XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 447 di lunedì 22 giugno 2015

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

La seduta comincia alle 14.

CLAUDIA MANNINO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 15 giugno 2015.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Abrignani, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Benamati, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bombassei, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bratti, Brescia, Bressa, Brunetta, Bruno Bossio, Businarolo, Caparini, Casero, Castiglione, Censore, Centemero, Chaouki, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Gadda, Galati, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Grassi, La Russa, Lavagno, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Magorno, Manciulli, Merlo, Migliore, Nicoletti, Nuti, Orlando, Pes, Pisicchio, Portas, Quartapelle Procopio, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scopelliti, Scotto, Sisto, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente novantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Costa: Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale. Ulteriori disposizioni a tutela del soggetto diffamato (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 925-C) (ore 14,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge Costa, già approvata dalla Camera e modificata dal Senato, n. 925-C: Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale. Ulteriori disposizioni a tutela del soggetto diffamato.Pag. 2
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 18 giugno 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 925-C)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, Walter Verini. Prego, deputato.

WALTER VERINI, Relatore. Grazie. Presidente, con la sua autorizzazione, dividerò in due la mia relazione, limitandomi, nella prima parte, a illustrare le caratteristiche fondamentali del testo e consegnando poi il testo per gli aspetti più di merito, affinché sia pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna.

PRESIDENTE. È autorizzato, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

WALTER VERINI, Relatore. Grazie. Questo provvedimento, come è noto, venne approvato in prima lettura dalla Camera il 17 ottobre 2013; dopo un anno, il 29 ottobre 2014, venne approvato con modifiche dal Senato e, dopo un nuovo e serio approfondimento, avviato già dal novembre scorso e conclusosi lo scorso giorno 18 di questo mese, torna adesso all'esame, con l'auspicio e la convinzione che l'Aula possa dare di questo testo un'ultima lettura. Ci sarà comunque, inevitabilmente, un ulteriore passaggio al Senato, perché la Commissione giustizia ha ritenuto di apportare alcune modifiche al testo approvato da Palazzo Madama. Io posi assieme ad altri, quando tornò dal Senato il provvedimento, un interrogativo, un dubbio che coltivavo anch'io: ci limitiamo ad approvare il testo uscito dal Senato, senza toccarlo, così da avere immediatamente in Gazzetta Ufficiale il provvedimento e così da poter immediatamente abolire la vergogna del carcere per i giornalisti colpevoli e condannati per diffamazione a mezzo stampa, oppure approfondiamo, lavoriamo e introduciamo delle ulteriori modifiche, io penso dei miglioramenti ?
La scelta è stata quella di modificare il testo. Lo abbiamo fatto anche al termine di una lunga, approfondita serie di audizioni, che hanno visto partecipare alcuni tra i più importanti studiosi della materia, alcune tra le associazioni più rappresentative del mondo della comunicazione, della stampa, dei giornalisti. Quindi, ci troviamo davanti a un testo che credo rappresenti una concreta volontà innovativa in materia, un passo in avanti importante in materia di civiltà e di tutela, sia dei cittadini ma anche della libertà di informazione. Naturalmente le modifiche intervengono in quelle parti del testo che sono state modificate dal Senato.
Quali sono i pilastri di questo provvedimento, sia quelli confermati dalla Camera e dal Senato sia quelli introdotti ex novo ? Per prima cosa si è confermata la cancellazione della pena del carcere per i giornalisti. Sembra ovvio, ma non è così. Il nostro Paese conserva ancora questa pena e cancellarla credo sia un segno importante di civiltà democratica. Inoltre con la causa di non punibilità nel caso di pubblicazione integrale della rettifica richiesta qualora uno si ritenga diffamato si tutela il diritto dei cittadini a non essere diffamati, ma anche la libertà dei giornali. Vorrei sottolineare questo punto: se un cittadino si sente diffamato può chiedere la pubblicazione della rettifica e se il giornale accetta, sussistendo evidentemente consapevolezza della solidità della rettifica stessa, scatta, come si diceva prima, la causa di non punibilità. Tuttavia, è evidente anche il contrario, se il giornalista e il direttore considerano la rettifica infondata, priva di riscontri o, addirittura, possibile anticamera di intimidazioni Pag. 3o querele temerarie e se il loro articolo o la loro inchiesta è supportata da fonti considerate attendibili, è ovvio che in quel caso potrà essere scelta la strada o di non pubblicare la rettifica o di pubblicarla con commenti, pareri o smentite.
In ogni caso, io ritengo che nel bilanciamento tra due diritti, quello della libertà del giornalista e quello del cittadino a non essere diffamato, queste norme nell'insieme potranno contribuire ad una sempre maggiore responsabilizzazione: nella verifica delle fonti, nella veridicità delle notizie e dei fatti pubblicati.
Citavo prima il tema delle querele temerarie, un tema centrale in quanto rappresentano lo strumento che molto spesso viene usato come arma di dissuasione dal continuare inchieste o per intimidire giornali e giornalisti. Spesso, ad esercitare queste intimidazioni sono forze legate alla criminalità organizzata e spesso i destinatari sono i giornalisti e i giornali più deboli e meno strutturati, che operano in territori dove è più difficile garantire la libertà dell'informazione. Per questo sono stati previsti inasprimenti di sanzione in caso di querele temerarie. Personalmente, avrei preferito in questi casi sanzioni più nette sul modello anglosassone. In alcuni ordinamenti si prevede l'obbligo di risarcire fino al 50 per cento del risarcimento temerario richiesto, qualora sia stata documentata la temerarietà. Emendamenti di questo genere, come è noto, erano stati presentati anche in Senato, oltre che in Commissione, ma non hanno trovato i consensi necessari, per questo abbiamo ritenuto importante affidare al giudice la possibilità di arrivare a quei livelli di risarcimento: possibilità quindi a discrezione del giudice.
Il lavoro della Commissione ha prodotto anche un'altra importante novità, mi riferisco ai casi, purtroppo frequenti, di fallimento delle proprietà dei giornali, casi nei quali direttori e giornalisti vengono lasciati soli a risarcire in caso di condanna il danneggiato per diffamazione. In questi casi ci si potrà rivalere sulla proprietà fallita. Si tratta di un tema che ci è stato proposto, sollecitato con forza dalla Federazione nazionale della stampa e da altre associazioni di giornalisti, e che abbiamo inteso raccogliere. Qualcuno ha osservato che l'introduzione di questo emendamento potrebbe andare incontro a casi di questa fattispecie particolarmente noti, anche perché, come è il caso di ex direttori o giornalisti della testata l'Unità, resi pubblici dalla stessa Federazione nazionale della stampa. Non credo; non credo proprio che sia il caso di dare letture maliziose, non vi è alcun motivo. Questa norma già oggi, una volta approvata, va incontro a decine e decine di giornalisti che si trovano in queste situazioni e così varrà per il futuro. Il fatto che possa riguardare casi singoli conosciuti non intacca minimamente il valore generale di questa decisione.
Del resto, lo voglio ricordare, quando in prima lettura alla Camera e poi in seconda al Senato e poi ancora qui in Commissione, giorni fa, abbiamo votato convinti l'abolizione del carcere per la diffamazione a mezzo stampa, nessuno si è sognato, nemmeno per un attimo, di pensare o sostenere che lo si stesse facendo per venire incontro a casi personali di direttori di qualche importante testata, come quella di un noto quotidiano e di un diffusissimo settimanale che sono stati condannati alla pena del carcere. No, lo abbiamo fatto e lo facciamo per un principio generale di civiltà così come lo stiamo facendo con l'emendamento ricordato, per lo stesso motivo.
Resta fuori dal testo il tema della diffamazione nei blog che il Senato aveva introdotto. Anche alla luce delle audizioni e del dibattito in Commissione, si è ritenuto che il tema sia assolutamente reale e che ci sia la necessità di affrontarlo in maniera organica. Perché proprio nella Rete, spesso, contenuti diffamatori sono diffusi e colpiscono senza possibilità di tutela. E come nessuno intende mettere «bavagli» alla Rete, così nessuno vuole che circolino offese, denigrazioni, diffamazioni, che nulla hanno a che vedere con la libertà di informazione e la libertà di espressione via web. Tuttavia, è stata convinzione pressoché unanime che una questione Pag. 4di così rilevante portata meritasse un confronto più ampio e approfondito di quello consentito dalla sede di un emendamento. Un confronto da avviare e completare, per esempio, anche dopo il termine dei lavori della Commissione preposta, incaricata e insediata dalla Presidente Boldrini e presieduta da Stefano Rodotà, e in un esame che tenga conto anche del quadro legislativo europeo.
In definitiva, ritengo quello che la Commissione offre alla valutazione dell'Aula, un testo innovativo, incisivo ed equilibrato, che in un momento difficile per l'informazione, per la carta stampata, potrà offrire un contributo, non solo, ovviamente, normativo e legislativo, ma anche civile e possa rappresentare, insieme, una tutela per i cittadini perbene che possono essere ingiustamente diffamati e che debbono essere risarciti e un incoraggiamento per giornali e giornalisti a svolgere il lavoro fondamentale per la democrazia, come quello dell'informazione, con un po’ più di serenità e un po’ più di tutela.
L'auspicio è che, dopo il voto della Camera previsto questa settimana, il Senato possa e voglia votare il testo senza modifiche. Lo dico nel rispetto sincero delle prerogative dell'Aula di Palazzo Madama e dei parlamentari del Senato, ma dopo circa due anni, vedere al più presto in Gazzetta Ufficiale questa legge sarebbe davvero – io ritengo – una conquista di tutti. Come ho dichiarato all'inizio, signor Presidente, consegno la relazione che contiene anche illustrazioni del merito del testo.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Verini.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in un altro momento.
È iscritta a parlare la deputata Fabrizia Giuliani. Ne ha facoltà.

FABRIZIA GIULIANI. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, la prima cosa che vorrei sottolineare è che con l'esame di questo provvedimento, che torna in Aula dopo il passaggio e le modifiche apportate in Senato, noi ci avviamo a concludere il lungo iter di una norma molto complessa e delicata e vorrei ricordare anche che già nella scorsa legislatura questa discussione si era prodotta attraverso la presentazione di alcuni progetti di legge. Il tempo intercorso è forse il miglior testimone di quanto sia complessa la materia e di quanto sia oggi necessario riuscire a intervenire. Affrontare il tema della parola pubblica e dei limiti della libertà di espressione impone oggi un'attenzione tutta particolare, resa ancora più necessaria dalle conseguenze che l'impetuoso sviluppo tecnologico ha avuto sul mondo dell'informazione e nella ridefinizione dei rapporti tra questo mondo dell'informazione e la politica. Come già ha avuto modo di sottolineare molto efficacemente il relatore, il punto che qualifica in maniera assolutamente definitiva questo provvedimento è l'eliminazione della pena detentiva. Questo è un fatto di grande valore, ed è questo che ci porta, appunto, a sperare di concludere finalmente l'iter di questa norma.
Ovviamente vi sono anche altri aspetti: la pubblicazione delle rettifiche senza commento, l'applicazione anche ai siti Internet di natura editoriale e, ovviamente, la questione della sanzione relativa alla sostituzione della pena detentiva.
Un altro punto che vorrei sottolineare, perché mi sembra davvero rilevante, è il rafforzamento del nesso di causalità fra i doveri di vigilanza del direttore e i delitti commessi. Però, in queste riflessioni che vi consegno vorrei soffermarmi in particolare sull'importanza di due aspetti di questo provvedimento: l'estensione della pena applicativa anche ai siti Internet e appunto l'eliminazione della pena detentiva.
Il primo punto – un'importante messa a punto della proposta di legge – ha incluso anche le testate giornalistiche online, che oggi rappresentano un punto di riferimento senza concorrenti per quanto riguarda l'informazione e soprattutto per quanto riguarda il mondo giovanile. Il secondo punto, quello relativo all'eliminazione della pena detentiva, ci consente finalmente di allinearci all'Europa. Non Pag. 5occorre naturalmente considerare i numerosi articoli della normativa europea che richiamano quanto ciascuno di noi abbia diritto alla libertà di espressione e che non vi possano essere ingerenze da parte delle autorità pubbliche e non vi debbano essere limiti di frontiera, la necessità di rispettare la libertà dei media e il loro pluralismo.
L'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo sancisce in maniera molto netta il diritto all'espressione e la necessità che l'esercizio di questa libertà non conosca limiti. Si è pronunciata la Corte di Strasburgo e potremmo citare molti altri aspetti che ci portano a concludere su un punto: tutta la sensibilità moderna considera, come cartina di tornasole della natura democratica di uno Stato e del livello di libertà dei propri cittadini, la questione della libertà d'informazione.
Devo dire che anche in anni bui, che hanno segnato la storia anche di anni recenti, abbiamo avuto modo di toccare direttamente che cosa accade quando questo equilibrio è compromesso. Del bilanciamento che abbiamo cercato di fare ha detto molto bene il nostro relatore, però io vorrei fare anche una riflessione che riguarda lo sfondo e la prospettiva che hanno influenzato i lavori della Commissione e hanno caratterizzato il nostro sforzo. Io credo che era necessario adeguare questa norma ai tempi e alle richieste di una coscienza civile che riconosce nell'informazione libera senza condizionamenti una risorsa indispensabile ed imprescindibile per il funzionamento della vita democratica. Dire che sono cambiati i tempi non è sufficiente; è cambiato lo spazio e il tempo nella nostra percezione e la nostra possibilità di comunicare li ha modificati profondamente. Che le parole siano pietre noi lo abbiamo sempre saputo, ma oggi le parole pesano di più e possono di più, corrono più velocemente e al contempo restano anche tra di noi più a lungo. Questo è un fatto che Internet e la Rete ogni giorno ci mostra; del resto il racconto e la narrazione sono diventate delle vere e proprie categorie politiche e l'informazione contribuisce in maniera determinante alla costruzione di questo racconto e di questa narrazione, al contempo, collettiva e individuale. Noi riteniamo che questo debba poter esprimersi in libertà, che ciascuno deve avere la sicurezza di poterlo fare senza condizionamenti ma al contempo, proprio perché vengono meno le pene e le sanzioni, deve sentire la responsabilità della propria azione. Con questa norma forse si elimina un controsenso, un paradosso che rischiava ancora una volta di distinguerci in modo negativo in ambito europeo; il fatto cioè che una legge a tutela della libertà di stampa potesse contemplare appunto la privazione della libertà, pur se circoscritta a casi limitati; è uno scandalo che è stato necessario cancellare. Dunque, cancellare questo aspetto è una tappa fondamentale ed ha un valore civile, del quale tutti dobbiamo essere consapevoli e anche chi ha dei dubbi intorno a questo voto dovrebbe rimuoverli.
Abbiamo cercato anche, appunto, di risolvere il tema delle querele temerarie, lo si è fatto introducendo una responsabilità civile aggravata a carico di colui che promuove un'azione risarcitoria priva di consistenza per diffamazione a mezzo stampa e prevedendo oltre che al rimborso delle spese e al risarcimento a favore del convenuto anche il pagamento di una somma determinata dal giudice in via equitativa.
In questo senso ritengo importante anche l'introduzione dell'articolo 6 che abbiamo disposto in Commissione giustizia, che riconosce la qualifica di privilegio generale sui mobili al credito vantato dal giornalista o dal direttore responsabile nei confronti dell'editore proprietario. Una misura volta a tutelare i giornalisti e i direttori che, in caso di condanna al risarcimento per diffamazione non dolosa, hanno il diritto di rivalersi di quanto pagato con l'editore, attribuendo a tale credito natura privilegiata.
In un Paese come il nostro, così massicciamente segnato da un analfabetismo di ritorno, distinguere tra le fonti dell'informazione non è una cosa semplice.Pag. 6
Abbiamo provato, in questa norma, ad operare questi distinguo, a distinguere quella che è l'informazione giornalistica, anche quando scivola su quel terreno amorfo che qualche volta è la rete. Ma proprio qui occorre segmentare e distinguere, perché questa legge estesa al web non è del tutto estesa al web, ma è appunto limitata alle sole testate.
Le parole sono pietre, le parole fanno. Diffamazione e calunnia sono i fili di una ragnatela che può avvolgere a volte fino a soffocare ed è giusto che chi parla si assuma fino in fondo la responsabilità di ciò che dice. Le parole consentono di seminare l'intolleranza e, prima o poi, di questa intolleranza si colgono i frutti avvelenati.
Il Talmud paragona la calunnia all'omicidio e, per riprendere due categorie che hanno attraversato il nostro dibattito anche in occasioni diverse, anche qui abbiamo a che fare con quel delicato crinale che è rappresentato dal rapporto tra il diritto e la cultura.
Il processo di riforma che abbiamo avviato – e che speriamo di concludere – è volto ad introdurre un primo punto di equilibrio nel mondo dell'informazione. Deve poter proseguire. Questo per noi è un primo passo – ed è importante – perché ci porta ad allinearci con la normativa europea, anche se restano alcuni nodi irrisolti. Ma questi nodi si possono risolvere con il diritto e con le leggi solo a metà.
Soltanto se riusciamo a ritrovare un equilibrio civile, un ethos condiviso, che riesca a mettere il linguaggio dell'odio a margine, si ritrova una forma di rispetto, che poi è alla base anche della vita democratica. Responsabilità e professionalità giornalistica, che oltre alle regole, alle leggi e ai codici, debbono poter svolgere una funzione importante per l'orientamento dello spazio pubblico e debbono potersi svolgere in modo libero e responsabile.
E per questo, solo questo consentirà all'informazione di potersi dispiegare in modo libero e pieno e di diventare finalmente, anche in Italia, il pilastro fondante di una democrazia.
Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Rocco Palese. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Signor Presidente, l'esigenza di tutelare la libertà di stampa in tutte le sue forme e quella di tutelare l'onorabilità dei cittadini possono, o meglio, devono essere contemperate attraverso disposizioni di legge equilibrate ed al passo con i tempi: l'iniziativa legislativa al nostro esame, cui il gruppo di Forza Italia ha dato un convinto contributo anche con la presentazione, all'inizio della legislatura, della proposta di legge firmata dagli onorevoli Gelmini, Brunetta e Bergamini proprio su questa materia.
Caratteristica saliente della proposta di legge al nostro esame è quella di contemperare la tutela della libertà di stampa, o meglio di informazione, con il diritto del cittadino di non essere diffamato e di vedere tutelata la propria onorabilità. Soprattutto viene eliminata dal nostro ordinamento la possibilità che i giornalisti possano andare in carcere per i loro scritti. Si tratta di una scelta di civiltà a tutela delle libertà democratiche in quanto la libertà di stampa, in tutte le sue espressioni che il progresso tecnologico ha messo a disposizione, è un elemento fondante della democrazia.
Gli episodi deprecabili di un recente passato, che hanno visto la condanna a pene detentive di giornalisti, non devono più essere possibili e naturalmente faccio questa affermazione non perché si tratta del caso di giornalisti vicini alla mia parte politica, ma perché credo fermamente che la libertà di espressione non solo dei giornalisti, ma di tutti i cittadini, debba essere garantita a trecentosessanta gradi.
È comunque evidente che la legge sulla stampa, risalente al lontano 1948, meritava e merita di essere innovata. Da allora, dal punto di vista tecnologico e non solo, è cambiato il mondo; sono entrati in scena Pag. 7mezzi di comunicazione di massa di formidabile potenza, quali la televisione ed Internet e, quindi, le testate giornalistiche online, di cui la legislazione deve necessariamente tenere conto, e questo, sia pure parzialmente, fa il testo al nostro esame.
Naturalmente, alla sacrosanta eliminazione della possibilità di una condanna detentiva per il giornalista accusato di ledere con i propri scritti l'onorabilità di uno o più cittadini, deve fare da contraltare una più ampia e dettagliata disciplina dell'obbligo di rettifica in caso di notizie, di fatti e circostanze false o inesistenti. Anche le sanzioni, che sono ora solo di natura pecuniaria per i giornalisti ed i direttori responsabili delle testate in caso di pubblicazione di notizie false o infondate dannose per la reputazione di un cittadino, sono meglio definite ed articolate.
Per quanto riguarda in particolare l'obbligo della rettifica, si precisa meglio, rispetto alla legge vigente, che deve essere dato un identico spazio e il medesimo rilievo rispetto alla notizia oggetto della contestazione, e che tale rettifica deve essere priva di commento.
Per le testate giornalistiche online la rettifica deve essere pubblicata entro due giorni dalla ricezione della richiesta con le stesse modalità di accesso al sito Internet e le stesse caratteristiche grafiche.
Naturalmente, l'obbligo alla rettifica è previsto anche per le trasmissioni radiofoniche e televisive e – questa è una novità – anche per la stampa non periodica, che deve provvedere ad una ristampa, entro 15 giorni dalla data di ricezione della richiesta, e alla pubblicazione della rettifica nel proprio sito Internet. Nel caso tutto questo non sia tecnicamente possibile, la rettifica deve essere pubblicata, comunque, entro 15 giorni dalla data della richiesta, su un quotidiano online a diffusione nazionale. In caso di mancata rettifica, il giornalista e il direttore responsabile sono passibili di pesanti sanzioni amministrative di natura pecuniaria.
Anche le sanzioni pecuniarie per la diffamazione a mezzo stampa sono ridefinite e meglio articolate: è prevista una multa da 5 mila euro a 10 mila euro e, nel caso dell'attribuzione ad un cittadino di un fatto del tutto falso, la multa va da 10 mila euro a 50 mila euro; è prevista, inoltre, la possibilità della pena accessoria dell'interdizione dalla professione giornalistica per un periodo da un mese a sei mesi. L'autore dell'offesa a mezzo stampa e il direttore della testata giornalistica, anche online, non sono punibili se hanno provveduto, anche spontaneamente, a pubblicare o a diffondere la smentita o la rettifica.
Viene, inoltre, opportunamente modificato l'articolo 594 del codice penale, relativo all'ingiuria, escludendo la sia pur modesta pena detentiva, attualmente prevista, e innalzando la pena pecuniaria massima dagli attuali 516 euro a 5 mila euro. Anche l'articolo 595 del codice penale sulla diffamazione viene opportunamente modificato nello stesso senso, eliminando la pena detentiva attualmente prevista, da 6 mesi a 3 anni per la diffamazione a mezzo stampa, ed elevando la pena pecuniaria da 3 mila a 10 mila euro, elevata a 15 mila euro nel caso della falsa attribuzione di un fatto determinato.
Sono anche previste norme per scoraggiare querele temerarie, che sono state in passato intraprese, in particolare contro giornalisti per intimidirli, prevedendo, in caso il fatto non sussista o l'imputato non abbia commesso il fatto, che il giudice possa condannare il querelante al pagamento di una somma da 1.000 euro a 10 mila euro in favore della cassa delle ammende.
Viene, infine, prevista una norma diretta a scoraggiare le cause per danni di natura intimidatoria nei confronti dei giornalisti, per cui nel caso risulti la malafede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per il risarcimento del danno, il giudice, nel rigettare la domanda di risarcimento, può condannare l'attore al pagamento, in favore del convenuto, di una somma non superiore alla metà della richiesta risarcitoria.
Come si vede, la proposta di legge al nostro esame è molto articolata ed è chiaramente diretta a contemperare l'esigenza Pag. 8di tutelare la libertà di stampa con la tutela dell'onorabilità dei cittadini e attraverso le norme, che ho ricordato sinteticamente, si è raggiunto un punto di equilibrio sufficiente, ma certamente perfettibile. Una lacuna è senza dubbio l'eliminazione della possibilità di ottenere la cancellazione dai siti Internet o dai motori di ricerca dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge.
Ma la critica maggiore la dobbiamo muovere al grave ritardo con cui si è trattata questa delicata materia. Ricordiamo che la nostra proposta di legge è stata presentata, in questo ramo del Parlamento, all'inizio della legislatura, e precisamente in data 29 maggio 2013. Sono, quindi, passati oltre due anni senza approvare definitivamente un testo. Ora, con le proposte di modifica approvate dalla Commissione giustizia in sede referente, c’è il pericolo evidente di un ulteriore allungamento dei tempi, per la necessità di un nuovo passaggio al Senato, e questo a noi non pare certamente opportuno, perché riteniamo che questa proposta di legge è necessario approvarla quanto prima possibile, seppure essa non sia proprio perfetta, perché è un segno di civiltà, di equilibrio e di esigenza rispetto a quelle che sono attualmente le situazioni in campo, che si sono viste soprattutto nei confronti di recenti sentenze, come ho richiamato, nei confronti di alcuni giornalisti. Mi riferisco – e non lo faccio perché sono della mia parte politica – a Sallusti e a Mulè, per i quali è stato necessario arrivare fino alla grazia da parte del Presidente della Repubblica, che in quel caso era oltre modo necessaria.
Siamo un Paese democratico, un Paese libero e quant'altro, ma poi nei fatti riscontriamo che ancora abbiamo situazioni che devono essere superate, nel senso della libertà e anche dell'equilibrio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non numerosissimi, vedo, non posso nascondere una certa interna soddisfazione nel prendere la parola su questo provvedimento, perché per una volta noi discutiamo un provvedimento che non prevede nuove pene, non eroga anni di carcere e tenta di affrontare un fenomeno importante, quello della diffamazione, per la via della depenalizzazione.
Quante volte nei convegni, nelle aule universitarie, negli incontri, anche qui in Parlamento, diciamo una litania che è familiare a tutti voi: il diritto penale deve essere l'ultima trincea di difesa della società, occorre costruire altri punti i quali tutelino i soggetti, le persone, senza arrivare alla minaccia del carcere o all'erogazione del carcere ? Quante volte ricordiamo Beccaria, il quale ci ha insegnato che non è l'altezza della pena quella che scoraggia i comportamenti delinquenziali; ciò che scoraggia i comportamenti delinquenziali è la probabilità dell'erogazione della pena. Una pena mite con alta probabilità di essere erogata è più efficace che non una pena grandissima – li bruciamo sul rogo – quando si sa che la pena verrà erogata in un caso su 100 mila.
È una cosa che noi facciamo fatica a metabolizzare. Infatti, ogni volta che vogliamo dare l'impressione di prendere sul serio un fenomeno, invece di interrogarci su quali siano le ragioni per cui non riusciamo a cogliere e assicurare alla giustizia coloro che lo commettono, pensiamo molte volte, non sempre, di liberare la nostra coscienza elevando le pene edittali, con risultati spesso sconfortanti.
Devo dire che mi conforta meno il fatto che questa giusta linea la adottiamo – non so se per la prima volta, ma certo una delle rare volte in cui la adottiamo – a favore di una categoria privilegiata, perché i giornalisti fanno parte del nostro mondo, perché l'idea di mandare in galera un giornalista ci preoccupa drammaticamente, come abbiamo visto in qualche caso recente.
Mi auguro, però, che questo sia un inizio che venga seguito poi da misure di Pag. 9depenalizzazione, dalla ricerca di pene alternative al carcere. Sono due cose diverse, ma connesse: la depenalizzazione, cioè la ricerca di sanzioni non di carattere penale, oppure anche all'interno del diritto penale la ricerca di misure alternative al carcere, che spesso, almeno per reati non di grandissimo allarme sociale e con altissima probabilità di recidiva, sono più efficaci che non le misure che noi in genere eroghiamo.
Non vorrei che questa scelta, che io e il mio gruppo parlamentare condividiamo interamente, venisse presa, come c’è il rischio che venga presa, come una sottovalutazione del problema. La diffamazione è un problema grave nella società italiana. Il furto dell'onore, il furto del buon nome, è qualcosa di grande rilievo, che non deve essere minimizzato, e sarebbe grave se il fatto che non si ricorra più al carcere venisse preso come una minimizzazione del problema.
A questo proposito, devo dire che le multe erogate avrebbero potuto essere alquanto più robuste; tuttavia, fedele al principio per cui l'importanza è la facilità dell'erogazione, non mi soffermerò su questo punto.
Se io fossi un giudice, prima di mandare uno in galera, ci penserei non una, ma dieci, cento volte; prima di erogare una multa, avrei meno problemi di coscienza, e vedo che giustamente si è fatta la distinzione tra elementi di responsabilità oggettiva, che comunque ricadono su chi ha la gestione di una testata, sia una testata a stampa sia una testata online, quanto meno sotto il profilo di un dovere di sorveglianza a cui si viene meno, ma che non può essere configurato ovviamente come dolo, ma semmai come colpa, e invece una pena accresciuta dove, invece, si possa effettivamente dimostrare il dolo.
Mi sembra anche giusto che questo non ponga limiti al diritto di esercitare l'azione civile, perché una cosa è l'ammenda, un'altra cosa è il risarcimento del danno. E il risarcimento del danno può, ove opportuno, compensare quella certa tenuità che mi sembra di individuare nella fissazione delle sanzioni di base.
Si poteva fare di più ? Si può sempre fare di più. Alcune cose potevano esserci e non ci sono. Abbiamo esteso giustamente l'ambito della protezione giuridica del buon nome dalle testate a stampa alle testate in rete, e questa oggi è una misura assolutamente indispensabile. Non è chiarissimo, invece, cosa facciamo per tutti quei blog e tutte quelle forme di intervento in rete che non assumono la figura di testata giornalistica e, tuttavia, in questi ambiti possono esserci degli abusi altrettanto gravi e persino più gravi.
Noi sappiamo che alcune liste di follower raggiungono dimensioni di milioni di soggetti e, quando un messaggio viene diffuso a milioni di persone, è più importante di un messaggio che va su una testata giornalistica, in rete o fuori rete, che viene letta solo da qualche migliaio di persone. Qui rimane un punto aperto su cui credo che una riflessione ulteriore sarà necessario fare.
Un altro punto aperto che rimane riguarda il fenomeno di quella che gli americani chiamano character assassination, campagne mirate contro una persona, volte sistematicamente a fornire al pubblico un'immagine deformata di tutto quello che fa e di tutto quello che dice. Sì, si è considerato il tema dell'ingiuria, si è considerato il tema di affermazioni false, ma come fatti in qualche modo puntuali ed isolati. Invece esistono situazioni nelle quali la connessione e la continuità nel gestire queste campagne meritano un'attenzione specifica. Mi auguro che in una prossima occasione questo possa avvenire.
Sempre rimanendo sul tema della rete, un altro aspetto – che è connesso e che non è trattato ma che in futuro dovremo fare oggetto di attenzione – è il problema, connesso con la character assassination, della deformazione dell'identità, che può sfociare anche nel furto d'identità, cioè il fatto che una persona venga sistematicamente presentata come persona che offre alla pubblica opinione opinioni e posizioni che non corrispondono a quelle sue reali, con lo scopo di intervenire nel suo ambiente di vita, creando fratture e conflitti, e alla fine di alienarla rispetto al proprio Pag. 10ambiente di vita. Anche questo è un tema sul quale qualche accenno si può, con molta buona volontà, leggere. Io mi auguro che l'interprete che applicherà la norma sappia anche trovare il modo, questa volta, di darne un'interpretazione estensiva, nei limiti ovviamente del primato del legislatore e dell'impossibilità di attribuire al legislatore un'intenzione diversa da quella che esso originariamente ha avuto. Però, rimane un campo sul quale credo che in futuro bisognerà lavorare.
Infine, il provvedimento torna dal Senato non molto diverso da come lo avevamo mandato al Senato. Qualche intervento che ne riduce l'ambito, all'interno della rete, lo trovo francamente peggiorativo, ma capisco che non si può fare un tira e molla continuo, perché nel provvedimento originario della Camera, su questo tema, non c'era nessuna disciplina organica, ma c'era una frase che apriva uno spazio migliore e maggiore di riflessione. Vedo che noi, invece, oggi aggiungiamo poche cose, una delle quali però mi pare sensata. È la maggiore tutela che viene data al giornalista il quale si trovi a rispondere, citato per danni, in assenza del suo editore, che non è in grado di fare fronte alla responsabilità che gli è propria. Concedere a questo giornalista un credito privilegiato pari a quello di altri creditori, fare in modo che non finisca in fondo alla lista di quelli che poi potranno rivalersi sull'editore per la parte di competenza dell'editore, mi sembra un atto di civiltà.
Quindi, con luci e ombre che abbiamo detto e rimarcando il fatto che il tema non è esaurito – richiederà un'attenzione da parte del legislatore anche in futuro –, il parere complessivo è sicuramente un parere positivo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Daniele Farina. Ne ha facoltà.

