XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 215 di venerdì 18 aprile 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

La seduta comincia alle 9,10.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Balduzzi, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brescia, Brunetta, Casero, Castiglione, Cicchitto, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Ferranti, Fontanelli, Franceschini, Gasbarra, Giacomelli, Gozi, Legnini, Leone, Lotti, Lupi, Orlando, Pes, Ravetto, Realacci, Rughetti, Scalfarotto, Speranza, Tabacci, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 9,14).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 17 aprile 2014, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla Commissione VI (Finanze):
S. 1387 – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2014, n. 25, recante misure urgenti per l'avvalimento dei soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia (Approvato dal Senato) (2309) – Parere delle Commissioni I, II, V e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione di cui all'articolo 16-bis del Regolamento.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (A.C. 2208-A) (ore 9,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2208-A: Conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese.
Ricordo che, nella seduta del 26 marzo 2014, sono state respinte le questioni pregiudiziali Pag. 2Cominardi ed altri n. 1 e Migliore ed altri n. 2.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2208-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Sinistra Ecologia Libertà, MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione Lavoro si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, deputato Dell'Aringa.

CARLO DELL'ARINGA, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, il mio intervento riguarda l'esposizione dei principali punti e aspetti affrontati nel testo approvato dalla XI Commissione relativi alle proposte di modifica del decreto-legge n. 34 del 20 marzo 2014. Andrò in ordine di articoli di tale decreto-legge e i miei commenti riguarderanno essenzialmente gli articoli 1 e 2, che contengono le misure più importanti, anche quelle più contrastate del provvedimento; almeno contrastate nell'ambito delle audizioni che noi abbiamo condotto con esperti, studiosi, associazioni delle categorie produttive e sindacali e che hanno portato naturalmente contributi importanti al dibattito, ma che hanno anche manifestato pareri completamente opposti sui contenuti, in particolare, di questi due articoli: il primo, che contiene misure sul contratto a termine e il secondo, sull'apprendistato.
Prima di illustrare le proposte di modifica avanzate dalla Commissione nel testo approvato a maggioranza nella stessa, ricordo alcuni contenuti del decreto-legge, articolo per articolo, distinguendo il primo articolo dal secondo.
L'articolo 1 del decreto-legge n. 34 – e questo, tra l'altro, era contenuto anche nella relazione iniziale che avevo esposto all'inizio dei lavori della Commissione – reca norme in materia di contratti a tempo determinato e somministrazione di lavoro a tempo determinato, con l'obiettivo di facilitare il ricorso a tali tipologie contrattuali. Infatti, l'obiettivo del decreto è di portare ad una semplificazione della normativa per aiutare le imprese e indurle a procedere ad assunzioni, meno complicate, meno costose, di lavoratori a contratto a tempo determinato, facilitando il ricorso a tali tipologie contrattuali; a tal fine, il decreto prevede la seguente normativa. La disposizione modifica in più parti il decreto legislativo n. 368 del 2001 e il decreto legislativo n. 276 del 2003, che sono le principali fonti – in particolare il n. 368 del 2001 – che regolano il contratto a tempo determinato.
Il decreto-legge n. 34 prevede, in primo luogo, l'innalzamento da 12 a 36 mesi, comprensivi di eventuali proroghe, della durata del rapporto a tempo determinato che non necessita dell'indicazione della causale per la sua stipulazione. Questa direi che è forse una delle due principali innovazioni di semplificazione del decreto legislativo: in termini tecnici, si chiama «acausalità» del contratto a termine per l'intero periodo massimo che le imprese possono utilizzare per un contratto a termine, ossia 36 mesi; non è, quindi, più richiesto che il datore di lavoro giustifichi, motivi, individui le ragioni per cui viene apposto un termine al contratto di lavoro subordinato.
Si tratta di un'innovazione molto importante; non è la prima volta naturalmente che viene affrontato questo tema. Già nella cosiddetta legge Fornero, l’«acausalità» era stata introdotta per un primo contratto di durata di 12 mesi; era stata affrontata marginalmente anche nel decreto-legge n. 76 del 2013, ma adesso certamente estendere ai 36 mesi, tutto il periodo massimo, il principio dell’«acausalità», togliere ogni esigenza di motivazione, rappresenta un'innovazione di grande portata.
In secondo luogo, secondo tale decreto-legge si prevede che il contratto possa Pag. 3essere prorogato fino a otto volte, a condizione che le proroghe si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato inizialmente stipulato. È la seconda grande novità relativa al contratto a termine: precedentemente, nell'ambito di un contratto o del suo rinnovo, era ammessa una proroga, mentre adesso, con tale decreto-legge, ne sono ammesse otto. Si tratta anche in questo caso di un cambio radicale, perché, precedentemente, era possibile rinnovare un contratto al massimo fino a 36 mesi, ma sappiamo che la legge mette le imprese in condizioni particolari quando vogliono rinnovare un contratto a termine, sia pure per la stessa attività prevista per il lavoratore, e devono far passare un certo periodo di tempo, di 10 o 20 giorni, tra un contratto e l'eventuale rinnovo e ciò complica certamente la vita all'impresa. D'altra parte, la legge non voleva complicare la vita alle imprese, ma voleva indurre le stesse a non utilizzare troppo questo contratto di lavoro, considerato che il contratto – diciamo così – normale deve essere quello a tempo indeterminato. Adesso, con otto proroghe, naturalmente questo ostacolo a rinnovare i contratti non c’è più, almeno per otto volte: questo nel testo originario.
In terzo luogo, infine, si introduce un limite quantitativo, stabilendo che il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore di lavoro non possa eccedere il limite del 20 per cento dell'organico.
Questo è il baluardo, diciamo così, che il legislatore, nel decreto-legge n. 34, pone all'utilizzo del contratto a termine, che adesso viene molto più facilitato. Ecco, per lo meno il numero di contratti a termine non deve superare una certa percentuale. Non è una novità nel panorama delle nostre regole sul contratto a termine. Queste sono norme che spesso sono inserite nei contratti collettivi nazionali di lavoro, ma il legislatore adesso le fa proprie. Quindi, imprese, dice il legislatore, siete maggiormente facilitate ad instaurare questi contratti, avete le proroghe, non dovete accennare alla causale, ma dovete rispettare un tetto. Bene, questo è il contenuto essenziale del decreto-legge.
La Commissione propone le seguenti modifiche, che rappresentano, da un lato, degli effettivi miglioramenti, nel senso di introdurre delle precisazioni necessarie che rappresentano dei veri miglioramenti del testo. Non entro nei particolari, ma certamente quando, nel decreto-legge n. 34, si fa riferimento al 20 per cento dell'organico complessivo, c'era la necessità di precisare meglio come questo 20 per cento dovesse essere calcolato.
Quindi, questo è un contributo importante, che il testo della Commissione fornisce per una maggiore completezza del testo del decreto-legge, anche nella prospettiva di evitare eventuali contenziosi che possono sorgere su questo punto, che diventa cruciale, perché costituisce l'unico vero grande vincolo che hanno le imprese nell'attivazione dei contratti a termine.
Poi si interviene anche, però, su un punto qualificante, politico, come è stato detto, cioè il numero di proroghe. È inutile che mi dilunghi su questo aspetto che ormai è all'attenzione della stessa opinione pubblica da tanto tempo. Si diceva: otto proroghe possono essere tante, dovremmo ridurle. Perfino il Ministro, nel corso di vari colloqui, anche pubblici, ha ammesso che, in effetti, il numero delle proroghe poteva essere oggetto di una revisione e che otto poteva essere considerato un numero elevato. Al riguardo, la Commissione propone di ridurre le proroghe da otto a cinque e devo rilevare, a questo punto, che cinque volte rappresenta già un numero piuttosto elevato.
Insomma, ricordiamoci (lo dico con parole «a braccio», perché, a volte, le cose si spiegano meglio «a braccio», quando si tratta di argomenti così complicati, per cui leggere una relazione rischia di risultare anche poco comprensibile) che prima l'impresa doveva assumere un lavoratore, poteva prorogare il contratto una volta, ma, scaduto il termine, doveva attendere 10 o 20 giorni prima di rinnovare il contratto, con tutte le conseguenze del caso in termini di ostacoli, voluti per impedire che Pag. 4l'impresa facesse un eccessivo ricorso ad esso. Adesso «no», adesso per ben cinque volte l'impresa può prorogare questi contratti, il che vuol dire che non c’è rinnovo, vuol dire che il giorno prima l'impresa ed il lavoratore si mettono d'accordo, dicendo: vogliamo rinnovarlo per altri cinque mesi ? Bene, allora si scrivono e si va avanti così. Non c’è alcun obbligo di motivazione, non c’è alcun obbligo di attendere 10 o 20 giorni e si va avanti.
Si tenga conto che, per quanto alcuni contratti a tempo determinato siano anche di brevissima durata, per un'impresa che utilizza questi contratti per un periodo medio di tre o quattro mesi, cinque volte significa (4 per 5 uguale 20) 20 mesi; per quasi due anni il datore di lavoro può assumere un lavoratore senza specificare il motivo, senza che vi sia un termine e senza avere alcun ostacolo al fatto di rinnovare continuamente il contratto di lavoro. Cinque volte sembrava veramente un numero tale da giustificare, diciamo così, l'obiettivo e la ragione stessa del decreto-legge, cioè facilitare le imprese nell'attivare questi contratti a termine.
Sempre nell'articolo 1 – vado velocemente e chiudo sull'articolo 1, per poi affrontare l'articolo 2 e svolgere alcune considerazioni finali – si introducono alcune norme che regolano il regime transitorio e si introduce un aspetto che, nel testo, non c'era, ossia l'obbligo di rispettare il 20 per cento non previsto nel testo originario del decreto-legge.
Cosa capita al datore di lavoro che non rispetta il limite del 20 per cento e, invece del 20 per cento, arriva al 21 o al 22 per cento ? Occorreva individuare la sanzione, come c’è la sanzione in casi del genere, come nel caso dell'apprendistato. Anche per gli apprendisti, il datore di lavoro deve rispettare dei vincoli quantitativi e, se non li rispetta, se ci sono apprendisti assunti in eccesso rispetto a questi vincoli quantitativi, da rispettare, la sanzione è che, allora, quel rapporto di apprendista viene trasformato in un rapporto a tempo indeterminato. Noi abbiamo applicato lo stesso tipo di sanzione per quanto riguarda il rapporto a termine. Qui, certamente, le opinioni possono essere diverse, la sanzione poteva essere anche di tipo pecuniario. La Commissione ha scelto questa, nel suo testo, per renderla omogenea a quella dell'apprendistato. Ricordiamoci che questo del 20 per cento del tetto massimo è l'unico vincolo forte che il decreto-legge pone all'impresa nell'utilizzo di questi rapporti di lavoro che, ricordiamo, anche secondo quanto ci dice la Commissione europea, devono avere una natura eccezionale, non devono avere una natura di normalità, essendo normale il rapporto a tempo indeterminato.
Signor Presidente, poi, naturalmente, abbiamo introdotto i diritti di precedenza su cui si è soffermata anche l'attenzione dell'opinione pubblica. Il diritto di precedenza c'era già nella legge n. 368 del 2001 e riguardava il fatto che un lavoratore a termine, concluso il periodo di contratto a termine, se questo era durato più di sei mesi, aveva diritto alla precedenza se l'impresa decideva di attivare, per lo stesso tipo di mansione, un contratto a tempo indeterminato. Non solo, ma la legge n. 368 già prevedeva nel 2001 che i lavoratori stagionali avessero diritto di precedenza per quanto riguardava l'attivazione da parte dell'impresa di un contratto a termine per la stessa mansione. Noi abbiamo allargato questo campo, soprattutto per le donne in congedo di maternità.
Per le donne in congedo di maternità, abbiamo previsto che tale congedo possa essere conteggiato nel computo del periodo del contratto a termine (sei mesi), dopo il quale scatta l'eventuale diritto di precedenza. Non solo, ma il diritto di precedenza per le donne in congedo di maternità l'abbiamo allargato al contratto a tempo determinato. Abbiamo voluto dare un contributo, cosiddetto mainstream di genere. Abbiamo raccolto anche le sollecitazioni di tutti coloro, uomini e donne, che, nell'ambito della Commissione, sostenevano che molto spesso, nell'affrontare i temi del lavoro, il rafforzamento del mainstream di genere era stato dimenticato. Senza eccedere nel porre vincoli alle imprese, perché si tratta di una precedenza che va in ogni caso prevista per i dodici Pag. 5mesi successivi alla fine del contratto a termine, questa possibilità è stata allargata anche alle donne in congedo di maternità.
Passo al secondo articolo del decreto-legge n. 34 del 2014, che non leggo per risparmiare un po’ di tempo, in quanto mi rendo conto di averne già utilizzato parecchio. Quindi, anche qui vado a braccio.
Il decreto-legge n. 34 del 2014 interviene su tre aspetti fondamentali del contratto di apprendistato, tre aspetti importanti, di annullamento di alcuni aspetti e di alcune caratteristiche del contratto di apprendistato. Prima caratteristica: ci deve essere un progetto formativo per l'apprendista. La legge prevedeva che doveva essere scritto. Il decreto-legge n. 34 afferma che non è necessario che sia scritto.
Secondo aspetto: era prevista, per il contratto di apprendistato, una formazione, esterna o interna, ma di carattere generale, trasversale, su contenuti di carattere formativo generale, non specifico, professionalizzante, tecnico, da farsi sul posto di lavoro. Una formazione che doveva essere garantita dalle regioni. Conosciamo le difficoltà delle imprese a ottenere una buona e possibile formazione esterna da parte delle regioni. Molto spesso le regioni non sono in grado di concederla, di garantirla, per mancanza di risorse, per mancanza di organizzazione. E l'impresa era in difficoltà, può essere in difficoltà. Perché se non c’è, il contratto non è valido, deve essere trasformato in tempo indeterminato. Allora, secondo aspetto, il decreto-legge azzera l'esigenza, l'obbligo e lo rende solo facoltativo.
Terzo aspetto, l'impresa deve trasformare, alla fine del periodo di apprendistato, una parte degli apprendisti e li deve confermare in un rapporto a tempo indeterminato: 50 per cento, secondo la cosiddetta legge Fornero, ridotto al 30 per cento nel periodo transitorio. Si considerava anche questo un onere troppo forte per le imprese: azzerato, non c’è più l'obbligo di trasformazione dei contratti di apprendistato, che non era un obbligo in assoluto, era un obbligo che costituiva una condizione da rispettare se l'impresa voleva assumere ulteriori apprendisti. Ha dieci apprendisti ? Per assumere ulteriori apprendisti, ne doveva confermare cinque: azzerato anche questo obbligo.
Questo è un aspetto importante che le aziende hanno accolto con grande favore come semplificazione. Tutte le associazioni imprenditoriali che noi abbiamo ascoltato nelle audizioni hanno detto: questo veramente ci libera da tutte le complicazioni, siamo estremamente favorevoli all'azzeramento di queste esigenze. Certamente, questo era un parere. Dalla parte opposta c'erano pareri soprattutto delle organizzazioni sindacali, ma anche di esperti che dicevano: se noi togliamo tutte queste caratteristiche all'apprendistato, possiamo ancora chiamarlo apprendistato ? La formazione esterna, la forma scritta del piano formativo, una condizione di trasformazione se si vogliono assumere altri apprendisti: questa è stata la fortissima obiezione che noi abbiamo raccolto nell'ambito della Commissione. E da qui abbiamo introdotto tre modifiche su ciascuno di questi tre punti. Dire che abbiamo adottato vie di mezzo sarebbe banale, perché è come dire: salviamo una cosa e l'altra e ci mettiamo di mezzo per vedere di salvare il possibile. Però, riteniamo che siano anche soluzioni di equilibrio.
Quindi, la forma scritta ci deve essere ma deve essere inserita nel contratto; la formazione è obbligatoria ma solo se le regioni la propongono alle aziende: se entro 45 giorni le aziende non ricevono questa comunicazione, sono libere dall'obbligo e, per quanto riguarda la trasformazione, non il 50 per cento, ma solo il 20 per cento per le imprese sopra i 30 dipendenti. Questo è tutto quanto.
Noi riteniamo che questi suggerimenti possano andare incontro alle esigenze di semplificazione della flessibilità delle imprese ma rappresentano, oltre ad alcune proposte che migliorano il testo, e sono un contributo; qui si trattava di trovare un migliore equilibrio tra le esigenze di flessibilità da parte delle imprese e alcune garanzie per i lavoratori.

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PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare la deputata Chimienti. Ne ha facoltà.

SILVIA CHIMIENTI. Signor Presidente, il decreto-legge in discussione oggi e che abbiamo esaminato in Commissione lavoro in questi giorni è il primo vero atto politico del Governo Renzi, il primo prodotto legislativo concreto dopo mesi di sparate in TV, sui giornali e su qualunque mezzo di informazione. È rubricato «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese», ma questo titolo è solo fumo negli occhi. Per essere sinceri e onesti intellettualmente, dovremmo definirlo: disposizioni urgenti per favorire il rilancio della precarizzazione perenne.
