XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 424 di lunedì 11 maggio 2015

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

La seduta comincia alle 15.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale del 21 aprile 2015.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccuzzi, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Chaouki, Chimienti, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Gribaudo, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Simonetti, Sisto, Tabacci, Tidei, Velo, Vignali, Zanetti e Zolezzi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente ottantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 8 maggio 2015, il deputato Giuseppe Civati, già iscritto al gruppo parlamentare Partito Democratico, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risulta pertanto iscritto.

Elezione del presidente della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Iniziativa Centro Europea (INCE).

PRESIDENTE. Comunico che la Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Iniziativa Centro Europea ha proceduto in data 7 maggio 2015 all'elezione del presidente. È risultato eletto il senatore Lodovico Sonego.

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In morte dell'onorevole Antonio Mario Mazzarrino.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Antonio Mario Mazzarrino, già membro della Camera dei deputati dalla V all'VIII legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Cirielli ed altri; Duranti ed altri; Garofani ed altri; Artini ed altri: Disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali (A.C. 45-933-952-1959-A) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 45-933-952-1959-A: Cirielli ed altri; Duranti ed altri; Garofani ed altri; Artini ed altri: Disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 6 maggio 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 45-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) e la IV Commissione (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la IV Commissione (Difesa), Causin, che interverrà anche a nome del relatore per la III Commissione (Esteri).

ANDREA CAUSIN, Relatore per la IV Commissione. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, illustri rappresentanti del Governo, come chiesto, Presidente, intervengo anche a nome del relatore per la III Commissione, onorevole Manciulli, che oggi è impossibilitato a partecipare ai lavori. Desidero preliminarmente sottolineare che siamo finalmente di fronte all'avvio in questa sede parlamentare di un percorso già tentato nelle precedenti legislature senza purtroppo arrivare ad un esito. Ci apprestiamo, perciò, ad adottare uno degli strumenti legislativi più importanti per la politica estera e di difesa italiana, capace così di offrire finalmente una cornice normativa certa e unitaria per l'invio dei nostri contingenti all'estero, sia nell'ambito di operazioni di mantenimento della pace, sia nell'ambito di operazioni di conseguimento della pace (peace enforcing). La legge quadro in questo senso costituisce un vero e proprio salto di qualità nella governance della nostra politica estera e di difesa che per molti aspetti risaliva ancora alla fase immediatamente successiva alla fine della Guerra fredda. La scelta delle Commissioni esteri e difesa del Parlamento italiano di calendarizzare l'adozione della legge quadro sulle missioni internazionali è dovuta principalmente alla sempre maggiore centralità dell'Italia nelle relazioni e nelle crisi internazionali. Ed è innegabile che il nostro Paese ha, in questa complessa fase, un ruolo cerniera tra Europa, Mediterraneo e Medio Oriente. Il prestigio guadagnato dall'Italia in tanti teatri di crisi – penso soprattutto al Libano, al Kosovo, all'Afghanistan, alla Somalia e all'Iraq – chiama il nostro Paese ad una maggiore assunzione di responsabilità che, secondo i dettati della nostra Costituzione, si esercita certamente in via prioritaria e senza ombra di dubbio attraverso la soluzione diplomatica e pacifica dei conflitti. Ma è anche vero che il nostro Paese, nell'ambito della NATO, dell'ONU e delle coalizioni internazionali che hanno combattuto e combattono il terrorismo, ha fatto pienamente la propria parte. Negli scenari in cui siamo stati chiamati il personale delle Pag. 3Forze armate si è distinto per competenza, preparazione, serietà e spirito di sacrificio, congiuntamente ad una grande attenzione alle popolazioni locali sul piano umanitario, esattamente come accade proprio in questi giorni da parte degli uomini e delle donne che si sono impegnati nel mare Mediterraneo nelle missioni di salvataggio dei profughi che sono vittime della tratta degli esseri umani.
Le missioni internazionali sono state per l'Italia, in questi anni, un'occasione di prestigio internazionale, una vicenda nazionale di cui essere orgogliosi. Ciò è stato possibile anche e soprattutto grazie al sacrificio di quelle donne e di quegli uomini che hanno perso la vita e i tantissimi che hanno riportato ferite durante l'adempimento del proprio dovere; un dovere che è sempre coinciso con la liberazione di popoli dalla tragedia della guerra e dell'oppressione. È a queste donne e a questi uomini che va il pensiero del Parlamento italiano nell'imminenza dell'approvazione della legge quadro.
La seconda ragione per la quale ci accingiamo a discutere e ad approvare lo strumento della legge quadro sulle missioni internazionali è legato al grave e veloce deterioramento delle condizioni di sicurezza soprattutto nell'area del Medio oriente e del nord Africa. Come ho avuto già modo di ribadire in quest'aula in altre occasioni, l'Italia si trova al confine di conflitti che non ha deciso, che non ha voluto ma con cui, nostro malgrado, siamo chiamati e saremo chiamati a fare i conti. Se per quanto riguarda il rapporto con la NATO e la Federazione russa circa la delicata questione della contesa territoriale dell'Ucraina dell'est appare evidente che il ruolo del nostro Paese si giocherà nella politica di deterrenza, rispetto alla quale saremo chiamati a capire come si dovrà dare corso all'impegno sulle spese militari chiesto dal segretario generale Stoltenberg nella recente visita fatta in Italia, è, dall'altra parte, altrettanto chiaro che la minaccia dell'Islamic State è concreta e vicina e rischia di vederci coinvolti, nostro malgrado, data la vicinanza e la fragilità dei Paesi della gronda meridionale del Mediterraneo soprattutto con un riferimento alla Libia. In questo scenario la legge quadro sulle missioni internazionali si prefigge di consolidare il ruolo del nostro Paese attraverso regole certe e leggibili tali da rendere il nostro operato sempre più trasparente per i cittadini e per gli interlocutori internazionali. Il Parlamento ufficializza oggi un impegno serio, accurato, maturato nel tempo e in sede squisitamente parlamentare, un provvedimento che trae vita dalle proposte di legge che, da almeno quattro legislature, sono state oggetto di attenta analisi nelle aule delle Commissioni esteri e difesa. Cito le iniziative del collega Garofani, del Ministro Pinotti, allora presidente della Commissione difesa, dell'onorevole Cirielli, anch'egli presidente di Commissione e dei colleghi del gruppo di SEL. Nel corso della legislatura è giunto anche il contributo importante dei colleghi del MoVimento 5 Stelle. Desidero perciò in questa sede ringraziare il presidente della Commissione e tutti i gruppi per l'impegno serio e collaborativo che ha consentito di produrre il miglior lavoro possibile.
Fino ad oggi, come è noto ai colleghi, non è esistita una normativa di carattere generale riguardante le missioni internazionali. Tale disciplina era affidata alle prassi parlamentari per quanto concerne i profili di autorizzazioni e veniva disciplinata di volta in volta da decreti-legge di finanziamento delle missioni per quanto concerne i profili di copertura finanziaria nonché quelli di trattamento economico e normativo del personale. Lo strumento dei decreti-legge, tuttavia, ha manifestato una serie di limiti: pur se dotato di flessibilità e tempestività rispetto all'urgenza degli interventi, si è caratterizzato per l'efficacia limitata nel tempo e la conseguente necessità di reiterare le norme al fine di scongiurare effetti di vuoto normativo che rischiavano e rischiano di nuocere alla sicurezza dei nostri connazionali all'estero impegnati nelle missioni. Da ciò è maturata la necessità che il nostro Paese con i maggiori Stati europei potesse dotarsi di uno strumento normativo utile ad offrire punti solidi di riferimento sia sul piano del Pag. 4rispetto del rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento, sia su quello dei delicati profili di natura giuridica ed economica che riguardano il personale militare e civile coinvolto. Gli strumenti normativi provvisori infatti hanno contraddetto ciò che invece è avvenuto sul campo ovvero che si è dato vita ad una strategia di lungo termine e si è definita attraverso il coinvolgimento di ingenti risorse che hanno consentito all'Italia di partecipare allo sforzo internazionale per stabilizzare le aree di conflitto con efficacia, conseguendo sempre importanti risultati riconosciuti dalla comunità internazionale e dalla NATO. In particolare, è noto ai Premier internazionali che le missioni internazionali hanno contribuito a sviluppare in Italia un approccio congiunto militare e sicurezza civile che è ormai diventato un modello internazionale con il cosiddetto comprehensive approach nonché il tratto distintivo di azione del nostro Paese. A queste sollecitazioni le Commissioni affari esteri e difesa hanno risposto, avviando da subito un approfondito dibattito sulle diverse proposte di legge di iniziativa che erano state depositate. Il Comitato ristretto ha incaricato di elaborare un testo unificato e ha provveduto ad acquisire i contributi anche scritti sia da parte di componenti del Comitato sia da parte del Governo che ha seguito i lavori sempre in modo assiduo, nonostante le complessità dettate dai nostri lavori di Aula e dalle Commissioni.
Dopo avere individuato alcuni temi nodali, il Comitato ristretto ha focalizzato l'attenzione, dapprima, sulla procedura di autorizzazione delle missioni, poi, sull'eventuale istituzione di un comitato parlamentare di controllo, quindi, sulle disposizioni penali e, infine, sul rapporto con la cooperazione internazionale. Il testo così predisposto è stato, quindi, adottato dalle Commissioni come testo base, dopo che i relatori hanno operato alcune scelte sulle questioni controverse ed è stato poi migliorato – sempre il testo – attraverso le ordinarie procedure della fase referente.
Vengo ora a una sintetica illustrazione del provvedimento che ci accingiamo ad esaminare. Il nuovo articolo 1, presentato dai relatori, è frutto di un ampio lavoro istruttorio; definisce in modo coerente il concetto di missione internazionale e l'ambito di applicazione della nuova normativa che riguarda l'invio di personale e di assetti, civili e militari, fuori del territorio nazionale, che avvenga secondo i termini della legalità internazionale, delle disposizioni e delle finalità costituzionali, in ottemperanza agli obblighi di alleanze o ad accordi internazionali o intergovernativi, o per eccezionali interventi di carattere umanitario.
Al contempo, sempre l'articolo 1 del testo fissa le condizioni giuridiche che consentono – al di fuori del caso della dichiarazione dello stato di guerra deliberato dalle Camere e nella potestà del Presidente della Repubblica in base all'articolo 87 della Costituzione – la partecipazione italiana a missioni multilaterali di pace, richiamando espressamente il rispetto dei principi di cui all'articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale.
L'articolo 2 definisce, invece, la procedura da seguire per l'avvio e l'eventuale proroga delle missioni internazionali al fine di assicurare il coinvolgimento dei poteri costituzionali, nell'ambito delle relative attribuzioni, in ordine all'impiego del personale interessato. Al riguardo, il primo passaggio procedurale è rappresentato dalla delibera del Consiglio dei ministri in ordine alla partecipazione dell'Italia alle missioni. Tale deliberazione dovrà essere adottata previa comunicazione al Presidente della Repubblica e, ove se ne ravvisi la necessità, convocando il Consiglio supremo di difesa. Le deliberazioni del Consiglio dei ministri dovranno, quindi, essere comunicate alle Camere per la loro tempestiva discussione, affinché siano autorizzate con appositi atti di indirizzo, ovvero ne venga negata l'autorizzazione stessa.Pag. 5
La parte procedurale definita dal Capo I si completa con la previsione dello svolgimento di un'apposita sessione parlamentare sull'andamento delle missioni autorizzate, sessione da svolgere entro il 31 marzo di ciascun anno, nonché dell'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di un apposito Fondo, destinato al finanziamento della partecipazione italiana alle missioni; la dotazione di tale Fondo è stabilita annualmente dalla legge di stabilità.
In riferimento al Capo I desidero evidenziare come da tale quadro emerga un ruolo di vigilanza del Parlamento; un ruolo di vigilanza, come dicevo, molto forte, sia in sede di autorizzazione delle singole missioni, sia sulla valutazione del complesso della politica estera e di difesa dello Stato. Per questa ragione, pertanto, non è apparso opportuno inserire l'ipotesi, avanzata in alcune proposte di legge e poi riproposta in fase emendativa, di affidare il monitoraggio e il controllo sulle missioni internazionali a un comitato parlamentare appositamente costituito. Ciò sia per evitare la proliferazione di organi parlamentari, sia per non limitare le competenze delle Commissioni affari esteri e difesa, alle quali spetta, appunto la competenza del monitoraggio e della vigilanza, tra le altre cose.
Passando agli articoli del Capo II, che recano le norme in materia di personale, ricordo che su tale aspetto il lavoro delle Commissioni è stato ispirato e sollecitato soprattutto per voce del Comitato per la legislazione: da tempo si invocava un intervento di tipo normativo che disciplinasse la materia in via generale e non più attraverso la reiterazione di disposizioni d'urgenza, dall'efficacia peraltro limitata nel tempo. Sono state quindi raccolte in un corpus unico le disposizioni vigenti relative all'indennità di missione, alla retribuzione per il lavoro straordinario, alla corresponsione dell'indennità di compenso forfetario, all'indennità di impiego operativo e fino al trattamento assicurativo e previdenziale.
Segnalo, con riguardo a questo ultimo aspetto, che il comma 3, introdotto durante l'esame in sede referente, ha disposto che siano estesi i benefici già previsti in favore delle vittime del terrorismo anche al personale delle Forze armate che, nel corso del servizio prestato presso contingenti impiegati in missioni internazionali, per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di eventi dannosi connessi all'espletamento delle loro funzioni istituzionali e dipendenti da rischi specificamente attinenti all'attività assolta dal contingente, sia deceduto o che abbia riportato una invalidità permanente, prevedendo, inoltre, che con la legge di stabilità si provveda a estendere tale beneficio anche agli eventi verificatisi in data anteriore alla relativa entrata in vigore, a decorrere dal 1 gennaio 1961.
L'articolo 9 prevede che le disposizioni in materia di indennità di missione e di trattamento assicurativo si applichino anche al personale in stato di prigionia o disperso e che il tempo trascorso in stato di prigionia o quale disperso venga computato per intero ai fini del trattamento previdenziale, mentre l'articolo 10 dispone che, per le esigenze connesse con le missioni internazionali, il periodo di ferma dei volontari in ferma prefissata di un anno può essere prolungato, previo consenso degli interessati, per un massimo di sei mesi, e possono essere richiamati in servizio, a domanda, anche gli ufficiali delle forze di completamento.
L'articolo 11, riproduce le normative vigenti che consentono di valutare i periodi di comando, di attribuzioni specifiche, di servizio e di imbarco svolti dagli ufficiali delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri presso i comandi, le unità, i reparti e gli enti costituiti per lo svolgimento delle missioni umanitarie e internazionali ai fini del loro avanzamento, mentre l'articolo 12 riproduce le norme vigenti di salvaguardia del personale militare che abbia partecipato a concorsi interni e che non possa partecipare alle varie fasi concorsuali in quanto impiegato nelle missioni, ovvero impiegato fuori del territorio nazionale per attività connesse. Pag. 6Vengono confermate anche le vigenti disposizioni che riguardano l'esercizio del diritto di difesa nei giudizi civili, tributari e amministrativi in ragione della permanenza all'estero del personale militare a causa dell'impiego nelle missioni internazionali, l'utilizzo gratuito delle utenze telefoniche di servizio da parte del personale che partecipa alle missioni umanitarie e internazionali, la disciplina in materia di orario di lavoro e quella del diritto al riposo e recupero delle energie psico-fisiche. Viene confermata anche la previsione dell'estensione della disciplina relativa alle missioni internazionali, in quanto compatibile, al personale civile, mentre l'articolo 18 introduce la possibilità di conferire ad un funzionario diplomatico il nuovo incarico di consigliere per la cooperazione civile. Le altre disposizioni le do per lette, come risulta dalla relazione; sono illustrazioni di alcuni altri articoli del Capo IV, che prevedono l'interazione con la cooperazione internazionale. Mi avvio quindi a concludere questa illustrazione.
L'approvazione della legge quadro giunge quindi in una fase di evoluzione drammatica degli equilibri geopolitici del post Guerra fredda, che ha delineato un arco di crisi da Kiev a Tunisi, all'interno del quale il ruolo e la posizione del nostro Paese è divenuta assolutamente cruciale. Le nuove minacce alla pace ed alla sicurezza internazionali esigono ora più che mai una sinergia degli sforzi tra gli alleati europei, l'ONU, la NATO e i Paesi arabi impegnati nella lotta al terrorismo di matrice islamica. La vastità e l'indefinitezza delle minacce che abbiamo di fronte fanno emergere l'incapacità dei Paesi di operare singolarmente, prescindendo dalla cooperazione civile, giuridica, militare e dei servizi. In un'era globalizzata come quella odierna, la partecipazione alle missioni internazionali non è solo legata ai vincoli di solidarietà agli altri Paesi partner, ma è volta soprattutto alla tutela degli interessi nazionali e del sistema-Paese e dei cittadini italiani. È per tale ragione che si ravvisa l'urgenza di contare su uno strumento legislativo che tenga conto dei nuovi scenari geopolitici. Il quadro della sicurezza globale sta rapidamente evolvendo ed è inevitabile che nuove minacce, dirette ed indirette, convenzionali e non, si consolideranno, anche in campo militare, oltre a quelle già esistenti in campo economico, ambientale, energetico e della sicurezza dei trasporti. Desidero, infine, concludere questo mio intervento con un doveroso pensiero rivolto alla situazione di inaccettabile detenzione in cui versano ancora i nostri due fucilieri di Marina. Auspico una rapida approvazione di questo testo presentato, che, al pari dell'ottimo lavoro che si è fatto la scorsa estate con l'approvazione della nuova legge sulla cooperazione internazionale, rappresenti la consapevolezza e la maturità con le quali il Parlamento italiano sarà chiamato a declinare i valori e gli interessi del nostro Paese sulla scena internazionale (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Artini. Ne ha facoltà.

MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente, cercherò di essere il più breve possibile, dati anche i tempi relativamente ristretti. L'intervento sarà indubbiamente breve perché c’è una decisa felicità, dopo aver richiesto nell'ottobre 2013 l'introduzione di una legge quadro sulle missioni internazionali e all'estero. Oggi questa legge viene fuori dopo almeno quattro legislature in cui la discussione non era arrivata oltre la mera discussione in Commissione. Quindi, devo ringraziare innanzitutto il presidente Vito ed il presidente Cicchitto, perché hanno consentito questo. Non era una cosa semplice ma auspicabile, e oggi siamo qui in Aula. Devo ringraziare tutti i colleghi della Commissione difesa, che peraltro vedo oggi anche numerosi, e alcuni volenterosi della Commissione affari esteri, che hanno contribuito allo sviluppo del provvedimento in questi termini.
In particolare, voglio ringraziare anche per l'acume da un punto di vista di Pag. 7procedura e di lavoro, i colleghi della componente di SEL e anche i relatori per averlo accolto, che hanno permesso nella fase finale del procedimento la possibilità di fare le ultime modifiche che hanno reso questa legge sicuramente un buon testo.
Infine, mi preme di ricordare – perché era uno dei suoi spunti – l'ex ministro degli esteri Mogherini che lo prese come punto prioritario quello di poter approvare oltre a una legge sulla cooperazione anche una legge sulle missioni internazionali e di questo ringrazio per la fattiva collaborazione gli esponenti del Governo, i sottosegretari, in particolare, che hanno fatto un lavoro di valutazione e accrescimento degli aspetti più che altro penali e del personale che effettivamente nella parte iniziale mancava.
È una fortuna che questa legge possa arrivare qui perché, per come posso vedere quella che è stata la trattazione dei decreti-missione dall'ottobre del 2013 ad oggi, ha una valenza che non è meramente quella di organizzare e ottimizzare le missioni internazionali ma nel suo intento c'era quello di togliere l'attenzione dalla parte finanziaria, prettamente mirata sui decreti-legge (e anche indubbiamente – possiamo dire – incostituzionale, in quanto tutte le pregiudiziali sono state sempre lettera morta), e spostare l'attenzione sulla politica che si deve valutare e attuare nella decisione sul fare o non fare una determinata missione a livello internazionale. L'essere arrivati a questo probabilmente è dovuto anche al fatto che quando nacque la prima esigenza, almeno quattro legislature fa, questa legge doveva servire solamente a regolare dei conti in modo da non avere problemi sui decreti-missione durante la fase di approvazione. Quella scelta fu miope perché poi ci siamo ritrovati ad avere missioni internazionali come quelle in Iraq, in Afghanistan o altre missioni che effettivamente alla luce dei fatti, dopo decenni, non risultano così ben formate anche negli obiettivi come quelli che si erano prefissi. Quindi, aver avuto un qualcosa che spostava l'attenzione non tanto sulle prerogative prettamente governative di decidere o meno se fare una missione, ma dare questo valore al Parlamento, penso che sia per il futuro un qualcosa di effettivamente importante. Se ne è già visto un piccolo esempio durante la risoluzione sul Centrafrica dove il Parlamento fu attore importante.
Quindi, il ragionamento di voler spostare questa attenzione sulla parte più politica che su quella finanziaria è effettivamente stato riscontrato da tutti, da parte di quelli che più prettamente fanno politica estera nella Commissione esteri e da parte di quelli che vogliono anche avere una cognizione maggiore dell'impatto militare che possono avere queste missioni.
Questo dà a tutte e tre le componenti che sono impattate dalla legge – cioè, il Presidente della Repubblica, il Parlamento e il Governo – le giuste o comunque le auspicabili competenze, sia nella parte di avere una celere decisione da parte del Governo nei momenti di crisi, sia da parte del Parlamento di avere sia il controllo che la possibile valutazione. Questo perché – e questa era una cosa che spesso non si valutava ed era più prassi che una realtà legislativa – dall'estero ci vedevano come un paese che non aveva nessun vincolo da parte del Governo per poter scegliere una missione internazionale. Nelle sessioni interparlamentari sulla difesa un'analisi fatta dalla componente olandese segnalava che l'Italia era l'unico paese (o fra i due paesi) che non aveva nessun vincolo nella creazione e nell'impiego di una missione internazionale. Questa legge riporta tutto sulla giusta linea di condotta e dà al Parlamento la possibilità di valutare annualmente tutte le missioni: la richiesta di una missione deve essere accompagnata da quello che spesso abbiamo richiesto, ossia le tutele legali e quindi l'ambito normativo per cui si va a fare una missione. E anche grazie allo sforzo di alcuni colleghi del Movimento 5 Stelle, di SEL ma anche del Partito Democratico siamo riusciti a introdurre, nella parte fondamentale della legge, una minima definizione dell'ambito per cui si possa andare a fare una missione internazionale.
L'unico spunto – e questo sarà parte del lavoro da fare durante la discussione Pag. 8degli emendamenti – che mi viene da fare è quello di ragionare su quello che è il controllo, sentivo prima – ho quasi concluso, Presidente – il relatore parlare dell'impossibilità di introdurre un nuovo Comitato parlamentare. Io, durante la fase in Commissione, avevo presentato un emendamento che forniva all'attuale Copasir, il Comitato di controllo dei servizi, un'estensione del controllo dei servizi segreti dello Stato maggiore della difesa, anche da parte del Comitato parlamentare, che attualmente non è legiferata. Annuncio qui e lo farò comunque successivamente in Aula – concludo, Presidente – la necessità che ci sia un accordo prettamente politico ma anche da prendere eventualmente alla luce del sole in Aula sul fatto che quel tipo di controllo sia fatto in una fase successiva, quando i comitati del Comitato parlamentare di controllo sui servizi andranno a fare delle modifiche che hanno già valutato o che comunque stanno valutando. Questa cosa è dirimente perché la parte classificata delle operazioni che vengono fatte all'estero è una parte al momento fumosa, che non è mai stata controllata e che non è legiferata.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

