XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 661 di lunedì 21 marzo 2022

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANDREA MANDELLI

La seduta comincia alle 13.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANDREA DE MARIA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 marzo 2022.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Baldelli, Barelli, Bergamini, Berlinghieri, Boschi, Brescia, Brunetta, Butti, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Cavandoli, Ciaburro, Cirielli, Colletti, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, D'Inca', D'Uva, Dadone, Daga, De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Maggioni, Magi, Marattin, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Mugnai, Mule', Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Parolo, Perantoni, Rizzo, Romaniello, Rosato, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Serracchiani, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Spadoni, Speranza, Suriano, Tabacci, Tasso, Vignaroli, Zanettin e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 100, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. La Presidente del Senato, con lettera in data 18 marzo 2022, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente alla V Commissione (Bilancio):

S. 2505. - “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico” (approvato dal Senato) (3522) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), IV, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Poiché il suddetto disegno di legge è iscritto nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da martedì 22 marzo 2022, ai sensi del comma 5 dell'articolo 96-bis del Regolamento i termini di cui ai commi 3 e 4 del medesimo articolo si intendono conseguentemente adeguati. In particolare, il termine per la presentazione di questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge è fissato alle ore 16 di oggi, lunedì 21 marzo 2022.

Discussione della proposta di legge costituzionale: Meloni ed altri: Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l'elezione diretta del Presidente della Repubblica (A.C. 716-A?).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale n. 716-A: Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l'elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 16 marzo 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 16 marzo 2022).

Ricordo che la Commissione propone la reiezione della proposta di legge.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 716-A?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza e presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Giuseppe Brescia.

GIUSEPPE BRESCIA , Relatore per la maggioranza. La ringrazio, Presidente. Colleghi, a pochi giorni dall'entrata in vigore dell'ultima riforma costituzionale approvata da questo Parlamento, quella sulla tutela dell'ambiente, quest'Aula torna a discutere di aggiornamenti della nostra Carta. Lo fa con una proposta di legge calendarizzata in quota opposizione, su volontà del gruppo di Fratelli d'Italia, una proposta di legge a prima firma dell'onorevole Giorgia Meloni, componente della Commissione affari costituzionali, che cambia 13 articoli della nostra Costituzione, per introdurre l'elezione diretta del Presidente della Repubblica e ridefinire il suo ruolo nell'ambito del Governo.

Illustrerò successivamente la proposta, senza entrare volutamente nel merito e lasciando ogni valutazione alla discussione generale. Mi limito qui a ripercorrere alcune considerazioni di metodo. Questa mattina a Kiev il sole è sorto, dopo una notte di bombe. Navi russe hanno aperto il fuoco sul porto di Odessa e Mariupol continua a resistere. Qualcuno fuori da quest'Aula potrebbe dire che alla Camera all'ora di pranzo si stanno baloccando sul presidenzialismo, mentre il prezzo della benzina sale e le bollette aumentano. Nei giorni scorsi, con queste stesse motivazioni, la stessa proponente del testo che stiamo discutendo ha criticato aspramente il dibattito in Commissione sulla nuova legge sulla cittadinanza: “Dalla luna è tutto” ha detto. Allora, se qualsiasi tema al di fuori delle urgenze può apparire lunare, va detto che è solare che in Parlamento si debba discutere di tutto, invece, discutere e soprattutto votare, come ha fatto la Commissione affari costituzionali, che ha deciso di sopprimere tutti gli articoli della proposta di legge che oggi esaminiamo in Aula, di cui era relatore l'onorevole Prisco.

Riferisco, dunque, all'Aula circa l'iter del provvedimento, avviato il 4 marzo 2020 e ripreso il 15 febbraio scorso, dopo che la Conferenza dei presidenti di gruppo aveva inserito il provvedimento stesso nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da lunedì 28 febbraio. Stante anche la disponibilità del relatore a un ragionevole slittamento dell'avvio della discussione in Assemblea, il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato a mercoledì 2 marzo. Sono stati presentati circa 40 emendamenti, 3 dei quali sono stati dichiarati inammissibili per estraneità di materia, e contro questo giudizio di inammissibilità non sono stati presentati ricorsi. Dall'organizzazione dei lavori, dunque, si può desumere come sia stato pienamente garantito all'opposizione di esaminare in tempi brevi una proposta di legge, peraltro di natura costituzionale. Del resto, l'opposizione era stata doverosamente coinvolta anche nell'incontro tra i gruppi sulle riforme costituzionali, promosso dal sottoscritto e dal presidente Parrini lo scorso 14 febbraio.

La rielezione del Presidente Mattarella - a proposito del ruolo del Presidente della Repubblica, appunto - ha infatti assicurato alle istituzioni la necessaria stabilità, nell'interesse del Paese. Quella scelta generosa doveva e deve, secondo me, essere ricambiata dal Parlamento e dalle forze politiche con un impegno concreto nel dialogo sulle riforme, un impegno capace di sottolineare la centralità delle Camere, come richiesto dallo stesso Presidente della Repubblica Mattarella, spesso da tutti esaltata ma poi difficilmente praticata, perché le Camere non possono essere centrali se mancano pragmatismo, maturità e disponibilità. Badate bene: disponibilità non significa, a prescindere, unanimità, ma ricerca del confronto, per trovare soluzioni.

Consideriamo i cambiamenti della Costituzione apportati in questa legislatura. Sono stati ottenuti con maggioranze ampie e sono stati costruiti per lo più in Commissione, la sede più sincera del confronto dove la rappresentanza non si fa rappresentazione. Il collega Ceccanti ricorderà ancora la genesi della riforma sul voto dei diciottenni al Senato. Da una polemica in Commissione proprio col Partito Democratico, che allora era all'opposizione, nacque una proposta a mia firma che, abbinata ad altre, ha liberato il voto di 4 milioni di cittadini under 25 per le prossime elezioni politiche. In questa fase della legislatura poi il fattore tempo diventa sempre più decisivo; spero che il tempo di questa discussione generale non sia vano, ma possa generare occasioni di cambiamento della Carta, con interventi però puntuali; occasioni che pure in Commissione si erano manifestate, ma non sono state poi concretamente perseguite. Ogni gruppo avrà nel suo cassetto sicuramente la proposta di legge costituzionale di bandiera; il rischio è che, a furia di sventolare questa bandiera, non si resti con la sola asta in mano. Per questo svolgerò il ruolo di relatore come svolgo quello di presidente di Commissione, cercando di alimentare fiducia, dialogo e buona volontà tra tutti i gruppi. Se c'è una cosa che la guerra in Ucraina ha rinsaldato è stato proprio il sentimento di unità nazionale; unità festeggiata lo scorso 17 marzo nella Giornata della Costituzione, dell'inno e della bandiera. Facciamone tesoro e lavoriamo tutti per portare quell'unità in quest'Aula, con l'obiettivo di raggiungere importanti risultati in termini di ammodernamento della nostra Carta.

Passando ora a sintetizzare il contenuto della proposta di legge, essa interviene, con gli articoli da 1 a 7, sulle previsioni costituzionali recate dal Titolo II della Costituzione, che comprende gli articoli da 83 fino al 91, prevedendo innanzitutto l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. In dettaglio, l'articolo 1 della proposta di legge sostituisce integralmente l'articolo 83 della Costituzione. In tale ambito, l'articolo 1 aggiunge alcune nuove funzioni del Presidente della Repubblica: garantire l'indipendenza della Nazione, vigilare sul rispetto della Costituzione, assicurare il rispetto dei trattati e degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia a organizzazioni internazionali e sovranazionali, rappresentare l'Italia in sede internazionale ed europea.

L'articolo 2 della proposta di legge integra, invece, l'articolo 84 della Costituzione, stabilendo l'elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto. Viene poi ridotta l'età per poter essere eletto Presidente della Repubblica da 50 a 40 anni e viene inoltre integrata la disciplina dell'incompatibilità. L'articolo 3 della proposta di legge modifica l'articolo 85 della Costituzione, che disciplina l'elezione del Presidente della Repubblica, riducendo da 7 a 5 anni il mandato presidenziale e prevedendo espressamente la possibilità di rielezione per una sola volta. Le candidature possono essere presentate, secondo le modalità stabilite dalla legge, da un gruppo parlamentare presente in almeno una delle Camere o da 200 mila elettori ovvero da deputati e senatori, membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, consiglieri regionali, presidenti delle giunte regionali o sindaci, nel numero stabilito dalla legge. È previsto un sistema di elezione a doppio turno. L'articolo 4 della proposta di legge interviene sull'articolo 86 della Costituzione, affidando al Presidente del Senato il compito di indire l'elezione in caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica. L'articolo 5 apporta alcune limitate modifiche all'articolo 87 della Costituzione, concernente le funzioni del Presidente della Repubblica. Tra queste segnalo la presidenza del Consiglio supremo per la politica estera e la difesa, che sostituisce il Consiglio supremo di difesa, ed ha il comando delle Forze armate. Si prevede poi la soppressione del decimo comma dell'articolo 87, secondo il quale il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio superiore della magistratura; tale funzione è affidata dall'articolo 13 della proposta di legge al primo presidente della Corte di cassazione. L'articolo 6 interviene sul potere presidenziale di scioglimento delle Camere, disciplinato dall'articolo 88 della Costituzione; rispetto alla norma vigente, il Presidente della Repubblica deve prima acquisire il parere non solo dei Presidenti delle Camere, ma anche del Primo Ministro, organo che sostituisce il Presidente del Consiglio.

È modificato anche il secondo comma dell'articolo 88 della Costituzione, che disciplina il cosiddetto semestre bianco. Inoltre, si stabilisce che il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere nel primo anno della legislatura. L'articolo 7 interviene sull'istituto della controfirma, disciplinato dall'articolo 89 della Costituzione.

Gli articoli da 8 a 12 della proposta di legge intervengono invece sulle previsioni costituzionali recate dal Titolo III, sezione I, che racchiudono gli articoli da 92 a 96 della Costituzione. Le modifiche previste sono volte, in particolare, a ridefinire il ruolo del Presidente della Repubblica nell'ambito del Governo, attribuendogli in particolare la funzione di presidenza del Consiglio dei Ministri, di direzione della politica generale del Governo e di revoca dei Ministri. In dettaglio, l'articolo 8 della proposta di legge interviene sul primo comma dell'articolo 92 della Costituzione al fine di prevedere che il Governo della Repubblica sia composto dal Primo Ministro e dai Ministri, che, come attualmente previsto, costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il nuovo secondo comma dell'articolo 92 della Costituzione affida inoltre la presidenza del Consiglio dei Ministri al Presidente della Repubblica, consentendo la possibilità di delegare il Primo Ministro. Inoltre, il nuovo terzo comma dell'articolo 92 della Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica nomini il Primo Ministro, sostituendo quindi la dizione Presidente del Consiglio dei Ministri, e, su proposta di questo, i Ministri. Il nuovo terzo comma dell'articolo 92 contempla altresì la possibilità per il Presidente della Repubblica, su proposta del Primo Ministro, di revocare i Ministri. L'articolo 9 interviene sulla formulazione dell'articolo 93 della Costituzione, relativo al giuramento del Governo. L'articolo 10 sostituisce l'articolo 94 della Costituzione al fine di introdurre alcune modifiche alla vigente disciplina costituzionale sul rapporto di fiducia tra le Camere e il Governo. In primo luogo, le modifiche previste all'articolo 94 sostituiscono la disciplina sulla fiducia al Governo con quella relativa alla facoltà di voto di sfiducia al Governo. A tale proposito, la nuova formulazione dell'articolo 94 prevede che ciascuna Camera possa votare la sfiducia al Governo, stabilendo che la mozione di sfiducia deve essere sottoscritta da almeno un decimo dei componenti della Camera, votata per appello nominale e approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti. La mozione di sfiducia deve essere motivata e deve indicare la persona alla quale il Presidente della Repubblica deve conferire l'incarico di Primo Ministro. Il Governo formato dopo l'approvazione della mozione di sfiducia si presenta entro cinque giorni alle Camere per ottenere la fiducia. La mozione di fiducia è votata per appello nominale. Si introduce, quindi, nella Carta costituzionale la disciplina della sfiducia costruttiva. La Camera ha, infatti, la possibilità di sostituire il Primo Ministro ricorrendo ad un'apposita mozione, che deve essere motivata e approvata a maggioranza assoluta, indicando il nome del futuro Primo Ministro.

La sostituzione integrale dell'articolo 94 della Costituzione, disposta dall'articolo 10 della proposta di legge, comporta inoltre che non sia più presente nella Carta costituzionale la previsione in base alla quale il Governo, entro dieci giorni dalla sua formazione, si presenta alle Camere per ottenere la fiducia, la quale è accordata o revocata mediante mozione motivata e votata per appello nominale. La presentazione alle Camere per ottenere la fiducia viene infatti riferita solo al Governo formato dopo l'approvazione della mozione di sfiducia. Viene inoltre soppressa la vigente previsione costituzionale di cui al terzo comma dell'articolo 94, in base alla quale il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni. L'articolo 11 della proposta di legge affida al Presidente della Repubblica, anziché al Presidente del Consiglio dei Ministri, la direzione della politica generale del Governo. Al Presidente della Repubblica è inoltre affidato, con il concorso del Primo Ministro, il mantenimento dell'unità di indirizzo politico ed amministrativo. Infine, l'articolo 12 interviene sulla formulazione dell'articolo 96 della Costituzione, relativo alla giurisdizione sui membri del Governo per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, l'onorevole Prisco.

EMANUELE PRISCO , Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Faccio prima una considerazione di metodo: si è richiamata da parte del relatore per la maggioranza la questione tempo per l'approvazione delle riforme costituzionali. Ricordo che questa proposta è incardinata da diverso tempo, forse qualche anno, nella Commissione di cui il collega è presidente. Quindi, se rientrava tra la le priorità da mettere in agenda, non poteva certo essere esclusivamente a carico dell'opposizione, che l'ha calendarizzata nel momento in cui gliene è stata concessa l'occasione.

Credo che la rielezione del Presidente Mattarella abbia rappresentato un punto di caduta massimo per la politica e per il Parlamento, un siparietto che definire imbarazzante è poco, e che ha visto veramente prevalere la miseria della necessità di garantire la stabilità, con il Presidente Draghi a Palazzo Chigi e il Presidente Mattarella al Quirinale, perché solo questo avrebbe determinato la certezza matematica che non sarebbe caduto il Governo e che non vi sarebbero state elezioni anticipate. Si sono scambiati sette mesi di stipendio per sette anni di Quirinale. Questo è, e se ne sono accorti tutti. Se ne sono accorti per primi gli italiani, e credo che - basta guardare qualsiasi sondaggio - i giudizi espressi sulla politica in genere, dopo quel momento, rappresentino plasticamente il momento più basso della politica parlamentare di questo ultimo periodo.

Non aggiungo altro, se non una considerazione, a prescindere ovviamente da questa legge, che certamente è una proposta di parte, ma che è stata aperta al contributo di tutti, di tanti; tant'è che sono stati proposti emendamenti che io, allora, come relatore del provvedimento, ho anche accolto, capendo lo spirito costruttivo di questa proposta.

Per quanto riguarda il famigerato incontro, la riunione allargata, degli Uffici di Presidenza di Camera e Senato sulle riforme possibili, Fratelli d'Italia sul punto ha detto: sì, noi abbiamo una proposta di parte, ma siamo disponibili; e ci siamo fatti anche presentatori, con il presidente La Russa in Senato, della proposta di istituzione di un'Assemblea costituente da eleggere parallelamente al nuovo Parlamento. Una proposta che non viene certamente da Fratelli d'Italia, ma che è stata avanzata al mondo della politica dalla Fondazione Einaudi. Il presidente La Russa se ne è fatto carico e mi sembrava una buona via d'uscita per dare una risposta al Paese rispetto alla necessità di avere garanzie certe per le istituzioni, per la garanzia della sovranità nazionale e per la stabilità di Governo e internazionale.

Colleghi, so benissimo che il presidenzialismo è una delle battaglie storiche della destra italiana, ma oggi è voluto dalla maggioranza degli italiani, e questo è un fatto del quale il Parlamento non può non occuparsi. Fratelli d'Italia l'ha riproposto, ma non è la prima volta. Ne abbiamo viste e sentite, di proposte simili, negli anni. Siamo contenti anche che altre forze politiche, non provenienti dalla nostra stessa parte, si siano avvicinate a queste posizioni, così come lo hanno fatto esponenti di tutto rilievo del mondo accademico e del mondo politico, non per forza di destra e di centrodestra.

Va bene che ci siano, ovviamente, differenze, è normale e per questo ci siamo presentati, anche rispetto a questa proposta, non chiusi al contributo di chi lo volesse portare, perché riteniamo che sia necessario riscrivere la parte seconda della Costituzione, aggiornandola ai tempi di oggi. E non ci siamo irresponsabilmente arroccati sulle nostre posizioni, lo dicevo prima, per esempio relativamente a molti emendamenti costruttivi di altre forze politiche, tanto di centrodestra quanto di centrosinistra.

Il modello che indichiamo nella nostra proposta è un modello - l'ha ricordato il presidente Brescia, da relatore - di semipresidenzialismo cosiddetto alla francese. Crediamo che sia quello migliore, ma riteniamo che, comunque, il fulcro necessario del cambiamento nella seconda parte della Costituzione sia la capacità di ridare centralità all'unico detentore della sovranità popolare, cioè i cittadini, dopo che la politica ha utilizzato i voti degli italiani per fare l'opposto di quello che aveva promesso in campagna elettorale e per disattendere le indicazioni provenienti dal voto. Non è una novità in Italia che chi perde le elezioni poi vada anche al Governo del Paese: l'unico Paese occidentale in cui accade questa strana cosa.

La stabilità politica non è un valore che sta a cuore solamente a Fratelli d'Italia, o almeno non dovrebbe essere così; non la stabilità dei posti dei parlamentari, ma la stabilità politica del Governo e della Nazione, soprattutto sotto il profilo del quadro internazionale.

Da più parti si è dimostrato, più volte, che l'instabilità reca danni alle istituzioni, all'economia, alla credibilità e al prestigio internazionale della Nazione. Testimonianza ne sono gli infiniti appelli che vengono sempre rivolti alla politica, soprattutto quando cade un Governo, quando c'è una crisi di Governo, affinché si faccia di tutto per evitarla e si metta al riparo il Paese dalla speculazione internazionale, dalla questione dei mercati, dagli assalti finanziari.

Riecheggiano ancora i momenti della caduta dell'ultimo Governo eletto dai cittadini, il Governo Berlusconi. E testimoniano certamente due cose non secondarie: la prima, che l'instabilità è vista ovunque come un male, in primis dai cittadini che ormai, per colpa della politica, purtroppo ripongono sempre meno fiducia nella politica stessa e nelle persone che scelgono di votare, e al riguardo il dato dell'astensionismo lo dimostra largamente; la seconda, che tutte queste parole altro non facciano che testimoniare in maniera eloquente il triste primato di poteri esterni a quello politico della sovranità nazionale. Lo ha ricordato anche il Presidente Mattarella con schiettezza nel giuramento che lo ha visto rieletto al Quirinale. È triste per chi, come noi, crede nel primato della politica sull'economia, ma è triste per chi vorrebbe, ovviamente, dare più forza e più autorevolezza alle istituzioni.

Quando parliamo di stabilità politica, facciamo un piccolo confronto rispetto a quello che è successo negli Stati europei in questi ultimi anni, quelli che magari, come l'Italia, fanno parte del G7. Prendiamo un arco temporale a caso, gli ultimi venti anni, il periodo della moneta unica, più o meno: la Francia ha avuto quattro Presidenti della Repubblica (tra l'altro, Chirac era Presidente anche da molto prima di questi tre anni), il Regno Unito ne ha avuti cinque, la Germania ne ha avuti due, noi siamo invece, in testa alla classifica, una delle poche democrazie che ha avuto, negli ultimi dieci anni, ben dieci Presidenti del Consiglio, oggi undici con Draghi, che è quello attualmente in carica. Credo che non servano altre parole e non servano altri commenti, perché dalla poca stabilità politica discende anche uno scarso prestigio internazionale, con le conseguenze che tutti noi conosciamo e che, purtroppo, vediamo.

Ma non è questo il momento di fare questo genere di polemiche. E in una situazione di instabilità e confusione, di poca chiarezza in un mondo complesso, sempre più complesso, di economia globalizzata, forse anche di economia di guerra, quando la politica è debole, è l'economia e sono altri gli interessi che dettano le regole del gioco.

Noi non ci vogliamo rassegnare a questo scenario di regressione ed è questo il senso della proposta portata oggi all'attenzione del Parlamento. Noi vorremmo un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo, che unisca in sé anche la guida e il coordinamento dell'azione di Governo, e che dia valore, come dicevo in premessa, all'articolo 1 della Costituzione, cioè: “La sovranità appartiene al popolo”.

E mi pare che, in questi ultimi anni, quella che è stata l'indicazione del voto popolare sia stata sempre, puntualmente disattesa dai suoi rappresentanti. Questa proposta va nel senso di avere un massimo rispetto degli italiani, delle loro scelte, della loro capacità di discernimento e a chi evoca lo spettro dell'uomo forte al comando - si è sentito dire anche questo nella Commissione referente - o il rischio di concentrare troppi poteri nelle mani di una sola persona ricordo che stiamo proponendo un sistema simile a quello francese, e non mi risulta che in Francia non vi sia una democrazia. E, poi, sul fatto che a dirlo sia chi ha sostenuto il Presidente Conte come Presidente del Consiglio, che governava esautorando il Parlamento con i DPCM, e il Presidente Draghi, che è noto a tutte le forze parlamentari essere abbastanza riluttante rispetto alla partecipazione, alla vita democratica e parlamentare, consentitemi almeno di farci una risata.

Il senso di questa proposta va nel senso di avere un Presidente votato dagli italiani, legittimato dagli italiani e che risponde del suo operato di fronte agli italiani. Semplice, non serve molto altro da aggiungere. Poi si può discutere sugli elementi accessori, purché il principio rimanga tale e rimanga fermo, perché l'Italia è una Nazione che certamente ha bisogno di stabilità, ma ha bisogno anche di scelte chiare, di sapere, un minuto dopo le elezioni, chi ha vinto e governa il Paese e chi ha perso e sta all'opposizione e che, per 5 anni, quella è l'interfaccia della Nazione in Europa e nel mondo. Pensate che autorevolezza e che cambio di rotta importante che potremmo dare al nostro Paese.

Il presidenzialismo serve a passare da una democrazia, in qualche modo, interloquente a una democrazia decidente, lo sanno bene i nostri imprenditori - lo ha ricordato il presidente Brescia -che vivono, come tutte le famiglie italiane, in questo momento, l'allarme di una crisi economica, con delle scelte che arrivano timide, con compromessi al ribasso e che non rispondono alle esigenze delle famiglie e delle imprese italiane. Con un Presidente eletto, con una democrazia decidente, queste scelte potrebbero essere prese con maggiore decisione, con maggiore vigore, con maggiore concretezza, come serve nei momenti di difficoltà. Velocità, coraggio e visione che non possono essere raggiunti esclusivamente con delle deroghe alle regole, come è stato fatto con i diversi stati di emergenza che abbiamo avuto in questo nostro Paese e che ancora, purtroppo, abbiamo.

Dicevo che il presidenzialismo consentirebbe di sapere chi ha vinto e governa e chi fa l'opposizione. E credo che anche l'articolazione dei poteri decentrati - si è discusso molto - le famose autonomie regionali, i trasferimenti di competenze e di risorse si possano affrontare senza temere scelte centrifughe, perché avremmo un'unità nazionale rappresentata da un Presidente eletto dall'intera Nazione in tutta la sua pienezza di rappresentanza. In altri termini, il presidenzialismo rappresenta anche una garanzia di indissolubilità dell'unità nazionale, che consentirebbe, per l'appunto, anche di guardare con attenzione a esperimenti di maggiore autonomia territoriale.

Per cui, Fratelli d'Italia ha rilanciato questa sfida: ha avuto in Commissione l'esito che ha avuto - e non ci voglio tornare perché non compete al ruolo del relatore, seppur di minoranza, ma credo che si commenti da solo, e chi ha responsabilità in questo senso se le dovrà anche assumere di fronte agli italiani - ritengo, però che bisogna rimanere, come siamo rimasti e rimaniamo, aperti al confronto. Confido ancora che si possa provare, tutti insieme, a scegliere quella sfida dell'Assemblea costituente per ridisegnare la seconda parte della Costituzione, di cui abbiamo parlato, ma poi quelle riunioni sono rimaste lettera morta. Era un interrogativo sul cosa facciamo per concludere la legislatura e per migliorare la Costituzione, che, poi, è rimasto così, tante intenzioni, anche diversamente compilabili tra loro.

Quindi, noi pensiamo che questo sia il tempo delle decisioni, pensiamo che non sia ulteriormente rinviabile questo tipo di riforma, che non ci siano più scuse per poterla affrontare e vorremmo che fosse messo da questo Parlamento un punto fermo anche per la prossima legislatura, perché riteniamo che l'Italia sia pronta a questa svolta. E questa deve essere la priorità di questo o del prossimo Parlamento, perché l'Italia ha bisogno di riguadagnare l'autorevolezza internazionale, la stabilità, la forza, il coraggio e la visione che sono propri della sua storia e che merita di avere anche nel suo futuro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, sottosegretaria, onorevole Bini, che si riserva di farlo.

È iscritta a parlare l'onorevole Corneli. Ne ha facoltà.

VALENTINA CORNELI (M5S). Grazie, Presidente. Io tornerei sulla questione di metodo, facendo seguito a quello che ha detto il collega Brescia e anche a quello che ha detto il collega Prisco. Quello che è surreale, a nostro avviso, quello che è lunare, a nostro avviso, è che, in una situazione drammatica come quella che sta vivendo il nostro Paese e direi anche il mondo intero in questo momento, noi stiamo discutendo di una proposta di legge che stravolge la nostra Costituzione, che modifica 13 articoli della Costituzione, che va a distruggere ogni equilibrio insito nel nostro sistema costituzionale. Questo è surreale. Io non riesco veramente a capire come noi siamo arrivati a questo punto. Io vorrei spiegare, per il suo tramite, Presidente, al collega che non funziona così. La Costituzione è patrimonio di tutti, non può essere, con un colpo di mano dell'ultradestra, modificata così, dall'aspirante costituente Meloni, en passant. Non è possibile questa cosa. Ricordiamo, magari, ai colleghi perché noi abbiamo una forma di Governo parlamentare e non presidenziale: perché noi, a differenza della Francia, a differenza di altri Paesi, abbiamo vissuto un'esperienza drammatica, un disastro, una atrocità, una catastrofe, che è stata la dittatura fascista, e la nostra Costituzione antifascista nasce dalle ceneri di quel disastro lì. Quindi, è da qui che dobbiamo partire necessariamente.

Andiamo ai lavori dell'Assemblea costituente. 20 novembre 1946, ordine del giorno Dossetti: i partiti politici assumono un ruolo centrale all'interno dell'esperienza costituzionale italiana, con esperienza democratica. Il cosiddetto rifiuto della prospettiva decisionista, come è definito in dottrina, emerge in più passaggi dell'Assemblea costituente. Io penso che giovi ai colleghi di leggere un passaggio del professor Roberto Maria Cherchi, che poi lascerò ai colleghi. Io ne leggo solo una parte, che fa emergere in maniera netta quella che è stata, poi, la prospettiva che si è scelto di assumere in seno all'Assemblea costituente e che ha proprio rifiutato il concetto di presidenzialismo: “L'Assemblea costituente diede, quindi, attuazione all'ordine del giorno Perassi in modo parziale, come dimostra il fatto che i più significativi rapporti politici - segnatamente, la definizione dei rapporti endogovernativi, i poteri del Governo in Parlamento, il potere di scioglimento delle Camere - vennero lasciati in stato di relativa indeterminazione. Le disposizioni a essi relative erano infatti così elastiche, pur se non completamente indefinite, da lasciare al dopo la specificazione del loro ubi consistam. Si pensi all'articolo 92 della Costituzione, che non regola la fase antecedente la nomina del Presidente del Consiglio e dei Ministri e implicitamente rinvia all'autonoma regolazione del Presidente della Repubblica e delle forze politiche.

Si pensi all'articolo 95, la cui ambigua formulazione è potenzialmente idonea a far ritenere legittima sia l'espansione del principio collegiale che l'espansione del principio monocratico, al punto da aver ingenerato dubbi sulla sua natura giuridico-prescrittiva; all'articolo 88 della Costituzione, che non tipizza i presupposti dello scioglimento delle Camere nonostante le proposte di razionalizzazione avanzate in Commissione su questo oggetto.

L'afflato garantista, in Assemblea costituente, non si esaurì con l'introduzione di limiti ai poteri del Governo e del Presidente del Consiglio dei Ministri, ma si estrinsecò anche nella posizione di limiti alla regola di maggioranza attraverso la correzione del primato assoluto del Parlamento, sul presupposto da tutti condiviso che una comunità non deve per forza identificarsi con la maggioranza che la governa o con qualcuno in particolare, in quanto si sa che questa comunità è una pluralità. La supremazia dell'Assemblea elettiva fu limitata attraverso il bicameralismo perfetto, l'attribuzione di poteri di garanzia al Presidente della Repubblica, l'istituzione della Corte costituzionale, il procedimento aggravato di revisione costituzionale delle fonti specializzate e delle fonti atipiche, l'ordinamento regionale e il principio autonomistico, gli istituti di democrazia diretta, i diritti sociali e gli istituti di partecipazione, la libertà sindacale e il diritto di sciopero, il principio di autonomia e di indipendenza della magistratura. La garanzia principe, tuttavia, fu l'adozione di una legge elettorale proporzionale, che rendeva molto difficile che un solo partito potesse conseguire la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Viva e sentita, quindi, fu l'esigenza di porre argini all'influenza del raccordo maggioranza-Governo. Il disegno costituzionale della forma di Governo recava altresì alcuni elementi di razionalizzazione, disposizioni concernenti competenze e procedure, che, nelle intenzioni dei costituenti, sarebbero state adeguate ad evitare le degenerazioni assembleari della Terza Repubblica francese, conservando tuttavia, anche in questo caso, spazi giuridici vuoti che le istituzioni e i partiti avrebbero disciplinato in via autonoma e informale. Si pensi alla figura del Presidente della Repubblica, dotato in Italia di poter incisivi sul funzionamento della forma di Governo, onde evitare una deriva assembleare analoga a quella della Terza Repubblica francese; si pensi al potere governativo di ricondurre al procedimento legislativo ordinario un disegno di legge approvato da una Commissione parlamentare in sede deliberante (articolo 72, terzo comma), e all'attribuzione del Presidente del Consiglio dei Ministri della funzione di direzione della politica generale e di mantenimento dell'unità d'indirizzo, mentre l'articolo 65 dello Statuto Albertino prevedeva che il re nomina e revoca i suoi ministri. Si pensi, infine, all'esplicita attribuzione al Governo del potere di iniziativa legislativa e alla razionalizzazione del rapporto di fiducia con l'introduzione del voto per appello nominale e della regola secondo cui il Governo non è obbligato a rassegnare le dimissioni in caso di voto contrario di una delle due Camere.