DANIELE FARINA. Grazie Presidente. Quello che torna in quest'Aula è un provvedimento io penso discretamente cambiato, profondamente cambiato, rispetto alla versione che, come ricordava il relatore, noi stessi abbiamo licenziato nell'ottobre 2013 per un successivo passaggio al Senato della Repubblica.
Parliamo di un provvedimento che è a lungo sfuggito ad una riforma parlamentare, da almeno una decina d'anni – riesco ad averne persino memoria anch'io – che è la testimonianza in realtà della difficoltà di regolare una materia ove si giustappongono interessi e diritti diversi, tra i quali alcuni costituzionalmente garantiti.
Questo provvedimento ha iniziato il suo iter sotto le insegne dell'eliminazione del carcere previsto per i giornalisti e la sua assenza, cioè l'assenza di questa pena, della pena detentiva, ne qualifica indubbiamente l'esito.
Ma è stata anche l'occasione per una riflessione su quanto sia profondamente cambiato l'universo dell'informazione, su quanta distanza vi sia, molto più ampia del tempo trascorso, tra la situazione odierna e, ad esempio, quella legge, quell'antica legge del 1948 (normativa sulla stampa) cui ancoriamo parti fondamentali del presente testo di legge.
La Commissione giustizia della Camera durante questa lettura è intervenuta nuovamente sul testo. Due sono i punti che, a mio avviso, sono maggiormente significativi: la soppressione dell'originario articolo 3 del testo, che disciplinava il cosiddetto diritto all'oblio, parte espunta, e la soppressione della responsabilità oggettiva del direttore e del vicedirettore.
Sul primo punto, il cosiddetto diritto all'oblio, voglio ricordare le parole di Stefano Rodotà: la previsione di un assoluto diritto all'oblio, esercitato senza contraddittorio, è destinata a produrre un infinito contenzioso tutte le volte che, a fronte di richieste ingiustificate, il direttore legittimamente decida di non accoglierle. Ma la norma può anche indurre ad accettare la richiesta solo per sottrarsi proprio ad un contenzioso costoso o ingestibile e, soprattutto, può indurre alla decisione di non rendere pubbliche notizie. I rischi non sono solo per la libertà d'informazione, ma per la stessa democrazia e sono rischi evidenti. Così Stefano Rodotà.
Quindi, bene abbiamo fatto ad intervenire su questo punto.Pag. 11
Poco dico sulla responsabilità oggettiva. Ricordo soltanto che nel campo penale essa ha sempre posto delicati problemi di compatibilità con l'articolo 27 della Costituzione.
Ricordavo e voglio ripetere che questo provvedimento è stato un'occasione sostanzialmente per fare una ricognizione sui mutamenti intervenuti – ricordavo – nel mondo dell'informazione. I colleghi ricordano con quali testi originari siamo entrati in Commissione in quell'ottobre 2013, all'inizio della legislatura. Erano testi provenienti da altre legislature, erano testi già vecchi e che queste evoluzioni avevano vieppiù fatto invecchiare.
Questo non sarà sicuramente il miglior testo possibile – diceva il collega Buttiglione –, ma per il Parlamento ha segnato sicuramente un avanzamento profondo nel senso di una modernizzazione anche dell'idea legislativa più coerente con quanto sta accadendo. E queste modificazioni non sono state soltanto nei media, ma anche nell'organizzazione del lavoro giornalistico. E devo dire che non tutti i mutamenti in quel caso sono stati in meglio. Credo che basta guardare l'organigramma, la tipologia dei collaboratori di una qualsiasi testata giornalistica registrata, che sia on line o cartacea, e capiamo benissimo quello di cui stiamo parlando e quali condizionamenti vive oggi la figura giornalistica assimilata, che vanno al di là di quanto trattiamo nel presente testo di legge.
Noi, quindi, abbiamo in qualche modo lavorato progressivamente, con idee anche diverse, per ridurre l'anacronismo che certamente contiene la legislazione oggi vigente in materia. Restano alcuni punti migliorabili ? Noi pensiamo di sì. Sono magari diversi, contrari a quelli che citava l'onorevole Palese e anche a quelli che diceva l'onorevole Buttiglione. Ad esempio, l'ammontare delle multe: è vero che noi sostituiamo la pena detentiva con la pena della multa, ma – attenzione ! – ci viene detto che spesso più che il carcere poté la multa. Multe con massimi molto alti hanno spesso un effetto deterrente assai maggiore di quanto la pena detentiva abbia potuto fare in passato.
C’è quel punto della querela temeraria che poteva essere affrontato in maniera più decisa. Noi lo abbiamo sostenuto anche durante la prima lettura qui alla Camera e poi ancora al Senato. Pur tuttavia, chiudo l'intervento, dicendo che questi punti che restano e qualche altro ancora saranno, più che oggetto di questa discussione sulle linee generali, oggetto del nostro ragionare nel corso dell'esame degli emendamenti.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 925-C)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore si riserva di intervenire in altra fase della discussione.
Prendo altresì atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in altra fase della discussione.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Lorefice ed altri n. 1-00898 e Scotto ed altri n. 1-00888 concernenti la permanenza in carica del sottosegretario di Stato Giuseppe Castiglione (ore 14,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lorefice ed altri n. 1-00898 e Scotto ed altri n. 1-00888 concernenti la permanenza in carica del sottosegretario di Stato Giuseppe Castiglione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel resoconto stenografico della seduta di giovedì 18 giugno 2015.
Avverto che è stata, altresì, presentata la mozione Attaguile ed altri n. 1-00915 Pag. 12che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata Lorefice, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00898. Ne ha facoltà.