MASSIMO ARTINI. Concludo. Detto questo, io attendo un buon lavoro anche durante la fase degli emendamenti domani e sulla gestione degli ordini del giorno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garofani. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Signor Presidente, intanto inizio anch'io con i ringraziamenti a chi ha reso possibile finalmente, dopo tanto tempo, dopo quattro legislature – come è stato ricordato – l'approdo in Aula di questo provvedimento e i ringraziamenti li rivolgo innanzitutto ai due relatori, al Governo, a tutte le forze politiche che in Commissione, insieme ai colleghi della difesa e degli esteri, hanno reso possibile questo risultato e questo avvicinamento a un traguardo tanto atteso. Credo anch'io si debba prima di tutto partire riconoscendo che questa legge è l'espressione concreta di un'attenzione e vorrei dire anche di una gratitudine per quello che fanno i nostri militari nelle missioni internazionali, per il contributo che essi hanno pagato anche in termini di vite umane alla costruzione della sicurezza e della pace nel mondo globalizzato e quando abbiamo posto questo tema nell'agenda della politica abbiamo pensato soprattutto a loro, a come rendere più sicuro e garantito il lavoro e l'impegno di chi, indossando una divisa e rappresentando il Paese, si mette al servizio della sicurezza di tutti. Le missioni internazionali sono un'assunzione di responsabilità del Paese che si fonda su un presupposto difficilmente confutabile: se si vuole essere fruitori di sicurezza in uno scenario mondiale sempre più esposto a rischi di conflitti, attacchi asimmetrici come quelli rappresentati dal moltiplicarsi delle sorgenti terroristiche alle nostre porte, ebbene, si deve essere nello stesso tempo produttori di sicurezza. Questo vuol dire partecipare alle decisioni e agli impegni che assume la comunità internazionale, una partecipazione che non nasce dall'obbligo di affermare un nostro ruolo di potenza ma dalla volontà di contribuire in questo modo al bene comune rappresentato dalla sicurezza e dalla pace. In questo senso le nostre Forze armate, insieme all'infaticabile e generoso lavoro di tanti civili impegnati nella cooperazione internazionale, rappresentano uno degli strumenti più importanti della politica estera italiana. Il testo che arriva all'esame dell'Aula è il risultato di varie proposte di legge, sono state ricordate, riunificate attraverso il significativo e approfondito lavoro istruttorio nelle nostre Commissioni, lavoro che si è sviluppato anche attraverso diverse audizioni informali con esperti per approfondire i contenuti del provvedimento dal punto di vista delle norme che regolano le relazioni di diritto internazionale. Pag. 9
Come ho già ricordato, anche nella precedente legislatura si era stato un lavoro istruttorio nel tentativo di definire un testo che sostanzialmente doveva corrispondere a due diverse esigenze: la prima, definire il processo decisionale che autorizza l'impiego di forze militari fuori area; il secondo pilastro, dare certezza normativa dal punto di vista dello stato giuridico, del trattamento economico, delle disposizioni penali, delle misure contabili e amministrative applicabili al personale militare e civile comandato ad operare fuori area.
Il lavoro che abbiamo svolto è riuscito a realizzare una sintesi largamente condivisa. Su quello che è il secondo pilastro della legge, relativo al personale, è risultato tutto sommato più agevole riuscire a trovare questa sintesi, partendo da un dato oggettivo che era necessario superare, il fatto che nel nostro ordinamento giuridico non esistesse una normativa di carattere generale riguardante le missioni internazionali, con la conseguenza che tale disciplina, con particolare riferimento ai profili concernenti il trattamento economico e normativo del personale, venissero di volta in volta regolati nell'ambito dei provvedimenti d'urgenza e di decreti che finanziavano le missioni, e pertanto con un'efficacia limitata nel tempo e con la necessità di essere continuamente reiterati.
La legge-quadro supera questa situazione di incertezza e prevede una serie di disposizioni volte a definire una normativa di carattere generale, applicabile alle missioni internazionali che sono svolte dal personale appartenente alle Forze armate, alle forze di polizia e alle componenti civili che operano – come detto – congiuntamente negli stessi teatri operativi.
Credo tuttavia che il vero punto di novità di questa legge sia quello relativo al primo pilastro, quello che riguarda cioè il processo autorizzativo delle missioni. Su questo punto, che tocca il tema decisivo del rapporto tra Governo e Parlamento, si è registrata nella scorsa legislatura la difficoltà maggiore nel trovare la convergenza, perché oggettivamente si trattava e si tratta di trovare il giusto equilibrio tra poteri e prerogative garantite dalla nostra Costituzione al Parlamento, da una parte, e al Governo, dall'altra.
In questo testo unificato delle proposte di legge si fanno passi in avanti sulla strada di una collaborazione piena e trasparente. In particolare, credo che si debba apprezzare, per quanto attiene al controllo parlamentare sullo sviluppo delle missioni, la previsione di una specifica sessione parlamentare sull'andamento delle missioni autorizzate, durante la quale il Governo, entro il 31 marzo – come ha ricordato il relatore – presenta alle Camere una relazione analitica sulle missioni in corso, precisando l'andamento di ciascuna missione, le difficoltà, i risultati conseguiti, gli obiettivi ancora da raggiungere.
Credo, a questo proposito, che si possa dire che proprio la relazione tra Parlamento e Governo sulle politiche di difesa e sicurezza stia evolvendosi e maturando nella direzione del superamento di antiche, e forse reciproche, diffidenze. E se questo accade è anche merito della credibilità che le nostre Forze armate hanno saputo guadagnarsi sul campo con il loro operato, con la loro competenza, riconosciuta e apprezzata a livello internazionale, ma anche con il senso di umanità che contraddistingue il lavoro di tante donne e uomini in divisa, che rende le nostre missioni, all'interno del dettato costituzionale che le ispira, davvero azioni per la pace. Chi ha avuto la ventura di visitare i nostri contingenti impegnati all'estero sa che questo riconoscimento corrisponde non a una vuota retorica, ma alla realtà quotidianamente vissuta da tante popolazioni sofferenti: è stato ricordato il Libano, dove mi è capitato di andare personalmente, ma penso alle azioni di soccorso svolte in queste ore dalla Marina verso tanti profughi.
La legge n. 244 del 2012, di riforma dello strumento militare, questa legge-quadro sulle missioni e il processo di elaborazione, discussione e definizione del Libro bianco per la sicurezza e la difesa, con le successive determinazioni che il Parlamento dovrà assumere, rappresentano Pag. 10i capitoli di un'agenda nella quale il tema del futuro delle nostre Forze armate è avvertito come una priorità strategica, con tutte le implicazioni che ciò comporta sul piano geopolitico, economico, industriale, così come su quello sociale.
È importante che questa consapevolezza cresca e si radichi anche oltre il livello istituzionale, nella coscienza del Paese e nella sua opinione pubblica, certo sapendo che si tratta di temi difficili e talvolta impopolari, come sempre succede quando si è chiamati a deliberare l'invio dei nostri militari in scenari densi di rischi, o come quando si tratta di impegnare risorse ingenti, tanto più in tempi di crisi, per rendere più sicure, efficienti ed efficaci le nostre Forze armate.
Tuttavia, questa assunzione di responsabilità, che serve al Paese e alla sua sicurezza, sarà tanto più sostenibile, quanto più trasparente e leale sarà la collaborazione tra chi è chiamato a compiere le scelte politiche, ognuno rispettando fino in fondo il proprio dovere e il proprio mandato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frusone. Ne ha facoltà.

LUCA FRUSONE. Grazie, Presidente. Finalmente ci apprestiamo a votare una legge quadro sulle missioni internazionali. Noi da sempre, sin dal primo «decreto missioni», abbiamo usato anche termini molto duri contro quell'utilizzo della decretazione d'urgenza per delle missioni internazionali che, in realtà, era un rifinanziamento di missioni internazionali. Quindi, qualche volta magari si approvavano nuove missioni, ma molto spesso si rifinanziavano missioni di dieci, venti anni. Quindi, l'urgenza era proprio fuori discussione su una cosa del genere.
E per questo, per ogni decreto di rifinanziamento noi presentavamo una pregiudiziale di incostituzionalità, perché possiamo dire che, ad oggi, tutti quei decreti missioni, che sono stati approvati in questo Parlamento, effettivamente, o almeno secondo l'opinione del mio gruppo, erano incostituzionali, anche se poi sono stati approvati e portati avanti.
Quindi, una legge quadro noi l'abbiamo sempre chiesta. Abbiamo sempre chiesto la possibilità innanzitutto di poter votare ogni singola missione, perché oltre all'abuso della decretazione d'urgenza c'era la questione di un pacchetto globale di tutte le missioni, quindi come se tutte le emergenze e tutti gli interventi fossero stati uguali. Quindi, il Parlamento doveva sottostare anche a questa ulteriore violenza da parte del Governo.
È per questi motivi che serve una legge quadro. Noi abbiamo provato in tutti i modi a velocizzare l'iter di questa legge. Io ricordo anche ad ottobre, quando uno dei motivi del nostro ostruzionismo, di fronte a un decreto di rifinanziamento, era proprio questo, era la calendarizzazione di una legge quadro. Quindi, sapevamo bene come fosse il decreto che era in Aula e già lo giudicavamo incostituzionale, ma uno degli obiettivi del nostro ostruzionismo era anche questo: arrivare a una calendarizzazione di una legge quadro.
Speravamo e pensavamo che l'ultimo provvedimento, quello che è stato approvato l'ultima volta, si potesse evitare. Non è stato così; quindi, c’è stato un decreto, e spero che sarà l'ultimo, e poi si inizierà ad utilizzare l'iter previsto da questa legge quadro, perché su un discorso del genere, su un tema del genere, come quello delle missioni internazionali, diventa importante la centralità del Parlamento e su questo c’è bisogno di fare diverse critiche non solo a questo Governo ma anche ai Governi precedenti, anzi forse quelli precedenti erano anche peggio quando si parla di informazioni al Parlamento e di centralità del Parlamento in determinate scelte. Noi, naturalmente, ci rendiamo anche conto che, data la tematica, alcune volte c’è un bisogno, c’è un'urgenza, una vera urgenza, e, quindi, l'iter parlamentare può bloccare delle decisioni che dovrebbero essere tempestive. Ma come dicevo prima, se si parla di rifinanziamento di missioni approvate vent'anni fa a questo punto quest'urgenza di certo non c’è.Pag. 11
E però, purtroppo, vediamo molto spesso nei vecchi «decreti missioni» – e spero che non ci sarà più avanti anche con l'approvazione di questa legge quadro – una mancanza di chiarezza, di informazioni a questo Parlamento. Purtroppo, questa è una cosa che noi vediamo molto spesso in Commissione difesa e noi critichiamo moltissimo questa cosa, perché anche di fronte a un decreto, che può tranquillamente tranciare ogni discorso democratico attraverso la posizione della questione di fiducia, però almeno noi chiediamo, come parlamentari, di essere informati su una tematica che non è mainstream come quella della difesa, che non prende le prime pagine dei giornali, ma comunque è importantissima dal punto di vista economico.
La Commissione difesa è una di quelle che muove più soldi. Solo se parliamo di missioni internazionali, parliamo di oltre un miliardo l'anno. Se poi iniziamo a parlare di strumenti d'arma, lì allora superiamo i 5, i 10 miliardi, e arriviamo a 13 miliardi per il progetto F 35, per esempio, oppure ai 5,4 miliardi dell'ultima legge navale, approvata qualche mese fa in Commissione. Quindi, parliamo di cifre ingenti.
Non parliamo di migliaia di euro o di milioni di euro, ma quasi sempre di miliardi; quindi, spero che questa legge quadro possa portare un po’ di chiarezza in una tematica così importante per questo Paese. Un pochino, naturalmente – questo è un po’ nel nostro DNA –, siamo scettici, anche perché abbiamo visto l'ultima prova di chiarezza fornita dal Ministro Pinotti, che è quella del Libro bianco: un Libro bianco un po’ scialbo, molto bianco, praticamente non vi è scritto quasi nulla, se non che l'Aeronautica vola, la Marina naviga e l'Esercito marcia.
Oltre a questo, vi è scritto ben poco. Quindi, proprio per questo motivo, occorre, come dicevo prima – che è quello che noi abbiamo sempre cercato, sin dall'inizio, anche in una tematica come quella della difesa e delle missioni internazionali –, la centralità del Parlamento, perché è a questo punto che si possono correggere gli errori, è qui dentro che si correggono gli errori, come è accaduto anche con questa legge quadro, che, inizialmente, non rispecchiava minimamente la nostra posizione.
Poi, qualche modifica è stata fatta; spero che, sempre nel clima di dialogo che c’è stato in tutto questo iter, altre se ne possano fare. Anzi, alcune sono necessarie, perché alcuni nostri emendamenti saranno anche e semplicemente di mera correzione ortografica, per qualche refuso. Quindi, alcuni dovranno essere approvati, spero, e su altri spero che vi sarà una discussione piuttosto aperta.
Noi abbiamo interesse tuttora ad inserire un nuovo organo, che è quello del Comitato parlamentare di controllo di cui si è già parlato. Per noi è importante, proprio perché può essere un agile strumento per ovviare, magari, alla lentezza o a tutto l'iter che può avvenire in Parlamento, ma che può dare comunque al Parlamento una voce, che può dare comunque quel ruolo di centralità che dicevamo. Quindi, speriamo che tutto questo venga recepito nel Comitato dei nove e che si possa migliorare questo testo.
Alcune precisazioni dovranno ancora essere fatte. Come dicevo prima, alcuni sono emendamenti semplicemente di buonsenso, che vanno a migliorare il testo senza stravolgerlo, a renderlo un pochino più chiaro, e credo che vi sarà una comunione di intenti su tutto questo; quindi, non vi sono problemi su tutto questo.
Come dicevo prima, però, questa legge quadro poteva essere più audace, come fu, ad esempio, con un'altra legge, la n. 185 del 1990, che molto spesso viene tirata in ballo quando si parla di armamenti e di commercio d'armi, in cui l'Italia, in un certo senso, è stata capostipite di una politica sul commercio d'armi. Anche questa poteva essere, in un certo senso, l'opportunità per andare oltre gli altri Paesi dell'Unione europea, che hanno ognuno un iter diversificato, ma in molti vi è sempre questa centralità del Parlamento.
Questo poteva essere l'esempio con cui non solo coprivamo quel gap che vi è stato sempre con la questione della decretazione Pag. 12d'urgenza, ma poteva essere l'occasione giusta per superare, per essere innovatori in questo settore, che non è un settore facile da innovare, me ne rendo ben conto. Mi rendo conto che stiamo parlando anche di aspetti molto, molto sensibili, ma poteva essere l'occasione giusta per evitare errori che sono stati fatti anche tempo fa, perché parliamoci chiaro: con la storia della decretazione d'urgenza, con la storia della mancanza di un dialogo vero e della possibilità di incidere da parte del Parlamento sulle scelte del Governo, molti errori sono stati fatti.
Le stesse missioni che sono state rifinanziate qualche tempo fa, qualche mese fa, in questo Parlamento, noi le definiamo fallimentari: potremmo parlare dell'Afghanistan, potremmo parlare di altre missioni. Naturalmente, ci verrà detto che, grazie a queste missioni, sono stati ricostruiti ospedali e via dicendo, ma, probabilmente, con un approccio diverso, avremmo scoperto prima che quello era l'approccio sbagliato nelle missioni internazionali, perché lo stiamo vedendo anche adesso con questa crisi incredibile che vi è in materia di politica estera.
Guardate che cosa sta accadendo ancora in Siria. Della Siria, praticamente, non si parla più di nulla. Se prima Assad era il nemico numero uno mondiale, ad oggi tutto tace. Siamo arrivati ad un punto in cui la Siria pare sia scomparsa dalle cartine e che tutto vada bene, quando prima, invece, era l'argomento più importante della discussione. Guardate quello che è accaduto in Libia, dopo le missioni che ci sono state un paio di anni fa o quello che sta accadendo tuttora, con addirittura due Governi e tutte le questioni che molto spesso noi tiriamo fuori in questa Aula. Bene, questi sono i frutti di un approccio completamente sbagliato al problema. Sono i frutti di una visione governocentrica su di un aspetto come quello delle missioni internazionali. Una visione che non dava spazio, invece, a dei gruppi, non solo al MoVimento 5 Stelle, ma anche ad altri gruppi, per aprire veramente una seria discussione su che cosa deve essere la politica estera di questo Paese, su che cosa si deve fare in politica estera, perché, parliamoci chiaro, un grande mancanza di questo Paese è sempre stata la politica estera. L'Italia non ha mai brillato in politica estera se non come vassallo di altri potentati, di altri signori, come gli Stati Uniti e, quindi, sempre a rincorrere le decisioni degli altri e mai capofila di una politica differente nelle missioni internazionali. Quello è ciò che noi abbiamo sempre cercato e cerchiamo di portare avanti, anche attraverso questa legge quadro e non solo per aprire – come dicevo – a questi gruppi che hanno una visione diversa rispetto i gruppi di maggioranza, ma anche a quello che c’è fuori. Gli italiani sono un popolo estremamente pacifico, sono un popolo che crede nella pace e che vede in queste missioni internazionali, in molte di queste missioni internazionali, un'ingerenza da parte di uno Stato sovrano verso un altro Stato sovrano. Non crede all'esportazione della democrazia, basta guardare alcune manifestazioni che vengono fatte durante il 25 aprile, le arene di pace strapiene di persone. Quindi, nel DNA dell'italiano c’è il pacifismo, non c’è questa voglia di esportare democrazia e, soprattutto, di esportarla in maniera non chiara. Se noi parlamentari siamo all'oscuro, se a noi parlamentari non arrivano determinate informazioni, figuriamoci che cosa passa attraverso queste mura e arriva ai cittadini. Questo è il grande gap che bisogna colmare. Attraverso questa legge quadro – cerco di essere ottimista, come dicevo prima – molte altre cose potevano essere fatte e non si è avuto il coraggio di farle o si è pensato che non fossero le scelte migliori, ma più apertura c’è in un tema del genere, più si può far capire agli italiani che cosa vuol dire fare politica estera e qual è il modo giusto di fare politica estera. Come abbiamo visto, con i risultati che ci sono stati, la politica estera, da molto tempo a questa parte, è stata una politica estera completamente sbagliata. Lo dicono i risultati, non c’è bisogno di essere di parte, non c’è bisogno di fare politico o di essere all'opposizione. Vediamo il caso della Libia che è il caso più Pag. 13emblematico adesso, che porta con sé moltissimi altri problemi, come quello dell'immigrazione e dei disagi agli stessi cittadini. Quindi, c’è bisogno di una discussione seria, c’è bisogno di una discussione aperta e c’è bisogno di molta più chiarezza su queste tematiche.
Sul merito del provvedimento, a breve, interverrà la mia collega, specificando quali sono i nostri dubbi su diversi articoli e su diversi commi che spero verranno recepiti, poi ne parleremo naturalmente nel Comitato dei nove, per migliorare questa legge, perché tutto è perfettibile – lo sappiamo – e tutto può essere migliorato. Nel clima generale di collaborazione che c’è stato, spero che questo possa avvenire anche in futuro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Scopelliti. Ne ha facoltà.

ROSANNA SCOPELLITI. Grazie Presidente. Il testo unificato delle proposte di legge Atto Camera n. 45 ed abbinate è composto da 26 articoli, da una tabella e reca una serie di disposizioni riguardanti la partecipazione delle Forze armate, delle forze di polizia ad ordinamento militare o civile e dei corpi civili pace alle missioni internazionali.
Le missioni internazionali, in cui l'Italia è da tempo impegnata, costituiscono un elemento fondamentale della nostra politica estera. Infatti la partecipazione dei nostri contingenti militari e civili in teatri di guerra – laddove tra l'altro si sono contraddistinti sempre per la loro professionalità nelle diverse operazioni effettuate ed hanno conferito un grande prestigio al Paese – costituisce un elemento indispensabile per assicurare la pace e la sicurezza in territori critici. Questo tipo di attività postula, evidentemente, una risposta adeguata da parte del legislatore al fine di garantire norme e condizioni certe per quanto riguarda il trattamento economico e normativo dei nostri militari e civili impegnati in tale difficile compito.
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste, infatti, una normativa di carattere generale concernente le missioni internazionali. Pertanto diventa necessario disciplinare i profili concernenti il trattamento economico e normativo del personale impegnato in tali missioni ed i molteplici e specifici profili amministrativi che caratterizzano le missioni stesse e che oggi sono regolati nell'ambito dei provvedimenti legislativi che finanziano le stesse missioni.
Occorre, pertanto, superare la prassi ormai consolidata della reiterazione dei decreti legge, attraverso la quale le norme inerenti al personale delle Forze armate e delle forze di polizia vengono inserite in provvedimenti urgenti, di cui all'articolo 77 della Costituzione. È un'operazione questa che comporta rischi di difetti di coordinamento normativo e di incertezza delle disposizioni applicabili nei diversi teatri operativi. È necessario, pertanto, individuare un corpus normativo di cornice della materia relativa alle missioni internazionali ovvero delle norme concernenti la disciplina del personale, che conferirebbe alla materia quella trasparenza e certezza giuridica necessaria per permettere ai nostri militari di affrontare con la necessaria stabilità e continuità le missioni internazionali.
La legge quadro sulle missioni internazionali rappresenta, quindi, con le sue articolate disposizioni, un importante punto di riferimento per il personale impiegato nelle missioni internazionali e chiarisce, al contempo, il ruolo che il Parlamento dovrà avere nel definire con atti di indirizzo l'impegno del nostro Paese nel difficile compito di portare sicurezza e pace in territori teatro di guerra.
L'articolo 2 della proposta di legge prevede lo svolgimento di un'apposita sessione parlamentare, relativa alle missioni autorizzate, da tenersi entro i1 31 maggio di ciascun anno. Il successivo articolo 3 stabilisce l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di un apposito fondo destinato al finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali, la cui dotazione è prevista annualmente dalla legge di stabilità. Tutto ciò a vantaggio della certezza normativa e della trasparenza Pag. 14nel corso di un'attività concernente le missioni internazionali, un motivo per cui le forze politiche vengono chiamate a discutere in merito alle deliberazioni del Consiglio dei ministri circa la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali. Si tratta di un confronto democratico che, attraverso un'approfondita riflessione, garantirà quella necessaria trasparenza ed una valutazione più approfondita sul ruolo del nostro Paese nel difficile compito di assicurare la pace e la stabilità nelle zone di crisi internazionale.
La suddetta deliberazione del Consiglio dei ministri dovrà essere adottata previa comunicazione al Presidente della Repubblica – eventualmente anche convocando il Consiglio supremo di difesa, ove se ne ravvisi la necessità – e comunicata alle Camere. Queste ne discutono tempestivamente e con appositi atti di indirizzo le autorizzano, eventualmente definendo anche impegni per il Governo, oppure ne negano l'autorizzazione.
Le altre norme contenute nella legge quadro attribuiscono, ad esempio, all'articolo 4, l'attribuzione al personale impegnato nelle missioni internazionali dell'indennità di missione, di cui al regio decreto 3 giugno 1926, n. 941, mentre il successivo articolo 5 dispone che al personale militare delle unità navali impegnate nelle missioni internazionali, nei casi in cui non sia prevista la corresponsione dell'indennità di missione, venga corrisposto il compenso forfettario di impiego e la retribuzione per il lavoro straordinario in deroga.
È da sottolineare, inoltre – ed è un punto, secondo me, anche molto importante –, la possibilità di estendere i benefici già previsti in favore delle vittime del terrorismo anche al personale delle Forze armate che nel corso del servizio prestato presso contingenti impiegati in missioni internazionali sia deceduto o abbia riportato un'invalidità permanente per ferite o lesioni, riportate a seguito di eventi dannosi connessi all'espletamento delle funzioni istituzionali e da rischi specificatamente attinenti all'attività assolta dal contingente.
L'articolo 16 reca, poi, la disciplina penale applicabile alle missioni internazionali, con l'espressa previsione dell'applicabilità del codice penale militare di pace; mentre l'articolo 17 regola i profili contabili correlati all'organizzazione delle missioni, prevedendo per l'amministrazione della difesa la possibile attivazione delle procedure d'urgenza previste dalla vigente normativa per l'acquisizione di beni e servizi, nonché la facoltà di ricorrere ad acquisti e lavori da eseguire in economia.
L'articolo 18 consente, poi, ai comandanti dei contingenti militari che partecipano a missioni umanitarie e internazionali di disporre acquisti o lavori da eseguire in economia, anche in deroga alle disposizioni di contabilità generale dello Stato. Tali interventi devono essere finalizzati a fronteggiare le necessità delle popolazioni locali e non possono superare l'ammontare annuo complessivo stabilito nell'ambito delle risorse di cui al fondo citato. Si tratta, appunto, di norme agevolative necessarie a consentire che il delicato compito del nostro personale possa avvenire nel miglior modo possibile.
Era da molto tempo – lo hanno ricordato anche i colleghi – che si discuteva in Parlamento della necessità di approvare una legge quadro sulle missioni internazionali. Bene, oggi mi sento di dire che il traguardo è vicino e questo riordino di una materia tanto complessa può garantire e garantirà un punto di riferimento stabile per le nostre missioni e per le nostre Forze armate. Registriamo, tra l'altro, con favore l'impegno profuso dal Governo nel seguire con la massima attenzione un provvedimento che è importantissimo per il nostro Paese, un provvedimento che consentirà alle donne ed agli uomini impegnati nelle missioni internazionali di svolgere al meglio un'attività che diviene sempre più essenziale e significativa. La loro attività contribuisce, inoltre, ad aumentare il prestigio internazionale del nostro Paese, chiamato, sempre più spesso, a svolgere un rilevante ruolo nel corso delle crisi Pag. 15internazionali che si stanno verificando in questo delicato e complesso momento storico (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piras. Ne ha facoltà.