In base alle considerazioni che precedono, sembra condivisibile la qualificazione della forma di Governo come parlamentare a tendenza equilibratrice, una forma di Governo incardinata sul principio del bilanciamento dei poteri e solo parzialmente razionalizzata, così concepita perché, da parte dei costituenti, si ritenne che dalla prassi partitica sarebbe disceso lo stato della Costituzione e, in particolare, della forma di Governo. Ripeto, lascerò questo scritto ai colleghi, così che potranno leggerlo con attenzione. Ad onor del vero, non è solo Meloni e il partito di Meloni, ci sono stati anche altri paladini del presidenzialismo, come si ricordava, ad esempio, Renzi. Però, per fortuna, adesso sembra che loro siano isolati e, quindi, non ci dovrebbero essere pericoli in questo senso. Però, è bene ricordare la storia. È bene ricordare la storia, perché purtroppo, come sa lo studioso, la storia ha delle categorie che si ripetono uguali a se stesse e, purtroppo, succede che, nei momenti in cui ci sono delle gravi crisi - e questo sicuramente è un momento di grave crisi - si cavalcano delle tensioni autoritarie. Quindi, questo è il momento di alzare ancora di più l'asticella della democrazia, a mio avviso e, in realtà, non solo a mio avviso. Penso, ad esempio, al professor Zagrebelsky, che tante volte ha ricordato come quello del presidenzialismo sia un tema tradizionale della destra autoritaria, inserito nel piano di rinascita nazionale di Gelli e cavalcato da Berlusconi, e come il semipresidenzialismo, o il presidenzialismo, sia presente non solo negli Stati Uniti, ma in molti Paesi del Sud America, dove dei colonnelli sono poi diventati capi di Stato, oppure in Africa, oppure nella stessa Russia di Putin. La storia va studiata: va studiata perché si ripete sempre uguale a se stessa. Io non sono ipocrita e non penso che nell'ultima elezione del Presidente della Repubblica non ci siano stati dei problemi politici. Ci sono stati e sono stati evidenti; però, i problemi politici non si risolvono con delle norme giuridiche, non si risolvono con le norme costituzionali. Questa è l'illusione costruttivista. I problemi politici si risolvono in altro modo, attraverso un miglioramento della classe politica. È questo a cui dobbiamo sostanzialmente puntare, perché poi il parossismo è quello che si pensa che il corpo elettorale che va ad eleggere il Presidente della Repubblica sia un corpo elettorale diverso da quello che ha eletto i rappresentanti che poi hanno votato il Presidente della Repubblica due mesi fa, un mese e mezzo fa. Non è così: è lo stesso corpo elettorale che esprime la stessa classe politica. È chiaro che noi dobbiamo esprimere in futuro - e ce lo auguriamo tutti - una classe politica migliore di quella espressa negli ultimi trent'anni, che ci ha portato nella situazione che ci ritroviamo oggi.

Tornando all'ultima elezione del Presidente della Repubblica, penso sicuramente - ripeto - che dei problemi politici ci siano stati e siano stati evidenti, però, sempre ad onor del vero, le cose sarebbero potute andare anche peggio. Ad esempio, come avrebbe voluto sempre il partito di Meloni, penso all'elezione di un Presidente alla Repubblica divisivo - quantomeno “divisivo”, mettiamola così - e alle conseguenze che avrebbe avuto sul tessuto sociale, sulla lacerazione del tessuto sociale, in un Paese come l'Italia che ha delle equilibri fragilissimi. Oggi è la storia che ce lo insegna: le divisioni sono devastanti per un Paese, le divisioni portano addirittura alla guerra. Noi dobbiamo costruire la cultura della pace, noi dobbiamo unire, noi dobbiamo crescere, noi dobbiamo fare esattamente il contrario di quello che proponete voi. Allo stesso modo abbiamo scongiurato un'altra possibilità, che era quella di eleggere l'attuale Presidente del Consiglio, così affermando un semipresidenzialismo di fatto, come qualcuno aveva anche paventato; per fortuna è stata scongiurata, perché sarebbe stata sicuramente anche questa un'ipotesi molto, molto, molto più nefasta, rispetto all'assetto attuale che abbiamo conservato.

È chiaro che dobbiamo pensare ad un futuro migliore per il Paese, ad un futuro migliore per la politica, ma lo strumento non è evidentemente quello che proponete voi. Che cosa possiamo fare a livello di intervento costituzionale? Quello che effettivamente stiamo facendo, quindi, con delle modifiche chirurgiche della Costituzione, cercare di portare il Paese avanti, non indietro, far crescere il Paese, renderlo un Paese migliore. Penso, ad esempio, alla riforma che, come ricordava il collega Brescia, ha introdotto la tutela dell'ambiente e degli animali in Costituzione. Dobbiamo, - ripeto - a maggior ragione in un momento come questo, alzare l'asticella della democrazia, perché i rischi ci sono e, quindi, dobbiamo rendere il Parlamento più centrale, perché è vero che il Parlamento è stato molto marginalizzato, soprattutto nell'ultimo anno. Dobbiamo invece trovare un sistema, perché i poteri del Governo - altro che rafforzati! - vengano ridotti e venga riportata la centralità del Parlamento. Quindi, penso a strumenti di limitazione del potere governativo. Allo stesso tempo è vero che abbiamo bisogno di stabilità, ma ci sono altri strumenti. Come ha ricordato lo stesso collega Prisco, la Germania, che non è certamente un sistema presidenziale, ha una grande stabilità di Governo grazie alla sfiducia costruttiva. Questo è un altro strumento che noi potremmo sicuramente mutuare, perché in questo caso il transplant - in italiano, il trapianto - di questo istituto all'interno del nostro sistema sarebbe invece confacente anche alla nostra storia. Cos'altro possiamo fare? Possiamo sicuramente ripensare il rapporto tra lo Stato e le regioni, perché non pochi problemi si sono manifestati soprattutto nell'ambito della sanità; anche qui ricordo l'esperienza degli ultimi due anni. Possiamo e dobbiamo introdurre lo strumento del referendum propositivo, perché i cittadini si sentono sempre più lontani dalle decisioni politiche, mentre i cittadini devono essere coinvolti nelle decisioni politiche, perché è nella società civile che risiede l'ultima speranza per mettere a sistema le migliori energie del Paese e far crescere questo Paese. Ancora, sempre per combattere il problema dell'allontanamento dei cittadini dalla politica, dobbiamo cercare di combattere l'astensionismo.

Come lo possiamo fare? Con strumenti che rendano l'esercizio del voto più agevole; penso al voto elettronico, al voto dei fuori sede. Infine, cosa possiamo fare? Lo ricordava anche il professore Roberto Maria Cherchi nel suo scritto: dobbiamo finalmente dotare il Paese di un sistema elettorale proporzionale, dobbiamo garantire la rappresentatività, non dobbiamo più andare a falsare quella che è effettivamente la rappresentanza parlamentare attraverso finte coalizioni che abbiamo visto che fine hanno fatto. E dobbiamo evitare che questo accada nuovamente in futuro. Lo ripeto: dobbiamo garantire, oggi più che mai, la democrazia, dobbiamo garantire, oggi più che mai, il nostro sistema parlamentare a tendenza equilibratrice (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il Presidente Rampelli. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI (FDI). Presidente Mandelli, colleghi deputati, sottosegretaria Bini, ci troviamo ancora una volta qui. Nell'arco degli ultimi anni ci è capitato di discutere di proposte di riforma costituzionale, anche nella scorsa legislatura e anche nella legislatura ancora precedente. Lo si è fatto in lungo e in largo, utilizzando tutti gli strumenti possibili e immaginabili, evidentemente ritenendo - i vari Parlamenti che si sono susseguiti, in special modo da Tangentopoli in poi - che la nostra democrazia dovesse essere modernizzata, innovata, velocizzata, resa più dinamica e più al passo con i tempi; ciò, anche per evitare, impedire che l'Italia potesse risultare soccombente rispetto al confronto con le altre Nazioni del mondo, che aveva subito un'accelerazione fenomenale, formidabile, apparentemente implacabile con l'avvento della cosiddetta globalizzazione.

Dunque, intanto informo ufficialmente coloro i quali sono intervenuti fin qui e in modo particolare la collega deputata, che si è esibita poco fa, in considerazioni quanto meno, dal mio punto di vista, assolutamente bislacche, che non è certamente un'esigenza di Fratelli d'Italia quella di rivedere l'assetto costituzionale dello Stato e di provare a fare un passo in avanti, conservando - ci mancherebbe altro - tutte le prerogative parlamentari, ma provando a offrire un incipit di autorevolezza in più allo Stato, affiancando alla democrazia parlamentare la democrazia diretta e, dunque, provando ad aggiungere quell'elemento differenziale che potrebbe essere decisivo, anche per ricongiungere i cittadini con le istituzioni repubblicane. Mi riferisco all'elezione diretta del Presidente della Repubblica, con tutte le modificazioni che Fratelli d'Italia ha proposto in questa legge di riforma costituzionale che stiamo discutendo, ma che evidentemente non ha scosso adeguatamente le coscienze. Forse, ha scosso poco anche le coscienze di quella parte del centrodestra che ha sottoscritto nel 2018, congiuntamente, nel suo programma elettorale di riferimento, la riforma costituzionale con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Vedremo come evolverà il dibattito, noi ci auguriamo ci sia un margine almeno per schierare compattamente l'intero centrodestra su questo che per noi resta un punto fondamentale e irrinunciabile.

Voglio ricordare, prima di altre considerazioni, diciamo così, di scenario, una piccola rivoluzione da questo punto di vista; lo dico sempre a tutto il Parlamento, ma in modo particolare a chi ha eretto la bandiera della democrazia diretta lungo l'arco ormai di quasi dieci anni, facendoci un lavaggio del cervello che la metà basta e praticamente cercando di preconizzare che la piattaforma Rousseau avrebbe potuto rappresentare una sottospecie di forma di democrazia diretta e che, quindi, lo strumento in essere potesse dare lezioni alla farraginosa democrazia parlamentare, democrazia indiretta, la democrazia dei partiti, la democrazia delle lottizzazioni, la democrazia degli inciuci e quant'altro.

Fortunatamente, prima dell'avvento di lor signori pentastellati, c'era già stata una presa di coscienza ed è quella proveniente, mi permetto di sottolinearlo, dal Movimento Sociale Italiano; anche se il Movimento Sociale Italiano è stato su questi banchi del Parlamento, stava però fuori dell'arco costituzionale e alla destra italiana non è stato mai consentito negli anni, in specie, di vedere concretizzate e materializzare le proprie proposte; voglio invece in questo caso sottolineare che quella dell'elezione diretta dei sindaci e dell'elezione diretta dei governatori delle regioni è una proposta che da lì proviene e porta il nome e il cognome dell'allora leader segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, piaccia o no (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Sono dati oggettivi e io li ricostruisco in punta di piedi, affinché venga offerta una lettura oggettiva e le interpretazioni bislacche, appunto, che abbiamo ascoltato possano essere parcheggiate di lato e lasciare il posto alla politica vera.

Comunico che quell'elezione diretta dei sindaci e dei governatori - altra informazione ufficiale - ha prodotto un benefico impulso su tutte le amministrazioni locali, ha tolto potere non tanto ai partiti - perché i partiti non sono certo un male oscuro, sono lo strumento attraverso il quale la democrazia si partecipa - ma a quegli accordi sottobanco, a quel sistema consociativo che aveva denigrato, direi persino delegittimato, la democrazia in quanto tale, democrazia in quanto potere al popolo, non sul popolo.

Da quel momento abbiamo avuto anche un coefficiente aggiuntivo di stabilità; le amministrazioni comunali e regionali difficilmente cadono anticipatamente per giochi e macchinazioni, proprio perché quel sistema si incardina su un principio di autorevolezza rappresentato non dalla sostituzione del voto diretto verso il sindaco e verso il governatore regionale al posto del voto al partito, alla persona e alla coalizione, ma dal combinato disposto che sovrappone questi due elementi e che, da un lato, consente al cittadino di scegliersi la persona che maggiormente gradisce nel caso delle elezioni comunali, anche con il voto disgiunto, per sottolineare il coefficiente di libertà che si deve rappresentare quando un cittadino deve affidare la propria comunità locale a un sindaco; ci può essere una coalizione di partiti o un partito, il partito del proprio cuore, dei propri sentimenti che fa una scelta non condivisa e quella legge, in maniera moderna, consente al cittadino di mantenere la sua opinione affettiva, ma di indirizzare col voto disgiunto il suo desiderio verso la persona che, magari, non è indicata dal suo partito o dalla sua coalizione, ma è ritenuta più nelle condizioni di costruire il bene comune della propria comunità locale.

Stessa identica cosa dicasi per le elezioni regionali. C'è una sola obiezione praticamente che differisce, che è quella che vede il secondo turno di ballottaggio nei comuni e il turno unico nelle regioni, ma il meccanismo è sostanzialmente identico.

Il cittadino, in quella riforma, Presidente Mandelli, è al centro del processo decisionale, il cittadino, Presidente Mandelli, non è più suddito, non subisce le decisioni dall'alto dei partiti, il cittadino sceglie il consigliere comunale o il consigliere regionale, sceglie il partito di riferimento, quello che maggiormente gli aggrada, sceglie la coalizione, sceglie il programma e ha un premio di maggioranza che mette al riparo le sue scelte dalle imboscate che quasi sempre sono eterodirette da interessi inconfessabili, da gruppi di pressione, talvolta da gruppi e lobby di carattere economico-finanziario, talaltra, peggio ancora, da gruppi inconfessati che le pressioni le fanno perché rappresentano poteri occulti.

Una grande rivoluzione, cari colleghi del MoVimento 5 Stelle, cari colleghi del Partito Democratico, cari colleghi del Parlamento della Repubblica italiana, una grande rivoluzione, però, incompiuta. Badate bene a quello che è accaduto nel corso del tempo, rimettiamo al posto giusto la lancetta dell'orologio. Correva l'anno di grazia 1993, quando c'è stato l'avvento di un processo di riforma importante dal punto di vista della legge elettorale, che ha fatto la differenza perché ha comunque marcato un indirizzo ben preciso. Erano gli anni post Tangentopoli, l'Italia veniva da un periodo, diciamo così, oscurantista di cui ci si voleva dimenticare nel minor tempo possibile. C'era sul banco degli imputati praticamente tutto l'arco costituzionale che aveva governato i destini della nostra Nazione dal secondo dopoguerra agli anni di Tangentopoli, appunto, al 1993. La crisi è stata soprattutto di ordine morale e si ruppe quella sorta di cordone ombelicale che collegava le istituzioni repubblicane ai cittadini, ai corpi intermedi, ai sindacati, ai partiti, al mondo dell'associazionismo diffuso, alle realtà sociali maggiormente radicate nel nostro territorio. Si interruppe quel legame e ci fu anche, diciamo così, il rischio di una deriva non esattamente democratica. È lì che si è potuta constatare l'intelligenza della parte migliore della politica italiana che tentò, attraverso la riforma elettorale, il processo di trasformazione della democrazia parlamentare indiretta nella democrazia decidente, come l'ha definita poco fa il relatore di minoranza, Emanuele Prisco. Venne chiamato, per la prima volta, un tecnico. Per la prima volta in assoluto, la democrazia italiana, invece di affidarsi a un parlamentare eletto dal popolo, chiamò un “esperto”: il Presidente Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d'Italia, diventò Primo Ministro, con il compito di traghettare l'Italia, mezza sfasciata, della cosiddetta Prima Repubblica verso un'Italia diversa e più moderna. Il compito di congegnare una riforma elettorale che potesse offrire queste garanzie fu affidato all'attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e quella riforma elettorale, che porta esattamente il nomignolo Mattarellum, fu la riforma elettorale in senso maggioritario che restituì speranza a un'Italia che era in ginocchio e che si vergognava di se stessa, per aver nascosto la testa sotto la sabbia lungo l'arco di tutta la Prima Repubblica, con interessi inconfessati, con una corruzione dilaniante da Paese del terzo mondo, decisamente al di sopra della media di tutti i Paesi europei occidentali, un'Italia inguardabile che i cittadini speranzosi volevano comunque provare a riscattare.

Il legislatore guardò a quella formula, non affinché fosse una presa per i fondelli valida solo e soltanto a tempo determinato, giusto il tragitto temporale per far dimenticare Tangentopoli. Era e deve tornare a essere una prospettiva: il cittadino decidente, la democrazia decidente, la persona umana al centro del processo democratico. Questo percorso - lo ricordo - non arrivò alle conclusioni che, per l'ennesima volta, a inizio di questa legislatura e a inizio della legislatura precedente Fratelli d'Italia ha presentato agli atti di questo Parlamento, attraverso le sue proposte di riforma costituzionale. Quella riforma, anche se fu solo una riforma elettorale, anticipò una riforma costituzionale che poi, invece, non fu mai varata. Non prevedeva soltanto il sistema elettorale maggioritario in omaggio a una rappresentatività che, almeno per quello che riguarda la destra italiana, da sempre condividiamo - il sistema era misto, ma sbilanciato sul sistema maggioritario –, ma prevedeva, di fatto, l'indicazione del Primo Ministro da parte dei cittadini. Non lo si poteva fare con una riforma costituzionale, in quella fase storica, e lo si è fatto attraverso l'indicazione indiretta, perché i candidati a diventare Presidenti del Consiglio dei Ministri erano trascritti all'interno dei simboli dei partiti che si confrontavano nella campagna elettorale: tutti sapevano che, se avesse vinto il centrodestra, il Presidente del Consiglio sarebbe stato Silvio Berlusconi, perché c'era scritto forte e chiaro, così come tutti sapevano che, se avesse vinto il centrosinistra o il fronte cosiddetto progressista, sarebbe stato Romano Prodi, c'era scritto forte e chiaro. Non c'era l'elezione diretta perché non c'era la riforma costituzionale ma si stava anni luce avanti rispetto a questa squallida discussione che proviene da una Commissione che ha rinunciato al suo portato rivoluzionario e a una maggioranza che, allo stato attuale, è una maggioranza bulgara e potrebbe fare “la qualunque”. Potrebbe fare davvero la riforma delle riforme ma non ha inteso farla. Non c'è un'alternativa alla nostra proposta, questo va sottolineato e va detto forte e chiaro. Giù la maschera, cari reazionari del Parlamento italiano! Voi che volete conservare lo status quo a ogni costo - e vi dico anche le ragioni di questa tendenza - dovete sapere di non aver portato alcuna proposta. Avete avuto numeri bulgari per poterlo fare e vi siete rintanati verso, appunto, la conservazione dello status quo. Sta bene così. Perché sta bene così? Cerchiamo di capire insieme perché sta bene così. Sta bene così semplicemente perché ad una serie di interessi conclamati che sono anche di carattere politico - per politico, in questo caso, intendo di bassa politica, quella politica che mira soltanto alla conquista del potere e al conseguente esercizio del potere - serve una democrazia fragile, serve una democrazia che non abbia grandi collegamenti con le masse popolari e che non ne sia, diversamente da quello che ho ascoltato, una espressione solida, serve a consentire il procrastinarsi di quella eccezione che, paradossalmente, dopo Carlo Azelio Ciampi - stagione da me appena ricordata - troverà sul proprio cammino altre eccezioni, fino a diventare regola. C'è una regola non scritta, adesso, nella Costituzione italiana. La Costituzione è solenne, è stata fatta dai padri costituenti ed è stata pluricelebrata. Tuttavia, c'è una costituzione non scritta che vale più di quella che è stata elaborata dai padri costituenti e, oggi, questa Costituzione dice che gli interessi deboli e diffusi del popolo italiano non possono essere rappresentati da un Primo Ministro eletto dal popolo, né direttamente né indirettamente.

Praticamente, siamo arrivati ad abbassare la saracinesca sul Parlamento italiano nella misura in cui coloro i quali hanno - perché vengono dal basso? Perché hanno fatto gli amministratori? perché hanno studiato? Perché hanno avuto un impegno sociale e culturale conclamato e ricorrente? perché hanno deciso di intrecciare le sorti della propria persona umana con le sorti di una comunità nazionale più ampia? - una visione precisa della società non possono accedere a quella posizione.

Lì ci deve stare non Ciampi, perché Ciampi è uno di coloro che forse ha paradossalmente rispettato più o meno il suo mandato e, fatta la legge elettorale, ha portato l'Italia, da Presidente del Consiglio, al voto e poi secondo me anche giustamente, nel senso che meritatamente il Presidente Ciampi è stato eletto Presidente della Repubblica e portato al Quirinale. Devo dire che nel suo settennato non ha neanche per un attimo immaginato di poter replicare quell'esperienza (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Non ci ha proprio pensato, perché le persone serie sono rispettose della Costituzione o, comunque, prendono il toro per le corna e fanno una modifica costituzionale. L'ha fatta Putin, che governa da 22 anni in Russia. Non ha fatto - diciamo così - l'eccezione, cercando alla italiana maniera di lambiccarsi e di aggiustarsi. Ha fatto la riforma! Ha portato davanti al Parlamento una richiesta per avere poi la possibilità di un mandato successivo.

Noi ci troviamo in una condizione evidentemente diversa. Il Presidente Ciampi è stato un Presidente rivoluzionario. Il Presidente Ciampi - lo ricordo a bassa voce affinché rimanga agli atti, perché è un riconoscimento che viene dai banchi della destra - è stato colui il quale, dopo gli anni infausti del dominio culturale marxista-leninista in Italia, dopo gli anni infausti dell'egemonia dell'internazionalismo proletario, ha cominciato - lui e non la destra italiana, che già lo faceva - a sdoganare il termine “patria”, terra dei padri. Una definizione meravigliosa che soltanto qualche malato di dogmatismo ideologia poteva criminalizzare colpevolmente, perché non c'è niente di più bello e di più straordinario di questa definizione per tracciare i confini di un'appartenenza, l'appartenenza di un popolo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Il Presidente Ciampi è stato capace, con l'ostracismo culturale a cui ho fatto riferimento, anche di rivitalizzare una certa memoria risorgimentale. La vogliamo chiamare così? Siccome il Risorgimento era stato valorizzato eccessivamente negli anni della dittatura, allora nessuno poteva più riscoprire e celebrare gli eroi del Risorgimento, quelli ai quali, comunque, dobbiamo l'esistenza in vita di questa roba qui (di questa roba qui!). Lui l'ha fatto. Non l'ha fatto Almirante; l'ha fatto Ciampi! Almirante l'aveva fatto già prima. La destra l'ha sempre fatto, ma poi ci sono dei momenti storici in cui qualcuno, dall'altra parte del campo, fa delle incursioni e dice: “Basta demagogia, stop!” e ti dà un riconoscimento senza citarti, che è il riconoscimento più bello. Il Presidente Ciampi non ha solo riscoperto il Risorgimento; è stato il Presidente della Repubblica che si è recato, lui in persona, ad Alessandria d'Egitto, ad El Alamein, a dire, forte e chiaro, che chi ha combattuto nella Seconda guerra mondiale apparteneva all'esercito regolare italiano e aveva la divisa dell'esercito italiano. Non stava lì a servire il regime fascista: stava lì a servire l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia) e nessuno avrebbe dovuto mai permettersi per questo di cancellarne la memoria per ragioni di bassa bottega, di bassa politichetta da strapazzo, di dibattito e dialettica quotidiana tra partiti. Ma che cosa c'entra?

Questo l'ha fatto sempre lui. Però, come dicevo, è stato il primo, ma non l'ultimo Presidente del Consiglio cosiddetto tecnico. Ne sono arrivati altri, che sono stati uno peggio dell'altro. Si staglia all'orizzonte la stella nera del professor Monti, praticamente un collaborazionista (mi permetto di dire), premiato poi per aver - diciamo così - servito un altro padrone, e non il popolo italiano, con l'istituto del senatore a vita. E poi siamo arrivati al “Conte 1”, perché nell'anno di grazia 2018 qualcuno ha voluto una legge elettorale che Fratelli d'Italia, che era presente in Parlamento con nove deputati e due senatori non ha votato (non ha votato!). Una legge elettorale varata con l'abolizione del premio di maggioranza, cioè con l'obiettivo meschino e inconfessabile di non dare una maggioranza che potesse costituire un Governo all'Italia. L'obiettivo meschino da parte della sinistra che ha fatto la proposta - e purtroppo qualcun altro, anche nell'ambito del centrodestra, la sostenne poi - di avvelenare i pozzi, visto che comunque era scontata una prevalenza elettorale del centrodestra, ed evitare, attraverso l'abolizione sostanziale del premio di maggioranza, che il centrodestra potesse costituire un Governo.

Da qui si arrivò al primo Governo Conte, alla maggioranza carioca gialloverde (così era definita e, quindi, facciamoci anche due risate con una evocazione calcistica). Poi il “Conte 2” e alla fine il Governo Draghi. È quasi diventato - diciamo così - un valore condizionante: cioè, se tu sei eletto dal popolo non puoi guidare il popolo. Devi venire da fuori, devi essere un rappresentante, per esempio, della Banca centrale europea, già Governatore della Banca d'Italia, già direttore della Banca d'Italia, già banchiere, servitore dei banchieri, come se si possa contestualmente rappresentare gli interessi con le competenze specifiche dei banchieri e dei popoli, quando al mondo tutti sanno che le banche stanno da una parte e i popoli stanno dalla parte opposta (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Noi vorremmo rompere questo meccanismo infernale; noi vorremmo tornare alla democrazia; noi non vogliamo assistere inermi al declino della democrazia né vogliamo conclamarne la fragilità, perché la fragilità della democrazia poteva avere un senso fino al 1989, fino al mondo diviso in blocchi e alla sua caduta definitiva con la caduta del Muro di Berlino. Quel muro, anche se i popoli dell'Est europeo ci saltavano sopra con gioia o prendevano virtualmente a picconate, perché era di cemento armato ed era ben difficile a picconate buttarlo giù quel muro, è stato tirato giù dalla globalizzazione, è stato tirato giù da un'economia asfittica che non trovava più sbocchi di mercato e li aveva individuati, con il collasso economico dell'Unione Sovietica, nell'altra parte dell'Europa, quella che oggi sta cercando di riprendere il sopravvento, perché tutti ormai sanno - e lo ha praticamente confessato, anzi non confessato ma ufficializzato oggi il Presidente della Bielorussia - che l'obiettivo del tiranno Putin è quello di tornare a Jalta: Jalta 1945, Jalta 2022. Putin vuole un'altra Jalta, affinché il mondo gli consegni un pezzo di pianeta che lui possa gestire a proprio piacimento e, comunque, contro la sensibilità delle democrazie liberali, in un'altra direzione ma con quello stesso scopo.

È la globalizzazione economica che ha buttato giù il Muro di Berlino e ha consentito ai popoli sottomessi al comunismo sovietico di tornare liberi.

Tra questi popoli anche l'Ucraina, che nel 1996 scrive nella sua Costituzione il principio dell'autodeterminazione, un principio caro alle sensibilità democratiche, non sempre rispettato, badate bene, perché qui ci sono persone che amano la verità, non ipocriti. Sappiamo bene che alcuni grandi poteri della geopolitica hanno fatto strame del principio di autodeterminazione dei popoli, lo sappiamo, ma dall'Unione Sovietica tutti coloro i quali, popoli, nazioni, Stati, erano stati sottomessi e addomesticati con la violenza, dal 1945, Accordo di Jalta tra Stalin, Churchill e Roosevelt, fino appunto alla caduta dell'Unione Sovietica, 1991, quei popoli volevano fuggire verso l'Occidente, cercavano l'adesione all'Unione europea, e magari anche alla NATO, non necessariamente per convinta asserzione, ma per paura, per paura che l'orso brutale di Mosca si potesse da un momento all'altro risvegliare e potesse manifestare, esattamente come fu dal 1917 in poi, la propria veemenza, la propria violenza, il proprio collocarsi agli antipodi rispetto al principio della democrazia.

Si potrebbe obiettare: ma proprio tutto questo c'entra con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica? Sì, c'entra, perché, di fronte al mostro della globalizzazione, indirizzato maldestramente dal turboliberismo, dal mercatismo, che ha creato diseguaglianze, che ha creato quello sfruttamento dell'uomo, della donna, dei bambini, dei minori, degli anziani, dei dissidenti politici, dell'ambiente, quella accezione e quella definizione lì può essere contrastata solo e soltanto da una democrazia autorevole, forte. Chi vuole la democrazia così è perché non sta con il popolo, sta altrove, consapevolmente o inconsapevolmente. O lo sa e ci sta perché fa il gioco, perché sta sul libro paga dei poteri forti, della grande finanza, del mondo globalizzato, cioè sta dalla parte opposta delle identità, delle patrie, delle tradizioni culturali, dell'economia reale, delle imprese, del lavoro, dello sviluppo, della partecipazione, oppure non ha studiato, si presenta nudo alla meta e lambicca, parla del più e del meno, delle umane miserie quotidiane, delle cose che comunque incidono sulla politica, ma non la portano in alto, e, nel proiettarla verso l'alto, non le consentono di servire gli interessi diffusi di un popolo intero, questo fa la differenza.