MARIALUCIA LOREFICE. Grazie per la parola Presidente. Gentili colleghi, due anni fa nove milioni di cittadini italiani ci conferirono un mandato elettorale unico nel suo genere. Ci chiesero di entrare in Parlamento e scovare quelle reti affaristiche e clientelari che si annodano in moltissimi settori del Paese. Sapevamo che non sarebbe stato facile, ma ci rimboccammo le maniche e cominciammo a lavorare duramente. Ebbene, dopo qualche mese iniziammo ad ottenere i primi risultati, anche sul CARA di Mineo. Era il 9 dicembre 2013 quando denunciammo le ingerenze politiche nella gestione di uno dei centri di accoglienza più grandi d'Europa. Trovate un video in rete a testimonianza di ciò. Basta un click per verificare la notizia. Alla nostra denuncia, seguirono ben ventinove atti parlamentari, di fronte ai quali il Governo non ha mai risposto adeguatamente. Oggi, a parlare, sono le carte delle procure di Roma e Caltagirone. Situazioni come Mineo sono l'esempio lampante di larghe intese consolidate da tempo: cooperative della Legacoop, vicine al Partito Democratico, in affari con imprese legate a Comunione e Liberazione, vicine al Nuovo Centrodestra. Le due forze che oggi governano l'Italia ma, a differenza di noi, senza aver mai ricevuto alcun mandato elettorale dai cittadini italiani.
Il centro di Mineo è la triste immagine di un Paese in cui la politica corrotta fa da padrona. È il chiaro esempio di un sistema criminale che si nutre delle risorse pubbliche e che vede complici politici e organizzazioni mafiose che si servono delle cooperative per pilotare appalti e creare, di giorno in giorno, un nuovo business. Una quantità inimmaginabile di denaro pubblico è stata incassata per ingrassare con ingordigia le tasche di pochi. Perché quella struttura, oggi, è una prigione a cielo aperto. Con i soldi pubblici stanziati avremmo potuto disporre di uno dei centri più all'avanguardia in Europa, invece il CARA di Mineo è un'altra macchia indelebile di vergogna sul nostro volto. Anzi, onorevoli colleghi, sul vostro volto. Mineo presenta situazioni di illegalità disarmanti: non esiste trasparenza, non esistono gare d'appalto per la fornitura di beni e servizi; tutto avviene verbalmente, se non addirittura telefonicamente e in modo assolutamente discrezionale; gli operatori vengono assunti sulla base di conoscenze parentali e familismi; manca ogni tipo di controllo; manca un vero sistema d'accoglienza e di integrazione; molte aree sono abbandonate al degrado. Tutto è basato sull'improvvisazione. È una terra di nessuno e ciò è letteralmente sconcertante.
Come ho già detto, c’è una precisa parte politica colpevole di questo scempio, vicina al Partito Democratico, ma soprattutto al Nuovo Centrodestra del Ministro Angelino Alfano. Basta andare a leggere proprio quelle carte dell'inchiesta Mafia Capitale per rendersene conto. Dall'indagine emerge il nome dell'onorevole Giuseppe Castiglione. L'accusa a suo carico riguarderebbe le ipotesi di turbativa d'asta e turbata libertà di scelta del contraente. Le ottocento pagine di intercettazioni dei ROS dei carabinieri ne ricostruiscono il suo ruolo; intercettazioni in cui Odevaine spiega a Buzzi le funzioni del sottosegretario e i rapporti con gli uomini del CARA. Si può parlare di un vero e proprio «sistema Castiglione»; sistema che nacque nel 2011, cioè durante il Governo Berlusconi, quando fu dichiarata l'emergenza nord Africa. All'epoca Angelino Alfano era Ministro della Giustizia e il leghista Maroni Pag. 13presiedeva gli interni. E fin da subito Mineo mostra di essere una struttura fuori dal comune.
Infatti, se in tutti i CARA d'Italia il soggetto attuatore è il vice-prefetto vicario del capoluogo di Regione, a Mineo invece è il presidente della provincia di Catania. Ovvero ? Giuseppe Castiglione, delfino di Alfano, coordinatore di NCD e titolare di migliaia di preferenze, grazie soprattutto all'intraprendenza – chiamiamola così – del suocero, Pino Firrarello, sindaco di Bronte dal 2005 al 2015. Un soggetto capace di muovere dai 50 ai 60 mila voti. Una manna dal cielo, tant’è che Mineo, gentili colleghi, oggi sembra essere diventato il quartier generale del Nuovo Centrodestra. Pensate un po’: alle ultime europee, su scala nazionale, NCD ha ottenuto solo il 4 per cento dei voti. A Mineo il 39,02 per cento. Un dato piuttosto significativo. Questi voti hanno permesso di far eleggere anche l'europarlamentare Giovanni La Via, quello (tanto per capirci) il cui appartamento catanese è andato in affitto a sua insaputa a Sisifo, capofila fino a poco tempo fa dell'associazione temporanea d'imprese che gestisce proprio i servizi del centro d'accoglienza di Mineo. Sì, a sua insaputa, perché lui dice di non saperne niente e che aveva affidato il suo appartamento a un'agenzia immobiliare. Un colpaccio, tipo quello di Scajola: ce lo ricordiamo tutti. Tristi storie che si ripetono, da destra a sinistra.
Quindi è opportuno trarre le prime somme di quanto detto fino ad ora. Vediamo chi è Giuseppe Castiglione. Mentre la politica speculava su Mineo, Castiglione era: presidente della provincia di Catania e soggetto attuatore del CARA, ma era anche presidente dell'unione province italiane (UPI), ruolo che gli permise di indicare Odevaine al tavolo del Ministero che gestiva i flussi migratori. Resta soggetto attuatore del CARA anche quando non ricopre più la carica di presidente della provincia, carica che successivamente passa ad Anna Aloisi, sindaco di Mineo, anche lei di NCD. Di fatto Castiglione in questo modo continua ad avere un controllo su tutto e su tutti. Si avvale dei suoi fedelissimi, tra cui spicca proprio la Aloisi, nonché il direttore generale del Consorzio tra comuni «Calatino Terra d'Accoglienza» cioè Giovanni Ferrera.
Ma non è finita, perché Castiglione è anche colui che sceglie Odevaine come consulente del centro e, secondo le intercettazioni, sarebbe stato sempre lui a portare a pranzo l'uomo di mafia-capitale e a fargli capire chi doveva vincere la gara d'appalto per il CARA. Queste le parole di Odevaine intercettato: «Praticamente arrivai e capii che quello che veniva a pranzo con noi era quello che avrebbe dovuto vincere la gara».
Odevaine, per contraccambiare il favore e sotto lauto pagamento, piazza la cooperativa La Cascina nella gestione del CARA. La Cascina è soggetto vicino a Comunione e Liberazione come NCD d'altra parte. Questa si aggiudica così un appalto milionario, ma gira i soldi ai propri sodali, perché intanto Mineo cade nel completo degrado, anno dopo anno.
E voi sui banchi del Governo e che sedete nella maggioranza, queste le chiamate coincidenze ? Parlate ancora di garantismo ? Al di là di ogni indagine in corso, sul piano morale e politico, vi pare opportuno che uno come Castiglione, tra i principali coinvolti nell'inchiesta sul CARA di Mineo e citato in centinaia di telefonate intrattenute tra presunti boss e criminali possa amministrare la cosa pubblica ? Vi pare possibile ? Lo considerate un passaggio limpido, trasparente ? Oggi Castiglione è sottosegretario all'agricoltura, cosa dobbiamo pensare: che sia stato premiato per lo scempio compiuto in Sicilia ? Premiato poiché artefice del business costruito ad arte sulla pelle dei migranti e su quella degli italiani ? Fatto sta, gentili colleghi, che, dopo essersi aggiudicato la prima gara, Castiglione si aggiudica anche quella del 2014, di recente definita dall'Autorità anticorruzione, Cantone, «gara sartoriale» cioè cucita su misura. Cito sempre le intercettazioni, dice Buzzi: «Se tu mi prevedi un bando di gara che prevede il centro cottura a 20 chilometri, e ce l'ho solo io il centro cottura a 20 chilometri, solo io posso partecipare. E infatti a quella Pag. 14gara parteciparono solo quelli che poi vinsero», cioè la cooperativa La Cascina.
Cantone ha definito l'appalto del 2014 illegittimo, in contrasto con i principi di concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità ed economicità.
Lo stesso ha scritto una lettera, nel febbraio del 2015, sottolineando che «tale problematica sarà sottoposta da ANAC al giudice contabile per eventuali profili di danno erariale». A questa lettera ne seguì un'altra, nel mese di maggio indirizzata al Viminale. Ma il Viminale come ha reagito ? Semplice: silenzio; anzi, il 25 marzo davanti ai parlamentari del Comitato Schengen, il prefetto Mario Morcone difende persino l'operato di chi gestiva il centro, spingendosi a sollevare dubbi sulla decisione del presidente Cantone. Il 6 maggio, dunque, sempre Cantone scriveva, anche, al Consorzio Calatino, ribadendo l'illegittimità della gara. Ebbene, il 15 maggio, Giovanni Ferrera, direttore generale del Consorzio, incurante del parere dell'anticorruzione, firma e pubblica la determina che conferma comunque l'appalto da 100 milioni di euro, liquidando la questione dicendo che il parere dell'ANAC non è vincolante. L'appalto è salvo, merito anche del Ministro Alfano che continua con sfacciataggine a tacere.
Da quest'ultimo siparietto si apprende una cosa, su tutte: ovvero che a Mineo il circolo degli alfaniani può liberamente pilotare gare, piazzare uomini e macinare denaro in modo apparentemente illecito sui rifugiati, e nessuno li ferma, nemmeno il parere dell'Autorità anti-corruzione. Che poi il problema non è solo quello delle gare d'appalto, ma anche quello delle assunzioni. Un'inchiesta aperta dalla procura di Caltagirone sta tentando di far luce su una vera e propria «parentopoli» a Mineo: una rete di presunti collegamenti familiari o di comunanza politica o sindacale. Tra gli assunti ci sarebbero parenti di amministratori, consiglieri comunali, candidati non eletti o rimasti disoccupati, di tutte le forze politiche, salvo che del MoVimento 5 Stelle.
E allora, a questo punto, proprio alla luce del mandato elettorale conferitoci, ci poniamo, legittimamente, delle domande. La prima è: quanto c’è dentro Castiglione in questo scandalo ? E visto il suo strettissimo legame con Alfano, Alfano poteva non sapere ? E ancora e soprattutto: perché Alfano non risponde alle lettere di Cantone ? Perché Alfano non manda ispettori a Mineo ? Perché non è Alfano a chiedere il commissariamento del centro ? I bene informati oggi dicono che se salta Castiglione, salta NCD, e potrebbe pure cascare il Governo. In tal senso risultano profetiche quanto minacciose proprio le parole di Buzzi che, rivolto ai pubblici ministeri, disse: «Mi ci dovete far pensare un attimo... perché su Mineo casca il Governo».
Ebbene, gentili colleghi, noi oggi siamo in quest'Aula per discutere una mozione di revoca nei confronti del sottosegretario Giuseppe Castiglione. Siamo qui, non per valutarne le responsabilità penali, poiché non spetta al Parlamento, ma siamo qui per valutare le sue responsabilità politiche. Riteniamo necessario, per salvaguardare le istituzioni italiane nel loro prestigio e nella loro dignità, che il Governo non consenta a una persona sottoposta a indagini per così gravi reati di continuare a esercitare le proprie funzioni all'interno dell'Esecutivo.
Chiediamo, pertanto, al Governo di avviare immediatamente le procedure di revoca della nomina a sottosegretario di Stato dell'onorevole Giuseppe Castiglione e salvare, per quanto possibile, la faccia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Erasmo Palazzotto, che illustrerà la mozione Scotto ed altri n. 1-00888, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ERASMO PALAZZOTTO. Signor Presidente, la vicenda Mineo è un emblema del fallimento delle politiche di accoglienza nel nostro Paese, lo è perché è assurda la sola idea di creare un ghetto disumanizzante, dove vengono ospitate più di quattromila persone, nel cuore delle campagne siciliane, dove il centro abitato più vicino è a circa dieci chilometri ed è lo stesso Mineo, un comune di quattromila abitanti, creando nel territorio le condizioni di un Pag. 15rapporto tra i cittadini italiani e i migranti di uno a uno. È un non luogo dove le vite vengono sospese, dove il terreno dei diritti umani e delle condizioni di vita è alquanto degradato.
È il buco nero dell'accoglienza, che viene giustificato solo ed esclusivamente con la necessità o con la possibilità di costruire un vero e proprio business della disperazione, un enorme sistema speculativo che, fin dalla sua nascita, comincia a ruotare attorno a quella vicenda. Parliamo delle strutture. Le strutture del Residence degli Aranci sono di proprietà della ditta Pizzarotti Spa, e quelle strutture, che erano state costruite originariamente per ospitare i militari americani di stanza a Sigonella, vengono abbandonate, perché ritenute dalle Forze armate americane non adeguate, in quanto avevano una serie di problemi (si trovano in una zona depressa, quindi soggetta ad allagamenti quando piove). Quindi, queste strutture rimangono nella disponibilità di questo imprenditore, che si trova ad avere quest'enorme residence in un luogo non certo di villeggiatura, nel cuore delle campagne, come dicevo prima. Il Governo italiano, durante l'emergenza nord Africa, decide – non per fare posto a chi arrivava in quel momento, prevalentemente dalla Tunisia, che veniva invece lasciato appositamente a Lampedusa, per consegnare una fotografia degradante e vergognosa del nostro Paese in tutto il mondo, le cui immagini ancora ci fanno vergognare per l'incapacità di un Governo di gestire poco più di 5 mila persone, che bastava trasportare sulla terraferma per risolvere il problema, ma si è voluto lasciarle là per creare l'emergenza che non c'era, perché, vorrei ricordare, che, davanti ai numeri di oggi, l'emergenza nord Africa sono gli sbarchi di una settimana – di requisire, con le politiche dell'emergenza, quella struttura di Pizzarotti, per trasferire in quel luogo tutta la popolazione migrante dei diversi CARA e quindi creare questa struttura. La struttura viene requisita a un costo di 12 milioni di euro per due anni. Nessuno ci ha mai risposto né ci ha spiegato, come da molte parti era stato sottolineato, perché, per esempio, il Governo italiano non ha deciso di utilizzare le strutture, anche quelle dismesse, della ex base militare di Comiso, che già proficuamente erano state utilizzate durante l'emergenza Jugoslavia e che con 12 milioni di euro si potevano ristrutturare, ampliare e rendere, senza oneri per lo Stato, un luogo di accoglienza altrettanto efficiente, perché erano di proprietà del comune di Comiso e quindi dello Stato. Ma si è scelto anche in quel caso, dall'inizio, di guardare, invece, alla possibili speculazioni private. Si è costruita una gara – veniva qui ricordato – che non solo nel 2014, ma fin dall'inizio, ha quel profilo di sartorialità, cioè quei requisiti che in qualche modo limitano la partecipazione alle sole imprese vicine o presenti nel territorio, che, guarda caso, vengono subito messe tutte attorno a un tavolo e consorziate per partecipare e prendere un appalto così cospicuo e sicuramente così goloso. Credo che attorno a questo sistema – il sistema delle assunzioni, che qui veniva ricordato, fatte assolutamente per chiamata diretta – e al legame stretto, intrinseco, che si è costruito in questi lunghi quattro anni, nel rapporto tra la politica e il sistema d'impresa che ha gestito Mineo, si annidi un tema centrale non solo per la vicenda di Mineo, ma un tema centrale per il nostro Paese, che è il tema della questione morale, un tema che interessa e che impregna principalmente i rapporti tra la politica, l'economia e il consenso in questo Paese.
Veniva qui ricordato il Nuovo Centrodestra, che è un partito che ha poco più del 3 per cento in tutte le competizioni elettorali e che, guarda caso, in quel territorio, dove i suoi uomini sono responsabili politicamente della gestione di un appalto da più di 100 milioni di euro, arriva al 40 per cento. Dove i suoi uomini si trovano ad essere quelli che gestiscono il consorzio che affida l'appalto a delle cooperative, che assumono e danno lavoro a più di 400 persone, raggiunge più del 40 per cento. Credo che ci sia un nesso evidente tra il consenso e il CARA di Mineo in quel territorio e credo che questa Pag. 16sia una riflessione che deve fare la politica e che attiene alla politica, non alle aule di tribunale.
Presidente, non siamo qui per fare un'anticipazione del processo che l'onorevole Castiglione dovrà subire. Mi auguro – me lo auguro da cittadino italiano e da siciliano – che il sottosegretario Castiglione dimostri la sua estraneità a qualunque fatto di rilevanza penale in questa vicenda.
Tuttavia restano il problema morale e il problema politico che non sono di competenza della giustizia italiana bensì di questo Parlamento, della politica e dei partiti politici. In questa vicenda ci sono troppi buchi neri che vanno spiegati e noi abbiamo chiesto che in questa Aula venisse il Ministro dell'interno a spiegarci e a darci delucidazioni rispetto a questi buchi neri che ogni giorno, nel lavoro della Commissione di inchiesta cui noi stiamo partecipando e di cui personalmente faccio parte, riscontriamo.
Il primo buco nero è che Mineo è un bubbone del sistema di accoglienza e del sistema di speculazione sulla pelle dei migranti che non ha una paternità, non vi è nessuno in questo Paese che dica di aver scelto di aprire Mineo. In ogni audizione da noi svolta ognuno ha scaricato la responsabilità su qualcun altro. Il prefetto Gabrielli che era capo della protezione civile ha riferito che Mineo se l’è trovato; il ministro Maroni è quello che prima ha stabilito che le regioni dovevano accogliere i migranti per quote, prevedendo che la quota di 4 mila migranti su 4 mila abitanti a Mineo era un'eccezione che andava fatta in Sicilia e oggi non riconosce alcuna paternità su quel disastro e si permette anche di rifiutare qualche centinaio di profughi in una regione come la Lombardia, che ha non solo un numero elevato di abitanti, più di 11 milioni, ma anche le risorse economiche per farvi fronte. Non se le assume appunto la Lega che su questo ha fatto addirittura una doppia speculazione: il ministro Maroni a suo tempo da una parte favorisce gli affari di alcune imprese del nord – penso a Pizzarotti che ha guadagnato 12 milioni di euro in due anni per l'affitto di un posto che gli sarebbe rimasto intonso – e dall'altra ci fa la speculazione politica, perché il leader del Carroccio Salvini si permette di andare a Mineo a dire in pompa magna che noi ospitiamo i migranti dentro alberghi a cinque stelle. Evidentemente, se invece di fermarsi all'ingresso del residence degli Aranci, impupato ad hoc dalle cooperative che lo gestiscono per non fare vedere qual è il disastro interno, fosse venuto con noi a fare l'ispezione dentro quei luoghi, si sarebbe reso conto facilmente che quello non è un residence a cinque stelle bensì un luogo disumanizzante, un luogo dove le condizioni igienico-sanitarie sono disastrose, dove esiste un giro di prostituzione che più volte è stato denunciato da diverse organizzazioni, dove probabilmente si è costruito un sistema con cui le mafie stesse sfruttano i residenti del CARA di Mineo per farli andare a lavorare nelle campagne limitrofe. Si è costruita questa dinamica della tratta di esseri umani nel nostro Paese, nel cuore della Sicilia.
Io penso che noi dobbiamo avere tutte queste risposte, soprattutto nella vicenda che oggi appare lampante. Ripeto, non serviva Mafia capitale per capire cosa stava succedendo a Mineo. La prima interrogazione che il sottoscritto ha depositato in questo Parlamento è del luglio 2013, qualche mese dopo l'insediamento di questa legislatura, è stato uno dei primi atti parlamentari che ho firmato, dopo un'ispezione a Mineo, per chiedere chiarimenti non solo sulle condizioni degradanti che c'erano dentro quel centro, ma anche per chiedere dei chiarimenti sull'enorme costo e sull'enorme speculazione che si costruiva attorno a quel centro. Non è arrivata alcuna risposta se non qualcuna del tutto evasiva. L'ultima interrogazione l'ho depositata invece a dicembre 2014, il giorno dopo la notizia della indagini su Mafia capitale. A quell'interrogazione il Ministero dell'interno risponde in data 5 febbraio 2015 ad una richiesta precisa – qual è il sistema dei controlli che questo Ministero ha messo in campo sul CARA di Mineo – nel modo seguente: la prefettura Pag. 17di Catania aveva avviato la richiesta al consorzio dei comuni per fare le verifiche sugli appalti ! Il 5 febbraio del 2015 ! Cioè noi per quattro anni spendiamo più di cinquanta milioni di euro l'anno per l'appalto della gestione dei centri per migranti e in quegli anni non vi è stato un solo controllo su come quei soldi venivano spesi ! Questo deve venirci a spiegare il ministro Alfano in questa Aula ! Perché il Ministero dell'interno non ha mai fatto un controllo su quella vicenda.
Perché è stata costruita una lex specialis per il CARA di Mineo ? Tutti gli altri CARA d'Italia rispondono alle prefetture; per il CARA di Mineo c’è stata una eccezione ed è stato nominato il presidente della provincia di Catania come soggetto attuatore ed è stato permesso a lui di bandire una gara e di nominare Odevaine dentro la Commissione che doveva esaminare e giudicare l'appalto.
Tutte queste cose vanno spiegate oggi e se questa vicenda oggi emerge in questa maniera così disastrosa è perché c'era qualcuno che in tutti questi anni ha denunciato quello che stava accadendo. A me è successa una cosa anche molto disdicevole, la dico così. È successo che al sottoscritto, dopo una delle numerose ispezioni che ho fatto in quel centro, si è trovato il giorno dopo, su questo potete andare a guardare le cronache del luglio dello scorso anno, prima di mafia capitale, l'ispezione denunciata con materiale fotografico, pubblicato sugli organi di stampa, riguardo le condizioni di degrado che si vivevano in quel centro (denunciando ancora una volta l'opacità nella gestione amministrativa di quel centro), l'intervento di una delegazione parlamentare, organizzata dal sindaco di Mineo, Anna Aloisi, con il consorzio dei comuni, e con il signor Luca Odevaine che campeggiava in tutte le fotografie di quella delegazione con alcun colleghi che spiegavano che nel CARA di Mineo si stava bene, che lì addirittura c'era un modello di accoglienza da esportare. Tutto questo lo dicevano mentre si facevano fotografare insieme a quel signor Luca Odevaine, evidentemente molto preoccupato del fatto che c'era un parlamentare che rompeva le scatole e che denunciava quale era la verità su quel CARA.
Eppure la politica invece di dire che se c’è qualcuno che quella cosa la sta denunciando, vediamo cos’è, se ha ragione, se è vero, se dice fesserie, in quei giorni si è affrettata ad andare a dare sostegno all'esperienza del CARA di Mineo. Questo faceva comodo a tutti, perché i sindaci del consorzio, che sono anche del Partito Democratico e questo va denunciato, fino al giorno in cui la Commissione d'inchiesta è andata a Catania a fare le audizioni, non hanno proferito parola davanti alla Commissione d'inchiesta su quell'appalto che era stato già giudicato illegittimo dall'autorità anticorruzione e che invece era stato confermato dal direttore generale del loro consorzio, di cui loro sono gli azionisti e di cui loro sono i capi. Invece, la sensazione che abbiamo avuto era un'altra ossia che il signor Ferrera era il capo dei sindaci, che il sistema speculativo che si era costruito attorno a Mineo comandasse la politica. Allora, è questo il punto di questa mozione e di questa discussione.
Noi chiediamo oggi le dimissioni e presentiamo una mozione di censura nei confronti dell'onorevole Castiglione perché riteniamo che sia responsabile politicamente, essendo il padre fondatore del CARA di Mineo e avendo gestito financo l'ideazione e la creazione di quel consorzio che è servito a fare quel tipo di speculazioni. Per cui noi non possiamo tollerare che nessuno si assuma quella responsabilità. Poi chiediamo – e chiudo, signor Presidente, scusandomi per il tempo – che il ministro Alfano si assuma la sua porzione di responsabilità su questa vicenda perché o ha fatto finta di non sapere o sapeva e non è voluto intervenire. In entrambi i casi, le responsabilità del suo dicastero sono enormi e lui è responsabile istituzionalmente in quanto Ministro degli interni e politicamente in quanto capo del partito i cui rappresentanti sono i principali esponenti di tutto il sistema Mineo. Oggi qualcuno in quest'Aula dovrebbe venirne a rispondere.

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Miccoli. Ne ha facoltà.

MARCO MICCOLI. Signor Presidente, abbiamo negli occhi tutti quanti noi in questi giorni le drammatiche scene a cui abbiamo assistito a Roma, Milano e Ventimiglia, che danno la chiara dimensione del fenomeno dell'immigrazione, ormai a tutti gli effetti riconosciuto come un fenomeno mondiale non più risolvibile con gli attuali strumenti di Governo e di collaborazione internazionale che possediamo. A dire il vero, signor Presidente, e va ricordato, abbiamo assistito ad una gara di solidarietà che ha visto protagonisti tantissimi cittadini, a Roma, a Milano e a Ventimiglia. Vorrei sottolineare quello che è accaduto a Roma, da romano e da parlamentare romano, in cui molti cittadini si sono recati alla tendopoli, al centro Baobab dove sono accolti i profughi e i richiedenti asilo, quasi a voler rivendicare che il nome di quell'inchiesta – Mafia Capitale, appunto, con il nome mafia accostato al nome della Capitale – sia francamente ingiusto.
I romani sono un'altra cosa. Al di là dell'analisi e delle misure da intraprendere in sede europea per contrastare il fenomeno dei mercanti di migranti e per risolvere i problemi dovuti ai conflitti scatenati nelle zone da cui le popolazioni fuggono – è bene ricordare che quella è una fuga dagli stermini, dalla fame e da ogni sorta di violenza – e al di là delle valutazioni fatte in merito agli scenari internazionali, l'Italia è obbligata, obbligata dai fatti e, vale la pena ricordare, anche dalla nostra Costituzione, nonché da leggi e convenzioni internazionali volte a garantire accoglienza, protezione e tutela a chi domanda asilo politico nel nostro Paese.
L'esodo che si sta verificando e l'atteggiamento dei Paesi europei in riferimento alla chiusura dei confini ed al blocco della Convenzione di Schengen ha messo in difficoltà la nostra capacità ricettiva e la qualità dei nostri livelli di organizzazione relativamente al controllo, allo smistamento ed al soccorso e accoglienza dei profughi. In realtà, ci sono stati picchi di difficoltà dovuti al nostro sistema di accoglienza, non più compatibile coi nuovi scenari, e siamo costretti ad operare sempre in emergenza. È proprio nella gestione dell'emergenza, è proprio da qui, è proprio qui che si inserisce la criminalità organizzata, che è riuscita a creare il business sull'immigrazione e sulla gestione dei centri di accoglienza e dei campi rom. Si è così arrivati al quadro desolante, ma tutt'altro che inatteso, che abbiamo di fronte. Gli sviluppi dell'inchiesta mondo di mezzo 2, conosciuta anche come Mafia Capitale, si inseriscono infatti nella ripetuta e continuata gestione in emergenza dell'accoglienza delle persone che approdano nelle nostre coste innescando così un meccanismo corruttivo e criminale. Nella gestione delle strutture si è infiltrata, spesso, gente priva di scrupoli, senza alcuna esperienza e competenza, interessata solo agli affari e non alla tutela e al rispetto dei diritti dei profughi.
Qui però, Presidente, è bene distinguere: non parliamo degli operatori, dei lavoratori e dei volontari che spesso si adoperano in condizioni drammatiche, va ricordato, e che in alcuni casi pagano anche il prezzo di questo malaffare, come ad esempio, lo voglio ricordare, i 1.800 lavoratori della cooperativa 29 giugno, la cooperativa sociale di Buzzi; quei lavoratori sono lavoratori socialmente svantaggiati, spesso ex-detenuti, a bassissimo reddito, cui va invece il nostro pensiero, a loro e agli altri, rischiano di diventare le altre vittime oltre ai profughi e ai richiedenti asilo, e che nulla hanno a che vedere con chi sull'immigrazione fino a oggi ha lucrato. Ma l'inchiesta, oltre alle responsabilità soggettive, mette sotto accusa un intero sistema e la filosofia che quel sistema lo ha prodotto. È il modello del «megacentro» di accoglienza o del «mega campo nomadi» come quelli di Roma, centri nati per concentrare in un unico punto tanti profughi, tanti richiedenti, tanti immigrati, come appunto il CARA di Mineo, dove si ospitano 4 mila profughi, dove si è arrivati a cifre addirittura superiori ai 5 mila, e che si rivelato sbagliato Pag. 19sotto tutti i punti di vista; in primis è sbagliato per ciò che riguarda la dignità degli stessi profughi, che diventano, bene che vada, facile merce da comprare e sfruttare.
Se volessimo proprio rendere utile il nostro contributo oggi, il nostro dibattito bisognerebbe riflettere proprio su queste soluzioni legate all'accoglienza, elaborando un nuovo modello di distribuzione meno concentrata, ma più diffusa dei richiedenti nel nostro territorio, così come il Governo sta tentando, con molte difficoltà, in questi giorni di fare, costruire cioè un sistema che faccia comprendere fino in fondo che accogliere vuol dire occuparsi davvero di chi scappa da guerre e fame, per affermare e dimostrare, fino in fondo, la differenza tra chi vuole solo lucrare sugli uomini, le donne e i bambini che cercano da noi un futuro diverso e chi invece vuole occuparsi davvero di chi si rivolge a noi per garantirsi un futuro.
Ormai è chiaro ed evidente che luoghi come questi sono diventati, inevitabilmente appetibili per chi vuole lucrare, ecco perché si insinua il malaffare nella gestione dei centri. Odevaine nell'interrogatorio si autodefinisce un «facilitatore» perché a quella gestione ci si può arrivare muovendosi nei meandri di relazioni, di contatti, di conoscenze, ma anche perché bisogna saper interpretare bandi, leggi, direttive e là dove è possibile, cercare di condizionarli. Sono processi complicati, si vince solo se ci si associa, se ci si consorzia, se si garantisce solidità economica e capacità di persuasione utilizzando anche, quando serve, la corruzione, e non solo, anche il fango.
Come è successo per il CARA di Castelnuovo di Porto, dove appunto Buzzi e Carminati perdono la gara e tentano di infangare il nome del presidente del TAR, che gli da torto sul ricorso.
La richiesta inviata al prefetto di Catania dall'Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, ritenendo irregolari le procedure d'affido, si inserisce proprio in questo quadro.
Spetta ora al prefetto la decisione di commissariare la gestione del centro di assistenza rifugiati e richiedenti asilo più grande d'Europa. I pubblici ministeri di Catania, che sull'inchiesta lavorano in coordinamento con i colleghi di Roma, ipotizzano che gli indagati «turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del CARA del 2011» – e vorrei sottolinearlo: 2011 – e «prorogavano reiteratamente l'affidamento e prevedevano gare idonee a condizionare la scelta del contraente, con riferimento alla gara di appalto 2014».
Veniva ricordato quanto scriveva appunto il 25 febbraio Raffaele Cantone: «La gara è illegittima perché in contrasto con i principi di concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità ed economicità». Sotto accusa è quindi quel general contractor, che determina l'appetibile appalto da 100 milioni di euro. È questa dimensione, questa dimensione economica che genera tutto. È questo che dobbiamo capire.
Ci chiediamo: ma se fossero stati sei o sette i lotti su cui imbastire la gara; se si fosse favorita la partecipazione di soggetti diversi, favorendo logiche di controllo ed autocontrollo più incisive, tutto questo sarebbe successo ? Dice appunto l'Autorità di controllo: «in quanto espressione di un oggetto contrattuale che, in realtà, si riferisce ad appalti differenti, che avrebbero dovuto essere aggiudicati con separate procedure di gara, ovvero con una ragionevole suddivisione in lotti» funzionali e autonomi. Invece, con un'unica procedura di gara, si è «proceduto all'affidamento di contratti che vanno dall'appalto del servizio di gestione amministrativa e di assistenza presso il centro, all'appalto del servizio di assistenza generica alla persona, del servizio di assistenza sanitaria, all'appalto del servizio di pulizia e igiene ambientale, del servizio di ristorazione, all'appalto di forniture agli ospiti, all'appalto del servizio di manutenzione dell'impiantistica insistente presso il centro».
Una scelta, a parere dell'ANAC, in contrasto con le nostre leggi, che prevedono: «Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle piccole e Pag. 20medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali». I criteri di partecipazione alle gare devono infatti – secondo la normativa citata – «essere tali da non escludere le piccole e medie imprese». «L'indicazione dell'importo a base d'asta in maniera complessiva» – conclude l'Authority – «senza indicazione degli importi per i singoli servizi, forniture e lavori messi a gara, non risulta conforme ai principi di concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità ed economicità, né consente di compiere una ragionevole valutazione delle offerte economiche». La controprova dell'assenza di concorrenza e di convenienza per la stazione appaltante è dimostrata dal fatto che, oltre all'istante, v’è stato un solo concorrente che ha partecipato alla procedura – il gestore uscente – cui è stato aggiudicato l'appalto con un ribasso molto ridotto, pari a 1,00671 per cento sul prezzo.
Cantone ha disposto la trasmissione degli atti alle procure della Repubblica competenti, quella di Catania e quella di Caltagirone: i rilievi mossi all'appalto del 2014 possono essere agevolmente applicati anche al primo appalto del 2011 e al secondo del 2012. Entrambi sono inficiati dall'essere stati una gara cucita su un'offerta all inclusive, cosiddetta «chiavi in mano», in cui si sa già chi vince: chi ha la disponibilità totale di servizi, forniture, immobili per far fuori le piccole e medie imprese. È proprio qui che si inseriscono gli Odevaine, i Buzzi, i Carminati. Infatti, sul filone romano dell'inchiesta, sono le stesse logiche che hanno prodotto l'interesse del malaffare sui grandi campi nomadi. Anche lì il global contractor, che racchiude appunto la possibilità di gestire insieme tutti i servizi. Anche lì è la dimensione dei campi, il numero di nomadi che essi contengono, la gestione globale dei servizi messi a gara, o affidati, che rende elevato l'appalto economicamente, e che quindi lo rendeva appetibile a Mafia capitale. Solo pochi sono in grado di fornire tutti i servizi. È questo che elimina la concorrenza ed è in questo modo che è più difficile il controllo sulla qualità e sulla regolarità dei servizi erogati. L'associazione mafiosa sta nell'organizzazione di questo sistema di offerta, che sfugge al controllo e crea la forza economica e quindi la capacità persuasiva su chi dovrebbe controllare.
Ora, le inchieste stanno andando avanti e consegneranno nuovi atti. Noi ci auguriamo che servano ad estirpare tutto ciò. Tutti noi sosteniamo lo sforzo delle procure di Roma e di Catania affinché, appunto, si arrivi a conclusione. Saranno i processi, che noi speriamo si facciano presto, a stabilire tutte le responsabilità.
Per noi – lo abbiamo già detto – un avviso di garanzia è un atto dovuto nei riguardi di chi viene coinvolto da un'inchiesta; non è una condanna, e come tale va trattato. Peraltro, il sottosegretario Castiglione verrà in audizione nella Commissione d'inchiesta sui CIE. Di recente ci sono state assoluzioni clamorose, Presidente, nei confronti di amministratori locali che hanno scelto di dimettersi o che sono stati costretti a farlo prima dell'esito processuale. È bene ricordarsene oggi in occasioni come questa.
Ebbene, per questo in questo momento a noi interessa di più mettere sotto accusa un sistema, dando, su questo sì, un giudizio politico e di merito, perché poi il nostro compito sarà di correggere quelle storture che hanno permesso tutto questo. È un sistema inaugurato, lo voglio ancora una volta ribadire, nel 2011 – non c'era il Governo Renzi – e per questo noi non vogliamo anticipare, al momento, il giudizio della magistratura.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Tancredi. Ne ha facoltà.