MICHELE PIRAS. Grazie, Presidente. La questione delle missioni internazionali in questo Paese è da sempre segnata da un connotato di emergenzialità – non saprei come diversamente definire quello che è successo all'incirca negli ultimi vent'anni –, spesso da ritardo nel rifinanziamento delle missioni. Si sono discussi decreti-legge quando le decisioni erano già prese e le missioni già avviate. È una gestione che è stata finora operata in assenza di norme precise di riferimento, spesso improvvisata, preceduta da una discussione mai minimamente sufficiente a risolvere un tema così delicato, intorno al quale la questione del rispetto dell'articolo 11 della Costituzione ha sempre danzato sopra un margine di fortissima ambiguità.
Ci basterebbe ricordare le molteplici definizioni assunte dalle nostre missioni all'estero nel corso degli ultimi vent'anni, si potrebbe dire dalla prima guerra del Golfo ad oggi, quindi qualcosa di più anche di vent'anni. Solo per stare al passato recente, abbiamo avuto la «missione di pace», la «guerra umanitaria», la «guerra giusta», la «libertà duratura», la «pace armata» – anche recentemente da qualche Ministro che ha preceduto l'attuale alla difesa – eccetera, eccetera, eccetera.
Ambiguo è il rapporto con la Costituzione, ambiguo è il rapporto con il diritto internazionale, che, anch'esso, come la nostra Costituzione, ripudia la guerra e disciplina l'uso della forza attraverso un'indicazione di sostanziale svuotamento dello ius ad bellum degli Stati, a favore di una dimensione sovranazionale – mi verrebbe da dire: «vivaddio !» –, a tutela di tutti, e di iniziative di singoli Stati, che, anche recentemente, non di rado, si sono mostrate anch'esse ambigue rispetto ai reali obiettivi delle iniziative militari, o anche improvvide, come anche recentemente abbiamo potuto sperimentare se solo si pensa a ciò che è accaduto in Libia.
SEL ha presentato un'iniziativa di legge in materia già al principio di questa legislatura. Siamo stati tra i primi, i secondi, di poco, per la precisione. Anche per ciò voglio dire che ritengo positivo che oggi la Camera finalmente inizia a discutere e voglio ascrivere anche l'iniziativa del mio gruppo a questo risultato. Tuttavia, mi verrebbe da dire che la strada dell'inferno è lastricata di buone intenzioni, dal momento che l'esito attuale della discussione – ovviamente attenderemo il dibattito in Aula e il processo emendativo – il testo unificato presentato dai relatori è davvero insoddisfacente rispetto a ciò che ci si aspettava e rispetto a ciò di cui realmente avremmo bisogno per poter addivenire a una determinazione condivisa.
Lo voglio dire senza eccessi di polemica, ma ciò che ci viene qui proposto non è nient'altro che la trascrizione in norma di una serie di consuetudini affermatesi nell'ultimo ventennio. Si potrebbe dire, in altri termini, la legalizzazione delle forzature fin qui compiute. Una consuetudine negativa, va specificato, poiché non tutte le consuetudini lo sono. Una pessima consuetudine che ha rapidamente trasformato il Parlamento in un organo di ratifica delle decisioni assunte altrove, spesso dal Governo, altre volte ad esito di pressioni internazionali.
Anche questa dinamica sta all'origine, a nostro avviso, dei numerosi drammatici errori commessi in questi decenni. Basterebbe evitare di far finta di non vedere che cosa sia oggi l'Iraq dopo la Seconda guerra del Golfo o che cosa sia rimasto della Libia dopo la caduta di Gheddafi. Il terreno sul quale oggi proliferano una miriade di gruppi armati, jihadisti o semplici predoni, l'abbiamo generato noi, incapaci di offrire a quei popoli altra prospettiva di liberazione da feroci dittature se non quella dell'intervento militare, spesso a copertura dei nostri interessi in loco, altre volte realmente inspiegabile ai criteri della più normale razionalità.
Le nostre azioni, in Iraq diretta, in Siria per procura, in Libia direttamente e per procura, hanno lasciato deserti di disperazione laddove esistevano Stati. Ed Pag. 16in quelle situazioni caotiche si genera l'ISIS e si generano quei viaggi della speranza che tanto spesso, troppo spesso, si trasformano in viaggi di morte.
Basterebbero questi esempi, pochi dei tanti che si potrebbero fare, per affermare che la logica dell'uso della forza ci è sfuggita di mano e che troppo spesso ci siamo ritrovati a rifinanziare missioni, anche ultradecennali, come quella in Afghanistan, senza alcun ragionamento di fondo che ne potesse dichiarare un'effettiva plausibilità e senza la possibilità reale di tracciare un bilancio che ne giustificasse il sistematico protratto rifinanziamento nel corso degli anni. E a vedere oggi l'Europa orientale – ne parlava prima l'onorevole Causin – e ad osservare i danni prodotti dall'espansione ad est della NATO, verrebbe da chiedersi quale sia stato il ruolo del nostro Paese e se abbiamo servito le giuste cause oppure concorso anche noi a generare lo stato di conflitto che ci troviamo a registrare anche in questa parte del mondo. Altro che ruolo di deterrenza ! Il ruolo della NATO, dal crollo del muro di Berlino ad oggi, ha pesantemente destabilizzato il quadro europeo orientale, fino alla situazione attuale di guerra guerreggiata fra Russia e Ucraina, uno scenario nel quale è davvero difficile discernere chi ha aggredito chi.
Esistono, del resto, tanti profili e tipologie di missioni internazionali e non solo uno. E basta andare a vedere quelle che impegnano il nostro Paese per notare un'abissale differenza, ad esempio, fra la missione in Libano e quella in Afghanistan. L'abbiamo spesso ripetuto, anche in questa legislatura in quest'Aula in sede di rifinanziamento delle missioni, e io credo che sia a tutti evidente, ma vale la pena ricordarlo nel momento in cui discutiamo una legge quadro sulle missioni internazionali. Quindi, non è irrilevante il modo attraverso il quale si arriva a decidere una missione. E anche qui nella sostanza non si fa null'altro che proseguire per consuetudine. E mentre la Costituzione prescrive che l'intervento del Parlamento debba dispiegarsi attraverso una triplice funzione, quella di indirizzo, quella legislativa e quella di controllo, la procedura autorizzativa contenuta nel testo unico prevede una deliberazione del Consiglio dei ministri, previa comunicazione al Presidente della Repubblica, e, qualora questi lo ritenga necessario, l'eventuale coinvolgimento del Consiglio supremo di difesa. Solo in una seconda istanza viene comunicata la decisione alle Camere – o alla Camera, se andrà in porto la riforma della Costituzione, ma per il momento alle Camere –, che la discutono ed eventualmente l'autorizzano. «Eventualmente» in questo caso non è d'obbligo, anzi io direi che semmai è pro forma, poiché sarebbe davvero singolare la circostanza nella quale un Governo si vedesse respinto un provvedimento già assunto alle Camere dalla sua maggioranza. E l'approvazione dell'Italicum – mi sia consentita la divagazione, ma credo che anche questa sia necessaria rispetto a ciò che ci attende nel futuro – in questo caso chiude il cerchio.
Con questa norma, senza alcuna preventiva discussione ed atto di indirizzo della Camera, a decidere una missione sarà solamente un partito, che ratificherà la decisione di un Governo monocolore, un Governo di un unico partito, il suo Governo, e rientra in quello schema per cui lentamente esautoriamo di ogni prerogativa l'Assemblea legislativa, secondo quell'idea che si ritrova sia nei populismi di destra sia nelle semplificazioni di una parte di quella che ancora si definisce sinistra, in base alla quale questa sede di dibattito è una sede di lentezze, è una sede che non garantisce efficienza, che non garantisce esecutività, che non garantisce prontezza di riflessi di fronte ad una crisi internazionale. Devo dire che debole, anzi, debolissima è anche la funzione di controllo che esercita la Camera, o le Camere, che prevede una relazione del Governo da effettuarsi entro il 31 marzo di ogni anno – il minimo sindacale direi –, invece di un comitato parlamentare di controllo, che sarebbe già qualcosa di effettivamente più importante, con reali e penetranti competenze sulle missioni, in grado di verificare con precisione l'aderenza al diritto internazionale e al dettato costituzionale, in Pag. 17grado di valutare obiettivi, natura, fini, regole di ingaggio, risultati, aderenza agli atti di indirizzo del Parlamento.
Trovo debole ed ambigua anche la formula approvata al comma 2 dell'articolo 1 in relazione all'ambito di applicazione, che, invece di definire con dettaglio il tipo di missione consentito al nostro Paese, si affida ad una formula anch'essa ambigua, anch'essa vaga, che non esclude a priori alcunché, ivi compresa un'azione di guerra, e che non individua l'ONU come esclusiva fonte di legittimazione delle missioni, ma anche – cito – altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene, con tutto ciò che questo implica e con tutto ciò che questo ha implicato nel recente passato in termini del depotenziamento delle Nazioni Unite, a partire dalla dottrina Bush ad oggi. Basta andare a vedere che cosa è successo all'ONU e quanto oggi l'ONU sia autorevole nel contesto internazionale rispetto al passato.
Esprimiamo, dunque, un giudizio fortemente critico – credo che si sia capito, perché i termini ripetuti non lasciano troppa ombra di dubbio – sul testo elaborato dalle Commissioni esteri e difesa congiunte. Riconosciamo e certamente apprezziamo anche noi e ringraziamo per il lavoro fatto dalle Commissioni in sede congiunta. Ringraziamo le presidenze delle Commissioni, ringraziamo i relatori. Riconosciamo l'impegno di questi anche ad ascoltare le ragioni dell'opposizione. Anche questo è un fatto non assolutamente scontato negli ultimi tempi e, ciò nondimeno, proveremo ad attraversare il dibattito in Aula presentando emendamenti sui quali auspichiamo ci possa essere un'apertura da parte della maggioranza. Noi riteniamo tali emendamenti dirimenti – questo va da sé – circa il giudizio finale che saremo chiamati ad esprimere e che, per il momento, ovviamente, al di là che quello che si è detto sul testo unificato che viene presentato in aula, sospendiamo.
Se riscontreremo chiusura, il giudizio di SEL non potrà che essere riconfermato negativo, così come oggi è stato espresso in discussione sulle linee generali. In tal caso, come è lecito ed ovvio, sarà ancora una volta una legge approvata a maggioranza. È vero che ci siamo abituati, è vero che la democrazia è questo, non si stanca di ripeterlo il nostro Presidente del Consiglio: è la maggioranza che decide. In questo noi siamo d'accordo: solitamente non sono le minoranze a decidere in nessun sistema democratico. È altrettanto vero tuttavia che la delicatezza di una materia come questa meriterebbe il massimo del consenso possibile, perché stiamo parlando della politica estera del nostro Paese. E per quanto io possa essere pessimista circa l'esito finale, mi auguro davvero che per una volta questa maggioranza possa rendersi conto che alcune norme non possono che essere figlie di un largo compromesso.
In caso diverso rischieremo delle frammentazioni, che su questo tema già ovviamente esistono, perché abbiamo diverse prospettive di quella che dovrebbe essere la politica estera, la politica di difesa di questo Paese, ma è un tema talmente delicato che dispone tutti quanti all'apertura. Sarebbe ben strano che una proposta di legge si chiudesse all'uscita di questo dibattito così come c’è entrata.
Quindi, nonostante il mio pessimismo, attenderemmo in maniera fiduciosa, condurremo questa battaglia parlamentare attraverso gli emendamenti e ci auguriamo che ci siano orecchie da parte del Governo e da parte della maggioranza per ascoltarci (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Corda. Ne ha facoltà.

EMANUELA CORDA. Grazie, Presidente. Dall'inizio di questa legislatura, abbiamo assistito a un utilizzo smodato della decretazione d'urgenza ed è anche per questo che puntualmente, dinnanzi a tali provvedimenti, siamo costretti a presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità. Una pratica che veniva contestata con forza a Berlusconi durante i suoi Governi e che oggi viene utilizzata dai suoi stessi oppositori senza un briciolo di scrupolo, a testimonianza del fatto che tra certi apparati politici e Pag. 18partitici, a prescindere dall'area politica, non vi sono sostanziali differenze.
Oggi ci troviamo ad affrontare la delicata materia delle missioni internazionali e non ci sembra vero che, dopo decenni di missioni approvate dal Governo con decreto-legge, finalmente il Parlamento sia chiamato a mettere ordine sulla materia e a esercitare le prerogative che, in funzione di politica estera e di difesa, la Costituzione le assegna. Oggi, finalmente, arriva in quest'Aula la tanto attesa «legge quadro», una legge che noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo chiesto a gran voce dal primo giorno che abbiamo affrontato il tema delle missioni e ci siamo resi conto di quanto fosse assurdo che non vi fosse una normativa adeguata in materia.
Con questo provvedimento tutti noi auspichiamo un rapporto diverso tra il Governo e il Parlamento. Vogliamo sia restituito a quest'ultimo l'esercizio della sovranità popolare, nonché di trasparenza delle missioni stesse, oltre alla possibilità per le Camere di votare missione per missione, evitando, come deplorevolmente avvenuto fino a oggi, di obbligare i parlamentari a un inaccettabile «prendere tutto il pacchetto missioni o lasciare».
Vogliamo dire con chiarezza che il testo di legge quadro uscito dalle Commissioni congiunte difesa ed esteri rappresenta sì un passo avanti, ma è ancora, in alcune parti, largamente insufficiente a restituire pienamente al Parlamento le sue prerogative di indirizzo e controllo.
Tuttavia, considerando già miracoloso il fatto che si sia riusciti a portare in Aula questa legge in tempi ragionevolmente consoni, vogliamo porci in maniera costruttiva, nella speranza che tutto questo lavoro non sia vanificato dalle solite manovre di palazzo. È con spirito positivo che, dunque, ci apprestiamo ad affrontare questa discussione, ben consapevoli di come la materia sia gravida di rischi e implicazioni. Non abbiamo, infatti, dimenticato le insidie e la fatica che abbiamo profuso, anche insieme alle altre opposizioni, per trasformare un pessimo testo di legge, perché questo va detto e ribadito – quello inizialmente proposto dai relatori come testo unificato –, in un testo che fortunatamente, anche in virtù delle audizioni fatte in Commissioni difesa ed esteri e della nostra fermezza nel non accettare compromessi di comodo, è giunto oggi all'esame dell'Aula assai migliorato.
Come MoVimento 5 Stelle, considerato che ci riteniamo cittadini prestati a tempo determinato in questo importante ruolo politico e istituzionale, non vogliamo appuntarci medagliette, ma di certo rivendichiamo con orgoglio il lavoro faticoso e puntuale che abbiamo svolto.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Corda. Presidente... Grazie.

EMANUELA CORDA. Tutto ciò, va detto, è avvenuto anche in sintonia con i colleghi di altri gruppi politici. Perché il testo avesse un suo equilibrio occorreva fare uno sforzo collettivo e tener conto di innumerevoli fattori. Il quadro internazionale, caratterizzato da profonda instabilità, conflitti, pressioni migratorie senza precedenti, parti di umanità sempre più consistenti in fuga da olocausti ambientali o sanitari, imponeva di agire con prontezza e si palesava ormai l'improcrastinabile necessità che, depositari della sovranità popolare, noi parlamentari, appunto, smettessimo di essere ridotti a semplici ratificatori di decisioni prese in altre sedi. L'uso dei «decreti missione omnibus» ha decisamente sbilanciato negli anni l'equilibrio tra potere legislativo e potere esecutivo a favore del Governo, mettendoci sovente nella condizione di votare cose giuste, come la missione UNIFIL in Libano, insieme a cose ingiuste, come le missioni di aggressione all'Afghanistan e all'Iraq, che non possono essere collocate nella definizione più pura di missione internazionale nel rispetto dei valori del dettato Costituzionale e del diritto internazionale. Basti pensare alla morte e alla devastazione che tali interventi hanno portato a quei popoli. Per non parlare dell'instabilità e del terrorismo, che si sono rafforzati nel mondo, trovando nuovi spunti e folli appigli ideologici e strumentali.Pag. 19
Questo Paese e le sue istituzioni sono annichilite in questo squilibrio tra poteri, appunto.
Ecco perché è fondamentale trovare un momento di convergenza legislativa all'altezza di una Repubblica democratica, che dovrebbe fare del ripudio della guerra l'architrave della propria politica estera e il proprio biglietto da visita nella relazione con gli altri popoli.
Entrando nel merito del provvedimento, se valutiamo il fatto che, in base all'articolo 2, non si procederà più a varare missioni per legge ma basteranno atti d'indirizzo (risoluzioni e mozioni, per l'appunto) approvati dalle Camere, andrebbero più opportunamente trovate le compensazioni necessarie a favore del Parlamento. La sessione parlamentare, da farsi entro il 31 marzo di ogni anno, va senza dubbio in questa direzione, ma noi la reputiamo insufficiente ad ottenere un vero e proprio riequilibrio. Infatti, avanziamo due emendamenti che tendono a porre rimedio a questa carenza del testo.
Il primo, all'articolo 2, specifica chiaramente che è l'Assemblea che vota le risoluzioni e le mozioni. L'attuale formulazione del testo manifesta una certa ambiguità, chiamando in causa genericamente le Camere (anche le Commissioni permanenti rappresentano le Camere). E dunque, senza l'approvazione di tale modifica, si rischierebbe il solito esautoramento dell'Assemblea, cosa che, a questo punto, diventerebbe paradossale, visto che siamo qui a chiedere che le nostre prerogative parlamentari siano rispettate, in ossequio ai principi democratici e al dettato Costituzionale di questo Paese, e lo stiamo facendo per approdare ad una legge condivisa e certa su una materia assai complessa.
La seconda modifica – altrettanto importante – che chiediamo è l'istituzione del Comitato parlamentare di controllo sulle missioni internazionali, in modo da poter monitorare costantemente l'evolversi della situazione sul terreno. Questa soluzione era stata ampiamente discussa anche in sede di comitato ristretto delle Commissioni congiunte affari esteri e difesa, ma nella stesura del testo unificato si è persa nel nulla e non se ne capisce il motivo. I relatori l'hanno bypassata. Ancora oggi ci domandiamo il perché, visto che sembrava un'ipotesi di buon senso anche a molti colleghi.
Perché, dunque, chiediamo che sia istituito tale organo di garanzia e controllo ? Lo vogliamo anche e soprattutto a tutela dei nostri militari, come atto di vicinanza del Paese nei loro riguardi, affinché non siano più lasciati soli, come è avvenuto per la vergognosa vicenda dei marò. Questo Comitato, che potrebbe agire anche con sedute segrete, come fa il Copasir, rappresenterebbe il vero salto di qualità di questa riforma, risolvendo in modo importante quei processi di marginalizzazione del Parlamento, per correggere i quali i proponenti hanno avanzato le proposte di legge in esame. Ci pare importante, dunque – ed avanzeremo emendamenti in questa direzione –, che l'Italia, il suo territorio, i porti e gli aeroporti, le acque nazionali e il nostro spazio aereo non siano più ostaggio o terreno di partenza d'iniziative unilaterali di altri Paesi attraverso un uso scorretto delle basi militari presenti sulla nostra penisola. In questo, consentitemi una piccola parentesi, perché, provenendo da una regione, la Sardegna, il cui territorio è gravato dalle servitù militari per ben il 65 per cento a livello nazionale e nella quale sono presenti presidi logistici strategici, come la base militare di Decimomannu, oltre a quelli che sono tra i maggiori poligoni europei per estensione e rilevanza addestrativa, posso segnalare questo utilizzo di comodo dei nostri territori, spesso e volentieri a supporto di alcune missioni, come quella in Libia, per esempio.
Spesso abbiamo assistito ad iniziative di vera e propria guerra: i bombardamenti in Bosnia, su Belgrado, su Tripoli, avvenuti addirittura prima che l'Italia assumesse una posizione. Tutto ciò dimostra come la collocazione geostrategica del nostro Paese non possa essere ridotta a rampa di lancio, a retrovia o a portaerei di chi vi ha accesso. Il transito di armamento e di truppe di altri Paesi destinati al fronte, la Pag. 20trasformazione dell'Italia in una grande portaerei dalla quale decollavano appunto i caccia alleati con il loro carico di morte, ha spesso finito per trascinare l'Italia in situazioni di guerra aperta verso le quali non aveva nessun interesse concreto.
Troviamo estremamente ipocrita mascherarsi dietro la giustificazione del supporto meramente logistico al fine di avallare vere e proprie azioni belliche nelle quali ci ritroviamo, nostro malgrado, protagonisti. Il caso recente della Libia è eclatante: di fronte alla resistenza del Governo Berlusconi all'operazione militare contro Gheddafi, dalle basi USA in Italia si levavano in volo e salpavano dai nostri porti caccia e navi che partecipavano attivamente all'aggressione di una nazione sovrana.
L'extraterritorialità di queste basi, formalmente negata dal Governo ma che rappresenta un dato di fatto (si pensi ai piloti USA responsabili dell'eccidio del Cermis, resi immuni, addirittura, dal fatto di essere di stanza ad Aviano e, per questa via, sottratti alla giustizia italiana, una vergogna assoluta, lo ribadisco) offre campo libero a questo genere di situazioni.
Ecco perché chiediamo che ogni atto bellico che parta dal nostro territorio, spazio aereo o mare debba essere approvato dal Governo ed autorizzato dal Parlamento secondo le procedure stabilite dalla presente legge. Vorremmo ricordare che la base del Muos di Niscemi, i droni armati dispiegati a Sigonella, le bombe nucleari a Ghedi ed Aviano, sfuggono totalmente al nostro controllo, nonostante possano potenzialmente trascinare l'Italia in una guerra di dimensioni tali da farci tremare i polsi, senza contare che il nostro Paese ha anche sottoscritto un trattato di non proliferazione nucleare e non dovrebbe neppure detenere tale genere di ordigni nel proprio territorio. È possibile tollerare ancora questa situazione ? Non possiamo essere portatori di pace nelle missioni in cui partecipiamo e consentire che il nostro territorio diventi un arco di guerra proteso minacciosamente nel Mediterraneo.
Chiediamo inoltre che sia concessa solamente per legge la possibilità di costituire basi nazionali italiane fuori dai territori dell'Alleanza atlantica. Intanto, perché dovremmo valutare – e solo il Parlamento può farlo – se il chiedere e il ricevere il consenso per costruire tali basi militari all'estero sia compatibile con la parte seconda dell'articolo 11 della Costituzione, ovvero se il chiederle o ottenerle sia fatto «in condizioni di parità con gli altri Stati». Scusate, consentiteci a tal proposito di dubitare, che vi sia una qualche parità tra la Repubblica italiana e quella di Gibuti, ovvero, tra una potenza che siede nel G8, tra i grandi della terra per l'appunto, e una piccola Repubblica il cui Parlamento è eletto, per gli osservatori internazionali, con la truffa e la frode elettorale, capovolgendo letteralmente il risultato delle urne.
In più, vorremmo ricordare che il Parlamento italiano è stato tenuto totalmente all'oscuro degli accordi bilaterali sottoscritti. Abbiamo appreso dell'esistenza della base di Gibuti solo perché inserita in un decreto missioni. Noi siamo per principio contrari a chiedere e concedere basi militari: vi ricordo che lo stesso De Gasperi in sede di discussione dell'ingresso dell'Italia nella NATO disse in quest'aula «che non è da Paese libero e sovrano richiedere o concedere basi militari». Ma se proprio volete farle queste basi militari il Governo ha l'obbligo di deliberarle per legge e il Parlamento di approvarle o respingerle: non si può più fare politica estera nell'ombra, tenendo all'oscuro le Camere. Queste sono solo alcune delle criticità alle quali vorremmo porre rimedio in questo testo. Anche altre parti sono migliorabili e ci riserviamo d'intervenire in sede di discussione degli emendamenti per indicare soluzioni razionali e auspichiamo dunque siano condivise anche dalla maggioranza.
Quello che ci preme invece ribadire in questa fase è che sulle missioni internazionali è bene che il Governo faccia un bilancio davanti al Paese e al Parlamento. Quello che infatti è più umiliante – per chi dovrebbe esercitare la sovranità popolare, Pag. 21come noi deputati – è il continuo perseverare nell'errore dell'interventismo militare fuori da ogni contesto di legalità internazionale e dei principi della nostra Costituzione. Qualcuno ha pagato per la fallimentare operazione Restore Hope fatta negli anni Novanta in Somalia ? Non credo. Nessuno, appunto, eppure non solo non abbiamo riportato speranza in questo paese, ma da quel momento in poi, grazie a quella incauta missione neocoloniale fatta insieme agli Stati Uniti, il Corno d'Africa è andato alla deriva, diventando territorio di conquista dei peggiori assassini. Vorrei ricordare che in quel teatro di guerra abbiamo perso due coraggiosi giornalisti come Miran Hrovatin e Ilaria Alpi, assassinati perché venuti a conoscenza di cose indicibili che hanno coinvolto anche parte degli operatori della nostra missione internazionale.
Qualcuno ha pagato per le guerre in Iraq e per avere ridotto la culla della civiltà in un crogiuolo di macerie, con generazioni di vedove, orfani, mutilati, e con decine di migliaia di morti ? No, non ci risulta. E allora a che serve il Parlamento ? Le vittime del terrorismo sono quintuplicate dagli attacchi dell'11 settembre 2001 ad oggi. Lo stesso Presidente Barack Obama ha recentemente dichiarato...