Noi facciamo la nostra proposta, e qualcuno potrebbe immaginare - è stato anche detto in questo dibattito, ci mancherebbe altro, il mondo è bello perché è vario e noi accettiamo ogni critica -, ma come, c'è la guerra lì, Putin ha invaso l'Ucraina, e voi? A parte il fatto che non determiniamo noi i tempi delle nostre proposte di legge, di quando atterreranno in Commissione e poi in Aula. Ho già detto che le nostre proposte sono conservate gelosamente nei cassetti di questo Parlamento da oltre 10 anni. Ma è vero esattamente il contrario: è proprio il deficit di autorevolezza delle democrazie che mette i popoli in ginocchio davanti ai giganti dell'economia e della finanza.

Io, quando ero ragazzo, prima facendo il tifo indirettamente per i colori della destra italiana e poi entrandoci dentro in maniera più viva e più attiva, ricordo una certa sinistra, quando la sinistra - sembrano passati millenni, non secoli - imbracciava le tesi della giustizia sociale, della sovversione, nel senso letterale di sovvertire l'ordine costituito e mettere gli ultimi in classifica al primo posto in classifica, in maniera, a mio giudizio, molto strumentale, ma era pur sempre una teoria; surreale, ma lo era. La ricordo la sinistra marxista, che criticava strutturalmente, ontologicamente il capitale. E lo sa perché lo criticavano? La sinistra dell'epoca nel mio liceo, nei licei di tutta Italia, negli atenei universitari, diceva che il capitalismo consentiva la concentrazione della ricchezza nelle mani di poche decine di migliaia di persone al mondo, questo diceva la sinistra. E quindi questo sistema era ingiusto, perché creava diseguaglianze, e andava combattuto e sovvertito, perché chi prestava lavoro era lui che doveva essere per certi aspetti il padrone dell'azienda.

Poi ci furono altre teorie che sono, anche qui, leggi depositate, magari un giorno ne parleremo pure, che prevedono la partecipazione dei lavoratori di ogni genere e grado, operai o professioni intellettuali, alla proprietà, alla gestione, agli utili dell'azienda, ma quella era l'idea della sinistra: sovvertire, perché il capitalismo era iniquo, perché poche decine di migliaia di persone avevano concentrata in mano la ricchezza del mondo. Ora, terza informazione di routine: si dà il caso che la ricchezza del mondo con la globalizzazione sia concentrata nelle mani di poche persone, non poche decine di migliaia di persone, e la sinistra sia totalmente silente, in ginocchio! Non ha avuto alcuna capacità, evidentemente, di aggiornare il proprio bagaglio culturale, si è messa a cuccia dietro i poteri forti, si è trasformata da quel grande movimento popolare di massa che difendeva le cause dei più deboli a quel movimento elitario che fa il verso ai circuiti finanziari e che spesso sbaglia completamente mira, come nel caso dell'immigrazione, perché, invece di stare dalla parte di coloro i quali vengono estirpati, espiantati dai Paesi del sud del mondo, invece di soccorrerli e lì soccorrere le persone più deboli, che non possono permettersi né economicamente né fisicamente il viaggio della speranza, che spesso invece diventa l'ultimo viaggio, invece di andare lì con la politica internazionale, con la politica della cooperazione allo sviluppo a offrire sostegno e solidarietà a quelli che non si possono muovere, le donne, gli anziani, i disabili, i bambini, fanno il tifo, foraggiano il lavoro dei trafficanti di uomini e degli scafisti, sempre frutto di una degenerazione del sistema globale!

Non è che la globalizzazione sia in sé un fatto negativo. Guardate bene, non vorrei essere equivocato: perché la globalizzazione diventa devastante? Perché spiana tutte le conquiste sociali degli ultimi decenni, perché fa strame della lotta dei nostri padri e dei nostri nonni, quelli che hanno fatto le battaglie sindacali, quelli che ci hanno messo tutto quello che avevano per dare alle persone più deboli uno Stato sociale degno di questa nota, e quindi potessero essere ristorati, anche se economicamente fragili!

Non siamo riusciti, evidentemente, a ottenere questo risultato, perché le democrazie non sono state pronte ad accompagnare la globalizzazione nella direzione degli interessi dei popoli. Democrazie deboli: è questo che volete? Volete democrazie impresentabili? Volete democrazie abborracciate? Volete democrazie che fanno votare il cittadino prendendolo per i fondelli? Ciascuno si sente come diceva Giorgio Gaber in una sua magnifica canzone teatro, ci si sveglia la domenica mattina, emozionati si va nella cabina elettorale, si prende la matita come se fosse un totem, un'icona sacra, si esercita il diritto di voto, ma si mette soltanto una croce sulla scheda perché non si conta niente, perché non si esprime più una coalizione, un Presidente del Consiglio, un Governo, un programma.

E voi volete che non si possa, neanche nella trasformazione costituzionale, dare ai cittadini il potere di decidere quale debba essere il Presidente della Repubblica, con quel minuetto insopportabile che è stato il pessimo spettacolo, degli ultimi tempi, della rielezione di Sergio Mattarella a capo dello Stato. Grande e massimo rispetto per la persona, per il suo percorso, ci mancherebbe altro, sempre in punta di piedi si parla del Presidente della Repubblica, ma la dinamica è stata oggettivamente terribile. Ed è stata - e sono le ultime battute che vi consegno - giudicata terribile non da Fratelli d'Italia, cara sottosegretaria Bini, non dalla nostra leader, Giorgia Meloni; si sono indignati gli analisti, i commentatori, gli osservatori internazionali. Sì, non è che sia accaduto qualcosa di molto diverso rispetto a quello che accadde o accadeva decenni fa, solo che siamo in un altro mondo e quello che accade ora si sa in tempo reale, attraverso la moltiplicazione dei messaggi che variano nel percorso dei social, non ci sono soltanto le televisioni; le televisioni si sono peraltro modificate e trasmettono notizie h24, vi sono dibattiti televisivi. Dal punto di vista dell'immagine della democrazia italiana, è stata una catastrofe! Una catastrofe (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

E voi siete degli sconsiderati, se non ne prendete atto! E ancora più sconsiderati siete, se vi rimangiate quello che avete detto: i vostri leader hanno detto che sarebbe stata l'ultima elezione del Presidente della Repubblica attraverso il suffragio parlamentare, non l'ha detto Giorgia Meloni, l'hanno detto decine e decine di esponenti parlamentari della Repubblica italiana, sostenitori di Draghi, appartenenti a questa maggioranza. E dove siete ora? Dove siete? Vi siete nuovamente rintanati dietro lo scudo della democrazia fragile per favorire coloro i quali hanno messo lì, a capo del Governo italiano, ignominiosamente, a rappresentare gli interessi del popolo italiano, sempre traditi, dopo Ciampi, Dini, Monti, “Conte 1”, “Conte 2”, Draghi e chi più ne ha più ne metta. È questo il vostro disegno, è il disegno dell'oligarchia. Apposta ci criticate! È il disegno del Governo nelle mani di pochi, pochissimi. È la democrazia elitaria, è la democrazia impresentabile, è la democrazia fragile, è la democrazia che viene utilizzata e strumentalizzata dalla globalizzazione economica (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia) per mettere in ginocchio i popoli, per utilizzarne le risorse, per smontarne gli obiettivi strategici, per invertire il sistema di valori, animato dal buon senso di una civiltà che viene da lontano, affinché un'istituzione compatibile con la globalizzazione possa meglio servire la globalizzazione. Questo è quanto avevo da dire, Presidente Mandelli, sottosegretaria Bini, colleghi deputati.

Spero ancora in un ripensamento, perché tutto si può fare; si può aggiustare il quadro, si può intervenire criticamente nelle varie trasformazioni della nostra Costituzione, secondo la proposta di Fratelli d'Italia. Si può migliorare a patto che non venga messo in discussione l'obiettivo di rendere più autorevole e più forte la nostra democrazia, più veloce, perché, se noi qui non decidiamo, qualcun altro fuori da qui deciderà, non per nostro conto, ma per conto del popolo italiano.

Diceva Bernardo di Chiaravalle: “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.” Voi potete non condividere le nostre argomentazioni, ma, vi piaccia o meno, appartengono alle più profonde convinzioni del 70 per cento del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccanti. Ne ha facoltà.

STEFANO CECCANTI (PD). Grazie, Presidente. Penso che dobbiamo anzitutto ricordarci una lezione di fondo: la materia delle regole del gioco, costituzionali e non, non può essere considerata un ambito come gli altri. Qui, quando si inizia, a differenza degli ambiti normali di decisione, bisogna accertarsi non solo che uno schieramento, che una limitata maggioranza sia favorevole, bisogna appurare che il consenso possa essere vasto: o di due terzi, come vorrebbe l'ipotesi preferita dall'articolo 138 della Costituzione o comunque tale da poter superare l'eventuale prova referendaria.

La competizione sui programmi, anche aspra, non è infatti distruttiva se le regole entro cui essa è inquadrata sono condivise: tanto più le regole sono condivise, quanto più possiamo dividerci, anche senza timore, sulle materie normali, ordinarie.

Con questa consapevolezza, in questa legislatura sono stati approvati tre interventi di manutenzione costituzionale: la riduzione del numero dei parlamentari, l'allineamento degli elettorati attivi tra Camera e Senato e il riconoscimento del diritto all'ambiente in Costituzione. Altri interventi, anche non proprio minimali, sarebbero certo ancora possibili in questo ultimo anno di legislatura, ma sempre seguendo quel criterio di consenso vasto. Esso comporta per tutti noi un vincolo, quello di convincere gli altri prima di andare in Aula, altrimenti si rischia, anche con le migliori intenzioni, di perdere tempo in termini di sistema, precludendo magari altre riforme, anche sul terreno delle regole, perché il tempo è sempre una risorsa scarsa.

A noi, per esempio, piacerebbe convincere gli altri gruppi sul fatto di potenziare il Parlamento in seduta comune nella nuova composizione a 600, soprattutto conferendogli la titolarità del rapporto fiduciario. Chiunque sarebbe favorito da questa grande semplificazione, ma in particolare chi si troverà a governare, questo è il punto. Ora avremmo il vantaggio di poterlo fare sotto il velo di ignoranza.

Continueremo a riproporre questa idea chiave in Commissione, il luogo primario in cui si forma il consenso, ma sbaglieremmo anche noi qualora volessimo andare in Aula senza che esso si fosse formato. Per questo, non per pregiudizio ideologico o per tabù, non ci convince l'approdo in Aula di questo testo, già bocciato in Commissione: non per pregiudizio ideologico o per tabù, perché, contrariamente a quello che diceva l'oratore precedente, per esempio, la legge sulle elezioni dei sindaci porta il nome di Ciaffi, allora esponente della Democrazia Cristiana e oggi esponente del Partito Democratico.

La legge sull'elezione diretta dei presidenti delle regioni partiva da una proposta che aveva primo firmatario Walter Veltroni. Il modello dei sindaci e dei presidenti di regione eletti direttamente con modello simul stabunt, simul cadent fu inventato nell'anno 1956 per la Francia dal professor Maurice Duverger vicino al Partito Socialista, animatore del Club Jean Moulin, uno dei principali animatori della Resistenza che, poi, fu eletto a rappresentare l'Italia come indipendente nel Partito Comunista, nel 1989, al Parlamento europeo. Però, quando si portano in Aula testi di questo tipo, di ampia revisione organica della Seconda parte, quindi non di sola manutenzione costituzionale, queste cose bisogna farle bene e in modo ordinato.

Il testo è molto superficiale nel fare una mescolanza tra l'idea di un semipresidenzialismo, dove il punto centrale è che il Governo viene dal Presidente Repubblica, e la sfiducia costruttiva che è il suo contrario, cioè di un Parlamento che esprime una maggioranza, anche contro la volontà del Presidente della Repubblica. Non si possono mettere insieme in modo casuale questi due elementi ordinatori che sono opposti. Ma pensare a una elezione diretta significa pensare a un organo governante e, quindi, la differenza tra 7 anni e 5 anni - 7 anni è un organo di garanzia, 5 anni è un organo governante -, significa pensare al limite dei mandati, significa che se il Presidente è il governante non ha più poteri di garanzia, perché ha quelli di governo. Insomma, impone un cambiamento radicale dell'intera Seconda parte. Questa cosa l'ha spiegata bene il Presidente della Corte costituzionale, professor Giuliano Amato, nella sua conferenza stampa di inizio mandato, su precisa domanda del giornalista Andrea Fabozzi che frequenta sempre questa Camera ed è uno dei maggiori giornalisti parlamentari. Riprendo esattamente le parole di Giuliano Amato: “I sistemi costituzionali sono come gli orologi: non è detto che se c'è una rotella che ti piace in un orologio, tu la puoi prendere e metterne un'altra e aspettare che l'orologio funzioni. No, perché le rotelle sono tutte collegate tra loro e l'orologio funziona se gli ingranaggi si incastrano l'uno nell'altro. L'elezione diretta” - dice Amato - “presenta di certo diversi benefici, ma non è che la puoi prendere come tale e collocarla all'interno del sistema costituzionale com'è”. Anche l'argomento dell'oratore precedente sembra dire “siccome noi eleggiamo male il Presidente qui, cambiamo quell'articolo, togliamo l'elezione parlamentare e ci mettiamo l'elezione diretta”. Ma non è questa la logica del cambiamento di sistema: “costruire” un Presidente governante è un'altra cosa, non significa cambiare chirurgicamente la modalità di elezione. Per questo il tentativo più compiuto di procedere in quella direzione fu sperimentato all'inizio della legislatura 1996-2001, con la Bicamerale D'Alema, non alla fine; allora si immaginava un lavoro che durasse almeno un biennio. Per questa ragione di fondo, noi oggi ribadiamo la contrarietà a questa proposta di legge e invitiamo tutti a tornare in Commissione per individuare quanto prima, invece, insieme, i testi che sono in grado di ottenere in Aula consensi di due terzi o, comunque, che possano reggere un referendum. Ognuno proporrà con forza quelli che ritiene migliori, ma dovrà anche accettare, almeno in questa fase, di riporli per tempi migliori qualora le altre forze non vogliano o non possano convincersi. Questa materia richiede, quindi, questi requisiti più rigorosi di consenso, che sono gli unici fecondi. Ripartiamo dalla Commissione e scegliamo insieme che cosa si possa approvare insieme in questa legislatura, ma accantoniamo i temi divisivi, anche se, magari, a noi sono quelli che piacciono di più. Così dobbiamo procedere per arrivare a risultati positivi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Orsini. Ne ha facoltà.

ANDREA ORSINI (FI). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, il sistema presidenziale è una parte essenziale, una parte caratterizzante della proposta politica del centrodestra, di tutto il centrodestra, dalla sua fondazione ad oggi. Era il 2 agosto 1995, colleghi, e sono passati quasi 27 anni da allora, quando Silvio Berlusconi prese la parola in questa stessa Aula per illustrare, a nome dell'intero centrodestra, la nostra proposta di riforma costituzionale, un progetto di architettura costituzionale profondamente innovativo, dopo un decennio di chiacchiere inconcludenti o di studi importanti, ma inutilizzati come quello della Commissione presieduta da Aldo Bozzi, alla cui autorevole memoria voglio in quest'occasione rendere omaggio, avendo avuto il privilegio di frequentarlo ed imparare da lui molte cose. L'architrave della riforma costituzionale proposta dal presidente Berlusconi era allora il presidenzialismo, da coniugare con il federalismo, con la valorizzazione del Parlamento, con la razionalizzazione delle procedure di governo. Del resto, Forza Italia era nata da poco con un obiettivo importante: al di là della contingente sfida alla gioiosa macchina da guerra post-comunista, la nostra ambizione, l'ambizione del presidente Berlusconi, era quella di cambiare radicalmente la politica, di riportarla nelle mani del cittadino-elettore, di riavvicinare la politica a ceti e segmenti sociali che se ne erano progressivamente allontanati. La vita pubblica era, ed in parte è anche oggi, un esercizio autoreferenziale, che l'opinione pubblica non comprende e non apprezza.

Quanto più si aggrava questa profonda estraneità, questo iato fra cittadini e istituzioni, tanto più si vanifica in concreto la più alta prescrizione della nostra Carta costituzionale, nella quale, fin dall'articolo 1, si afferma che la sovranità appartiene al popolo e si definiscono le regole e gli strumenti per l'esercizio di tale sovranità. È del tutto evidente, onorevoli colleghi, che questo esercizio di sovranità diventa effettivo quando la scelta di chi deve guidare le istituzioni è rimessa al popolo. Se, al contrario, essa è ostaggio della mediazione partitica, che spesso contraddice l'indicazione di volontà espressa dal corpo elettorale, come troppo spesso è accaduto anche per quanto riguarda la formazione di Governi, il cittadino-elettore si sente frustrato sugli effetti del voto espresso e ne trae ragione per smettere di recarsi a votare o per esprimere un voto a dispetto, un voto di pura protesta.

Tutto questo è in evidente contraddizione con il consolidamento del bipolarismo favorito dai sistemi elettorali adottati in Italia. Un sistema bipolare, che noi condividiamo, tende a lasciare agli elettori la scelta da chi essere governati, eppure tante volte, anche in questa legislatura, il voto del Parlamento è stato in contraddizione con i risultati elettorali. E, se almeno nell'ultima parte di questa legislatura vi è stata una circostanza del tutto straordinaria come il COVID, che, come una guerra, impone soluzioni di unità nazionale impensabili nei momenti normali, rimane il fatto che, in precedenza, la storia della Seconda Repubblica è, per buona parte, la storia di risultati elettorali favorevoli al centrodestra e, poi, rovesciati dal Parlamento. Avvenne per la prima volta già nel 1994, l'ultima nel 2011, quando cadde l'ultimo Governo Berlusconi, a tutt'oggi l'ultimo Governo davvero indicato dagli italiani con il voto.

Naturalmente, colleghi, so benissimo che tutto questo è avvenuto in un quadro di regolarità formale ineccepibile. Quante volte, di fronte alle proteste degli italiani defraudati degli effetti del loro voto, abbiamo sentito rispondere, con una certa supponenza, che l'Italia è una Repubblica parlamentare e che nella Costituzione non è scritto da nessuna parte che chi ha preso più voti debba, per questo, governare. È vero, colleghi, non è scritto da nessuna parte, se non nel principio fondante stesso della democrazia rappresentativa e, comunque, proprio perché non è scritto da nessuna parte, è venuto il tempo di scriverlo. Per questo, Forza Italia sostiene convintamente questa proposta costituzionale, che va su una strada che avevamo da lungo tempo intrapreso. La sosteniamo anche al di là del fatto che contenga alcuni aspetti, alcuni tecnicismi che non ci convincono del tutto e sui quali si sarebbe potuto lavorare in sede emendativa. La sosteniamo anche se non ci entusiasma il pericolo che la Costituzione diventi una sorta di veste di Arlecchino, fatta di tanti rattoppi che rischiano di far perdere di vista l'organicità del quadro d'insieme. Mi sia consentita qui una considerazione personale, che non impegna Forza Italia, ma, appunto, solo me stesso. La sconsiderata riduzione del numero dei parlamentari, una delle pagine peggiori di questa legislatura (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), risente proprio di questo difetto: una riforma spot, uno spot elettorale, inutile per i proponenti, che perde di vista il quadro d'insieme dei delicati equilibri istituzionali. Del resto, avevamo realizzato tutti insieme, noi del centrodestra, una riforma organica nel 2005 che veniva incontro a molte questioni, una riforma che la sinistra volle bocciare in un referendum tutto e solo ideologico, di bandiera, di schieramento, che non entrava nel merito.

Avremmo risparmiato oltre 15 anni, colleghi, sul cammino delle riforme, se quella volta, colleghi del Partito Democratico, aveste fatto prevalere l'interesse generale sullo spirito di parte, come state facendo adesso sostenendo con noi il Governo Draghi.

Nulla di più lontano dalle mie intenzioni è paragonare questa riforma, che affronta in modo organico il ruolo del Presidente e la funzione del Governo, con la demagogica e dilettantesca riduzione del numero dei parlamentari. Quella riforma riduceva la sovranità popolare, come tante volte ha ben spiegato il collega Baldelli; questa riforma la aumenta di molto, sul piano quantitativo e sul piano qualitativo.

Quindi, è naturale per noi sostenere le stesse cose che abbiamo sostenuto con la stessa convinzione da 27 anni a questa parte. Su questo non ci possono essere dubbi da parte di nessuno, né dei nostri avversari e neanche dei nostri amici; nessun piccolo malinteso parlamentare può cancellare 27 anni di storia, di cultura, di elaborazione. Il presidenzialismo è un patrimonio comune del centrodestra, è patrimonio comune del centrodestra volere un Presidente scelto dal popolo, che non sia un semplice garante, ma sia il punto di riferimento dell'Esecutivo, che abbia non solo l'autorevolezza, ma anche i poteri decisionali per rappresentare l'Italia nel mondo.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi non abbiamo certo dimenticato, da liberali, la lezione di Kelsen sulla centralità del parlamentarismo in un ordinamento di democrazia liberale. Per questo ci siamo sempre battuti per rinnovare e riqualificare la politica, mai per delegittimare - come invece altri hanno fatto - l'istituzione parlamentare. Gli irriverenti riferimenti alla scatola di sardine non appartengono certo né alla nostra cultura né al nostro linguaggio. Semmai, appartengono al linguaggio della gentile collega, che poco fa ha cercato di darci una lezione di costituzionalismo, confondendo la democrazia presidenzialista con i regimi sudamericani, argomenti che non si ascoltavano più, fortunatamente, dagli anni Settanta.

Presidenzialismo, colleghi - a voi credo sia ben noto - non è affatto la negazione del parlamentarismo. Al contrario, i due organi, entrambi distintamente legittimati dagli elettori, proprio in forza di questa diversa legittimazione, hanno quella reciproca indipendenza, teorizzata da Montesquieu, che dovrebbe estendersi anche al potere giudiziario, ma qui si aprirebbe una diversa e più lunga questione.

Ma poi, colleghi, qualcuno può sostenere seriamente che il Congresso degli Stati Uniti o l'Assemblea nazionale francese abbiano un ruolo marginale, secondario, inferiore a quello di questo nostro Parlamento? Noi sappiamo, colleghi, che i costituenti, nel rifiutare la Repubblica presidenziale, erano mossi da nobili ragioni. Scriveva Meuccio Ruini nella relazione della Commissione dei 75 che il primato dell'Esecutivo ebbe nel fascismo l'espressione più spinta e aggiungeva che vi era in Europa una resistenza irriducibile a livello presidenziale per il temuto spettro del cesarismo. Ma lo scriveva nel 1947. Con grande onestà intellettuale Ruini riconosceva che non si può dire che appartenga a questo tipo il sistema presidenziale, che fa buona prova negli Stati Uniti d'America, con un capo dello Stato che è anche capo del Governo ed ha ampi poteri, ma - aggiungeva il Presidente della Commissione dei 75 - non sembra poter essere trasferito da noi, che non abbiamo la forma federale, né altri elementi - di equilibrio con il Congresso, di avvicendamento di due grandi partiti - che accompagnano quel sistema nella Repubblica della bandiera stellata.

Dal 1947 ad oggi, però, colleghi, sono cambiate molte cose. La democrazia è consolidata e il pericolo autoritario, che tanto preoccupava i costituenti, oggi è fortunatamente molto lontano, anche grazie alla partecipazione dell'Italia all'Europa e all'Alleanza atlantica. La parola presidenzialismo, in Europa, non è più un tabù, da quando - sono passati sessant'anni - de Gaulle la introdusse in Francia per superare lo stallo dovuto, non tanto all'Algeria, quanto alla crisi del sistema politico della Quarta Repubblica, alla quale le difficoltà della guerra coloniale in Nordafrica fecero solo da detonatore.

Da quella crisi si uscì proprio con un rafforzamento parallelo dell'Esecutivo e del Parlamento, entrambi diretta espressione della sovranità popolare. La Francia giunse a questo nel 1958; l'Italia, che pure ha conosciuto la sua Algeria all'epoca di Mani pulite, con il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, non ha avuto la forza, fino ad oggi, di adottare un sistema istituzionale pari, per efficienza e per rappresentatività, né a quello americano né a quello francese.

Vale la pena di considerare che molti critici del presidenzialismo vedevano la difficoltà ad introdurre un tale sistema politico proprio nell'assenza in Italia di un sistema bipartitico come quello degli Stati Uniti. Occorre però osservare che da allora sono successe due cose: il sistema politico italiano è evoluto, ormai da trent'anni a questa parte, se non in chiave bipartitica, certamente bipolare, mentre proprio il caso della Francia ha dimostrato che non vi è nessun nesso obbligato tra bipolarismo e presidenzialismo.

Oggi lo scenario politico francese è tutt'altro che bipolare, eppure proprio il sistema presidenziale consente di fare una sintesi di Governo rappresentativa ed efficiente di una società molto frammentata, un assetto istituzionale che permette anche oggi alla Francia di Macron di essere uno dei protagonisti negli scenari europei e internazionali.

Questi argomenti, che furono portati con diversi accenti da grandi e rispettabilissime figure, da Einaudi a Mortati, si possono quindi certamente oggi considerare superati. Al contrario, rimane di singolare attualità quanto intuito da Calamandrei. La sua voce quasi solitaria si levò a chiedere un sistema orientato all'efficienza dell'azione di Governo, più che a un sistema che pensi a difendere se stesso da derive autoritarie, anche perché proprio l'inefficienza della democrazia è spesso il terreno di coltura ideale per i mostri totalitari, di destra o di sinistra. Il giurista fiorentino lo spiega molto bene nella sua dichiarazione di voto alla Commissione dei 75. A chi dice che la Repubblica presidenziale rappresenta il pericolo delle dittature, Calamandrei ricorda - cito - che l'Italia si è vista sorgere una dittatura, non da un regime a tipo presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare, antiparlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità dei partiti e della impossibilità di avere un Governo appoggiato ad una maggioranza solida che gli permettesse di governare. Invito i critici del presidenzialismo che affrontano questi argomenti a rileggersi Calamandrei. Il sistema presidenziale richiede l'elezione diretta del capo dello Stato, guida dell'Esecutivo, intorno al quale si forma una maggioranza politica legittimata dalle urne. Questo garantisce, secondo Calamandrei, la stabilità e l'efficienza del processo decisionale in democrazia. Noi aggiungiamo che garantisce la stabilità rispetto alla volontà espressa dagli elettori.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi avvio a concludere questa riflessione. Il relatore ha riferito in Aula in senso contrario, sulla base del mandato della Commissione. È una scelta politica delle forze della sinistra, che io temo ragionino ancora una volta per pregiudizi o con lo sguardo rivolto al passato. Tutto quello che rafforza il bipolarismo, la sovranità popolare, la stabilità degli Esecutivi senza indebolire la rappresentanza democratica, dovrebbe essere un patrimonio comune, che va al di là della dialettica fra gli schieramenti, una dialettica oggi sospesa da una comune assunzione di responsabilità a sostegno del Governo Draghi e che potrebbe essere proprio l'occasione, in un momento così straordinario, per dare vita a una fase costituente finalmente svincolata dagli interessi contingenti di schieramento.

Come abbiamo accennato, questa proposta non risolve tutti i problemi. Si avvicina più a un modello francese, che a quello americano, che è quello che noi astrattamente privilegiamo. Dovrà essere anche integrata da altre riforme, come quella dell'assetto federale dello Stato, per esempio, che è il naturale contraltare del presidenzialismo, e quella della giustizia, che ha una rilevanza costituzionale gravissima. Però, questa riforma è un passo sulla strada giusta, un passo importante. Se andasse in porto, sarebbe un passo per quella trasformazione della politica, per la quale il Presidente Berlusconi si batte, e noi con lui, da 27 anni. Soprattutto, sarebbe un grande successo, non per noi, ma per proiettare l'Italia nel XXI secolo.

Per questo non riesco a comprendere l'atteggiamento dei colleghi della sinistra e il rifiuto pregiudiziale ad affrontare l'argomento con la motivazione debole, debolissima, dei tempi ristretti che ci separano dalla fine della legislatura. I tempi sono ristretti, senza dubbio, ma non tali da impedirci di procedere, qualora vi fosse la volontà politica di farlo. Se anche avessero ragione sui tempi, in ogni caso, questo potrebbe essere un importante lavoro preparatorio, da riprendere e completare nella prossima legislatura.

In ogni caso la riprenderemo, con numeri probabilmente diversi e mi auguro con una maggiore disponibilità alla collaborazione da parte di tutti.