PAOLO TANCREDI. Grazie, Presidente. Io in realtà vorrei molto brevemente trattare l'argomento, anche perché considero il dibattito fatto, seppur interessante, non centrato. Forse doveva essere fatto con l'informativa del Ministro Alfano, che pure c’è stata, sui fatti e sugli avvenimenti legati al CARA di Mineo, di qualche settimana fa.Pag. 21
Io penso che basterebbe, Presidente, a chiunque non sia animato da un pregiudizio o da malafede o da un desiderio di strumentalizzare politicamente la questione, una lettura, anche superficiale, dei due documenti che sono al nostro esame odierno per concludere che il Parlamento non avrebbe dovuto essere investito del dibattito odierno, e tanto più questo amareggia in quanto a presentare una delle due mozioni è il partito di SEL che, al di là delle convinzioni politiche, dovrebbe affondare le sue radici in una cultura del diritto estranea e aliena a iniziative di questo tipo.
D'altro canto, il Governo, appunto come dicevo, nella persona del Ministro Alfano, il Ministro dell'interno, non più di una settimana fa, appunto, rispondendo a un'interrogazione della Lega aveva informato il Parlamento, lì sì, con un dibattito appropriato in quel caso, che era centrato per quest'Aula e per la dignità del Parlamento, sulla storia del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. In quel contesto, infatti, si è evidenziato come – e voglio in questa sede citare le parole del Ministro Alfano – che rispondeva, appunto, a un'interrogazione della Lega, che la vicenda nasce nel 2011: fu dichiarato lo stato di emergenza migratoria e fu indicato soggetto attuatore per la gestione del CARA di Mineo il presidente della provincia di Catania. Il Ministro dell'interno era Roberto Maroni e si trattava del Governo Berlusconi.
Solo dopo la chiusura dell'emergenza del Nord Africa la prefettura del capoluogo etneo fu autorizzata, sulla base di un'ordinanza di protezione civile del 28 dicembre 2012, a stipulare una convenzione con un consorzio dei comuni del calatino, per garantire la continuità dell'accoglienza. Allora il Ministro dell'interno era Anna Maria Cancellieri ed era il tempo del Governo Monti. Dunque, è lo stesso consorzio, che in qualità di stazione appaltante ha svolto la gara per l'individuazione del soggetto gestore ed è, infatti, al consorzio che a febbraio scorso si rivolge l'Autorità anticorruzione rilevando profili di illegittimità sulla gara di affidamento.
Dopo circa tre mesi il consorzio, in risposta all'ANAC, che aveva ribadito i proprio rilievi, ha confermato l'aggiudicazione, non considerandosi il consorzio vincolato dall'atto negativo dell'ANAC. Qui si chiude la mia citazione del Ministro.
L'onorevole Castiglione, è stato detto d'altronde, fin dalle prime indiscrezioni, ben prima di essere raggiunto da un formale avviso di garanzia, si è messo, come è giusto, a piena disposizione. Ha più volte sollecitato di essere sentito dalle autorità giudiziarie per chiarire ogni atto ed ogni azione amministrativa compiuta nella qualità di soggetto attuatore dal giugno 2011, però, a giugno 2013.
Quindi, i fatti che qui vengono enfatizzati, anche da colleghi, riguardanti la gara del 2014, non riguardano, nemmeno indirettamente o come responsabilità oggettiva, l'onorevole Castiglione, che rivendica anche pubblicamente la trasparenza e la legittimità di questa attività di soggetto attuatore. È opportuno chiarire che l'onorevole Castiglione, da soggetto attuatore, ha bandito per la gestione del CARA di Mineo solamente due gare, una nell'agosto 2011, previa approvazione degli atti da parte del commissario delegato, l'altra nel febbraio 2012. Su quest'ultima è intervenuta anche l'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici, la quale, con il parere n. 100 del 2012, affrontando ciascuna delle illegittimità eccepite, ha concluso per la legittimità della gara.
L'unica colpa che oggi è possibile ascrivere all'onorevole Castiglione è quella di avere avuto la sfortuna di incontrare e nominare quale consulente nella gestione del CARA di Mineo il dottor Odevaine, uomo – si diceva – di stimata professionalità, come formalmente attestato da organi superiori all'epoca dei fatti e che le inchieste e le cronache giudiziarie di questi giorni sembrano smentire. Voglio ricordare che lo stesso Odevaine è ancora un indagato, un accusato, non un colpevole riconosciuto. Tale colpa non è ascrivibile in Italia, cioè quella di essersi fidati Pag. 22di questo soggetto – è bene anche ricordarlo – solamente all'onorevole Castiglione. Dell'onestà di Odevaine prima dell'onorevole Castiglione non hanno dubitato l'onorevole Veltroni, che lo ha nominato vice capo di gabinetto, l'onorevole Melandri, che lo ha nominato dal 1998 al 2001 consigliere del Ministro dei beni culturali, il presidente Zingaretti, quando lo ha nominato capo della Polizia provinciale, e tutti coloro i quali lo hanno chiamato a gestire emergenze in tutta Italia, quindi Castiglione solo per ultimo, e dopo un così importante curriculum da poter vantare da parte del dottor Odevaine. All'onorevole Castiglione, al pari di tutti gli altri che lo hanno nominato, non è addebitabile per tale ragione una responsabilità penale, e men che meno politica, ma al pari di tutti gli altri che lo hanno nominato è rimasto vittima di un'apprezzabile professionalità che, a loro insaputa, è stata non sempre trasparente e lecita, se i fatti che oggi sembrano essere plausibili dalle ricostruzioni e dalle cronache giudiziarie saranno poi confermati da un vero e proprio giudizio, perché questo è il punto.
D'altro canto, alla base del teorema d'accusa – e qui la magistratura ha fatto sicuramente il suo dovere; altre volte gli eccessi della magistratura inquirente non abbiamo avuto paura o reticenza a denunciarli, ma in questo caso probabilmente si trattava di un atto dovuto – sono basati, come si vede anche dai due documenti presentati alla attenzione di quest'Aula, su dichiarazioni a terzi di Odevaine, dichiarazioni, se le avete lette – si leggono anche e sono riportate, d'altronde il fatto che siano riportate queste e solo queste, perché qualcuno ha parlato prima di me di migliaia di intercettazioni, ma insomma credo che quelle che noi abbiamo avuto modo di leggere siano le più rilevanti – che sono molto generiche, fatte con molta superficialità. Tra l'altro, insomma, l'immaginare reati da parte di Castiglione rispetto a quei riferimenti è un salto logico davvero ardito.
D'altro canto, la comunicazione di un avviso di garanzia, equazione con dimissioni, è una barbarie e danneggia anche la buona azione della magistratura, perché se un magistrato inquirente deve pensare che ogni volta che deve indagare un amministratore, ma anche un amministratore di una azienda o una persona comune, deve mettere a rischio la storia di istituzioni, la storia di aziende, di famiglie, di vite personali, è chiaro che – io penso – questo sia un limite anche all'azione della magistratura inquirente. Se un avviso di garanzia, che spesso – ripeto – è atto dovuto, deve essere equazione di revoca di mandato, dimissioni, fine di storie personali, di aziende, di istituzioni, è logico che investiamo la magistratura inquirente di una responsabilità che condizionerebbe un magistrato serio in maniera importante e che condizionerebbe sicuramente le indagini.
Quello che dobbiamo chiedere oggi noi, come Parlamento, è che la magistratura svolga le sue indagini in maniera seria, che lo faccia in maniera approfondita e lo faccia, se possibile, anche in maniera rapida.
Ripeto, non posso, in questo momento, ipotizzare nemmeno eccessi da parte della magistratura inquirente coinvolta in questa vicenda. Altre volte ce ne sono stati, li abbiamo stigmatizzati, ma non è questo il caso. Qui siamo alla richiesta al Parlamento di cedere al cieco tritacarne mediatico, in cerca ogni giorno di una vittima sacrificale da mettere sulle prime pagine, sui titoli dei telegiornali, con una moralità e un giustizialismo tanto al chilo, che mette sullo stesso piano un indagato per turbativa d'asta – reato grave, per carità, ma cui può incorrere un amministratore anche onesto nell'ipotesi – con un delinquente incallito, che magari ha commesso reati gravissimi contro la persona. Chi si avvantaggia di questa cultura ? Chi si avvantaggia di questo tritacarne che mette tutti sullo stesso piano ? Se ne avvantaggia, Presidente, il delinquente e il criminale, se può essere messo sullo stesso piano di un amministratore che si presume abbia fatto un errore di tipo amministrativo. È logico che il dire tutti colpevoli, significa anche dire nessuno colpevole. Da questo punto di Pag. 23vista – ripeto – stiamo facendo un gran piacere a chi, invece, delinque davvero.
Le differenze sono tante, perché le sfumature sono tante: c’è chi prende soldi e viene scoperto a prendere soldi; ci sono episodi di attività investigative che fanno luce su persone che si arricchiscono alle spalle della cosa pubblica, e che chiaramente vanno stigmatizzate e punite – in quel caso sicuramente c’è un'opportunità per un passo indietro – e c’è chi invece viene accusato, magari solo per responsabilità oggettiva, solo perché si trovava a fare il presidente della provincia nel momento in cui probabilmente veniva bandita una gara, probabilmente e presumibilmente irregolare, e viene messo sullo stesso piano. Ebbene, questa non è cultura giuridica, non è volontà di fare luce, non è volontà di migliorare la cosa pubblica: è solo la volontà di rispondere – ripeto – ad un grande mostro, ad un grande tritacarne mediatico, che si deve nutrire tutti giorni della carne e del sangue di persone, che spesso poi alla fine si rivelano innocenti.
Ribadisco, Presidente, e mi avvio alla conclusione. Quest'Aula non doveva essere investita da questo dibattito. Non è responsabilità della Presidenza, è responsabilità di coloro che l'hanno presentato, però io credo di potere ribadire questo concetto, ovvero che quest'Aula non meritava oggi di discutere di una questione del genere. Io penso che noi dobbiamo – ripeto – fare in modo che la magistratura lavori serenamente, che accerti i fatti, che accerti le responsabilità, cercando di farlo con la maggiore rapidità possibile. Ma non credo un'iniziativa di questo tipo e una strumentalizzazione politica di questo tipo possano aiutare la ricerca della verità.
Penso quindi che la proposta delle due mozioni vada respinta con grande forza e a questo si orienterà il voto di Area Popolare (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00591, Brunetta e Giammanco n. 1-00901 e Grande ed altri n. 1-00913 concernenti iniziative volte alla revoca delle sanzioni dell'Unione europea contro la Federazione russa e al raggiungimento di una soluzione politico-diplomatica della crisi ucraina (ore 15,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00591, Brunetta e Giammanco n. 1-00901 e Grande ed altri n. 1-00913, concernenti iniziative volte alla revoca delle sanzioni dell'Unione europea contro la Federazione russa e al raggiungimento di una soluzione politico-diplomatica della crisi ucraina (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Ricciatti ed altri n. 1-00914, Bechis ed altri n. 1-00916 e Librandi ed altri n. 1-00917 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata Giammanco, che illustrerà anche la mozione Brunetta e Giammanco n. 1-00901. Ne ha facoltà.

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GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la mozione di Forza Italia per dire stop alle sanzioni economiche contro la Federazione russa nasce da quello che da sempre è il nostro principale obiettivo: difendere gli interessi dell'Italia e degli italiani; difendere il made in Italy e le nostre imprese; difendere il lavoro e i lavoratori dei settori colpiti dallo scellerato sistema di sanzioni attivato dall'Unione europea, ormai da un anno, contro la Federazione russa; difendere la pace e il dialogo tra l'Europa, la Federazione russa e gli Stati Uniti d'America.
Il combinato disposto di sanzioni e controsanzioni tra la Federazione russa e l'Europa, a causa della crisi ucraina, sta facendo pagare un prezzo altissimo alle nostre imprese. Secondo una recente inchiesta di sette giornali europei della Leading European Newspaper Alliance (LENA), che comprende anche il quotidiano italiano La Repubblica, in collaborazione con l'Istituto austriaco per la ricerca economica, per l'Italia nel breve periodo si stima un danno di oltre 4 miliardi di euro, con una perdita di 80 mila posti di lavoro, per lievitare poi nel lungo periodo a quasi 12 miliardi di euro e a 215 mila posti di lavoro persi. Lo ripeto, ci sono 215 mila posti di lavoro a rischio. Il tutto è paradossale, se si considera che nel frattempo diversi esponenti del Governo dissertano sui possibili e ancora non ben chiari e non ben quantificabili benefici legati al famoso Jobs Act. Con il sistema di sanzioni e conseguenti controsanzioni è come se avessimo bruciato una fabbrica delle dimensioni di una città italiana, grande, ad esempio – pensate –, quanto Padova.
Ma se il conto delle sanzioni per le imprese italiane è salatissimo, il resto dell'Europa di certo non può sorridere. L'Unione europea, proprio per effetto delle sanzioni, nel peggiore degli scenari, rischia di perdere 2 milioni di occupati, con 100 miliardi di euro in meno di esportazioni tra beni e servizi. Citando direttamente il rapporto in questione, se la situazione non dovesse mutare radicalmente, è prevedibile che le ipotesi più fosche diventino realtà.
Che dire ? Un anno di embargo, un anno di sanzioni ci sta conducendo letteralmente verso una vera e propria «Caporetto» economica. È un macigno insopportabile, quello delle sanzioni, soprattutto in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, caratterizzato da una gravissima crisi economica e occupazionale, che continua a flagellare il nostro Paese.
Eppure, autorevoli analisti di politica economica internazionale hanno messo chiaramente in luce, già da tempo, la debole efficacia delle sanzioni economiche e dell'embargo per la risoluzione delle crisi internazionali. La mancata ripresa dei rapporti diplomatici e di un dialogo politico che detti un calendario condiviso di progressiva e rapida cancellazione delle sanzioni economiche potrebbe far precipitare la situazione.
A sottolineare la gravità di quanto sta accadendo è anche il Sole 24 Ore, secondo cui le sanzioni e la crisi russa costano al sistema industriale italiano 8 milioni di euro al giorno, ogni giorno, sabato e domenica inclusi: un trend catastrofico, confermato anche dall'ISTAT, le cui analisi prospettano un calo dell’export verso Mosca su base annua di quasi il 30 per cento.
Alla prova dei fatti, per l'Italia l'effetto combinato di sanzioni e controsanzioni tra Europa e Russia, svalutazione del rublo, caduta del prezzo del petrolio, fuga degli investitori russi dall'Italia, difficoltà nelle operazioni bancarie si sta rivelando micidiale per l’export made in Italy. Secondo Confcommercio, la Russia è ormai scomparsa dalle prime dieci destinazioni per il nostro export proprio a causa dell'introduzione delle sanzioni, che, a loro volta, hanno scatenato le controsanzioni del Governo russo.
Da un'analisi dell'AICE, l'Associazione italiana commercio estero, emerge che le imprese italiane sono state colpite doppiamente dal gioco delle sanzioni incrociate. Infatti, se il settore dell'agroalimentare italiano è fortemente penalizzato dalle sanzioni imposte dalla Russia sull'importazione di prodotti alimentari europei, tutti gli altri settori merceologici sono Pag. 25colpiti dall'effetto boomerang delle sanzioni europee sul settore finanziario russo, che impedisce di fatto alle banche russe di poter operare e garantire i pagamenti dei compratori russi nei confronti dei fornitori italiani.
Ma a soffrire in particolar modo è proprio il comparto dell’agrofood italiano, da sempre fiore all'occhiello dell'economia nostrana. Secondo Federalimentare, nel 2013, ossia nell'ultimo anno prima che fosse imposto il blocco delle importazioni, la Russia era undicesima tra gli sbocchi dell'agroalimentare italiano, con una quota export di 562 milioni di euro, pari al 2,2 per cento dell’export alimentare italiano. Nel primo bimestre del 2015 il calo dell’export agroalimentare in Russia è stato, per Federalimentare, del 46 per cento, con il settore lattiero-caseario di fatto scomparso, addirittura meno 97 per cento.
Un allarme condiviso anche dalla Coldiretti, che ha denunciato il dimezzamento, nel primo bimestre del 2015, delle esportazioni agroalimentari italiane in Russia, fornendo numeri ben precisi sulle perdite registrate durante gli ultimi cinque mesi del 2014: 24 milioni di euro per la frutta, 19 milioni di euro per i prodotti lattiero-caseari, 17 milioni di euro per la carne e i suoi derivati. Ma a rischio su base annuale ci sarebbero spedizioni di ortofrutta per un importo complessivo di 72 milioni di euro; di carni per 61 milioni di euro; di latte, di formaggi e derivati per 45 milioni di euro. Cifre disastrose, preoccupanti e nettamente superiori a quelle previste dal Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, che, il 30 settembre del 2014, nel corso di un'informativa al Senato sull'impatto economico per le imprese nazionali delle sanzioni russe nei confronti dell'Unione europea, parlò di soli 100 milioni di euro.
E a soffrire non siamo solo noi, ma l'Europa intera. Numerosi Stati hanno segnalato alla Commissione europea i pesanti danni che il settore agroalimentare e quello della pesca stanno subendo. Oltre all'Italia, i Paesi baltici, la Polonia, Cipro, la Grecia, la Spagna, ma anche la Finlandia, il Belgio, la Danimarca, la Francia. Insomma, quasi tutti i Paesi sono direttamente e in misura significativa interessati dagli effetti negativi dell'embargo russo sulle importazioni, con differenti caratterizzazioni naturalmente in base alle tipologie di produzioni nazionali.
Così facendo, si è creata una situazione di eccesso di offerta sul mercato europeo per molti prodotti alimentari, con inevitabili ricadute negative sui prezzi riconosciuti agli agricoltori. Inoltre, c’è stato un vero e proprio boom nella produzione del falso made in Italy in Russia, tanto da far registrare, nei primi quattro mesi del 2015, un sorprendente aumento del 30 per cento. Di fatto, le sanzioni stanno spingendo i russi a tentare di produrre in loco i nostri prodotti di eccellenza, cercando di acquisire da parte di tecnici italiani il know-how su determinati settori, come quello lattiero-caseario, dell'arredamento, del design, della moda, tutti comparti già da tempo vittime della concorrenza sleale portata avanti da prodotti contraffatti e dal fenomeno dell’italian sounding, ovvero di quei marchi che simulano falsamente un'origine italiana.
A tal proposito, il professor Paniccia, docente universitario e direttore della Scuola di competizione economica internazionale di Venezia, sostiene che l'effetto sostituzione è il rischio più grave che corrono le nostre aziende esportatrici vittime dell'embargo. In sostanza, quando si perde un cliente, che poi si rivolge a un prodotto meno pregiato e più scarso, qualitativamente parlando, ma più vantaggioso da un punto di vista economico, è poi difficilissimo che questo torni indietro e che, quindi, si recuperino le posizioni ormai perdute sul mercato. Insomma, i russi stanno imparando a fare a meno di noi e dei nostri prodotti, sostituendoci con fornitori turchi, tunisini, cinesi, brasiliani oppure dedicandosi direttamente alla produzione in proprio. Un danno soprattutto al nostro export agroalimentare ancora più paradossale nell'anno in cui ci fregiamo di ospitare a Milano l'Expo, prestigiosa vetrina internazionale, che dovrebbe – sottolineo: Pag. 26dovrebbe – aiutarci a fare conoscere le nostre eccellenze in tema di food al mondo intero.
Come se non bastasse, le restrizioni economiche e commerciali imposte alla Russia per il conflitto ucraino stanno anche causando effetti negativi sui consumi in Italia da parte dei turisti provenienti da quelle aree, che comprano e spendono decisamente meno rispetto al passato. Da un'indagine di Federmoda Italia e Confcommercio emerge, nei primi tre mesi del 2015, un calo molto pesante, sia in termini di volume, che di acquisti e anche in termini di transazioni, da parte dei clienti russi, con andamenti non molto dissimili per quanto riguarda anche lo shopping dei turisti ucraini. Infatti, le sanzioni occidentali danneggiano anche i consumatori, nonché i turisti che vengono in Italia, russi e ucraini appunto, alimentando l'indebolimento del rublo, che da inizio anno ha perso più del 15 per cento del proprio valore sul dollaro. Oggi, per acquistare un euro, occorrono 62 rubli, quando appena un anno fa ne bastavano 47.
Eppure – è bene ricordarlo –, quello del turismo russo in Italia è un segmento economico preziosissimo. Nel solo 2013, ha comportato – pensate – un giro d'affari di circa 1,3 miliardi di euro.
A soffrire della situazione venutasi a creare sono i settori merceologici più svariati. Negli ultimi quattro mesi del 2014 il comparto ricambi e attrezzature per auto ha perso, per esempio, il 45 per cento, mentre l'abbigliamento ha fatto segnare un meno 15 per cento. E quest'ultimo non è neanche incluso nell'embargo, ma ciò dimostra come il danno economico investa, anche indirettamente, i beni non soggetti alle controsanzioni adottate dalla Russia, a causa della vertiginosa svalutazione del rublo.
Il segno meno è praticamente una costante nell'andamento dei principali settori manifatturieri nel primo trimestre del 2015. Il settore dei mezzi di trasporto registra un meno 70 per cento, quello degli autoveicoli un meno 82 per cento, quello dei prodotti in metallo un meno 40 per cento. Secondo i dati ISTAT elaborati da Il Sole 24 Ore la perdita media dei settori manifatturieri sfiorerebbe il 30 per cento: numeri e cifre che impressionano, ma che non dovrebbero in alcun modo stupire. Già lo scorso anno la Società di assicurazione delle imprese italiane all'estero aveva calcolato che le sanzioni contro Putin volute dagli Stati Uniti e dall'Unione europea avrebbero potuto portare una perdita di 900 milioni di euro nel migliore dei casi e fino a 2,4 miliardi nel peggiore, cioè in caso di ulteriore deterioramento delle relazioni diplomatiche tra Est e Ovest.
Senza dimenticare, inoltre, la questione energetica: l'Unione europea importa circa il 35 per cento del proprio fabbisogno di gas dalla Russia e una riduzione di queste forniture comporterebbe inevitabilmente un aumento delle bollette energetiche a carico delle famiglie e delle imprese europee e italiane.
Eppure, nonostante il quadro drammatico finora delineato e le fosche previsioni per il futuro, è notizia di questi giorni che gli ambasciatori dei 28 Paesi dell'Unione europea avrebbero concordato di prorogare fino al 30 giugno 2016 le sanzioni economiche contro la Russia in scadenza a fine luglio. Una decisione miope e autolesionista, quando invece la recente visita in Italia del Presidente Putin avrebbe dovuto e potuto rappresentare per il nostro Governo un importante passo in avanti nella promozione del processo di pacificazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 16)