Ebbene sì, Presidente, precarietà, precarietà e ancora precarietà. Ecco la ricetta magica di Renzi per combattere la disoccupazione, giovanile e non. Creare eterni precari, creare nuovi schiavi moderni attraverso l'istituzione di un meccanismo insano, malato che minerà la vita di milioni di cittadini, distruggendo preziose professionalità e costringendo la stessa persona a cambiare mestiere più e più volte, penalizzando esperienze e competenze a cui il nostro Paese dovrà giocoforza rinunciare in nome della flessibilità. È vero, può anche essere che la percentuale di disoccupati calerà nel breve periodo, ma a che prezzo ? A un prezzo altissimo, Presidente, che noi del MoVimento 5 Stelle non siamo disposti a far pagare ai nostri cittadini. Il prezzo è lo smantellamento di ogni tutela, di ogni diritto faticosamente conquistato nel secolo scorso, anche a costi altissimi.
Per qualche mese calerà il tasso dei disoccupati, forse, questo è tutto da vedere, ma caleranno drasticamente e per sempre anche i diritti e le tutele dei lavoratori, e questo noi non possiamo permetterlo. La dignità delle persone in cambio di qualche punto percentuale di disoccupazione, nell'immediato, in meno: ecco il primo atto politico del mandato di Renzi, con cui viene gettata immediatamente la maschera bonaria e rassicurante dei primi giorni da libro dei sogni.
Ci stiamo risvegliando in un incubo, in cui, più che avvicinarci al nostro reddito di cittadinanza, si sta riuscendo solo nella difficile impresa di peggiorare la legge Fornero.
In questo caso, il silenzio dei media sul tema dovrebbe far riflettere. Non abbiamo letto titoloni edulcorati e trionfalistici su questo decreto-legge, non abbiamo letto dichiarazioni entusiaste da parte dei membri del Governo. Il licenziamento del testo in Commissione è passato quasi sotto silenzio, mentre sulle prime pagine dei giornali continuano a riecheggiare da settimane titoloni che non significano nulla: job act, 80 euro, 4 miliardi per la scuola. Comprendiamo a pieno il silenzio assordante di tutte le forze politiche che sostengono l'approvazione di questo decreto-legge. Forse, anzi sicuramente, anche loro sanno in fondo che questo testo è una vergogna, uno schiaffo ai diritti dei lavoratori e all'Unione europea. Sì, Presidente, quell'Unione europea che fa tanto comodo richiamare in causa quando bisogna giustificare l'adozione di misure recessive, oggi viene clamorosamente sbeffeggiata, dimenticata e calpestata.
Questo decreto-legge è un insulto alla direttiva 1999/70/CE, anzi ne sancisce la palese violazione, abolendo la causalità, l'obbligo di giustificare per iscritto le ragioni oggettive tali da dover motivare un'assunzione a tempo determinato. Il Governo sta violando la direttiva e sta consentendo a qualunque datore di lavoro di scegliere, senza alcun limite, tra assunzioni stabili e assunzioni instabili. Potrà scegliere solo in base alla propria convenienza, senza alcun vincolo e senza dover rendere conto a nessuno. Si sta invogliando il datore di lavoro a creare eterni precari, insomma, perché da oggi, in barba alla direttiva europea, sarà possibile assumere sempre e in ogni caso a tempo determinato. Se a questo aggiungiamo l'estensione dei contratti a tempo determinato a 36 mesi, comprensivi di cinque Pag. 7proroghe, il dado è tratto. Noi del MoVimento 5 Stelle ci siamo chiesti se abbiate dei figli, se vi rendiate conto di cosa voglia dire essere prorogati per cinque volte consecutive, sperando ogni volta che quella sia la volta buona in cui finalmente si viene stabilizzati e, alla fine dei 36 mesi, essere lasciati a casa.
La ricetta dell'innovatore Matteo Renzi, tuttavia, oltre ad essere sbagliata e fallimentare, è una ricetta vecchia di vent'anni, come ha sottolineato il professor Luciano Gallino in una interessante intervista che vi invito a leggere. Stiamo parlando dell'idea dei primi anni Novanta, secondo cui occorreva smantellare e ridurre la protezione giuridica del lavoratore per creare nuovi posti di lavoro: un'idea che non ha mai trovato alcuna conferma, anzi, nel 2006, la stessa OCSE, dopo una serie di risultati imbarazzanti, ha ammesso la contraddittorietà del fenomeno. Secondo questa teoria, tanto più alto era l'indice di LPL (legislazione a protezione dei lavoratori), quanto più alta sarebbe dovuta essere la disoccupazione. Ebbene, l'indice di LPL per l'Italia, nel 1994, era superiore a 3,5; dopo dodici anni, con le riforme delle leggi Treu e Maroni-Sacconi, era sceso a 1,5, dunque più che dimezzato, ma nel frattempo i precari sono aumentati e sono diventati 4 milioni.
La riforma Fornero ha seguito la stessa scia, facendo scempio dell'articolo 18, e ora arriva questo decreto-legge, che favorirà, se possibile ancor di più, la mobilità in uscita. Dunque, nel 2014 continuiamo a perseverare con la medesima tecnica che ha prodotto l'attuale disastro sociale, diminuendo ulteriormente le garanzie a tutela del lavoratore. La stessa logica perversa, che camuffa sotto forma di sburocratizzazione e snellimento delle procedure la violazione della sostanza degli istituti giuridici, anima anche l'articolo 2 del decreto-legge relativo al contratto di apprendistato.
Partiamo dal nome del contratto in questione: «apprendistato» deriva dal verbo apprendere e dovrebbe, appunto, servire per acquisire una serie di competenze pratiche e teoriche. Cosa fa il Governo per rilanciare questo istituto ? Elimina l'obbligatorietà della formazione per gli apprendisti. Ci sembra normale ! Libera, dunque, ancora una volta, le mani al datore di lavoro, che potrà ricorrere all'apprendistato senza più gli obblighi formativi e di assunzione che lo hanno vincolato in passato nella stipula dei contratti. Tutto ciò mentre, invece, continuano a permanere gli ingenti sgravi fiscali concessi per l'assunzione di nuovi apprendisti.
Il MoVimento 5 Stelle ritiene che tutte le modifiche introdotte alla disciplina del contratto di apprendistato siano peggiorative. Non ne condividiamo nemmeno una, e vorrei entrare nel merito del nostro dissenso. Crediamo fermamente che l'apprendistato debba prevedere la formazione obbligatoria, altrimenti viene meno la ragione d'essere del contratto stesso. L'apprendistato è un contratto a causa mista che poggia su due basi imprescindibili, da una parte la formazione e dall'altra l'attività lavorativa. Se si elimina l'obbligo di formazione pubblica nell'apprendistato professionalizzante, che è il più diffuso, il contratto di apprendistato si trasforma in un semplice contratto di somministrazione, peraltro retribuito molto peggio, due livelli al di sotto del minimo salariale previsto dai contratti collettivi della categoria.
Altro intervento gravissimo – gravissimo – è l'eliminazione del vincolo stabilito dalla legge Fornero per cui non si può procedere a nuove assunzioni di apprendisti se non è stato confermato almeno il 50 per cento dei contratti al termine del periodo di apprendistato. Crediamo che sia necessario il ripristino di quest'obbligo, che era una delle poche, buone innovazioni di quella riforma. Quanto all'apprendistato di primo livello, dai 15 ai 25 anni, ricordiamolo, sono ragazzi giovanissimi, siamo assolutamente contrari alla misura che prevede che le ore di formazione siano retribuite solo al 35 per cento del monte ore complessivo. Siamo di fronte all'ennesimo sopruso a danno di giovanissimi che lavorano ben 40 ore settimanali e che Pag. 8percepiscono uno stipendio già irrisorio. Oltre alla schiavitù del precariato, dunque, ecco quella dei minorenni.
Infine, a nostro avviso, il piano formativo individuale doveva restare invariato, mentre ora il Governo parla del mantenimento di un sintetico piano formativo, ma forse non si rende conto che i formulari erano già di massimo due pagine, dunque davvero non capiamo, non capiamo come si possano rendere sintetiche due pagine.
Attraverso di lei, Presidente, mi rivolgo al relatore Dell'Arringa: lei sa che tutti i pareri sull'articolo 2 del decreto-legge sono stati univoci, tutti quanti, sindacati, associazioni, professori universitari, anche di diverso schieramento politico, hanno bocciato all'unanimità l'articolo 2 del decreto-legge. Noi, Presidente, siamo certi, siamo certi che anche questo decreto-legge è destinato a fallire, esattamente come è fallito il decreto Giovannini che prometteva migliaia di assunzioni di giovani lavoratori, e noi l'avevamo detto, perché non è cambiando le regole del lavoro ogni sei mesi che si crea lavoro, e questo lo avete detto anche voi in Commissione.
Il MoVimento 5 Stelle ha un'idea opposta a quella del nuovo Ministro Poletti per rilanciare l'occupazione: noi vogliamo che la precarietà sia pagata di più e non di meno, vogliamo istituire un'indennità di precarietà, perché il precariato crea danni, economici e psicologici, alle persone; noi vogliamo lottare contro il precariato. Voi, oggi, con questo decreto-legge non solo lo rendete strutturale, ma decretate anche la fine della lotta all'abuso del contratto a termine e di questo, di questo, lo ripeto, dovrete rendere conto, non solo ai vostri elettori, ma a tutte le generazioni presenti e future, comprese quelle dei vostri figli e dei vostri nipoti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pizzolante. Ne ha facoltà.

SERGIO PIZZOLANTE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, voglio ricordare come è nato questo decreto-legge, lo spirito che sta alla base di questa scelta del Governo. Questo decreto-legge è nato come intervento eccezionale in un momento eccezionale, come provvedimento straordinario in una fase drammatica per l'occupazione, con il tasso di disoccupazione in Italia che si è visto, negli ultimi due anni, impennarsi sino al 13 per cento. Ed è anche figlio di una presa d'atto del fatto che la legge Fornero non ha funzionato, le rigidità introdotte da quella legge sui contratti a termine, sulla flessibilità in entrata, sull'apprendistato non hanno funzionato e hanno prodotto disastri.
È vero, quelli che dicono che non si produce lavoro con una legge e con un decreto dicono cose vere; però è anche evidente che con una legge e con un decreto si può distruggere lavoro, ed è quello che è successo con la legge Fornero, quindi smontare la legge Fornero, correggere la legge Fornero sulla flessibilità in entrata poteva, doveva, secondo me, essere una possibilità, un'opportunità, una prova ulteriore, un passo verso condizioni migliori per favorire le assunzioni e nuove occasioni di lavoro.
Non voleva essere questo, appunto per la sua eccezionalità in un momento così grave, un terreno di scontro ideologico-politico epocale: andava tutto composto dentro la logica di un provvedimento straordinario. Tanto è vero che noi tra poche settimane discuteremo il Job Act, cioè il progetto vero di riforma del sistema: quello è il campo di lavoro, il terreno sul quale confrontarsi, perché quello è, dovrebbe essere il provvedimento di medio e lungo termine per quanto riguarda tutta la materia della regolazione del lavoro in Italia. Per questo noi avevamo detto «sì» al testo del Governo, noi siamo assolutamente fedeli al testo originario del Governo; addirittura abbiamo detto: non presentiamo emendamenti, perché occorre andare veloci, sempre per la condizione di straordinarietà di cui parlavo prima, bisogna far presto. Le modifiche fatte in Commissione ieri e l'altro ieri, invece, stanno dentro una logica tutta ideologica, che porta da un'altra parte. Sono una marcia indietro da parte del Pag. 9Partito Democratico, che non riesce a superare tabù storici di una certa cultura «trade-unionista» del lavoro, conservatrice del lavoro, non capendo appunto la situazione eccezionale, il momento eccezionale, e magari rimandando un confronto più articolato nella fase di discussione del Job Act.
Cosa è successo nel merito, perché noi diciamo che siamo partiti per smontare la legge Fornero e alla fine il Partito Democratico all'interno della Commissione lavoro ha smontato la legge Poletti ? Ci sono tante questioni, ma tre soprattutto sono quelle centrali, politiche. La prima: si è reintrodotta la formazione pubblica obbligatoria per i contratti di apprendistato. Allora, noi siamo contrari alla formazione per i contratti di apprendistato ? No, noi pensiamo che è nella natura del contratto di apprendistato quella di fare anche formazione. E l'Europa ci invita a far questo, L'Europa pensa che ci debba essere formazione di base, trasversale, capace di accompagnare la fase di apprendistato; e cioè pensa che i ragazzi debbano conoscere l'inglese, debbano conoscere le norme che hanno a che fare con la sicurezza, ed altre cose ancora. E allora, se bisogna fare la formazione, e noi siamo d'accordo che bisogna fare la formazione, perché solo pubblica ? Perché solo la formazione pubblica delle regioni, e non per esempio formazione privata, nelle aziende, nelle associazioni di categoria, negli enti bilaterali ? Perché solo pubblica ? Risponde ad una logica ideologica, preconcetta.
E poi la mediazione trovata all'interno del Partito Democratico, che dice: sì, però se le regioni sono in grado di offrirla, la formazione pubblica, le aziende sono tenute a farla; se le regioni non sono in grado di offrirla, le aziende possono fare a meno di farla. E allora questo cosa significa ? Significa che al Nord o nelle regioni «rosse», dove le regioni hanno «carrozzoni» sulla formazione pubblica e la fanno – la fanno male –, allora lì si impone la formazione alle imprese, mentre al Sud, dove le regioni non sono strutturate per fare formazione, non si fa, allora lì le aziende possono non farla. Allora, i ragazzi del Sud possono non fare formazione. Ma che ragionamento è ? Ma che discorso è ? Se la formazione bisogna farla, bisogna farla, e bisogna farla sempre, e per farla occorre non essere vincolati al fatto che le regioni siano capaci di farla o meno, ma bisogna legarla alla possibilità concreta di poterla fare e, quindi, anche formazione privata.
Un altro punto sul quale non siamo d'accordo è la reintroduzione dell'obbligo di assunzione a tempo indeterminato per gli apprendisti alla fine del percorso di apprendistato. Anche questa, che logica è ? Come si fa ? Questa è una cosa che non ha fatto funzionare la legge Fornero, infatti i contratti di apprendistato sono stati pochi, non hanno funzionato. Ma che logica è ? Se io faccio un percorso di formazione e di apprendistato è chiaro che, alla fine, l'obiettivo è quello dell'assunzione a tempo indeterminato, ma non ci può essere un'assunzione a tempo indeterminato sulla base di un preconcetto che diventa norma prima, a priori, cioè deve essere alla fine del percorso di apprendistato, alla fine del percorso formativo. Se io ho l'obbligo di assumere a prescindere dai risultati del percorso formativo di apprendistato, allora io azienda non attivo i contratti di apprendistato e quindi non assumo i giovani, non assumo i ragazzi.
Poi la terza questione, che è un altro punto politico cruciale, quello delle sanzioni. Si stabilisce che, siccome i contratti a termine non devono superare il 20 per cento del totale degli occupati in un'azienda, se un'azienda sbaglia e ne assume uno in più, allora paga. E come paga ? Paga con l'obbligo dell'assunzione a tempo indeterminato. Ma, intanto, qual è il reato che ha commesso questa azienda ? Questa azienda ha assunto una persona, non è che possiamo condannarla a morte perché assume una persona. Allora, noi abbiamo proposto una sanzione più logica: nel momento in cui c’è l'accertamento che quel contratto è sopra il 20 per cento, si interrompe e il lavoratore viene indennizzato per i mesi restanti. Ci sembra una Pag. 10proposta logica di buonsenso, quindi c’è la sanzione ma non c’è la condanna a morte.
Su questi punti drammaticamente riemergono tutti i gap culturali, tutti i tabù di una vecchia sinistra sindacale e antiriformista. Si dice: però, su questi punti c’è l'accordo con Confindustria. Certo, infatti, è un patto fra una certa sinistra e una certa industria; è un patto fra conservatori. È un patto della conservazione, di una Confindustria che è uno dei pilastri della conservazione in Italia; infatti, le aziende per tornare ad essere competitive devono uscire da Confindustria, così come ha fatto la FIAT. E poi si dice – questo il relatore non doveva dirlo, perché lui sa perfettamente che non è un'affermazione corretta – che c’è il consenso di tutte le associazioni di categoria che sono venute in Commissione a dire: «va bene». Ciò non è vero, o meglio, è vero che sono venute a dire in Commissione «va bene», ma sul testo originario del Governo.
Sugli emendamenti approvati ieri invece le imprese dicono l'esatto contrario; è di ieri sera un comunicato ufficiale di Rete Imprese Italia, quindi di Casartigiani, di CNA, di Confcommercio, di Confesercenti e di tutte le associazioni delle piccole e medie imprese, che dice l'opposto; cioè dice che il decreto rischia di essere un'occasione sprecata se saranno confermati gli emendamenti approvati in Commissione, e dice che questo è un passo indietro, è un'inversione di marcia rispetto al decreto Renzi-Poletti, e dice, ancora, che questi emendamenti sono il frutto di un preconcetto anti-impresa, di chi cerca di ostacolare le assunzioni, di non favorire le imprese ad assumere. È un documento, è un comunicato stampa di ieri sera delle imprese, delle piccole e medie imprese, durissimo su questi emendamenti e mi dispiace che non se ne voglia tenere conto. Queste sono le ragioni di merito per le quali noi diciamo che non siamo d'accordo sulle modifiche.
Poi, ci sono questioni che hanno a che fare con la forma, con il modo con il quale si fanno le cose. Sul lavoro nella sinistra si scontrano culture diverse, opposte. Ci sono culture blairiane, che tentano di avanzare, Renzi ed altri, e ci sono culture trade-unioniste, che costringono la sinistra, soprattutto in Commissione lavoro, a mediazioni continue, con risultati fuori dalla realtà, veri e propri aborti culturali. La sinistra torna un po’ al «marché», come dire, è una sinistra supermercato in cui dentro c’è di tutto, à la carte, diciamo così. Accordi che vengono blindati dentro il gruppo della sinistra e chiusi al confronto con i partiti e con le forze alleate e poi la sinistra finisce come ieri, a votarsi da sola il provvedimento in Commissione. Questo non va bene.