Questa è la ragione per la quale, se anche questa battaglia politica ora non andrà in porto, sarà valsa comunque la pena di averla combattuta, non è una scelta di testimonianza, non è certo il gusto spagnolesco per il quale “la derrota es el blasòn del alma bien nacida”: la sconfitta è il blasone dell'anima nobile. Noi non siamo l'eroe di Cervantes, non ci interessano e non ci piacciono le battaglie donchisciottesche contro i mulini a vento. È esattamente il contrario, quella che vogliamo indicare è la strada responsabile per costruire un sistema più efficiente e più democratico per l'Italia nel XXI secolo; questa legge è un passo in quella direzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Grazie, Presidente Mandelli. Il collega Orsini ha spiegato in maniera autorevole e completa le ragioni per cui Forza Italia sostiene questa proposta che ha illustrato il collega Prisco e su cui è tornato anche il collega Rampelli. Io, per parte mia, mi limiterò ad alcune sottolineature sul contesto di insieme, partendo da un presupposto: il pasticcio gigantesco - non preciso che lo dico a titolo personale, perché l'ho detto in quest'Aula da tanto tempo e quella che era una mia posizione personale è diventata, ahimè, la posizione di molti, ma a danno compiuto - del taglio del numero dei parlamentari è stato un'implosione del sistema istituzionale, un'implosione che lascia trasparire da fuori soltanto alcune grandi crepe, ma chi guarda il sistema da dentro vede benissimo che il tetto è crollato e che anche alcuni piani dell'edificio sono crollati, nell'attesa che si compia questo ulteriore pasticcio durante la prossima legislatura e che il Parlamento venga privato di una quota parte importante della sua funzionalità, da un lato, e della sua rappresentatività, dall'altro, in maniera tale da dover poi correre, così come stiamo facendo anche qui a Montecitorio, a una riforma del Regolamento che non è né riparo né soluzione ai problemi di funzionalità e di rappresentanza che il taglio del numero dei parlamentari ha innescato; è semplicemente un adeguamento di natura tecnica, doveroso per alcuni versi, quasi obbligatorio, anche se di obbligatorio non c'è nulla in effetti, ma un adeguamento che parte dai quorum assoluti e che ridisegna tanti altri aspetti. Non è frutto, evidentemente, di una voglia o di una consapevolezza di riforme, è frutto di una necessità che la stessa riduzione del numero dei parlamentari ha drammaticamente imposto non nella direzione di riforme che migliorino il sistema, ma nella direzione di riforme che tamponino un danno, in qualche misura. In questo quadro d'insieme, a poco meno di un anno dal termine naturale della legislatura, apprezzo il contenuto della proposta presentata dal collega Prisco che in parte condivido, perché in un Paese maturo - in cui nelle nostre città eleggiamo i sindaci, nelle nostre regioni eleggiamo i presidenti di regione - non si capisce perché i livelli più alti non possano essere scelti, a partire, secondo la mia personale convinzione per esempio, dal Presidente del Consiglio. È questa una delle cose che sostengo da tempo e ho sostenuto da tempo anche in quest'Aula, così come ho sostenuto da tempo in quest'Aula che la proposta di presidenzialismo andava tirata fuori dal centrodestra, ma nel momento in cui il Governo gialloverde, prima, e il Governo giallorosso, poi, avevano deciso di continuare a sostenere uno scriteriato ed insensato taglio del numero dei parlamentari che oggi ci consegna, a livello istituzionale, alla situazione drammatica di vigilia in cui ci troviamo con un'implosione del sistema anche politico interno ai gruppi e ai partiti, il trasformismo... Guardiamo le cause, non guardiamo solo gli effetti, non immaginiamo di tracciare, di disegnare gli effetti come se fossero cause, perché altrimenti perdiamo il rapporto di connessione: la crisi dei partiti, la crisi istituzionale, un Parlamento che si prepara a produrre una generazione di esodati della politica e delle istituzioni che mai prima d'ora, forse neanche durante il periodo del cambio del ceto politico di Tangentopoli, c'era stata. Tutto questo dovrebbe indurci a riflessioni diverse, probabilmente anche molto diverse da quella di proporre il Parlamento in seduta comune che vota la fiducia. Se a un anno e mezzo dalla data del referendum in cui non si ha avuto il coraggio di dire “no” non si sono visti i correttivi promessi, allora, forse, bisogna riflettere sul fatto che qualcosa è stato sbagliato. Io proposi al centrodestra il presidenzialismo come risposta a quelli che pensavano che la riduzione del numero dei parlamentari potesse essere, non dico una riforma che già sarebbe stato eccessivo, ma addirittura “la” Riforma, con la “R” maiuscola. È stata forse una riforma? Non lo so, è stato sicuramente un pasticcio che di maiuscolo aveva ben altre cose: primo, il fatto di essere scriteriato; secondo, il fatto di non aver prodotto nulla di quello che si diceva se non i danni che dicevano quelli del “no”; infatti, non li dicevano quelli del “sì”. Allora, se si fosse contrapposta quella riforma e il centrodestra come un sol uomo avesse detto: “fermiamoci” - ricordo che avevamo anche proposto la sessione sulle riforme parlamentari - se il centrodestra avesse detto: “fermiamoci su questa strada e mettiamo in campo una discussione vera sul presidenzialismo”, oppure: “la facciamo noi la riduzione del numero dei parlamentari quando si fa il presidenzialismo”. Io me la sono andata a guardare, lo dico anche al collega Prisco e al collega D'Ettore che certamente quella riforma la conosce e la ricorda, la riforma del centrodestra bocciata per ragioni tutte politiche nel 2006; ma se si fosse presentata oggi, ci si butterebbero sopra quelli che hanno proposto il taglio dei parlamentari, perché una riforma così ben fatta non si vedeva da decenni. Quella riforma aveva dei criteri; non c'era il presidenzialismo - non l'ha fatto il centrodestra quando era al Governo, non lo ha fatto perché aveva la necessità di mediare, per cui il punto di caduta non era il presidenzialismo o il semipresidenzialismo alla francese - ma era una riforma di grande buonsenso dove, peraltro, c'era perfino, con un minimo di criterio, una riduzione del numero dei parlamentari; ma non c'era solo quello, c'era l'abbassamento dell'elettorato attivo e passivo, c'era il Senato federale, c'era l'indicazione del Presidente del Consiglio, c'era addirittura una roba che oggi, soprattutto chi non sa di che cosa parla, la considera una specie di panacea che invece, in realtà, non è una panacea a niente: la sfiducia costruttiva! C'era il potere di revoca dei Ministri, c'erano un sacco di cose. Ad avercela oggi una riforma del genere! È stata bocciata per ragioni puramente politiche dal centrosinistra sopraggiunto al Governo dopo il Governo Berlusconi. Ma quella era una riforma, era una riforma vera. Allora, mi taccio perché abbiamo già perso troppo tempo, ma la riforma del presidenzialismo io l'avrei proposta in quel momento e anche sul piano politico avrebbe potuto rappresentare una vittoria da parte del centrodestra, perché se il centrodestra avesse avuto la forza di dire “no” all'ondata demagogica che in quel tempo montava, prima della pandemia, ma anche dopo, perché noi abbiamo fatto un referendum in piena pandemia, l'unica consultazione vera, nazionale che c'è stata è stato quel cavolo di referendum in cui abbiamo scelto, in piena pandemia, di tagliare la democrazia, un colpo di genio è stata quella roba lì! Ecco io, non solo io, ma almeno, in rappresentanza di quegli otto milioni di cittadini italiani che hanno detto “no”, oggi ho il dovere ricordare che forse, in quel momento, un “no” avrebbe anche mandato a casa quel Governo, anche, non solo, ma anche. Credo, però, che sarebbe stata una risposta seria, dicendo: noi abbiamo una visione di insieme che è quella del presidenzialismo. Io credo che bisogna sempre sostenere, come diceva prima il collega Ceccanti, tesi il più possibile condivisibili e ovviamente noi questa cosa la sosteniamo, come ha spiegato in tutte le lingue e molto correttamente, anche con riferimenti culturali e storici sui padri costituenti, il collega Orsini: noi il presidenzialismo lo sosteniamo.

Ma in questo momento credo che ancor di più sarebbe da condividere - oltre che dividerci sul sostegno o meno rispetto alla proposta del presidenzialismo che, ripeto, sosteniamo - l'idea di creare un luogo politico e costituzionale al riparo dalle dinamiche maggioranza-opposizione, fiducia-ostruzionismo, legge di bilancio-maggioranze qualificate, scostamenti, pandemia, decreti-legge, e tutto ciò che questo comporta; un'Assemblea di revisione costituzionale, una Convenzione per la riforma costituzionale nella quale svolgere una riflessione tutti insieme.

Guardate, quella riforma del centrodestra fu bocciata per ragioni politiche, così com'è stata bocciata per ragioni politiche la riforma di Renzi. Allora, o noi prendiamo atto che in questo Parlamento passano pezzetti di riforma virgola per virgola, articolo per articolo (ad esempio, l'elettorato attivo per il Senato, ma non quello passivo), o decidiamo di smetterla con questo tipo di cose, perché diventa indecente cambiare la Costituzione virgola per virgola, riga per riga, comma per comma ogni volta e mettere dieci riforme costituzionali nell'arco di un anno nel calendario parlamentare. È ridicolo! Mettiamoci in testa che serve un luogo dove poterle fare seriamente queste riforme. È vero che serve una riforma della seconda parte della Costituzione, è vero che bisogna ragionare del superamento del bicameralismo perfetto, è vero, è vero, è vero! Sono vere tante cose ma, come diceva con saggezza il presidente Brescia, qualcosa che diventi un meccanismo per superare lo sventolare di bandiere e provare una discussione seria è proprio creare un organo al riparo dalla contingenza dello scontro politico tra maggioranza e opposizione o tra Governo e Parlamento. Allora, un'assemblea eletta, contemporaneamente al prossimo Parlamento, proprio per fare questo può diventare l'occasione. Questa è un'occasione! Lo dico, in particolare, al presidente Brescia che con intelligenza coordina i lavori della I Commissione, ma che è anche intelligenza costruttiva nella creazione di un dibattito e di un dialogo tra le forze politiche su questi temi: approfittate della proposta fatta dall'opposizione di questo Parlamento, cioè da Fratelli d'Italia, ma anche dal centrodestra - Forza Italia ne ha depositata una, credo la prima, ma anche il presidente La Russa, al Senato, ne ha depositata un'altra che va in questa direzione – e non lasciate cadere questa ipotesi.

L'ipotesi della creazione di un luogo politico dove far partire questo dibattito supera, innanzitutto, lo scontro politico quotidiano tra maggioranza e opposizione e tra Governo e Parlamento sulle fiducie, sulle leggi di bilancio, eccetera, e, in secondo luogo, crea un'occasione per farlo partire davvero questo dibattito. Della nobiltà, della necessità e della improcrastinabilità di questo dibattito ascoltiamo da anni i leader riempirsi la bocca, ma quando c'è l'occasione, forse adesso, è il momento di ragionarci.

Questa proposta di legge arriva con un parere negativo del relatore: poteva essere l'occasione per porre in discussione proprio quella proposta alla Camera, al Senato, ovunque. Io credo che in un dibattito che non riguarda solo la maggioranza ma anche l'opposizione, su questo tema si abbia il dovere di domandarsi se, prima della fine della legislatura, non valga la pena darci un'occasione di appello, visti i pasticci di questa legislatura. Nessuno ha il coraggio - io non ne ho sentito uno – di alzarsi per dire: scusate, sul taglio dei parlamentari abbiamo sbagliato. Non ho sentito nessuno farlo qui, tra i banchi, ma ne ho sentiti tanti in Transatlantico ammettere che quella cosa è stata un errore. Diamoci un'occasione per farlo partire, questo dibattito, tutti insieme. Forse, può essere veramente l'ultima spiaggia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Di Maio. Ne ha facoltà.

MARCO DI MAIO (IV). Grazie, Presidente. Ancora una volta, come è avvenuto spesso negli ultimi anni, ci troviamo a discutere dell'ipotesi di riformare la seconda parte della Costituzione. È stato fatto in questo Parlamento in molteplici occasioni, non solo in ambito di esame di provvedimenti che arrivavano in Aula ma anche in molte occasioni informali. In alcuni casi, in particolare nel 2005 e 2006 e nel 2016, siamo addirittura giunti ad approvare riforme complessive del dettato costituzionale che, come sappiamo, non sono entrate in vigore per l'esito contrario del voto nei due referendum che si sono svolti che, in entrambi i casi, hanno avuto una valenza più politica che di merito delle cose che erano scritte in quelle riforme.

Sappiamo bene come le madri e i padri costituenti abbiano scritto la Costituzione con una particolare attenzione a che non si formassero nuovamente le condizioni per vivere in Italia una deriva autoritaria; una vera deriva autoritaria, non come quella sbandierata da alcuni comitati del “no” in occasione dell'ultima riforma costituzionale bocciata col referendum - mi riferisco a quello del 2016 -, una deriva come quella degli anni precedenti alla Costituente, durante la vigenza dello Statuto Albertino, che aveva portato l'Italia al fascismo, alla guerra, alla distruzione della società liberale e democratica. Peraltro, ci sembra di rivivere queste cose, a distanza, in queste settimane, leggendo, guardando e ascoltando ciò che avviene in Ucraina per motivi ben diversi da quelli che hanno portato il fascismo in Italia. Così ha preso vita una forma di Governo parlamentare solo sulla carta formalmente razionalizzata da alcuni organi e istituti ma, di fatto, ampiamente funzionante in senso assembleare, con tratti della storia repubblicana caratterizzati da instabilità di Governo e di indirizzo politico. Infatti, se nella prima fase della storia repubblicana la stabilità delle nostre istituzioni era garantita non tanto, come ben sappiamo, dalla durata dei Governi quanto dalla solidità, dalla continuità della composizione politica e dalla solidità e dalla qualità della classe dirigente e politica, negli ultimi anni è venuto meno anche questo elemento, senza che ciò sia stato sostituito da una logica di alternanza tra maggioranza e opposizione. Anche la durata temporale dei Governi è di poco mediamente cresciuta e ha superato la durata media di un anno, mentre prima era addirittura al di sotto dell'anno. Il tutto, ovviamente, va ricordato, con la perseveranza di un modello bicamerale cosiddetto perfetto che le recenti parziali e incomplete riforme costituzionali hanno reso ancora più perfetto, riducendo le differenze minime tra i due rami del Parlamento. Ormai, siamo sempre più a un bicameralismo unico al mondo, con due Camere che hanno esattamente gli stessi poteri e, ormai, di fatto avranno anche la medesima composizione e il medesimo elettorato.

Ovviamente, il timore che nel 1946-1947 portò i nostri costituenti a scrivere una Carta come quella che abbiamo e a pensare a un modello istituzionale come quello che abbiamo erano del tutto fondati e comprensibili, una paura che però oggi dobbiamo leggere, pur con il rispetto per la fase di allora, con occhi differenti. Il contesto nel quale ci muoviamo è totalmente diverso, la regolazione costituzionale, e non solo, della nostra forma di Governo è profondamente mutata nel corso del tempo ed è profondamente mutata la collocazione internazionale del nostro Paese, nel senso che siamo all'interno di organismi multilaterali che vincolano fortemente al rispetto di determinati valori e caratteristiche. Penso, soprattutto, all'adesione all'Unione europea, altra questione che ci fa molto riflettere in relazione ai fatti di questi giorni a proposito dell'Ucraina e della sua volontà di legarsi all'Unione europea, che non è solo un progetto politico ed economico, ma è anche un progetto basato su solidi valori, valori democratici e liberali; ed è anche per questo che è stata barbaramente aggredita.

In questi anni, poi, tutte le proposte di aggiornamento del testo di riforma costituzionale - quasi tutte, a dire il vero - hanno avuto il comune tratto di rafforzare il ruolo del potere Esecutivo attraverso strumenti differenti tra loro, come le elezioni a suffragio universale del Presidente del Consiglio, che in quel caso sarebbe un vero proprio sindaco d'Italia, oppure l'elezione diretta del Presidente della Repubblica o, ancora, forme di Governo presidenziali e semipresidenziali. La gran parte, se non tutti, la stragrande maggioranza degli interventi, delle proposte di modifica costituzionale ha l'obiettivo di rafforzare il ruolo del Governo in un contesto comunque di Repubblica parlamentare.

Questo è avvenuto anche attraverso svariate proposte di riforma elettorale, andando un po' fuori dal seminato, perché non si può immaginare di modificare la forma di governo agendo sulla riforma elettorale, ma questo è quello che è avvenuto.

Dunque, è evidente che c'è un ampio, diffuso e trasversale consenso politico sulla necessità di dare più strumenti al Governo, di mettere nelle condizioni il Governo e il Parlamento di avere un'interlocuzione meglio decodificata, più efficiente e in grado di dare risposte più celeri e più efficaci. D'altronde, questa direzione ormai il nostro ordinamento l'ha assunta da tempo e l'hanno detto anche altri colleghi. Negli ultimi anni del secolo scorso abbiamo riformato la forma di governo degli enti locali e delle regioni aderendo a modelli con elezione diretta del vertice dell'esecutivo e la stabilità delle maggioranze di governo degli organi assembleari è stata assicurata anche in gran parte da questo modello. Al tempo stesso, però, non abbiamo aggiornato in alcun modo le forme che regolano il piano statale degli organi che definiscono l'indirizzo politico della Repubblica. Eleggiamo direttamente un sindaco, eleggiamo direttamente i presidenti delle regioni ed eleggevamo fino a pochi anni fa direttamente i presidenti della provincia. Non eleggiamo direttamente il Capo del Governo e il Capo dello Stato. Un sistema che, appunto, è rimasto lo stesso di quello pensato, costruito e realizzato dai nostri padri e dalle nostre madri costituenti.

Quello che vogliamo segnalare è che l'esigenza di una maggiore legittimazione diretta del Governo e una pretesa di maggiore stabilità temporale, non trovando traduzione sul piano della revisione costituzionale, lo ha trovato in parte con una torsione di organi e istituti. Ricordo solamente un tema a noi caro e caro, penso, a tutte le forze politiche che hanno a cuore la centralità del Parlamento: l'ampio uso dei decreti-legge, della questione di fiducia e della selezione di una delle due Camere come quella che effettivamente esamina il provvedimento, lasciando all'altro ramo del Parlamento di fatto solo la ratifica delle modifiche apportate a quel provvedimento. Sono abbastanza evidenti ed eloquenti le difficoltà che incontrano, da un lato, i Governi nel contare su numeri e tempi certi e, dall'altro, la difficoltà del Parlamento, in questa modalità, a garantire la sua funzionalità, a garantire a ogni membro del Parlamento la possibilità di incidere, di provare a incidere su un determinato provvedimento, e questa difficoltà del Parlamento, in particolare, verrà accentuata nella prossima legislatura, quando sarà in vigore la riduzione del numero dei parlamentari.

Se tutto questo corrisponde al vero, così come a nostro avviso corrisponde al vero, se siamo, cioè, in presenza da anni di un'esigenza di innovazione che rafforzi l'Italia anche nel contesto europeo e internazionale, il punto su cui dobbiamo concentrarci e ragionare è come perseguire questo obiettivo e quale sia la formula migliore da utilizzare. Dobbiamo essere chiari nel ricordare che una qualunque azione normativa che rafforzi il ruolo e i poteri dell'Esecutivo nazionale necessariamente richiede delle correzioni di ampio raggio su altri organi, altri poteri e altre procedure, anche se si tratta di interventi parziali. Abbiamo molte prove anche in questa legislatura di come tutto nella Costituzione si leghi, di come una modifica a una piccola parte, a quella che apparentemente può essere una piccola parte, in realtà, a cascata, ha una serie di conseguenze. Lo abbiamo visto, appunto, con la riduzione del numero dei parlamentari, che molti hanno presentato come un intervento chirurgico.

Questa definizione è spesso utilizzata a proposito dell'approccio che in questa legislatura si sta avendo rispetto alle riforme costituzionali. “Vogliamo fare degli interventi chirurgici”, ci viene spiegato con dotta - presunta tale - dovizia di particolari. In realtà, non c'è nulla di chirurgico nella Costituzione, perché la modifica, ad esempio, del numero dei parlamentari trascina una serie di conseguenze anche molto pesanti alle quali si era promesso di dare una risposta immediatamente dopo l'esito di quel referendum e a cui, però, ad oggi non è stata data alcun tipo di risposta e non è detto che si riesca a dare una risposta entro la fine di questa legislatura o, comunque, non è detto che si dia una risposta sufficiente ai vuoti e alle conseguenze che quella riduzione produce sul funzionamento complessivo del sistema.

Lo abbiamo visto anche su altri aspetti, ad esempio su quello che ha ridotto l'età per l'esercizio dell'elettorato attivo per il Senato della Repubblica. Una riforma, da un certo punto di vista, che se si vuole arrivare a una totale parità di composizione tra le due Camere poteva anche andare bene; allora, non si capisce perché non si sia fatta anche la riduzione dell'età per l'elettorato passivo e, quindi, per la possibilità di essere eletti al Senato.

Rimaniamo l'unico Paese al mondo con una Camera a elezione diretta a suffragio universale dove si può essere eletti solo se si hanno quarant'anni. Non si capisce più il perché ci debba essere questa differenza se si è equiparato anche l'elettorato attivo.

A maggior ragione, quindi, un tema come quello relativo alla scelta del premierato, del semipresidenzialismo o del presidenzialismo, cioè tutte soluzioni sulle quali noi siamo disponibili a discutere e sulle quali abbiamo lavorato in passato senza riuscire a ottenere il risultato sperato, ma che riteniamo assolutamente necessario affrontare nell'ambito di un intervento complessivo di riforma della Costituzione, al fine soprattutto di costruire un sistema di pesi e contrappesi che non può rimanere lo stesso di oggi se introduciamo novità sostanziali e dirimenti come quelle che si introdurrebbero con questa riforma che stiamo discutendo in questo momento qui in Aula. Rafforzare pesi e contrappesi è un esercizio che non si può fare nell'ultimo brandello di una legislatura in piena emergenza, in piena e plurima emergenza, diciamo, perché non è finita ancora quella sanitaria, siamo nel mezzo di una guerra ai confini dell'Europa e siamo sul finale di legislatura, come tutti sanno, in cui è assai difficile trovare i necessari accordi per avere un'ampia maggioranza su temi come questi.

Tuttavia noi di Italia Viva non abbiamo voluto sottrarci al dibattito su questo tema. Abbiamo voluto partecipare alla discussione che Fratelli d'Italia, utilizzando lo spazio previsto per le opposizioni, ha voluto portare. Abbiamo presentato alcuni emendamenti simbolici, che evidentemente non si sono potuti discutere soprattutto per il fatto che la Commissione a maggioranza ha votato la soppressione sostanzialmente di tutti gli articoli e, dunque, questa è la condizione nella quale ci troviamo a discutere.

Tuttavia - ripeto - questo è un tema che va affrontato con la necessaria visione di insieme del nostro dettato costituzionale e delle riforme che vogliamo apportarvi e non semplicemente pensando che con piccole modifiche si possano, in qualche modo, migliorare le forme di funzionamento del nostro sistema, perché la storia e i fatti si stanno incaricando di dimostrare che non è così che si può affrontare una riforma della Costituzione. Serve un approccio organico e noi siamo pronti a ragionare di questi temi, soprattutto parlando, però, anche di pesi e contrappesi, perché se andiamo a rafforzare il ruolo dell'Esecutivo, se andiamo a introdurre una forma di premierato forte, una forma di semipresidenzialismo o di presidenzialismo non possiamo non affrontare il tema dei contrappesi.

Ad esempio, per citare, appunto, un caso di ciò che noi intendiamo per rafforzare i contrappesi: se si instaura un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini e al quale viene conferito un ruolo di vertice nel potere esecutivo, bisogna necessariamente riflettere sul suo ruolo di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, sul potere di rinviare leggi e atti con forza di legge, sul potere di nominare i senatori a vita di propria iniziativa. Ci sono sistemi nei quali questi poteri vengono comunque lasciati al Presidente eletto direttamente dai cittadini, ma vengono, in quel caso, rafforzati altri istituti. Ad esempio, viene rafforzato l'istituto della Corte costituzionale o della Corte suprema, a seconda degli ordinamenti; viene rafforzato l'istituto del Parlamento, che, però, in questi ordinamenti non è un Parlamento disegnato come il nostro, ma è un Parlamento con due Camere, laddove ci sono, fortemente differenziate e in molti casi è un Parlamento con un'unica Camera, eletta direttamente dai cittadini, con una serie di poteri anche di interdizione rispetto allo strapotere del Presidente eletto direttamente.

Quindi, noi abbiamo presentato una serie di emendamenti per discutere di questi temi. Non c'è stata la possibilità di farlo ma lo faremo sicuramente di nuovo in futuro, sia in sede parlamentare che al di fuori di essa.

Ho trovato sinceramente piuttosto singolari le argomentazioni della collega del MoVimento 5 Stelle, che ha definito pericolosa l'idea di chi propone una revisione a carattere presidenziale del nostro sistema.

Ci si rallegra del fatto che chi ha idee di questo tipo sia oggi isolato - ho sentito dire che il senatore Renzi, che è uno di coloro che stanno proponendo una riforma del nostro sistema costituzionale, sarebbe isolato nel nostro sistema politico -, a parte che è un giudizio soggettivo e non entro nel merito, ma credo che ci sia molto più da rallegrarsi che oggi a guidare il nostro Paese non ci sia più un Presidente del Consiglio fortemente legato ad ambienti russi, come abbiamo visto, come sta emergendo in questi giorni (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva), che non ci siano più forze politiche che hanno un ruolo preponderante e determinante e che hanno avuto fortissimi legami con la Russia. Questo lo si deve principalmente alla forza politica guidata da un leader che è stato definito isolato, ma che però ha portato questi cambiamenti. Non abbiamo più una totale dominanza di una forza politica che aveva tesi totalmente ostili all'adesione all'Unione europea, all'euro e alla NATO: anche se oggi si sbracciano per dire il contrario, purtroppo i fatti sono questi.

Non avremo più una totale preponderanza di una forza politica il cui leader fondatore, Beppe Grillo, non ha ancora trovato il modo di dire una parola per condannare quello che sta facendo Putin in Ucraina. Quindi credo che sia molto diverso il contesto nel quale stiamo operando: penso che lo si debba soprattutto alla nostra forma parlamentare; penso che lo si debba, però, alla capacità di chi fa politica di mettere davanti gli interessi del Paese e non quello della propria parte politica. Penso che oggi, soprattutto nella previsione dell'Italia che vogliamo costruire per il futuro, ragionare della riforma della seconda parte della nostra Costituzione, ragionare di come rafforzare il potere di decisione, di renderlo più trasparente e codificato, di evitare che si debbano usare gli espedienti attualmente previsti dalla Carta, come i decreti-legge, a volte su temi che non richiederebbero necessariamente un decreto, di mettere il Governo nelle condizioni di decidere in un rapporto chiaro, diretto e franco con il Parlamento sia qualche cosa di necessario, totalmente diverso da chi ci propone la democrazia diretta o la democrazia dei clic. Penso che rafforzare la nostra democrazia e metterla al sicuro, al riparo da determinati rischi politici e non solo, serva proprio per evitare che ci sia una totale preponderanza di chi ha queste visioni, di chi ha questi rapporti internazionali e di chi ha cercato di introdurre nel nostro sistema queste presunte innovazioni, che invece, sì, ci avrebbero portato molto indietro, ci avrebbero portato ed esposto a rischi assai rilevanti, sia per la nostra autonomia sia per la nostra sovranità, che anche per la qualità della nostra democrazia. Quindi è chiaro che questo provvedimento non sarà il provvedimento con il quale noi andremo a ridisegnare la nostra Costituzione e il nostro ordinamento; è però una discussione alla quale sarebbe stato sbagliato sottrarsi, e quindi noi, come Italia Viva, abbiamo voluto portare il nostro contributo, pur non condividendo la fisionomia della proposta presentata dalla collega Meloni, ma siamo convinti che, soprattutto per il futuro, questo tema vada affrontato. Vada affrontato senza gli incubi di un passato che non dobbiamo dimenticare, ma, proprio perché non lo dimentichiamo, proprio perché lo conosciamo e proprio perché la vicenda a cui stiamo assistendo in Ucraina ci ricorda che il passato può tornare, anche sotto altre forme, abbiamo il dovere di aggiornare, ammodernare, rendere più efficienti le nostre istituzioni e metterle nelle condizioni di difendersi da questi rischi, senza mantenere e avere le paure di un passato che nel nostro Paese speriamo essere archiviato per sempre. Ma, proprio cogliendo lo spirito innovativo con il quale le nostre madri e i nostri padri costituenti scrissero la nostra Carta, dobbiamo avere il coraggio di modificarla, di adeguarla ai tempi che viviamo. Ragionare di come rendere più efficiente il nostro sistema, di come superare alcune sue disfunzioni, alcune sue contraddizioni, alcune problematiche che lo rendono spesso difficilmente percepibile e comprensibile ai cittadini, come avviene, ad esempio, oggi sull'elezione del Presidente della Repubblica, penso sia un dovere che ciascuno di noi, che sediamo e abbiamo l'onore di sedere in questi banchi, dobbiamo porci, ben sapendo che non sarà questo il provvedimento, ma sapendo che questo è il luogo principe in cui discutere di questi argomenti (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ettore. Ne ha facoltà.

FELICE MAURIZIO D'ETTORE (CI). Grazie, Presidente. L'elezione diretta del Presidente della Repubblica: preciso questo perché in qualche intervento mi è sembrato che ci fosse qualche divagazione non del tutto pertinente. Eppure, è semplice, non è così complicato: elezione diretta a suffragio universale diretto. Tutti siamo consapevoli del fatto che, al di là delle dinamiche costituzionali, la macchina del sistema politico italiano è inceppata; non lo diciamo solo noi, viene scritto e detto. Ho sentito prima citazioni dalla collega dei 5 Stelle della dottrina costituzionalista. Ci sono molti che fanno presente, sia storici che esperti del diritto costituzionale o storici del diritto costituzionale e del diritto europeo, in particolare, che l'Italia si connota per una disfunzione del sistema politico. È utile quindi modificare la forma di Governo anche con l'elezione diretta del Capo dello Stato per garantire un migliore funzionamento del sistema? Siamo tutti d'accordo, sì, tutti lo abbiamo detto, anche durante il periodo dell'elezione del Presidente Mattarella, che ho sostenuto e che considero una giusta valutazione del Parlamento, ma che in effetti ha fatto sorgere un dibattito sulla possibilità dell'elezione diretta del Capo dello Stato. Lo ha rinnovato questo dibattito che, ricordo anche a sinistra, è un dibattito che fin dai tempi della Bicamerale D'Alema era venuto fuori; era la proposta fondamentale, quella del semipresidenzialismo. Ma siamo d'accordo anche sul fatto che in questo momento c'è un ampliamento degli interventi del Capo dello Stato? C'è quello che qualcuno definisce presidenzialismo strisciante? C'è chi anche ha parlato di una dinamica costituzionale per cui vi è un reggitore dello Stato, essenziale in certi momenti, nel disordine politico e nella debolezza dei partiti. Altri lo dicono con riguardo alla stessa pretesa legislativa formale che non c'è più la supremazia del potere legislativo, non c'è più la centralità del Parlamento. Questa decadenza della supremazia del potere legislativo determina notevoli problematiche di funzionamento del sistema. Eppure c'è stata una presidenzializzazione degli esecutivi. Altri studiosi - non c'è qui la collega dei 5 Stelle, altrimenti le davo le citazioni - fanno presente che la presidenzializzazione degli esecutivi è direttamente collegata all'ampliamento dei poteri del Capo dello Stato in questa determinata situazione. C'è chi parla in questi casi di Costituzione vivente: non è un termine che uso spesso, ma che può rendere l'idea. Ciò che materialmente si sta realizzando nel sistema, che è già avvertito nel sistema. Più che presidenzialismo strisciante, di fatto, ma sulla base di quelle che sono le prerogative del Capo dello Stato, che non ha mai esorbitato dalle sue prerogative, ma si parla di Governo del Presidente, o no? L'unità nazionale garantita dal Presidente della Repubblica attraverso la scelta del Premier Draghi. La presidenzializzazione degli esecutivi, tutto legittimo sul piano costituzionale, ma si sta sempre di più ponendo nel sistema l'idea anche di una forma di Governo diversa, che nei fatti è realizzata. E cosa c'è di così singolare da definire isolati coloro i quali parlano di presidenzialismo o semipresidenzialismo? Non siamo isolati. Cosa c'è di così strano nel determinare un rapporto diretto fra l'istituzione e la persona, il legame diretto con il corpo elettorale? Dov'è la straordinarietà? Vuol dire essere isolati? Non vedo questo isolamento, vedo che molti ne parlano, ripeto, fin dalla Commissione bicamerale, poi ha citato anche Ceccanti i vari passaggi. Allora stiamo parlando di qualcosa che è già reale nel Paese. E cosa c'è di più democratico di creare un legame diretto tra l'istituzione e la persona che dal corpo elettorale trae vita nella sua attività democratica?