GABRIELLA GIAMMANCO. Invece nulla è cambiato, anzi si è deciso addirittura di estendere, di prorogare la fine, la scadenza delle sanzioni alla Russia. Ci chiediamo dunque se almeno sia lecito sapere su che basi e valutazioni abbia agito il nostro ambasciatore Stefano Sannino, rappresentante permanente dell'Italia a Bruxelles, prima di avallare tale decisione. Il Governo italiano dovrebbe, al Pag. 27contrario, trovare il coraggio e l'orgoglio necessari per rilanciare le proposte di Forza Italia. Si deve porre fine a sanzioni suicide, che rischiano di mettere in ginocchio non solo il nostro Paese, ma l'Europa intera, lavorando affinché il nostro esempio sia seguito anche dalle altre nazioni.
Riportiamo il conflitto russo-ucraino sui binari del necessario e imprescindibile dialogo, abbandonando la strada delle sanzioni. La mozione di Forza Italia ha come obiettivo la pace, il pieno raggiungimento degli Accordi di Minsk, la distensione dei rapporti diplomatici tra la Federazione russa, l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, oltre che la difesa della nostra economia. Il tutto seguendo le orme di Silvio Berlusconi e dello spirito da lui instaurato a Pratica di Mare nel maggio 2002, quando l'Italia era autenticamente protagonista dello scacchiere internazionale, con la firma della Dichiarazione di Roma, che aprì le porte dell'Alleanza atlantica proprio alla Federazione russa.
Bisogna riprendere subito quella strada, che ha aiutato la pace, ha aiutato la libertà, la prosperità perché – ricordiamolo – non può esserci lotta al terrorismo senza l'impegno della Federazione russa. Lo sottolineo: non può esserci lotta al terrorismo senza l'impegno della Federazione russa. Infatti, in questo scenario di tensione diplomatica, l'Europa sta rinunciando letteralmente al prezioso alleato russo nel quadrante mediorientale, tanto nella lotta al terrorismo di matrice islamica, quanto nel fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, che in questi mesi ha visto il nostro Paese vittima di una vera e propria invasione.
Da un'attenta e obiettiva valutazione delle crisi internazionali emerge una sorta di strabismo politico da parte delle grandi potenze, a cominciare, ahimè, dai nostri tradizionali alleati. È ormai evidente che le vere guerre che mettono in discussione la nostra civiltà, il nostro tessuto sociale, la nostra sicurezza e che mettono a dura prova anche il nostro sentimento di umanità nel rapporto con il problema drammatico dell'esodo, che dalle coste africane e mediorientale si sta riversando sull'Europa, riguardano lo scacchiere meridionale e non certo l'antiquata contrapposizione est-ovest.
L'emergenza è nel sud del pianeta e di questo si deve convincere anche l'attuale Amministrazione americana, ancora troppo dedita ai wargame di un tempo, ma miope nei confronti di un pericolo, quello del fondamentalismo islamico, che ogni giorno, giorno per giorno, diventa sempre più allarmante e che nella sua evoluzione sta trasformando il terrorismo addirittura in realtà statuali.
Per intervenire efficacemente su questo, che è il problema dei problemi, è il pericolo dei pericoli, è indispensabile il coinvolgimento della Russia ed è quindi necessario trovare un punto di incontro con Mosca sulla crisi Ucraina.
La nostra proposta, insomma, è quella di intraprendere un'inversione di rotta rispetto all'attuale, che sembra voler accelerare il ritorno alla Guerra Fredda tra blocchi contrapposti, tra est e ovest del mondo. Al Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno Renzi proponga, quindi, con vigore e determinazione la strada della pacificazione e l'eliminazione del regime di sanzioni alla Federazione russa; avrà sicuramente il nostro sostegno e anche quello degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piras, che illustrerà anche la mozione Ricciatti ed altri n. 1-00914, di cui è cofirmatario.

MICHELE PIRAS. Grazie, Presidente. Per quanto questo sia inusuale, io concordo molto con l'intervento fatto dall'onorevole Giammanco, che mi ha preceduto, e mi consente di risparmiare una parte del tempo che ho a disposizione sull'analisi degli effetti economici dell'incrocio fra le sanzioni dell'Unione europea sulla Russia e della Russia in risposta alle sanzioni dell'Unione europea.
Credo che, a un anno di distanza da quelle decisioni prese dall'Unione europea e, poi, dal nostro Paese, serva un cambio Pag. 28radicale di strategia e di rotta nei rapporti con la Russia e nei rapporti con quell'area dell'Europa. Lo credo perché trovo che, a un anno di distanza, si possa fare qualche bilancio e che ci troviamo di fronte a un bilancio assolutamente fallimentare rispetto agli obiettivi che, almeno, si annunciava di voler perseguire nel momento in cui sono state assunte quelle decisioni a livello europeo e poi a livello nazionale.
Infatti, c’è un ragionamento economico che bene è stato svolto da chi mi ha preceduto e sono cifre che sono agli atti. Si aggiunga solo che l'Unione europea, a parziale ristoro del comparto agricolo europeo, per le perdite subite da quest'anno di sanzioni, ha previsto di stanziare 150 milioni di euro, che sono in realtà pochissimi rispetto alle esigenze reali e ai danni subiti dal comparto, ma sono significativi anche del riconoscimento di ciò che sta accadendo.
Allora, se è una strategia fallimentare sul piano economico, vorrei soffermarmi anche su quello militare, dato che non ci pare che la situazione sia pacificata tra Ucraina e Russia, non ci pare che ci siano situazioni di tranquillità, c’è un continuo ricorrersi, dagli Accordi di Minsk ad oggi, di minacce reciproche, di denunce reciproche circa movimenti di truppe, spostamenti di materiale bellico. Insomma ci troviamo sempre sulla linea di confine, borderline, con la possibilità che ci sia un'ulteriore escalation militare e una ripresa del confronto diretto, oltre le schermaglie che comunque registriamo e di cui comunque abbiamo notizie anche dai mezzi di comunicazione di massa.
C’è da dire, ulteriormente, che non solo l'effetto negativo in termini occupazionali nel medio e nel lungo periodo lo iniziamo a registrare e rischiamo di registrarne di più catastrofici e che dal punto di vista economico interno ed europeo abbiamo delle conseguenze pesantissime, ma ci sono da registrare anche le conseguenze pesantissime sulla popolazione russa, perché l'effetto del combinato disposto, come si usa dire in questi casi, fra la svalutazione del rublo, l'aumento terribile dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli e di quelli caseari e l'aumento del costo dei farmaci sta riducendo in ginocchio una parte della popolazione russa, quella più debole. A conferma, anche questa, che qualsiasi strategia di guerra – fossero anche le sanzioni, che sono una strategia di guerra – colpisce non tanto i potenti, tanto meno i governanti, ma colpisce principalmente la popolazione civile; ed è sempre così, è sempre stato così, in tutta la storia degli embarghi e delle sanzioni economiche.
Infatti, l'altra misura di sanzione prevista, ossia quella del congelamento dei beni patrimoniali depositati in Europa dagli oligarchi russi, dalle personalità russe legate a quelle vicende più direttamente e quindi ritenute prime responsabili di quello che accade in Ucraina, questa strategia, viene poco utilizzata, probabilmente perché si ha meno interesse a colpire chi deposita i propri soldi in Europa. È una strategia fallimentare in tutta Europa e questi congelamenti sono stati veramente pochi (qualcosa di più in Italia). Anche qui, si colpiscono i poveri e si salvano i potenti; così funziona solitamente nelle guerre. Aggiungo questo: penso che la NATO, l'Occidente, l'Europa, l'Italia e gli alleati abbiano sbagliato tutto nella strategia che hanno utilizzato da vent'anni a questa parte, da venticinque anni a questa parte, dal crollo del muro di Berlino e poi dal crollo dell'Unione Sovietica ad oggi, nell'atteggiamento che hanno seguito nei confronti dei Paesi europei dell'Est; così come sbagliamo in Medio Oriente e abbiamo sbagliato e continuiamo a sbagliare nei rapporti con l'Est dell'Europa. Quella strategia di penetrazione progressiva della NATO, di cooptazione che si è spinta attraverso guerre a diversa modulazione e fatta in diversa maniera fino ai confini della Russia, in assenza di un pieno coinvolgimento nel processo di integrazione intanto della Russia, è stata un errore clamoroso. Finché c'era un ubriacone – così era – asservito agli oligarchi, asservito agli interessi dell'Occidente, tutto probabilmente andava bene. Quando c'era un Paese in pezzi, che aveva perso la Guerra fredda ed era finito in macerie, tutto andava bene; quando quel Paese ha Pag. 29trovato una leadership forte, con la quale io non ho nulla da condividere dal punto di vista politico, rispetto alla quale ho serissimi dubbi sulla qualità della democrazia in quel Paese, ho serissimi dubbi e anzi ho anche orrore di come vengono trattate le questioni relative ai diritti umani e ai diritti civili in quel Paese – quindi ci sarebbe molto da lavorare per dire che non c’è una tifoseria filorussa contrapposta a una tifoseria filoucraina –, quando quel Paese ha ritrovato la dignità, un percorso economico ed è subentrato l'orgoglio, è subentrato il nazionalismo ed è subentrata un'idea di rinnovata potenza di quella nazione, ci siamo ritrovati nella condizione in cui in questo momento siamo. Se l'Europa, alla fine della Seconda guerra mondiale, avesse utilizzato lo stesso schema che utilizzò sulla Germania alla fine della Prima guerra mondiale, penso che l'Europa oggi non esisterebbe. Siamo noi, con i nostri errori, che creiamo le precondizioni per la tensione, poi per il conflitto e poi per la guerra. Abbiamo le nostre responsabilità e precisamente in ragione di queste responsabilità dovremmo tentare di cambiare strategia, abolendo le sanzioni, ricominciando a trattare con la Russia un nuovo modo di relazionarsi pacificamente attraverso la cooperazione pacifica e lo scambio pacifico con quella parte d'Europa. Dovremmo indagare meglio, prima di assumere come nuovo partner europeo l'Ucraina, quello che succede in quel Paese, perché anche questo andrebbe detto: non è possibile che si scelga di avere nuove partnership europee o di non averle al netto della qualità della democrazia, perché, se questo vale per la Russia, vale anche per l'Ucraina; vale per le leggi liberticide che sono state fatte in Ucraina, vale per le leggi che limitano la libertà politica, che sono state assunte anche nell'ultima fase, vale per la contaminazione politica e culturale di formazioni apertamente neonaziste che si muovono in quella nazione. Allora, garantire la sovranità, la pace, l'integrità territoriale di quel Paese significa scartare completamente rispetto alle decisioni e alle modalità assunte fino a qui.
Noi con questa mozione – pare che vi sia un tratto comune alle mozioni che fin qui ho avuto modo di leggere – chiediamo l'immediata cessazione delle sanzioni alla Russia; chiediamo una più decisa azione diplomatica per coinvolgere la Russia in un processo di integrazione economica e politica europea; chiediamo il riconoscimento alla Russia del ruolo in quell'area; chiediamo alla NATO di dismettere quell'atteggiamento che sta portando alla costruzione di una nuova base NATO in Polonia, quindi sempre ai confini della Russia; chiediamo di smettere di armare i vicini di casa, perché se a ruoli invertiti lo facessero altri avremmo qualcosa di cui preoccuparci e anche giustamente, comprendiamo anche le preoccupazioni altrui; chiediamo alla NATO di non armare con missili a lunga gittata i Paesi confinanti con la Russia, in primis la Polonia; chiediamo di sviluppare una relazione di pace con quei Paesi dell'est che, in sede NATO, chiedono azioni militari nei confronti della Russia, che ci spingerebbero a fare noi la guerra ai russi con tutto quello che ciò comporterebbe; chiediamo di operare per il consolidamento degli accordi di Minsk e chiediamo di provare ad immaginare per l'Ucraina uno statuto diverso rispetto a quello che attualmente noi immaginiamo, di provare una strada simile a quella che le diplomazie europee tentarono e portarono al successo per la Finlandia in tempi passati. Su questo modello noi pensiamo che si possa costruire un contesto progressivamente di lavoro politico, di lavoro culturale, di intreccio di relazioni pacifiche che ci portino a considerare realmente amici entrambi i popoli, quello ucraino e quello russo, e magari, progressivamente anche a fare in modo che siano loro a considerarsi amici e non nemici.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alli. Ne ha facoltà.

PAOLO ALLI. Grazie, Presidente. Trarrò delle conclusioni diverse rispetto a quelle dei colleghi che mi hanno preceduto non tanto perché non ritenga corrette le analisi economiche che sono state prospettate Pag. 30e neanche – mi riferisco all'intervento del collega Piras – rispetto al fatto che sia comunque sempre la strada diplomatica quella preferibile. Credo che dobbiamo dire con forza che esistono ragioni geopolitiche che vengono prima di quelle economiche, come la storia ci insegna. Le violazioni palesi del diritto internazionale non sono ammissibili e, purtroppo, la Russia ne ha commesse di gravissime in Georgia con l'occupazione dell'Abcazia e dell'Ossezia del sud, le sta commettendo in Ucraina con l'annessione della Crimea e con il sostegno ai ribelli filorussi nel Dombas.
Se è vero che perfino il Giappone è preoccupato di quanto sta accadendo sul fronte russo-ucraino perché la stessa cosa rischia di accadere tra la Cina ed il Giappone sul possesso di isole strategiche nel Mar Cinese orientale, il concetto è che se la comunità internazionale non prende posizioni nette contro queste violazioni, oggi succede in Ucraina domani potrebbe accadere in qualsiasi parte del mondo. Si dice peraltro che la NATO ha espanso ad est i suoi confini e quindi Putin tutto sommato non abbia tutti i torti. Questa è una evidente falsità perché i Paesi baltici, la Polonia, la Bulgaria, la Romania, la Croazia e la Slovenia, solo per fare alcuni nomi hanno deciso liberamente di aderire all'Unione europea e alla NATO. Non è stata certamente una operazione di conquista e anche i nuovi candidati, la Moldova, la Georgia, l'Ucraina e il Montenegro vogliono aderire all'Unione europea e alla NATO sulla base di un sentire popolare molto vasto. Allora, se vale il principio dell'autodeterminazione dei popoli per giustificare l'annessione della Crimea non si capisce perché ciò non debba valere quando ad aderire alla NATO o all'Unione europea sono Paesi che liberamente lo scelgono. In Georgia il 75 per cento, forse l'80 per cento della popolazione è per l'adesione all'Unione europea e alla NATO.
Dopo di che è chiaro che occorre molta prudenza sia in Georgia che in Ucraina – e qui condivido, perché non possiamo scatenare conflitti mondiali –, ma è altrettanto vero che queste popolazioni fanno le loro libere scelte. In realtà, Putin gioca la partita della propria sopravvivenza e di quella della propria oligarchia e lo fa ponendo il conflitto su basi culturali con la cultura russa, il mondo russo, Russkiy Mir. Lo fa con una forte propaganda a cui fa da contraltare una debolissima politica americana e anche europea. Putin non ha esitato a violare le convenzioni internazionali e a continuare ogni giorno questa guerra ibrida, che si basa su strumenti per cui la guerra avviene senza dichiarazione ufficiale, vengono usati i civili, vengono usate le forze terroristiche o la pirateria informatica e quant'altro.
Del resto, vediamo anche con preoccupazione una escalation nelle dichiarazioni di Putin che si permette di dire che, se la Svezia mai si sognasse di aderire alla NATO, dovrebbe stare attenta perché avrebbe contro i carri armati e i missili russi. Gli sconfinamenti aerei e navali dei russi nelle acque del Baltico e del mare del nord, perfino nel Golfo del Messico, ormai sono questioni di tutti i giorni: sono stati centinaia lo scorso anno. La recente dichiarazione sui 40 nuovi missili interbalistici a testata nucleare sono alla cronaca di questi ultimi giorni, dopo di che Putin, che è molto capace, va a visitare il Papa, fa molti viaggi internazionali, va all'estero dove dichiara di essere un partner affidabile dell'Occidente. È un interlocutore probabilmente, non più un partner in questo momento.
Allora, cosa fa la comunità internazionale ? Cerca di porre rimedio con gli accordi di Minsk, accordi imperfetti, ma gli unici possibili, che non vengono rispettati per violazioni continue del cessate il fuoco. Poi, qui uno dice che è colpa degli altri. Io personalmente sono stato 10 giorni fa al fronte oltre Mariupol e ho potuto vedere i bombardamenti che accadono vicino a quella città, ho potuto parlare con la gente e rendermi conto che lì la guerra esiste davvero. L'Unione europea decide di applicare le sanzioni e l'Italia ovviamente aderisce proprio per dare un segnale forte rispetto a queste violazioni. Ora, siamo tutti d'accordo che Pag. 31queste sanzioni non siano l'ottimo perché soffrono sempre i più deboli e la storia ci insegna anche che raramente le sanzioni hanno fatto cambiare idea ai dittatori, anzi hanno dato semmai ai dittatori strumenti per ulteriore propaganda contro i cattivi nemici che affamano il popolo e fanno anche soffrire a chi le impone, come nel caso dell'Italia: infatti, è certo che molte imprese italiane hanno sofferto dal punto di vista dei rapporti dell'export. Peraltro, gli ultimi dati dicono che l'export, soprattutto al nord-est che è quello che tradizionalmente ha rapporti con la Russia, è in forte ripresa.
Come dicevo prima, pur non essendo uno strumento perfetto, sono oggi l'unico strumento di pressione da parte della comunità internazionale, anche se dobbiamo dire che la vera sanzione a Putin è arrivata non dalle nostre sanzioni ma dal crollo del prezzo del petrolio, che probabilmente era l'unica variabile che non si attendeva. Ora la Russia è un partner importante storicamente per il nostro paese, oltre che per l'intera Europa e resta interlocutore dell'Occidente. Dobbiamo cercare di riallacciare il rapporto con la Russia e dobbiamo sostenere fortemente e convintamente l'Ucraina che, certamente, deve rispettare gli accordi di Minsk e deve attuare tutte quelle riforme interne che le sono richieste dalla comunità internazionale in vista di una futura, possibile, per quanto magari remota adesione all'Unione europea e alla NATO. Si è parlato di NATO e io credo che il fatto che la NATO stia aprendo non una base come ha detto l'onorevole Piras, ma sei basi lungo tutto l'asse orientale per implementare il famoso Readiness action plan, è un elemento minimale di rassicurazione per quelle popolazioni che vedono il rischio che a loro venga applicato lo stesso trattamento dell'Ucraina e di deterrenza verso il nemico che, in questo momento, su quel fronte, è molto più forte della NATO, la quale nel corso degli anni aveva disinvestito su quei fronti. Quindi, chi oggi alimenta la guerra fredda non è certamente la NATO che sta reagendo, certo magari a volte in modo un po’ eccessivo. Tuttavia, di fronte ad attacchi quotidiani e dichiarazioni quotidiane irresponsabili del presidente della Russia non vedo cos'altro possa fare la NATO, sinceramente.
È chiaro che tutti quanti auspichiamo che si possa tornare a un clima normale tra noi e la Russia e tra la Russia e la comunità internazionale, però questo ritorno ad un clima normale deve partire da un atteggiamento collaborativo del Presidente Putin e della Russia, quindi deve esserci una chiara dimostrazione del rispetto degli accordi di Minsk, altrimenti la comunità internazionale non potrà tornare sui suoi passi con facilità. Allora di qui il problema per il nostro Paese: se noi oggi rompessimo il fronte delle sanzioni, come chiedono le mozioni che sono state illustrate, noi di fatto legittimeremmo le violazioni che Putin ha commesso e che continua a commettere e questo è quello che Putin vuole; vuole rompere il fronte internazionale delle sanzioni per poter avere una legittimazione da parte di uno Stato occidentale e attraverso quello poi portare avanti con ancora più decisione la propria propaganda fino a spaccare il fronte definitivamente. Io sono convinto, noi siamo convinti che l'Italia deve stare con la comunità internazionale a pieno titolo, quindi agire certamente sul piano diplomatico, sostenere l'azione che l'Unione europea sta facendo attraverso gli accordi di Minsk e tutti gli altri strumenti di trattativa che si può mettere in campo ma certamente uscire dal regime sanzionatorio in modo unilaterale sarebbe un danno per noi stessi e per l'intera comunità internazionale. Dopodiché condivido quanto detto dall'onorevole Giammanco sul fatto che i rischi veri per il nostro continente, soprattutto per la parte sud del nostro continente ma direi per tutto il continente europeo, vengono dal sud, vengono dal califfato; proprio su questo noi stiamo anche all'interno dell'Assemblea parlamentare della Nato della quale fa parte anche il collega Piras, da tempo battendoci perché non ci sia uno sbilanciamento eccessivo degli sforzi della Nato verso est rispetto a sud, perché entrambi i rischi sono importanti, però sul piano Pag. 32delle sanzioni ribadisco quanto detto in precedenza, non possiamo non stare con la comunità internazionale.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare: Duranti ed altri; Lorefice ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni (Doc. XXII, nn. 9-39-A) (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare: Duranti ed altri; Lorefice ed altri, Doc. XXII, nn. 9-39-A: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, nn. 9-39-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di intervenire il presidente della Commissione difesa, onorevole Vito, in sostituzione del relatore, onorevole Migliore.