La minoranza del Partito Democratico è maggioranza all'interno della Commissione lavoro e blocca le riforme di Renzi: questo è il risultato vero di questo episodio. Questo è un grave problema politico, perché il lavoro è il terreno sul quale si decide la credibilità, la portata, la realtà della svolta riformista di Renzi e della sinistra; e il lavoro è il punto, il tema, il terreno sul quale si decide la credibilità riformatrice del Governo, in Italia e in Europa, rispetto ai risultati che bisogna ottenere in Italia e rispetto alla nostra credibilità in Europa. Questo è un problema serio, è un problema serio che il Governo ha, che la maggioranza ha, che Renzi ha.
Se questo è l'antefatto sul fatto, cioè sul futuro provvedimento, sullo Jobs Act, io sono molto preoccupato, perché se siamo arrivati a questo livello di scontro e di incomprensione su un provvedimento eccezionale, che era legato appunto ad un'emergenza, figuriamoci cosa succederà con il Jobs Act. Se il PD non si chiarisce al suo interno e se non prevale la linea riformatrice blairiana, ci saranno, come dire, problemi seri. Renzi su questo deve battere, come si dice, un colpo. Bisogna vincere la retorica della precarietà, delle tutele e delle garanzie formalistiche, che producono disoccupazione. Non ci possono essere garanzie sul posto di lavoro senza lavoro. Non ci possono essere meno tipi di contratti mantenendo l'articolo 18.
Non ci può essere contratto unico e insieme articolo 18. Non ci può essere obbligo di assunzione a tempo indeterminato Pag. 11senza lavoro, crescita, sviluppo, collaborazione fra sindacato e impresa. Se non si produce ricchezza, non si può distribuire, si distribuisce soltanto povertà. Se non si crea lavoro, è più difficile produrre posti di lavoro ipergarantiti. E se si vogliono, a prescindere, contratti rigidi a tempo indeterminato, undici, ipergarantisti, si irrigidisce tutto e si allarga inevitabilmente l'area della disoccupazione, del lavoro nero – del lavoro nero ! – e si mettono in crisi le imprese.
Noi proveremo ad azzerare questi emendamenti nella discussione in Aula di martedì. Presenteremo degli emendamenti per cambiare quei tre punti. Naturalmente, noi siamo una forza di Governo e se il Governo porrà la fiducia voteremo la fiducia su questo provvedimento di emergenza, perché comunque ci sono delle parti che vanno bene, come quella dei contratti a termine senza causale. Quindi, noi proveremo a correggerli, con grande forza e con grande determinazione, ma probabilmente voteremo la fiducia. Ma, se questa situazione dovesse ripetersi – lo diciamo chiaramente –, se questi percorsi involutivi della sinistra sul lavoro dovessero ripetersi su quello che dovrà essere il «testo madre» della riforma del lavoro in Italia, o Jobs Act, la nostra fiducia non ce l'avrete.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, intervengo volentieri su questo decreto, anche per la sua oggettiva importanza e vorrei spiegare, dal mio punto di vista, qual è stato l'atteggiamento del Partito Democratico nella Commissione lavoro.
Noi fin dall'inizio abbiamo detto con grande chiarezza che avevamo un'intenzione molto semplice, quella di correggere questo decreto, senza stravolgerlo. E noi siamo anche orgogliosi del lavoro che abbiamo fatto, perché l'abbiamo fatto dall'inizio, non vogliamo farlo dopo, anche perché noi pensiamo che la dialettica parlamentare sia molto importante, che il ruolo del Parlamento si debba esercitare. E abbiamo anche affermato un principio semplice: non è accettabile una logica di prendere o lasciare, anche quando si tratta di un decreto. E del resto, devo dire che lo stesso Ministro Poletti dall'inizio ha detto che questa logica il Governo non l'avrebbe perseguita.
Quindi, abbiamo lavorato sodo, abbiamo cercato di individuare, insieme ad altri partiti che hanno scelto questa strada, quali erano i punti di correzione, in un contesto di discussione molto più ampio, perché non c’è dubbio che, quando affrontiamo il tema del lavoro, noi discutiamo in questo momento di un decreto, ma c’è, al tempo stesso, in esame al Senato una delega. E noi su questo punto abbiamo avanzato le nostre riserve – io sicuramente –, le abbiamo esplicitate al Governo, perché abbiamo visto una sorta di inversione logica, nel senso che nella delega sono presenti contenuti molto importanti di fondo. Penso al contratto di inserimento a tempo indeterminato, penso al tema degli ammortizzatori sociali. E quindi abbiamo chiarito che sarebbe stato per noi preferibile partire da questi temi, però ci rendiamo perfettamente conto che bisogna fare l'esame di realtà, bisogna entrare nel merito delle situazioni concrete.
Quindi, al di là dei nostri desideri, pur segnalando questa contraddizione, abbiamo di buon grado affrontato nel merito il tema del decreto e dei confini di contenuto che il decreto indicava. Però, lo vogliamo dire fin da adesso: la prova importante, oltre che sul decreto, sarà su questa delega, perché in questa delega c’è il contratto di inserimento a tempo indeterminato. Noi condividiamo questa scelta, perché pensiamo che sia importante avere anche un periodo di prova lungo, per i nostri figli, per i nostri nipoti, di flessibilità buona da sei mesi a tre anni, a condizione che questa prova lunga si trasformi poi in una stabilità del lavoro. E diciamo anche che ci batteremo perché gli incentivi della prova siano dati all'impresa al momento della conversione del contratto a tempo indeterminato. E ci batteremo anche perché, nel momento in cui il Pag. 12contratto di inserimento sarà a tempo indeterminato, per quel lavoratore giovane, di nuova generazione, o per il lavoratore ricollocato, se andremo in questa direzione, perché a cinquant'anni ha perso il lavoro e fa fatica a trovare una ricollocazione, valgano tutti i diritti e le protezioni, compreso l'articolo 18.
Quindi, è vero, sulla delega avremo modo di dire la nostra opinione e sarà un'opinione, come si dice, sostanziata da una impostazione politica e culturale che non ci ha mai abbandonato, che è molto semplice, è quella dell'Europa: che il lavoro a tempo indeterminato deve essere prevalente, deve essere la nostra stella polare.
Così come, sugli ammortizzatori sociali, nella delega affronteremo questo tema con lo spirito di una riforma di questi ammortizzatori; sappiamo che cosa vuol dire la questione della cassa integrazione in deroga, che è diventata una sorta di indennità di disoccupazione. Sappiamo, e condividiamo, la necessità di allargare queste protezioni anche a coloro che attualmente non sono protetti: i lavoratori precari, i lavoratori che non hanno tutele nel momento del lavoro. Questa ci sembra l'indicazione fondamentale, alla quale intendiamo attenerci quando sarà il momento di discutere della delega.
Quindi, siamo perfettamente consapevoli che siamo al primo tempo di un discorso; ma proprio perché siamo al primo tempo non abbiamo voluto che questo primo tempo fosse completamente distaccato, scisso dal secondo tempo nel quale affronteremo il cuore della questione: il concetto della prevalenza della stabilizzazione per offrire alle nuove generazioni una sicurezza nel lavoro, una autonomia nella vita, la possibilità di diventare cittadini a pieno titolo. Cosa che le leggi del centrodestra, l'ideologia della flessibilità non ha garantito.
Sento molte volte parlare di ideologia della sinistra ma devo dire francamente che, quando parliamo di ideologie, queste sono sia di sinistra che di destra, non c’è soltanto una ideologia, ammesso che esista un atteggiamento ideologico della sinistra. Esiste un altrettanto atteggiamento ideologico della destra quando la flessibilità, che diventa precarietà, è l'alfa e l'omega della regolazione dei rapporti di lavoro e la base fondamentale – secondo taluni – per il successo delle imprese, per lo sviluppo di un Paese. Cosa alla quale noi non crediamo perché i fatti ci dimostrano che questa teoria ha portato ad una estrema precarizzazione del lavoro e ad una estrema insicurezza.
Vede, Presidente, quando la mia generazione entrava nel mondo del lavoro – altri tempi, parlo della fine degli anni Sessanta naturalmente, non possono essere paragonati – i nostri genitori ci dicevano una parola molto semplice: «caro figlio, tu hai trovato il lavoro e quindi hai trovato il benessere, la stabilità e il futuro». Noi ai nostri figli questo non lo possiamo più dire, e allora la rottura del rapporto tra il tema lavoro, benessere, cittadinanza, consumo torna di grande attualità perché, se questa relazione si rompe e al lavoro non corrisponde più il benessere e se il lavoratore può essere il lavoratore povero come il pensionato può essere il pensionato povero, come il ceto medio che diventa proletarizzato e va alla mensa della Caritas per poter sopravvivere, e quindi se si rompe il rapporto tra lavoro e benessere, vuol dire che non ci sarà neanche la possibilità di diventare, attraverso il lavoro, cittadini-consumatori.
Questa è la mutazione, purtroppo, dall'attuale forma di capitalismo rispetto a quella precedente, perché il capitalismo industriale perlomeno aveva in mente che un lavoratore, un operaio, un impiegato, un tecnico, da lavoratore diventasse ceto medio, e che con quello stipendio, da operaio della Fiat alla catena di montaggio negli anni Settanta, manteneva la propria moglie – magari casalinga –, un figlio o due figli che facevano la scuola professionale, qualcuno ragioniere, uno arrivava a fare l'università, pagava la rata di un mutuo di una piccola casa in periferia di una città qualsiasi e poteva in qualche modo, come si dice, avere una vita dignitosa.Pag. 13
Questa relazione si è interrotta. Ricostruire questa relazione dando, dopo la buona flessibilità, una prospettiva di stabilizzazione del lavoro io credo che sia il grande compito della politica nella situazione attuale. E questo grande compito noi lo possiamo assolvere se, parlando di un decreto limitato ad alcune forme di flessibilità, sappiamo connettere questa flessibilità alla prospettiva di un lavoro stabilizzato, del quale discuteremo nella delega.
Per quanto riguarda il decreto-legge, come ho detto, noi abbiamo avanzato fin dall'inizio alcune critiche di merito molto circostanziate, soprattutto sul tema dei contratti a termine e sul tema dell'apprendistato. Quale è stata la critica sui contratti a termine ? Ebbene a noi non sfugge il fatto che l'abolizione di qualsiasi causale per l'intero periodo dei 36 mesi sia una modalità che liberalizza all'eccesso il contratto a termine. Abbiamo fatto anche, con attenzione e con scrupolo, un'indagine per vedere quello che capita negli altri Paesi industriali avanzati, quelli di vecchia generazione, dell'Unione europea e devo dirle, Presidente, che negli altri Paesi in linea di massima, quando si utilizza – in Francia, come in Spagna e come in Germania – il contratto a termine, questo contratto a termine è legato ad una causale, ovvero c’è una restrizione, c’è una specifica, c’è un'eccezionalità. Questa eccezionalità viene superata.
Noi abbiamo avanzato questa critica ed il Governo ha risposto che questo era l'impianto di base e noi abbiamo rinunciato a correggere questo punto. Perché non è vero che il compromesso e l'equilibrio che abbiamo raggiunto sia scevro da problemi anche all'interno del Partito Democratico. Una rappresentazione, come si dice, uniforme non è una giusta rappresentazione. Noi abbiamo degli elementi critici, ma abbiamo anche quel senso politico e quella capacità di intervenire sui problemi, che ci fa distinguere quel che è perseguibile nell'immediato da quello che non lo è.
Abbiamo rinunciato a portare un cambiamento su questo punto, ma non abbiamo rinunciato a portare altri cambiamenti sul contratto a termine, ad esempio sul tema delle proroghe. Avevamo un dubbio, una preoccupazione, che abbiamo esternato al Governo e che abbiamo voluto chiarire anche nella normativa. Ma, poiché un contratto a termine è sottoposto a proroghe, ma anche a rinnovi, non è che il rinnovo di un contratto a termine per la medesima mansione, sotto lo stesso imprenditore e per lo stesso lavoratore, comporta la ripartenza delle proroghe, quindi una sorta di ripetizione all'infinito di una flessibilità ? Ci siamo fatti questa domanda e abbiamo ottenuto una risposta concordata con il Governo.
Le proroghe da otto passano a cinque – secondo noi è un passo avanti – e sono cinque in tutto nell'arco dei 36 mesi. Quindi, nel caso di rinnovo, se ho consumato nel primo contratto tre proroghe, me ne restano due; se le consumo nel secondo rinnovo, al rinnovo successivo non c’è nessuna possibilità di proroga. Abbiamo risolto tutti i problemi ? Sicuramente non abbiamo risolto tutti i problemi, ma abbiamo per lo meno diminuito una potenziale eccessiva precarizzazione del lavoro.
Così come abbiamo voluto altre misure, sulla base anche dei suggerimenti che sono emersi nel corso delle audizioni, perché noi abbiamo fatto, è vero, molte audizioni. Il Ministro Sacconi ha detto che non abbiamo audito la Flotta del Pacifico. È vero, io ho evitato, anche perché è impegnata in altre operazioni, diciamo, nei confronti di nazioni importanti. Però ribadisco un concetto, che probabilmente il Ministro Sacconi non apprezza: io credo nella concertazione, credo nel dialogo sociale, credo nel ruolo delle forze intermedie e penso che il giorno in cui il ruolo delle forze intermedie dovesse essere schiacciato ed annullato non sarebbe un bel destino per questa democrazia. Io non ho mai creduto al rapporto diretto tra leader e il suo popolo. Io penso che il ruolo delle forze intermedie sia importante. Abbiamo sentito tutte queste forze intermedie, quelle che rappresentano il lavoro, quelle che rappresentano l'impresa, quelle che rappresentano la migliore cultura del Pag. 14lavoro e delle università – quindi i docenti universitari di diritto del lavoro che sono l'espressione massima di tutti gli orientamenti politici – per avere anche un conforto.
Sono arrivati alcuni suggerimenti importanti e uno di questi è sicuramente sul tema del cosiddetto diritto di precedenza. Era una regola che avevo introdotto quando ero Ministro del lavoro e della previdenza sociale, oltre a quella del termine massimo dei 36 mesi, che viene ribadita in questa norma. Questo diritto di precedenza, che è a disposizione del lavoratore, ma è sconosciuto al lavoratore, verrà inserito nell'ambito del contratto al momento della sua stipula, in modo tale che sia visibile e comunicato al lavoratore.
E si tratterà di un diritto di precedenza nel caso in cui l'imprenditore, lasciato a casa quel lavoratore a termine, accenda un contratto per la medesima mansione a tempo indeterminato: quel lavoratore potrà essere chiamato per primo ad assolvere quel compito.
Abbiamo migliorato anche il diritto di precedenza per quanto riguarda le donne in congedo di maternità. Si tratta di un ampliamento molto importante considerata la delicatezza della situazione delle donne in maternità. Questione che si ricollega, poi, a quella battaglia sacrosanta che abbiamo fatto per la questione delle dimissioni in bianco che avrebbe meritato anche al Senato una discussione in Aula.
Sul tema, invece, dell'apprendistato mi stupiscono alcune argomentazioni che ho sentito. In fondo l'apprendistato è l'unica forma di lavoro duale alla tedesca che esiste in Italia, è un contratto a forma mista. Ha ragione l'onorevole Chimienti del MoVimento 5 Stelle: apprendistato, cioè apprendere, quindi lavoro da una parte e formazione dall'altra. Purtroppo il decreto-legge nella sua stesura iniziale, avendo abolito l'obbligo della formazione, sia di quella pubblica, sia di quella on the job, aveva minato le fondamenta e il carattere duale di questo contratto a forma mista, perché se rimane soltanto il lavoro non è più apprendistato, vuol dire mettere a disposizione delle imprese lavoratori flessibili a bassissimo costo. Ma allora, in questo modo, costruiamo un modello di sviluppo basato sull'idea che la manodopera deve costare il meno possibile come condizione per la sopravvivenza di questo modello di competitività globale. Noi ci opponiamo a questa logica e abbiamo chiesto di ripristinare la formazione pubblica anche perché c'era un rischio oggettivo di infrazione da parte della l'Unione europea in quanto si trattava di una sorta di aiuti di Stato. Vorrei ricordare che in precedenza l'Unione europea si era già espressa su questo tema dei contratti di formazione e lavoro. Lei pensi signor Presidente: un artigiano utilizza un apprendista, ha gli sconti e i benefici, l'Europa ci commina una procedura d'infrazione, quell'artigiano deve restituire i benefici. Secondo lei questa è la certezza del rapporto di lavoro, delle norme e delle regole ? Pensiamo in questo modo di aver tenuto conto delle obiezioni delle imprese e quando si dice che sarà la regione a dar prova, entro 45 giorni, della capacità di fornire quella formazione pubblica adeguata alla bisogna, diciamo semplicemente che l'impresa è assolta dall'obbligo nel caso in cui non ci sia questa condizione. Ci pare, quindi, una misura di buonsenso, così come la scelta di ripristinare il piano formativo individuale – certo – in forma scritta. Ma anche su questo, signor Presidente, lei pensi: un imprenditore assume un apprendista, lo lascia a casa, non c’è il piano formativo scritto, quell'apprendista va da un giudice e chiede giustamente di essere reintegrato come lavoratore dipendente, il giudice gli darà ragione. Quindi, la forma scritta del piano formativo individuale è una difesa dell'imprenditore e un vantaggio per quel lavoratore che potrà utilizzarla nelle successive prove presso altri imprenditori, dicendo: ho già fatto uno sorta di formazione on the job. Quindi, noi siamo orgogliosi di questo risultato perché l'apprendistato senza formazione, come taluno pretende, è un'ideologia di destra per noi inaccettabile.