PRESIDENTE. Onorevole Corda, la invito a concludere.

EMANUELA CORDA. ... come «l'Isis è il diretto risultato di Al Qaeda in Iraq che è cresciuta con l'invasione degli Stati Uniti, esempio di una conseguenza inattesa. Per questo – ha ammonito il presidente Obama – dovremmo prendere la mira prima di sparare».
Vado a concludere. Alcune missioni militari hanno esteso, come una metastasi, il fondamentalismo e le violenze settarie, le stesse che, a parole, dicevamo di voler combattere, obbligando decine di migliaia di persone in Siria – parliamo di 2 milioni e mezzo di profughi – ad abbandonare le proprie case e a fuggire altrove. La stessa pressione migratoria di cui registriamo il triste tributo di sangue nel mar Mediterraneo è figlia diretta di quelle scelte di guerra.
Per questo vorremmo cogliere l'occasione di questa legge quadro perché essa aiuti il Governo e il Parlamento a cambiare strada in merito alla nostra fallimentare politica estera. Occorre dare più poteri di controllo al Parlamento. Occorre farlo subito, perché, quando si sbaglia sulla pelle altrui, non è più possibile alcun rimedio.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 45-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Il relatore Causin avrebbe terminato il tempo, ma se ha bisogno di un minuto... No, bene. Il Governo ? Prego, sottosegretario Rossi.

DOMENICO ROSSI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, vorrei ringraziare a nome del Governo tutti coloro che sono intervenuti perché, nella realtà, in tutti gli interventi è stata riconosciuta la partecipazione attiva da parte del Governo alla stesura e all'individuazione del testo unificato. Credo sia un testo importante, che sia scaturito da un colloquio e da un dibattito molto preciso e puntuale; è un testo che contempera le esigenze del Governo e del Parlamento e che fornisce delle risposte precise. È evidente che lo spirito di collaborazione che abbiamo avuto all'interno delle Commissioni non può che essere lo stesso dell'Aula, fermo restando, peraltro, che mi sembra di riconoscere negli emendamenti preannunciati oggetti di discussione che sono già stati affrontati nelle Commissioni e su cui pertanto il Governo, di fatto, già si è espresso. Fermo restando che il Parlamento e la Camera sono sovrani, vorrei tuttavia richiamare il punto perché mi sembra che stiamo parlando di argomenti che già sono stati affrontati nel testo. Non Pag. 22per nota polemica ma per precisione, per quanto riguarda due osservazioni, sia dell'onorevole Frusone sia dell'onorevole Corda, credo che liquidare il Libro bianco, definendolo scialbo sia onestamente un giudizio direi troppo severo, tenuto conto che, nell'ambito del Libro bianco, evidentemente invece c’è una definizione ben puntuale del quadro geo-strategico e delle possibili linee evolutive dello stesso, indicando, anche in maniera abbastanza puntuale, un orientamento diverso da parte della difesa che va ad individuare come aree di maggiore interesse quelle che sono all'interno o attorno al Mediterraneo, tenuto conto delle dinamiche strategiche che, in questo momento, a maggior ragione investono non solo l'Italia ma anche l'Europa. La seconda osservazione, sempre per spirito di precisione e non ovviamente per spirito di contrasto, è nel momento in cui l'onorevole Corda parla di interventismo militare al di fuori della legalità internazionale ma è evidente che tutti gli interventi da parte delle Forze armate italiane sono avvenuti a seguito di indicazione governativa o parlamentare e sempre nell'ambito di interventi maturati all'interno di soluzioni ONU oppure della Nato oppure europee. In questo senso, pertanto, non si può parlare di interventismo militare ma di interventi effettuati su base assolutamente legittima in contesti di natura internazionale.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Capelli, Piras, Vargiu ed altri n. 1-00697, Nicola Bianchi ed altri n. 1-00850 e Nizzi e Palese n. 1-00851 concernenti interventi a favore della Sardegna (ore 16,32).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Capelli, Piras, Vargiu ed altri n. 1-00697, Nicola Bianchi ed altri n. 1-00850 e Nizzi e Palese n. 1-00851 concernenti interventi a favore della Sardegna (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Mura ed altri n. 1-00854 e Piso e Dorina Bianchi n. 1-00855 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Capelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00697. Ne ha facoltà.

ROBERTO CAPELLI. Signor Presidente, quando nel dicembre del 2014 ho pensato di preparare una mozione che riguardasse la Sardegna, mi sono fatto una domanda: perché presentare una mozione sulla Sardegna ? Perché non presentare singole mozioni sui trasporti, sull'Alcoa, su tutti i drammi che, in questo momento, la Sardegna vive ? Perché, dopo una rapida riflessione, ho pensato che tutti i problemi di una nazione sono concentrati in unica regione, ossia la Sardegna.
Presidente, in Sardegna c’è il problema dell'Ilva e delle bonifiche; abbiamo un sistema industriale che ha, in maniera considerevole, compromesso l'ambiente da nord a sud, da est a ovest della Sardegna, con il problema – per quanto riguarda quella regione, con 445 mila ettari di inquinamento, ossia il maggior tasso di inquinamento d'Italia – appunto dell'Ilva.
Perché non presentare una mozione sulle bonifiche ? Per lo stesso motivo, perché ne abbiamo tante, quindi non c’è soltanto un sito interessato dalle bonifiche. E una mozione sull'Alitalia ? Perché abbiamo Meridiana e così via. Si tratta di tutta una serie di problemi che investono Pag. 23l'intero Paese e sono concentrati in una regione, in una regione peraltro insulare, cioè che non ha modo di avere termini di compensazione con regioni limitrofe.
Quindi, ho pensato di stendere una mozione per richiamare l'interesse e l'attenzione del Governo su una realtà a volte troppo distante dagli occhi del Governo e dagli occhi dei Governi, quindi non una mozione «contro», non una mozione di lagnanze, ma una mozione «per», una mozione per richiamare l'attenzione; non un elenco di doglianze, ma semplicemente ragioniamo insieme, nel Parlamento italiano, con il Governo su quale sia il terreno da recuperare rispetto a tanto tempo perso nei confronti della Sardegna. Quindi, per me, nel mio pensiero, la presentazione di questa mozione configurava anche il momento di unità, al di là dei partiti, degli steccati e delle posizioni. Ecco perché, fin da adesso, Presidente, le dico che vorrei sottoscrivere tutte le altre mozioni presentate, riservandomi poi su alcune di esprimere il mio giudizio sul voto, o chiedendo la votazione per parti separate.
Comunque, voglio rappresentare quel senso di unità che ricerco, perché i rappresentanti istituzionali della Sardegna, insieme, tutti insieme, possano prestare il loro servizio per la soluzione, se fosse possibile, anche solo di una parte di tutti questi immensi problemi che investono la mia regione.
Allora, oggi ci ritroviamo a discutere questa mozione, che ha già passato l'esame del Senato la scorsa settimana, con il gradimento del Governo e di tutta l'Aula del Senato ma il momento necessariamente ci porta a discutere e a riproporre all'intera Camera dei deputati l'attenzione su questa regione.
Quindi, io suddividerò il mio intervento in due momenti: il momento della discussione sulle linee generali, che è questo che stiamo vivendo adesso, e quello di domani, delle dichiarazioni di voto. Perché lo vorrei suddividere in due momenti ? Perché, a mio avviso, per qualsiasi esposizione di tematiche, problemi o richiesta di attenzione, vanno distinti il momento dei diritti dal momento dei doveri. Quindi, vorrei partire non dai diritti, presentati nella mozione, ma dai doveri che ha assunto e a cui ha risposto la Sardegna nel tempo, e quindi non parlare di quanto la Sardegna sia ultima in questo Paese, ma di quanto la Sardegna sia stata e sia ancora prima in tanti passaggi della nostra nazione.
Alcuni esempi: la Sardegna è la prima che ha ottemperato alla riforma dei cosiddetti costi della politica; ha ridotto per prima il numero dei consiglieri regionali in Italia; ha ridotto per prima, recependo la normativa nazionale, il numero dei consiglieri comunali e degli assessori nei rispettivi comuni della Sardegna; è la prima che ha ridotto i vitalizi dei consiglieri regionali; è la prima, insieme al Friuli Venezia Giulia, che ha accettato e sottoscritto il bilancio armonizzato, che la distingue anche per il Patto di stabilità dal 1 gennaio 2015; è la prima nella solidarietà, che ha recepito la legge n. 162 e stanzia oggi 105 milioni di euro per chi è ultimo o per chi ha più bisogno.
Basti pensare che è più di due terzi di quanto stanzia il bilancio nazionale per la non autosufficienza. È la prima che partecipa, nell'interesse nazionale, dando il proprio apporto e mettendo a disposizione del nostro Paese le basi militari su cui torneremo, perché sono argomenti che ci classificano come prima, ma saranno anche argomenti della seconda parte, quella delle doglianze, se così vogliamo sintetizzarla.
È la prima che recepisce i detenuti del 41-bis in Italia, e anche questo è un dovere, ma eccessivo, e lo rivedremo nella seconda parte. È la prima che ha attuato un piano paesaggistico a tutela dell'ambiente, discutibile per certi versi e per certi versi da me discusso, ma è la prima che ha pensato alla tutela dell'ambiente nel nostro Paese. E così potremmo continuare l'elenco.
Altro pensiero: perché non presentare una mozione o discutere della Sardegna quando abbiamo discusso in quest'Aula del Mezzogiorno ? Inoltre, un piccolo appunto: questa è una mozione presentata Pag. 24nel gennaio 2015 e la stiamo discutendo oggi, maggio 2015, diversamente da tante altre. Abbiamo discusso quelle del Mezzogiorno, abbiamo discusso quelle dell'Ilva di Taranto, giustamente, abbiamo discusso delle alluvioni dell'Emilia Romagna, del Veneto e di quant'altro. Abbiamo discusso immediatamente di tutti questi argomenti, ma la Sardegna può attendere e sono cinque mesi che aspettavamo di discutere, appunto, delle tematiche riguardanti la Sardegna. Fortunatamente, in questo periodo, in questo tempo, si sono sicuramente aggiunte, con motivazione e con valori diversi, anche le altre mozioni che, ribadisco, hanno il vantaggio di parlare finalmente di Sardegna, anche se tra pochi intimi e sardi in quest'Aula, e delle problematiche che riguardano la mia isola e il mio territorio (ma è il territorio nostro, dell'Italia).
Quindi, perché partire dai diritti ? Perché dobbiamo dire che noi, parafrasando Kennedy in qualche modo, abbiamo pensato di cosa dobbiamo fare noi per il nostro Paese prima di pensare che cosa il Paese può fare per noi. Ebbene, noi abbiamo fatto tutto questo e possiamo continuare, nella storia della nostra isola, parlando del rapporto Stato-regione su tutti i contributi dati. E, allora, iniziamo il nostro viaggio, che è la seconda parte del mio intervento, che concluderò domani ovviamente per limiti di tempo. Quindi, ho pensato di invitare i colleghi a salire a bordo di un viaggio che inizia dal nord della nostra isola per concludersi poi al sud dell'isola e insieme fare questo percorso, magari indicando anche posti bellissimi, anche se è abbastanza normale parlare di ambiente e di bellezze naturali quando parliamo della Sardegna.
E, quindi, dobbiamo partire da Genova, magari per imbarcarci e andare a Porto Torres. È un viaggio di una notte, generalmente, e ci fa sbarcare in uno dei porti del Mediterraneo che si affaccia sulla costa nord-occidentale della Sardegna. Sbarchiamo in un porto che non possiamo definire moderno. Sbarchiamo in un porto che non ha i servizi. Il porto, infatti, nasce come industriale e poi per i passeggeri. È un porto che ha servito la chimica di quel territorio. Ma, soprattutto basiamo la nostra attenzione su che cosa ? Sul prezzo, sul costo di quel trasporto e, quindi, iniziamo con uno dei problemi atavici che distingue, appunto, l'isola dal cosiddetto «continente», come noi lo chiamiamo: arrivare in Sardegna (e abbiamo scelto di arrivare con il monopolio dei trasporti della Tirrenia in Sardegna). Prezzo medio per una famiglia è di 700-800 euro per arrivare. Quindi, ovviamente non più conveniente per una vacanza turistica, per un tempo da dedicare con la famiglia alle bellezze naturali di quell'isola.
E mi fermo qui, perché ho esaurito il mio tempo, ma domani vi porterò dalla costa occidentale alla costa orientale, dal nord al sud e vi indicherò, gradatamente, tutte le problematiche di quest'isola, che vuole uscire dalla crisi. Ce la farà, e ce la farà soltanto se anche il Paese, l'Italia, e questo Parlamento sapranno prestare ascolto e trovare le soluzioni insieme a noi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Bianchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00850. Ne ha facoltà.

NICOLA BIANCHI. Grazie signor Presidente, Governo, colleghi, questa mozione ha cercato di racchiudere le numerosissime criticità di cui soffre la Sardegna in circa 23 precisi impegni. Analizzando i problemi nella mia terra e dei miei corregionali, mi sono reso conto ancor di più di quanto la Sardegna abbia bisogno di stare al centro del palco. Se oggi esiste e perdura una questione Sardegna è perché chi ha governato negli ultimi decenni, sia a livello regionale sia a livello nazionale, non ha mai prestato la giusta e dovuta attenzione alla criticità che nasceva e cresceva nel territorio e non è stato in grado di adottare iniziative concrete nel medio e lungo termine.
La politica è stata cieca per anni di fronte alle difficoltà legate alla Sardegna e ad oggi cogliamo tutti i frutti amari di tanta indifferenza. I dati rilevati per Pag. 25quanto riguarda la Sardegna nel rapporto Svimez del 2014 sull'economia del Mezzogiorno sono impressionanti: nel 2013, nell'isola, si è registrato un calo del PIL pari al 4,4 per cento rispetto all'anno precedente, e già soltanto questo dato dovrebbe far riflettere.
Più del 54 per cento dei giovani sotto i 24 anni è senza lavoro, il tasso di disoccupazione ufficiale è pari al 17,5 per cento, più della metà delle famiglie sarde vive con un solo stipendio e la percentuale di famiglie povere sul totale delle famiglie, la povertà relativa, nel 2013 è pari al 24,8 per cento. Ed è anche per questo che, come gruppo politico, chiediamo subito l'inserimento del reddito di cittadinanza.
Le decine di crisi aziendali hanno messo in ginocchio l'intera economia del territorio e hanno lasciato a casa un numero immenso di lavoratori. Penso all'Alcoa, all'ex Ila, alla Keller, penso a Meridiana, i cui lavoratori rischiano di perdere il lavoro. Ricordiamo che, soltanto pochi mesi fa, circa 300 lavoratori del gruppo sono stati costretti a scegliere l'esodo incentivato. Parliamo della scuola, un argomento caro a questo Governo; a parole, però. Per effetto di un'assurda norma, il comma 4 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, sono stati soppressi 1.700 istituti scolastici nella regione e sono state create scuole enormi e difficili da gestire. Ma non solo, le famiglie hanno dovuto affrontare innumerevoli disagi per portare i bambini a scuola anche a causa di un sistema di trasporti indecente e di una viabilità problematica in un territorio morfologicamente molto particolare. La norma che ha previsto l'accorpamento delle scuole medio-piccole in istituti comprensivi è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. Vorrei ricordare che un Paese che non investe sulla scuola, sull'istruzione e sulla ricerca è un Paese senza futuro.
La grossa crisi concatenata ai disastri familiari spinge i ragazzi ad abbandonare gli studi, a non esserne più motivati. Infatti, i numeri sull'abbandono scolastico fanno venire i brividi: secondo il dossier pubblicato nel 2014 dalla rivista Tuttoscuola sulla dispersione scolastica, la regione italiana che nel quinquennio 2009-2014 ha in assoluto perso più studenti della scuola secondaria superiore è stata proprio la Sardegna: 6.903 allievi, pari al 36,2 per cento.
Per quanto riguarda il sistema dei trasporti, in Sardegna è fermo all'anteguerra. La continuità territoriale, non avendo a tutt'oggi una base normativa adeguata, risulta inespressa, comportando un isolamento eccessivo. Complessivamente, i cittadini sardi vivono una condizione di svantaggio inammissibile rispetto agli abitanti della penisola in termini di erogazione di servizi e di potenzialità di sviluppo economico. Questa condizione è aggravata dalla totale inadeguatezza dei trasporti e della viabilità e da una forte carenza infrastrutturale, che ostacola la circolazione delle merci e delle persone.
Non dimentichiamo un altro fattore rilevante: i difficili e costosi collegamenti da e per la Sardegna rappresentano un importante freno anche per lo sviluppo turistico della regione, in particolare nel periodo estivo. In passato si dava l'opportunità a famiglie e giovani di vivere adeguatamente anche durante il periodo invernale; ora, nonostante si abbia a disposizione un immenso patrimonio naturalistico e artistico, queste possibilità sono sempre meno.
I trasporti all'interno dell'isola appaiono a loro volta insufficienti e non idonei. L'utilizzo dei trasporti su rotaia è totalmente inadeguato. Non meno critica è la situazione che riguarda le pericolose strade statali per le quali si aspettano, da tempo, interventi di ammodernamento e di messa in sicurezza. Di morti a causa delle pericolose strade della Sardegna l'isola ne ha visti fin troppi. Anche a tal proposito, non si può consentire l'assoluta disattenzione nei confronti della Sardegna da parte di uno Stato centrale che preferisce spendere miliardi di euro in infrastrutture inutili e dannose, a scapito di opere che sono necessarie e urgenti e richiedono, senza dubbio, l'utilizzo di minori risorse.
Le problematiche, purtroppo, sono davvero vaste: capitolo ambiente, rischio idrogeologico, Pag. 26inquinamento, alluvioni, incendi, sono argomenti degni di essere approfonditi, ma il tempo a mia disposizione in questa sede è limitato e non basterebbe una giornata per analizzare dettagliatamente tutte queste tematiche.
Ad ogni modo, lo Stato dovrebbe curarsi, con ogni mezzo, del proprio territorio, dovrebbe fare di tutto per tutelarlo, dovrebbe adottare iniziative incisive che guardano il futuro. Il Governo dovrebbe prendere impegni concreti e adottare iniziative mirate per la salvaguardia dell'ambiente.
La regione aspetta le bonifiche da anni, invece è tutto fermo. La regione Sardegna piange centinaia di morti e conta un numero impressionate di malati di cancro per inquinamento ambientale, ma nonostante tutto si fa finta che niente stia accadendo. Vado anche a segnalare il taglio del Fondo unico sanitario per la regione Sardegna (si parla di circa 277 milioni di euro) e questa è un'altra criticità.
L'industrializzazione e i processi di destrutturazione produttiva di aree di inestimabile bellezza, come il Sulcis-Iglesiente, hanno compromesso gli equilibri naturali, provocando pesanti danni all'ecosistema naturale e alla salute psico-fisica della popolazione. Destano preoccupazioni i danni ambientali che potrebbero derivare dagli sversamenti di olio combustibile nei terreni sottostanti i serbatoi di alimentazione dei gruppi 1 e 2 della centrale termoelettrica della E.ON di Fiume Santo, i cui dirigenti si sono trovati recentemente al centro delle cronache giudiziarie.
Un impegno importantissimo della mozione riguarda il decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, il famoso «sblocca Italia». Chiediamo al Governo di non concedere alcuna autorizzazione per trivellazioni per la ricerca di giacimenti di gas naturale nel territorio sardo, visti gli altissimi costi già ampiamente calcolati per la salute dei cittadini, per l'ambiente e per l'economia che potrebbero derivare dalla realizzazione di tali progetti, come il Progetto Eleonora nella zona di Arborea, considerato il passaggio allo Stato delle competenze per le valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale. Ribadiamo il nostro «no» alle trivelle, anche per quanto riguarda la Sardegna.
Quanto alle alluvioni e agli incendi, i Governi annunciano ma non fanno, come sempre. Dove sono i fondi promessi ai cittadini sardi subito dopo l'alluvione del novembre 2013 ? I cittadini stanno ancora aspettando. E per quale motivo sul nubifragio che ha colpito la Romangia (territorio che comprende i comuni di Sennori e Sorso) quasi un anno fa, nessun rappresentante dell'Esecutivo ha mai proferito parola ? E le risorse derivanti dalla vendita degli aerei di Stato che fine hanno fatto ?
Chiediamo, inoltre, tra gli altri, un impegno al Governo per la riduzione della massiccia presenza militare sull'isola. In Sardegna più di 35.000 ettari di territorio sono sotto vincolo di servitù militare. Un altro impegno riguarda la riduzione del costo dell'energia che è veramente elevato. Altro rischio che si profila all'orizzonte è quello di infiltrazioni mafiose nel territorio in seguito all'imminente trasferimento di 92 detenuti sottoposti al regime del 41-bis a Sassari. A questo proposito, c’è bisogno di potenziare le forze dell'ordine, ed è necessario il riconoscimento dell'autonomia della corte d'appello di Sassari e la relativa istituzione degli uffici della Direzione distrettuale antimafia nella città nel nord dell'isola.
Non possiamo e non dobbiamo dimenticare la volontà espressa dai cittadini sardi, che in occasione del referendum consultivo del 2011, in materia di nucleare, si sono largamente dichiarati contrari all'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti. Il Governo deve rispettare questa volontà. È una volontà dei cittadini.
Chiediamo anche di intervenire affinché non sia realizzata la parte del progetto di ampliamento dell'aeroporto «Mario Mameli» di Cagliari verso il centro abitato, Pag. 27valutando con particolare attenzione le conseguenze negative per la città di Elmas e le zone limitrofe.
Per concludere ricordo anche un altro impegno, quello relativo al settore agricolo. Chiediamo al Governo di intervenire presso l'Agea affinché si sospendano gli effetti di una nuova classificazione d'uso del suolo per la tutela di moltissime aziende agricole, che rischiano di perdere, a causa del cambiamento di uso da agricolo a non agricolo, milioni di euro di contributi comunitari, su cui contavano per il mantenimento e per lo sviluppo delle proprie attività. Ricordiamo la «vertenza entrate»: lo Stato deve alla regione milioni e milioni di euro. Queste somme devono essere consegnate al più presto.
Un altro impegno riguarda la privatizzazione delle società regionali. Chiediamo di attivarsi per cercare insieme alla regione le soluzioni comuni, naturalmente nel rispetto delle disposizioni normative vigenti, per il salvataggio di aziende pubbliche regionali che rischiano la chiusura e per la salvaguardia dei posti di lavoro, anche considerando l'eventualità di non procedere alle operazioni di privatizzazione previste per alcune di queste. Ancora, riguardo alle società regionali, un impegno che abbiamo richiesto riguarda nello specifico la Saremar e la difesa dei suoi 160 posti di lavoro.
Tutto questo compone la questione Sardegna, una questione che deve essere urgentemente messa nell'agenda dei lavori dell'Esecutivo per il superamento di tutte le criticità che ho evidenziato, valorizzando il principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato, regione ed enti locali nelle materie in cui si registra, appunto, la sovrapposizione di competenze e rimuovendo ostacoli procedurali.
Un modo per iniziare a lavorare potrebbe essere quello di istituire un tavolo tecnico di lavoro con la regione autonoma della Sardegna e con il coinvolgimento degli enti locali per analizzare tutte le problematiche e giungere, in tempi certi, a soluzioni condivise e concrete delle numerosissime vertenze aperte; tenendo così conto degli interessi territoriali, promuovendo e potenziando le vocazioni principali dell'isola, facendo di queste una forza da sfruttare nel modo più opportuno per avviare rapidamente una ripresa dell'economia nella regione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nizzi, che illustrerà anche la mozione Nizzi e Palese n. 1-00851. Ne ha facoltà.