Cosa c'è di più chiaro di un legame di questo tipo? E lo dico scandendo le parole, perché ho sentito affermazioni che sono fuori contesto, fuori luogo, fuori dalla realtà. È già avvertita, nel corpo elettorale, questa immedesimazione tra l'istituzione e la persona, nell'idea del presidenzialismo, questa immedesimazione diretta con il corpo elettorale, questo legame diretto con il corpo elettorale. Altri hanno citato l'ipotesi dell'elezione diretta del sindaco: qual è il caso, da tutti studiato e verificato, del legame diretto con il corpo elettorale, se non l'elezione diretta del sindaco? Vi è stato un vulnus democratico in questo? Dov'è il vulnus democratico attraverso un sistema, come questo proposto, che è di semipresidenzialismo?

Ricordo a coloro che citano il lavoro dell'Assemblea costituente che proprio il modello dualistico era presupposto nella stessa configurazione dei poteri del Presidente della Repubblica, era lì che era già previsto, qualcuno dice sulla base comunque di un modello monarchico, non sto dicendo niente di strano, niente di orribile, era presupposto nei ragionamenti e nelle argomentazioni dell'Assemblea costituente. In che senso? Nel senso che il sistema dualistico si contrappone a quello del premierato, che è monista, non il premierato, ma il sistema dualistico, nel rapporto fra l'elezione diretta del Capo dello Stato e il Parlamento.

La scelta del Costituente del 1948 è stata diversa, ma sempre con questo presupposto. Oggi è il momento di un'evoluzione del sistema, è il momento della realtà che deve tornare nelle Aule parlamentari. E non c'è niente di divisivo, caro collega Ceccanti, nel porre questo tema, che è un tema che unisce, non divide, è un tema che unisce le istituzioni democratiche al popolo, alla sovranità popolare, al corpo elettorale! Questo è l'intendimento. E lo voglio ricordare anche molti colleghi del centrodestra, che ho sentito oggi ritornare sul tema, dicendo: noi dobbiamo essere sempre, però, per ciò che è stato il nostro programma elettorale e l'insegnamento che oggi è stato ricordato, del Presidente Berlusconi, sul presidenzialismo. Ma si fa sempre, sempre, nelle Aule parlamentari, fuori dalle Aule parlamentari, nelle Commissioni, ovunque, non si fa una tantum!

E allora proprio per questo, perché sennò è troppo facile, poi, alzare il ditino e dire chi è coerente e chi no. Noi siamo coerenti, lo facciamo e lo abbiamo fatto in tutte le attività delle Commissioni, fuori e in Aula. E questo tema, ripeto, è un tema dell'unità nazionale. L'elezione diretta del Capo dello Stato è un tema fondamentale di unità nazionale. E per la maggioranza dei cittadini, non siamo isolati, su questo tema il consenso è pieno. Qualsiasi sondaggio dice che c'è questa avvertenza, questa Costituzione vivente, che è sentita, dal popolo sovrano. E quindi non siamo isolati, stiamo con il popolo sovrano, vogliamo che ci sia un legame diretto e l'immedesimazione tra il corpo elettorale, l'istituzione e la persona che la rappresenta. Tutto ciò vuol dire semplicemente ribadire la centralità del principio democratico nel sistema costituzionale italiano.

Una questione che mi sembra evidente e che molti studiosi riportano: il cancellierato tedesco è, secondo voi, un sistema che ha una caratteristica presidenziale? Molti dicono di sì, lì si è puntato sull'Esecutivo. Allora perché c'è tutto questo timore in Italia rispetto al sistema tedesco o al semipresidenzialismo francese, sul quale gli studi si sono via via approfonditi e articolati? Qual è questo timore? Il timore o la ritrosia che ci potevano essere in Assemblea costituente avevano un significato e una logica, oggi non ci sono più questa ritrosia e questo timore, oggi dobbiamo ristabilire l'elezione diretta, per suffragio universale, del Capo dello Stato, perché questo vuol dire ribadire la sovranità popolare (Applausi del deputato Deidda)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 716-A?)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Prisco, che rinuncia.

Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, il presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Brescia, che rinuncia.

Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo; prendo atto che si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Corda ed altri: Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 875-B?) (ore 15,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dalla Camera e modificata dal Senato, n. 875-B: Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 16 marzo 2022 (Vedi l'allegato A della seduta del 16 marzo 2022).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 875-B?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La IV Commissione (Difesa) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Giovanni Luca Aresta.

GIOVANNI LUCA ARESTA , Relatore. Grazie, Presidente. Onorevoli membri del Governo, onorevoli colleghi, la necessità di intervenire sulla materia dell'esercizio della libertà sindacale tra militari, pur avvertita già da alcune legislature, ha ricevuto un forte impulso da una sentenza della Corte costituzionale, la n. 120 del 13 giugno 2018, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'articolo 1475, comma 2, del Codice dell'ordinamento militare.

La Corte, infatti, ha stabilito l'illegittimità della norma nella parte in cui dispone che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali, invece di prevedere che i militari possano costituire associazioni professionali a carattere sindacale, alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge, pur non potendo aderire ad altre associazioni sindacali.

Sulla scorta di questa esigenza, la Commissione difesa della Camera dei deputati ha avviato, già dal gennaio 2019, l'esame delle proposte di legge in materia che erano state presentate. Dopo il rinvio in Commissione, deliberato nella seduta del 28 maggio 2019, il provvedimento è stato nuovamente esaminato dalla Commissione difesa e poi approvato in prima lettura da parte dell'Assemblea della Camera nella seduta del 22 luglio 2020.

Il testo, che ora torna all'esame della Camera dei deputati per la seconda lettura, è stato in alcune parti modificato dal Senato, allo scopo di definire più dettagliatamente taluni profili della nuova disciplina. Si tratta di modifiche che sono state oggetto di approfondimento da parte della Commissione nelle tre sedute dedicate all'esame del testo trasmesso dal Senato, sulle quali non è stato ritenuto necessario intervenire ulteriormente.

Nello specifico, le principali novità introdotte durante l'esame presso l'altro ramo del Parlamento possono così sintetizzarsi.

All'articolo 1, rubricato “Diritto di associazione sindacale”, è stato novellato il comma 1 per precisare, con un riferimento al Codice dell'ordinamento militare (articolo 627, comma 8), il personale che non può aderire alle associazioni, limitatamente alla categoria degli allievi.

All'articolo 2, “Princìpi generali in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari”, è stato precisato che gli statuti delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari sono orientati al rafforzamento della partecipazione femminile e alla trasparenza del sistema di finanziamento; è stato, infine, inserito un comma aggiuntivo per specificare che l'attività sindacale è volta alla tutela degli interessi collettivi degli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare, e che tale attività non può interferire con lo svolgimento dei compiti operativi o con la direzione dei servizi.

Con riferimento all'articolo 3, “Costituzione delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari”, il Senato ha aggiunto un nuovo periodo, al comma 2, per prevedere che ogni tre anni il Ministero competente accerti la permanenza dei requisiti di legge delle associazioni; è stato introdotto, inoltre, l'obbligo di motivazione dei provvedimenti ministeriali che negano l'iscrizione di un'associazione o dispongono la loro cancellazione dall'albo per contrasto con la legge; è stato aumentato da 5 a 15 giorni il termine per le contro osservazioni delle associazioni colpite da provvedimenti (commi 3, 4 e 5); è stato, infine, aggiunto un comma sesto per prevedere che siano riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie promosse nel caso di cancellazione.

All'articolo 4, relativamente alle limitazioni, è stato specificato che il divieto per le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari di assumere rappresentanza in via esclusiva di una o più categorie di personale vale anche se facenti parti della stessa Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militare.

È stata, inoltre, aggiunta una lettera per prevedere un ulteriore divieto per le associazioni: quello di aderire, federarsi, affiliarsi o avere delle relazioni di carattere organizzativo o convenzionale anche per il tramite di altri enti od organizzazioni con associazioni sindacali diverse da quelle costituite ai sensi della normativa in esame.

All'articolo 5, riguardante le competenze delle associazioni, è stato modificato il comma 1 per escludere dalle competenze delle associazioni la tutela individuale degli iscritti, confermando, quindi, la sola tutela collettiva dei diritti e degli interessi propri dei rappresentati. È stato, altresì, aggiunto un nuovo comma, che novella l'articolo 46 del decreto legislativo n. 95 del 2017, recante disciplina dei trattamenti accessori e degli istituti normativi per i dirigenti delle forze di polizia e delle Forze armate. Al riguardo, le modifiche sono volte a specificare che le procedure negoziate previste dal comma 1 riguardino il personale dirigente civile e militare e per aggiungere alle materie richiamate dalle procedure anche le licenze e le aspettative per infermità.

Per quanto riguarda le modifiche agli articoli 6, 7 e 8, tali disposizioni recano, rispettivamente, norme in merito alla possibilità che gli statuti prevedano la costituzione di articolazioni periferiche delle associazioni professionali a carattere sindacale, al finanziamento e alla trasparenza dei bilanci, oltre alle cariche elettive nelle associazioni professionali di cui ci si occupa.

Al riguardo, in relazione all'articolo 6, sulle articolazioni periferiche, il Senato ha specificato che le competenze delle articolazioni periferiche sono definite dagli statuti nei limiti previsti dall'articolo 5, ovvero quelli stabiliti in via generale per le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari. Al comma 2, lettera c), è stato in parte modificato il referente con il quale le articolazioni periferiche possono interloquire, sostituendo “l'amministrazione centrale di riferimento” con “l'amministrazione di riferimento”. È stata, inoltre, soppressa la lettera d), che prevedeva, tra le competenze di tali articolazioni periferiche, quelle di formulare pareri e proposte agli organi direttivi e elettivi delle associazioni professionali tra militari.

Infine, durante l'esame in Aula al Senato, è stato introdotto un comma aggiuntivo in base al quale, ferme restando le specifiche peculiarità organizzative, le articolazioni periferiche delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari riconosciute rappresentative a livello nazionale sono tenute a relazionarsi con le articolazioni di ciascuna amministrazione militare competente a livello areale e, comunque, a livello non inferiore a quello regionale, con riferimento a tematiche di competenza sindacale aventi esclusiva rilevanza locale, senza alcun ruolo, tuttavia, negoziale.

Con riferimento all'articolo 7, concernente il finanziamento delle associazioni, il comma 1 è stato modificato per chiarire che le associazioni, anche ai fini del loro finanziamento, possono svolgere attività di assistenza fiscale e consulenza relativamente alle prestazioni previdenziali e assistenziali a favore dei propri iscritti.

È stato, poi, modificato in più parti l'articolo 8, la cui rubrica fa ora riferimento alle cariche direttive, invece che elettive, delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari. È stato, inoltre, introdotto, al comma 1, il rispetto del principio di parità di genere nell'assegnazione delle cariche. Con riferimento al comma 2, durante l'esame in Aula al Senato, tale comma è stato modificato per definire nel dettaglio i criteri di ineleggibilità e incompatibilità delle cariche, prevedendo che non sono eleggibili e non possono comunque ricoprire cariche nelle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari i militari che hanno riportato condanne per delitti non colposi o sanzioni disciplinari di stato; i militari che si trovano in una delle condizioni di cui all'articolo 10, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 235 del 2012, che reca, appunto, cause di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali; i militari che si trovano in stato di sospensione dall'impiego o di aspettativa non sindacale, salvo i casi di aspettativa per malattia o patologia che comunque consentano il rientro in servizio incondizionato; da ultimo, gli ufficiali che rivestono incarico di comandante di Corpo.

Quanto all'articolo 9, concernente svolgimento dell'attività e delega al Governo, era stato introdotto un comma per prevedere che alle associazioni rappresentative a livello nazionale venga concesso da parte di ciascuna amministrazione, compatibilmente con le disponibilità, l'uso di un locale comune da adibire a ufficio delle associazioni stesse nella sede centrale e in quelle periferiche. Tale comma è stato ulteriormente modificato in Aula per prevedere che la concessione dell'uso del locale avvenga senza oneri per l'amministrazione. È stato, altresì, modificato in sede referente e, successivamente, in Aula il comma relativo ai distacchi e permessi retribuiti e non retribuiti per prevedere che gli stessi siano assegnati sulla base dell'effettiva rappresentatività del personale.

È stato, poi, inserito, all'articolo 10 sul diritto di assemblea, un comma per prevedere che i comandanti o i responsabili di unità garantiscano il rispetto della legge in esame, favorendo l'esercizio delle attività delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari.

All'articolo 12 è stata, invece, modificata la rubrica da “Obblighi delle amministrazioni” in “Obblighi informativi”. È stato, altresì, modificato il comma 1 per delimitare l'oggetto degli obblighi informativi delle amministrazioni militari, non più riferiti ad ogni iniziativa volta a modificare il rapporto di impiego con riferimento alle direttive interne o alle direttive di carattere generale che riguardano la condizione lavorativa del personale militare, ma al contenuto delle circolari e delle direttive da emanare con riferimento alle materie indicate dall'articolo 5, comma 2. Al riguardo, è stato specificato che le procedure di informazione e consultazione delle associazioni rappresentative sono disciplinate nel regolamento di attuazione.

Il Senato ha, inoltre, modificato l'articolo 13 sulla rappresentatività, introducendo, dopo il primo comma, concernente le soglie di rappresentatività a regime, ulteriori quattro commi, volti a precisare che, qualora l'associazione costituita da militari appartenenti a due o più Forze armate o forze di polizia a ordinamento militare non raggiunga la quota minima del 3 per cento in ciascuna delle Forze armate o delle forze di polizia a ordinamento militare, essa è rappresentativa nelle sole Forze armate in cui raggiunge la quota minima del 4 per cento; a stabilire inoltre che, ai fini della consistenza associativa, sono conteggiate esclusivamente le deleghe che prevedono un contributo non inferiore allo 0,5 per cento dello stipendio; a chiarire, inoltre che, ai fini della consistenza associativa, la forza effettiva si calcola escludendo il personale che, ai sensi della legge, non può aderire alle associazioni; a prevedere, inoltre, soglie ridotte di rappresentatività per il periodo transitorio, riducendole di 2 punti percentuali per i primi tre anni di entrata in vigore della legge e di un punto percentuale per i successivi quattro anni.

All'articolo 14, “Tutela e diritti”, è stato modificato il comma 1 per limitare i diritti e le tutele previste da tale articolo per i militari che ricoprono cariche elettive alle sole associazioni rappresentative a livello nazionale.

All'articolo 15, “Informazione e pubblicità”, è stato modificato il comma 1 per stabilire l'obbligo, e quindi non più la mera possibilità, di pubblicazione di deliberazioni, votazioni e di ogni altra notizia relativa all'attività sindacale.

Con riferimento all'articolo 16, relativo alla delega al Governo, è stato modificato il comma 1 per introdurre tra i principi e i criteri di delega una lettera ulteriore, la lettera e), relativa all'istituzione di un'area negoziale per il personale dirigente delle Forze armate e delle forze di polizia a ordinamento militare, nel rispetto del principio di equiordinazione con le forze di polizia a ordinamento civile, come specificato dall'Aula del Senato. L'istituzione dell'area negoziale di cui al precedente periodo deve avvenire nel rispetto dei vincoli previsti dall'articolo 46 del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95 e nell'ambito delle risorse previste a legislazione vigente per la sua attuazione. È stato, inoltre, modificato il comma 4 per chiarire che il riparto dei distacchi e dei permessi sindacali tra diverse associazioni deve essere fatto dal decreto del Ministro della Pubblica amministrazione con criterio proporzionale, sulla base della rispettiva rappresentatività.

Un altro articolo importante sul quale spesso e tanto si è dibattuto è l'articolo 17, relativo alla giurisdizione. È stato modificato il comma 8 per delimitare l'ambito della legittimazione attiva delle associazioni rispetto al testo della Camera, che individuava una legittimazione in sede civile, penale e amministrativa, limitandola ora alle controversie promosse nell'ambito della presente legge per le quali sussista un interesse diretto.

L'articolo 19, infine, è stato modificato per prevedere, al comma 1, che le norme sulla rappresentanza militare vengano abrogate, non al momento dell'entrata in vigore della legge, ma al momento dell'entrata in vigore del decreto della pubblica amministrazione che determina permessi e distacchi. Al comma 2, è stato inoltre specificato che i delegati delle rappresentanze militari restano in carica e proseguono le attività di competenza, compresa dunque la partecipazione alle procedure di concertazione per il rinnovo del rapporto di impiego se in corso, fino all'entrata in vigore del primo decreto del Ministro della Pubblica amministrazione, ovvero, se successiva, fino alla conclusione dei lavori per la formulazione dello schema di provvedimento. A decorrere da questa data i consigli della rappresentanza militare e i delegati che la compongono cessano la propria funzione. Sempre in sede referente è stata poi espunta - e riproposta nell'articolo 13 - la previsione di soglie di rappresentatività ridotte per tre anni.

Avviandomi alla conclusione, ricordo che Forze armate e Forze di Polizia a ordinamento militare annoverano oggi, complessivamente, circa 350 mila uomini e donne, che rappresentano un segmento di particolare rilievo nell'ambito della pubblica amministrazione, ai quali affidiamo la nostra sicurezza, la tutela della legalità, nonché impegni assolutamente essenziali e particolarmente impegnativi, quali il concorso alle attività di protezione civile e la partecipazione alle missioni internazionali. Si tratta di personale che costituisce una componente fondamentale per il nostro Paese, a cui va adesso riconosciuto pienamente il diritto di concorrere a definire i contenuti del rapporto di impiego e, più in generale, le proprie condizioni di lavoro.

Da ultimo, due valutazioni politiche. Il testo, che ci apprestiamo a votare, è il frutto di un equilibrio tra diverse sensibilità politiche, una sintesi condivisa. Il lavoro fin qui fatto dal Parlamento consegna alla dialettica tra le istituende associazioni professionali militari e la controparte quegli avanzamenti di fatto che solo il confronto positivo potrà far maturare. È evidente, come accade per tutti i provvedimenti che intervengono normando un ambito nuovo del nostro ordinamento, che ci sarà spazio per tutti i miglioramenti e le correzioni, che la pratica effettiva dell'esercizio del diritto sindacale potrà così produrre. A noi, Presidente, era richiesto di fare questo passo decisivo e codificare in una legge dello Stato un diritto oramai maturo nella nostra società. Il Parlamento vigilerà per la piena attuazione di questo diritto e potrà intervenire nelle sue linee di indirizzo al Governo in sede di regolamenti attuativi. Oggi è un giorno storico, una conquista di civiltà che rende più forte la nostra democrazia e più affini, a quelli degli altri lavoratori, i diritti dei professionisti con le stellette, pur confermando e garantendo la tipicità dello status militare nel contesto della pubblica amministrazione. Di questo, in qualunque modo, insieme a tutti i colleghi della Commissione, dobbiamo essere orgogliosi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, sottosegretaria Bini. Prendo atto che si riserva di intervenire successivamente.

È iscritto a parlare l'onorevole Losacco. Ne ha facoltà.

ALBERTO LOSACCO (PD). Grazie Presidente. Dopo le modifiche apportate dal Senato, come illustrava il relatore, questo provvedimento torna alla Camera per l'ultima lettura. Come è noto, questa legge si è resa necessaria dopo la sentenza della Corte costituzionale, che ha sancito l'incostituzionalità dell'articolo del codice militare sull'impossibilità di costituzione e adesione ad organizzazioni sindacali da parte delle Forze armate. Questa sentenza ha rappresentato un'importante novità, dal punto di vista dei principi e dell'idea che anche i militari sono a tutti gli effetti dei lavoratori e, quindi, portatori di istanze e di diritti. La cornice normativa di riferimento risale al 1978, con la legge per l'istituzione degli organismi di rappresentanza del personale militare, prima e principale esperienza di tutela del personale delle Forze armate. Un altro momento significativo è legato alla riforma del 1981 della Polizia di Stato, la cui smilitarizzazione permise l'apertura ad un'articolazione sindacale di grande importanza e significato. Con i loro 350 mila operatori, Forze armate, Carabinieri e Guardia di Finanza rappresentano un ramo significativo della pubblica amministrazione. Si avvertiva, quindi, la necessità di un aggiornamento normativo sulla rappresentanza militare.

Ricordo che, nelle precedenti due legislature, il Partito Democratico - e non solo il Partito Democratico - aveva avanzato delle proposte di legge per affrontare la questione. Tuttavia, la gestazione del provvedimento non è stata delle più semplici: prima, un dibattito ricco articolato da parte della Camera, poi, un cospicuo intervento da parte dei colleghi del Senato. Non sfugge a nessuno, come ha sottolineato anche la sentenza della Corte, che la libertà sindacale dei militari deve esercitarsi in un quadro di compatibilità con la specialità della loro funzione. Le Forze armate sono un bene pubblico del Paese. A loro affidiamo la sicurezza dei cittadini, la rappresentanza italiana nelle missioni internazionali, la tutela della legalità e altre importanti funzioni di protezione civile. Come è già stato ricordato, senza le Forze armate non avremmo avuto l'attuazione del piano vaccinale, per non dire del sostegno alle amministrazioni comunali nella fase più acuta di decessi, con quell'immagine di Bergamo che porteremo per sempre nei nostri cuori. Da qui la necessità di stabilire un perimetro nel delicato equilibrio tra autonomia dell'esercizio sindacale, tutela della rappresentanza e quei compiti che la Costituzione affida alle Forze armate e che richiedono coesione e disciplina. In quest'ottica va intesa la scelta del giudice amministrativo, in merito alla competenza giurisdizionale per le condotte antisindacali, in ragione della maggiore conoscenza dei tribunali amministrativi sui rapporti di impiego del personale militare. Sempre nell'ottica della tutela della coesione e della disciplina, sono scaturite altre decisioni, come il controllo triennale del Ministro della Difesa sugli statuti delle associazioni sindacali o sul divieto, per queste, di avere rapporti organizzativi con soggetti sindacali diversi da quelli militari.

Per quel che riguarda le modifiche del Senato, sono importanti soprattutto quelle legate alla disciplina transitoria, come ha detto la senatrice Roberta Pinotti. Si correva il rischio di sovrapporre rappresentanze e nuove associazioni a carattere sindacale o di avere un vuoto di rappresentanza. Credo che alla fine si sia giunti a un risultato accettabile. Il testo è un buon punto di partenza rispetto alla normativa regolamentare e ai decreti attuativi che saranno essenziali per garantirne il corretto funzionamento. Per concludere, Presidente, questo provvedimento giunge a pochi giorni dall'approvazione dell'ordine del giorno per aumentare le risorse per le spese per l'adeguamento tecnologico-militare e nel percorso per la comune difesa europea, che è uno dei pilastri più importanti nel processo d'integrazione. Penso che l'impegno per la modernizzazione della Difesa, per la sua piena collocazione nel contesto delle nostre alleanze, passi anche da un provvedimento come questo, che assume un particolare significato nella fase che attraversiamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Corda. Ne ha facoltà.

EMANUELA CORDA (MISTO-A). Grazie Presidente. Oggi siamo qui a discutere una legge, che, tra l'altro, reca la mia prima firma. Devo dire che non mi trovo del tutto soddisfatta con il testo che andremo a licenziare, perché, come sappiamo tutti in quest'Aula, questo provvedimento ha avuto un iter molto difficile. Non imputo queste difficoltà certamente ai miei colleghi del MoVimento, con i quali, anzi, abbiamo fatto un lavoro importante. In particolar modo, mi sento di ringraziare il collega Aresta, che con me, quando ero ancora nel MoVimento, ha fatto un lavoro egregio, cercando anche di trovare delle soluzioni, che potessero avere dei punti di caduta importanti rispetto alle richieste degli altri gruppi. Infatti, una legge di questo tipo, una riforma così importante su una materia così delicata, richiede una condivisione a livello parlamentare, cosa che era molto difficile, anche perché ci sono correnti di pensiero molto diverse, anche su come dovrebbe essere organizzato e gestito lo strumento militare e su come ci si dovrebbe approcciare soprattutto rispetto alla materia che riguarda i diritti sindacali. Infatti, fino a poco tempo fa, i militari non hanno mai avuto riconosciuto questo diritto, perché nel codice dell'ordinamento militare si vietava ai militari di costituirsi in associazioni sindacali. Poi sappiamo che c'è stata una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che interveniva nell'ordinamento francese rispetto a dei ricorsi che erano stati fatti, sentenza che ha inciso anche negli altri ordinamenti nazionali. A questa sono seguite altre sentenze; in Italia, con il Consiglio di Stato e, in ultimo, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 120, ha messo un po' una pietra tombale su una questione annosa che ad alcuni non piaceva.

Il fatto che le Forze armate potessero avere questo tipo di tutela e questo tipo di organizzazione non era una cosa che, in Italia, ma anche altrove, in Francia, piuttosto che in altri Stati, fosse vista con grande euforia, soprattutto, da parte del comparto a livello di vertice, ma anche politicamente; non è mai stata una cosa largamente condivisa. Però è chiaro che, una volta giunta questa sentenza - io dico, per fortuna - abbiamo dovuto fare tutti i conti con il tema dei diritti, rispetto ai quali non si può escludere nessuno: anche i militari sono lavoratori che, ovviamente, hanno doveri particolari, perché devono garantire l'efficienza dello strumento militare per il buon funzionamento dei presidi, a garanzia delle istituzioni, però, è anche vero che queste persone da sempre chiedevano tutele e chiedevano più diritti.

Quindi, ci siamo messi al lavoro, già dalla scorsa legislatura, su una proposta di legge che nel 2018 abbiamo ripresentato ed è stata, lo ripeto, profondamente modificata, perché appunto non c'è mai stata grande convergenza, soprattutto su alcune questioni.

Ricordo che una delle discussioni più ampie che sono state fatte riguardava proprio il giudice amministrativo, poiché veniva chiesto l'affidamento delle controversie al giudice del lavoro. Ci sono state anche sentenze recenti. Ecco, su questo aspetto continuo a pensarla come chi chiedeva la disposizione relativa al giudice del lavoro, anche alla luce delle recenti sentenze; la disposizione adesso è stata adattata al giudice amministrativo e cito di nuovo il collega Aresta che ha svolto un lavoro incredibile, cercando di trovare una soluzione e dando spazio ad un istituto, le commissioni di conciliazione che potessero creare comunque un'alternativa, proprio per far sì che queste controversie non andassero tutte a sbattere contro un muro, dando la possibilità a chi sentiva lesi i propri diritti di adire un organismo di garanzia differente, prima ovviamente di rivolgersi al giudice amministrativo.

Quindi, questo lavoro è stato fatto con grande fatica e ci sono state anche delle migliorie, anche con riferimento ai sindacati interforze e, tra l'altro, è stata introdotta la contrattazione. Addirittura, soprattutto da parte dell'attuale rappresentanza militare, si sono mosse critiche per cui si dice che adesso i rappresentanti delle Forze armate hanno addirittura una minore possibilità di effettuare la propria attività, ma, in realtà, non è così, perché dalla concertazione si è passati alla contrattazione e non è una cosa da poco, attenzione, è importante sottolinearlo, anche se qualcuno tende ovviamente a buttare il bambino con l'acqua sporca e questo non è giusto; non è giusto perché tende a criminalizzare gli intenti della politica, nella quale ci sono, lo ripeto, visioni differenti, ma certamente l'intento non è quello di limitare i diritti delle persone. Almeno per quanto mi riguarda non è così e credo che questa cosa sia condivisa da tutti i miei colleghi che, comunque, con fatica, hanno provato ad apportare modifiche, ma, lo ripeto, per trovare una soluzione comune, serve l'unanimità, quindi, a volte, anche l'esercizio del compromesso, su una materia così difficile, per addivenire ad un testo che possa in qualche modo dare disciplina ad una materia così delicata, era necessario in questo lavoro. Quindi, occorre avere una legge che possa far superare il vulnus tra l'altro oggi esistente, perché oggi c'è ancora la rappresentanza militare e, allo stesso tempo, sono già riconosciuti i sindacati militari, attenzione, quindi, questo è un problema che andava risolto ovviamente celermente e per questo si chiedeva che questa legge fosse licenziata al più presto.

C'è stato un ulteriore passaggio al Senato e sono state apportate altre modifiche, secondo me, qualcuna anche peggiorativa, ahimè; avrei preferito che non la toccassero più, perché, purtroppo, essendo un testo molto complicato, una materia molto difficile, più la si rimesta più si rischia di incorrere in pasticci che, magari, in futuro, saranno difficili da risolvere.