Infine, c’è il tema della stabilizzazione sul quale penso che dobbiamo fare un Pag. 15ragionamento molto semplice: avevamo una stabilizzazione al 50 per cento che agiva dai 10 dipendenti in su, abbiamo ripristinato una stabilizzazione al 20 per cento in aziende con almeno 30 dipendenti. Sappiamo che stiamo parlando di una forza lavoro pari al 40 per cento del totale, ma di un numero di imprese sicuramente inferiore al 10 per cento, perché le unità locali di una certa dimensione sono assai meno rispetto a quelle più piccole, fino a 10 dipendenti, che arrivano a oltre 90 per cento delle unità locali, chiaramente non della forza lavoro.
Anche questo ragionamento è un ragionamento che, preso sul pratico, è semplice. Oggi abbiamo una percentuale in quelle imprese di stabilizzazione che è molto superiore al 20 per cento. Confermare un principio di stabilizzazione significa impedire che un imprenditore prenda quegli apprendisti, li lasci a casa, prenda altri apprendisti, li lasci a casa: vale a dire manodopera a basso costo. Un principio di stabilizzazione minima che vuol anche significare la valorizzazione del ruolo formativo on the job dell'imprenditore, anche perché i buoni imprenditori hanno sempre dichiarato che se prendono degli apprendisti, li formano, perdono tempo, utilizzano loro risorse per farli crescere e insegnare loro un mestiere e, quindi, se li tengono. Noi vogliamo che questa pratica sia in qualche modo consolidata.
Infine, nel decreto esistono anche altri punti dei quali si discute poco. Vorrei ricordare – ed è una questione molto importante – che ci sono i contratti di solidarietà. I contratti di solidarietà vengono decontribuiti dal 25 al 35 per cento. Credo che questo sia un apprezzamento universale verso una misura che può consentire, se debitamente rifinanziata, come farà il decreto, e utilizzata, di diminuire l'utilizzo della cassa integrazione e, in alcuni casi, di scongiurare anche il ricorso ai licenziamenti. Posso citare molti casi. La Commissione lavoro è andata in missione in Friuli Venezia Giulia, abbiamo affrontato il tema, ad esempio, della Electrolux; abbiamo visto che, accanto alla Electrolux, ci sono numerose situazioni che possono essere salvate: stabilimenti e lavoratori salvati, perché si utilizza nuovamente il contratto di solidarietà con un beneficio visibile sia per il lavoratore sia per l'imprenditore.
Così come c’è il tema della smaterializzazione del cosiddetto DURC, il documento unico di regolarità contributiva. Noi non siamo contrari al principio della smaterializzazione, abbiamo solo fatto presente al Governo che bisogna che gli archivi dell'INPS e dell'INAIL siano anche corredati da altri archivi, come ha chiesto l'onorevole Polverini con un emendamento, ad esempio, quelli relativi alle casse edili, gli enti bilaterali del settore dell'edilizia, per favorire, quindi, una corrispondenza tra gli archivi e le realtà, per non penalizzare le imprese nel caso in cui gli archivi non siano sufficientemente aggiornati.
Del resto, in questo decreto c’è anche un principio di monitoraggio, ogni 12 mesi, sulla situazione che si determinerà, anche per quanto riguarda gli effetti di questo decreto sull'occupazione. Se fra 12 mesi quello che ha affermato il Ministro Poletti troverà conferma – vale a dire che, a seguito di questo decreto, saranno aumentati i lavoratori a tempo indeterminato – noi gioiremo. E se il contratto a termine avrà cannibalizzato le forme più estreme di precarietà, anche quelle opache, come le finte partite IVA, il lavoro nero tanto più, o il lavoro a chiamata, noi gioiremo e diremo che stiamo andando verso la strada giusta. Se questo non sarà, avremo modo anche di intervenire per ulteriori, eventuali elementi di correzione.
Infine, vorrei qui precisare due questioni. La prima. C’è una vulgata, anche giornalistica, che dice che queste correzioni sono le correzioni della minoranza del Partito Democratico. No, queste sono le correzioni del Partito Democratico, sicuramente dei parlamentari della Commissione lavoro, di tutti gli orientamenti congressuali. Sono orientamenti di tutti, ci tengo a dirlo, non di una parte, di qualcuno. Sono orientamenti emersi con un Pag. 16lavoro coraggioso, approfondito e scevro dall'ideologia, che ha voluto intervenire sui problemi reali.
In secondo luogo, io ho sentito nella conferenza stampa di ieri l'onorevole Sacconi parlare di un chiarimento circa la lealtà parlamentare del Partito Democratico agli atti di Governo. Mi pare che si possa dire così, ha risposto bene il Ministro Poletti, che cito testualmente. «Credo che l'esame svolto dalla Commissione lavoro della Camera, pur apportando alcune modifiche al testo, si sia concluso senza stravolgerlo e rispettandone i contenuti fondamentali. Ora l'Aula lo approvi rapidamente per un celere completamento dell'iter».
Allora mi domando chi è stato leale e chi non è stato leale. Noi siamo stati leali al Governo perché abbiamo, con la nostra passione, la nostra intelligenza, con i gruppi che hanno portato gli emendamenti, contribuito a correggere un decreto, non a stravolgerlo, e mi pare che il Ministro del lavoro abbia preso atto che abbiamo rispettato i contenuti fondamentali. Quindi la mancanza di lealtà non riguarda noi, ma riguarda coloro che oppongono resistenza ai contenuti di equilibrio che abbiamo portato nel decreto, anche perché – voglio rimarcarlo – ogni passo di questo decreto nella Commissione lavoro è avvenuto ovviamente – lo dice la procedura, la normativa – alla presenza del rappresentante del Governo ed ogni emendamento che è stato approvato ha avuto il conforto e l'approvazione del rappresentante del Governo. Quindi, da questo punto di vista, quelle che ha detto il Ministro Poletti credo che si possano definire, considerato anche il periodo pasquale, parole sante.
Noi quindi siamo anche favorevoli al fatto che il Governo possa mettere la fiducia su questo decreto ovviamente testo uscito dalla Commissione lavoro, come è prassi abituale. Ma naturalmente questa è una scelta che compete al Governo e che verificheremo nella giornata di martedì prossimo.
Concludo davvero, Presidente, dicendo questo: ho appreso questa mattina dal rappresentante del Nuovo Centrodestra che, accanto ai sindacati, che sono notoriamente, per il Nuovo Centrodestra, un elemento di conservazione, c’è anche la Confindustria fra gli elementi di conservazione. Questa è un'ulteriore novità nella classificazione dei conservatori e degli innovatori.
Per quanto ci riguarda, noi pensiamo di aver fatto un lavoro di merito, approfondito, appassionato, unitario, espressione di un orientamento del Partito Democratico che ha trovato il conforto da parte del Governo e da parte del Ministro.
Ci auguriamo che questo decreto arrivi celermente alla sua conclusione, nella forma e nell'equilibrio che abbiamo trovato nelle correzioni apportate. Sicuramente farà fare un passo avanti alla flessibilità, ci auguriamo buona, delle imprese, senza con questo liberalizzare all'eccesso né i contratti a termine né il lavoro di apprendistato.
La nostra battaglia continuerà, come sempre, nel merito e nei contenuti nel momento in cui affronteremo la delega, perché, lo ripeto, la stella polare per noi rimane l'incrollabile fede nell'idea che questo Paese possa dare una prospettiva ai giovani soltanto se il contratto di lavoro a tempo indeterminato, dopo un lungo periodo di flessibilità, dia quelle certezze per far crescere le nuove generazioni in un'idea di dignità ed autonomia.
Chiediamo sempre ai nostri figli di mettere su famiglia, di mettere la testa a posto, di diventare cittadini: diamo loro gli strumenti necessari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Di Salvo. Ne ha facoltà.

TITTI DI SALVO. Signor Presidente, bisognerebbe mettersi d'accordo sempre, quando si sceglie un metro di misura per valutare e dare un giudizio su una proposta di legge, su un decreto, su una legge. Questo è sempre vero, cioè il contesto è il metro di misura per valutare e giudicare un atto normativo, è sempre, dal punto di vista metodologico, necessario ed è una buona regola.Pag. 17
Ma naturalmente, ancora di più se parliamo di un decreto, il metro di misura deve essere legato al rapporto tra l'uso dello strumento, che è uno strumento normativo particolare – il decreto conferisce immediata operatività alle norme che prevede – ed il quadro a cui si riferisce, perché si presuppone che l'uso del decreto venga consigliato dalla necessità di intervenire urgentemente su un contesto che bisogna cambiare con regole nuove.
Fin qui ho proposto una considerazione di ordine metodologico penso inappuntabile e condivisibile, in quanto oggettiva. Però questa è anche la prima riflessione che io propongo a lei, Presidente, e all'Aula, che guida il nostro giudizio sul decreto-legge e sui suoi contenuti. Inevitabilmente, quindi, il punto di partenza per ragionare del decreto-legge, dei suoi contenuti e dunque per argomentare la nostra valutazione è dire qual è il quadro di riferimento nel quale il decreto-legge agisce. Ovviamente, non solo dal punto di vista dell'economia del Paese, della sua crisi, delle condizioni sociali, delle persone, delle imprese e del sistema produttivo, ma particolarmente del mercato del lavoro perché il decreto-legge si occupa di regolare contratti, quindi modalità di avvio al lavoro, tipologie contrattuali. In primo luogo, la disoccupazione in Italia ha le caratteristiche che conosciamo: ha livelli che superano ormai le due cifre da un tempo lungo e ha una disoccupazione giovanile, ragazze e ragazzi, che supera, non le due cifre, ma il 50 per cento in alcune zone del Paese. Quindi, il primo elemento di riferimento che il legislatore ha di fronte, che il Parlamento ha di fronte, se decide di intervenire sul mercato del lavoro italiano, è questo e, cioè, come si affronta e si contrasta una disoccupazione così estesa e una disoccupazione giovanile così ampia e, peraltro, concentrata particolarmente, non solo, ma particolarmente, in alcune zone del Paese. Poi, il secondo elemento di riferimento forse dovrebbe essere, anzi la premessa a questa considerazione dovrebbe essere innanzitutto quella di sciogliere la domanda fondamentale, cioè se per contrastare la disoccupazione che ha queste caratteristiche e questa dimensione, bisogna intervenire sulle regole del mercato del lavoro o se, invece, le scelte necessarie non siano di carattere macroeconomico; se il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – cito in questo caso il già Ministro Giovannini – crea o non crea lavoro. Il già Ministro Giovannini aveva sostenuto – e io condividevo questa sua considerazione – che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non crea lavoro perché lo fa soltanto una politica economica generale, investimenti pubblici e privati, con cui si possono ricreare le condizioni di ripartenza del sistema produttivo e delle imprese per dare vita poi a un meccanismo virtuoso e, quindi, all'aumento dell'occupazione. Peraltro, nonostante questa considerazione, il Ministro Giovannini adottò un decreto, che prese il suo nome, i cui effetti sull'aumento dell'occupazione sono noti a tutti e, cioè, sono molto piccoli, a dimostrazione che la sua convinzione, quella che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non crea occupazione, è confermata concordemente rispetto al non successo del suo decreto.
Dicevo che la prima domanda a cui rispondere sarebbe questa. La nostra opinione è che non è con la regola del mercato del lavoro che si crea occupazione, cambiandola, e tanto più continuamente. Ma, fatta questa considerazione, continuo nella disamina dello stato dell'arte in cui è ora. Abbiamo detto delle caratteristiche dell'occupazione e della disoccupazione. Voglio dire che gli avviamenti al lavoro oggi sono al 70 per cento veicolati da contratti a termine. Ricordo che quella dei contratti a termine è la disciplina che più è stata modificata in questi lunghi anni e che ha avuto la necessità anche di una direttiva europea che ne ha definito caratteristiche e vincoli, tant’è che noi pensiamo che il decreto-legge, da questo punto di vista, si presti a eccezioni di costituzionalità e di conflitto con quella direttiva e per questo abbiamo presentato una pregiudiziale. E, poi, bisognerebbe, sempre negli elementi di contesto, per scegliere non solo lo strumento Pag. 18normativo giusto, ma anche il contenuto della normativa da novellare, guardare anche al livello di precarietà che esiste nel mercato del lavoro italiano. Un livello di precarietà molto alto.
Basterebbe ragionare del fatto, anzi ricordare, che il mercato del lavoro italiano, attraverso diversi interventi normativi e diverse discipline, che nel tempo si sono succedute presenta all'incirca una quarantina di tipologie contrattuali cioè di forme attraverso cui per un'impresa è possibile assumere persone per un lavoro subordinato a tempo determinato e poi tutte quelle forme opache che citava il Ministro Damiano di finto lavoro subordinato nascosto dal lavoro autonomo. Il quadro che oggi sto ricordando sotto il titolo «precarietà» descrive una patologia del mercato del lavoro, non una normalità del mercato del lavoro, una patologia del mercato del lavoro per definizione – quaranta forme e più attraverso le quali si può assumere una persona è una patologia per definizione – crea precarietà sicuramente. Che cos’è la precarietà ? È l'incertezza continua per le persone che hanno quelle caratteristiche, che vengono assunte in quel modo, l'incertezza continua della durata perfino dello svolgimento, delle modalità di svolgimento della sua prestazione di lavoro.
Ma nel definire il quadro di riferimento aggiungo anche che – l'esperienza di tutti noi lo renderebbe certo ma in questo caso ci aiuta l'OCSE a confermarlo – la precarietà dell'avvio al lavoro e della modalità della prestazione di lavoro è una condizione che abbassa in modo misurabile la produttività di un'impresa e del sistema produttivo, quindi non aiuta minimamente, se questa fosse la scelta, la competizione, la qualità con cui un'impresa sta nel mercato; ne abbassa la produttività oltre a rendere la vita impossibile alle persone che svolgono in quel modo la prestazione di lavoro. E si riferiscono – io penso – ad una classe imprenditoriale italiana che non brilla per coraggio, prevalentemente maschile, molto anziana, che fa fatica a innovare e che viene spinta a non innovare dalla messa a disposizione di strumenti che non sostengono la competizione sulla qualità e, quindi, lo sforzo delle imprese nella ricerca della qualità e, quindi, con investimenti in ricerca e innovazione, magari con sistemi di imprese: le imprese italiane sono medie e piccole, occorre sostenere anche interventi a rete che incentivino verso ricerche e innovazione che una piccola impresa da sola non può fare, magari si può sostenere il loro sforzo con l'abbattimento dei costi dell'energia, insomma con interventi di sistema. Come dicevo, quella classe imprenditoriale non viene sospinta verso quella direzione, ma viene sospinta nella scelta, al supermercato o giungla che si voglia chiamare, delle quarantacinque forme di tipologie contrattuali, nella scelta á la carte della tipologia contrattuale che più si presta ad una competizione legata alla svalutazione del lavoro e non alla competizione sulla qualità.
Ora, delle cose che io ho detto alcune sono oggettive, altre sono valutazioni che noi facciamo, che Sinistra Ecologia Libertà fa. Ma la media delle considerazioni che facevo certo non spinge a ritenere urgente, per decreto-legge, un intervento sul mercato del lavoro che non crea occupazione e che si concentra sulla modifica di alcune delle tipologie contrattuali che sono oggi esistenti, contratto a termine e apprendistato, e poi contiene anche un intervento apprezzato da noi, al contrario degli altri due articoli, sui contratti di solidarietà che avremmo voluto comunque più estesi. Allora, questo è il punto. La nostra valutazione è che, nella situazione che c’è e nell'esigenza oggettiva di creare lavoro e contrastare la disoccupazione e la precarietà, lo strumento e il contenuto scelto sia esattamente la cosa peggiore che si potesse fare. Insisto: perfino la cosa più inutile. Perfino, la cosa più inutile. Perché il Governo ha scelto due strumenti: da un lato, il decreto-legge (dei suoi contenuti parlerò tra poco) e poi una legge delega al Senato che ha l'ambizione, l'obiettivo di riordinare il mercato del lavoro.
Allora, che senso ha intervenire d'urgenza a modificare due delle tipologie contrattuali esistenti – anzi tre, pensando Pag. 19ai contratti di solidarietà che vengono agevolati –, mentre si annuncia un riordino, quindi si fanno delle modifiche su delle forme contrattuali legate ad un contesto, il mercato del lavoro, che però si modifica. E quindi, potrebbe pure essere in via generale che il disegno di legge determini una ridefinizione del quadro – anzi noi lo auspichiamo – di semplificazione e abolizione di quelle forme (quarantacinque), per definire le cinque o sei necessarie, in modo che siano funzionali alle persone, alla dignità del lavoro e al sistema produttivo. Che senso ha dare un tempo lungo, quello lento alla riscrittura del contesto generale e quello veloce su alcune delle forme che magari, poi, non saranno più coerenti con l'impianto generale (anzi io me lo auguro) ?