SETTIMO NIZZI. Grazie Presidente. Cari colleghi, così come i miei due colleghi che mi hanno preceduto, parlare della nostra isola stasera, qui, nell'Aula di Montecitorio, così com’è successo tantissime altre volte, ritengo che sia sicuramente il nostro dovere. È nostro dovere, anche se percepisco – anzi, ho la netta impressione – che difficilmente qualcosa cambierà.
Dico questo perché, dall'esperienza che ci siamo fatti in questi ultimi sette-otto anni, abbiamo visto che i Governi dei vari colori politici che hanno governato la nostra nazione nell'ultimo decennio, hanno avuto sempre maggiori difficoltà a guardare con sguardo benevolo la nostra isola. Lo dico per quanto riguarda tutti i documenti approvati in una Commissione nella quale io ho sempre lavorato, per esempio in materia di infrastrutturazione, di lavori pubblici, di telecomunicazioni, di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Ebbene proprio quest'anno è l'unico in cui, negli ultimi otto anni, siamo riusciti ad approvare un programma, laddove è stata prevista la somma di 100 milioni di euro per favorire le infrastrutture nella nostra isola per quanto riguarda il sistema ferroviario.
Io mi chiedo: ma è possibile che una regione come la nostra, un'isola, una parte importante della nostra nazione debba essere abbandonata, così come lo è stata, per tanti anni ? Dal punto di vista delle statistiche non siamo neanche l'ultima delle regioni italiane né dal punto di vista demografico né dal punto di vista dell'estensione territoriale, eppure scontiamo, come sempre, il fatto di essere lontani dal sole, lontani da dove sorge il sole e da dove Pag. 28il sole riesce ad avere la maggior azione possibile, quella di scaldare il terreno che illumina.
Ebbene, secondo quanto risulta – così come ha detto il collega che mi ha preceduto – da un documento recente elaborato dall'ISTAT, le prospettive dell'economia italiana nel 2015-2017 sono abbastanza favorevoli rispetto a quelle che sono state nel triennio precedente, saranno del più 0,7 per cento di PIL nel 2015, 1,2 per cento nel 2016 e 1,3, o giù di lì, nel 2017. Gli effetti determineranno la conclusione della cosiddetta fase recessiva del triennio precedente. Lo speriamo tutti.
Al riguardo, però, noi evidenziamo che, a fronte di questi indicatori, che rimangono sempre sotto quelli che sono gli indicatori della media europea, permangono evidenti e gravissime componenti macroeconomiche negative nella nostra nazione, che rallentano fortemente il consolidamento della ripresa della domanda interna e dei consumi nel Paese. Anche se ultimamente, negli ultimi due mesi, abbiamo sentito e abbiamo letto timidi segnali di ripresa, da alcuni giorni abbiamo un problema di non poco conto: la sentenza della Corte costituzionale, a causa della quale sicuramente, se non dovessimo trovare elementi, ossia i soldi necessari, per far fronte a quella sentenza, sarà difficile che non aumenterà anche l'IVA il prossimo anno.
La nostra nazione e i Governi che si sono succeduti sono abituati a mantenere la parola data. Pertanto, gli impegni assunti a livello europeo sicuramente sono impegni che devono essere realmente e concretamente affrontati con la determinazione di chi ha la responsabilità di governare il Paese. E se le cose continuano così come stanno andando, sicuramente il divario, ancora oggi presente, dello sviluppo tra nord e sud della nostra nazione andrà ad aumentare. E siccome noi, nonostante geograficamente siamo posti al centro della nostra penisola, apparteniamo a quel mondo non del sud, ma dell'estremo sud della nostra nazione.
Se in tutti questi anni non siamo stati capaci, con piccole cifre, non spendendo chissà quanti denari, ma soltanto stando un pochino più attenti, di favorire lo sviluppo con normative snelle, di garantire lo sviluppo nella nostra isola, io penso che sarà ancora più difficile, con l'esiguità dei fondi a disposizione, riuscire a dare le risposte che noi tutti sardi ci aspettiamo.
I colleghi hanno detto che sono disposti a sottoscrivere le mozioni degli altri. Questo non è un problema, anch'io potrei farlo o dovrei farlo. Arriviamo, però, sempre, secondo un vecchio detto molto in uso nella nostra terra, al fatto che ognuno pensa a proprio modo.
Forse dovremmo essere più uniti, non soltanto nell'esporre principi, ma soprattutto concretamente. Ad oggi, così come in Sardegna diciamo «chentus concas, chentus berrittas» e, cioè, «cento teste, cento cappelli», siamo posti nelle condizioni di avere difficoltà ad ottenere una minima risposta che ci dia la possibilità di crescere così come noi tutti ci aspettiamo. In Sardegna, così come ha ben detto il collega che mi ha preceduto, la disoccupazione, nonostante l'anno scorso si fosse fermata al 17 per cento circa, quest'anno è andata aumentando ancora di più e siamo al 18,2 per cento di disoccupazione generale; abbiamo oltre 25 mila persone in cassa integrazione; abbiamo una disoccupazione giovanile che supera il 50 per cento; siamo, nel 2015, la regione che ha, dopo la Sicilia, il maggior numero di abbandono scolastico. Cosa possono pensare i nostri figli ? Cosa possono pensare i nostri ragazzi ? Perché io devo studiare se, poi, una volta laureato, non ho nessuna speranza di trovare un posto di lavoro ? È diffusa in tutto il Paese questa preoccupazione, maggiormente naturalmente al sud, però da noi è drammatico e qualcosa bisogna fare. Noi pensiamo naturalmente che il Presidente del Consiglio di turno voglia realmente risolvere i problemi. Abbiamo, fra qualche giorno, la legge sulla scuola. Ma è possibile che non si riesce ad avere il coraggio di risolvere realmente le problematiche della scuola italiana ? Perché siamo ancora così indietro ? E perché siamo e continuiamo come regione ad essere l'ultima della classe su venti regioni ? Pag. 29Eppure, anche noi leggiamo, sudiamo, abbiamo avuto dei personaggi importanti nella storia della nostra nazione. Abbiamo una micronizzazione diffusa della popolazione (377 comuni, la stragrande maggioranza sotto i 3 mila abitanti) e questi comuni così piccoli non riescono a far fronte a quelle che sono le esigenze dei propri figli, dei propri giovani. Inoltre, lo Stato non riesce a garantire infrastrutture stradali e servizi adeguati. L'ultima trovata, sempre per spending review, non dico della regione, ma per adeguarsi a quella che è la spesa pubblica nazionale, è che sono stati interrotti i servizi di autobus da Olbia per Sassari, da Olbia per Cagliari e viceversa, grandi servizi ai quali in contemporanea, con orari diversi, si affiancavano anche i servizi ferroviari. Ebbene, io chiedo a tutti voi che siete orgogliosi di essere italiani, così come sono orgoglioso di essere italiano io: ma è possibile che ancora oggi, nel 2015, per fare appena 200-250 chilometri siano necessarie 4 ore e mezza di treno ? 4 ore e mezza ! Per fare 100 chilometri Olbia-Sassari due ore e Cagliari-Sassari 3 ore e mezza. Non andiamo da nessuna parte. I ragazzi come possono andare a studiare ? A che ora dovrebbero alzarsi ?
La Sardegna non è soltanto un luogo dove gli abitanti vogliono continuare a piangersi addosso. Noi vogliamo contribuire, così come abbiamo sempre fatto, alla risoluzione dei problemi ma se in così tanti anni è stata applicata l'IVA sui trasporti soltanto alle isole che erano distanti oltre 40 miglia dalla costa dello Stivale, perché tra Piombino e l'Isola d'Elba non si deve pagare l'IVA sul biglietto e, invece, tra Civitavecchia ed Olbia o Civitavecchia e Cagliari o Genova-Porto Torres o Genova-Olbia si applica e va applicata l'IVA sul trasporto, che è un costo che sicuramente contribuisce a renderci meno appetibili oltre a costarci oltretutto di più e ci rende meno appetibili anche dal punto di vista turistico ?
Se la nostra isola continua a scontare un costo energetico mediamente superiore del 40 per cento rispetto a tutte le altre regioni, cosa possiamo produrre noi, anche se abbiamo voglia di produrre e di contribuire ad aumentare anzitutto il nostro prodotto interno lordo ma anche quello nazionale ? Noi vorremmo che ci fosse una risposta in termini di certezze per il nostro futuro. A nuoto non si può più venire, a nuoto è difficile. Fossimo stati più vicini magari saremmo venuti anche a nuoto ma riuscire a creare condizioni per le quali un cittadino sardo abbia lo stesso diritto degli altri: non vogliamo essere speciali, vogliamo avere gli stessi diritti di tutti gli altri italiani ma soprattutto di tutti gli altri europei che possano liberamente spostarsi da una parte all'altra del loro Paese o da una parte all'altra di Paesi diversi ma sempre all'interno dell'Unione europea e dell'Europa geografica con costi che siano molto vicini. Questo a noi non è permesso. Noi abbiamo costi nettamente superiori e non riusciamo ad essere competitivi perché vorremmo produrre e abbiamo la capacità di produrre prodotti buoni dal punto di vista qualitativo. L'alluminio che veniva prodotto nel Sulcis era uno dei migliori allumini prodotti al mondo, sicuramente competitivo. Non è stato più possibile: costava troppo. Quell'azienda energivora ha preferito chiudere i battenti, abbiamo dato un aiuto e l'Europa ha detto che quell'aiuto non poteva essere dato e ha fatto restituire i soldi da quell'azienda allo Stato italiano che aveva concesso quel contributo. Ebbene non possiamo essere succubi in certi momenti della normativa europea in un dato settore, però non abbiamo la capacità come Governo, come Stato nazionale di aiutare i nostri simili. Spesso aiutiamo ed è giusto che vengano aiutate le persone altrettanto bisognose del mondo che si affacciano nelle nostre regioni e non siamo capaci di aiutare la nostra gente.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SETTIMO NIZZI. Centosettantacinquemila famiglie in Sardegna vivono al limite della soglia di povertà. Ripeto: 175 mila famiglie.
Ma è venuto, qualche volta, qualcuno a vedere come si vive nei paesi dell'interno, Pag. 30a quali sacrifici sono chiamati questi nostri connazionali ? Io penso che, forse, bisognerebbe passare un po’ più di tempo con la nostra gente, per capire quali sono i sacrifici a cui noi chiamiamo queste persone; non vogliamo avere i soldi tanto per avere i soldi, vogliamo una facilitazione normativa che ci permetta di fare da soli. Lo ripeto, vogliamo facilitazioni normative che ci permettano di fare da soli, non aumentare i disagi, ma migliorare la qualità della vita.

PRESIDENTE. Onorevole Nizzi, ho commesso un errore, l'ho invitata a concludere, scambiando il suo tempo con quello dell'onorevole Cani.

SETTIMO NIZZI. Io volevo continuare, però non fa niente.

PRESIDENTE. Mi dispiace, le chiedo scusa, è stato un errore.
È iscritto a parlare l'onorevole Cani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00854. Ne ha facoltà.

EMANUELE CANI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, colgo con soddisfazione il fatto che questa importante mozione sulla Sardegna sia oggi all'ordine del giorno di questo Parlamento. È bene ricordare che dall'avvio della legislatura molti dei temi che oggi tratteremo sono stati oggetto di numerosi atti parlamentari proposti dai deputati del Partito Democratico e non solo. Allo stesso tempo, molti di questi temi hanno costituito e tuttora costituiscono oggetto di interesse del Governo nazionale e di continua interlocuzione dello stesso con il governo della regione Sardegna.
Prima di entrare nel merito della mozione è bene ricordare alcuni dati assolutamente preoccupanti che riguardano la nostra isola. È una regione – è stato già detto da altri colleghi che mi hanno preceduto – purtroppo sempre più povera. Nel 2013 il PIL della Sardegna è diminuito del 4, 4 per cento; negli anni della crisi tra il 2007 e il 2013 abbiamo perso il 13 per cento del prodotto. Nello stesso periodo abbiamo perso 43 mila posti di lavoro e anche la disoccupazione giovanile, nell'isola, è risultata ben più alta della media nazionale, con il 54,2 per cento. In Sardegna si sono registrati 10 milioni di ore di cassa integrazione nella manifattura, il calo dei consumi è stato del 2 per cento, l'aumento delle famiglie che si trovano in una condizione di povertà relativa è del 24,8 per cento, cioè ben una famiglia su quattro. Oltre alla desertificazione produttiva industriale si registra anche quella umana, la Sardegna è, infatti, sempre di più, una terra di emigrazione e lo è da troppo tempo, dove i giovani fanno la fila per staccare un biglietto di sola andata verso il resto d'Italia e il mondo.
Fatta questa premessa va rimarcato, però, come la questione Sardegna sia strettamente legata al tema della sua insularità. Per un verso, evidenziando le problematiche derivanti da questa condizione, con evidenti e noti costi aggiuntivi per la popolazione, e per l'altro sottolineando l'esigenza di cogliere le opportunità che possono derivare da questo stato, in particolare vista la centralità della Sardegna nel mediterraneo e le connesse potenzialità che dalla stessa potrebbero derivare per la costruzione di serie e lungimiranti politiche euromediterranee.
Entrando nel merito della mozione, mi sembra ovvio partire dal tema della specificità della nostra isola. È anche di questi mesi il dibattito sulle regioni a statuto speciale, sull'opportunità che il nostro sistema costituzionale ne riveda ruolo, prerogative e poteri. Come è noto, la riforma del titolo V della nostra Carta costituzionale ha quasi annullato la specificità e la specialità delle regioni, allineando, di fatto, le autonome a quelle ordinarie. Oggi, quella specialità quasi non esiste, se non nella compensazione di una serie di spese e trasferimenti che ancora non sono sufficienti ad assicurare la parità di condizioni tra tutte le regioni italiane. Nel caso della Sardegna, la regione gestisce con proprio bilancio senza alcun fondo statale tutto il Servizio sanitario regionale, il trasporto pubblico locale e la continuità territoriale aerea.Pag. 31
Mi pare opportuno rimarcare anche in questa sede, con forza, che la presenza di regioni a statuto speciale sia ancora utile al Paese e non può essere messa assolutamente in discussione, con il rischio di rompere la coesione territoriale e il principio di solidarietà nazionale. A fronte delle cose dette, chiediamo con questa mozione un impegno a questo Parlamento e al Governo nazionale su punti chiari che riteniamo indispensabili se risolti, per un vero rilancio sociale ed economico della nostra isola. Primo punto: la cosiddetta vertenza entrate, di cui tanto si è parlato. Secondo l'articolo 8 dello Statuto della regione Sardegna – legge di rango costituzionale – la regione sarda ha diritto a una parte delle entrate tributarie statali riscosse in Sardegna. Tra queste, ad esempio, i 7 decimi dell'IRPEF e analoghe percentuali di altre imposte, soprattutto indirette, tra cui IVA e accise varie. Lo scorso 1 aprile è stato fatto un primo importante passo avanti: alla Regione sono stati versati i primi 300 milioni di euro, primo acconto del credito che la Regione vanta nei confronti dello Stato. Si tratta, però, solo di un anticipo, giacché all'appello mancano altre ingenti risorse del credito complessivo vantato dalla Sardegna nei confronti dello Stato. Seconda questione: annoso problema del costo energetico. È noto che il territorio regionale, per esigenze di consumo non proprie, stia sempre più diventando una grande piattaforma di produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici e lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Nonostante ciò, purtroppo, la questione del costo dell'energia per i sardi e le imprese dell'isola non ha beneficiano assolutamente di questo aspetto. Resta quindi un problema irrisolto, che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell'isola. In questo scenario non è più accettabile il dover ricorrere a estenuanti battaglie per il riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana, per esempio, oppure per il riconoscimento di vari regimi di interrompibilità, senza i quali non sarebbe neanche immaginabile una qualsiasi produzione industriale in Sardegna (vedi uno dei casi più noti, quello dell'Alcoa, a cui altri colleghi, prima di me, hanno fatto riferimento).
Detto ciò, alla luce dell'uscita dal progetto Galsi non è più rinviabile la convocazione di un tavolo tecnico e istituzionale che acceleri la metanizzazione dell'isola, che veda l'attuazione privilegiata sia nei tempi sia nelle risorse dell'attuazione di tutte le direttive dell'Unione europea in materia di infrastrutture e di stoccaggio del GNL. Vanno definite procedure chiare, rapide e semplificate per l'autorizzazione di impianti di stoccaggio del GNL, non solo a terra ma anche nelle aree portuali e per le tecnologie navali di trasporto, utili ad una quanto più veloce dotazione infrastrutturale che consenta l'uso del GNL nell'isola, fatto che darebbe sicuramente un contributo essenziale alla soluzione del problema energetico. Altra questione importane è quella dei trasporti – cui qualche collega ha fatto riferimento –, vero motore di sviluppo non solo per la Sardegna ma per l'intero Pianeta. Muoversi nel rispetto e nella possibilità di farlo è un fatto assolutamente essenziale per i cittadini che abitano in qualsiasi luogo. Sono evidenti le criticità relative al sistema dei trasporti da e per l'isola, specialmente sul versante della continuità aerea e marittima. Malgrado gli innegabili passi in avanti – questo è giusto precisarlo – compiuti in questi ultimi anni, si pone l'esigenza di disegnare una Sardegna più coesa al suo interno e più vicina al resto del continente. Va quindi promossa una continuità territoriale aerea e marittima in grado di garantire la concorrenza e il miglior servizio per i cittadini sardi e non sardi. In particolare, va sostenuta e favorita, l'iniziativa parlamentare, che il gruppo parlamentare del Partito Democratico si è impegnato a mettere in atto, di approvazione di una nuova legge sulla continuità territoriale marittima, ovvero è assolutamente indispensabile concordare con la regione Sardegna la redazione di norme di attuazione dello Statuto speciale in materia di trasporto marittimo.Pag. 32
Veniamo ora ad un altro tema abbastanza delicato, quello delle cosiddette servitù militari. Altra questione irrisolta è quella, appunto, delle servitù militari nazionali, come si è detto tante volte, il 65 per cento delle quali grava sulla Sardegna. È necessario un equilibrio poiché, come ha ricordato il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, in audizione presso la IV Commissione permanente della Camera dei deputati, si tratta di numeri significativi: 30 mila ettari, di cui 13 mila con limitazioni totali, impegnate dal Demanio militare, a cui si devono aggiungere gli spazi aerei e circa 80 chilometri di costa.
Da tempo, è richiesta una riqualificazione della presenza militare, alleggerendo il territorio dal carico dal carico delle servitù nel rispetto assoluto – è giusto ribadirlo – della difesa nazionale. Si tratta di prestare una fattiva attenzione alla tutela del territorio a mezzo di bonifiche, del riconoscimento del diritto di fruire, ove possibile, anche a fini turistici, delle aree costiere attualmente occupate dalle basi militari, nonché dell'investimento di risorse della difesa in ricerca tecnologica applicata anche al campo civile, per un rapporto sostenibile tra presenza militare e contributo allo sviluppo economico del territorio in termini dinamici e non assistenziali.
Va detto con chiarezza. Le grandi vertenze, le grandi vertenze industriali vanno risolte. La Sardegna ha bisogno di un sistema industriale moderno. Devono essere chiuse in tempi rapidi crisi industriali ormai aperte da troppo tempo. In particolare, le grandi vertenze del Sulcis, che riguardano gli stabilimenti dell'Alcoa e dell'Eurallumina, per citare solo i più importanti. Nell'area di Ottana si è prodotto un deserto industriale non più accettabile e stesso ragionamento vale per l'area industriale di Porto Torres che va assolutamente rilanciata. È di queste ore, anche in questo Parlamento, nelle Commissioni la necessità che il Governo nazionale vari un vero e proprio piano di politica industriale che in tutto il Paese, con tutto il Paese, deve obbligatoriamente coinvolgere anche la Regione Sardegna.
È assolutamente importante, è stato già detto e lo ribadisco, colmare il deficit infrastrutturale in Sardegna: è un atto dovuto. Va favorito il superamento del deficit infrastrutturale della Sardegna, assegnando alla Regione risorse statali e comunitarie aggiuntive e con specifica destinazione, fra le altre, per le aree interne ancora più deboli, per interventi volti a superare il deficit stesso, l'inefficienza dei servizi scolastici e sanitari, le problematiche legate all'abbandono del territorio.
Altro tema molto sentito a cui tengo molto, considerando anche il territorio da cui provengo, è quello degli ammortizzatori sociali, vera piaga per i cittadini della Sardegna. Abbiamo voluto evidenziare in questa mozione anche questo annoso problema, quello del sistema degli ammortizzatori sociali, assolutamente inadeguato a sostenere il fabbisogno dei troppi cittadini sardi che a causa della crisi e della chiusura di importanti presidi industriali hanno perso il lavoro. Sull'argomento abbiamo però presentato, come deputati del Partito Democratico, una apposita mozione che spero venga calendarizzata in tempi brevi e discussa da questo Parlamento.
Infine – e mi avvio a concludere –, abbiamo voluto evidenziare una questione precisa nell'ambito di tutta una serie di punti di carattere generale che abbiamo affrontato, che offende i sardi e l'intero paese...