Purtroppo, questa legge ha diverse criticità, per come la vedo io e per come l'avevamo concepita all'inizio, ma è comunque un punto di partenza che ci consente di superare il vulnus legislativo, ma, soprattutto, toglie tutte le scuse a chi continua a dire: “tanto vale non farla mai, questa legge, perché tanto fa schifo, è meglio non farla”. Questo non va bene, perché andrebbe ad appannaggio, ovviamente, di situazioni comunque di privilegio, di qualcuno che vuole mantenere vita natural durante uno status quo che non può essere più condivisibile, anche alla luce delle sentenze che ci sono state.

Quindi, la politica ha il dovere di legiferare. Io sono, tra l'altro, firmataria di questa proposta di legge e, nonostante sia stata completamente modificata, ci voglio mettere la faccia. Ci tengo, con tutti i problemi che tale proposta di legge presenta, perché la vedo come un punto di partenza e uno strumento attraverso il quale potremo garantire più diritti ai militari. Potrà essere migliorata in futuro e mi auguro che vi sia quella volontà da parte di tutti.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maria Tripodi. Ne ha facoltà.

MARIA TRIPODI (FI). Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, io sono particolarmente orgogliosa che oggi un provvedimento così importante sia approdato in Aula per la lettura definitiva. Ringrazio, naturalmente, tutti i colleghi che hanno lavorato con noi in Commissione difesa, il relatore, l'onorevole Aresta, il presidente della Commissione, la collega Emanuela Corda, con la quale mi sono confrontata e ci siamo confrontati in questi quattro lunghi anni di lavoro. Come dicevo, mi sento particolarmente orgogliosa, perché questo lavoro è stato il frutto di una condivisione e di un confronto ampio e trasversale.

Noi come Forza Italia, Presidente, abbiamo contribuito anche con la proposta di legge, Atto Camera 1060 che portava la mia firma e che ha integrato il testo che ci troviamo a discutere. Colleghi, è bello sentirsi protagonisti di un piccolo mattoncino che va a mettersi in quel puzzle che è la Difesa. Oggi, è una pagina storica, Presidente, non solo per questo Parlamento, ma anche per tutte le Forze armate che, come sappiamo bene, sono il cuore pulsante del sistema Paese.

Come ricordava chi mi ha preceduto, con la sentenza della Corte costituzionale del 2018, la Corte, appunto, chiedeva al Parlamento di sanare un vulnus che si trascinava da più di quarant'anni: da più di quarant'anni i nostri militari e tutto il personale della Difesa non avevano riconosciuto un giusto diritto, quello dell'associazione sindacale che, invece, era riconosciuto in tutta Europa.

Io sono davvero contenta di aver collaborato a scrivere una pagina che qualcuno ha definito addirittura epocale. Certamente, ci sono cose che vanno migliorate, però, già abbiamo ottenuto - secondo me - risultati significativi, per la mia visione delle cose.

Mi riferisco senza dubbio al fatto che viene tutelato lo strumento militare senza snaturarlo, anche per quanto riguarda il discorso della giurisdizione in capo al TAR, vengono riconosciute le rappresentanze a livello di percentuale di ogni singola associazione sindacale, viene anche riconosciuta - mi consenta - l'importanza di quello che c'è stato fino a oggi come rappresentanza sindacale in seno al Dicastero della Difesa; mi riferisco ai Co.Ce.R, che hanno rappresentato bene e per lungo tempo le istanze dei militari. Forse, sì, si poteva fare di più, però siamo soddisfatti, perché il risultato che oggi abbiamo ottenuto con l'approdo in Aula di questo testo è trasversale. Mi consenta, Presidente, di ringraziare, in modo molto accorato, anche le forze di opposizione che, nel loro spirito costruttivo per quanto riguarda i provvedimenti di maggiore importanza per il Paese, ma anche e soprattutto le Forze armate, hanno sempre dato in Commissione, in questi quattro anni, un apporto sano e improntato alla tutela dei nostri uomini e delle nostre donne in divisa. Li ringrazio davvero di cuore (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente, MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Fratelli d'Italia), perché le Forze armate sono il patrimonio di tutti gli italiani. Piace e ricordare a me stessa che questa giornata è il frutto non di questo o di quel partito politico, ma del lavoro del Parlamento che rappresenta tutti gli italiani, così come le Forze armate sono patrimonio comune di tutti gli italiani. E mi consenta Presidente di rivolgere un caloroso ringraziamento alle nostre Forze armate e ai nostri vertici militari (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente, MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Fratelli d'Italia), soprattutto in giornate come questa. Infatti, ricordiamo bene che le Forze armate, dal 2020, anche a livello sanitario, hanno dato un contributo fondamentale nella lotta alla pandemia e più di un pensiero va a chi ha sacrificato la vita nella lotta alla pandemia, al COVID-19 e a tutti i nostri militari che con passione e con dedizione ogni giorno lavorano in patria e all'estero per garantire la nostra sicurezza. Presidente, sicuramente questo testo si poteva migliorare e noi abbiamo cercato di farlo in tutto e per tutto. Ci tenevo, prima delle conclusioni, a sottolineare come lo spirito di condivisione che ci ha contraddistinto in questo lungo lavoro ha fatto sì che siamo riusciti a coniugare i temi della democrazia, della rappresentanza sindacale e della tutela dei diritti anche con un'organizzazione di tipo gerarchico come è lo strumento militare. Va sottolineato, inoltre, che, quando questa riforma entrerà in vigore e, quindi, nella pienezza delle sue funzioni, dovranno essere attuati tutti i decreti e i regolamenti e con l'attuazione regolamentare si capirà l'innovazione della legge stessa.

Concludo, Presidente, rivolgendo un ringraziamento e un apprezzamento di cuore a tutti i colleghi che ci hanno e mi hanno accompagnato in questo iter parlamentare; un ringraziamento particolarmente caloroso va alla collega Corda, ma veramente a tutti i colleghi. Oggi, si scrive una pagina storica in questo Parlamento, ma la cosa che più mi inorgoglisce è che si scrive una pagina storica per le nostre Forze armate e per il comparto della Difesa (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Deidda. Ne ha facoltà.

SALVATORE DEIDDA (FDI). Grazie, signor Presidente, Governo, colleghi, dopo quattro anni arriviamo, forse, a mettere la parola fine a questo provvedimento che, nell'intento dei proponenti - è utile fare un piccolo sunto - doveva essere approvato in fretta e furia. Infatti, ricordo che, all'inizio del dibattito in Commissione, Fratelli d'Italia aveva assunto un atteggiamento di responsabilità rispetto a un argomento che, come è stato detto e ribadito anche in quest'aula, suscita diverse sensibilità e diversi giudizi all'interno degli stessi partiti; anche all'interno del nostro c'era chi era contrario a questa legge, alla nuova istituzione di questa associazione a carattere sindacale, e chi, come il sottoscritto o altri che frequentano la Commissione difesa, lo vedeva come uno strumento, né buono né cattivo, poiché dipende da come viene utilizzato. Noi l'abbiamo sempre detto e denunciato: questo argomento è stato utilizzato in maniera errata, con demagogia, con molta propaganda, usato come una bandiera dei proponenti del MoVimento 5 Stelle, come un risultato da raggiungere subito per rimarcare la propria presenza al Governo e usato dall'allora Ministro Trenta, che, sui giornali - lo ricorderò sempre - annunciò questa rivoluzione: finalmente i sindacati militari nelle nostre Forze armate.

Ricordo anche che Fratelli d'Italia avvertì che una legislatura che mostrava già i segni di una divisione parlamentare, dovuta agli equilibri e alle maggioranze variabili, avrebbe mostrato tutti i suoi limiti e tutte le difficoltà. All'epoca, siamo stati accusati di far perdere tempo. Noi abbiamo rinunciato a presentare un progetto di legge a mia prima firma; l'abbiamo presentato sotto forma di emendamenti, perché ritenevamo e riteniamo che questo argomento, come tutti quelli che vengono trattati nella Commissione difesa, sia da portare avanti, non dico in sordina, ma con equilibrio, con pochi annunci, soprattutto con tanto lavoro di concertazione. Invece no: il provvedimento era stato presentato dai 5 Stelle nella scorsa legislatura quando erano una forza di opposizione e mostrava, quindi, i limiti di un progetto di legge che, da forza di opposizione, senza alleati, doveva invece venire esaminato da una coalizione, con la Lega o col Partito Democratico o con tutti gli altri partiti; quindi ognuno portava il proprio contributo. Inizialmente, era blindato e soprattutto era oggetto di una campagna social che, in quel caso, ha unito Fratelli d'Italia nel giudizio che era inaccettabile. Infatti, argomentare che le associazioni sindacali fossero lo strumento per mettere fine allo strapotere della rappresentanza attuale che era una macchina mangia soldi, che erano privilegiati e che, quindi, non avevano e non hanno mai portato risultati per le Forze armate, che era finalmente la vittoria della truppa rispetto agli ufficiali e agli Stati maggiori, che era la vittoria finalmente dal basso delle Forze armate per i diritti che finora erano stati negati dei cattivi Stati maggiori, tutto ciò per noi era un discorso inaccettabile, tanto che nei social, anche gli stessi parlamentari venivano fatti oggetto di accuse surreali di cui poi sono state vittime gli stessi proponenti di questa legge quando hanno dovuto dire “no” alle richieste di alcuni soggetti, non tutti. Noi abbiamo posto problemi, tra cui la necessità di abbassare i toni. La rappresentanza militare non dava risultati, perché la legge fatta dal Parlamento non dava alla rappresentanza militare la possibilità di incidere; la rappresentanza militare poteva fare proposte. Noi poi chiamiamo la responsabilità della politica rispetto ai Capi di Stato maggiore.

È vero che per i militari il datore di lavoro è il Capo di stato maggiore, ma il Capo di stato maggiore risponde poi al potere politico. Se, quindi, il potere politico, la politica trasversalmente, di qualunque colore essa sia, decide che sulla materia degli alloggi non vi sono fondi, hai voglia a dover rispondere - mi riferisco ai Capi di stato maggiore - dei 4 o 5 mila alloggi che sono sfitti. Se la politica decide che non ci sono fondi per la Difesa, bisogna vedere come si fanno le promozioni e come si aumentano determinate indennità.

La responsabilità se la prende il Capo di stato maggiore, ma poi è la politica che non si deve nascondere dietro le uniformi e si deve assumere la grande responsabilità di dirlo. Infatti, così stiamo facendo - e lo rimarchiamo sempre in questa legislatura - nella Commissione difesa della Camera - e ringrazierò sempre il presidente Rizzo e tutti i colleghi della Commissione -, Commissione in cui lavoriamo uniti nel dire che dobbiamo invertire una tendenza nel mondo della Difesa. Per troppi anni si è tagliato e si è considerata la Difesa come un mondo che non serviva più e, quindi, si poteva tagliare (tagli lineari, sugli organici, su tutto quello che era accessorio, sulla mensa e su tutto quello che era necessario). La colpa non è del Capo di stato maggiore, è della politica.

Quindi, questa contrapposizione fra Capi di stato maggiore, truppa - con vari gradi - stava portando ad una divisione e a un dibattito surreale sulle pagine dei giornali e dei social che sinceramente ha inquinato il dibattito anche con riferimento alle associazioni sindacali. Obiettivamente, prima di emettere un giudizio, ho frequentato le assemblee di queste associazioni sindacali, anche se Fratelli d'Italia ha l'etichetta, messa troppo frettolosamente, del partito dei Capi di stato maggiore - saremmo quelli della rappresentanza militare -, quando noi obiettivamente parliamo con tutti e abbiamo il coraggio anche di dire dei “no”, perché giustamente chiedere è lecito, proporre è lecito, ma altre volte poi bisogna vedere se a noi sta bene o meno. Quindi, non lo facciamo a livello elettorale!

Quindi, questo progetto di legge è andato avanti con grande difficoltà. Noi avevamo suggerito all'allora Ministro Trenta di emanare una circolare che riconoscesse e desse agibilità a queste associazioni, dicendo cosa potevano e non potevano fare. Se le fai nascere così, equivalgono quasi al circolo del bridge, in questo senso. Infatti, emanò una circolare che poi ovviamente non aveva forza. Poi il tempo ci ha dato ragione, perché è stata una legislatura abbastanza divisiva e il progetto di legge approvato alla Camera poi è finito al Senato ed è rimasto lì, scomparso nel nulla. Per quale motivo? Un altro dei problemi era dato dal fatto che si diceva fosse una legge a costo zero e, al riguardo, un suggerimento, che avevamo dato, era che fosse inutile dare la delega al Governo per futuri distacchi e permessi sindacali: ma che sindacati sono se non hanno distacchi e permessi sindacali per poter agire e andare in giro per l'Italia?

Poi questo aspetto è stato previsto e inserito in qualche modo, ma il problema era anche la demagogia nel dire che i soldi, quei fondi che erano previsti nel bilancio della Difesa per la rappresentanza militare, non potevano servire o non servivano per coprire i costi di questa legge (uno dei motivi del blocco è stato quello). Questa legge non è a costo zero, perché, se prevedi distacchi o un altro tipo di attività, allora, ci sono costi per la Difesa. Questo deve essere un insegnamento per tutte le forze politiche: quando si è all'opposizione o quando si è al Governo, non puoi promettere mari e monti, illudendo le persone perché, se gli dici che tu gli darai mari e monti, loro si aspettano di ricevere mari e monti. Invece, con criterio, devi dirgli che affronterai la materia e riuscirai a dargli quello che gli potrai dare, cioè non tutto, e mi è dispiaciuto che infatti il dibattito è andato scemando (quattro anni).

Io ricordo i primi tempi quando non si parlava d'altro, cioè il problema delle Forze armate era questa legge. Invece, poi si è visto che vi erano problemi, dalla legge n. 244 a quelli del sistema d'arma. Stiamo lavorando molto. Questo è uno dei problemi che dobbiamo affrontare, ma lo avremo di nuovo nella prossima legislatura, perché poi - bisogna dirlo - questa legge ha scontentato tutti. Scontenta la rappresentanza e scontenta le associazioni che sono nate. Alcune dicono: “No, non vogliamo neanche questa legge”, mentre altre dicono: “Meglio questa legge che niente, perché almeno esistiamo”, questo dobbiamo dirlo. Però, queste cose ci sono state dette durante le audizioni. In una delle prime audizioni, le prime associazioni sorte erano venute a dire che questa legge non le soddisfaceva minimamente. Si è continuato poi ad operare e i cattivi erano sempre quelli di Fratelli d'Italia. No, non eravamo cattivi! Avevamo visto che il dibattito era stato ormai compromesso e inquinato - ripeto - da una promessa.

Oggi ci sono ufficiali che si stanno iscrivendo a queste associazioni sindacali? Sì! E perché venimmo dipinti, invece, come nemici di queste associazioni? Fu un errore! Il dibattito è maturo quando c'è un giusto dibattito anche all'interno delle Forze armate, perché sia gli ufficiali sia i graduati sono parte di uno stesso sistema. Le Forze armate non possono esistere senza gli uni e senza gli altri e metterli contro è stato un danno e un pericolo e ha creato un clima di sfiducia. Quindi, qui abbiamo imparato una grande lezione - e ci mettiamo anche noi -, cioè che quando si opera nelle Forze armate, bisogna portare avanti un dibattito sereno. Vi è una proposta che continuiamo a fare e l'abbiamo fatto quando è stata approvata alla Camera: c'è bisogno di un momento di confronto fra le associazioni sindacali, la rappresentanza e i Capi di stato maggiore, presente anche il potere politico. C'è bisogno di un confronto per conoscersi e per trovare fiducia.

Poi nelle modifiche al Senato sono state introdotte norme che definirei pacchiane. Mi riferisco ad esempio alla parità di genere nei sindacati militari. Scusate, non ho niente contro la parità di genere e ci mancherebbe, ma imporre una parità di genere in un sindacato di una Forza armata, quando la presenza è squilibrata nei numeri fra uomo e donna (90 per cento contro il 10), mette in difficoltà le Forze armate e i sindacati stessi. Perché imporre questa parità? Perché la devi imporre nei numeri? Se uno poi non la vuole fare, il sindacato cosa fa? Deve essere una libera scelta dell'associazione se avere nel proprio statuto la parità o meno. Se capita che un'associazione non ce l'abbia, cosa si fa? Mi chiedo perché imporre questa scelta, quando si può prevedere o agevolare.

Comunque, continuerò poi nel corso delle dichiarazioni di voto. A me dispiace. Auguri a tutte le associazioni, e continuerò a collaborare con loro. Io spero che in Aula vedremo presto l'esame del provvedimento con riferimento alla legge n. 244 per la riforma del sistema militare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (IV). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, sono anch'io emozionata e orgogliosa di poter partecipare oggi in maniera fattiva e attiva a quello che è stato definito, da chi mi ha preceduto, come un cambio di passo epocale per il comparto della difesa e della sicurezza.

Ringrazio il presidente della Commissione difesa e il relatore per l'egregio lavoro svolto e chiaramente le colleghe e i colleghi che mi hanno aiutata a seguire questo percorso di crescita in Commissione difesa che mi vede seguire i lavori da appena un anno.

Però, soprattutto, oggi, in questo particolare momento storico che stiamo vivendo, poter contribuire ad un miglioramento - per quanto poi sia evidente che la legge è perfettibile, come è stato già detto, così come ogni tipo di percorso legislativo - mi rende orgogliosa ed emozionata, perché penso che le nostre Forze armate, a cui va il mio personale plauso ma anche quello che è stato già ampiamente rappresentato dai colleghi che mi hanno preceduto, siano fondamentali.

Le Forze armate sono il nostro Corpo, sono coloro che, ogni giorno, nei teatri operativi nazionali e internazionali, come stiamo vedendo in questi giorni, mettono a rischio la propria vita, ma, oltre ad essere il nostro Corpo, il Corpo dello Stato che lotta direttamente per la nostra sicurezza e per la nostra difesa, sono anche un po' la nostra anima.

Ecco perché ogni percorso legislativo secondo me deve mettere al centro il personale, quindi l'aspetto umano; ed ecco perché questa legge, a mio sommesso parere, è sostanziale oggi e segna un quello che è stato già definito un cambiamento epocale, perché riconosce il diritto del corpo collettivo di vedere riconosciuti e di vedere tutelati i propri interessi. Da quello che ho potuto cogliere partecipando ai lavori della Commissione è stato un esercizio normativo complesso e, quindi, in questo momento innanzitutto ringrazio coloro che si sono prodigati fino ad arrivare alla discussione di questa legge oggi perché il confronto e il dialogo tra il personale militare di ogni ordine e grado e il livello di responsabilità in realtà ha segnato per gli ultimi 40 anni un momento fondamentale, un focus principale nel comparto della difesa, che aveva trovato poi sostanzialmente nella legge del 1978 della rappresentanza militare uno strumento efficace, che aveva messo insieme, anche in maniera trasversale, gli interessi delle varie parti politiche. Però la rappresentanza militare oggi chiude un ciclo di democraticità delle Forze armate e diventa anche un po' obsoleta alla luce anche della sentenza, che è stata più volte già citata in quest'Aula, n. 120 del 2018, che - lo sappiamo perché è stato ben rappresentato e ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto - ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1475, secondo comma. Ed ecco che diventava importante e preponderante, e da qui il ringraziamento di cuore, caldo, a chi ha lavorato in questa direzione, per sopperire a quel vulnus che si era creato. È un momento importante, un momento epocale, fondamentale, con tutta la necessità poi di revisionare il processo legislativo e di renderlo ancora migliore, laddove sia possibile. Questa legge però va nella giusta direzione, perché in realtà, come abbiamo già detto, vuole coniugare la tutela degli interessi collettivi con quella che è la caratteristica principale delle Forze armate, ossia la sua specificità. Questo per far sì che prevalga sempre l'interesse del Paese su quello del singolo, del singolo lavoratore, nell'ottica della difesa del nostro Stato, oggi ancor più sentita e necessaria. Lo abbiamo detto: è stato, è e sarà un esercizio complesso, però fino ad ora credo che sia stato fatto un grande lavoro perché si è cercato comunque di coniugare e di rispettare la neutralità delle Forze armate e anche la necessaria unicità del vincolo di comando e quella necessaria prontezza di reazione rispetto ai vari pericoli. Oggi la storia, ahimè, ce lo sta insegnando. D'altra parte, i sindacati dal dopoguerra sono diventati la parte integrante della vita democratica soprattutto dei Paesi sviluppati quale è il nostro. Ben venga, allora, questo lavoro corale svolto dal Parlamento e, quindi, grazie ancora una volta. È evidente che la sentenza della Corte costituzionale ha segnato un po' il passo e ha accelerato anche i tempi. A fronte di questo cambio giurisprudenziale, nonché del vuoto normativo che si era creato e che si sarebbe creato, è emersa dunque la necessità di porre in essere però una regolamentazione puntuale della materia anche, come dicevamo prima, alla luce delle peculiari esigenze di coesione interna e di neutralità che contraddistinguono le Forze armate. Il relatore ha già messo bene in evidenza i punti chiave della legge. Mi piace solamente sottolineare, anche un po' in contrasto alle parole del collega Deidda, che stimo e che mi ha preceduto, che è importante secondo me rafforzare, soprattutto in questo momento, la presenza femminile nelle associazioni, al di là della demagogia, ma non vuole essere questo certamente il caso. Credo sia fondamentale dare un segnale anche nell'ambito della difesa, del comparto della sicurezza, di quanto la presenza femminile possa essere necessaria per completare la perfezione del sistema istituzionale. E poi mi piace ricordare anche alcuni emendamenti, alcuni cambiamenti migliorativi che sono stati apportati alla legge, anche grazie all'impegno di Italia Viva al Senato. Mi riferisco, ad esempio, alla trasparenza nel sistema di finanziamento, alla non interferenza, per così dire, delle attività delle associazioni sindacali rispetto ai compiti operativi. E poi anch'io vorrei sottolineare la necessità, l'importanza, che poi fu anche sottolineata dai Capi di stato maggiore durante le varie audizioni, rispetto alla giurisdizione del giudice amministrativo piuttosto che quello del lavoro per le controversie nel caso di cancellazione. Questo è necessario perché evita delle pronunce contrastanti che si potrebbero creare, e che quindi farebbero emergere e comporterebbero un vulnus a quella che è la compattezza e l'operatività delle Forze armate.

Non credo di dover aggiungere altro rispetto a quanto è stato già puntualmente messo in evidenza dal relatore, come ho detto, però ci tengo ancora una volta a sottolineare quanto sia importante oggi andare nella direzione di supportare, e quindi cercare di migliorare, il sistema e le istituzioni delle Forze armate, che tanto hanno fatto nel periodo del COVID, e ancora stanno facendo per noi, e quanto è importante il loro impegno tutti i giorni con la propria vita nei campi operativi, che sono purtroppo troppo spesso ancora caldi, e che ci ricordano che l'investimento nel settore della difesa e l'investimento nel campo della sicurezza è anche nel benessere del nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva, Partito Democratico e Forza Italia-Berlusconi Presidente e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 875-B?)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Scerra ed altri n. 1-00586 concernente iniziative in materia di disciplina di bilancio e governance economica dell'Unione europea (ore 16,47).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Scerra ed altri n. 1-00586 (Nuova formulazione) concernente iniziative in materia di disciplina di bilancio e governance economica dell'Unione europea (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservata alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Valentini ed altri n. 1-00610 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. È iscritto a parlare l'onorevole Scerra, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00586 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

FILIPPO SCERRA (M5S). Presidente, colleghe e colleghi, se da una parte il dibattito pubblico in questo momento ha come argomento principale, ahinoi, la guerra in Ucraina, dall'altra parte è anche vero che negli ultimi mesi, in tutti i consessi internazionali, si è iniziato a parlare della riforma della governance economica europea; in particolare, se n'è parlato al Consiglio europeo, se n'è parlato nell'ultimo Eurogruppo, se n'è parlato in seno alla Commissione europea. La Commissione europea sta preparando una proposta e siamo soddisfatti del fatto che il Commissario Gentiloni nell'ultima audizione, qui alla Camera, ha aperto alla possibilità di prorogare la sospensione del Patto di stabilità e crescita anche durante il 2023. Si parla di revisione delle regole fiscali europee anche all'interno della Conferenza sul futuro dell'Europa. Allora qual è l'obiettivo di questa mozione? L'obiettivo di questa mozione è quello di portare il dibattito sulle regole fiscali europee e sulla loro modifica anche nel Parlamento italiano. Non è stato fatto nell'ultimo anno e il MoVimento 5 Stelle pensa che sia importante che il Parlamento si esprima e che impegni il Governo.

Infatti, per la suddivisione dei poteri esecutivo e legislativo, quando il Presidente Draghi o, in generale, un Presidente del Consiglio va a trattare argomenti così importanti per il futuro dell'Italia e dell'Europa, come una revisione delle regole fiscali, è importante che vi sia il sostegno del Parlamento e impegni ben precisi da parte del Parlamento nei confronti dell'Esecutivo. Questo è l'obiettivo della mozione.

Come sappiamo, il sistema di governance economica europea è basato su un insieme di misure che partono dal Trattato di Maastricht del 1992 e hanno il loro fulcro nel Patto di stabilità e crescita del 1997. Poi il Patto di stabilità e crescita è stato modificato con dei regolamenti nel 2005 e a seguire è stato inserito nella Costituzione europea con il Trattato di Amsterdam del 2009. A seguire ci sono state ulteriori modifiche, con regolamenti e direttive, con i cosiddetti six pack e two pack, che lo hanno rafforzato nei suoi aspetti più stringenti relativamente alla sorveglianza macroeconomica degli Stati e, in particolare, al monitoraggio della sostenibilità dei debiti pubblici degli Stati stessi.

A marzo 2012 si è arrivati alla stipula del Fiscal Compact, dell'ormai famoso Fiscal Compact, cioè un trattato intergovernativo, quindi al di fuori della Costituzione europea, che rafforza ancora di più le regole fiscali e le rende ancora più stringenti. Quali sono i punti principali del Fiscal Compact? Innanzitutto, il pareggio di bilancio e la richiesta nei confronti degli Stati di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Oltre a questo c'è la regola del 3 per cento, che già era una regola contenuta nel Trattato di Maastricht. Poi c'è la regola del rapporto del 60 per cento del debito rispetto al PIL. E soprattutto, all'interno del Fiscal Compact, si richiede una velocità di convergenza e possiamo dire, in questa sede, Presidente, che è un qualcosa di insostenibile e di impraticabile: per quanto riguarda il nostro Paese, dovremmo ridurre il nostro debito pubblico di circa 5 punti percentuali all'anno nei prossimi anni, ciò significa 90 miliardi di euro in meno di debito pubblico. Questo ci fa comprendere quanto sia insostenibile quello che c'è scritto nel Fiscal Compact e in queste regole fiscali europee.

Il Fiscal Compact - dato che siamo in una fase di discussione generale, ho fatto un po' la cronistoria di quello che è successo - è stato firmato durante il Governo Monti e nel 2012 è stato approvato dalla Camera e dal Senato. Il Governo Monti era sorretto da una maggioranza molto eterogenea, di cui facevano parte il PD e il Popolo della Libertà. Per intenderci, quando il Fiscal Compact è stato approvato, anche il presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, faceva parte di quella maggioranza che ha approvato il Fiscal Compact in questo Parlamento.

Anche il pareggio di bilancio, che è stato inserito in Costituzione sempre nell'anno 2012, è stato sostenuto da tutta la maggioranza che sosteneva il governo Monti, con relatore Giancarlo Giorgetti, quindi anche la Lega ha spinto perché il pareggio di bilancio fosse inserito in Costituzione. Mentre queste forze politiche facevano questo tipo di operazioni, c'era un'altra forza politica fuori, che si chiamava MoVimento 5 Stelle, Presidente, che si batteva e che diceva che quelle regole fiscali erano sbagliate. Questa forza politica è il MoVimento 5 Stelle, che ancora oggi continua a sostenere che queste regole sono sbagliate. Finalmente non siamo più soli, finalmente non siamo più isolati, finalmente in tanti si sono resi conto che avevamo ragione e che queste regole vanno cambiate!

Questo è successo nella storia, Presidente. Il MoVimento 5 Stelle ha sempre sostenuto che gli scarsi margini fiscali che gli Stati potevano avere, nonché le politiche restrittive cui erano costretti, avrebbero pregiudicato la sostenibilità del debito pubblico giusto di quegli Stati che avevano elevati debiti pubblici e che avrebbero avuto bisogno di politiche espansive ed anticicliche per incrementare gli investimenti e per rilanciare la propria economia, e che questo avrebbe acuito le disuguaglianze economiche e ampliato i conflitti sociali.

Purtroppo, negli ultimi quindici anni è successo esattamente quello che avevamo detto. Non siamo stati in grado di affrontare le crisi in maniera ottimale. Quindi la battaglia del MoVimento 5 Stelle contro queste regole era una battaglia giusta, Presidente, e ci tenevo a ribadirlo qui. Non siamo stati ascoltati.

Poi si è arrivati all'anno 2020. A marzo del 2020, purtroppo, abbiamo avuto l'emergenza pandemica, sappiamo tutti quello che è successo. L'emergenza pandemica ha avuto delle ripercussioni economiche, sociali e sanitarie su tutta l'Europa, direi su tutto il mondo, ma inquadriamo sul continente europeo il tutto. E allora che cosa è successo? C'è stata l'esigenza di mettere a fattor comune gli sforzi di tutti i vari Stati europei per poter rispondere a questa esigenza, a queste ripercussioni di cui parlavo. E possiamo ben dire che l'Italia è stata protagonista in quel momento, Presidente, è stata protagonista perché a luglio 2020 abbiamo ottenuto un grandissimo risultato: a luglio 2020 non abbiamo ottenuto soltanto i 200 miliardi di euro di Next Generation EU, non abbiamo ottenuto soltanto un fondo con l'emissione di debito pubblico comune, ma abbiamo ottenuto la trasformazione in senso solidale dell'Unione europea. Questo grazie alla pressione del MoVimento 5 Stelle e grazie al lavoro di Giuseppe Conte. È stato un risultato eccezionale, che ha cambiato l'Europa, che ha messo da parte le politiche di austerità e che ha modificato il concetto di economia e di solidarietà tra gli Stati europei. Questo è un risultato molto importante.