ELIO VITO, Relatore f.f. Signor Presidente, io naturalmente mi rimetto alla relazione presentata dall'onorevole Migliore, aggiungo solo che si tratta di una proposta varata all'unanimità dalla IV Commissione difesa, che riprende e completa anche i contenuti di un'analoga Commissione d'inchiesta che fu compiuta nella scorsa legislatura e le cui conclusioni vengono richiamate anche nell'atto che qui è stato approvato all'unanimità. Essendo stato approvato all'unanimità, signor Presidente, mi permetto di sollecitare anche la sollecita approvazione da parte dell'Aula.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, ma prendo atto che si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Fusilli. Ne ha facoltà.

GIANLUCA FUSILLI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, è con un po’ di emozione – che auspico comprensibile Pag. 33– che prendo per la prima volta dalla mia proclamazione la parola in quest'Aula per esprimere il pieno e convinto sostegno e apprezzamento del Partito Democratico alla proposta di istituzione della Commissione monocamerale che dovrà indagare sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato in missioni all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Fusilli. La ringrazio, onorevole Alli. Prego, onorevole Fusilli.

GIANLUCA FUSILLI. ... dal possibile effetto patogeno, con particolare riguardo all'effetto dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dall'esplosione di materiale bellico.
Esigenza, signor Presidente, quella di indagare sulle materie meglio descritte nell'articolo 2 della proposta in esame che, come è noto, trae origine, da un dibattito, che si è sviluppato, sin dalla fine del secolo scorso, non solo a livello nazionale, ma che ha coinvolto l'opinione pubblica e le istituzioni di tutti i Paesi che in questo arco temporale hanno partecipato alle diverse missioni internazionali. Dibattito espressione della crescente preoccupazione che l'utilizzo di munizionamento contente uranio impoverito potesse determinare un rilevante incremento dei rischi per la salute dei soggetti civili e militari che, a qualunque titolo, potessero trovarsi esposti agli effetti radiologici e tossicologici associabili a questo materiale. Sensibilità, attenzione, richiesta di analisi e di approfondimento, che si sono concretizzati, a livello internazionale e sovranazionale, nella risoluzione n. 62/30 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2007 e nell'ampia risoluzione del Parlamento europeo sullo stesso argomento del 22 maggio del 2008.
A livello nazionale, in parte anticipando e poi adempiendo alle esortazioni contenute negli atti prima ricordati, con la costituzione di commissioni monocamerali sin dalla quattordicesima legislatura, con il Parlamento che ha avuto l'ulteriore merito di adattare ed estendere l'oggetto di indagine a tutti gli aspetti che, nell'esecuzione del mandato ricevuto, sono emersi come significativi e meritevoli di analisi e ulteriore approfondimento.
Ecco perché, signor Presidente, la Commissione che la Camera si appresta ad istituire, come emerge dalla stessa relazione di accompagnamento, non potrà che operare in formale e sostanziale continuità con il lavoro svolto nella precedente legislatura dalla omologa Commissione istituita al Senato. Un lavoro puntuale, quello effettuato, dal quale scaturisce un'approfondita rilevazione e analisi dei dati conosciuti e disponibili ed una compiuta conoscenza dei fenomeni esaminati, tutto questo anche propedeutico alla adozione, da parte del Parlamento, di iniziative normative in grado di dare risposta a molte delle questioni poste a base dell'indagine parlamentare. Un percorso di analisi, approfondimento, ricerca che però, a nostro parere, signor Presidente, deve essere continuato, proprio alla luce delle conclusioni alle quali sono giunte le Commissioni parlamentari che via, via si sono occupate dello stesso argomento.
In primo luogo, perché si tratta di un preciso ed inderogabile dovere morale di questo Parlamento e di tutte le istituzioni democratiche. Abbiamo il dovere, infatti, signor Presidente, se inviamo i nostri contingenti militari all'estero per contribuire alla stabilità e alla sicurezza delle aree di crisi, in esatto e preciso adempimento degli obblighi internazionali del nostro Paese, anche e parimenti di assumere la responsabilità che questi uomini e queste donne, servitori della patria, possano operare in quelle aree in condizioni di massima sicurezza possibile, non solo logistica e operativa, ma anche relativamente ai rischi per la loro salute. Ed in questo senso la continuità del lavoro di indagine è auspicabile perché il quadro di riferimento nel quale si è chiamati ad operare è in continua e costante evoluzione, sia dal Pag. 34punto di vista delle patologie, che dal punto di vista delle tecniche diagnostiche, che delle condizioni di impiego dei nostri militari. Solo la continuità del lavoro può essere utile a contribuire all'individuazione delle cause dei disturbi e delle patologie, sia di quelle che già si sono manifestate che di quelle che si manifesteranno, con l'intento ultimo di individuare ed eliminare i rischi calcolabili, adeguando alle risultanze, sempre se necessario, tutti i mezzi di protezione e prevenzione per i nostri militari.
Così come, al di la della specificità delle missioni internazionali, è doveroso non abbandonare il lavoro di analisi dei rischi correlati alla sicurezza nei luoghi di lavoro dei nostri militari. Per questo, appare opportuna e condivisibile la riproposizione, nell'oggetto dell'indagine, anche delle aree dei poligoni di tiro e dei depositi di munizioni, luoghi nei quali si svolge la parte più impegnativa dell'addestramento militare.
Luoghi che, come ricordava nel suo intervento al Senato l'oggi capogruppo del Partito Democratico in Commissione difesa, collega Scanu, per il realismo necessario delle esercitazioni effettuate, sono oggettivamente, dal punto di vista dei rischi potenziali di interesse del nostro ragionamento, molto simili a quelli in cui le operazioni militari si svolgono effettivamente e in cui gli effetti, non solo sulla salute dei militari ma anche sulla salute delle popolazioni civili, richiedono ancora approfondimenti ulteriori per eliminare ogni dubbio e ogni zona d'ombra. Questo è ancora utile perché chi ne ha diritto ottenga giustizia e, soprattutto, perché si possa azzerare, o almeno ridurre, ogni rischio del ripetersi di questi fenomeni.
Per le stesse ragioni, il Partito Democratico sostiene la continuità del lavoro d'indagine su tutti gli altri aspetti dell'oggetto descritti all'articolo 2 della proposta, in un approccio sistemico di analisi e di approfondimento di tutte le possibili concause di disturbi e patologie associabili alla specificità della condizione militare.
Resta attuale, inoltre, l'esame dell'adeguatezza degli istituti di indennizzo, anche in questo caso con l'ambizione di rendere sempre più chiara e non interpretabile la fase dell'accertamento del danno e delle sue cause e con lo scopo di contribuire a garantire tempestività e adeguatezza dei risarcimenti, che ancora oggi, almeno riguardo al secondo aspetto, sono delegati in toto al giudice di merito e spesso sono mutevoli nel quantum, da circostanza a circostanza.
Per queste ragioni, che spero di essere riuscito a rendere comprensibili, riconfermiamo il nostro apprezzamento a questa proposta di istituzione della Commissione di inchiesta, alla quale parteciperemo con senso di responsabilità e consapevolezza della importanza della funzione, fiduciosi, sin d'ora, sulla serietà del lavoro e sulla sua utilità. Un impegno in continuità con i precedenti, che avrà un senso se contribuiremo, su questi argomenti, a portare più luce dove c’è ancora ombra, chiarezza e trasparenza dove c’è ancora incertezza e dubbio.
Se contribuiremo a rispondere alla domanda di giustizia di chi ancora l'attende e, soprattutto, anche grazie ai successivi interventi normativi che, in esito alle risultanze, il Parlamento vorrà adottare, per la nostra parte e per la nostra competenza contribuiremo ad eliminare o a ridurre il rischio che nel futuro possano ripetersi i fatti e le circostanze che saranno oggetto della nostra attività d'indagine (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lorefice. Ne ha facoltà.

MARIALUCIA LOREFICE. Grazie, Presidente. Vi racconto una storia. È la storia di un giovane militare che decide di partire in missione, la missione NATO nell'ex Jugoslavia. È giovanissimo e ha una famiglia, una moglie e figli piccoli. Porta la divisa con fierezza e mettersi al servizio degli altri, difendere la patria sono, per lui, motivo di orgoglio. Decide di partire in missione, vuole rendersi utile, ma è anche un modo per garantire un futuro più sereno alla sua famiglia. Il suo sogno è Pag. 35quello di comprare una casa, dato che non ne hanno una tutta loro e con uno stipendio i conti bisogna farli quadrare per bene. Ogni sera chiama la moglie e le racconta le sue giornate. Le racconta della povertà di quei posti e del dolore negli occhi della gente. Le racconta anche una preoccupazione: «Sai – dice – gli americano sono bene equipaggiati e protetti; noi no». Capita, fin dai primissimi mesi di missione, che ogni tanto abbia dei dolori alla schiena. Poi, quei dolori si fanno più frequenti e più forti. E, allora, cominciano le prime visite, ma è difficile riuscire a fare una diagnosi. All'inizio delle punture bastano a calmare il dolore. Pensa sia una cosa passeggera. Un giorno, invece, arriva la sentenza: tumore al sistema linfatico all'altezza della colonna vertebrale. Seguono anni di calvario e quei soldi, guadagnati in tanti mesi di missione, che dovevano servire a realizzare un sogno, vengono invece usati per affrontare le cure, ma la salute non si può comprare. Tante cure: chemioterapia, radioterapia, cure sperimentali, interventi che non si contano più. Ma niente, purtroppo. Il forte legame con la vita, alla quale ha tentato di aggrapparsi in tutti i modi per amore dei suoi figli, ancora troppo piccoli per poterli lasciare, a nulla è servito. Prima le stampelle, poi la sedia a rotelle, poi potete solo immaginarlo.
Questa è una delle tante storie dall'epilogo che non avremmo mai voluto raccontare. I dati a disposizione ci dicono che sono quasi 3.700 i militari di ritorno dalle missioni all'estero che, negli ultimi dieci anni, si sono ammalati di tumore e dal 1999 sono 314, all'incirca, quelli già deceduti.
Una delle possibili cause potrebbe essere l'esposizione all'uranio impoverito. Di sicuro gli effetti di tale esposizione dovevano essere ben noti alle autorità italiane da tempo, in particolare proprio dal 1999, da quando l'US Army divulgò un'informativa rivolta ai vertici militari di tutti i Paesi presenti in missioni nella ex Jugoslavia. Il documento illustrava in inglese come difendersi dai rischi dovuti al contatto con l'uranio, per esempio lavandosi le mani e coprendo la pelle esposta. Gli americani su questo erano stati molto chiari: neanche un lembo di pelle deve rimanere esposto a quel metallo, e i soldati sono tenuti a indossare tute completamente impermeabili. Invece i nostri operavano a mani nude, con il volto scoperto, senza maschere, in territori altamente inquinati da proiettili di uranio impoverito, ancora conficcati al suolo. E quando chiedevano come mai i soldati statunitensi fossero tutti così bardati e con divise ultratecnologiche e loro no, la risposta dei superiori era: sono americani, sono esagerati. Non preoccupatevi: è tutto a posto.
Vi racconto un'altra storia, anche in questo caso di un giovane. Aveva deciso di arruolarsi come volontario con firma annuale negli Alpini. Aveva preso servizio a capo di una squadra di militari incaricati di fare la guardia a un'area industriale dismessa quando gli fu diagnosticato il linfoma. Lui, non era andato invece in missione all'estero. Le sue difese immunitarie erano crollate mentre veniva sottoposto ad una interminabile sfilza di vaccini, dieci per diversi ceppi di malattie in pochi giorni, senza verificare se alcune delle malattie per le quali veniva vaccinato le aveva già contratte o se fosse in condizioni di salute tali da sopportare una profilassi così massiccia. Il linfoma non gli lascia scampo, nel 2008, a soli ventiquattro anni spira tra le braccia del padre, che da quel momento decide che lo scopo della sua vita sarebbe stato quello di arrivare alla verità sulla morte del figlio.
Abbiamo ascoltato tante storie come queste e i dubbi ancora oggi sono tanti. Perché i nostri militari si sono ammalati ? A causa dell'uranio impoverito, a causa dei vaccini o del gas radon e dei materiali che contengono amianto negli ambienti in cui il personale presta servizio ? La causa è una sola tra queste o sono tutte possibili cause ? Le famiglie chiedono risposte certe e una volta per tutte. L'unica cosa chiara, al momento, è che questi ragazzi che hanno servito lo Stato, che hanno servito con onore la bandiera italiana, sono stati Pag. 36dimenticati dalle istituzioni, snobbati dalle autorità, e che un velo di omertà aleggia su questa tragedia umana.
Oggi, ci ritroviamo in quest'Aula parlamentare per approvare la costituzione di una nuova Commissione d'inchiesta parlamentare che dovrà indagare sulla morte e le malattie che hanno colpito i nostri militari. Si approfondirà sia la questione dell'uranio impoverito che delle componenti e delle modalità di somministrazione dei vaccini, dei rischi connessi al gas radon e all'amiamo. Una proposta che ha visto unità di intenti da parte di tanti e diversi gruppi parlamentari. Probabilmente tantissime famiglie si sarebbero aspettate qualcosa di diverso, non l'ennesima Commissione d'inchiesta. Noi lo sappiamo e conosciamo pure le paure di coloro che temono che tutto possa essere nuovamente rimesso in discussione, anche le piccole conquiste raggiunte, ma su questo credo che possiamo tutti rassicurarli. L'unica nostra volontà è fare chiarezza definitivamente, rendere giustizia ai tanti, troppi militari malati o deceduti e alle loro famiglie, così come riteniamo sia altrettanto fondamentale individuare tutti i responsabili, qualora ve ne siano, i quali dovranno dar conto e ragione delle loro malefatte. Non partiremo dall'inizio, ma da dove la precedente Commissione si era interrotta, Commissione che, tra l'altro, aveva raggiunto risultati importanti come: lo sblocco degli indennizzi per i militari che hanno contratto patologie invalidanti o alle famiglie di coloro che non ci sono più; l'avvio di piani di caratterizzazione ambientale e bonifiche dei siti inquinati dei poligoni militari; l'avvio di indagine epidemiologica per l'area di Salto di Quirra e per gli altri poligoni della Sardegna; l'impegno da parte dell'amministrazione della difesa di rafforzare i rapporti con il pubblico e assistere i militari e le loro famiglie.
Altro traguardo importassimo è stata la sentenza che ha previsto il risarcimento ai militari sulla base del nesso probabilistico, che apre di fatto la strada alla possibilità di risarcimento a oltre duemila militari malati.
D'altra parte, però, ci si imbatte ancora in tesi scientifiche non coincidenti sulla causa delle patologie, sulla tossicità degli agenti patogeni e sulla dimensione e sulla diffusione dei rischi di varia natura per i militari e per le popolazioni. Quindi cercheremo di approfondire anche quest'aspetto, perché questo è il nodo fondamentale da sciogliere e il resto sarà semplicemente una conseguenza. Non perderemo tempo su ciò che ormai è stato appurato e ci concentreremo solo sugli aspetti che finora non sono chiari.
Ma per questo quello che chiediamo è il coraggio. Questo Parlamento deve avere il coraggio e la volontà di indagare, perché indagare potrà significare trovarsi di fronte anche a delle verità scomode. Chiediamo agli onorevoli deputati una leale collaborazione per svelare i fatti e accertare le responsabilità. Chiediamo dialogo vero e scambio tra la sfera civile e quella militare per trovare soluzioni, soluzioni che sono possibili solo se si crea una sinergia tra le parti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 16,45)

MARIALUCIA LOREFICE. Forse questa volta potremo mettere la parola fine a questa immane tragedia, forse solo così potremo dare un minimo di serenità a chi l'ha persa. Questa potrebbe essere l'unica vera forma di risarcimento, quello morale, e di riconoscenza nei confronti di chi ha giurato fedeltà a questo Paese ed è stato tradito, tradito da silenzi, omissioni e verità nascoste (Applausi del deputato Piras).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che tutti quanti qui noi abbiamo un dovere, quello di fare chiarezza su questa vicenda, che dura ormai da diversi anni e nella quale si scontrano visioni e anche in qualche modo letture dei dati che ci offre la Pag. 37scienza, spesso incompatibili, probabilmente in qualche misura anche viziate da posizioni di parte e assunte non senza un qualche pregiudizio.
Noi sappiamo che l'uranio impoverito è l'uranio che residua dai processi di arricchimento con i quali si concentrano gli isotopi 235 U all'interno di quella parte del minerale che diventerà combustibile nucleare o, peggio, arma nucleare. L'uranio impoverito ha sicuramente elevate capacità tossiche, una radioattività non molto elevata ma comunque rilevante. E sappiamo che l'uranio impoverito di per sé, quando trattato in modo adeguato, ovvero con le precauzioni del caso, non dovrebbe provocare gli effetti drammatici che noi abbiamo riscontrato.
Allora si pone un problema. Cosa avviene ? Forse non abbiamo dato tutte le precauzioni ? Forse non abbiamo avuto la capacità di vedere per tempo il problema e, quindi, di dare ai nostri soldati tutte le indicazioni necessarie per tutelare la propria salute ? Altri eserciti pure fanno uso di proiettili all'uranio impoverito, usati soprattutto come arma anticarro, perché è un minerale che ha un livello di densità molto grande – circa il 70 per cento in più del piombo, quindi, è molto più capace di penetrare – e viene usato per fare delle corazzature e per fare dei proiettili che penetrano le corazzature. Come dicevo, altri eserciti non hanno manifestato una preoccupazione altrettanto forte e non hanno avuto dei casi altrettanto numerosi come quelli che sono stati portati all'attenzione della nostra pubblica opinione. Penso all'esercito britannico che pure ha riconosciuto almeno un caso e forse qualcun altro di malattie derivanti dalla manipolazione dell'uranio impoverito. Penso all'esercito americano che fino ad ora insiste nel negare di avere registrato effetti negativi che derivano da tale uso.
Certamente potenzialmente gli effetti negativi ci sono, soprattutto quando l'uranio viene usato per fare dei proiettili e quando questi proiettili vengono sparati. Nel momento in cui il proiettile impatta l'obiettivo, che in genere è un carro armato, si hanno una serie di processi, dai quali residua una specie di aerosol che, se ingerito o se respirato, ha la potenzialità di provocare gravi malattie, cominciando da alterazioni del metabolismo, cancro, leucemia in modo particolare, ma anche effetti sull'apparato riproduttivo.
C’è una sentenza in Gran Bretagna che riguarda anche un caso in cui la malformazione sarebbe stata riscontrata nel feto. Questo vale per chi è a diretto contatto, qualora non prenda le opportune precauzioni, che non sono precauzioni di straordinaria difficoltà.
Ma noi abbiamo anche un problema – vedo che la proposta è stata giustamente adeguata in questo ambito – che riguarda le popolazioni civili. Infatti, da noi vengono denunciati anche effetti importanti che riguardano non soltanto i militari, ma anche le popolazioni che vivono in località adiacenti ai poligoni all'interno dei quali si fa uso, o si presume che si faccia uso, di questi proiettili.
Una Commissione parlamentare forse è lo strumento adeguato per fare definitivamente chiarezza su tutte queste cose, che rischiano di avere un impatto negativo sul rapporto di fiducia che sussiste e deve sussistere tra il Paese e le sue Forze armate. Le Forze armate possono commettere degli errori, perché sono composte da uomini, ma hanno il dovere di essere limpide e di non resistere all'azione del Parlamento o all'azione della magistratura, quando essi vogliano capire cosa effettivamente è successo.
La prima cosa da fare credo che sia esattamente questa: intendere cosa effettivamente è successo e, quindi, suggerire quali sono le misure precauzionali che tutelano la salute dei soldati e delle popolazioni che si trovano in quelle aree, misure che possono andare dalla eliminazione di questo tipo di munizioni fino alle procedure che altri eserciti hanno adottato e che sembrano avere, in questi casi, ottenuto risultati positivi.
Sarebbe bene estendere l'indagine conoscitiva anche all'esame delle procedure in uso nelle Forze armate di Paesi che hanno una struttura abbastanza simile Pag. 38alla nostra, come quelle degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Germania e di altri Paesi della NATO.
Per tutte queste ragioni l'iniziativa di procedere a un'indagine conoscitiva sembra opportuna, riprendendo anche, valorizzando e verificando i risultati della precedente indagine conoscitiva, perché già ce n’è stata una, che mi pare si sia conclusa nel 2006, fatta dal Senato, la quale... continua ancora ? No, quella si è conclusa nel 2006, adesso la riprendiamo noi... e cercando, quindi, di valorizzare il lavoro fatto precedentemente per non creare inutili doppioni, ma anche di andare più a fondo e soprattutto di verificare cosa è accaduto dopo il 2006, cioè se dopo il 2006 casi del genere siano stati ancora riscontrati e come mai non si sia proceduto a eliminare la fonte di rischio.
Questo è ciò che noi riteniamo e, quindi, daremo un voto favorevole all'istituzione di questa Commissione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Piras. Ne ha facoltà.