PRESIDENTE. Onorevole Cani, la invito a concludere.

EMANUELE CANI. ... mi riferisco al mancato svolgimento del G8 a La Maddalena, un caso emblematico di cattiva amministrazione cui è necessario porre rimedio con la conclusione delle bonifiche marine e di superficie e il subentro della Regione nella proprietà, ancora in capo alla protezione civile, per far partire, dopo ben sette anni, la conversione dell'economia dell'isola da militare a turistica. Sarebbe un grande segnale di attenzione da parte del Governo nazionale che sono convinto recepirà questa nostra sollecitazione in tempi rapidi.Pag. 33
In conclusione, credo di interpretare l'opinione di tutti i colleghi deputati che hanno sottoscritto questa mozione del Partito Democratico, nell'esprimere soddisfazione per il lavoro fatto, in questa occasione, non solo dal gruppo del Partito Democratico di cui faccio parte, ma da tutti i deputati della Sardegna che con le loro mozioni e con il conseguente dibattito hanno posto e stanno ponendo al centro i grandi temi che ci riguardano, con serietà e maturità.
Auspico che la giusta disponibilità del Governo, su cui non dubito, possa aiutare a costruire tutti insieme un buon documento che, se approvato da questo Parlamento, segnerà certamente un passaggio importante nell'interesse dei sardi e della Sardegna (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00855. Ne ha facoltà.

VINCENZO PISO. Signor Presidente, le mozioni all'ordine del giorno, quelle di cui stiamo discutendo oggi, affrontano la gravissima situazione economica e sociale della Sardegna, regione che è stata colpita dalla crisi economica iniziata nel 2008 assai più di altre.
Il recente rapporto SVIMEZ – che è stato anche in questa sede ricordato più volte – mostra che la Sardegna registra per il 2013 un calo superiore alla media sia nazionale, sia con riferimento al complesso delle regioni meridionali, una riduzione del PIL del 4,4 per cento, a fronte di una media del 3,5 per cento. Per il periodo 2008-2013 il calo del PIL è del 13,3 per cento. Nel 2014, mentre le regioni del centro-nord hanno iniziato una faticosa ripresa, il sud ha continuato nella sua spirale discendente. Per la Sardegna questo significa un ulteriore calo del PIL dello 0,8 per cento. Nell'isola, il PIL pro capite è pari a 18.620 euro annui, circa la metà della Valle d'Aosta, e il tasso di popolazione in disagio sociale è tra i più elevati d'Italia, il 31,7 per cento. Le famiglie povere sono pari al 24,8 per cento. Addirittura il tasso di natalità è inferiore di due punti percentuali rispetto al tasso di mortalità. Il tasso di disoccupazione supera il 19 per cento e quello giovanile – con meno di 24 anni – è pari al 54 per cento. L'occupazione è diminuita del 7,3 per cento nel biennio 2012-2013. In aumento sono sia la percentuale di laureati emigrati (21,6 per cento), sia il tasso di dispersione scolastica, pari al 27 per cento.
La stessa situazione di gravissima difficoltà si registra nel tessuto produttivo delle piccole e medie imprese: dalla fine del 2013 al settembre 2014 il numero di imprese artigiane della Sardegna è calato del 2,4 per cento. Il Rapporto congiunturale sulle imprese artigiane dell'isola, presentato a Cagliari dal CNA a fine ottobre 2014, segnala che in media ogni mese nell'isola falliscono cento aziende artigiane. Assoturismo registra un bilancio negativo anche nell'ambito delle imprese turistiche, con numero di chiusure pari quasi al doppio delle nuove aperture, nonostante i trend turistici siano sempre stati favorevoli e indichino per il 2015 un aumento degli afflussi turistici nella regione. Insomma, una situazione sicuramente non ottimale.
La Sardegna deve buona parte della sua attuale situazione economica e sociale al mancato pieno riconoscimento della sua insularità, che è diventata una vera e propria palla al piede, come si suol dire, cioè di quella condizione di isolamento che inficia la possibilità di movimento dei cittadini sardi e riduce la capacità competitiva delle imprese isolane. Un riconoscimento che deriva da elementi di natura assolutamente oggettiva.
L'Unione europea, se formalmente riconosce questa condizione (come peraltro la riconosce per le aree montane), poi però non ha consentito di attuare talune norme conseguenti. Nemmeno lo Stato italiano ha pienamente adempiuto ai suoi doveri nei confronti della Sardegna. Ad esempio, in tema di energia, alle imprese sarde l'energia costa 300 milioni di euro l'anno, il 50 per cento in più rispetto alla media dei Paesi dell'Unione europea, mentre il resto d'Italia si attesta su un più 30 per cento Pag. 34rispetto alla media europea. Per ogni impresa sarda si tratta di maggiori costi per oltre 2.700 euro l'anno, una sorta di paradosso se si considera che la Sardegna produce più energia elettrica di quella che consuma.
Nel caso dell'ALCOA di Portovesme – anche questa è una cosa che è stata ricordata – un'impresa energivora, uno stabilimento che ha un valore strategico paragonabile all'ILVA di Taranto in quanto produce alluminio di base, negli scorsi anni l'Unione europea ha imposto la restituzione di 400 milioni di euro di aiuti di Stato, che erano stati erogati sulla base di norme adottate dal Governo italiano sotto forma di riduzione dei costi energetici, problema che purtroppo affligge tutta la nostra penisola, riduzione senza la quale ALCOA non poteva essere competitiva sul mercato.
La situazione ad oggi, dopo anni di trattative, è che, se non andrà in porto la vendita dello stabilimento, la società angloamericana Montgomery Watson Harza, prevede di smantellare gli impianti, demolizione pezzo per pezzo. L'infrastruttura, parte della quale è stata pagata da tutti i cittadini italiani, viene trasferita altrove. Poi si procederà alla bonifica dell'area. Cancellato per sempre il piano di rilancio dell'alluminio primario e soprattutto la fine delle speranze per gli oltre mille lavoratori coinvolti nel polo industriale.
La nostra mozione chiede, quindi, di intervenire su questi due punti: riduzione del prezzo dell'energia, a cominciare dalla proroga anche per il 2015 del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sul territorio dell'isola, decisione di primaria importanza, affinché Terna riconosca ai gestori i costi di produzione dell'energia, in modo da garantire alle imprese sarde di poter fruire di più bassi costi dell'energia; intervento in favore del sistema industriale del Sulcis, simile a quello che è stato posto in essere per l'ILVA di Taranto, eventualmente utilizzando le risorse del Piano Junker.
Contestiamo il fatto che la Sardegna non sia ricompresa nell'elenco di progetti infrastrutturali presentati dall'Italia relativi al cosiddetto Piano Junker, avviato nel gennaio 2015 con l'intento di rilanciare la crescita economica dell'Unione. Per quel Piano, l'Italia ha presentato in tutto 98 progetti per un costo complessivo di oltre 200 miliardi di euro.
Nella mozione, si chiede anche di accelerare il progetto di interconnessione elettrica con l'Italia e gli interventi sul territorio dell'isola del Piano degli elettrodotti della rete elettrica di trasmissione nazionale.
Il secondo di questi disavanzi che l'Europa riconosce, ma in relazione al quale non adotta le disposizioni conseguenti, è la cosiddetta continuità territoriale, intesa come fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e volta ad assicurare la parità di trattamento in termini di mobilità interna all'Unione.
Nell'ottobre 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha dovuto ritirare, a seguito delle osservazioni comunitarie, il decreto relativo alla proposta «continuità territoriale 2» che avrebbe imposto gli oneri di servizio pubblico per i voli tra gli aeroporti di Alghero, Cagliari e Olbia e gli scali cosiddetti minori della penisola: Bologna, Verona, Torino e Napoli.
La decisione comunitaria è basata sull'osservazione che per tali tratte esistono già voli di compagnie low cost e quindi «continuità territoriale 2» viola i principi della concorrenza. Questo modello di concorrenza è ormai una specie di totem comunitario, che va onorato anche quando produce qualche problema.
La decisione dell'Unione europea ha posto definitivamente in crisi la Meridiana, con il concreto rischio, poi in parte rientrato, di oltre 1.600 licenziamenti nel 2015. Meridiana ha svolto in passato un ruolo importante nella continuità territoriale da e per la Sardegna e la decisione comunitaria di favorire le compagnie low cost non appare del tutto congrua con le esigenze occupazionali, ma soprattutto con le esigenze di copertura del servizio anche al di là della redditività economica.Pag. 35
Su Meridiana, il 13 novembre 2014 sono stati approvati al Senato alcuni atti di indirizzo, che integralmente richiamiamo, con i quali il Governo si è impegnato a verificare la compatibilità del piano industriale di Meridiana con il piano generale del trasporto aereo; a definire un'adeguata strategia con la regione sarda che consenta politiche di trasporto aereo per garantire la continuità territoriale di residenti e non residenti.
Oltre alla continuità territoriale aerea, ci sono problemi anche su quella marittima, che riveste grande importanza, perché riguarda anche la competitività del comparto produttivo dell'isola, che sconta il prezzo dell'isolamento territoriale.
Dopo la privatizzazione della compagnia marittima Tirrenia, il 31 luglio 2014, la regione ha siglato un accordo con la compagnia, con il quale si è mantenuto un regime tariffario favorevole, ma sono stati ridotti fortemente non solo le corse, specie nel periodo invernale, ma anche (e soprattutto) i punti di attracco. Insomma, la Sardegna per Tirrenia esiste soprattutto d'estate. Si consideri che la Tirrenia continuerà a ricevere dallo Stato 52 milioni di euro l'anno fino al 2020 per compensazioni relative alla continuità territoriale.
Per luglio 2015, cioè alla fine del primo periodo regolatorio previsto dall'accordo tra regione e Tirrenia, da più parti si richiede una rivisitazione della convenzione, in quanto il contratto di servizio è carente e non rispettoso delle reali esigenze di collegamento con l'isola.
Ma, soprattutto, occorre riconsiderare la continuità territoriale merci, ove si tenga conto che i prodotti della regione continuano a soffrire un gap di competitività dovuto alla distanza dai mercati.
Un punto particolarmente importante – e poi termino, Presidente: veramente due secondi – riguarda le servitù militari, perché la nostra mozione chiede che ulteriori opere prioritarie potranno essere individuate in occasione della definizione, entro il mese di settembre, del Documento pluriennale di pianificazione. Chiediamo che, appunto, ci sia un'operazione molto forte di bonifica di queste aree. Però, nel contempo, chiediamo che si possa operare, sempre nell'ambito di quello che è il comparto militare, con lo sviluppo di tutto quello che è il comparto della tecnologia legata, appunto, a questo settore e questo potrebbe essere uno degli ambiti che, appunto, potrebbero aiutare la Sardegna a uscire da una situazione di fortissima crisi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piras. Ne ha facoltà.

MICHELE PIRAS. Grazie, Presidente. Colleghi, esponenti del Governo, mi viene in mente una metafora, pensando alla mia terra, che è quella di un muro che, poniamo, sia alto 1,70 metri. Dietro quel muro c’è un ragazzo di 1,75 metri e un bambino di 1,30 metri. Entrambi sono liberi, in via teorica, di guardare oltre quel muro che cosa c’è. È del tutto ovvio che solo uno effettivamente può farlo ed è il ragazzo alto 1,75 metri.
Io mi rendo conto che la metafora dell'altezza, parlando di Sardegna, forse per ciò che si dice di noi sardi, possa essere anche ironica e, tuttavia, forse anche l'ironia ci sta, dato che io debbo ammettere, in quest'Aula, che da qualche tempo a questa parte provo un'intolleranza piuttosto accentuata rispetto alla politica e ai politici che descrivono la crisi, che citano le cifre, i numeri, i casi, gli esempi della crisi. Forse, perché di questi tempi, ad esito di una delle crisi più lunghe, la crisi più lunga dal secolo scorso ad oggi che abbia mai colpito l'Occidente e questo Paese, io credo che ogni famiglia, ogni persona sappia che cos’è la crisi, perché la vive nelle proprie case, perché l'avverte sulle proprie viscere, perché ciascuno ha un familiare che non ha lavoro, che è precario, che rischia di perderlo, che lo potrebbe perdere domani, perché ciascuno conosce – e tanto più nella mia terra – che cosa vuol dire l'emigrazione, come fu per mio padre nel 1960, per mia madre nel 1962, per i miei nonni, come fu per intere generazioni che si videro ingiustamente costrette a lasciare la loro terra, da tutto il meridione e anche dalla Sardegna.Pag. 36
Io credo che il punto che bisognerebbe affermare sia un altro, perché, se noi scioriniamo i numeri della crisi, c’è sempre qualcuno che ti dice che è più in crisi di te. A giudicare, ad esempio, dal crollo del PIL nella mia regione, si potrebbe dire che ci sono altre regioni che hanno perso più PIL della Sardegna. Sui numeri della disoccupazione c’è una concorrenza che non può essere giocata sulle spalle delle persone e sulle condizioni materiali delle persone.
Allora, io penso che il punto sia il muro, il punto sia summum ius summa iniuria, come avrebbe detto Cicerone, cioè che, quando una norma, un diritto, pur affermato, non tiene conto delle specificità di un contesto, non tiene conto delle condizioni concrete e materiali nelle quali questo diritto si dovrebbe poter esercitare o quella condizione specifica dà, io credo che in quel medesimo istante si commette un'ingiustizia, pure quando il diritto teoricamente sembrerebbe perfetto. Questo è un po’ quello che le regioni meridionali – e anche la mia – sicuramente avvertono in ordine a quello che è successo in questi anni, anche a seguito, diciamo, di un'omogeneizzazione senza capacità di tener conto delle specificità delle dimensioni locali, imposteci, ad esempio, dall'Europa cui l'Italia fa seguito.
La mia è una terra di un'irrisolta specificità, che va da sé, quella geografica e fisica, che si vede, insomma, perché è un'isola.
Diceva Emilio Lussu: è l'unica isola d'Italia. Non per fare torto ad altre, ma perché, in qualche maniera, culturalmente, oltre che socialmente ed economicamente, differente. La specificità della questione sarda, così come lo era per Gramsci, è per me qualcosa di diverso dalla questione meridionale, qualcosa di diverso dalle altre grandi questioni che ci sono in questo Paese. Non da mettere prima e in testa: da mettere al pari delle altre nell'agenda di un Governo come grande questione nazionale.
Ed è questa specificità, il nucleo della crisi in Sardegna, che, probabilmente, per limiti nostri, di noi rappresentanti di quel popolo in quest'Aula, o forse per scarsa capacità di cogliere la profondità di quella crisi, che i miei colleghi continentali non riescono a capire fino in fondo; a cogliere sì, ad ascoltare certo, a capire fino in fondo credo di no. Ed è sicuramente demerito nostro, non demerito di qualcun altro, se non riusciamo a spiegarla; è demerito nostro.
La Sardegna è una terra straordinaria, una terra di grandi bellezze, di grande fascino, di grandi potenzialità inespresse. Anche qui mi viene in mente una metafora ridicola: noi abbiamo un treno, detto «superveloce», parcheggiato alla stazione di Cagliari, che è stato acquistato su decisione di una giunta di qualche tempo fa, commissionato. È arrivato in questi ultimi mesi, è fermo alla stazione di Cagliari: dovrebbe percorrere la tratta Cagliari-Sassari in due ore. È fermo alla stazione di Cagliari causa linea ferroviaria sabauda; sabauda perché quella è rimasta da quando l'hanno costruita ed è rimasta precisamente nella stessa percentuale assolutamente inferiore alla dotazione infrastrutturale di ferrovie del resto delle regioni d'Italia.
Quel treno è fermo: vorrei, ma non posso; ho la potenzialità, ho il pane, ma non ho i denti. Questa è un po’ la cosa che fa rabbia della mia isola: è un'isola di grande potenzialità inespresse, perché nessuno si dispone nell'ottica di pensare che quella terra è irrisolvibilmente diversa, vive una condizione irrisolvibilmente diversa rispetto alle altre regioni d'Italia.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Piras. Onorevole Centemero !

MICHELE PIRAS. E allora da qui bisognerebbe partire, da una politica che tenga conto di quella specificità. Qui non veniamo a portare i cahiers de doléances, non siamo alla rivendicazione ottocentesca. Ciò che si chiede è di essere messi nelle condizioni – come altri, non più di altri, ma neanche meno – di esercitare il proprio diritto allo sviluppo, il proprio diritto al benessere, il proprio diritto all'autodeterminazione.
E, quando in quest'Aula o nei dibattiti politici si mette in discussione la specialità Pag. 37dell'isola sul piano costituzionale, mi arrabbio, altri si arrabbiano, perché, in passato, ce ne sono volute di lotte per l'emancipazione di un popolo, per l'affermazione della parità di diritti di un popolo, per ottenere quello Statuto speciale, e ce ne sono volute di rinunce.
Allora, il dramma della Sardegna non è solamente la crisi: nel 1984 Enrico Berlinguer, nella sua ultima visita in Sardegna, in una delle sue ultime visite pubbliche prima del tragico comizio di Padova, sbarcò in Sardegna e parlò di crisi, nel 1984 ! La crisi è una cosa, la desertificazione è un'altra. Esiste un bellissimo testo, di cui consiglierei la lettura: è un testo di sociologia economica, che analizza quella che è stata la vicenda economica in Sardegna dal secondo dopoguerra ad oggi, del professor Gianfranco Bottazzi dell'Università di Cagliari, che sostiene la tesi, che, a ben vedere, è vera, che la Sardegna, nel secondo dopoguerra, sia stata la regione d'Italia – sembrerebbe un paradosso – che più rapidamente è cresciuta, che più rapidamente si è trasformata.
Quella trasformazione economica possente, arrivata attraverso i piani di rinascita, ha talmente profondamente e rapidamente trasformato la struttura economica, sociale e culturale, e poi anche quella politica, della mia isola che non ha dato il tempo neanche ai sardi di sostituire la cultura tradizionale con un nuovo modello culturale, forse anche perché nelle condizioni di farlo, anche qui, non siamo stati messi mai.
Non ci è stato dato il tempo. Così repentino, quanto lo sviluppo della Sardegna, è stato il crollo di quel sistema produttivo retto e foraggiato dal sistema delle partecipazioni statali, dall'immissione di risorse pubbliche nell'economia. C'era la crisi nel 1984 e non ci si è mai occupati di una cosa che precipitava. Oggi, al precipitare altrettanto rapido, nel giro di una decina d'anni, di tutto il sistema produttivo sardo, ci si ritrova non solamente con la desertificazione economica, ma ci si ritrova in una crisi psicologica di proporzioni enormi che sta portando i sardi o al rinchiudersi a casa o a fuggire dall'isola o, comunque, ad esprimere una rabbia che anche – senza giustificazione – nel moltiplicarsi degli attentati, nella recrudescenza del fenomeno degli attentati nei confronti degli amministratori pubblici, è del tutto evidente.
Allora, su questa crisi, su questa desertificazione, su questo stato di cose, credo che serva un'azione forte da parte del Governo nazionale, serva il riconoscimento, serva il sostegno, serva l'elaborazione, insieme all'Europa, di norme specifiche che consentano ai sardi di esercitare il diritto allo sviluppo e all'autodeterminazione, altro non ci può essere (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) !

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scanu. Ne ha facoltà.

GIAN PIERO SCANU. Grazie Presidente, signori del Governo, colleghi, vorrei avere la giusta dignità per parlare della Sardegna in questo consesso; vorrei potermi fregiare di una sorta di balentia politica che richiamasse, in qualche modo, il carattere forte e determinato, fiero, fatto di generosità, di coraggio, di altruismo, di dedizione, che, per molti secoli, per dei millenni, per un'intera civiltà, ha caratterizzato il popolo sardo. Non credo di poter vantare queste caratteristiche, perché la terra in cui abito, per quanto straordinariamente meravigliosa, si è resa responsabile negli anni, nei decenni, di disattenzioni clamorose, di omissioni inenarrabili. Se Gramsci, il Gramsci che ha appena citato il collega Piras, ne avesse avuto fisicamente la possibilità, avrebbe scritto molto, molto di più, sugli indifferenti, denunciando il proprio odio. Noi siamo qui, e questo è il senso che personalmente intendo conferire a questo mio intervento, non per pietire interventi particolari. Non me la sento e non voglio unirmi, come nel passato è accaduto, oggi in verità questo non mi pare che si sia verificato e ne sono felice, al coro delle geremiadi pronunciate e declinate da una classe politica che era distratta, disattenta, ferma, qualche volta persino collusa, perché, se certe aberrazioni Pag. 38si sono potute verificare nel nostro Paese, se la Sardegna è potuta diventare paradossalmente, essendo essa un giardino, un paradiso terrestre, una delle regioni più inquinate della nostra Italia, non è solo perché, verosimilmente, organizzazioni malavitose, quelle doc, quelle riconducibili alla mafia, alla camorra, alla ’ndrangheta, alla sacra corona unita, possono aver lucrato e fatto grossi affari, ma verosimilmente ci saranno state delle persone che, in terra sarda, non solo abbiano voluto chiudere gli occhi, ma abbiano voluta anche indicare il tratturo da seguire.
Quindi, non è facile manifestare il proprio convinto doloroso disappunto, sapendo di avere, in quanto sardi, anche una propria quota di responsabilità. Dunque, nessuna petizione degli affetti, nessuna ricerca di particolare comprensione; viceversa una fiera – se mi è permesso – convinta e dignitosa richiesta di risposte da parte di un Governo – che è il Governo di turno naturalmente – che nel proprio programma ha inserito delle specifiche forme di riferimento nei confronti delle cosiddette realtà marginali.
Benché i segnali ancora non arrivino, io spero che il Governo vorrà dare delle risposte, perché è intollerabile – tutti i colleghi lo hanno detto – la situazione nella quale ci troviamo. Noi siamo l'unica isola della nazione italiana e la nostra insularità comporta un isolamento doloroso, un isolamento che genera ogni giorno una quantità di vergogna per chi lo subisce, come i sardi, pari all'irresponsabilità di chi lo permette. Il fatto di non potere partire, di non potersi muovere, di non potere avere un minimo di libertà nella comunicazione, il fatto paradossale di dovere pagare certe materie prime più degli altri, comporta non soltanto la manifestazione di un danno materiale, di un danno emergente. Comporta anche una sorta di vilipendio, una sorta di insulto, una beffa: tu sardo, isolano isolato quale sei, non solo devi subire questa condizione di isolamento, ma devi anche pagare più degli altri per potere affrontare, nella tua quotidianità, quello che è il diritto alla semplice esistenza.
Attenzione, non c’è nessun pietismo in quanto sto affermando. C’è semmai la consapevole volontà di essere titolari ormai soltanto di un'accentuazione nel tono della voce, perché gli indifferenti continuano a proliferare non soltanto a Roma, ma soprattutto nella mia terra.
Allora, se è vero come è stato detto, che ci deve comunque unire la volontà di mettere a fattore comune la consapevolezza che le diverse impostazioni e i diversi punti di partenza non possono e non debbono diventare degli impedimenti nella costruzione politica di una piattaforma comune, cerchiamo da questo momento, da questo passaggio, di costruire almeno una base minima da fare valere non solo qui, ma da fare valere anche nella nostra regione, laddove francamente non mi pare esista una teoria lunghissima di statisti, così come non è esistita nel passato, quando la sindrome dello statista colpiva gli uomini politici che erano chiamati a svolgere funzioni di carattere nazionale. Parlo degli uomini politici sardi che, spesso per voler dimostrare di essere dei grandi uomini politici e di essere dei grandi statisti, paradossalmente trascuravano la loro terra, perché parlare di Sardegna e affrontare il problema dei sardi avrebbe potuto significare scivolare in una sorta di provincialismo. E invece bisognava essere dei grandi uomini di Governo !
Signor Presidente, colleghi, signori del Governo, io spero che questo passaggio lasci un segno politico forte. Sono sicuro che il Governo non snobberà questo forte, dignitoso e fiero richiamo. Spero di potermi dire altrettanto sicuro del fatto che noi sardi potremo essere all'altezza di quella balentia politica che altri, come – cito per tutti – Emilio Lussu, nel passato ci hanno potuto consegnare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vargiu. Ne ha facoltà.

