'identità durante il periodo di esecuzione della pena.
Ci sembra che l'introduzione del reato di immigrazione clandestina e l'allungamento del tempo massimo di permanenza all'interno dei centri di permanenza temporanea fino a diciotto mesi - per citare solo due delle innovazioni legislative introdotte successivamente alla conclusione dei lavori della Commissione De Mistura - non abbiano costituito una risposta né adeguata né coerente né razionale rispetto al lavoro in precedenza compiuto.
Occorre allora ripartire da qui, ossia dalle ben note criticità, aggiornate con i dati attuali, per trovare nuove e innovative soluzioni legislative.
L'articolo 1 della presente proposta di inchiesta parlamentare prevede dunque l'istituzione di una Commissione monocamerale di inchiesta, per la durata di un anno, sulle condizioni di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, sul rispetto dei livelli minimi in materia di diritti fondamentali e sulla complessiva efficacia di tali strutture per lo svolgimento delle procedure di identificazione ed espulsione degli stranieri presenti illegalmente nel territorio nazionale, con l'obiettivo di raccogliere i dati aggiornati e dettagliati necessari per l'individuazione di soluzioni legislative innovative più efficaci e rispettose dei diritti umani fondamentali. In particolare, la Commissione dovrà verificare:
1) la conformità delle condizioni di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione ai requisiti minimi stabiliti dalla direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nonché ai livelli minimi previsti dalle principali normative internazionali e dell'Unione europea in materia di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, con particolare riguardo alla condizione del trattenimento per le donne in stato di gravidanza, i minori, i potenziali richiedenti asilo e, in generale, tutti i soggetti vulnerabili;
2) l'adeguata presenza, all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, di personale qualificato per fornire il necessario supporto informativo, medico e psicologico nei confronti delle persone ivi trattenute, in particolare nei confronti dei soggetti più vulnerabili;
3) l'adeguata tenuta di registri di presenza delle persone trattenute all'interno di ciascun centro di identificazione ed espulsione, che contengano altresì informazioni precise e dettagliate sul tempo di permanenza dei soggetti trattenuti, sulle loro condizioni di salute o sulla dipendenza da sostanze psicotrope, sulla loro eventuale precedente permanenza in carcere o in altri centri di identificazione ed espulsione, nonché la trasparenza di tali informazioni e la loro adeguata messa a disposizione, in particolare nei riguardi delle autorità amministrative, di polizia e giudiziarie interessate al fenomeno dell'immigrazione regolare o irregolare;
4) l'efficacia dell'attuale sistema dei centri di identificazione ed espulsione sotto il profilo dell'identificazione delle persone ivi trattenute, in relazione sia alla durata massima del periodo di trattenimento all'interno dei centri, sia alla sua proporzionalità rispetto al grado di privazione della libertà personale delle persone sottoposte a detenzione amministrativa;
5) la sostenibilità dell'attuale sistema sotto il profilo economico e la valutazione, a parità di risorse impiegate, di nuove e diverse soluzioni normative per la gestione della questione immigrazione.
L'articolo 2 prevede che la Commissione sia costituita da venti deputati, nominati dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare. Entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, il Presidente della Camera dei deputati convocherà la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza, che sarà eletto a scrutinio segreto dalla Commissione tra i suoi componenti. È altresì previsto, in particolare, che la Commissione, al termine dei suoi lavori, presenti una relazione all'Assemblea della Camera dei deputati.
L'articolo 3 stabilisce i poteri e i limiti dell'istituenda Commissione, mentre l'articolo 4 prevede che i componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3 che la Commissione abbia sottoposto al segreto funzionale.
L'articolo 5, infine, detta norme relative all'organizzazione interna della Commissione e, in particolare, determina le spese per il suo funzionamento nel limite massimo di 50.000 euro annui, a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.
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