Nel 2021, infatti, grazie a Next Generation EU, ma anche grazie alla grande liquidità immessa da parte della Banca centrale europea, grazie a SURE, alla Banca europea per gli investimenti, grazie all'alleggerimento della disciplina sugli aiuti di Stato, grazie alle politiche nazionali, siamo riusciti a erigere una cintura di protezione nei confronti dei lavoratori, nei confronti delle aziende, nei confronti delle famiglie, tant'è vero che, mediamente, gli Stati europei sono tutti cresciuti e l'Italia, in particolare, è cresciuta del 6,5 per cento, nonostante le grandissime difficoltà. Quindi è stato un anno di rilancio dell'economia del continente europeo.

Purtroppo, nella parte finale di quell'anno, anche a causa della pandemia a dir la verità, è subentrata un'altra problematica enorme: l'incremento dei prezzi delle materie prime e l'incremento dei prezzi di energia elettrica e gas. Questo incremento, purtroppo, è stato acuito dal contesto geopolitico e da quello che sta succedendo in Ucraina. La cosiddetta pandemia energetica, che ci costringe a rivedere il ruolo dell'Italia e dell'Europa nel contesto globale e ci costringe a rivedere quelli che sono i flussi energetici della geopolitica mondiale. Di fronte a questo tipo di problematica così grande, di fronte alle altre sfide come la transizione ecologica, la transizione digitale, l'abbattimento necessario dei divari sociali e territoriali, e la necessità di migliorare la resilienza degli Stati, non possiamo assolutamente permetterci, dal 1° gennaio 2023, di tornare a quelle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita, per come lo conosciamo. È impossibile, è insostenibile. E quindi dobbiamo necessariamente arrivare a modificare quelle regole, oppure, nel frattempo, a prorogare questa sospensione del Patto.

E vado agli impegni di questa mozione. Il primo impegno dice esattamente questo: invitiamo il Presidente del Consiglio, quando andrà ai tavoli europei, ad insistere perché ci sia una proroga della sospensione del Patto di stabilità e crescita, mentre si discutono gli altri punti, perché gli Stati devono avere la necessaria flessibilità dei loro bilanci per poter affrontare i postumi della pandemia sanitaria, la pandemia energetica e le nuove sfide geopolitiche che ci attendono.

Il secondo punto - un secondo impegno per noi molto importante - riguarda la possibilità di rendere Next Generation EU uno strumento strutturale, uno strumento stabile, di sussidio e di supporto agli Stati europei. Quindi uno strumento strutturale che si riferisca al bilancio europeo, che deve essere alimentato con nuove risorse proprie e con l'emissione di bond comuni europei.

Un altro punto per noi fondamentale, che riguarda esattamente la pandemia energetica: bisogna andare ai tavoli europei e insistere con forza perché sia istituito un fondo straordinario europeo, un Energy Recovery Fund che possa aiutare le famiglie e le imprese che in questo momento stanno soffrendo per la pandemia energetica, per l'innalzamento delle bollette di energia elettrica e gas.

Questo fondo straordinario deve servire per aiutare famiglie e imprese, ma anche per investire in maniera forte sulle energie rinnovabili; sono quelle che ci renderanno indipendenti dal punto di vista energetico nel futuro e con le quali dobbiamo arrivare, al 2050, alla neutralità climatica, ma, allo stesso tempo, dobbiamo investire per diversificare gli approvvigionamenti energetici, dobbiamo investire per mettere a fattor comune gli stoccaggi di gas e ottimizzarli e per avere acquisti di energia comuni a livello europeo. Solo così possiamo arrivare a essere indipendenti dall'esterno, dall'estero, dalla Russia. Questo è un punto molto importante, che è scritto nero su bianco nella mozione e sul quale il MoVimento 5 Stelle si esprime già da una quindicina di giorni, e speriamo che l'Europa ci ascolti. Noi insistiamo, anche in questa mozione.

Un altro punto molto importante riguarda i parametri 3 per cento e 60 per cento. Rapporto deficit-PIL, massimo 3 per cento, debito-PIL, 60 per cento: sono numeri che non hanno nessun tipo di giustificazione scientifica, sono numeri che sono irrealizzabili e che non sono adatti e coerenti con le specificità degli Stati europei. Bisogna eliminarli, come bisogna eliminare la fase preventiva e correttiva del Patto di stabilità e crescita. Bisogna inserire parametri che siano sperimentabili, che siano tangibili e non parametri come l'output gap o la crescita potenziale che non sono comprensibili e che gli stessi economisti hanno difficoltà a comprendere. Quindi, bisogna cambiare questa parte del Patto di stabilità e crescita.

Un ulteriore punto che per noi è molto importante è lo scorporo degli investimenti pubblici produttivi dal calcolo del deficit. Investire in transizione digitale, in transizione ecologica non deve essere limitato da parametri o calcoli che ci sono a livello di Unione europea, dobbiamo dare la possibilità di investire. Un calcolo fatto a Bruxelles prevede che, per raggiungere i nostri obiettivi di transizione ecologica, noi abbiamo bisogno di investire per 650 miliardi di euro l'anno, a livello europeo, da qui al 2030. Non possiamo avere quel tipo di vincoli.

In ultimo, chiediamo al Governo di andare ai tavoli europei per valutare la possibilità di scorporare il debito accumulato dai vari Stati durante il periodo COVID e di prevederne, se possibile, la cancellazione o la perennizzazione o, comunque, un piano di rientro ad hoc. Questi sono punti importanti, che cambierebbero completamente le priorità all'interno del Patto di stabilità e crescita. È questo che chiediamo al Presidente del Consiglio, è questo che chiediamo al Governo: cambiare le priorità, non più stabilità e crescita, ma sostenibilità, solidarietà e sviluppo. Su questi punti, il MoVimento 5 Stelle insiste e insisterà nei prossimi mesi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elvira Savino, che illustrerà anche la mozione Valentini ed altri n. 1-00610, di cui è cofirmataria.

ELVIRA SAVINO (FI). Grazie, Presidente. Nel febbraio 2020, con la comunicazione COM (2020)55 sul riesame della governance economica dell'Unione, era stato avviato il dibattito sul suo funzionamento e sull'efficacia nel raggiungimento dei suoi obiettivi fondamentali. Lo scoppio della pandemia da Coronavirus e le urgenze che ne sono conseguite hanno portato alla temporanea sospensione di tale riflessione, che è stata recentemente rilanciata con la comunicazione COM (2021) 662, denominata, appunto, “L'economia dell'UE dopo la pandemia da COVID-19: implicazioni per la governance economica” dello scorso 19 ottobre 2021. Una riflessione che riguarda, tra l'altro, come diceva in precedenza il nostro collega, il Patto di stabilità e crescita, il fulcro della governance economica europea, che ha l'obiettivo di far rispettare i limiti concernenti il deficit pubblico, appunto al 3 per cento del PIL, ormai insostenibile, e il debito pubblico al 60 per cento del PIL, fissati dal Trattato di Maastricht.

Mentre credevamo di esserci liberati e lasciati alle spalle la pandemia, nella notte tra mercoledì 23 e giovedì 24 febbraio, è accaduto qualcosa di inimmaginabile, qualcosa che, indipendentemente dall'esito della vicenda, è destinato a incidere pesantemente sull'assetto geopolitico e sugli equilibri mondiali per il prossimo futuro. Ci eravamo illusi che le tragedie della Seconda guerra mondiale avessero reso gli europei consapevoli che con le armi non si risolvono le dispute internazionali. L'attacco, da parte della Federazione russa, all'Ucraina, una vera e propria guerra di aggressione, ci ha riportato alla triste realtà. Occorre sottolineare come l'Unione europea, l'Alleanza atlantica e il G7 abbiano mostrato, fin da subito, compattezza e coesione, un segnale forte e non scontato che, probabilmente, non era stato considerato dall'aggressore. La crisi ucraina, con i suoi già drammatici risvolti civili e i rischi di destabilizzazione dell'ordine mondiale, chiama l'Europa e ciascuno degli Stati membri all'assunzione di una responsabilità decisiva, a difesa della pace e della libertà dei popoli. Quanto sta accadendo in queste settimane rende improcrastinabile e urgente un'accelerazione di quel processo di costruzione della casa comune europea, di quel progetto federale di cui un'autentica politica economica unitaria, una difesa comune e una politica energetica coordinata sono pilastri fondamentali.

Lo scorso 10 e 11 marzo, i leader della UE, in occasione del Consiglio europeo straordinario di Versailles, hanno adottato una dichiarazione in cui, oltre a ribadire la condanna dell'aggressione all'Ucraina, aggiungono quelle che vengono definite le tre dimensioni fondamentali delle reazioni dei Paesi UE al conflitto: rinforzare la capacità di difesa dell'Unione, ridurre le dipendenze energetiche e costruire una base economica più solida.

Per rafforzare la capacità di difesa vanno incrementate necessariamente le spese nel settore, destinando una quota significativa agli investimenti, con particolare attenzione alle carenze strategiche e sviluppando le capacità di difesa in modo collaborativo all'interno dell'Unione. Un primo concreto segnale lo avremo al prossimo Consiglio europeo, in cui verrà approvata la “bussola strategica”, che sarà il concetto che segnerà la politica europea strategica degli Stati membri dell'Unione.

Per quanto riguarda il fronte della dipendenza energetica, è stata ribadita la necessità di affrancarci quanto prima e il più rapidamente possibile dalla dipendenza dalle importazioni di gas, petrolio e carbone russi, diversificando sia il mix energetico sia le rotte di approvvigionamento. Parallelamente, va accelerato lo sviluppo delle energie rinnovabili, migliorata l'interconnessione delle reti europee del gas e dell'elettricità, l'efficienza energetica, la gestione del consumo di energia. Attenzione è stata posta anche sulla necessità di costruire una base economica più solida, anche attraverso la riduzione delle dipendenze strategiche dell'UE per quanto riguarda materie prime critiche, come i semiconduttori, il digitale, i prodotti alimentari.

Dal 2020, l'Unione europea, per affrontare la crisi pandemica da COVID-19, ha messo in campo strumenti davvero eccezionali a sostegno delle economie europee e, forse, vale la pena ricordarli: la sospensione delle regole di bilancio europee per effetto della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita, che dovrebbe cessare il 31 dicembre 2022; il Quadro temporaneo sugli aiuti di stato, adottato nell'aprile 2020, poi esteso e integrato più volte, che ha prorogato il regime di deroghe alla normativa UE fino al 30 giugno 2022, che si prevede di estendere e prorogare ancora ulteriormente a causa della crisi ucraina; il Next Generation EU, un fondo europeo per la ripresa, con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro da impiegare nel periodo 2021-2026 sulla base dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, che comprende riforme e progetti di investimento pubblici.

È su queste premesse che si sta sviluppando il dibattito sulla riforma della governance economica europea e che, nel giro dei prossimi mesi, dovrebbe condurre alla formalizzazione di proposte concrete su temi quali la riforma delle regole di bilancio dell'UE, il completamento dell'unione bancaria e dell'unione dei mercati di capitali, la creazione di una capacità di bilancio dell'Unione e l'individuazione di una strategia di crescita che tenga conto delle transizioni digitali e ambientali, oltre che delle prossime sfide che l'Unione europea dovrà affrontare. È indubbio che sul tema della revisione delle regole di governance economica si registrano posizioni diverse tra i diversi Stati membri, pur essendo condivisa l'esigenza di dover procedere a una maggior trasparenza e semplificazione delle stesse regole. Il tema divisivo, invece, è quello di un eventuale allentamento ovvero di una modifica dei vincoli di bilancio.

Sappiamo tutti che abbiamo i cosiddetti Paesi frugali, da una parte, che ritengono che le regole del Patto non siano già sufficientemente flessibili per adeguarsi alle differenti situazioni economiche dei diversi Stati membri, dall'altra, invece, ci sono Paesi, come l'Italia o la Francia, che ritengono che le regole debbano essere necessariamente riformate perché sono inadeguate per sostenere il nuovo scenario macroeconomico che risulta dalla crisi pandemica e, non da meno, da quella che è derivata dalla crisi ucraina e, quindi, inidonee, in questo momento, a sostenere la crescita. In questo contesto, va ricordato l'intervento del 23 dicembre scorso, pubblicato sul Financial Times, del Presidente del Consiglio Mario Draghi e del Presidente della Repubblica francese Macron, nel quale hanno tracciato una direttrice politica, con lo scopo di rafforzare la strategia comune europea sulla crescita e gli investimenti necessari ad affrontare le future sfide dell'Unione. In particolare, i due Presidenti hanno sostenuto che le regole di bilancio dell'UE vanno riformate, perché troppo opache, eccessivamente complesse e hanno limitato il campo d'azione dei Governi durante la crisi pandemica, non hanno creato gli incentivi giusti per dare priorità alla spesa pubblica che guardi al futuro e rafforzi la sovranità europea, come la spesa per gli investimenti pubblici, quella che il Presidente Mario Draghi aveva definito “debito buono”.

Se è, infatti, indispensabile ridurre i livelli di indebitamento - e di questo siamo tutti consapevoli - ciò deve avvenire però senza aumenti di tasse, senza soffocare la crescita attraverso aggiustamenti di bilancio che sono oggettivamente impraticabili. Occorrono riforme strutturali, che abbiano la cifra della ragionevolezza e che non impediscano gli investimenti necessari. Il debito per finanziare tali investimenti dovrà essere favorito dalle regole di bilancio, dato che questo tipo di spesa pubblica contribuisce nel lungo periodo alla sostenibilità del debito stesso. Infine, per quanto riguarda il Next Generation EU, come si diceva, dovrebbe essere reso uno strumento permanente, perché rappresenta, a detta dei due Presidenti, un utile modello per il futuro. Una riforma della governance economica, poi, deve tenere in considerazione un approccio olistico, unitario, prevedere una riforma delle regole di bilancio europee in chiave evolutiva, rispetto al quadro normativo precedente. Va perseguita la strada di un secondo Next Generation EU, orientato al finanziamento degli investimenti nel cosiddetto hard power, all'autonomia strategica della UE, quindi, difesa, cybersicurezza, indipendenza energetica e tecnologica nei settori strategici. Occorre applicare il principio del borrow to spend, per cui la Commissione reperisce risorse mediante eurobond, che vengono poi cedute agli Stati a fondo perduto.

Una modifica delle regole sul deficit deve creare adeguati spazi di bilancio necessari al finanziamento degli investimenti anche per la transizione digitale ed ambientale, rendendo permanente uno strumento di finanziamento degli investimenti in beni pubblici europei a partire dal 2027, finanziato attraverso nuove risorse proprie del bilancio dell'Unione e l'emissione - è questo l'obiettivo finale - di debito comune.

In ogni caso, la riforma della governance economica dell'Unione europea deve consentire agli Stati membri percorsi di rientro dal loro debito più sostenibili e, soprattutto, legati alla dinamica di riduzione del rapporto debito-PIL.

Una revisione complessiva della politica di bilancio dell'area euro non può non prevedere anche una modifica dei trattati, affinché recepiscano i suggerimenti espressi dalla Conferenza sul futuro dell'Unione europea. In tale ambito, andrebbero percorse le strade per portarci alla creazione di un Ministero delle Finanze europeo e alla modifica dei meccanismi di voto, riducendo il ricorso al potere di veto, che inibisce l'assunzione di tantissime decisioni, e allargando le materie per le quali sia previsto un meccanismo decisionale a maggioranza.

La pandemia da COVID-19 e la crisi ucraina hanno messo l'Unione europea di fronte alla necessità di prendere decisioni in maniera rapida, decisioni importanti e coraggiose, rispetto alle quali non c'è possibilità di attendere. Abbiamo dimostrato di fronte alle emergenze di essere uniti, di riuscire a essere coesi, di anteporre gli interessi comuni rispetto a quelli dei singoli Stati membri. È giunto il momento di dimostrare queste doti anche nel progettare l'ordinarietà del nostro sviluppo futuro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Luca. Ne ha facoltà.

PIERO DE LUCA (PD). Grazie, Presidente. Il dibattito di oggi, relativo a questa mozione, è molto interessante e riguarda la governance economica dell'Unione europea. È una questione che si è indissolubilmente legata negli ultimi anni agli avvenimenti di portata storica, con cui siamo stati costretti a misurarci. Un dibattito si era già avviato nel febbraio 2020, con la comunicazione n. 55 della Commissione, legata alla necessità di modificare l'attuale sistema di governance per essere in grado di affrontare le sfide future. Questa discussione è stata sospesa per le ragioni legate alla crisi pandemica, che ha colpito il nostro continente e l'intero pianeta.

Pure in questa fase, nonostante si sia interrotto il dibattito politico legato alle riforme di governance necessarie per ristrutturare l'architettura economico-finanziaria dell'Unione europea, qualcosa di straordinario è accaduto. L'Unione europea in poche settimane ha avuto la capacità di rispondere ad una crisi inaspettata e drammatica, quale quella sanitaria, con azioni e misure straordinarie. Ricordiamo sempre i tre mesi fino all'ultimo Consiglio famoso, durato quattro giorni, in cui è stato adottato, da ultimo, il programma Next Generation EU; in tre mesi l'Unione europea è stata in grado di adottare misure e strumenti di governance, di riforma economica più rivoluzionari di quanti non ne siano stati adottati nei precedenti trent'anni. Qualcosa è cambiato. Qualcosa è cambiato nell'approccio politico, con cui i leader, i capi di Stato e di Governo, si sono confrontati, e nell'approccio che ha caratterizzato la comune condivisione delle sfide che abbiamo dinanzi, sfide che possono essere affrontate e risolte a livello nazionale solo all'interno di un quadro e di un'architettura europea.

Senza l'Unione europea siamo più deboli, più fragili e più esposti alle crisi e alle difficoltà del nostro tempo. Questo è il messaggio politico che è emerso e che è stato rilanciato dai Capi di Stato e di Governo, a sostegno dell'azione delle istituzioni comunitarie, tradizionalmente comunitarie. Se tutto questo è stato possibile, se delle azioni e delle misure straordinarie sono state adottate, è anche grazie alla straordinaria tenacia e determinazione di alcuni uomini, che hanno rappresentato in modo egregio ed esemplare le istituzioni europee. Penso al Presidente del Parlamento europeo David Sassoli (Applausi), cui rivolgiamo un ringraziamento e un caloroso ed emozionato tributo e ricordo, per il contributo decisivo che ha avuto rispetto all'adozione di alcune misure straordinarie e rivoluzionare.

Le ricordiamo brevemente, perché sono il punto di partenza della discussione che dovremo essere in grado di portare avanti da qui ai prossimi mesi e nei prossimi anni. Da un lato, è stata sospesa, dopo decenni di discussione al riguardo, l'applicazione e l'attuazione del Patto di stabilità e crescita; è stata applicata una clausola di salvaguardia, ancora oggi in vigore, che ha consentito agli Stati membri di mettere in campo misure economiche straordinarie e importanti per sostenere le proprie comunità, le proprie economie, le famiglie, le imprese e i lavoratori, rispetto a una crisi che rischiava di essere davvero drammatica, da un punto di vista non solo economico, ma anche e soprattutto sociale.

A questa misura è stata affiancata una modifica delle norme sugli aiuti di Stato, per poter aiutare e sostenere in modo diretto, con contributi, sovvenzioni e sostegni diretti, aziende e imprese che erano toccate, per esempio, dalle misure adottate di carattere sanitario, come le restrizioni o le limitazioni o, addirittura, in alcuni casi, il lockdown per alcuni particolari momenti di difficoltà.

Sono stati approvati, adottati e applicati acquisti straordinari di titoli di debito pubblico, cosiddetti acquisti pandemici, acquisti di titoli di debito pubblico da parte della BCE. Siamo arrivati a circa 1.850 miliardi di programma di acquisto di titoli di debito pubblico, che hanno consentito di stabilizzare e mettere in sicurezza il sistema finanziario di Stati e di Paesi particolarmente esposti, da un punto di vista di debito pubblico, sui mercati finanziari, come proprio il nostro Paese. Una serie di misure di salvaguardia e di tutela, una rete di protezione, che ha consentito di mettere in sicurezza Stati e comunità in una fase drammatica da un punto di vista sanitario.

A queste misure se ne sono affiancate altre, anch'esse rivoluzionarie. La prima è quella del cosiddetto programma SURE, di sostegno agli ammortizzatori sociali adottati nei Paesi europei. La crisi pandemica ha colpito, purtroppo, soprattutto i lavoratori, dipendenti e autonomi, in particolare le donne. A questi lavoratori, a queste donne e a questi uomini, gli Stati hanno voluto e dovuto dare un sostegno, che l'Unione europea ha consentito di mettere in campo con risorse europee. Per la prima volta è stato adottato un programma di acquisti di titoli di debito pubblico - in questo consiste il programma SURE - rivolti a sostenere ammortizzatori sociali nei vari Stati membri. Sono circa 30 milioni i lavoratori che hanno potuto beneficiare di un sostegno e di un supporto di carattere sociale da parte degli Stati, grazie all'intervento dell'Unione europea, grazie a una misura espressamente prevista, immaginata e realizzata dal commissario agli affari economici Paolo Gentiloni. Una misura rivoluzionaria, che noi rivendichiamo come un grande successo tra quelle adottate dall'Unione europea e che ha prodotto risultati molto, molto importanti.

Accanto a queste misure, è stato approvato un programma di acquisti e di investimenti, da parte della Banca europea per gli investimenti, e un programma di sostegno pandemico all'interno del cosiddetto MES (Meccanismo europeo di stabilità), 240 miliardi di euro rivolti a spese e investimenti di carattere sanitario, cui però pochi Stati membri hanno aderito, ma che erano lì, a disposizione di coloro i quali avessero avuto necessità nell'immediato di risorse da immettere per il rafforzamento del proprio sistema sanitario nazionale. Una rete, anche questa, di protezione, che è stata decisiva per accompagnare la reazione e la risposta, non solo sanitaria ma anche economica, sociale e finanziaria, alla pandemia.

Da ultimo, a questo quadro complesso di misure, si è affiancata l'adozione del programma oggettivamente più straordinario e rivoluzionario adottato in questi mesi passati: il programma Next Generation EU.

È stato ricordato da tanti altri colleghi: 750 miliardi di euro messi a disposizione degli Stati per ricostruire le proprie economie, le proprie società, per rendere più resilienti le proprie comunità nella ricostruzione dopo la pandemia, ottenuti attraverso l'emissione di titoli di debito comune, i cosiddetti eurobond; 750 miliardi di euro rivolti in particolare all'Italia che, lo ricordiamo, è stato il primo Paese beneficiario di questo programma di investimenti e di riforme, un programma che si fonda sulla negoziazione e su un impegno da parte degli Stati membri a portare avanti una serie di investimenti in alcuni settori strategici, che sono quelli della transizione ambientale, della transizione digitale e della coesione sociale e territoriale, affiancato, però, a un programma di riforme strutturali di cui il nostro Paese, in particolare, ma anche tanti altri Paesi hanno bisogno.

Nel nostro Paese si parla della riforma del mercato del lavoro, della riforma del sistema della concorrenza, della riforma del sistema giudiziario, della riforma del sistema fiscale; c'è tutta una serie di interventi che il nostro Paese ha, in parte, già avviato e realizzato e, in parte, si predispone a realizzare nei prossimi anni per poter utilizzare le risorse del Next Generation EU. L'abbiamo sempre detto, è un programma rivoluzionario che però affida la responsabilità nell'utilizzo di queste risorse e nell'erogazione stessa delle risorse agli Stati membri e alla capacità degli Stati di poter raggiungere i cosiddetti target, obiettivi intermedi e finali. L'Italia da questo punto di vista è stata in prima linea nella capacità di presentare un Piano nazionale di ripresa e resilienza considerato valido, approvato dalla Commissione europea e poi dal Consiglio, ed è stata tra i primi Paesi che hanno avuto la possibilità di ricevere l'erogazione della prima tranche di risorse.

Ora, siamo impegnati in questa azione complessiva di sistema per poter cogliere questa che è un'opportunità storica - come abbiamo definito - per il nostro Paese. Da qui partiamo; questo è quanto realizzato in questi due anni di pandemia. Sembra passata un'eternità, in realtà sono passati solo due anni e sono passati due anni in una fase di emergenza drammatica, ma l'Unione europea è cambiata profondamente. Ecco il contesto politico, economico e finanziario all'interno del quale si situa e si colloca la discussione che oggi portiamo avanti; una discussione complessa che viene da decenni di riflessioni e di dibattiti, ma che oggi assume un significato molto, molto particolare, ancor più considerando, purtroppo, la crisi drammatica, gli scenari di guerra drammatici in Ucraina che rendono ancora più urgente una riflessione complessiva sulla capacità dell'Unione europea di essere resiliente, di essere autonoma, di essere autorevole e di essere sovrana. Il dibattito che sta nascendo sull'autonomia strategica dell'Unione europea, sull'autorevolezza internazionale dell'Unione, sull'indipendenza economica, industriale e politica, sugli aspetti legati alla difesa europea, sugli aspetti legati all'autonomia energetica, cambierà profondamente il verso e la direzione di marcia dell'Europa.

Noi dovremo avere la capacità di affrontare questo dibattito e di portare avanti queste sfide con la consapevolezza che siamo davvero dinanzi a un tornante storico; abbiamo la possibilità di lasciare tutto così com'è, abbiamo la possibilità di non toccare nulla, ma rimarremmo un'unione, un'aggregazione di Stati sovrani; abbiamo, invece, dall'altra parte, la capacità di realizzare quel progetto verso gli Stati Uniti d'Europa, cui noi tendiamo per rendere davvero l'Unione in grado di essere soggetto, in grado di affrontare in maniera autorevole, credibile e forte le sfide del nostro tempo. Le sfide sono quelle che stiamo vedendo in queste ore e in queste settimane.

È un'Europa che innanzitutto punta a difendere principi, valori, diritti, libertà fondamentali, quali il principio di democrazia e di libertà, la pace, l'integrità territoriale e la sovranità nazionale; sono principi che, all'interno dell'Unione europea, sono considerati inalienabili e sono princìpi assoluti che l'Europa ha inteso difendere con forza, forse, assicurando una reazione che non tutti potevano immaginare essere così tempestiva e così compatta. Che cosa è successo in queste settimane? L'Unione ha adottato innanzitutto un pacchetto di sanzioni, tra le più rigorose mai approvate nella storia dell'integrazione europea, che ha colpito banche, istituzioni finanziarie, organizzazioni, persone fisiche e oligarchi legati al regime russo; sanzioni che stanno avendo un'efficacia deterrente nei confronti dell'azione militare, inaccettabile, illegittima e intollerabile messa in campo dalle autorità russe, ma che mirano anche a drenare risorse rispetto all'azione militare e a persuadere il regime ad aprire un negoziato reale, serio e concreto per una soluzione di pace diplomatica a questa crisi. Accanto a queste sanzioni, sono state adottate, poi, delle misure di aiuti e sostegni finanziari, economici, forti, all'Ucraina ed è stata poi approvata e applicata per la prima volta una direttiva sulla protezione temporanea dei rifugiati. Per la prima volta, la direttiva 2001/55/CE trova applicazione per dare solidarietà e accoglienza a chi fugge dalla guerra all'interno del continente europeo. Queste misure stanno producendo ovviamente un impatto politico, economico e finanziario rispetto alla Russia, ma hanno prodotto e stanno producendo, insieme allo scenario complessivo geopolitico di guerra, delle implicazioni economiche e finanziarie molto rilevanti anche all'interno degli stessi Stati membri: c'è una volatilità dei mercati, un aumento del prezzo delle materie prime, un aumento del prezzo dell'energia, del gas; stanno producendo delle asimmetrie determinate da uno shock esterno che produce appunto effetti che rischiano di essere asimmetrici ancora una volta all'interno degli Stati nazionali. Per questa ragione si sta ragionando, anche in questa fase, sulla possibilità di continuare ad adottare delle misure di carattere economico e finanziario straordinarie. In primo luogo, il dibattito è aperto e aspetteremo le comunicazioni di primavera della Commissione, ma noi riteniamo opportuno, utile e - diremmo - necessario continuare a mantenere la proroga della sospensione del Patto di stabilità e crescita, perché abbiamo bisogno di continuare a dare ossigeno alle nostre economie e di evitare politiche restrittive che rischierebbero davvero di avere un effetto devastante e drammatico sulla nostra economia. Allo stesso tempo, si sta ragionando - noi la sosteniamo con forza - sull'approvazione di un nuovo schema di aiuti di Stato per sostenere e supportare le aziende che maggiormente stanno pagando i costi del rialzo delle materie prime e dell'energia, le aziende cosiddette energivore che rischiano davvero di avere degli effetti drammatici, devastanti sulle proprie attività e sulle proprie azioni. Accanto a questo, stiamo chiedendo un fondo compensativo con degli strumenti finanziari e degli strumenti fiscali nuovi per aiutare gli Stati maggiormente in difficoltà. Queste sono delle misure di carattere contingente, ma accanto a queste è necessario portare avanti una strategia di riforma complessiva, partendo da quello che si è fatto finora ed è giusto, è opportuno ragionare su una revisione complessiva delle regole del Patto di stabilità. Lavorare per un Patto di crescita sostenibile, non più di stabilità e crescita, credo sia la traiettoria verso la quale dobbiamo puntare il nostro cammino. Un nuovo schema di politiche di bilancio che consenta di tenere insieme una traiettoria di graduale riduzione del debito con l'esigenza di non ridurre gli investimenti, soprattutto nei beni pubblici e in settori strategici delle nostre economie, affiancato alla capacità da parte dell'Unione europea di realizzare delle filiere industriali e produttive autonome, europee, per aumentare, rafforzare e consolidare la sovranità, l'autonomia e la resilienza del sistema industriale, economico e produttivo dell'intera Unione. È un'esigenza ormai inderogabile: è necessario affrontare il tema dell'energia e quello della difesa comune a livello europeo. Per portare avanti questi obiettivi e questi indirizzi di carattere politico sarà necessaria una riflessione sulla revisione complessiva delle regole del Patto di stabilità, che lo renda più semplice, più equilibrato e in grado di consentire al nostro Paese, all'interno dell'Unione, di guardare al futuro con la capacità di affrontare le sfide drammatiche che avremo davanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Papiro. Ne ha facoltà.