PIERPAOLO VARGIU. Grazie, Presidente. Colleghi parlamentari, rappresentanti Pag. 39del Governo, anche se condivido una parte del ragionamento del collega Michele Piras, a cui non piacciono i numeri – anche a me non piacciono particolarmente i numeri –, qualche numero, che è stato nel sentire comune della maggior parte dei colleghi che sono intervenuti, è utile ricordarlo. È utile ricordare che il nostro Paese, l'Italia, è in recessione dal 2007 e che questo ha comportato una contrazione del prodotto interno lordo italiano, calcolato in modo diverso, tra il 13 e il 15 per cento. Questo è il contesto in cui stiamo discutendo oggi la mozione che riguarda il presente e – io spero – anche il futuro della Sardegna.
E quali sono i numeri della Sardegna ? Li hanno ricordati i colleghi, io credo di volerne usare soltanto due: il 54 per cento di disoccupazione giovanile e il 25 per cento di dispersione scolastica. Sono due numeri legati l'uno con l'altro. Aggiungo altre due riflessioni: il peggior residuo fiscale negativo d'Italia, cioè la maggior differenza tra ciò che viene prodotto e ciò che lo Stato manda per assistere, e, conseguentemente, uno dei più importanti disavanzi nei conti pubblici territoriali. La Sardegna ogni anno prende 5 miliardi di euro dallo Stato per poter sopravvivere.
Bene, un cimitero. Quello che va detto – e va detto con serenità, ma con sostanziale appropriatezza di termini – è che oggi la Sardegna è un cimitero e che la classe dirigente della Sardegna, di cui la politica ovviamente è parte importante, rischia di fare il guardiano del cimitero. Quali sono i guardiani che la Sardegna manda in questo Parlamento ? Io credo che ricordare anche i numeri dei parlamentari espressi dalla Sardegna ci aiuta: alla Camera 18 parlamentari su 630, al Senato 8 parlamentari su 315.
Anche la dimensione della rappresentanza dei sardi, qualora ci fosse un'unità nel rappresentare i problemi e nel chiedere le soluzioni da parte dei parlamentari sardi, dà l'idea di quanta poca cosa numericamente siamo. E il numero delle mozioni presentate e anche la nostra difficoltà a scrivere un'unica mozione, sullo stimolo che il collega Capelli ha dato, dà l'idea di quanto ognuno di noi, come dice Settimo Nizzi, la pensi a modo suo: «chentu concas, chentu berrittas». E anche il fatto che io lo pronunci in modo diverso da come lo ha pronunciato Settimo Nizzi dimostra quanto sia difficile trovare in Sardegna un'unità.
Allora, ha ragione Capelli: il problema non è un problema sardo, è un problema italiano. Infatti, che la classe dirigente oggi presente in Sardegna oggi non ce la faccia è certificato, è sotto gli occhi di tutti. Devo dire che anche la sensibilità e la percezione che di questo problema si ha in Sardegna ci aiuta a riflettere.
Il collega Piras ha citato alcuni esempi. Io voglio citare una percezione diffusissima in Sardegna. Se voi volete farvi amico un sardo, ripetetegli una cosa che lui pensa: sei seduto, voi sardi siete seduti su una miniera d'oro e non la sfruttate. Io chiedo ai pochi colleghi parlamentari sardi presenti in Aula quante volte abbiano sentito dire questa roba. Voi sardi siete seduti su una miniera d'oro e non la sfruttate. Cosa fanno i sardi ? I sardi pensano: siccome noi siamo i migliori del mondo – perché i sardi sono un po’ autoreferenziali –, allora c’è qualcuno che ci impedisce di sfruttare la miniera d'oro. E nasce l'idea che ci sia qualcuno che impedisce alla Sardegna di poter sfruttare le sue immense potenzialità.
Io non credo che siano immense le potenzialità della Sardegna. Io credo che siano poche e, purtroppo, non sfruttate. E, purtroppo, nella testa dei sardi c’è che spesso c’è qualcuno che ci impedisce di sfruttarle. Noi sardi siamo dei grandi difensori dell'ambiente, teniamo moltissimo al nostro ambiente. Bene, voi fatevi un giro delle strade statali e provinciali della Sardegna e controllate lo stato delle cunette della Sardegna; controllate se per caso in quelle cunette ci sono delle vere e proprie discariche a cielo aperto e poi chiedetevi se sono i sardi o qualcuno che viene da fuori, che ci impedisce di sfruttare la miniera d'oro e che ci sporca le cunette, a creare quel disastro.
Ecco, uno dei nostri limiti è che spesso andiamo a cercare fuori colpe che sono Pag. 40nostre. Però vi devo dire che, in realtà, qualche colpa fuori, tutto sommato c’è, ed è la conclusione del ragionamento che io faccio interrogandomi anche sul rito di quest'Aula. È un rito in cui noi stiamo illustrando una mozione che secondo ciascuno di noi è importantissima per la Sardegna, con il solito meccanismo di quest'Aula, cioè di un'Aula semivuota, con pochi deputati. Chiedo a chi non è nato in Sardegna perché è in Aula, però...

PRESIDENTE. Guardi, se dà uno sguardo si rende conto che il cinquanta per cento degli eletti in Sardegna è in Aula. Quindi, sono quelli.

PIERPAOLO VARGIU. Quindi, un numero elevato rispetto ai numeri normali, però il ragionamento è che sempre quando siamo in Aula a discutere le mozioni il rito è che siamo pochi. Secondo me, però, ha un senso ugualmente esserci ed ha un senso esserci con passione, dicendo – e io lo dico con chiarezza, anche sulla mozione di cui sono sottoscrittore e potrei essere sottoscrittore di tutte le mozioni – che non vorrei che le mozioni fossero una lista della spesa; non vorrei che le mozioni fossero l'ennesima enunciazione dei tantissimi problemi che noi abbiamo in Sardegna e l'ennesima enunciazione di impegni del Governo. Povero Governo: se potesse davvero risolvere i problemi che noi enunciamo, forse farebbe anche qualcosa per risolverli. La nostra sensazione è che se anche lo impegniamo e se anche il Governo dà un parere positivo a tutti i nostri impegni, se non li ha risolti sinora, forse non è perché non esaminato la mozione in Aula, ma forse ci sono altri problemi.
Ecco, allora io credo che il tema sia uno solo ed è risuonato in quest'Aula e, cioè, noi sardi non abbiamo più l'idea, se mai l'abbiamo fatto, di andare in giro con il cappello dell'elemosina. Non ci appartiene; non ci appartiene per dignità; non ci appartiene per cultura; non ci appartiene per orgoglio. Noi sardi, però, ci ricordiamo di una cosa, di un detto di Einstein, secondo cui folle è pensare che facendo sempre le stesse cose si ottengano risultati diversi. Ecco, allora il nostro ragionamento alla fine è questo: la Sardegna deve dire basta con l'assistenza; basta con i pesci con cui siamo stati tenuti in schiavitù e in servitù e non abbiamo mai imparato a pescare perché qualcuno ha preferito tenerci servi. Ecco, tra la Sardegna e l'Italia oggi ci vuole un confronto alla pari sui diritti e sui doveri di cittadinanza dei sardi che devono essere uguali rispetto a quelli di tutti gli altri cittadini italiani. L'assistenza serve per non morire, ma oggi la Sardegna e i sardi, Presidente, vogliono vivere e vogliono cambiare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Francesco Sanna. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SANNA. Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, credo che il dibattito abbia dimostrato un'importante e significativa convergenza fra tutti coloro che sono intervenuti a raccontare i contenuti delle mozioni presentate. E penso anche che non sarà difficile convergere nel voto, spero già nella giornata di domani, su tutte le mozioni. Questo non significa, ovviamente, approvarle con leggerezza e per questo motivo attenderemo un parere del Governo che pesi la parola «favorevole». Se questo parere sarà favorevole, sarà un impegno serio del Governo ad affrontare i temi che vengono evocati nelle mozioni in un modo diverso da una misura ordinaria.
Infatti tutti i temi richiamati nei testi che abbiamo sottoposto all'esame dell'Aula hanno questa caratteristica: distinguono la questione ad esempio dei trasporti, ad esempio dell'energia, ad esempio della qualità di alcuni servizi, rispetto al tema generale che si pone per le medesime questioni in tutto il resto d'Italia, cercando di focalizzare, da una parte, la specifica entità e qualità insulare del problema – quella della insularità è una questione che è al centro della mozione del Partito Democratico – e, da un altro punto di vista, provando ad indicare la strada al Governo su come affrontare questi temi. Pag. 41Pertanto ritengo che, per quanto riguarda la mozione firmata dai parlamentari del Partito Democratico (ma non ho difficoltà a riconoscere un tentativo di farlo anche nelle altre mozioni), noi proponiamo al Governo un approccio riformista, non un approccio generico, non un approccio indefinito. Su ogni punto di impegno della mozione voi trovate rappresentato, signori del Governo, un dossier di competenza statale e dovete decidere, come noi vi chiediamo di fare, se si riesce a mettercela tutta a congiungere i punti di questo dossier.
Ritengo che non sia opportuno, non sia necessario e forse è probabilmente sbagliato istituire una sorta di ministero della Sardegna ma sicuramente come è accaduto in altre occasioni del passato, con altri Governi sarebbe molto giusto e molto opportuno che vi fosse sul tema della Sardegna una gestione governativa unitaria, dove quello che fa il Ministero dello sviluppo economico non si scontra con quello che fa il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; quello che fa il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non si scontra con quello che fa il Ministero della difesa e quello che fa la Presidenza del Consiglio non ignori quello che fanno tutti gli altri dicasteri che la Presidenza dovrebbe in qualche modo coordinare. Questa è un'ambizione grande. Quindi quando voi direte, come io auspico, e lo direte al maggior partito di maggioranza che sostiene Governo: «Sì, siamo d'accordo ad impegnarci sui punti che ci sottoponete», state prendendo un impegno molto serio. Da questa parte, dalla parte del Parlamento, avrete tutta la collaborazione di cui saremo capaci. In ogni Commissione – saremmo pochi ma siamo in tutte le Commissioni – quando apriamo bocca i colleghi ci riconoscono quantomeno la serietà che la simpatia nazionale e non solo nazionale riconosce ai sardi. Quindi ci avrete dalla vostra parte nel trovare le soluzioni, non l'evocazione semplice dei problemi.
Provo a dire alcuni di questi temi che vi sollecito a considerare molto attentamente. Il primo: recuperiamo rapidamente un rapporto leale e collaborativo tra lo Stato e la regione. La statistica di leggi regionali impugnate dallo Stato e di leggi statali impugnate dalla regione davanti alla Corte costituzionale è una statistica in cui la Corte dice sì molto spesso sia allo Stato e dice sì molto spesso alla regione. Cosa vuol dire ? Vuol dire che lo Stato «se la tenta» e vuol dire che la regione «se la tenta» a rompere i limiti della leale collaborazione, che è il principio con il quale molto semplicemente ciascuna parte della Repubblica sta nell'esercizio anche impegnativo dei propri poteri costituzionalmente definiti. Perché la regione Sardegna è una regione a statuto speciale che ha i suoi poteri definiti da una norma di rango costituzionale. Questo crea mille problemi: problemi di relazione, di lentezza amministrativa, di incapacità di attuazione dei provvedimenti da parte dello Stato, recuperi repentini e tardivi da parte della regione, magari un tentativo appunto di sviare dai suoi compiti e distogliersi dalle sue responsabilità e dalla responsabilità dei grandi poteri che lo statuto conferisce ad essa. Noi suggeriamo nella mozione di fare una campagna straordinaria, di aprire una stagione straordinaria di utilizzo del sistema pattizio che è previsto appunto dallo statuto speciale della Sardegna, cioè delle norme di attuazione allo statuto dove per problemi fondamentali e importanti abbiamo la possibilità di negoziare – da una parte lo Stato mediante il Governo, da un'altra parte la regione – norme che calino nell'ambito della specialità sarda interessi, discipline, contenuti di temi che sono di diretta rilevanza costituzionale in quanto contenuti nelle competenze che la Costituzione attribuisce alla Sardegna.
Da un altro punto di vista, tutto quello che lo Stato fa verso la Sardegna nelle sue grandi operazioni di riforma dell'apparato statale con agganci alla sua presenza in Sardegna, bene, questo lo si faccia con le norme di attuazione, non con tentativi di prevaricazione legislativa. È una strada che ci viene imposta e suggerita, appunto, dal principio di leale collaborazione. Questo significa, per esempio, non fingere che Pag. 42la regione Sardegna non sia, come viene detto, l'unica isola d'Italia; ciò non è che lo si dice per ignoranza della geografia, ma perché sappiamo che per arrivare in Sicilia ci mettiamo un'ora di traghetto, arrivare – come è capitato a me, oggi, con gli annullamenti dei voli – dalla Sardegna a Roma è un pochino più complicato. Possiamo dire, quindi, che l'unica isola d'Italia ha diritto, oggi, a godere della sua insularità, non a patire della sua insularità. E il resto di Italia deve godere del fatto di avere nel mezzo del Mediterraneo una delle più grandi isole del Mediterraneo stesso, per la sua geopolitica, per la sua apertura al tema di cos’è il Mediterraneo, oggi, nella dimensione mondiale, globalizzante che questo mare oggi rappresenta e per rappresentare al meglio che cos’è l'Italia dopo le primavere arabe e il loro repentino sfiorire. Ma se sfioriscono, lo fanno anche perché noi non facciamo pienamente il nostro dovere e, quindi, il Mediterraneo con la Sardegna è un aspetto assolutamente importante.
Fate giocare un ruolo alla grande e vera isola italiana nel Mediterraneo; questo significa, per esempio, che se riusciamo a riorganizzare per bene i trasporti, modificando le convenzioni con norme di attuazione in materia di continuità territoriale, rifacciamo conquistare il senso di un'insularità positiva a questa terra.

PRESIDENTE. Deve concludere.