Venendo, invece, ai contenuti del decreto-legge – per questa ragione faccio un passo indietro: noi abbiamo presentato un emendamento soppressivo dei singoli articoli, ovviamente, per questa ragione –, noi abbiamo sottolineato non solo la sua negatività dal punto di vista generale, ma anche una negatività dei singoli articoli. Abbiamo detto questo non da soli, nel senso che, anche fuori dal Parlamento, ciò è stato rilevato da organizzazioni sindacali piuttosto che da altre associazioni: insomma, è evidente che questo intervento tende a sostituire al contratto a tempo indeterminato il contratto a termine. Questo si annuncia in contraddizione con le teoriche affermazioni che vengono fatte per il destino della legge delega al Senato, ma dico anche che questa sostituzione sospinta è il contrario di quanto dice la Carta dei diritti fondamentali di Nizza alla base della Costituzione europea, la quale afferma che il rapporto di lavoro a tempo normale è quello a tempo indeterminato, e lo dice anche la legislazione nazionale.
Devo dire – mi consenta un riferimento narcisista – che la legislazione italiana dice che il contratto di lavoro a tempo indeterminato è una via normale in virtù di un emendamento Di Salvo che venne presentato al protocollo sul welfare durante la legislatura del Governo Prodi: quindi, mi consenta questa autocitazione, che qui chiudo, però tanto è inutile perché, se la via da percorrere è questa, c’è una sostituzione in atto.
Per quanto concerne l'apprendistato, io condivido alcune cose che sono state dette, per esempio, prima dall'onorevole Damiano sull'apprendistato, e, quindi, sulla negatività assoluta del decreto-legge da questo punto di vista; poi dirò sulle modifiche.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

TITTI DI SALVO. Due ultime considerazioni: le modifiche hanno migliorato sicuramente il decreto-legge, non hanno modificato il dato generale a cui mi riferivo prima, hanno fatto emergere un conflitto politico, molto forte nella maggioranza, su una visione complessiva che è contrastante e, quindi, mi chiedo come faccia questa maggioranza a sostenere il Governo su uno dei punti fondamentali: la visione sul lavoro. Le modifiche, però, trasformano il diritto in contenzioso. Noi abbiamo votato a favore di alcuni emendamenti, ma spesso questi trasformano il diritto e la certezza per le imprese e per i lavoratori in un contenzioso. Insisto su un punto: come si crea lavoro e come si esce dalla crisi è la visione di un Governo. Io vorrei che il Governo sostituisse ai brand che sceglie una visione. Mi rendo conto che questa modalità, questa stessa struttura politica, non lo consente.
In ultimo, trenta secondi: uno degli emendamenti che noi abbiamo condiviso, proposti al decreto-legge dalla Commissione lavoro, riguarda la maternità, e cioè il fatto che sia possibile che i mesi di contratto a termine vengano conteggiati per il diritto di precedenza in ulteriori assunzioni. Ma allora – e con questo ho concluso, Presidente – francamente io trovo incredibile che, non solo il Nuovo Centrodestra e le altre forze politiche, ma il Partito Democratico abbia consentito al Senato lo scippo della legge contro le dimissioni in bianco, che alla Camera è stata votata, che è stata portata in Aula in quota opposizione e che aveva avuto la procedura d'urgenza, mentre al Senato, Pag. 20dopo l'insistenza quasi ossessiva del senatore Sacconi, è stata infilata dentro la legge-delega, in un binario pressoché morto, senza che sia stato comunicato nulla di tutto questo: se lo scippo ha, probabilmente, qualche caratteristica di formalità possibile, dal punto di vista politico è, per non usare altre parole, incredibile.
È incredibile che il Partito Democratico, me lo consentiranno i deputati del Partito Democratico stesso, abbia reso possibile questo. Ho letto che la senatrice Ghedini ha detto che le dispiaceva; sapesse quanto dispiace a me e a tutti coloro e a tutte coloro che, da sette anni, si stanno battendo per un diritto di civiltà come quello sulle dimissioni in bianco, che viene scippato in modo così incredibile e sulla base di una ossessione ideologica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Schirò. Ne ha facoltà.

GEA SCHIRÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi ottant'anni il nostro Paese non aveva mai registrato un periodo di crisi così lungo e di così rilevante intensità. Dal 2007 abbiamo assistito al crollo di tutti i principali indicatori economici ed al conseguente, spropositato aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile. Dal 2008 ad oggi, gli occupati in Europa sono diminuiti di circa 5 milioni e, in Italia, 365 mila persone hanno perso il lavoro, già rispetto al 2013, in pratica in pochi mesi, mentre dall'ultima rilevazione ISTAT si registra un ulteriore incremento del tasso di disoccupazione giovanile, che è salita al 42,3 per cento. In queste ultime settimane stiamo assistendo, tuttavia, ai primi segnali di una ripresa che va sostenuta, incoraggiata e consolidata.
Non è un caso che, a chiusura del semestre europeo 2013, il Consiglio abbia rivolto all'Italia alcune specifiche raccomandazioni volte ad eliminare gli squilibri economici che hanno impedito al nostro Paese di agganciare la ripresa in maniera più incisiva. Tra queste figurano quelle relative al mercato del lavoro. Rapportate al contesto europeo, le condizioni per l'accesso al mercato del lavoro nel nostro Paese sono assai più problematiche, determinando un crescente numero di giovani che, oltre a non studiare, non lavorano e non vengano formati.
Lo stesso Presidente Draghi ha esortato, recentemente, i Governi a combattere la disoccupazione che frena la ripresa attraverso riforme del mercato del lavoro e dei mercati dei beni e servizi volte a rafforzare la competitività, incrementare la crescita potenziale e creare opportunità di una nuova occupazione, liberando il mercato da vischiosità, per poter accrescere i tassi di attività e occupazione così da restituire alla formazione e al merito il giusto valore.
Questo di cui ci stiamo oggi occupando è un tassello importante che semplifica e ottimizza il ricorso al contratto a tempo determinato e all'apprendistato, rinviando alla legge delega – ne parlava il collega Damiano –, per ora giacente al Senato, la riforma organica del lavoro, tesa a realizzare un'effettiva razionalizzazione dei meccanismi di assunzione e delle forme contrattuali, nonché a rinnovare e a rendere più efficiente il sistema degli ammortizzatori.
La necessità di un intervento che ripristinasse una maggiore flessibilità in entrata nel mercato del lavoro, soprattutto in materia di contratti a termine e in materia di apprendistato, era stata avanzata a più riprese dalle principali organizzazioni e associazioni datoriali, interessate ad eliminare tali rigidità. Il decreto-legge recepisce alcune di queste istanze, come, ad esempio, l'innalzamento da 12 a 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi, recependo in parte la direttiva 1999/70/CE, nonché l'ammissibilità di proroghe per i medesimi fino a un massimo di cinque, anche se il testo originario ne prevedeva otto. Riconosciamo alla Commissione, e la ringraziamo, di aver posto tra le modifiche la tutela delle donne lavoratrici in maternità. Dopo l'approvazione, ne ha appena parlato la collega Di Salvo, del provvedimento sulle dimissioni in bianco qui alla Camera, questo, se il provvedimento sulle dimissioni in bianco votato consensualmente Pag. 21all'unanimità dalle donne di questa Camera potesse andare avanti anche al Senato, potrebbe essere un ulteriore passo nel riconoscimento del diritto delle donne alla tutela del posto di lavoro. Quanto al limite percentuale del 20 per cento di utilizzo di questo strumento rispetto all'organico complessivo per le imprese fino a cinque dipendenti, peraltro non previsto nella direttiva europea, valutiamo positivamente il fatto che sia stata salvaguardata l'autonomia collettiva.
Oltre ad eliminare il contenzioso che si è aperto in questi anni su questa tipologia di contratto, la modifica descritta ne renderà di fatto più appetibile il ricorso rispetto ad altre forme di lavoro improprie.
L'altro tema affrontato da questo decreto-legge è quello relativo all'apprendistato. Riteniamo condivisibili le semplificazioni introdotte, che si inseriscono nel solco di quelle avviate con il decreto n. 167 del 2011, tese a valorizzare l'apprendistato quale canale privilegiato per l'accesso dei giovani nel mondo del lavoro; e aggiungiamo che dovrebbe andare di pari passo anche con una riforma del sistema scolastico come in quello tedesco, con l'apprendistato attivo inserito nel sistema scolastico (in Italia solo il Trentino lo applica).
Rispetto alla versione iniziale, che prevedeva la completa abolizione di qualsiasi obbligo, da parte dei datori di lavoro che occupino almeno 10 dipendenti, di confermare almeno il 50 per cento degli apprendisti al termine del loro periodo formativo prima di poter avviare nuovi rapporti, di apprendistato ovviamente, la versione che ci accingiamo ad approvare prevede per le aziende che occupino almeno 30 dipendenti la stabilizzazione di almeno il 20 per cento. Si tratta di un punto di caduta importante, fortemente voluto in Commissione. Da segnalare altresì che in sede di Commissione è stata giustamente introdotta una norma transitoria, in modo da consentire che le disposizioni degli articoli 1 e 2 relative ai contratti a termine vengano applicate ai rapporti entrati successivamente in vigore, facendo salvi gli effetti già prodotti dalle disposizioni introdotte.
Il nostro giudizio non può che essere positivo, anche per le disposizioni di semplificazione riguardanti il rilascio del DURC, sia rispetto ai soggetti che possono richiederlo sia rispetto alle previsioni di una durata univoca di 120 giorni della validità dello stesso per tutte le tipologie richieste. Anche queste modificazioni rispondono ad esigenze di trasparenza e di facile verifica della regolarità contributiva. Inutile sottolineare che molto dipenderà dai decreti attuativi delle nuove disposizioni.
Infine, in considerazione della crisi occupazionale che ha investito il nostro Paese, non possiamo che accogliere positivamente il rifinanziamento del Fondo per il 2014 di 15 milioni, che si aggiungono ai 50 stanziati nella legge di stabilità per finanziare le riduzioni contributive per quei datori di lavoro che applichino contratti di solidarietà.
In conclusione, l'approvazione di questo decreto-legge sarà il primo passo, una prima risposta, che però dovrà essere definita all'interno del quadro di misure volte a stimolare nuova occupazione contemplate nel disegno di legge delega che andremo ad esaminare nelle prossime settimane.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Polverini. Ne ha facoltà.

RENATA POLVERINI. Signor Presidente, vorrei partire da un dato, che è già stato più volte citato negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, che è il dato di disoccupazione con il quale ormai da troppo tempo ci dobbiamo confrontare quotidianamente. Dato che, rispetto anche agli interventi messi in campo dall'attuale Governo, non è mutato: mi riferisco per esempio al decreto sull'occupazione giovanile, che tante speranze aveva alimentato, ma che poi non ha prodotto risultati, se ci troviamo con un dato di disoccupazione complessiva del 13 per cento e di disoccupazione giovanile del 43 per cento di Pag. 22media; il che significa che nelle regioni, in particolare del Mezzogiorno, il dato supera il 50 per cento, cioè un giovane su due risulta disoccupato.
Peraltro, abbiamo una questione che non può essere più sottovalutata, che riguarda anche la disoccupazione che investe le regioni del nord del Paese: che, se da un lato ha percentuali assolutamente inferiori al dato nazionale, e sicuramente a quella dell'occupazione giovanile, dall'altro, essendo un territorio non abituato – consentitemi questo termine – a gestire crisi di disoccupazione come quella che stiamo vivendo, produce degli effetti sul piano delle vite delle persone, dei lavoratori e delle imprese veramente drammatici.
Allora il Governo, attribuendo in questa fase anche alla legge Fornero il disastro, soprattutto rispetto alle norme di flessibilità che la riforma Fornero per alcuni aveva irrigidito, mette in campo un decreto-legge e un disegno di legge delega.
Un decreto motivato dall'urgenza di far fronte con strumenti normativi alla necessità di recuperare occupazione attraverso, appunto, una maggiore flessibilità per le imprese. Naturalmente, questo decreto arriva in Commissione e già trova, all'interno della Commissione, non soltanto divergenze dentro i partiti, non soltanto divergenze tra maggioranza e opposizione, ma divergenze ancora più forti tra gli stessi partiti della maggioranza. Per aiutarci nel lavoro, che noi di Forza Italia abbiamo condiviso perché andiamo sempre al merito delle questioni e cerchiamo di non mettere in campo ideologie e demagogia su questioni importanti, come appunto quelle del lavoro, abbiamo ascoltato – è stato già ricordato più volte – molte associazioni, le più rappresentative delle imprese e dei lavoratori, e abbiamo voluto ascoltare anche esperti di materia giuslavoristica, ovviamente di diverse impostazioni. In tal modo ci siamo formati comunque l'idea che alcune delle modifiche che in qualche modo prendevano corpo all'interno della Commissione andavano da noi sostenute, sempre con l'obiettivo di mettere in campo uno strumento che potesse realizzare quello spazio necessario alle imprese per provare a rilanciare l'occupazione.
Naturalmente, noi abbiamo guardato a quelle modifiche che, senza penalizzare le imprese nei processi di assunzione, mettessero comunque sempre avanti garanzie e tutele per i lavoratori. Lo voglio dire con un'attenzione particolare anche alle piccole imprese, che risultano quelle chiaramente con maggiori difficoltà, soprattutto rispetto, molto spesso, all'impianto normativo troppo ampio e troppe volte anche confuso. Quindi, abbiamo condiviso un percorso che riguardava in particolare le questioni già ben illustrate dal relatore, che ringrazio anche per il paziente lavoro, come il presidente Cesare Damiano per altrettanta pazienza.
Abbiamo cercato di capire come era possibile trovare un punto di mediazione, per quanto riguarda il contratto a tempo determinato, tra la possibilità di proroga previste dalla legge Fornero per un rinnovo e quello che invece prevedeva il decreto n. 34, cioè otto rinnovi. Naturalmente, come è stato già detto, si è arrivati a cinque proroghe che, secondo il nostro parere, potevano essere assolutamente condivise; come anche il meccanismo di acausalità, se da un lato in qualche modo ci spaventava, al tempo stesso abbiamo dovuto condividere la necessità di togliere vincoli che troppo spesso vengono attenzionati dalle imprese per motivare la loro incapacità o non volontà di assumere.
Ci siamo anche preoccupati del periodo transitorio perché, come ho detto nelle varie audizioni, in particolare del mondo delle imprese, ma anche in incontri che abbiamo voluto fare a livello individuale, abbiamo compreso che rispetto al periodo transitorio si rischiava, e forse si rischia ancora, un contenzioso e abbiamo voluto dare un contributo nel provare ad eliminarlo, come anche abbiamo condiviso il diritto di precedenza e abbiamo contribuito a garantire comunque, anche rispetto a tipologie atipiche di lavoro, la tutela della maternità, peraltro con un Governo che si è mostrato fortemente Pag. 23impegnato rispetto alla tutela della donna, in particolare nel periodo di astensione per maternità.
La seconda questione sulla quale abbiamo voluto comunque condividere il lavoro, lavorando all'interno della Commissione, è stata quella del contratto di formazione e che, io lo ribadisco anche qui oggi, credo e continuo a credere ancora debba rappresentare lo strumento principale di accesso dei lavoratori giovani all'interno del mercato del lavoro.
Uno strumento che è troppo competitivo per non essere in qualche modo vincolato, seppure con una percentuale minore, come è stato, appunto, il risultato del confronto in Commissione, ad un processo di stabilizzazione, perché la forte competitività economica che ha il contratto di formazione, se non è appunto orientato a stabilizzare anche per non andare in contrasto con le direttive europee, rischia veramente di vedere utilizzati processi formativi, e quindi risorse pubbliche, per non arrivare a garantire ai giovani un percorso all'interno del mercato del lavoro che poi sia, appunto, stabilizzante e che gli consenta di organizzare il futuro come purtroppo, invece, oggi molti fanno fatica a fare.
Abbiamo voluto chiaramente guardare con attenzione anche a tutto quel mondo delle imprese che, in qualche modo, aveva difficoltà nel rapportarsi con le regioni rispetto alla formazione pubblica. Senza eliminare il vincolo, come invece fa il decreto-legge n. 34 del 2014, abbiamo voluto garantire che non ci sia anche qui il timore di una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea, abbassando il livello, come ho detto prima, di stabilizzazione, ma anche facendo in modo che le regioni vengano messe nelle condizioni di dovere necessariamente erogare, in un periodo temporale di 45 giorni, la formazione pubblica, altrimenti le imprese non vengono considerate responsabili di questo. Chi, come me, ha avuto un'esperienza all'interno delle regioni sa perfettamente che, laddove la formazione pubblica funziona, non è un elemento di ostacolo rispetto all'azione delle imprese; laddove la formazione non funziona e nel caso in cui non ci sarà la possibilità di erogarla nel periodo previsto dalla norma, così come modificata in Commissione, comunque non ci saranno problemi per le imprese.
Abbiamo poi naturalmente anche guardato con attenzione a quello che è il processo del DURC, anche qui cercando di trovare un equilibrio tra la norma e il fatto che non deve diventare un ostacolo per le imprese, in particolare per quelle che si trovano in difficoltà perché non riscuotono fatture dalla pubblica amministrazione. Abbiamo voluto fare in modo, anche ampliando la platea dei soggetti per le verifiche, che questo DURC garantisca processi di sicurezza, per i quali è stato innovato, e, al tempo stesso, non sia un ostacolo.