MICHELE PIRAS. Grazie, Presidente. Io vorrei ricordare quanto già detto dal presidente della Commissione difesa, cioè che questo testo è stato votato all'unanimità, e ringraziare anche i colleghi della mia Commissione, a nome del mio gruppo, a titolo personale, e anche come sardo, necessariamente, dati i rapporti e le cifre che segnano la presenza di poligoni militari nella mia terra, quei 24 mila ettari di territorio sottratti alla sovranità dei sardi, all'economia civile e dedicati all'attività militare e alle esercitazioni militari.
Sono stato di recente in una casa, tra le tante che ho avuto modo di visitare tra i casi che mi sono stati riferiti di persone che mi hanno chiamato per chiedermi aiuto, per chiedermi una mano, come dovrebbe fare il pubblico, non solo la rappresentanza politica, con i suoi figli quando c’è una situazione di criticità, e debbo dire – vorrei testimoniarlo qui – che è difficilmente raccontabile il dolore che può provare una famiglia nel perdere un figlio che è partito, come si usa dire, per servire lo Stato ed è tornato in un baule di zinco. È difficile spiegare l'accoglienza che viene riservata a un parlamentare che dedica una parte del suo tempo e del suo impegno giustamente ad ascoltare il dramma di una famiglia: vedere la mano di un padre che trema, vedere una madre che piange, a distanza di anni, un figlio giovanissimo, una vita giovanissima spezzata e che mi chiedono due cose.
Mi chiedono, intanto, perché lo Stato italiano fatica a riconoscere, almeno sul piano economico, le vittime di questa guerra interna, che è guerra di disoccupazione, che è guerra anche spesso di assenza di altre prospettive, oltre che servizio o vocazione dedicati alla patria. Perché lo Stato italiano fatica ? Perché le istituzioni dello Stato italiano dedicate a indennizzare coloro che si sono ammalati di tumore per causa di servizio militare frappongono mille e una difficoltà, ivi compreso il terreno del ricatto, della perdita del posto di lavoro – così ci viene riferito – magari del fratello o del cugino, che sono sempre impegnati sul terreno del servizio militare ? È difficile descriverlo.
Ed è incomprensibile che succeda, così com’è incomprensibile la ragione per la quale in uno Stato democratico ci siano tante resistenze, tanta omertà, tanta difficoltà ad ammettere che le esercitazioni militari, come altre attività umane – lo voglio dire senza troppa polemica, ma veramente urta questo fatto –, producono inquinamento ambientale, e che le sostanze, i materiali, gli esplosivi, il tipo di attività non sono compatibili con l'ambiente e con la salute delle persone. Poi si può decidere se il gioco vale la candela e, semplicemente, in maniera concreta, se questo può ancora essere; se vale ancora la decisione che sessant'anni fa portò ad individuare l'ubicazione di quelle esercitazioni militari in alcune aree del Paese, magari vicino a centri abitati; se vale ancora, oppure bisognerebbe cominciare a pensare, se si vuole proseguire in questa attività – e su questo potremmo aprirci un'altra discussione – se vale ancora la pena di continuare a farlo dove lo stiamo facendo, ossia nei poligoni militari, vicino Pag. 39ai paesi, dove vivono popolazioni civili, dove pascolano le loro greggi i pastori della mia terra, e non solo della mia terra. Bisognerebbe iniziare a riflettere anche su questo e me lo auguro, siccome non è né la prima, né la seconda Commissione di inchiesta. Una di recente si è chiusa, a presidenza dell'onorevole Scanu, con dei risultati e delle indicazioni importanti, che non hanno avuto seguito sul piano legislativo, e questo è grave. Anche lì le conclusioni sono state votate all'unanimità, eppure ci disinteressiamo di quello che il Parlamento discute e delibera all'unanimità. Auspichiamo che, attraverso questo passaggio, attraverso questa nuova discussione, questa nuova inchiesta, questo nuovo approfondimento, questo nuovo dibattito, si possano avere anche conseguenti provvedimenti normativi che cambino un po’ la situazione rispetto a quella esistente.
La recente giurisprudenza dice – e ci sono sentenze anche del TAR del Lazio non appellate – che, poiché sul piano dell'attuale stato della ricerca scientifica non è comprovabile una relazione diretta fra l'esposizione all'uranio impoverito e alcune forme di tumore, come il linfoma di Hodgkin, bisognerebbe invertire l'onere della prova, cioè basterebbe, per il ricorrente o il richiedente un indennizzo, provare un nesso di probabilità e che dovrebbe essere l'amministrazione ricevente la richiesta a provare che quel nesso di probabilità non c’è. E, allora, intanto perché non lo si fa ? Per quale ragione i casi degli indennizzi riconosciuti sono così pochi in questo Paese ? Per quale ragione consentire che ogni famiglia, che ha già un lutto in casa, un dolore che non si può estinguere, debba fare il calvario per arrivare fino al TAR e poi continuare a spendere soldi e poi vedere ancora se ci torna il Previmil e se viene riconosciuto ciò che gli spetterebbe di diritto ? Per quale ragione ci comportiamo così nei confronti dei nostri cittadini ?
Vorrei che questo fosse – e credo sarà – oggetto di discussione nella Commissione di inchiesta, che è una Commissione di inchiesta che non prende in esame solo il tema dell'uranio impoverito, ma correttamente prende in considerazione anche l'effetto congiunto, il combinato disposto tra le varie sostanze, tra i vari agenti inquinanti che ci possono essere nei teatri di guerra e che ci possono essere nei poligoni, perché non c’è solo la probabilità o la certezza – a seconda delle opinioni: per me è una certezza – dell'utilizzo dell'uranio impoverito negli scenari di guerra ed anche nei poligoni, ma ci sono anche altri agenti inquinanti, che conosciamo bene perché vengono prodotti anche da altre attività umane: sono i metalli pesanti, le polveri sottili. È una teoria che è abbastanza ben supportata e che mette assieme l'indebolimento del sistema immunitario dovuto alle vaccinazioni e la maggiore permeabilità del fisico agli effetti dell'uranio impoverito. Però su questo terreno bisogna cominciare a svelare effettivamente quello che succede, perché credo che una democrazia non si possa permettere di tenere segreta per troppo tempo, di continuare ad omettere quella che è la verità, quello che a tutti è evidente essere la verità, quasi che a mantenere il segreto ci si sentisse più protetti.
Ci sono ancora altre cose sulle quali vale la pena di indagare, perché anche questo è un fatto – io non credo che sia sciatteria – ma è quasi come se in questo mondo delle Forze armate il valore della vita umana fosse in qualche maniera ritenuto secondario rispetto all'interesse nazionale, e poi bisognerebbe intenderci e capire se l'interesse nazionale è anche quello di tenere nascoste sotto la sabbia alcune verità. Secondo me non lo è, ma forse per qualcuno lo è. Se, ad esempio, nel poligono di Capo Frasca, diversi lavoratori, civili e militari, della Difesa denunciano che per lunghi anni si è utilizzata per scopi alimentari l'acqua inquinata di un sistema di pompaggio, di un sistema di approvvigionamento idrico inquinato da varie sostanze che, diciamo bene, sono anche registrate dal servizio sanitario interno dell'Aeronautica militare, nello specifico di Decimo, e che testimoniano una contaminazione dell'acqua che per lunghi Pag. 40anni ha continuato ad approvvigionare le mense dei militari e le mense dei lavoratori civili.
Perché funziona così ? Non riesco a darmi una spiegazione. Per quale ragione in un Paese nel quale, per fortuna, negli ultimi decenni è cresciuta l'attenzione nei confronti delle questioni legate all'ambiente, all'inquinamento, alla tutela della salute delle persone, perché in questa «sacca» di mondo dovremmo concepire diversamente le cose rispetto a come le consideriamo nel resto dei settori economici ? Credo che ragione non ve ne sia.
Quindi altro che se è importante continuare quell'inchiesta che è iniziata tanto tempo fa – io la considero quasi un unicum – rinnovarla in questa legislatura, provare ad arrivare ad una serie di proposte legislative che rendano più trasparente quell'attività e rendano verità e giustizia a chi ha lavorato in quei settori e purtroppo ha perso la vita. Questo penso che sia un momento importante. Mi auguro che la Camera approvi questo testo unificato nel tempo più breve possibile e mi auguro che il lavoro di questa Commissione d'inchiesta sia impegnativo e proficuo, perché avremo tante persone da sentire, avremo tante persone che ci ascolteranno e seguiranno questi lavori e che ci chiederanno semplicemente una parola di verità e una parola di giustizia, dopodiché chiederanno che il Governo italiano, che lo Stato inizi a riconoscere ciò che spetta di diritto alle persone che hanno prestato servizio per il medesimo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà e di deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Marcolin, di cui constato l'assenza.
È iscritto a parlare il collega Palese. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Grazie Presidente. Forza Italia, chiaramente, ha già votato – come ha detto e ha sottolineato il presidente Vito all'inizio della discussione che c’è stata qui, all'interno dell'Aula – in Commissione, all'unanimità – su questo provvedimento. È l'ennesima Commissione di inchiesta, una commissione d'inchiesta che ha una grande valenza: la richiesta – come tutte le Commissioni di inchiesta, ma questa in particolare – di una verità che non emerge; una verità in riferimento ai tanti richiami e illustrazioni che hanno fatto i miei colleghi che qui in Aula mi hanno preceduto, ma anche agli atti parlamentari già a disposizione, perché, su questo argomento, non è la prima Commissione d'inchiesta del Parlamento; c’è stata nella XVI legislatura, da parte del Senato, una Commissione di inchiesta e anche nella XV legislatura c’è stata un'altra Commissione di inchiesta. Né sto qui a ripetere quello che già così bene hanno evidenziato i colleghi che mi hanno preceduto in riferimento a tutto il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione, anche, di vaccini.
Penso anche che c’è un territorio, un luogo completamente interessato a ciò che si trova nella mia regione, dove io risiedo; Torre Veneri, in particolare, ha un poligono di tiro dove, anche lì, ci sono state una serie di situazioni poco chiare dal punto di vista delle patologie dei militari che hanno svolto esercitazioni e attività in questo senso e che, poi, si sono, purtroppo, ammalati.
Ma il problema è che i nessi sono evidenti, sono fin troppo evidenti sia nel senso dei casi di morte sia anche delle gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni. In che senso ? Nel senso che noi abbiamo questi dati, già osservati, purtroppo, anche su quelli che sono morti, sui rischi associati alla presenza di gas radon, di uranio impoverito, di materiale contenente amianto negli ambienti in cui il personale militare presta servizio, nonché anche sull'adeguatezza rispetto a quello che è emerso sulle vaccinazioni.Pag. 41
Ora, davanti a una situazione del genere – e già siamo alla terza inchiesta – non si riesce a capire perché mai, davanti a una evidenza così schiacciante, lo Stato non debba quantomeno riconoscere quello che è successo, l'accaduto, né più e né meno, e non debba poi provvedere a una serie di iniziative rispetto alle tutele, non solo di prevenzione, ma anche in riferimento alle altre situazioni. Cioè, se la connessione diretta, in qualsiasi altra situazione, tra situazioni ambientali, materiale inquinante e linfoma Hodgkin è fin troppo evidente, non si capisce perché mai non lo debba essere in queste situazioni. Ciò deve accadere in maniera molto pertinente.
Noi ci lamentiamo e la politica si lamenta dell'invasione da parte della magistratura, ma anche all'Ilva di Taranto la connessione tra l'inquinamento, le malattie e le morti è stata poi dimostrata, ed è stata dimostrata in tribunale. Ora, se anche in questo caso si deve arrivare a tanto, io penso che insomma, lo Stato non fa una bella figura, soprattutto perché si tratta di personale militare che, per senso del dovere, ha intrapreso queste azioni, queste missioni, con tutto quello che è emerso in queste situazioni che già sono state evidenziate.
Ecco perché io ritengo di votare a favore, senza dubbio, di questa Commissione, però ho l'impressione che anche qui, si ascolterà, si ascolterà e si ascolterà. Io penso, invece, che sia necessario che si prenda, anche da parte della Commissione, se possibile, un'iniziativa un po’ più forte rispetto alle perizie ed a quant'altro.
Quello che è successo è fin troppo evidente: non è che tutto questo personale militare si ammala di punto in bianco, anche in riferimento a quello che è successo agli altri militari, agli americani, così come è stato poco fa illustrato dai colleghi che mi hanno preceduto.
Quindi, penso che anche in questo caso ci debba essere non solo una Commissione di inchiesta che ascolti, ma qualche istituzione che in via definitiva stabilisca il nesso, che è fin troppo evidente, perché il nesso – ripeto – non può esistere per qualsiasi situazione di natura inquinante ambientale e disconosciuto in questo caso.
Ecco perché, Presidente – mi avvio alla conclusione –, è sì importante il sostegno a questa Commissione, ma secondo me potrebbe, anche in questo caso, non essere sufficiente. La verità la possiamo pure accertare ed è importante accertare quello che è successo, ma qui bisogna fare un passo un po’ più avanti, perché le persone che sono state colpite e danneggiate hanno bisogno non che lo Stato le risarcisca, perché nessuno può risarcire o compensare la perdita di un familiare, la perdita di un figlio, la perdita di un cittadino in questo Paese – non c’è compensazione finanziaria né di altri sussidi, su questo non c’è dubbio –, però, perlomeno, che ci sia il riconoscimento da parte dello Stato di un momento di verità, perché di punti oscuri ce ne sono tanti e non è il caso che si aggiunga anche questo nella storia repubblicana di questo Paese.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – Doc. XXII, nn. 9-39-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il presidente della IV Commissione (Difesa), deputato Elio Vito, e il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 23 giugno 2015, alle 9,30:

1. – Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

Pag. 42

(ore 15)

2. – Seguito della discussione della proposta di legge:
COSTA: Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale. Ulteriori disposizioni a tutela del soggetto diffamato (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (C. 925-C).
Relatore: Verini.

3. – Seguito della discussione delle mozioni Lorefice ed altri n. 1-00898, Scotto ed altri n. 1-00888 e Attaguile ed altri n. 1-00915 concernenti la permanenza in carica del sottosegretario di Stato Giuseppe Castiglione.

4. – Seguito della discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00591, Brunetta e Giammanco n. 1-00901, Grande ed altri n. 1-00913, Ricciatti ed altri n. 1-00914, Bechis ed altri n. 1-00916, Librandi ed altri n. 1-00917 e Gianluca Pini ed altri n. 1-00919 concernenti iniziative volte alla revoca delle sanzioni dell'Unione europea contro la Federazione russa e al raggiungimento di una soluzione politico-diplomatica della crisi ucraina.

La seduta termina alle 17,10.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO WALTER VERINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 925-C.