FRANCESCO SANNA. Aggiungo un'ultima cosa, se lei mi consente, Presidente, ed è la seguente: c’è un vero e grande gap che riguarda oggi la Sardegna, ne hanno parlato i colleghi, un gap che riguarda l'ambiente e che riguarda i costi energetici. La Sardegna è l'unico pezzo d'Italia dove non è disponibile il metano. È possibile far fare a questo pezzo d'Italia, con grande vantaggio del resto d'Italia, un salto accelerato nel tempo, facendo in cinque anni quello che il resto del Mezzogiorno ha fatto in cinquanta anni, semplicemente, come sosteniamo nella nostra mozione, iniziando dalla Sardegna a fare quello che ci chiede l'Europa sul versante della nuova utilizzazione del modo di trasportare e usare il metano; non attraverso l'espansione reticolare dei gasdotti, che creano i vincoli geopolitici che oggi conosciamo, ma attraverso l'utilizzazione del gas naturale liquido. Sembra una cosa che attiene alla tecnologia, attiene, in realtà, alla possibilità di avere immediatamente sviluppo, lavoro e innovazione tecnologica in una terra che è disponibile a diventare la prima isola verde del Mediterraneo e dell'Italia.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di parere sulle mozioni.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione sulle linee generali delle mozioni Dambruoso, Pagano, Capezzone, Catania, Fauttilli ed altri n. 1-00760, Carfagna ed altri n. 1-00827, Rondini ed altri n. 1-00692, Binetti ed altri n. 1-00483 e Grande ed altri n. 1-00849 concernenti iniziative in sede europea e internazionale per la protezione dei perseguitati per motivi religiosi (ore 18,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle linee generali delle mozioni Dambruoso, Pagano, Capezzone, Catania, Fauttilli ed altri n. 1-00760, Carfagna ed altri n. 1-00827, Rondini ed altri n. 1-00692, Binetti ed altri n. 1-00483 e Grande ed altri n. 1-00849 concernenti iniziative in sede europea e internazionale per la protezione dei perseguitati per motivi religiosi (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Bechis ed altri n. 1-00856 Pag. 43e Preziosi ed altri n. 1-00857 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Centemero che illustrerà la mozione Carfagna ed altri n. 1-00827, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo in quanto rappresentante non solo di Forza Italia e cofirmataria della mozione che abbiamo presentato, ma in quanto membro del Consiglio d'Europa, dove ho presentato una mozione simile per sottolineare l'importanza di questo tema rispetto anche allo scenario internazionale dei 47 Paesi che compongono il Consiglio d'Europa, che è chiamato proprio ad esprimersi e a valutare tutto ciò che riguarda e concerne i diritti umani.
La libertà religiosa è la madre di tutte le libertà e fa parte dei diritti fondamentali ed inalienabili dell'uomo espressi nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo religioso nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti. Tutto questo porta le religioni ad occupare uno spazio, una posizione importante, che merita attenzione non solo da parte di chi, come noi, è chiamato appunto a fare delle leggi, a legiferare, ma anche da parte di ciascuno di noi, per incoraggiarci verso scelte segnate da una tolleranza genuina e vera e che non mascheri le diversità.
La storia dimostra che non solo la libertà religiosa è il pilastro portante di tutte le libertà, ma che l'intolleranza religiosa porta inevitabilmente alla violazione di diritti umani fondamentali e, molto spesso, a conflitti cruenti e devastanti. Purtroppo, come documentano troppi eventi, il diritto alla libertà religiosa è ancora oggi messo in discussione: gli atti di violenza commessi in nome della religione continuano, infatti, a dominare la scena internazionale, generando intolleranza, spesso alimentata e strumentalizzata per motivi politici ed economici, che sempre più di frequente producono azioni collettive aberranti a danno delle minoranze.
In molti Paesi, vi sono ancora discriminazioni di ordine giuridico o costituzionale oppure vere e proprie ostilità religiose, spesso legate a tensioni etniche o tribali. In diversi casi, vi è un gruppo religioso che opprime o addirittura cerca di eliminare un altro gruppo religioso, o c’è uno Stato autoritario che tenta di limitare le attività di un particolare gruppo religioso.
In questo contesto, la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono i cristiani in molti Paesi provoca ancora vittime innocenti, perpetrando una vera e propria persecuzione, che rappresenta un'offensiva condotta con violenza sistematica, indiscriminata contro la presenza dei cristiani in vaste aree del mondo. Si tratta di una immane tragedia, che ha proporzioni drammatiche e che si consuma ogni giorno: casi di cristiani perseguitati solo a causa della loro fede, trucidati in nome del fanatismo e radicalismo religioso. La persecuzione religiosa appare come la persecuzione più aberrante già nel significato dei termini, perché accosta due concetti che per loro natura sono opposti e che conducono ad esiti nefasti nella realtà.
Persecuzione è attuazione dell'odio verso colui che è diverso, ma, quando tale diversità risiede nella propria fede, nel Dio in cui si confida o nel quale si crede, ciò appare come una privazione della più intima libertà, la libertà di ogni essere Pag. 44umano pensante di professare, con le proprie parole e con i propri gesti, ciò in cui crede.
Il termine «cristianofobia» è quello che descrive più compiutamente questo fenomeno di portata universale e come tale è stato adottato dall'ONU sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007. Si è cercato, infatti, di qualificare la peculiarità di una persecuzione che si manifesta in odio cruento in Paesi dove il cristianesimo è una minoranza, ma trova fertile terreno anche in Occidente da parte di chi vuole negare la pertinenza pubblica della fede cristiana.
Il Novecento è stato il secolo dell'eccidio dei cristiani: in cento anni ci sono stati più martiri che nei duemila anni precedenti. Sono circa 100 milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo. Nel 2014 si stimano 4.344 vittime e 1.066 chiese attaccate.
In media, ogni mese, 322 cristiani vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede, 214 tra chiese ed edifici di proprietà dei cristiani sono distrutte e danneggiate e 722 sono gli atti di violenza perpetrati nei loro confronti. Essere cristiano, in Nordafrica o in Medio Oriente, non solo comporta emarginazione, ghettizzazione, violenze, considerato che si professa una religione minoritaria e diversa da quella ufficiale, ma anche la considerazione di essere percepiti come il prolungamento invadente del cristianesimo occidentale, l'incarnazione in chiave religiosa dell'Occidente ateo e peccatore.
Per questa ragione, i cristiani vengono eliminati in maniera sistematica. Nel 2014 e nel primo trimestre 2015 i cristiani si confermano, dunque, come il gruppo religioso maggiormente perseguitato: dalla Nigeria all'Africa subsahariana, dalla Siria all'Iraq, al Pakistan, è lunga la scia di sangue che li vede sempre più sotto attacco con arresti, deportazioni, torture, stupri e decapitazioni. Inoltre, è da rilevare che la persecuzione dei cristiani sta crescendo esponenzialmente persino in posti dove non era così marcata nel recente passato, come in alcune regioni dell'Asia e dell'America latina e specialmente nell'Africa subsahariana. Addirittura, secondo una rilevazione sottoposta al controllo dell'Organismo internazionale indipendente (International Institute for Religion Freedom), la Corea del nord è ancora al primo posto per il tredicesimo anno consecutivo ad essere contagiata dalla cosiddetta paranoia dittatoriale. I cristiani imprigionati negli orribili campi di prigionia nordcoreani oscillano tra i 50 mila e i 70 mila. Tra i crimini recenti più efferati, ricordiamo la barbara uccisione dei 21 cristiani copti, rapiti a Sirte, in Libia, dai miliziani affiliati allo Stato islamico, e l'esecuzione dello scorso 10 aprile, avvenuta in Pakistan, dove un adolescente di 14 anni di religione cristiana è stato arso vivo da alcuni giovani musulmani. Le limitazioni alla libertà religiosa conoscono un triste primato in Darfur, teatro di violenti stupri di massa, ma ancora più agghiaccianti sono i massacri compiuti in Nigeria dai fondamentalisti islamici di Boko Haram, lo stesso gruppo terroristico che si è reso protagonista di uno degli episodi più raccapriccianti: il rapimento, nella notte del 14 aprile 2014, di 275 ragazze cristiane, studentesse della scuola secondaria del villaggio di Chibok.
Non sono da meno i tormenti inflitti ai cristiani in Medio Oriente: in Iraq, dall'estate scorsa, sono centinaia di migliaia quelli costretti a fuggire dalle loro case sotto l'incalzare dell'avanzata dei jihadisti dell'Isis. Vi sono poi Paesi come il Kenya, in cui i cristiani rappresentano la maggioranza della popolazione, ma che, a causa delle tensioni religiose, connesse ad una situazione politica complessa, sono vittime di atti di persecuzione. Risale, infatti, al giovedì santo l'episodio di violenza jihadista ad un gruppo di estremisti somali contro un campus universitario, che ha provocato la morte di almeno 147 persone. Il mese scorso, davanti agli attentati mossi dinnanzi a due chiese in Pakistan, che hanno provocato 15 morti e 80 feriti, Papa Francesco ha parlato di una «persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere». E ancora, in occasione della messa per gli armeni, il Papa ha avuto modo di ricordare che «oggi stiamo Pag. 45vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva», «una terza guerra mondiale a pezzi», in cui «sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica» vengono perseguitati.
Non possiamo rimanere indifferenti davanti a tutto questo, soprattutto in un momento storico in cui il fronte dell'intolleranza sta toccando così tante nazioni nei diversi continenti. In questo clima, ciò che più colpisce è il silenzio delle istituzioni, nonché la mancanza di un'iniziativa forte e decisa a carico della diplomazia internazionale. L'integrazione europea, per essere autentica, deve fondarsi sul rispetto delle identità dei popoli, che vedono tra le sorgenti della propria civiltà il Cristianesimo, che è all'origine dell'idea di persona e della sua centralità.
Lo stesso principio di laicità dello Stato, che rappresenta una delle conquiste più importanti delle democrazie liberali e pluraliste, non implica indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato stesso per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale. La libertà religiosa assume, quindi, un ruolo fondamentale anche a garanzia del principio supremo di laicità dello Stato, sul quale si struttura la nostra democrazia. Di fronte a ciò che sta accadendo, anche a tutela dei principi che fondano le democrazie che la compongono, l'Europa, in particolare, ha il dovere di rivendicare con orgoglio i propri valori e la propria identità, senza rinunciare ad affermare le sue radici giudaico-cristiane, con piena consapevolezza delle origini culturali delle proprie idee e delle proprie istituzioni democratiche. È urgente un impegno per la rinnovata presa di coscienza e per l'individuazione di strumenti efficaci per scongiurare la fine violenta delle minoranze cristiane. La mozione di Forza Italia nasce con l'obiettivo di scuotere le istituzioni e spingere il Governo a promuovere ogni azione, a livello internazionale e nei rapporti bilaterali, volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei cristiani come priorità assoluta, al fine di poterla condannare e contrastare con ogni mezzo e al contempo promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la cristianofobia e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti. Il Governo deve mostrare il proprio impegno attraverso ogni iniziativa utile a garantire la tutela delle minoranze cristiane anche attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari e far valere, nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare dei cristiani e delle minoranze perseguitate. In questo clima di forte ostilità, dobbiamo essere promotori in prima persona affinché sia riconosciuto in tutto il mondo il diritto alla libertà religiosa. Solo così sarà possibile riscoprire il valore fondamentale di ciascun uomo, le sue potenzialità, le sue debolezze per poter rendere più abitabile ogni comunità di individui. La tutela del libero sviluppo della persona umana dovrebbe essere il principio fondamentale sottesa ad ogni società, su cui deve edificarsi l'agire delle istituzioni. Sarà possibile raggiungere tale obiettivo, seppur ambizioso, anche grazie ad una riscoperta del valore stesso della religione che nelle sue diverse interpretazioni affonda le proprie radici e valori nel senso dell'accoglienza, nell'incontro profondo con l'altro e ancor di più nella condivisione delle proprie difficoltà e del proprio bisogno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00692. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Signor Presidente, uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione Pag. 46e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge antiblasfemia, corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano, che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute trentasei delle quarantatré persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. Diciassette di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita, senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma. Ne sono un tragico esempio i due coniugi cristiani gettati in una fornace vivi il 4 novembre del 2014, a seguito di un'accusa di blasfemia.
Anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa, e si presta dunque facilmente a un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su trentadue casi registrati, dodici hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione.
Un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma, dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio.
In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania, contemplano la pena di morte per questo tipo di reato.
Gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In diciassette dei quarantanove Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla Costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose.
In Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta primavera araba, si è assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto, nel solo 2013, sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani.
In alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento di una tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano.
La radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia.
Uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila. La conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120 mila cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno ed ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole, negli edifici abbandonati e condividendo in più famiglie uno stesso appartamento.Pag. 47
Anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1.201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Dal 2001 all'ottobre 2013 nel Paese sono stati uccisi 32 mila cristiani, di cui 12 mila tra il 2011 e l'ottobre 2013. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale.
Molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa.
La Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.
Quindi, noi chiediamo, alla fine, degli impegni precisi, sulla base anche dei trattati internazionali, sulla base anche della Dichiarazione universale dei diritti umani, che spesso anche dai Paesi a grande maggioranza di religione islamica, sebbene sottoscritta, è completamente disattesa. È disattesa e lo dimostrano quei pochi fatti di cronaca che ogni tanto conquistano le prime pagine dei giornali occidentali.
Quindi, chiediamo al Governo degli impegni precisi: ad esempio, a promuovere l'istituzione di una Giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla propria fede; a rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico; ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose dei diversi Paesi, per acquisire informazioni dirette e per potere realizzare interventi più efficaci; a inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda di incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri e i loro omologhi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito; ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione; ad esercitare, poi, una chiara e dichiarata forma di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, dove essa risulti minacciata o compressa, per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di Governo sia attraverso un tacito assenso, e che vedano l'impunità degli autori di violenze, arrivando, laddove necessario, all'interruzione delle relazioni diplomatiche e commerciali; a stabilire, come principio imprescindibile alla negoziazione e conclusione di qualsiasi accordo internazionale, la garanzia della controparte che al proprio interno sia assicurata la libertà di professare qualunque religione e la libertà di cambiare religione o credo; infine, a farsi promotore, nelle sedi comunitarie e internazionali, della sospensione di ogni accordo multilaterale verso quei Paesi nei quali è applicata, anche parzialmente o su porzioni di territorio, la legge islamica, fino alla reale rimozione, da parte di questi Paesi, di ogni impedimento alla libera professione religiosa e Pag. 48alla cessazione di episodi di violenza contro comunità o singoli non islamici presenti sul territorio.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00483. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Presidente, il 2 luglio 2014 la Camera dei deputati ha approvato, a grandissima maggioranza, una mozione unitaria che aveva come oggetto la tutela della libertà religiosa. La mozione impegnava il Governo su vari fronti, che hanno ancora piena attualità, anche perché nel tempo sono andati moltiplicandosi gli episodi di intolleranza, con grave pregiudizio non solo per la libertà, ma anche per la vita delle persone.
«Ancora oggi, 11 maggio, si uccidono cristiani in nome di Dio, ma lo Spirito santo dà la forza di testimoniare fino al martirio». È quanto ha detto Papa Francesco nella messa del mattino a Casa Santa Marta, secondo quando ha riportato Radio Vaticana. Ha parlato, il Papa, della necessità di prendere sul serio questa dimensione e di tenere conto che lo scandalo della persecuzione e lo scandalo della croce appartengono, in qualche modo, alla vocazione cristiana. Ma nello stesso tempo, ha sollecitato tutti noi, soprattutto coloro che hanno responsabilità pubbliche, a intervenire perché ciò non accada. Che accada, quindi, è un fatto; che non accada è la nostra responsabilità.
La Dichiarazione universale dei diritti umani all'articolo 18, come è stato ricordato da molti dei colleghi che mi hanno preceduto, stabilisce che ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune e sia in pubblico sia in privato, la propria religione, il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.
È un'altra di quelle circostanze in cui notiamo come l'ONU sia capace di fare proclami di grande spessore, sia capace di sottolineare in modo molto alto il valore della dignità umana; peccato che poi non riesca a difenderlo nei fatti, non riesca ad esigere con concretezza che queste parole si traducano in una condotta coerente e concreta.
La mozione del luglio scorso sollecitava il Governo a denunciare ogni forma di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane, che vivono in contesti in cui sono più vulnerabili. Erano parole chiave: prevenire l'intolleranza, promuovere il dialogo interreligioso, rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, monitorare episodi di persecuzione religiosa, rafforzare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo.
Infatti, questo è il punto: in una società come quella in cui viviamo, in cui il rispetto dei diritti umani costituisce l'asse portante di tutte le scelte, corrisponde anche, in qualche modo, la giustificazione, a volte, di quella sorta di stravolgimenti sociali che si operano in virtù del rispetto dei diritti umani, e, se i diritti umani che si tutelano sono diritti umani veri, lo stravolgimento diventa necessario e dovuto. Viceversa, a volte, dimentichiamo che tra i diritti umani alcuni hanno più importanza di altri e vi è un bilanciamento di diritti che ci dovrebbe impegnare tutti quanti, veramente, con una capacità di fare rete tra di noi molto forte.
All'ONU, l'11 marzo 2015 – quindi, poco più di due mesi fa, anzi, rispetto ad oggi, esattamente due mesi fa – Heiner Bielefeldt, relatore speciale sulla libertà di religione o di credo durante la 28a sessione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, ha affermato: «Esistono violenze commesse in nome della religione e questo può portare a massicce violazioni dei diritti umani, compresa la libertà di religione o di credo».
L'analisi che faceva di questo tipo di violenze costituisce l'essenza stessa del rapporto ed è interessante vedere come in questa analisi si intreccino, da un lato, le iniziative prese da quella che noi consideriamo la nuova barbarie contemporanea, l'ISIS, dall'altro, vi sono strumentalizzazioni della religione per fini di potere Pag. 49o politici, come succede in alcuni altri Paesi proprio nell'area del Medio Oriente, da un'altra parte, include le politiche di esclusione etnica o religiosa, come avviene concretamente nei confronti delle minoranze cristiane.
Questa denuncia che fa il relatore speciale sulla libertà di religione parla anche della mancanza di uno stato di diritto che garantisca pace e stabilità. Proprio oggi il Papa ha ricevuto la «Fabbrica della pace», un gruppo non solo di bambini, ma un gruppo molto numeroso di coloro che costituiscono le nuove generazioni, proprio perché siano loro, in prima persona, costruttori di pace, costruttori di dialogo, costruttori di intesa.
Ma nel documento si parla anche, tra le cause che portano a questa sorta di guerra di religione, della mancanza di istruzione, della quale approfitta l'irrazionalità della violenza religiosa. Questo è un punto che deve farci riflettere molto: a volte, anche in Italia, quando si parla di istruzione e di religione, quando parliamo dell'insegnamento stesso della religione nelle scuole, vi è qualcuno che considera questo come una sorta di optional, come qualcosa che potrebbe essere facilmente sostituito da molte altre iniziative. Viceversa, solo una solida formazione, un'istruzione che vada a fondo su questi temi riesce poi a garantire quell'apertura di cuore e di mente che riesce a rendere tolleranti, aperti al dialogo e disposti alla collaborazione.
Le persecuzioni contro i cristiani sono cresciute in modo esponenziale in un'area del Medio Oriente dove il sedicente «califfato» islamico marchia con una «N», come nazareni, le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa. La lettera «N» da marchio d'infamia è diventata simbolo di una battaglia di libertà religiosa, perché, come ben sappiamo, «N» sta per nazareno e nazareno sta per cristiano.
Fino al 1990, anno della prima guerra del Golfo, i cristiani in Iraq erano circa 600 mila, il 3,2 per cento della popolazione, stimata in 18 milioni. Con gli anni dell'embargo, 1990-2003, inizia il calo e si passa dai 554 mila del 2003, variamente ripartiti, fino alla cifra attuale, che non raggiunge nemmeno i 400 mila.
Con l'occupazione di Mosul e di parte della Piana di Ninive, la presenza cristiana è a rischio estinzione. Oggi, i cristiani sono stimati attorno ai 250 mila, meno dell'1 per cento della popolazione.
«La difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese», così disse Giovanni Paolo II, nell'ottobre del 2003, ai partecipanti all'Assemblea parlamentare. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani. Questo per dire che la libertà religiosa non è un diritto in più, ma è il diritto dei diritti, perché è il diritto che tocca la sfera più intima, la sfera più profondamente personale, di ogni uomo. In quella, come in molte altre occasioni, Papa Wojtyla sottolineò la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni, incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali. Anche un solo uomo, cristiano o non cristiano, martire per la propria fede è comunque troppo, soprattutto in una civiltà che si definisce pluralista e che fa della tutela dei diritti umani la vera cifra della nostra modernità.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

PAOLA BINETTI. Gli impegni che noi chiediamo al Governo in questa nostra mozione, sono impegni abbastanza articolati che vanno dall'istituzione di una giornata europea per ricordare i martiri uccisi in odio alla fede e alla religione (pochi giorni fa abbiamo votato in quest'Aula la giornata di coloro che sono morti nel mar Mediterraneo, vittime di una fuga non solo dalla povertà, ma anche proprio dalla mancanza di libertà religiosa nei loro Paesi), alla richiesta di valutare il rispetto della libertà religiosa, come condizione per la concessione di aiuti a Paesi terzi. Vogliamo organizzare incontri con i rappresentanti Pag. 50delle minoranze religiose presenti in Italia, per acquisire informazioni dirette e poter, quindi, realizzare interventi umanitari più efficaci. Vogliamo inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda degli incontri internazionali tra il nostro Governo e i Governi di altri Paesi. Vogliamo assicurare protezione ai perseguitati, non solo a quelli che lo sono per motivi religiosi, ma in modo particolare a coloro che lo sono per motivi religiosi. Vogliamo chiedere che nei Paesi partner una quota dei posti nel pubblico impiego sia riservata alle minoranze religiose. E, per concludere, vogliamo assumere l'iniziativa in sede europea e internazionale della costituzione di un gruppo che reagisca alle violenze più efferate e tuteli popolazioni e comunità oggetto di massacri e di persecuzioni. Vogliamo dire «no» a quel silenzio che troppe volte circonda la persecuzione in particolare dei cristiani, come è successo anche recentissimamente ai giovani universitari che sono morti in Kenya e in molte altre occasioni.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giuliani. Ne ha facoltà.

FABRIZIA GIULIANI. Grazie. Presidente, ci troviamo a discutere di una tematica molto delicata e di portata globale, cioè di libertà religiosa che, come anche hanno ricordato le colleghe prima di me, è indubbiamente un valore irrinunciabile, ma aggiungerei anche che dovrebbe essere e deve essere un pilastro delle nostre società pluraliste, un pilastro del nostri sistemi democratici e liberali, ma soprattutto – e mi chiedo come un cittadino e una cittadina europea non possa ricordarlo – una conquista, un'acquisizione preziosa, mai fatta propria una volta per tutte, ma invece da difendere e tutelare sempre. Questa conquista, credo che sia opportuno ricordarlo, si lega indissolubilmente con un processo di secolarizzazione e laicizzazione degli Stati nazionali. Una laicità non da intendere come contrasto alla religione, ma anzi tutela dei diritti degli appartenenti a tutte le confessioni presenti sul territorio, nonché dei non credenti. Una libertà che si collega a quella di espressione formazione, educazione e sviluppo di ogni individuo. Esiste una libertà religiosa cosiddetta positiva, che costa nella possibilità di professare e manifestare la propria fede, ed una libertà religiosa cosiddetta negativa, che costa nell'impossibilità di negare, in nome del proprio credo, la libertà religiosa altrui. Questo è un aspetto che noi, nella mozione del Partito Democratico, abbiamo sottolineato, perché è esattamente quanto viene ribadito nei documenti giuridicamente fondativi che segnano la storia europea e nazionale.
Non è un caso se tale libertà sia stata inserita all'interno della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, all'indomani delle atrocità della seconda guerra mondiale, e che insieme allo statuto del 1945 componga i documenti fondativi delle Nazioni Unite.
Riporto questi dati perché credo che in essi si ritrovi la memoria dei conflitti sanguinosi che hanno attraversato il nostro continente. In queste parole troviamo la ricerca della qualità democratica, che l'Europa è chiamata ad esprimere in ragione della sua storia ancora incompiuta, ossia la garanzia dell'esercizio delle libertà, nel rispetto della garanzia e della tutela dei diritti umani. Se oggi l'affermazione di questi principi, come documenta tristemente la cronaca giornaliera, viene brutalmente disattesa, credo che sarebbe un errore grave e imperdonabile leggere questi fenomeni in modo semplicistico, pensando che si possano risolvere con soluzioni altrettanto semplicistiche o sventolando il vessillo della guerra di civiltà, tra un Occidente libero e un resto di mondo atavico, illiberale e composto esclusivamente da un terrorismo pronto alla violenza.
A proposito, vorrei riportare, senza davvero alcuna intenzione di strumentalità, le parole di Francesco, il Pontefice, pronunciate a proposito del massacro degli armeni, che veniva ricordato dalla collega Centemero poco fa, che appunto il Pontefice non ha esitato a nominare come genocidio. Nella scelta di un termine così Pag. 51pesante e carico di storia, a mio avviso, si legge una scelta precisa, non solo quella di dare un nome alle cose e di nominare le cose senza timore e senza estenuate distinzioni storiografiche su che cosa sia genocidio e cosa non lo sia e se vengano chiamate in causa la razza, la stirpe o la religione. Questa scelta io credo abbia un senso soprattutto oggi, quando queste persecuzioni violente e crudeli si ripropongono, perché, come ben sappiamo, le ragioni che le animano sono da ricondurre ad altro. Sono spesso da ricondurre a ragioni economiche, politiche, belliche, geopolitiche. Del resto, così è sempre avvenuto nella storia. Ma trovano, appunto, l'alibi e la veste, oggi come ieri, in un senso del tutto improprio del concetto di appartenenza: la razza, la stirpe e la religione. Infatti, gli atti di violenza commessi in nome della religione continuano a dominare la scena internazionale, generando intolleranza, spesso alimentata e strumentalizzata, che sempre più di frequente produce azioni collettive aberranti a danno di minoranze.
In molti Paesi vi sono ancora discriminazioni di ordine giuridico costituzionale oppure vere e propria ostilità religiose, spesso legate a tensioni tribali. In diversi casi vi sono gruppi che opprimono o addirittura cercano di eliminarne altri. Ci sono Stati autoritari che tentano di limitare le attività di un particolare gruppo religioso. Del resto, se diamo uno sguardo ai dati della libertà religiosa nel mondo, c’è più di un motivo per allarmarsi: circa il 74 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che spesso si traducono in persecuzioni; recenti studi mostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani e sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui si subiscono persecuzioni, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono comunque discriminati a causa del proprio credo.
Queste violazioni sono state più volte denunciate anche dalle Nazioni Unite e non riguardano solo il mondo cristiano e io questo lo vorrei ricordare. La follia omicida dell'Isis, per esempio, colpisce con eguale crudeltà gli yazidi, i musulmani sciiti e i musulmani sunniti, che non accettano le prevaricazioni dei terroristi. Sono rase al suolo non soltanto le chiese, ma anche i templi, le moschee e i minareti.
Le continue violazioni della libertà religiosa, ispirate dall'odio ultrafondamentalista causano morte, sofferenze, esilio, perdita delle persone care e dei propri affetti. Viene recisa alla radice ogni forma di relazione. Del resto, il divieto di cambiare religione è tuttora in vigore in 39 Paesi, la quasi totalità dei quali seduti nel consesso dell'ONU. Viene violata, quindi, la Dichiarazione universale dei diritti di umani citata in precedenza, che, con la loro adesione, questi Paesi si sono impegnati a rispettare. Accade con troppa facilità, ormai, che i diritti umani, che sono davvero il nesso più importante in questa discussione sulle libertà religiose, siano violati in nome della fede.
Invece, ogni Stato dovrebbe poter garantire il rispetto e la possibilità di professare la propria fede, qualunque essa sia. La trappola degli estremisti è volerci far credere che la religione sia fonte di divisione. Invece, è e deve essere parte fondante della pace tra i popoli, unica vera garante di uno sviluppo umano ed economico globale.
In questo crescente clima di odio e di intolleranza, le organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Unione europea e gli Stati tutti, debbono far sentire la loro voce e tenere alta l'attenzione su questa tematica così importante e così foriera di pace o di guerra. Lo scorso 8 novembre a Oslo, presso il centro dei Nobel per la pace, 30 parlamentari provenienti da ogni parte del mondo hanno sottoscritto la Carta della libertà di religione e di credo, come impegno alla promozione della medesima nel proprio ruolo di parlamentari e attraverso la cooperazione globale tra istituzioni rappresentative.
Il Parlamento e il Governo italiani, che sono stati rappresentati in questo incontro, Pag. 52non possono chiamarsi fuori da questa sfida per la reputazione, la tradizione e l'identità universalmente riconosciute nel nostro Paese. L'Italia è una nazione impegnata nella costruzione della pace e del dialogo tra le religioni. In Italia sono presenti fedeli di religione ebraica da oltre 2 mila anni e, seppure nel recente passato si sono avuti episodi di intolleranza, questo rappresenta per tutte le istituzioni un monito a contrastare sempre, senza riserve, gli episodi di antisemitismo riemersi prepotentemente negli ultimi tempi. Del resto, anche Papa Francesco ha fatto un appello per porre fine al dramma umanitario in atto e perché la comunità internazionale si adoperi a proteggere i minacciati di qualunque religione.
Non scordiamo – e vado a concludere – che questa tematica si lega a doppio filo con l'enorme questione dell'immigrazione. Conosciamo bene, non possiamo non farlo, i volti e le storie di migliaia di uomini, donne e bambini che quotidianamente fuggono da persecuzioni e oppressioni, cercando in Italia la speranza di un futuro lontano dal terrore e dalla povertà. È di oggi la notizia che due imbarcazioni con a bordo circa 300 migranti – vado davvero a concludere –, provenienti dalla Birmania, sono state soccorse da alcuni pescherecci al largo delle coste dell'Indonesia.
Per contrastare efficacemente l'estremismo e il fondamentalismo religioso che sono alla base dell'intolleranza, è necessario lavorare alla costruzione di progetti, come quello di Oslo, che parlano di cooperazione e coinvolgono il numero maggiore di attori nazionali, europei e internazionali, volti a tutelare le minoranze religiose e a promuovere una cultura della tolleranza religiosa.
Quest'anno scadranno i tempi fissati per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio. Io penso che l'inserimento della questione della libertà religiosa, appunto positiva, e la protezione delle minoranze nei Paesi a rischio siano tra le priorità da inserire nell'agenda e che debba soprattutto essere un obiettivo concreto per il nostro Paese.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di espressione del parere sulle mozioni.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 12 maggio 2015, alle 10:

1. – Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

(ore 15)

2. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
CIRIELLI ed altri; DURANTI ed altri; GAROFANI ed altri; ARTINI ed altri: Disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali (C. 45-933-952-1959-A).
Relatori: Manciulli, per la III Commissione; Causin, per la IV Commissione.

3. – Seguito della discussione delle mozioni Guidesi ed altri n. 1-00755, Franco Bordo ed altri n. 1-00818, Tullo ed altri n. 1-00819, Garofalo ed altri n. 1-00820, Nicola Bianchi ed altri n. 1-00821, Palese n. 1-00823, Catalano ed altri n. 1-00828, Rizzetto ed altri n. 1-00829 e Rampelli ed altri n. 1-00848 concernenti iniziative di competenza in ordine alla razionalizzazione della rete degli uffici postali.

4. – Seguito della discussione delle mozioni Vezzali ed altri n. 1-00557, Segoni ed altri n. 1-00834, Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00835, Gagnarli ed altri n. 1-00836, Binetti ed altri n. 1-00837, Pag. 53Malpezzi ed altri n. 1-00839, Faenzi ed altri n. 1-00841, Rondini ed altri n. 1-00842 e Gigli ed altri n. 1-00844 concernenti iniziative per la promozione dell'educazione alimentare nelle scuole.

5. – Seguito della discussione delle mozioni Capelli, Piras, Vargiu ed altri n. 1-00697, Nicola Bianchi ed altri n. 1-00850, Nizzi ed altri n. 1-00851, Mura ed altri n. 1-00854 e Piso ed altri n. 1-00855 concernenti interventi a favore della Sardegna.

6. – Seguito della discussione delle mozioni Dambruoso, Pagano, Capezzone, Catania, Fauttilli ed altri n. 1-00760, Carfagna ed altri n. 1-00827, Rondini ed altri n. 1-00692, Binetti ed altri n. 1-00483, Grande ed altri n. 1-00849, Bechis ed altri n. 1-00856 e Preziosi ed altri n. 1-00857 concernenti iniziative in sede europea e internazionale per la protezione dei perseguitati per motivi religiosi.

La seduta termina alle 19.

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