ANTONELLA PAPIRO (M5S). Presidente, colleghe e colleghi, le debolezze dell'attuale quadro di governance economica europea sono sotto gli occhi di tutti: norme eccessivamente complesse, anacronistiche e di scarsa applicazione che non sono riuscite a ridurre le divergenze all'interno dell'Unione europea, tanto meno a proteggere o stimolare gli investimenti pubblici a favore della crescita; regole che devono essere oggi ripensate alla luce del rinnovato contesto economico e delle sfide che l'Unione europea e i suoi Stati membri sono chiamati ad affrontare. Il Patto di stabilità, per come lo abbiamo conosciuto finora, ha condotto l'Europa verso politiche di austerità, creando profonde disparità all'interno dell'Eurozona; un vincolo incentrato molto sulla stabilità e poco sullo sviluppo e sulla crescita economica.

Presidente, l'emergenza sanitaria che ci ha colpiti ha messo in ginocchio tutte le Nazioni, costringendo gli Stati a far fronte ad una crisi economica senza precedenti. Le gravi ripercussioni asimmetriche che hanno causato perturbazioni in ambito sanitario, economico e sociale hanno determinato la necessità di adottare misure straordinarie. In questo quadro, con il “Governo Conte 2” abbiamo ottenuto in Europa il Recovery Fund, stabilendo, per la prima volta nella storia dell'UE, un meccanismo solidaristico in una logica di condivisione dei rischi a livello europeo, con bond comuni che hanno permesso di affrontare le conseguenze economiche di questa crisi. Un quadro che si è ulteriormente aggravato, dopo la crisi sanitaria ed economica, con la pandemia energetica, a cui il conflitto in Ucraina ha dato una drammatica accelerazione, con impatti disastrosi su famiglie e imprese e, più in generale, sull'economia degli Stati membri. Di fronte a questo scenario, il dibattito sulla revisione del quadro della governance deve essere pronto a queste nuove sfide. La mozione che stiamo esaminando impegna il Governo, in sede europea, a una revisione profonda del Patto di stabilità che vada nella direzione della sostenibilità e della solidarietà, quello di cui abbiamo bisogno adesso, un Patto che, nel 2023, non può tornare in vigore per come l'abbiamo conosciuto e che va profondamente modificato. In Europa, è già iniziata la discussione, ma, al momento, il dibattito pubblico nel nostro Paese è un po' a rilento. Bisognerebbe, invece, avviare questo confronto il prima possibile, cogliendo le opportunità offerte dal nuovo orientamento della Commissione: maggiore attenzione alla crescita sostenibile e agli investimenti, pur chiaramente salvaguardando i conti pubblici. L'Italia deve identificare negli investimenti come energia, digitale, sicurezza, che rappresenterebbero i beni pubblici, il proprio potenziale di crescita. Inoltre, deve tenere conto, nel quadro di una rinnovata governance economica dell'UE, dell'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali e degli obiettivi ambientali del Green Deal, conformemente agli impegni dell'UE in materia di clima, ambiente e sviluppo sostenibile, per rafforzare una ripresa sostenibile, inclusiva, ecocompatibile e digitale. Già due anni fa, nel settembre del 2019, il MoVimento 5 Stelle ha lanciato la proposta della regola verde, per escludere dal calcolo del deficit pubblico tutti quegli investimenti green che servono a dare impulso alla transizione ecologica, creando nuovi posti di lavoro e favorendo lo sviluppo di nuove tecnologie. La nostra proposta è una golden rule europea per gli investimenti sostenibili che incida concretamente dal punto di vista ambientale, ma anche sociale. Riteniamo di fondamentale importanza che i Governi continuino a investire nel sociale e nella transizione verde. L'attuale bilancio pluriennale dell'Unione europea 2021-2027 prevede che il 20 per cento del totale delle risorse siano destinate alla protezione dell'ambiente e della biodiversità e al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050. Dobbiamo mettere in piedi azioni concrete mirate ad abbracciare questa opportunità, non possiamo perdere più tempo. Lavoriamo quindi per un'Europa davvero più verde, combattiamo ogni pratica che possa minare questo obiettivo. In tal senso, dobbiamo camminare uniti e coerenti. Siamo, da sempre, impegnati in proposte a tutela dell'ambiente, sostenendo la green economy quale volano per la creazione di posti di lavoro. L'Italia ha un'ottima pratica da portare sui tavoli europei, ad esempio, il superbonus 110 per cento, che è stato fortemente voluto, come sapete, dal MoVimento 5 Stelle. Il superbonus 110 per cento è, infatti, un provvedimento che, in poco tempo, ci ha permesso di mettere a terra, in tempi rapidi, uno stimolo fiscale e un investimento mai visto nel nostro Paese; questo è innegabile, è sotto gli occhi di tutti. È la prima vera misura concreta che permette di fare una transizione ecologica integrale e deve essere la punta di diamante delle politiche verdi ed espansive in Italia e in Europa, dove - e questo tengo a sottolinearlo - ha trovato ampio consenso, al punto che si intende estenderlo a livello continentale. Allora, colleghi, dobbiamo dircelo chiaramente: il Patto di stabilità e crescita è un pilastro ormai anacronistico, va cambiato, e le misure del superbonus non devono essere computate ai fini del calcolo debito-PIL.

Sin dalla sua apparizione sulla scena politica nazionale, il MoVimento 5 Stelle è stato sempre dalla parte dell'ambiente, parte integrante del DNA della nostra forza politica. Abbiamo detto sì, e lo abbiamo fatto con convinzione, ad un programma basato sul risparmio energetico, sul riciclo, sull'economia circolare, sulla mobilità sostenibile, sulle eco-energie. Coerentemente con ciò, dal giorno del suo insediamento, il Governo “Conte 2” ha subito messo al centro della propria attività politica la salvaguardia dell'ambiente e la necessità di coniugarla con la crescita economica e l'occupazione. Nei primi mesi del nuovo Esecutivo, sono stati approvati importanti provvedimenti, tra cui la legge sul clima, improntata al contrasto degli sconvolgimenti climatici, con un fondo di 450 milioni di euro in 3 anni. Il Governo ha augurato il Green Deal italiano con una serie di misure in favore dell'ambiente; tra queste, rientrano gli incentivi per l'acquisto di veicoli a emissioni zero, incentivi per i commercianti che attrezzeranno green corner per vendere prodotti sfusi, la costruzione di corsie preferenziali per i mezzi pubblici, l'acquisto di scuolabus ecologici e la creazione di nuove aree verdi attraverso un programma di riforestazione urbana. Queste misure, seppur importanti, rappresentano una parte dei provvedimenti in materia ambientale, perché ci sono obiettivi fondamentali che dobbiamo perseguire, che dobbiamo assolutamente concretizzare, che sono mirati a riconvertire la nostra economia, ancora basata, ahimè, sull'uso di combustibili fossili. Dobbiamo puntare sulla sostenibilità.

Occorre ricordare inoltre che, oltre alla legge sul clima, il Governo “Conte 2” ha varato il “disegno di legge Salva mare” attualmente all'esame della Camera. Il Green Deal ha assunto una grande centralità, questo lo dobbiamo comprendere, come mai avvenuto nelle politiche governative del nostro Paese, nel disegno di legge di bilancio 2022, che dovrebbe improntare la quarta rivoluzione industriale. Rimaniamo, quindi, fermamente convinti che puntare su una politica economica basata sulla sostenibilità ambientale sia un'occasione irrinunciabile non solo per l'Europa, ma per il mondo intero. La rapidità con cui evolve la crisi climatica in atto potrebbe ben presto comportare serie conseguenze per l'economia globale, diventando un ulteriore pesante fattore di stabilità politica mondiale, una seria minaccia per l'umanità. Dovremmo essere tutti d'accordo in tal senso, sulla necessità di superare le divisioni nazionali su quei temi e puntare con convinzione sul Green Deal europeo, divergenze che devono essere assolutamente superate; una risposta al tempo stesso efficace e necessaria alla crisi climatica e a quella energetica acuita in questi giorni dall'attacco russo all'Ucraina. L'economia circolare, l'efficienza energetica, le fonti rinnovabili sono strumenti preziosissimi per rimuovere alla radice molte cause dell'instabilità politica ed economica, attuale e futura. Sono soluzioni, in grado di portare benefici immediati e, al tempo stesso, di tutelare gli interessi delle future generazioni, come, del resto, stabilisce la nostra Carta fondamentale, appena rinnovata.

In conclusione, Presidente, ancor più in questo tempo di conflitto e pericolo per la nostra società, dobbiamo concentrare energie e risorse su questi strumenti di pace e sostenibilità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Gadda ed altri n. 1-00573 concernente iniziative in materia di Servizio civile universale (ore 17,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Gadda ed altri n. 1-00573 concernente iniziative in materia di Servizio civile universale (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Baldino ed altri n. 1-00611 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Marco Di Maio, che illustrerà anche la mozione n. 1-00573, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO DI MAIO (IV). Grazie, Presidente. Saluto la Ministra, la collega Dadone. Penso che questo sia un tema molto rilevante. Noi, come Italia Viva, abbiamo voluto accendere i riflettori sulla condizione del servizio civile universale nel nostro Paese. Lo ha fatto, in primo luogo, la collega Maria Chiara Gadda, scrivendo assieme a noi questa mozione. Lo facciamo nella convinzione che si tratti di un servizio molto rilevante per la qualità della nostra democrazia, ma soprattutto per le opportunità che noi vogliamo offrire ai giovani. Quando parlo di opportunità non mi riferisco tanto alle eventuali opportunità di carattere lavorativo che possono scaturire da queste esperienze, quanto piuttosto alle opportunità di crescita, di arricchimento personale e di arricchimento dovuto allo svolgimento di esperienze veramente formative. Soprattutto, come più volte è stato detto, pensiamo al servizio civile universale come a una palestra di valori, una palestra di solidarietà, una palestra che aiuti i nostri ragazzi a essere cittadini maggiormente consapevoli del contesto in cui vivono.

Si tratta di un servizio che è stato messo al centro delle politiche attuate nella precedente legislatura, in particolare con una riforma molto significativa che ha rappresentato, da un certo punto di vista, una svolta storica per questo servizio, soprattutto laddove lo ha trasformato in un servizio di tipo universalistico, quindi rivolto veramente a tutti i ragazzi, a tutte le giovani generazioni del nostro Paese. Tra i settori maggiormente interessati, vanno segnalati l'assistenza alla persona, l'educazione, la promozione culturale e quella dello sport, tra l'altro con una netta prevalenza di partecipazione femminile, con quasi il 61 per cento di giovani donne coinvolte in questo servizio, che riguarda i ragazzi tra i 18 e i 28 anni.

La riforma del servizio civile si lega anche alla riforma approvata, sempre nella scorsa legislatura, del Terzo settore, che ha un ruolo determinante nel nostro Paese per tantissimi aspetti. Ora sarebbe facile dilungarsi su quanto il lavoro che svolgono gli operatori del Terzo settore è molto spesso sussidiario a quello che dovrebbero svolgere gli enti pubblici locali; altre volte è in alleanza con essi, ma è sempre dalla parte delle persone e sempre, soprattutto, rivolto a creare bene comune e a dare risposte ai cittadini. Il Terzo settore ha un ruolo strategico e fondamentale anche in questa fase delicatissima che stiamo vivendo per effetto della guerra in Ucraina, che porterà evidentemente anche nel nostro Paese una quantità enorme, molto superiore all'entità che registriamo oggi, di profughi di guerra, che andranno accolti. Evidentemente, in questo caso, come in tante altre emergenze e come in tante altre situazioni difficili, il ruolo del Terzo settore sarà decisivo.

Ma lo è, tornando all'oggetto della mozione, in maniera molto rilevante nella gestione, nell'attuazione e anche - e noi pensiamo debba esserlo di più - nella programmazione e co-progettazione dei progetti e delle politiche legati al servizio civile universale. Peraltro, a questo proposito, si è istituita anche una consulta del servizio civile universale, che riteniamo possa avere un ruolo maggiore rispetto a quello che ha svolto finora, proprio perché di aiuto e sostegno alle istituzioni nel far sì che questo servizio possa davvero diventare universale a tutti gli effetti. A questo proposito, il cuore della mozione che noi presentiamo pensiamo - partendo anche dal fatto che nel PNRR, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci sono ben due Missioni in cui è inserito - sia fondamentale a potenziare il servizio civile universale attraverso l'incremento del numero di ragazze e ragazzi che possono essere coinvolti e anche a puntare ad un innalzamento della qualità dei progetti che vengono proposti ai nostri giovani. Quindi, nel voler potenziare il servizio civile universale, vogliamo anche porre l'accento su alcuni nodi che devono essere sciolti e faccio un esempio molto concreto, citato peraltro nella mozione. Per la realizzazione di 2.818 progetti sul territorio nazionale e all'estero, nel corso del 2021 è stato pubblicato un bando per la selezione di circa 56 mila operatori volontari, che corrispondono grosso modo al 40 per cento dell'effettivo interesse manifestato dai giovani. Questo bando ha comunque offerto una disponibilità di posti per poter svolgere il servizio civile, che è un servizio - ricordo - alla nostra comunità a tutti gli effetti, inferiore di 20 mila unità rispetto alle 76 mila posizioni che il Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale aveva vidimato come finanziabili. Quindi, c'è una difficoltà oggettiva nel garantire l'effettiva universalità di questo servizio e il nostro scopo e il nostro obiettivo, con questa mozione, sono proprio porre l'accento sulla necessità di intervenire rapidamente per fare in modo che questo strumento, che è uno strumento straordinario di integrazione e di consapevolezza delle giovani generazioni, possa essere davvero definito come universale, cosa che al momento, per una serie di ragioni, non è del tutto garantita. Quindi, noi sappiamo di cogliere la sensibilità del Governo in questo senso e lo scopo della nostra mozione è dunque mettere al centro l'obiettivo della effettiva universalità dell'accesso al servizio.

Chiediamo poi anche un maggior coinvolgimento degli enti del Terzo settore perché, come ho detto in precedenza, li riteniamo davvero una risorsa straordinaria, sotto tanti punti di vista, ma, nello specifico, anche dal punto di vista della piena operatività/efficacia del servizio civile universale. Riteniamo poi che vada al più presto adottata un'iniziativa per garantire agli enti di esperire la procedura di selezione dei volontari nei tempi congrui, in tempi che possono essere sostenibili e in grado di dare una giusta valutazione a tutte le domande che vengono presentate, allo stesso tempo garantendo, appunto, l'universalità del servizio stesso.

Riteniamo importante, considerata la valenza di carattere sociale che questo servizio ha per il nostro Paese e per molte comunità locali, anche una maggiore puntualità nell'organizzazione, nella gestione e nello svolgimento della relazione che deve essere resa al Parlamento stesso. Sappiamo, appunto, che il coinvolgimento di queste Camere spesso è oggetto di richiami da tutti noi, da parte di tutti i gruppi, perché è un problema trasversale, che ci riguarda da vicino, è un problema che riguarda la qualità anche del nostro lavoro. In questo caso, benché non sia certamente un tema sotto i riflettori come molti altri, pensiamo, però, che il contributo che il Parlamento può dare in termini di idee, di proposte e anche di esperienze che ciascuno di noi può portare per arricchire l'attività che il Governo svolge nella direzione di promuovere, sostenere, gestire e pianificare il servizio civile universale possa essere un contributo particolarmente rilevante, perché spesso ci sono esperienze territoriali - e ciascuno di noi proviene da una realtà specifica, anche chi non è eletto in un collegio uninominale, ed evidentemente ha delle esperienze che può portare al dibattito - che possono essere utili ad arricchire, appunto, il patrimonio di competenze e di sensibilità che devono concorrere poi a migliorare la qualità del servizio civile universale. Inoltre chiediamo la nomina, con urgenza, del direttore dell'ufficio per il servizio civile universale, considerando che questa posizione risulta vacante dal giugno 2021. Questo, ovviamente, sempre nell'ottica costruttiva di dare una mano e di sollecitare una piena operatività di questo servizio, perché riteniamo - ribadisco - la promozione del servizio civile universale come forma di impegno e come forma, appunto, di servizio - il gioco di parole viene naturale - che viene reso alla propria comunità e al proprio Paese. È una forma di servizio di difesa non armata e non violenta di servizio alla Patria, però, perché quando ci si occupa di assistenza alle persone e di progetti che riguardano l'educazione ci si occupa, evidentemente, del bene della nostra comunità nazionale e spesso di progetti che hanno una forte rilevanza nelle singole comunità territoriali in cui vengono svolti.

Pensiamo che, proprio per tutte queste ragioni, sia fondamentale un surplus di impegno non solo da parte del Governo, ma anche del Parlamento, e per questo chiediamo il coinvolgimento maggiore possibile di queste Aule, nel far sì che questa straordinaria opportunità resa possibile dalla riforma che ha fatto diventare universalistico il servizio civile, non venga sprecata, o meglio, che venga sfruttata al pieno delle sue potenzialità. Ci sono tantissimi ragazzi, nel nostro Paese, che hanno voglia di mettersi in gioco, di fare esperienze, di accumulare anche competenze che poi possono anche essere utili nell'ambito lavorativo, ma prima di tutto sono utili a formare cittadini più consapevoli.

Noi pensiamo che su questo argomento ci debba essere un impegno non solo forte, ma anche, auspico, trasversale di tutte le forze politiche, a prescindere dalle appartenenze di partito, dalla collocazione in maggioranza o all'opposizione, per far sì che questa forma di servizio alla Patria sia pienamente sostenuta e in grado di dare la possibilità a tutti coloro che vogliono farlo e che hanno i requisiti per farlo di svolgere questo servizio, che poi tornerà utilissimo nel corso della loro vita. Quindi, la nostra è una sollecitazione positiva e propositiva, e ci auguriamo che possa raccogliere il favore di tutta l'Aula.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Baldino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00611. Ne ha facoltà.

VITTORIA BALDINO (M5S). Presidente, colleghi, Ministra Dadone, la discussione in materia di servizio civile universale, stimolata dalla presentazione di alcune mozioni sul tema, rappresenta un'occasione molto importante. È un'occasione importante per parlare, in quest'Aula, di giovani e di quello che i Governi possono e devono fare, per il tramite anche del servizio civile universale, per dare ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze occasioni di sviluppo delle proprie attitudini e della propria personalità. I giovani, le politiche giovanili e il servizio civile universale devono essere centrali nell'agenda del Governo, e lo sono stati nel corso di questa legislatura con i tre Governi che si sono succeduti. In particolare, negli ultimi due Governi questa centralità è emersa già dalla volontà di istituire un Ministero ad hoc, con deleghe sul punto.

Quindi, dicevo, i giovani, le politiche giovanili e il servizio civile universale sono stati, sono e devono essere centrali nell'agenda politica contemporanea, in un'ottica che guardi ai giovani non come un problema, ma che guardi ai problemi dei giovani. Il servizio civile universale rappresenta una grande opportunità di crescita della persona, uno strumento di apprendimento non formale e una palestra di cittadinanza attiva per gli operatori volontari, che maturano così conoscenze, competenze, spirito di appartenenza e partecipazione ad una comunità che è la loro comunità, nella quale si riconoscono, nella quale vivono, nella quale partecipano attivamente. Proprio in ragione della sua strategicità, il servizio civile è stato inserito in due Missioni del PNRR, la Missione 1 e la Missione 5, e al servizio civile sono stati ascritti complessivi 650 milioni di euro per il periodo dal 2021 al 2023, dei quali 400 milioni di euro per progetti in corso e 250 milioni di euro per nuovi progetti da realizzare.

Si tratta, colleghi, di un investimento rilevante, che inevitabilmente richiama il rispetto di obiettivi e tempistiche precisi in termini di attuazione, monitoraggio e rendicontazione. Nel corso di questo Governo sono stati fatti degli importanti passi avanti proprio per valorizzare le potenzialità del servizio civile, sia in termini di razionalizzazione sia in termini di innovazione delle sue funzioni. Preciso che, per rispondere anche ad uno degli impegni previsti dalla mozione della collega Gadda, alla nomina del direttore generale del servizio civile è stato provveduto di recente, ma ricordo anche, a titolo esemplificativo, la semplificazione della programmazione, che è passata da annuale a triennale, e l'avvio sperimentale del servizio civile ambientale, che prevede lo stanziamento di 10 milioni di euro, e del servizio civile digitale, in accordo con il Ministro per l'Innovazione tecnologica e la transizione digitale, su cui si investiranno 55 milioni di euro nel triennio dal 2022 al 2024.

Il risultato dell'impegno del Dipartimento delle politiche giovanili è evidenziato dai numeri: risulta che siano stati selezionati oltre 64 mila operatori volontari nel 2022. Lo abbiamo già detto nella scorsa settimana, in occasione di un'interrogazione svolta in quest'Aula, ed è importante ribadirlo: è il numero più alto nella storia del servizio civile. Lo scorso anno, il servizio civile ha compiuto vent'anni e le potenzialità di questo programma sono tantissime in termini di benefici per i giovani, e nell'ultimo anno è emersa un'importante azione riformatrice che riconosciamo alla Ministra Dadone, ma, proprio in considerazione delle sue straordinarie potenzialità, vorremmo contribuire, come Parlamento dobbiamo contribuire, ad orientare l'azione di Governo verso ulteriori obiettivi, a nostro avviso importanti, contenuti nella mozione che abbiamo depositato.

Tra questi reputiamo fondamentale continuare il processo di razionalizzazione e semplificazione del servizio civile, per renderlo più agevolmente fruibile a tutti; reputiamo importante ampliarlo a nuovi ambiti, al pari di quanto è stato fatto per il servizio civile digitale e per il servizio civile ambientale. È necessario incentivare una più stretta collaborazione con le regioni, individuando anche le buone pratiche già attuate, da assumere così a sistema. Inoltre, occorre incrementare il riconoscimento delle competenze degli operatori volontari e ogni ulteriore strumento che possa aiutare i giovani a costruire il loro percorso. Riteniamo, inoltre, che sia indispensabile agevolare la partecipazione dei giovani, quelli con minori opportunità e quelli che hanno abbandonato gli studi e che non riescono ad accedere al mondo del lavoro.

Ricordo, in proposito, che il nostro Paese conta circa 3 milioni di giovani che non studiano, che non si formano e che non lavorano, i cosiddetti NEET, per i quali riconosciamo l'attenzione e l'impegno che il Ministero per le Politiche giovanili ha profuso, varando, insieme al Ministro del Lavoro, un Piano nazionale di emersione e orientamento, il cosiddetto Piano NEET. Sarebbe importante riuscire a integrare questi ragazzi e queste ragazze utilizzando anche la leva del servizio civile universale. Riteniamo anche, e lo abbiamo scritto nella nostra mozione, che sarebbe utile prevedere l'impiego di piattaforme istituzionali digitali per promuovere l'informazione e l'attuazione delle misure a favore dei giovani, anche con funzioni di banca delle competenze formali e non formali acquisite e del curriculum vitae digitale e individuale. Crediamo necessario intensificare la mobilità dei giovani operatori volontari, creando maggiori opportunità di svolgere il servizio civile in altri Paesi europei, in modo da rafforzare la costruzione di una identità e di una cittadinanza europea.

Reputiamo, infine, indispensabile definire una misura di analisi di impatto in merito agli interventi svolti dagli enti del servizio civile universale e realizzati nei territori, in modo da definire gli obiettivi di interventi su evidenze, come del resto è stato già fatto nell'ambito delle politiche giovanili istituendo il Covige, il Comitato per la valutazione dell'impatto generazionale delle politiche pubbliche. Crediamo che potrebbe essere utile replicare la funzionalità di un simile organismo anche per il servizio civile universale proprio al fine di meglio orientare le notevoli risorse umane ed economiche e le potenzialità che afferiscono a questo istituto.

Concludo, Presidente, ribadendo l'importanza di questa mozione come contributo per orientare i prossimi interventi, nel solco di un'azione incisiva e innovativa già avviata, in ambiti che riteniamo importanti per dare ai giovani ulteriori opportunità di crescita, utili a costruire e a valorizzare il loro futuro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccanti. Ne ha facoltà.

STEFANO CECCANTI (PD). Grazie, Presidente. Il servizio civile universale, voluto dal Partito Democratico nella scorsa legislatura, così come definito nella riforma della legge del 6 giugno 2016, n. 106, e del successivo decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 140, e la cui istituzione è un percorso lungo e articolato, con radici profonde nella coscienza e nella cultura italiana, è finalizzato, come è noto, alla difesa non armata e non violenta della patria, all'educazione alla pace tra i popoli, nonché alla promozione dei valori fondativi della Repubblica.

Valori che, come ci dimostra l'attuale scenario di guerra in Ucraina - da questo punto di vista è simbolico che ne dibattiamo nella giornata di oggi, prima anche dell'appuntamento di domani - non si possono mai dare per scontati, ma vanno di giorno in giorno costruiti, soprattutto con le nuove generazioni e a cui anche noi cerchiamo sempre di ispirarci, coniugando fermezza dei princìpi e realismo dei mezzi. Si stima che dal 2001 siano stati coinvolti in progetti di servizio civile oltre 700 mila giovani, dei quali circa il 65 per cento ragazzi, tutti su base volontaria, e valutiamo positivamente lo stanziamento per il 2022 di risorse finanziarie per l'attuazione di programmi di intervento pari a oltre a 311 milioni di euro, di cui il 40 per cento destinato al Mezzogiorno. A riprova della sua strategicità, il Servizio civile universale ha trovato puntuale riconoscimento nelle Missioni digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e inclusione e coesione del PNRR. Ha destato, però, non poca sorpresa, tra le rappresentanze dei soggetti interessati, l'ipotesi di un ulteriore intervento di revisione ordinamentale, che rischierebbe, al di là delle intenzioni, di rendere nuovamente indeterminato il contesto normativo in cui saranno chiamati ad operare gli enti. Non è di una nuova riforma che abbiamo bisogno, ma di attuare compiutamente, applicare nelle sue articolazioni e rafforzare quella in vigore, frutto di un'ampia partecipazione e condivisione. A tal riguardo è prioritario che, nell'ambito di un costante e collaborativo confronto, inizi subito l'attività del gruppo della Consulta nazionale del servizio civile per la costruzione della proposta di Piano triennale 2023-2025, sul quale, fra l'altro, è richiesta l'intesa Governo, regioni e PA. Ciò che serve sono, piuttosto, l'adeguatezza e la costanza delle risorse di finanziamento del Fondo nazionale per il Servizio civile universale, così come la stabilità nel medio e lungo termine del quadro ordinamentale. A questo, come indicato nel dispositivo della mozione che stiamo presentando, è necessario aggiungere la necessità di promuovere la mobilità e lo scambio tra i giovani volontari italiani e di altri Paesi, come già avviene con la Francia, definire lo status giuridico dell'operatore volontario durante il servizio all'estero, adottare un sistema di certificazione delle competenze tipiche del servizio civile, coinvolgere gli enti, predisporre le relazioni annuali con puntualità, mettere a punto la sperimentazione di nuove metodologie di formazione. Insomma, far crescere il servizio, potenziarlo, sostenerlo. La nostra mozione ha proprio l'intento di rafforzare ciò che è stato previsto nella riforma e tornare a dare vigore, coinvolgendo le parti interessate, evitando così di interrompere un'esperienza fondamentale per la formazione dei giovani per le realtà associative del nostro Paese. Sulla base di questi presupposti così enucleati, siamo disponibili a trovare il massimo di convergenza possibile con le altre forze politiche (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta. Ha chiesto di parlare l'onorevole Scanu. Ne ha facoltà.

LUCIA SCANU (CI). Grazie, Presidente. La settimana scorsa in Sardegna gli autotrasportatori hanno vissuto giorni davvero difficili: lavoratori instancabili, che non si sono mai fermati prima, ma questa volta sono stati costretti a presidiare porti e zone industriali dell'isola per manifestare contro il caro prezzi dei carburanti. È stata una protesta pacifica, che ha portato comunque a disagi nei supermercati e perdite di beni deperibili per diversi produttori. Colleghi, l'intervento del Governo con il taglio delle accise è un piccolo passo avanti, ma occorre fare di più. La misura avrà la durata di un mese e poi cosa accadrà? Il mondo dell'autotrasporto, delle imprese e dell'economia italiana deve lavorare, potendo programmare a lungo termine e non vivere nell'incertezza.

Sono stata al porto industriale di Oristano. Qui centinaia di padri di famiglia, che lavorano ogni giorno garantendo l'approvvigionamento continuo, hanno presidiato il porto giorno e notte. Sono andata diverse volte a parlare con loro per esprimere la mia vicinanza, ma soprattutto per raccogliere le loro istanze e portarle in quest'Aula. Mi hanno spiegato che, con l'incremento dei prezzi del carburante, in pratica andrebbero a lavorare in perdita. I costi per trasportare le merci sono sproporzionati, legati anche ai trasporti marittimi, e qui incide ancora il tema dell'insularità, il grave e permanente svantaggio naturale che continua a vivere la nostra isola. Ma torniamo agli autotrasportatori, mi chiedo: chi sta speculando sul carburante? Chi sta truffando i nostri cittadini? Oggi gli autotrasportatori hanno ripreso a lavorare dopo una settimana di fermo che ha causato loro gravi perdite. Ci dicono che le misure varate dal Governo per tagliare i prezzi non possono essere considerate sufficienti, servono invece interventi strutturali, serve subito uno scostamento di bilancio, serve insistere ancora sugli extra profitti. L'Antitrust deve vigilare costantemente sui prezzi, deve multare pesantemente chi ha speculato sui carburanti truffando tutti i cittadini e i lavoratori ed io sono qui per portare la loro voce.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 22 marzo 2022 - Ore 13,30:

(ore 13.30, con votazioni non prima delle ore 17, e al termine del punto 2)

1. Discussione del disegno di legge:

S. 2505 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico (Approvato dal Senato). (C. 3522?)

(ore 18)

2. Informativa urgente del Governo sui recenti ulteriori rincari dei costi dell'energia e sulle misure adottate per contrastarne gli effetti.

La seduta termina alle 18,05.