Fino a questo punto siamo al merito della questione. Ho detto che Forza Italia, anche rispetto a questo decreto, ha voluto mettere in campo grande senso di responsabilità. Noi, come tutti sanno, abbiamo un accordo con questa maggioranza di Governo che prevede un nostro coinvolgimento diretto, e quindi un sostegno alla maggioranza, nel processo di riforme costituzionali e istituzionali, ma siamo all'opposizione per quanto riguarda il merito degli altri provvedimenti. Però, come abbiamo dimostrato più volte in quest'Aula e, soprattutto, ogni volta in Commissione lavoro, abbiamo dato il nostro contributo per migliorare e, quindi, per votare anche noi i provvedimenti che vanno a favore di imprese, lavoratori e famiglie, cioè di tutte quelle categorie che oggi, purtroppo, per gli effetti della crisi risultano in forte difficoltà.
Però, devo dire quanto è accaduto mercoledì in tarda serata in Commissione e, soprattutto, quanto è accaduto ieri, anche con uno sgarbo – consentitemi – istituzionale, oltre che politico, che si è consumato all'interno della maggioranza nel momento in cui, poco prima che si riunisse la Commissione che doveva conferire il mandato al relatore per l'esame del provvedimento in Aula, il Nuovo Centrodestra, forza devo dire importante, con a Pag. 24capo il suo segretario, ha minacciato sostanzialmente il Partito Democratico anche su questo decreto. Inoltre, anche oggi è stato di nuovo annunciato, dall'onorevole Sergio Pizzolante, che si farà una battaglia anche in quest'Aula per riportare il testo indietro, laddove il Ministro Poletti lo aveva consegnato.
Tra l'altro, anch'io, ho appreso ieri sera che lo stesso Ministro, invece, che pure si era fatto, come dire, fermo difensore del decreto-legge da lui consegnato alle Camere, si riteneva soddisfatto e andava, appunto, a guardare alle modifiche introdotte come ad un elemento che non scardinava il sistema, ma che poneva delle giuste questioni.
Allora, noi – dicevo – abbiamo dovuto assistere mercoledì, in tarda serata, ad un dibattito che meglio sarebbe stato consumare in un altro contesto, più politico che istituzionale, e ieri abbiamo dovuto assistere, appunto, a questa conferenza stampa che, di fatto, prima ancora che il relatore ricevesse il mandato, annunciava posizioni – devo dire – drastiche da parte del Nuovo Centrodestra, anche con l'appoggio, rispetto al fatto di non essere presenti al momento della votazione, dell'altra forza politica che sostiene il Governo, che è appunto Scelta Civica.
Allora, mi domando: qui io non voglio più parlare del merito di questo provvedimento, voglio parlare della possibilità di successo che avrà questo Governo rispetto alle questioni straordinariamente importanti del lavoro. Perché dico questo ? Perché ricorderanno i colleghi della Commissione lavoro che già con il Presidente Letta e il Ministro Giovannini arrivò in questo ramo del Parlamento, il decreto occupazione giovanile, di fatto immutabile, e dovemmo, nostro malgrado, mandare giù bocconi amari perché ci fu chiesto di non intervenire, altrimenti quel provvedimento rischiava di decadere. Oggi mi viene il dubbio che sia stato trattenuto al Senato non perché si voleva studiarlo nel merito, ma perché si voleva evitare che non venisse in qualche modo stravolto rispetto a quanto aveva fatto il Senato, non sicuramente in quest'Aula, ma all'interno della Commissione lavoro.
La seconda questione sulla quale Forza Italia, anche lì con grande senso di responsabilità, ha condiviso e votato, è il provvedimento sulle dimissioni in bianco. E guardate, sto parlando degli unici provvedimenti che sono passati in questa Commissione che arrivano dal Governo, a parte il primo che riguardò la cassa integrazione, perché il secondo nemmeno c’è stato assegnato come Commissione referente. Peraltro, ancora mi domando perché fu assegnato alle Commissioni bilancio e finanze; forse oggi abbiamo la risposta anche di questo, cioè del perché. Allora dico: anche sulle dimissioni in bianco, dopo un grande lavoro di coinvolgimento di tutte le associazioni, anche e soprattutto imprenditoriali, noi variamo un provvedimento che viene di fatto affossato, perché riferendolo alla delega in Senato purtroppo, ahimè, anche con il voto del Partito Democratico, in quel ramo del Parlamento, viene affossato, in quanto probabilmente i tempi e il dibattito su quel disegno di legge saranno talmente lunghi che non vedremo mai la luce per quel provvedimento, che pure – ripeto – in quest'Aula la maggior parte di noi aveva condiviso.
E dico anche che, alla luce di quello che sarà il prodotto finale del decreto n. 34 del 2014, probabilmente ci sarà anche una volontà politica di non procedere con celerità sul disegno di legge delega, perché probabilmente non è vero che questa norma non è flessibile; è talmente flessibile che probabilmente ci renderemo conto che non ci sarà la necessità del contratto, annunciato dal Presidente Renzi, a tutele crescenti.
Allora, mi domando: non dobbiamo più porci la questione del merito sul lavoro, perché io temo che proprio il combinato disposto di avere due Commissioni, con due presidenti che la vedono in maniera assolutamente opposta uno rispetto all'altro, che pure sostengono lo stesso Governo, uno alla Camera e uno al Senato, impedisca materialmente a questa Camera Pag. 25di poter legiferare rispetto ad una discussione che invece, all'interno della Commissione lavoro, è sempre una discussione serena, di contenuto, di merito, di approfondimento. Io mi domando come farà Renzi a continuare un percorso, rispetto alla legislazione sul lavoro, che diventerà di qui a breve il vero problema che, al momento, non trova le risposte adeguate, e a mettere in campo gli strumenti che possano conciliare due posizioni completamente diverse.
Questo è il tema sul quale io mi interrogo, ed è per questo che, pur avendo condiviso come ho già detto, il percorso all'interno della Commissione lavoro, ho chiesto, insieme ai colleghi della Commissione e al presidente del gruppo, di convocare, prima che si arrivi in Aula per la decisione e la votazione finale, una riunione anche con i colleghi delle altre Commissioni per capire se siamo nelle condizioni di votare serenamente questo provvedimento oppure no.
Dico ciò perché non mi vorrei trovare, ancora una volta, a dover votare un provvedimento che comunque non ci soddisfa ma, per senso di responsabilità, a votarlo, come abbiamo sempre fatto, per poi vederlo bloccare, annullare o modificare. Quindi, rischiando addirittura su questo decreto la decadenza: se il Senato imporrà stravolgimenti al lavoro fatto alla Camera dei deputati, sappiamo bene che c’è il rischio della decadenza del decreto stesso; io, quindi, non voglio più dare il contributo se lo scenario che abbiamo davanti è questo. Abbiamo intenzione di vederci nei prossimi giorni per maturare la decisione che poi assumeremo nel momento in cui dovremo decidere se votare il provvedimento in Aula o se addirittura – ovviamente, non voteremo la fiducia – votarlo qualora il Governo dovesse, come ha già espresso ampiamente in questi giorni lo stesso Ministro Poletti, chiedere la fiducia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Miccoli. Ne ha facoltà.

MARCO MICCOLI. Signor Presidente, ieri in quest'Aula abbiamo discusso e poi approvato il DEF. Tale Documento ha annunciato e confermato i dati di una ripresa che ci sarà ma sarà lenta e difficile. Difficoltà che si intravedono in quei numeri che sono stati anch'essi analizzati in quest'Aula ieri, che passano da un segno negativo ad un segno positivo ma che, proprio nella loro limitatezza, descrivono quanto sarà difficile il cammino.
Il PIL aumenta dello 0,8 per cento nel 2014, per poi aumentare dell'1,3 per cento nel 2015. Il passaggio da un meno 0,8 per cento ad un più 0,2 per cento sui consumi. La domanda interna, che anch'essa cresce dello 0,5 per cento, è l'unico dato che fa un balzo in avanti ma che, per essere confermato, dovrà essere supportato da decisioni importanti. Così come, il dato delle esportazioni che passano a più 4 per cento.
Si intravede una flebile luce di uscita dal tunnel della crisi ma resta l'incertezza, in tutti i settori del Paese, in particolar modo in quelli produttivi, nei settori del lavoro. Questo sarà un passaggio complicato e difficile da gestire. Lo sarà soprattutto per le imprese e per tutti i lavoratori; le imprese, quindi, avranno bisogno di gestire questa fase con cautela: noi comprendiamo i motivi per quanto abbiamo adesso detto. Ci saranno ancora reticenze, prudenza e scetticismo. E saranno ancora una volta utilizzate, per forza di cose, scelte che hanno le caratteristiche della temporaneità. Scelte prudenti seppure in positivo, perché quando si investe e quando si assume è sempre un dato positivo all'epoca della crisi. Gestiremo un periodo di transizione il cui esito finale dipenderà sostanzialmente da alcuni fattori: quello che riguarda gli investimenti, quello che riguarderà gli ordinativi dall'estero, quello che riguarderà, come abbiamo detto, la domanda interna. Ci vuole, quindi, tempo. Questo vale per tutto, vale per le imprese, vale per gli investimenti, vale per le assunzioni e quindi per l'occupazione nel nostro Paese. È solo in questo contesto che va giudicato il provvedimento che stiamo discutendo.
Non bisogna mai dimenticare che, oltre a questo scenario, ce n’è uno che ereditiamo Pag. 26dalla crisi, che parla di dati drammatici per quanto riguarda l'occupazione. Dobbiamo ricordare che questo decreto-legge arriva laddove non c’è il paradiso. Non si può dire che adesso arriva un decreto-legge, come abbiamo sentito dire in quest'Aula, che produrrà precarietà. Ma chi dice questo di quale Paese parla ? A quale Paese si riferisce ?
Qui abbiamo un Paese in cui per le partite IVA, 5 milioni di partite IVA, ci sono 2 milioni e 500 mila partite IVA individuali non regolamentate; parliamo di un Paese in cui abbiamo un milione e mezzo di parasubordinati, che guadagnano in media meno di 10 mila euro lordi l'anno (500 euro al mese); abbiamo quelle partite IVA che, invece, guadagnano meno di 15 mila euro lordi.
E anche per quanto riguarda l'apprendistato, di quale Paese si parla quando si dice che questo decreto-legge andrebbe a devastare il mondo dell'apprendistato ? L'apprendistato sta calando e cala del 5 per cento l'anno. E non solo cala del 5 per cento l'anno, su una base di 450 mila apprendisti nel 2012, ma quello che è più grave è che cala dell'11 per cento l'anno la trasformazione dell'apprendistato in contratto a tempo indeterminato. Si stanno bruciando in questi anni 180 mila posti di apprendistato.
Questo non è il paradiso: è su questo che interviene il decreto-legge del Governo. E interviene con un'importante premessa, intanto politica, che fa il Presidente Renzi prima di ogni altro, quando parla, appunto, lui stesso. Mettendo in campo il decreto-legge, il Jobs Act, dice lui stesso: non è cambiando le regole del lavoro che si crea occupazione; possiamo favorirla, possiamo porre qualche aggiustamento, ma non si crea occupazione cambiando continuamente le regole del lavoro. Lo dice Renzi stesso nella presentazione di questi provvedimenti.
Ma nella premessa scritta si dice che continua ad essere il lavoro a tempo indeterminato il lavoro standard in questo Paese. Ciò è importante ed è bene ribadircelo sempre che si lavora in quell'orizzonte.
Favorire un contratto a termine dà più tutele, come tutti sanno, rispetto ad altri contratti, contratti che non hanno le stesse tutele, contratti a progetto, contratti a collaborazione, finte partite IVA come ricordava il presidente Damiano, e finti stage. Ecco, il decreto-legge si pone l'obiettivo in premessa di concorrere con quelle forme di precarizzazione e, quindi, di semplificare per favorire questo passaggio.
Guardate, non ci si venga a dire che, fino ad oggi, sul tempo determinato anche qui c’è il paradiso. Quello che abbiamo visto in questi anni sono i lavoratori che abbiamo incontrato in questa piazza, di fronte a Montecitorio, o nei luoghi di lavoro, nella pubblica amministrazione, negli enti pubblici di ricerca, nella sanità o all'università, lavoratori ai quali da 16 o 17 o 20 anni viene rinnovato il tempo determinato. Ecco, questo noi abbiamo di fronte in questo momento !
E allora dobbiamo accettare la sfida che ci pone il Governo e lo abbiamo fatto. Lo abbiamo fatto in Commissione con una discussione che è stata difficile e complicata, dove si partiva anche da posizioni diverse, molto diverse, anche all'interno della maggioranza. È proprio per questa difficoltà quello che abbiamo ottenuto è un risultato che noi, che il Partito Democratico ritiene soddisfacente, perché ha tenuto conto di un dibattito che è stato difficile.
Guardate, la discussione è stata tesa, complicata e difficile, perché – è bene ricordarlo anche quando si utilizzano certi toni – in questo Paese, quando si parla di precarietà e quando si parla di lavoro, la discussione suscita attenzione, suscita reazioni, che a volte sono state anche drammatiche. Quindi il senso di responsabilità, quando si adoperano termini in questa discussione, è un richiamo che va fatto a tutti, perché si gioca una partita sulla pelle delle persone, dei giovani, di quei ragazzi che si sono visti cancellati un futuro e che non sono più ragazzi oggi, che hanno passato un'intera vita lavorativa all'interno di un percorso di precarietà.
Quei cambiamenti apportati in Commissione, signor Presidente, hanno europeizzato Pag. 27il decreto-legge, l'hanno reso più compatibile con le leggi europee, abbiamo evitato che vi entrasse in conflitto. È stato anche trovato un punto di equilibrio che va mantenuto. Voglio fare un appello alle altre forze di maggioranza in questo caso, perché l'equilibrio ha tenuto conto delle loro posizioni, ma anche di altre più scettiche, anche all'interno dello stesso Partito Democratico come è stato ricordato. Abbiamo prodotto una riflessione che è partita dalle tante audizioni svolte, che ci hanno posto anche alcune riflessioni interessanti e che hanno prodotto proprio i cambiamenti che in Commissione si sono ottenuti. Abbiamo discusso su oltre 300 emendamenti presentati da tutti, li abbiamo analizzati e abbiamo prodotto un risultato, un equilibrio, che va mantenuto perché la rimessa in discussione di questo lavoro così ben fatto produrrebbe una gestione complicata del proseguimento dell’iter in Parlamento e al Senato. Ecco perché abbiamo oggi voluto difendere quei cambiamenti.
Voglio ringraziare il Governo, il presidente Damiano, il relatore Dell'Aringa, che hanno svolto, devo dire, in questo caso un lavoro egregio, difficile, complicato, che all'inizio sembrava addirittura impossibile. Ecco, io vorrei sottolineare che quello che si è prodotto in Commissione e quello che si sta producendo in questa discussione oggi è il tentativo di accettare una sfida, che non è una sfida che riguarda il Parlamento, è una sfida di chi fuori di qui, guardando ad una possibile ripresa, vorrebbe vedere un cambiamento di quel percorso di vita che è diritto di tutti avere in modo più tranquillo e sereno, che ti fa guardare al futuro facendo progetti con chi ti sta accanto, con le persone a te care. Ecco noi vogliamo ricostruire questo nel Paese e l'iniziativa messa in campo dal Governo, le indicazioni del Partito Democratico tendono solo a questo: a guardare a quell'interesse generale che in quest'Aula dovrebbe essere sempre orizzonte per tutti quanti noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Cominardi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO COMINARDI. Signor Presidente, con il decreto-legge Poletti, n. 34, il Governo Renzi sta reintroducendo la schiavitù, la schiavitù moderna. Si tratta di un decreto-legge scritto con i piedi e con la collaborazione delle corporazioni industriali che come dei topi di fogna si aggirano nei corridoi delle Commissioni a dispensare i consigli su come distruggere i diritti conquistati nelle lotte sociali durate decenni. Con questo decreto-legge assistiamo alla liberalizzazione dei contratti a termine per la cui stipulazione non è più richiesta una causa di giustificazione oggettiva. Il decreto-legge, inoltre, incrementa il numero delle proroghe, prima una, con Renzi fino a 5 e ad un numero illimitato di rinnovi, ed estende la durata massima di successione dei contratti a complessivi 36 mesi. Queste disposizioni sono palesemente in contrasto con la direttiva 1990/70/CE e con la successiva giurisprudenza prodotta dalla Corte costituzionale italiana e dalla Corte di giustizia europea.
Nello specifico il decreto-legge viola gli obiettivi e i principi ispiratori della direttiva tesi all'adozione del contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma comune prioritaria e principale di assunzione e di ingresso nel mercato del lavoro rispetto al contratto a tempo indeterminato. L'esasperata precarizzazione dei rapporti di lavoro a termine non ha portato, e non porta in ogni caso, un incremento dell'occupazione, né un incremento della competitività e produttività delle imprese. Con questo decreto-legge il Governo palesemente viola la normativa comunitaria risultando, quindi, inadempiente rispetto agli impegni assunti in sede europea. Le misure, oltre che ad essere normativamente in contrasto con le disposizioni comunitarie, sono totalmente inadeguate per far fronte alla grave crisi occupazionale ed economica presente nel nostro Paese. La precarizzazione del lavoro penalizza esclusivamente i dipendenti perché preclude loro ogni possibilità, ogni Pag. 28possibile progettazione del futuro. Per questi motivi il MoVimento 5 Stelle condanna l'adozione delle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 34 del 2014 adottate dal Governo Renzi in quanto inefficaci, dannose e illegittime e ne richiede il ritiro. È, dunque, necessario che la Commissione europea avvii nei confronti dello Stato italiano, nella persona del suo Presidente del Consiglio dei ministri, signor Matteo Renzi, la procedura d'infrazione.