WALTER VERINI, Relatore. Questo provvedimento venne approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 17 ottobre 2013, dopo un anno (29 ottobre 2014) è stato approvato con modifiche dal Senato e, dopo un nuovo, serio approfondimento avviato il 18 novembre 2014 e conclusosi il 18 giugno scorso, torna all'esame (con la convinzione e non solo speranza che sia l'ultima) dell'Assemblea.
Ci sarà comunque un ulteriore passaggio Senato, poiché la Commissione ha ritenuto di apportare alcune modifiche al testo approvato da Palazzo Madama.
Quando è stato avviato l'esame in sede referente ho posto immediatamente una questione: quella dei tempi di approvazione di una legge da molto (forse troppo) tempo attesa.
Per questo abbiamo riflettuto sull'opportunità di apportare ulteriori cambiamenti al testo: per quanto il Senato avesse apportato delle modifiche anche significative al testo della Camera, erano comunque rimasti intatti punti fondamentali quali l'eliminazione della pena detentiva a carico del giornalista in caso di diffamazione e l'applicazione della legge sulla stampa anche alle testate giornalistiche online e radiotelevisive.
La scelta è stata nel senso di modificare il testo, continuando a lasciare intatti questi punti fondamentali. Questa scelta, alla quale consegue una nuova lettura del Senato, è stata presa all'esito di un ciclo di audizioni dal quale è emersa l'esigenza di apportare alcune modifiche indifferibili al testo. In ordine cronologico, la Commissione ha sentito: Nello Rossi, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Roma, coordinatore del gruppo di lavoro criminalità informatica e interferenze illecite nella vita privata, Eugenio Albamonte, Sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, Francesco Angelo Siddi, in quel momento Segretario Generale della Federazione nazionale della stampa italiana ed Enzo Iacopino, Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, Giovanni Guzzetta, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Fabrizio Merluzzi, avvocato, Fabio Alonzi, avvocato, Benedetto Liberati, Presidente dell'Associazione nazionale stampa online, Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Rodolfo De Pag. 43Laurentiis, Presidente di Confindustria Radio Televisioni, Elio Catania, Presidente di Confindustria digitale, Alberto Spampinato e Giuseppe Federico Mennella, rispettivamente Presidente e Segretario dell'Osservatorio Ossigeno per l'informazione, e Fabrizio Carotti, Direttore generale della Federazione italiana editori giornali.
Vorrei precisare che anche quelle modifiche che formalmente intervengono su parti del testo che formalmente non sono state modificate dal Senato (rispetto al testo approvato in prima lettura) sono – e non poteva essere altrimenti – strettamente connesse ad altre parti del testo modificate dal Senato. Un esempio è l'articolo 7 introdotto dalla Commissione che modifica la disposizione del Codice Civile sui crediti privilegiati che è connessa con la diversa delimitazioni delle responsabilità del direttore. Ma su questo ci soffermeremo brevemente tra poco.
Prima di passare all'illustrazione del testo vorrei sottolineare che dopo la seconda lettura da parte del Senato, il nostro lavoro ha confermato punti qualificanti e introdotto miglioramenti.
Si è confermata la cancellazione della pena del carcere per i giornalisti. Sembra ovvio, ma non è così. Il nostro Paese conserva ancora questa pena, e cancellarla – come il Parlamento sta facendo – è un segno importante di civiltà democratica.
Inoltre, con la causa di non punibilità nel caso di pubblicazione integrale della rettifica richiesta, si tutela il diritto dei cittadini a non essere diffamati e la libertà dei giornali.
Vorrei sottolineare questo punto. Se un cittadino si sente diffamato, può chiedere la pubblicazione integrale della rettifica e se il giornale accetta (sussistendo evidentemente consapevolezza della solidità della rettifica stessa) scatta come si diceva la causa di non punibilità. Ma è evidente anche il contrario: se il giornalista e il Direttore considerano la rettifica infondata, priva di riscontri o addirittura anticamera di possibili intimidazioni o querele temerarie e se il loro articolo, la loro inchiesta è supportata da fonti attendibili, è evidente che in quel caso sarà scelta la strada di non pubblicare la rettifica o di pubblicarla con commenti, pareri, smentite.
In ogni caso, ritengo che nel bilanciamento tra due diritti – quello della libertà del giornalista e quello del cittadino a non essere diffamato – queste norme potranno nell'insieme contribuire ad una sempre maggiore responsabilizzazione nella verifica delle fonti, nella veridicità delle notizie e dei fatti pubblicati.
Citavo prima il tema delle querele temerarie. È un tema centrale. Sono lo strumento che molto spesso viene usato come arma di dissuasione dal continuare inchieste o per intimidire giornali e giornalisti. E spesso ad esercitare queste intimidazioni sono forze legate alla criminalità organizzata. E spesso i destinatari sono giornalisti e giornali più deboli, meno strutturati, che operano in territori dove è più difficile garantire la libertà dell'informazione.
Per questo sono stati previsti inasprimenti di sanzione in caso di querele temerarie.
Personalmente avrei preferito, in questi casi, sanzioni più nette, sul modello anglosassone. In alcuni ordinamenti si prevede l'obbligo di risarcire fino al 50% del risarcimento temerario richiesto. Emendamenti di questo genere erano stati presentati anche in Senato, ma non hanno trovato i consensi necessari. Per questo abbiamo ritenuto comunque importante affidare al giudice la possibilità di arrivare a quei livelli di risarcimento.
Il lavoro della Commissione ha prodotto anche un'altra importante novità. Mi riferisco ai casi, purtroppo frequenti, di fallimento delle proprietà dei giornali, casi nei quali direttori e giornalisti vengono lasciati soli a risarcire, in caso di condanna, il danneggiato per diffamazione. In questi casi ci si potrà rivalere sulla proprietà fallita.
Si tratta di un tema che ci è stato proposto e sollecitato con forza dalla Federazione Nazionale della Stampa e che abbiamo inteso raccogliere.
Qualcuno ha osservato che l'introduzione di questo emendamento potrebbe andare incontro a casi di questa fattispecie Pag. 44particolarmente noti, anche perché – come quello di ex-Direttori e giornalisti de l'Unità – resi pubblici dalla stessa Federazione della Stampa.
Non credo sia proprio il caso di dare letture «maliziose». Non c’è proprio motivo.
Questa norma va incontro già oggi a decine di giornalisti che si trovano in queste situazioni. E così varrà per il futuro. Il fatto che possa riguardare casi singoli conosciuti non intacca minimamente il valore generale di questa decisione.
E del resto, quando in prima lettura alla Camera e poi in seconda al Senato e poi ancora qui in Commissione abbiamo votato l'abolizione del carcere per la diffamazione a mezzo stampa, nessuno si è sognato nemmeno per un attimo di pensare o sostenere che lo si stesse facendo per venire incontro a casi personali di Direttori di qualche importante testata, come quella di un noto quotidiano e di un diffusissimo settimanale che sono stati condannati alla pena del carcere.
No: lo abbiamo fatto e lo facciamo per un principio generale di civiltà, così come lo stiamo facendo con l'emendamento ricordato per lo stesso motivo.
Resta fuori dal testo il tema della diffamazione nei blog che il Senato ha introdotto.
Anche alla luce delle audizioni e del dibattito in Commissione si è ritenuto che il tema sia assolutamente reale e che ci sia la necessità di affrontarlo in maniera organica. Perché proprio nella rete, spesso, contenuti diffamatori sono diffusi e colpiscono senza possibilità di tutela. E come nessuno intende mettere «bavagli» alla rete, così nessuno vuole che circolino offese, denigrazioni, diffamazioni.
Ma è stata convinzione pressoché unanime che una questione di così rilevante portata meritasse un confronto più ampio e approfondito di quello consentito da un emendamento. Un confronto da avviare e completare, per esempio, anche dopo la fine dei lavori della Commissione preposta insediata dalla Presidente Boldrini e presieduta da Stefano Rodotà, in un esame che tenga conto anche del quadro legislativo europeo.
In definitiva, ritengo che il testo che la Commissione offre alla valutazione e al voto dell'aula sia innovativo, incisivo ed equilibrato. Che in un momento difficile per l'informazione, per la carta stampata possa offrire un contributo non solo – ovviamente – normativo e legislativo, ma anche civile. E possa rappresentare, insieme, una tutela per i cittadini perbene che possono essere ingiustamente diffamati e che debbono essere risarciti e un incoraggiamento per giornali e giornalisti a svolgere il lavoro fondamentale per la democrazia come quello dell'informazione con un po’ più di serenità e un po’ più di tutela.
L'auspicio è che, dopo il voto della Camera previsto in questa settimana, il Senato possa e voglia votare il testo senza modifiche. Lo dico nel rispetto sincero delle prerogative dell'aula di palazzo Madama. Ma dopo circa due anni, vedere al più presto in Gazzetta Ufficiale questa legge sarebbe davvero una conquista di tutti.
Passo ora all'esame del testo.
L'articolo 1 propone una serie di modifiche alla legge sulla stampa (L. n. 47 del 1948). Faccio notare che anziché intervenire, come fatto dal testo Camera, con modifiche parziali, il Senato ha accolto una completa riformulazione del comma 1 dell'articolo 8, che conferma sostanzialmente le principali novità introdotte dalla Camera.
In primo luogo, viene aggiunto un comma all'articolo 1 (la cui rubrica reca «Definizione di stampa o stampato»), con il quale estende l'ambito di applicazione della legge sulla stampa alle testate giornalistiche on line registrate presso le cancellerie dei tribunali.
Come si è detto, viene modificata la disciplina del diritto di rettifica di cui all'articolo 8 della legge 47/1948. Con la sostituzione del primo comma si prevede che le dichiarazioni o le rettifiche della persona che si ritenga lesa nella dignità, nell'onore o nella reputazione, debbano essere pubblicate senza commento, senza risposta, senza titolo e con l'indicazione del titolo dell'articolo ritenuto diffamatorio, dell'autore dello stesso e della data di pubblicazione; ciò a meno che le dichiarazioni o le rettifiche Pag. 45non siano suscettibili di incriminazione penale o non siano inequivocabilmente false. La Commissione Giustizia ha introdotto l'espresso riferimento alla lesione dell'onore e della reputazione, oltre al richiamo alle dichiarazioni o rettifiche «inequivocabilmente» false.
Con l'integrazione del secondo comma, si disciplina specificamente la rettifica sulle testate giornalistiche on line; si precisa che gli obblighi di pubblicazione vanno assolti entro 2 giorni dalla richiesta (come per i quotidiani cartacei), con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia rettificata, in testa all'articolo relativo alla notizia stessa, senza modificarne la URL (ovvero l'Uniform Resource Locator, cioè la sequenza di caratteri che identifica univocamente l'indirizzo Internet della testata on line). Se la testata giornalistica fornisce un servizio personalizzato, le dichiarazioni o le rettifiche sono inviate agli utenti che hanno già avuto accesso alla notizia originaria. La Commissione Giustizia ha introdotto il richiamo alle identiche modalità di accesso al sito e alle identiche caratteristiche grafiche (in luogo della rilevanza della notizia).
Viene disciplinata la rettifica rispetto alle trasmissioni televisive o radiofoniche (si applica l'articolo 32-quinquies del d.lgs. n. 177 del 2005, TU radiotelevisione).
È disciplinata la rettifica con riferimento alla stampa non periodica (es. libri) prevedendo che, a richiesta dell'offeso, l'autore dello scritto ovvero i soggetti di cui all'articolo 57-bis del codice penale (editore, se l'autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero lo stampatore, se l'editore non è indicato o non è imputabile), provvedano alla pubblicazione delle dichiarazioni o delle rettifiche. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata sul sito e nelle nuove pubblicazioni elettroniche entro 2 giorni dalla richiesta e nella prima ristampa utile, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l'ha determinata. Nell'impossibilità di procedere alla ristampa dell'opera o alla pubblicazione sul sito internet del diffamante, entro 15 giorni la rettifica dovrà essere pubblicata sul sito Internet di un quotidiano a diffusione nazionale. La Commissione Giustizia ha introdotto il termine di 15 giorni per la pubblicazione della rettifica (pur non sopprimendo il termine di due giorni per la rettifica via Internet); ha precisato che la lesione può riguardare anche l'onore; ha introdotto anche qui il richiamo a rettifiche «inequivocabilmente» false.
In caso di inerzia nella pubblicazione della rettifica, l'interessato può richiedere al giudice di ordinare la pubblicazione adottando un provvedimento d'urgenza ai sensi dell'articolo 700 c.p.c. Il giudice accoglie in ogni caso la richiesta quando è stato falsamente attribuito un fatto determinato che costituisce reato. Della stessa procedura può avvalersi l'autore dell'offesa nel caso di inerzia del direttore del giornale o periodico o della testata on line o del responsabile della trasmissione radio-tv. Il giudice, se riconosce che la rettifica è stata illegittimamente trascurata, trasmette gli atti al competente ordine professionale e chiede al prefetto l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria se l'ordine di pubblicazione non viene rispettato.
È modificato l'importo della sanzione amministrativa per la mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di rettifica: l'attuale sanzione (da 7.746 a 12.911 euro) è sostituita dalla sanzione da 8.000 a 16.000 euro. È introdotto nella legge sulla stampa l'articolo 11-bis, relativo al risarcimento del danno (con conseguente abrogazione dell'articolo 12 della legge 47/1948, in base al quale per la diffamazione a mezzo stampa la persona offesa può chiedere – oltre al risarcimento dei danni – una somma a titolo di riparazione, determinata in relazione alla gravità dell'offesa e alla diffusione dello stampato). La disposizione prevede che l'azione civile si prescriva in 2 anni e individua dei parametri di cui il giudice deve tenere conto nella quantificazione del danno derivante da diffamazione: la diffusione quantitativa e la rilevanza (nazionale o locale) del mezzo di comunicazione usato Pag. 46per compiere il reato; la gravità dell'offesa; l'effetto riparatorio della pubblicazione o della diffusione della rettifica.
È stato riscritto l'articolo 13 della legge n. 47 del 1948. In tale articolo sono riunite le diverse fattispecie sanzionatorie relative alla diffamazione a mezzo stampa, per le quali viene eliminata la pena della reclusione. La diffamazione a mezzo stampa (ivi compresa quella relativa alle testate giornalistiche on line) è punita con la multa da 5.000 a 10.000 euro (la Commissione Giustizia ha introdotto l'espressa previsione del minimo di pena edittale); se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della falsità, la pena è della multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna per questo delitto comporta l'applicazione della pena accessoria della pubblicazione della sentenza (articolo 36 c.p.) e nelle ipotesi di recidiva (nuovo delitto non colposo della stessa indole) si applica la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista per un periodo da un mese a sei mesi. Sulla recidiva, la Commissione Giustizia ha previsto che la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista si applica alla prima ipotesi di recidiva e non – come stabilito dal Senato – alla recidiva reiterata. Non sono punibili l'autore dell'offesa o il direttore responsabile o i soggetti di cui all'articolo 57-bis c.p. che provvedano alla rettifica secondo quanto previsto dall'articolo 8. Soggiace invece alla pena prevista per la diffamazione il responsabile delle testate giornalistiche che, nonostante la richiesta, abbia rifiutato di pubblicare le rettifiche. La Commissione Giustizia ha precisato che la causa di non punibilità per la rettifica riguarda anche il direttore della testata radiofonica o televisiva. Infine, con la sentenza di condanna il giudice dispone la trasmissione degli atti al competente ordine professionale per le determinazioni relative alle sanzioni disciplinari.
Viene specificato che, in caso di diffamazione on line, è competente il giudice del luogo di residenza della persona offesa. Da più parti si sono levate obiezioni su questa soluzione, tanto che in Commissione sono stati presentati emendamenti modificativi. Tuttavia, si tratta di una disposizione introdotta dalla Camera e confermata completamente dal Senato e, quindi, ora immodificabile. Sarà quindi eventualmente un ulteriore intervento legislativo a modificare tale disposizione.
L'articolo 2 del provvedimento modifica il codice penale.
Viene sostituito l'articolo 57 c.p., la cui rubrica non fa più riferimento alla sola stampa periodica, bensì ai reati commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione. La disposizione fa riferimento, al primo comma, alla responsabilità del direttore o vicedirettore responsabile, che risponde a titolo di colpa dei delitti commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. La pena è in ogni caso ridotta di un terzo e non si applica la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista. La Commissione Giustizia ha soppresso la previsione – introdotta dal Senato – in base alla quale il direttore responsabile risponde anche per i delitti commessi con il mezzo della stampa attraverso scritti non firmati. Si tratta di una disposizione che in alcuni casi (specialmente per le pubblicazioni in rete) avrebbe rischiato di tradursi in una ipotesi di responsabilità per fatti altrui.
Si è poi intervenuti sull'articolo 594 c.p., relativo al reato di ingiuria, la cui fattispecie base (comma 1) è attualmente punita con la pena della reclusione fino a sei mesi o della multa fino a 516 euro. La riforma elimina la pena della reclusione, sanzionando l'ingiuria – anche quando commessa per via telematica – con la multa fino ad un massimo di 5.000 euro. La pena è aumentata fino alla metà qualora l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato ovvero sia commessa in presenza di più persone. L'articolo 595 c.p., in tema di diffamazione: l'attuale sanzione della reclusione fino a un anno o della multa fino a 1.032 euro è sostituita Pag. 47dalla multa da 3.000 a 10.000 euro. Come per la diffamazione a mezzo stampa e l'ingiuria, l'attribuzione di un fatto determinato costituisce un'aggravante, punita con la multa fino a euro 15.000 (oggi tale fattispecie è sanzionata con la reclusione fino a due anni o la multa fino a euro 2.065). Un'ulteriore aggravante si applica quando il fatto è commesso con un qualsiasi mezzo di pubblicità, in atto pubblico o in via telematica.
La Commissione Giustizia ha soppresso l'articolo 3, introdotto dal Senato, che riconosceva alla persona offesa il diritto – strettamente inerente all'uso di Internet e degli archivi on line dei giornali cartacei – di ottenere l'eliminazione dai siti e dai motori di ricerca dei contenuti diffamatori e dei dati personali trattati in violazione di legge. Si trattava di una disposizione che in parte affrontava il delicato tema del diritto all'oblio, anche se in realtà questo tema non si collega unicamente a fatti con contenuti diffamatori. Dalle audizioni è emersa l'impossibilità applicativa della norma approvata al Senato, che avrebbe quindi determinato responsabilità per violazione di obblighi che sono concretamente non ottemperabili. Il tema «dell'oblio e internet» dovrà eventualmente essere affrontato attraverso una normativa specifica.
Gli articoli 3 e 4 del nuovo testo della proposta di legge intervengono sul codice di procedura penale.
In particolare, l'articolo 3 aggiunge un comma (3-bis) all'articolo 427 c.p.p., relativo alla condanna del querelante alle spese e ai danni in caso di sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso. La Commissione Giustizia, ripristinando la formulazione già approvata in prima lettura dalla Camera, ha disposto che il giudice possa irrogare al querelante una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro in caso di querela temeraria, da versare alla cassa delle ammende. Il testo del Senato fa espresso richiamo alla temerarietà della querela e alla condanna – aggiuntiva rispetto a quanto già previsto – al pagamento di una somma determinata in via equitativa.
L'articolo 4 del provvedimento modifica l'articolo 200 c.p.p., estendendo la disciplina del segreto professionale anche ai giornalisti pubblicisti iscritti al rispettivo albo.
L'articolo 5 modifica l'articolo 96 del codice di procedura civile per introdurre una responsabilità civile aggravata a carico di colui che promuove un'azione risarcitoria temeraria per diffamazione a mezzo stampa. Con l'inserimento di un comma, la riforma prevede che in tutti i casi di diffamazione a mezzo stampa, se risulta che il ricorrente ha agito per il risarcimento del danno con malafede o colpa grave, il giudice, nel rigettare la domanda di risarcimento, può condannare l'attore, oltre che al rimborso delle spese e al risarcimento a favore del convenuto stesso, anche al pagamento in favore di quest'ultimo di una somma determinata in via equitativa, purché non superiore alla metà dell'oggetto della domanda risarcitoria. La Commissione Giustizia ha introdotto il riferimento anche alle testate giornalistiche on line e il limite massimo della misura risarcitoria.
Infine, la Commissione Giustizia ha introdotto l'articolo 6, che, modificando l'articolo 2751-bis del codice civile, riconosce la qualifica di privilegio generale sui mobili al credito vantato da giornalista o dal direttore responsabile, che abbiano risarcito il danno a seguito di una sentenza di condanna, nei confronti dell'editore proprietario, salvo nei casi in cui sia stata accertata la natura dolosa della condotta del giornalista o del direttore. Si ricorda che l'articolo 11 della legge sulla stampa stabilisce che, per i reati commessi col mezzo della stampa, sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore. Si tratta di una responsabilità per fatto altrui rispetto alla quale la Cassazione (Sez. III civile, sentenza 19-09-1995, n. 9892 S.E.P. c. Buscaglia e altri) ha affermato che il proprietario e l'editore, essendo responsabili civilmente per i danni conseguenti ai reati commessi col mezzo della stampa in solido con il direttore e l'autore dell'articolo, sono obbligati per l'intero nei confronti del Pag. 48danneggiato, ai sensi dell'articolo 1292 c.c., ma con diritto di regresso nei rapporti interni con gli altri coobbligati secondo la gravità delle rispettive colpe e le conseguenze che ne sono derivate.
La disposizione introdotta dalla Commissione è quindi uno strumento di tutela del direttore e del giornalista che vale specialmente per il caso in cui la proprietà o comunque l'editore sia fallito, come ho già avuto modo di sottolineare nella prima parte della relazione. Il caso più noto è quello dell'Unità, ma non è l'unico e – cosa più importante – non sarà l'ultimo. Saremmo ipocriti nel dire che la vicenda dell'Unità è stata del tutto irrilevante nella presentazione ed approvazione dell'emendamento, ma ciò non significa che tale approvazione sia stata determinata da quella vicenda o che l'emendamento sia stato presentato solo perché c'era la vicenda dell'Unità. Questa vicenda è servita a portare a galla un tema (il fallimento della proprietà) che esiste e che deve essere risolto nel senso che il fallimento non deve ritorcersi economicamente nei confronti del giornalista anche per le questioni connesse alle condanne per diffamazione. Come ho avuto modo di precisare in Commissione, l'emendamento è stato presentato su sollecitazione dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa Italiana in ragione di una problematica che sta sempre più affermandosi e che non coinvolge solo i giornali di maggiore dimensione.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DELLA DEPUTATA FABRIZIA GIULIANI SULLA PROPOSTA DI LEGGE N. 925-C.

FABRIZIA GIULIANI. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo, con l'esame di questo provvedimento tornato in aula dopo il passaggio e le modifiche apportate dal Senato ci avviamo a concludere il lungo iter di una norma complessa e delicata, già discussa senza esito nella scorsa legislatura.
Affrontare il tema della parola pubblica e dei limiti della libertà di espressione impone un'attenzione particolare, resa ancora più necessaria dalle conseguenze che l'impetuoso sviluppo tecnologico ha avuto sul mondo dell'informazione e suoi rapporti tra quest'ultimo e la Politica.
Come ho già avuto modo di sottolineare nell'ottobre del 2013, a mio avviso, le principali modifiche della normativa riguardano, l'eliminazione della pena detentiva – fatto di grande valore –, la pubblicazione delle rettifiche senza commento e l'applicazione della legge anche ai siti Internet di natura editoriale e, naturalmente, la sanzione che va a sostituire la pena detentiva.
Vi è poi, questione anch'essa di rilevante importanza, il rafforzamento del nesso di causalità fra i doveri di vigilanza del direttore e i delitti commessi. Poi in particolare, vorrei soffermarmi sull'importanza di due aspetti del provvedimento: l'estensione della pena applicativa anche ai siti Internet e l'eliminazione della pena detentiva. Il primo è stata un'importante messa a punto della proposta di legge e ha incluso anche le testate giornalistiche online, che oggi rappresentano un punto di riferimento importante, specie per i più giovani.
Il secondo, eliminando la pena detentiva, ci porta a rispettare e ad applicare norme e sentenze europee sul tema: insomma, finalmente ci allineiamo all'Europa.
Articolo 11 della «Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea» diventata vincolante nel 2009 con il Trattato di Lisbona dice espressamente che:
1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.

Mentre l'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo sancisce a sua volta il diritto di Pag. 49espressione e ribadisce che l'esercizio di questa libertà comporta doveri e responsabilità.
Gli Stati possono controllare tramite le leggi il rispetto di questa libertà, ma anche l'adempimento degli oneri, purché questi ultimi siano proporzionati alla responsabilità.
Su questo ultimo punto si è già pronunciata, con molta autorevolezza, la Corte di Strasburgo, secondo la quale le pene detentive non sono considerate compatibili con la libertà di espressione perché il carcere ha effetti deterrenti sulla libertà dei giornalisti di informare.
La libertà di informazione è il risultato di un processo iniziato con la diffusione della stampa molto tempo fa e si è affermato come principio costituzionale, però, solo nel XVIII secolo. Le tappe che più ce lo ricordano sono la Dichiarazione dei diritti umani del 1789 e questo punto, che ormai è diventato il pilastro della Costituzione americana, del 1791. Oggi da tutta la sensibilità moderna è considerato cartina di tornasole della natura democratica di uno Stato e del livello di libertà dei propri cittadini. Devo dire che anche nel nostro Paese al riguardo ne sappiamo qualcosa.
L'accesso ad un'informazione indipendente, libera e plurale è un requisito fondamentale per il pieno esercizio della cittadinanza. La tutela della dignità umana è principio sancito dalla Costituzione. Da una parte, quindi, siamo chiamati a contemperare il diritto della collettività ad essere informata e, dall'altra, quello dei giornalisti di informare. Dall'altra parte ancora dobbiamo tutelare in ogni modo il diritto del singolo a non essere diffamato: dovere di raccontare contro il diritto a non essere vittima di una macchina del fango, episodi che sempre più sono sotto i nostri occhi e che molto direttamente ci toccano.
Questo è quello che abbiamo cercato di fare come gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia: trovare un punto di equilibrio tra la tutela della dignità delle persone e il diritto di cronaca. No alla reclusione, ma sì a sanzioni più congrue, più adeguate, con un rafforzamento del codice deontologico, una responsabilizzazione degli autori, ma anche dei direttori, che hanno il dovere di vigilare sui contenuti delle loro testate.
C’è un altro punto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione: era necessario adeguare questa norma ai tempi, alle richieste di una coscienza civile che riconosce nell'informazione libera, senza condizionamenti, una risorsa indispensabile, imprescindibile per il funzionamento della vita democratica. Sono cambiati lo spazio e il tempo nella nostra percezione e la nostra possibilità di comunicare li ha modificati profondamente. Che le parole siano pietre lo abbiamo sempre saputo, ma oggi forse le parole pesano di più e possono di più, corrono più velocemente e al contempo restano tra noi più a lungo. Questo è un fatto che la rete ogni giorno ci mostra. Racconto e narrazione sono ormai categorie politiche e l'informazione contribuisce in maniera determinante alla costruzione di questo racconto, che è collettivo e individuale; deve poterlo fare in libertà, deve avere la sicurezza di poterlo fare senza condizionamenti, ma al contempo deve sentire la responsabilità della propria azione.
Si elimina un controsenso, un paradosso che rischiava ancora una volta di distinguerci in modo negativo in ambito europeo. Il fatto che una legge a tutela della libertà di stampa potesse contemplare la privazione della libertà, pur se circoscritta a casi limitati, era uno scandalo. Cancellare questa norma è una tappa fondamentale e ha un grande valore civile, del quale tutti dovremmo essere consapevoli, anche chi ha dei dubbi intorno a questo voto.
Si è cercato al contempo di risolvere il delicato tema delle querele temerarie, che possono diventare strumenti intimidatori in grado di condizionare le inchieste e la libera circolazione delle informazioni, impedendo di portare alla luce gravi fenomeni illegali.
Lo si è fatto introducendo una responsabilità civile aggravata a carico di colui che promuove un'azione risarcitoria priva Pag. 50di consistenza per diffamazione a mezzo stampa e prevedendo oltre che al rimborso delle spese e al risarcimento a favore del convenuto, anche il pagamento di una somma determinata dal giudice in via equitativa.
E in questo senso ritengo importante anche l'introduzione dell'articolo 6 che abbiamo disposto in Commissione Giustizia, che riconosce la qualifica di privilegio generale sui mobili al credito vantato dal giornalista o dal direttore responsabile nei confronti dell'editore proprietario. Una misura volta a tutelare in qualche modo i giornalisti o i direttori che in caso di condanna al risarcimento per diffamazione non dolosa hanno il diritto di rivalersi di quanto pagato con l'editore, attribuendo a tale credito natura privilegiata.
In un Paese come il nostro, così massicciamente segnato dall’«analfabetismo di ritorno», distinguere tra le fonti dell'informazione non è una cosa semplice.
Abbiamo provato, in questa norma, ad operare questi distinguo, a distinguere quella che è l'informazione giornalistica, anche quando scivola su quel terreno appunto amorfo che qualche volta è la rete. Ma proprio qui occorre segmentare e distinguere, perché questa legge estesa al web non è del tutto estesa al web, ma è appunto limitata alle sole testate giornalistiche.
Le parole sono pietre, le parole fanno. Diffamazione e calunnia sono i fili di una ragnatela che può avvolgere fino a soffocare ed è giusto che chi parla si assuma fino in fondo la responsabilità di ciò che dice. Le parole consentono di seminare l'intolleranza e, prima o poi, di questa intolleranza si colgono i frutti avvelenati.
Il Talmud paragona la calunnia all'omicidio. I nazisti prima hanno scritto ciò che volevano fare e poi hanno fatto ciò che avevano scritto. Per riprendere due categorie che hanno attraversato il nostro dibattito in occasioni diverse, anche qui abbiamo a che fare con quel delicato crinale che è rappresentato dal rapporto tra il delitto e una cultura.
Il processo di riforma che abbiamo avviato è volto ad introdurre un primo punto di equilibrio nel mondo dell'informazione. Deve proseguire. Questo per noi è un primo passo, è importante, perché ci porta ad allinearci con la normativa europea, ma restano molti nodi non risolti. Ma questi nodi non si risolvono solo con le leggi.
Soltanto se riusciamo a ritrovare un equilibrio civile, un ethos condiviso, soprattutto da parte della stampa, che costituisce un fattore di equilibrio e regolazione rispetto a quello che invece è la rete. Responsabilità e professionalità giornalistica, che oltre alle regole, alle leggi e a dei codici, deve svolgere una funzione importante per l'orientamento dallo spazio pubblico, deve svolgersi liberamente. E per questo, solo questo consentirà all'informazione di dispiegarsi liberamente e diventare finalmente, anche in Italia, il pilastro fondante di una democrazia.