Ebbene sì, manco i decreti sanno scrivere. Questo provvedimento, facente parte del Job Act, esaltato da tutta la stampa di regime come riforma epocale per il mercato del lavoro, è composto da 6 articoli, di cui solo 5, per così dire, di sostanza, poche paginette che hanno per oggetto disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese.
Niente di più falso. La storia di questo Paese ci ha dimostrato come la flessibilità dei rapporti di lavoro abbia creato solo precarietà, incertezza, perdita dei diritti e delle garanzie sociali, che un sistema democratico non può permettere (vedasi gli articoli 1, 2, 3 e 4 della nostra Carta costituzionale). Negli ultimi decenni gli interventi in materia decontrattualistica, dal pacchetto Treu alla legge Biagi, che hanno generato una proliferazione di forme contrattuali atipiche, di fatto non hanno minimamente migliorato gli indici relativi alla disoccupazione.
Abbiamo anche altri esempi, come quello della Spagna. Le politiche sul lavoro di Mariano Rajoy, che prevedono licenziamenti più facili e meno garanzie, hanno ottenuto due risultati: un aumento della disoccupazione e una maggiore richiesta di impieghi a ore, dove spesso – denunciano i sindacati – si lavora molto più di quello che prevede il contratto e si è pagati a nero. I dati del 2013 ci dicono che la Spagna ha il più alto tasso di disoccupazione d'Europa, secondo solo alla Grecia.
Entrando nello specifico del presente decreto, gli articoli 1 e 2 meritano un approfondimento, in modo tale che rimanga agli atti di quest'Aula l'assurdità di questi interventi di deregolamentazione in materia di contratti a termine e apprendistato.
Come spiega dettagliatamente il Collettivo San Precario nell'articolo pubblicato il 31 marzo 2014, che riporto testualmente, sul decreto che non era ancora stato modificato dalla Commissione: ”L'articolo 1 del decreto consente di assumere a termine, sempre e senza alcuna reale motivazione, sia direttamente sia utilizzando le agenzie di somministrazione. Ogni impresa è libera di scegliere fra assunzione stabile e assunzione precaria; dunque viene di fatto cancellata dal nostro ordinamento (per almeno un triennio) qualsiasi assunzione a tempo indeterminato (quale imprenditore, se non uno scemo destinato al fallimento, potrebbe scegliere un contratto meno favorevole, potendo evitarlo ?). Il testo va letto con attenzione. Il limite del 20 per cento è una soglia insuperabile, perché riferita all'intero organico: in un periodo di licenziamenti e di riduzione dell'organico la quota di fatto copre qualsiasi nuovo ingaggio. La cancellazione della causale (intesa come requisito necessario e oggettivo per l'utilizzo del contratto a termine) consente inoltre operazioni di sostituzione di lavoratori licenziati (anche con procedure collettive) con altri meno costosi e garantiti; basta, secondo l'articolo 3 del decreto n. 368 del 2001, munirsi di accordo aziendale o anche semplicemente modificare l'inquadramento (le stesse mansioni sono un concetto in fondo assai sfuggente nelle società di capitalismo avanzato).
Il nuovo testo consente l'assunzione, e successivamente ben otto proroghe; ma, attenzione, nell'ambito dei 36 mesi di utilizzo massimo, niente impedisce all'impresa (con il solo breve intervallo dell'articolo 5 del decreto n. 368 del 2001 e facendolo magari coincidere con le ferie) di fare due o tre o quattro contratti, ciascuno con otto proroghe. L'unico limite rimane quello dell'articolo 5 del decreto, i 36 mesi con una pluralità di contratti. Ma per 36 mesi di effettivo lavoro (escluse le pause fra un contratto e l'altro) ogni impresa può frazionare l'utilizzo anche in Pag. 29quote mensili o bimestrali. Mi spiego: di mese in mese posso decidere (per otto volte) se prorogare o meno, comunicandolo all'ultimo a chi lavora (e lasciandolo nella costante incertezza, dunque rendendo stabile la condizione precaria in luogo di rendere stabile l'aspettativa di retribuzione). Se invece di prorogare l'impresa decide di sospendere il rapporto per qualche settimana (o per accompagnare la produzione in forma flessibile o per punire o per semplicemente consentire la rotazione di un serbatoio), potrà poi stipulare liberamente un nuovo contratto, ancora con otto proroghe. Questo perverso meccanismo introdotto da Poletti&Renzi risolve anche, in prossima prospettiva il problema del trattamento di maternità: basta non prorogare il contratto alla lavoratrice in gravidanza (o non stipulare quello successivo) e l'impresa si evita spiacevoli maternità a rischio, assenze facoltative, divieti di licenziamento fino al compimento di un anno (ed anche in caso di matrimonio, basta attendere la più vicina scadenza e tanti saluti alla sposa !). Abbiamo scritto delle lavoratrici madri; ma con il frazionamento si cancellano di fatto anche le tutele per chi incorra in infortunio, chi sia vittima di malattia. Con lo spirare del termine (frazionato e sempre ravvicinato) l'impresa si libera di un peso, senza renderne conto a nessuno. La forma del contratto a termine, nel limite di 36 mesi complessivi, può essere indifferentemente quella dell'ingaggio diretto come della somministrazione a mezzo di agenzia d'intermediazione.
Questo è il decreto appena varato; i despoti hanno avuto la faccia tosta di chiamare questa operazione di macelleria sociale semplificazione e di invocare, quanto a necessità ed urgenza, nientemeno che il fine di generare nuova occupazione in particolare giovanile. Con grande arroganza Renzi, Poletti e Napolitano hanno violato la Costituzione.
Il decreto-legge (articolo 77 della nostra Carta) è consentito solo e soltanto in casi straordinari di necessità ed urgenza mediante provvedimenti provvisori e successivamente, o il giorno stesso, presentati alle Camere, anche al Senato, che – ci dice sempre l'articolo 77 della Costituzione – sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. L'articolo 87 della Carta attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di promulgare o non promulgare, dunque, i decreti, verificando se ne sussistano i presupposti. Contro ogni evidenza, re Giorgio ha ravvisato che la modifica della legislazione in tema di contratto a termine, in vigore dal 2001 e oggetto di ripetuti interventi ordinari del legislatore, costituisse indifferibile necessità straordinaria, così urgente da non lasciare neppure il tempo di un esame parlamentare. È una palese presa in giro, è, peggio, arroganza dispotica di una casta di funzionari decisi a massacrare i ceti deboli, a piegare i lavoratori, ad intimidirli rastrellando moneta con prelievo indiscriminato a loro danno. Tra l'altro, fino alla conversione (60 giorni, due mesi), è assai improbabile che le imprese si accostino alla nuova forma contrattuale, con il rischio del venir meno del decreto. Ma la scelta è quella del decreto, per poi arrivare al voto di conversione ponendo la fiducia.
Le altre due disposizioni varate, sempre in via urgente. Articolo 2: lo sceriffo di Nottingham, mediante metempsicosi trasmigrato nei corpi di Renzi e Poletti, ha modificato il contratto di apprendistato, che già era scandaloso e pieno di falle. Ora siamo al capolavoro: non solo viene eliminato il piano formativo e non si sa più quale sia il contenuto della pretesa formazione, ma si consente, per il bene immediato dell'economia e del mercato, l'apprendistato anche a chi caccia, al termine della formazione, tutti i precedenti apprendisti.
E si esentano le imprese da qualsiasi obbligo di formazione esterna all'azienda (si impara solo lavorando sul posto) e legittimando una fortissima riduzione dei minimi contrattuali di riferimento. E qui preciso e ribadisco: questi commenti sono relativi al testo non modificato dalla Commissione, però è un'analisi molto interessante, Pag. 30perché bisogna fare tutto un percorso rispetto a come è nato il decreto e a come stanno avvenendo e sono avvenute determinate modifiche. Analisi molto affini a quelle di alcuni giuslavoristi, professori universitari di diritto del lavoro ed esperti in materia che hanno dato il loro contributo durante il ciclo di audizioni.
Come vera opposizione nel contempo propositiva, abbiamo elaborato delle proposte emendative volte a migliorare il testo. Per quanto concerne la disciplina dei contratti a termine, abbiamo chiesto di reintrodurre la causale, ovvero la ragion d'essere del contratto. Abbiamo chiesto di ridurre ad una sola proroga il contratto a termine e la durata complessiva di un massimo di 24 mesi.
Abbiamo poi proposto un'indennità di precarietà per i contratti che vengono prorogati e per quelli in scadenza che non vengono trasformati in contratti a tempo indeterminato, ed abbiamo inoltre chiesto di retribuire il 30 per cento in più, perché la flessibilità deve essere regolamentata, limitata, corredata da paracadute sociali e soprattutto pagata maggiormente.
Ci ispiriamo quindi ad un modello di flessibilità che non sia più subita, che non sia una scelta obbligata ma un'opportunità, lo stesso modello proposto da un noto premio Nobel dell'economia come Joseph Stiglitz, ex consulente economico di Obama, non propriamente un marxista-leninista.
Per quanto concerne il contratto di apprendistato, abbiamo chiesto la formazione pubblica obbligatoria, l'obbligo di assumere almeno il 50 per cento di apprendisti per poterne assumere dei nuovi e che gli apprendisti vengano retribuiti almeno al 75 per cento durante le ore di formazione.
Queste sono solo alcune delle nostre proposte portate in Commissione e che politicanti carrieristi hanno preferito non accogliere, al contrario degli emendamenti ipocriti del PD, che hanno modificato nel contratto a termine il numero di proroghe da 8 a 5, ma consentendo un numero limitato di rinnovi.
Per non parlare dell'emendamento che consentirà di ricalcolare il tetto del 20 per cento delle assunzioni a termine rispetto all'organico complessivo delle aziende per ogni anno, permettendo così un cumulo di contingenti. Tutti emendamenti che sono vere e proprie truffe semantiche, che apparentemente migliorano il decreto, ma che in realtà lo peggiorano drasticamente. La solita strategia per salvarsi la faccia dinanzi ai cittadini, che potranno apprendere solo nel corso del tempo le conseguenze di tali scelte.
Ancor più grave l'atteggiamento del presidente Cesare Damiano nel gestire i lavori di Commissione, in quanto, quando martedì abbiamo chiesto il voto nominale, ci è stato impedito, nonostante il Regolamento della Camera non lo vietasse. Nelle motivazioni di diniego della presidenza sono state citate, come precedente da noi richiesto, circolari e lettere antecedenti al Regolamento stesso, che è del 1971, come la circolare del Presidente della Camera del 30 luglio 1958. Una follia in termini giuridici, «supercazzole» inventate di sana pianta da funzionari compiacenti per salvare la faccia dei politici sul voto degli emendamenti del «decreto vergogna».
In Aula abbiamo chiesto alla Presidenza di esprimersi rispetto all'interpretazione del Regolamento ed eventualmente di convocare la Giunta per il Regolamento per un parere sullo stesso.
Quando in serata è ripresa la Commissione, abbiamo reiterato la richiesta con delle motivazioni sostanziali ed abbiamo inoltre richiesto che la seduta venisse resa disponibile sulla web tv della Camera, ma la risposta è stata la medesima: niet ! Dopodiché Tiziana Ciprini ha chiesto la sospensione della seduta affinché la Giunta per il Regolamento si esprimesse con un parere sull'interpretazione dello stesso rispetto alle nostre richieste legittime di poter associare ad ogni voto un nome ed un volto. La risposta del presidente Damiano è scontata: nein ! Il collega Davide Tripiedi ha quindi chiesto di far esprimere con un voto la Commissione sulla possibilità di riprendere la stessa, ma il censore Damiano l'ha nuovamente negato. Pag. 31Così come Dino Alberti, quando ha chiesto ripetutamente dei documenti che certificassero le scelte fatte da Damiano. Ed infine, persino alle richieste di riconteggio dei voti degli emendamenti con appello nominale, come previsto dall'articolo 53, comma 3, che richiama l'articolo 54, comma 3, Damiano ha chiuso la compilation dei «no». Ecco chi dice sempre «no».
Ipocrisia, quella della maggioranza, in particolare quella del Partito Democratico, che a parole in Giunta per il Regolamento dà parere favorevole alla pubblicità dei lavori nelle Commissioni e al voto registrato, così come dichiarato da molti parlamentari nella campagna «Parlamento casa di vetro» e nei fatti fa l'esatto contrario.
Il giorno dopo, la Commissione è stata blindata dal presidente che ha vietato l'accesso a qualsiasi parlamentare che non fosse membro della Commissione stessa. Questo, contro le prassi parlamentari. Atteggiamenti tutt'altro che democratici, così come quello di discutere le peggiori porcate guarda caso in prossimità di festività. Vedi la modifica costituzionale per il pareggio di bilancio in Costituzione e l'approvazione del fiscal compact. È il solito trucchetto per far passare sotto silenzio provvedimenti che meriterebbero un'attenzione e un'esposizione mediatica elevatissima.
È difficile comprendere come una maggioranza composta da una sedicente sinistra possa portare avanti delle politiche sul lavoro che nemmeno i peggiori Governi di destra ultraliberisti nel passato sono mai stati capaci di fare. È difficile comprendere come la Commissione lavoro, largamente composta da sindacalisti di centrosinistra, possa dimenticare il senso storico dell'impegno sindacale. Forse perché i partiti non rispondono ad alcune ideologie in quanto si sono trasformati in comitati d'affari ? Forse perché tutti i partiti rispondono alle politiche antisociali neoliberiste ? Forse perché certi sindacalisti sono sindacalisti carrieristi che nel curriculum hanno un passato di accondiscendenza verso la parte datoriale e per questo sono stati promossi con una poltrona in Parlamento ? Forse perché si sono dimenticati o non hanno mai vissuto le difficoltà della vita reale ?
Credo, quindi, sia opportuno rinfrescare la memoria a queste persone, fargli fare un tuffo nella realtà portando a quest'Aula un esempio concreto di precarietà, una storia vera che ci è stata inviata dalla rete e che mi accingo a leggere: ”Ho 33 anni e sono di Roma. La mia è una storia un po’ diversa dalle altre, forse. Qualche anno fa trovo lavoro come commesso. Tempo indeterminato. La società per la quale lavoravo chiude. Ma non per la crisi, chiude perché il proprietario, truffatore conosciuto alla Finanza, affarista a San Marino, accumula debiti con le banche, con i fornitori, con i proprietari degli immobili in affitto e con noi dipendenti. Faccio causa, ferma da anni. Nel frattempo, chiedo la disoccupazione. La società riapre con altro nome, in altri locali, con altro personale e altro prestanome. Io finisco di percepire la disoccupazione, mentre mi chiedo perché non ci siano leggi che impediscano certi movimenti. La mia disoccupazione in fin dei conti ha un costo e, per come la vedo io, truffare, mandandomi in disoccupazione, equivale a far perdere denaro anche allo Stato. Lavoro in nero per un anno finché non trovo un altro contratto. Tempo indeterminato. Ma la proposta è: se in busta arrivano 1.100 euro, tu ne prendi mille. Faccio buon viso a cattivo gioco, intanto riesco a prendere un mutuo e nasce mio figlio, che non viene accettato al nido in quanto 40 punti sono pochi. Passa un anno e mezzo di soprusi e vengo mandato via perché stanco di starmene in silenzio. Faccio causa, ferma da mesi, ma forse qui c’è speranza. Voglio sperare. Colloquio in data 15 aprile 2014. Call center, 4 ore al giorno, 450 euro lordi al mese. Contratto a progetto di due mesi, rinnovabile per altri due. Declino l'offerta. Prendo più di disoccupazione e per altri tre mesi sono quasi sicuro di poter continuare a pagare mutuo e bollette e dar da mangiare a mio figlio, che anche quest'anno non verrà accettato al nido, in quanto, essendo disoccupato, Pag. 32ho ancora meno punti di quando lavoravo, solo 8. Non sono una persona tranquilla, è vero. Ho sempre lottato per i miei diritti che venivano puntualmente negati. Ho indagato per mio conto quando lavoravo presso i miei ex datori di lavoro e non mi tornava qualcosa, trovando sempre del marcio. Forse per questo non sono durato tanto, ma sono una persona onesta e in questo Paese essere onesti non paga. Certo, questa è solo una vicenda personale, ho tralasciato i datori di lavoro onesti dove lavoravo anni fa, così come ho tralasciato quei manager di call center messi lì perché parenti di qualcuno pubblicamente importante. Vi scrivo questo perché il messaggio che arriva da voi è che ad un imprenditore conviene frodare, essere complici, fare sotterfugi, cercare cavilli, mentre ad un dipendente non arriva nulla. Ottanta euro. Anche se fossero 100, vi garantisco che non cambierebbero assolutamente niente.
E permettetemi di dire che su come si vive con poco di questi tempi ne so più di voi. Quindi, perché continuate così ? Se della politica avete fatto il vostro mestiere, vi suggerisco di cambiarlo perché quello che fate non funziona. Forse dovrei accettare il messaggio che mandate ma non ci riesco, non è nella mia natura. Per questo resto un sognatore, vorrei poter scegliere il mestiere per cui sono portato, vorrei che tutti avessimo le stesse possibilità, vorrei che mio figlio potesse essere accettato in un asilo nido pubblico senza colpevolizzarmi di non avere 450 euro in più al mese per mandarlo in uno privato, vorrei semplicemente avere un Paese che dia opportunità.
Non ho appelli da fare. Sarebbe inutile. Ma vi dico questo, tra voi c’è gente corrotta, indagata, raccomandata, complici, senza un briciolo di vergogna: come vi aspettate che vada il Paese ? State togliendo la possibilità di creare un futuro a chi come me è ancora giovane. Non importa se per incompetenza, per interesse, per paura di perdere la poltrona o per convinzione. Non importa, state facendo ciò che ritenete opportuno. Non per noi, ma sulle nostre spalle, e non va bene. Una cosa è certa, non toglierete il futuro a mio figlio, ve lo prometto. L'Italia è un Paese per furbi, mio figlio vivrà in un Paese di onesti. Per lui, a tutti i costi. Loriano».
Da questa commuovente lettera si deduce come le soluzioni ai problemi reali siano da trovare altrove. Le politiche volte a flessibilizzare il mercato del lavoro non hanno fatto altro che creare precarietà, disagio sociale, senza incentivare il lavoro come indicato dai dati OCSE. Nonostante la profonda trasformazione dei contratti per quanto riguarda le nuove stipule dal 2009 ad oggi, che vedono il contratto a termine come contratto principale (dal 60 per cento al 70 per cento delle nuove stipule), i dati sulla disoccupazione rimangono inquietanti e in peggioramento anno dopo anno.
Per queste ragioni, ritengo opportuno spostare l'attenzione su due importanti aspetti legati alla crisi. In primo luogo, vorrei trattare il tema della disuguaglianza sociale: secondo il rapporto di ricerca “Working for the Few”, pubblicato recentemente dall'Organizzazione umanitaria internazionale Oxfam, 85 persone detengono la ricchezza equivalente a quella posseduta da 3,5 miliardi di persone. L'1 per cento della popolazione mondiale possiede circa 110 trilioni di dollari, 65 volte la ricchezza totale della metà più povera e le dieci persone più ricche d'Europa detengono una ricchezza – circa 217 miliardi di euro – che eccede le misure di stimolo economico a favore dell'Europa nel periodo 2008-2011, ovvero circa 200 miliardi di euro. 121,2 milioni di persone, circa il 24,3 per cento della popolazione in Europa, nel 2011 è stato a rischio povertà a causa delle misure di austerità imposte dalla Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Unione europea.
Alcuni accademici, tra cui Thomas Piketty, sostengono che la disuguaglianza sociale di oggi è pari a quella che esisteva nell'Ottocento e che la diretta conseguenza di mancati interventi normativi ed economici di riequilibrio da parte dei Governi produrrà nei prossimi anni un aumento delle tensioni sociali.Pag. 33
Le problematiche sono l'eccessivo divario salariale, attuato anche mediante una riduzione della tassazione sui redditi più alti, l'erogazione di premi e bonus ai manager della finanza che hanno incentivato l'attività speculativa, la totale assenza di un tetto per gli stipendi milionari e il mancato innalzamento degli stipendi più bassi proporzionalmente a quelli più alti.
Queste anomalie incidono sui processi decisionali delle moderne democrazie e il loro funzionamento appare compromesso a causa dell'aumento delle disuguaglianze sociali.
In Italia, solo nel settore bancario, sono più di 100 i manager che percepiscono una retribuzione superiore ad un milione di euro, mentre lo stipendio medio del lavoratore ha perso 830 euro annui dal 2010 al 2012.
Il salario medio annuale italiano è tra i più bassi in Europa, attestandosi nel 2013 a 28.900 euro, minore di quello della Germania, 44.800 euro, della Svezia, 59.500 euro, e della Francia 36.700 euro.
Genericamente, le differenze reddituali sono state esaminate dall'OCSE in un rapporto del 2011: viene evidenziato che la disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi OCSE e che il reddito medio del 10 per cento più ricco degli italiani è pari ad 49.300 euro, circa 10 volte superiore al reddito medio del 10 per cento più povero, passando da un rapporto di 8 a 1 negli anni Ottanta, a 10 a 1 negli ultimi anni.
Secondo recenti rapporti, quali ad esempio quello rilasciato dalla Banca d'Italia ad ottobre 2013, il coefficiente di Gini, strumento utilizzato per comprendere quale sia il grado di disuguaglianza tra i diversi redditi all'interno di un Paese, è pari per l'Italia nel 2010 a 0,46, dove lo zero corrisponde ad una omogenea distribuzione della ricchezza ed uno ad una massima concentrazione della ricchezza in favore di un solo soggetto.
La disuguaglianza in Italia, dal 1977 al 2010, è aumentata vertiginosamente, considerando che l'indice di Gini nel 1992 si attestava allo 0,27. L'Italia ha il coefficiente di Gini maggiore in Europa, avvicinandosi ad un altro Paese quali gli Stati Uniti d'America, che detengono un coefficiente pari allo 0,47 nell'ultimo anno.
Contemporaneamente, sono state ridotte le aliquote fiscali per i redditi più alti poiché in Italia le aliquote marginali d'imposta sui più ricchi, e nello specifico lo scaglione per i redditi sopra i 75 mila euro, sono passate dal 72 per cento nel 1981 al 43 per cento nel 2010.
Secondo alcuni economisti, tra cui Robert Reich, l'aumento del divario tra i salari è stato determinato da alcuni elementi, e specificatamente una politica fiscale di tutti i Governi volta a ridurre la tassazione sui redditi più alti – passando da aliquote del 90 per cento negli anni Cinquanta al 39 per cento negli ultimi anni –, la globalizzazione e le attività di delocalizzazione delle aziende, ed infine la tecnologia ed i processi di automazione.
Lo stesso premio Nobel Joseph Stiglitz ha dimostrato che, se la distribuzione del reddito viene effettuata con modalità disuguali, la propensione marginale al consumo diminuisce, incidendo in negativo sul valore del moltiplicatore. Tra l'altro, gli economisti riconoscono che le società più egualitarie hanno un coefficiente di Gini pari allo 0,3, e tra queste possono essere ricondotti alcuni Paesi europei quali la Svezia, la Norvegia e la Germania ma, purtroppo, non l'Italia.
Altro aspetto rilevante legato al problema occupazionale, di cui nessuno parla, è quello relativo al mutamento dei processi produttivi dovuto al progresso tecnologico e alla continua implementazione dell'automazione, che comporta un'inarrestabile diminuzione della partecipazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
Altro aspetto fondamentale è quello inerente la trasformazione delle attività produttive, sempre più automatizzate, e dei nuovi settori legati all’information technology and communication, che contribuiscono ad aumentare inesorabilmente il fenomeno della disoccupazione tecnologica.
Se si pensa che i magazzini di nuova concezione sono completamente automatizzati, appare chiaro come l'opera umana Pag. 34durante il processo produttivo sarà sempre più marginale. Così come nel settore della logistica, dove già esistono delle vetture – e qua non è fantascienza, come qualcuno crede, perché esistono già – senza conducente progettate dalla Google, la cosiddetta Google car, oppure i droni dell'Amazon, che sono stati testati per la consegna dei prodotti Amazon in un raggio di oltre 20 chilometri attraverso un sistema completamente computerizzato. Qua si parla di milioni di posti di lavoro che vengono persi.
Secondo uno studio scientifico autorevole dell'Oxford Institute, negli Stati Uniti, nei prossimi vent'anni, sono destinati a scomparire il 40 per cento dei lavori, che i nuovi settori non saranno assolutamente in grado di compensare: questo perché i nuovi settori economici dell’information technology and communication, come i sopra citati Amazon, Google e Facebook, hanno un giro di affari che si attesta attorno al trilione di dollari, con un personale che si attesta attorno a solo un centinaio di migliaia di lavoratori circa. Cosa impensabile nel settore dell'economia materiale, come le industrie automobilistiche o il settore dell'edilizia, che tra l'altro sono nel mercato occidentale abbastanza saturi e che, per ottenere i medesimi fatturati, dovrebbero avere dieci volte tanto il numero dei dipendenti di Google, Amazon e Facebook: medesimo fatturato, dieci volte i dipendenti !
Serve appunto un nuovo paradigma sociale, politico ed economico, che non deve passare attraverso i diktat della Trojka, che ci impongono a volte di distruggere gli Stati, il concetto di sovranità monetaria, alimentare, quindi popolare. Serve uno sguardo un po’ più ambizioso, orientato al futuro e al senso di solidarietà tra i popoli e di comunità.
Nel breve termine, avremmo la possibilità di mutare radicalmente le regole economiche che vanno in antitesi con il concetto di crescita purché sia, che, al contrario di quel che si dice, toglie posti di lavoro perché aumenta la produttività – e la produttività, da che mondo è mondo, diminuisce i posti di lavoro – e si pone in contrasto con leggi fisiche naturali, ovvero il principio per cui in un sistema finito di risorse la crescita esponenziale e all'infinito può portare solo all'estinzione dell'uomo sul pianeta terra. È una legge fisica della natura.
Potremmo produrre con un terzo della materia, un terzo dell'energia e delle ore lavorate, salvaguardando l'ambiente e anche la qualità della vita e delle nostre risorse naturali. Tutto ciò è possibile, basta solo la volontà politica per innescare questo cambiamento epocale. Perché è meglio una sana e concreta utopia di un modello cannibale, predatorio e suicida come quello attuale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, io mi scuso anche con la Presidenza se non occuperò l'intero tempo dei trenta minuti come hanno fatto alcuni miei autorevoli predecessori. In compenso, però, apprezzo, a differenza di altri miei colleghi...

PRESIDENTE. Non si preoccupi, collega.

SIMONE BALDELLI. Credo che la Presidenza chiuderà un occhio di fronte a questa mia pecca...

PRESIDENTE. Senz'altro.

SIMONE BALDELLI. Apprezzo, invece, a differenza di altri miei predecessori, la presenza del rappresentante del Governo tra i banchi, e approfitto anche per ringraziare il rappresentante del Governo e il relatore per l'attenzione intelligente con cui hanno seguito questo provvedimento, nonché per il lavoro importante di mediazione che è stato svolto, anche all'interno della Commissione.
Un lavoro di mediazione che, però, ruota intorno ad un punto politico molto chiaro: è una mediazione che è stata fatta non tra maggioranza e opposizione, come Pag. 35andrebbe spesso fatto all'interno delle Commissioni parlamentari, o comunque non tanto tra maggioranza e opposizione, visto che questo provvedimento non è stato sostenuto dall'opposizione, quanto, più che altro, è un lavoro di mediazione, difficile, certamente, fatto neanche all'interno della stessa maggioranza che sostiene questo provvedimento; infatti questo provvedimento non è stato sostenuto, nel mandato al relatore, dall'intera maggioranza che sostiene oggi il Governo Renzi, poiché il Nuovo Centrodestra non ha partecipato al voto e poiché Scelta Civica per l'Italia si è astenuta con dei distinguo forti e importanti. Ma è stata comunque una mediazione che è avvenuta all'interno delle diverse sensibilità e delle diverse anime di quello che, in questa Assemblea, è il partito di maggioranza relativa, che gode di un premio di maggioranza che una legge giudicata incostituzionale gli ha assegnato. In forza di questi numeri, è di tutta evidenza che già da sé avrebbe potuto sostenere e portare avanti il provvedimento in Commissione, senza necessità di un contributo alcuno e aggiuntivo alla sua forza numerica che, però, non corrisponde ad una forza politica, giacché non si tratta di una forza numerica coesa e non corrisponde probabilmente alla rappresentanza proporzionale che gli elettori hanno espresso alla data delle elezioni politiche che sono avvenute poco più di un anno fa.
Ringrazio il relatore e il Governo per l'apprezzamento che hanno dimostrato nei confronti di un emendamento che ho depositato in Commissione e che ho chiesto che si votasse, rispetto al quale c’è stato, a mio avviso, uno scarso approfondimento nella volontà di andare a cercare e trovare delle soluzioni anche in termini di riformulazione, ma che è stato riconosciuto, con grande onestà intellettuale, sia dal relatore Dell'Arringa sia dall'esponente del Governo che ha seguito con attenzione i lavori in Commissione, il sottosegretario Bobba, essere un emendamento che tocca un punto centrale, vale a dire la possibilità di fare accedere ai contratti di apprendistato, alle agevolazioni che questi contratti comportano e alla formazione, di cui si fa un gran parlare – la formazione continua del lavoratore che non si riduce alla fase iniziale, all'ingresso nel lavoro, ma che continua per tutta la vita –, quei lavoratori che abbiano perso il lavoro, quindi i disoccupati, i titolari di ASpI e tutte le altre categorie destinatarie di provvedimenti a vario titolo di ammortizzatori sociali: cassa integrazione a zero ore, cassa integrazione ordinaria, in deroga e via dicendo.
Tutto questo per significare una necessità di attenzione da dare a un mercato che sta escludendo non soltanto i giovani, ma anche una quota parte (anche per gli effetti di una crisi economica che ha dimostrato in questi anni tutti i suoi effetti negativi sul mondo dell'impresa del lavoro), di fasce anagrafiche che hanno più bisogno di attenzione e, in questo caso, di occasioni di reinserimento e di riqualificazione. Quindi, giacché i limiti anagrafici di accesso all'apprendistato si superano per quei lavoratori che sono iscritti nelle liste di mobilità, l'emendamento era teso a fare accedere, a questi percorsi di apprendistato, anche i lavoratori di 40 o di 50 anni che fossero iscritti nelle liste di disoccupazione, che fossero titolari di trattamenti di ASpI o che fossero beneficiari di cassa integrazione o altri ammortizzatori sociali.
È stato dato atto dal Governo della correttezza, della fondatezza dell'indirizzo di questo emendamento; io mi auguro che, nel corso dell'esame in Aula la prossima settimana, si possa cercare di trovare strumenti utili per verificare la possibilità di strutturare, anche attraverso le idonee coperture o dimostrando che questo percorso può costare di meno rispetto al mantenimento degli ammortizzatori sociali, che pure hanno dei costi, dei percorsi formativi per quei titolari, quei capifamiglia che perdano magari il lavoro a 40, 50 anni e per i quali è più difficile reinserirsi nel mondo del lavoro.
Ma questo è un elemento secondario. Quello che interessa a me in questa sede sottolineare è il fatto politico: noi qui abbiamo assistito ad una spaccatura politica Pag. 36assai importante all'interno della maggioranza che costituisce... Una maggioranza politica non posso più definirla, perché è una maggioranza a geometria variabile: pensiamo a quello che è successo ieri nell'altro ramo del Parlamento sull'approvazione del DEF e della variazione del DEF stesso, per cui, a seconda delle esigenze, delle maggioranze qualificate o meno che possono servire, si ricorre all'inclusione all'interno della maggioranza di gruppi che normalmente nella maggioranza non ci sono. Mi riferisco anche alla crisi, alla spaccatura forte che si è aperta non soltanto in Commissione, ma anche in Aula: abbiamo ascoltato questa mattina il capogruppo in Commissione lavoro del Nuovo Centrodestra che, facendo seguito ad interventi molto duri svolti in Commissione, nella giornata di ieri, in una conferenza stampa svolta dal gruppo Nuovo Centrodestra, con le sue figure apicali – lo ricordava la collega Polverini poc'anzi nel suo intervento –, ha ricordato quanto sia profonda la spaccatura tra la visione del mondo del lavoro, del mercato del lavoro, dell'approccio alle tematiche del lavoro, del Nuovo Centrodestra e del PD. Ci sono diversità anche all'interno del PD; ma, insomma, nella maggioranza c’è una profonda spaccatura, una profonda crisi politica che attraversa anche questo provvedimento, che si riverbera in tutte le tematiche che riguardano il mondo del lavoro: pensiamo alla questione relativa alle dimissioni in bianco, alla questione che hanno posto prima i colleghi del Nuovo Centrodestra, che oggi pone SEL, e a cosa succederà, a cosa succederà su questo provvedimento.
Ieri abbiamo ascoltato, in Commissione lavoro, due dichiarazioni di segno diametralmente opposto, Presidente, sul giudizio politico che si dà di questo decreto-legge. Abbiamo ascoltato l'onorevole Pizzolante, capogruppo del Nuovo Centrodestra, che ci ha chiarissimamente fatto presente che questo decreto-legge, uscito dal Governo, andava bene, uscito dai lavori della Commissione, così come modificato dalla Commissione, è stato peggiorato rispetto al decreto-legge originario. Abbiamo ascoltato, con altrettanta pari dignità, l'onorevole Gnecchi, capogruppo del Partito Democratico, che ci ha spiegato la tesi diametralmente opposta: vale a dire che questo decreto-legge, com'era uscito dal Governo, ed evidentemente in quella sede era frutto di una mediazione politica che nel Consiglio dei ministri inevitabilmente si svolge tra le varie forze e tra le varie delegazioni che rappresentano i propri partiti in Consiglio dei ministri, non andava bene ma ora va meglio, perché dalla Commissione è uscito mediato, sistemato, rafforzato, perfezionato.
Allora, Presidente, delle due l'una: o questo decreto-legge andava bene quando è uscito dal Consiglio dei ministri ed è stato peggiorato adesso, quindi ha ragione il collega Pizzolante nella sue valutazioni; oppure, ha ragione l'onorevole Gnecchi: non andava bene quando è uscito dal Consiglio dei ministri, adesso è stato migliorato, composto, rafforzato, attraverso un lavoro, una mediazione parlamentare.
E, allora, è evidente che, potendo essere vera una sola di queste due affermazioni, noi assistiamo, da gruppo di opposizione, a questa spaccatura, tutta interna, politica, forte, per il tema delle politiche del lavoro, delle politiche sociali, dei riflessi che queste politiche hanno sull'economia e sulla vita quotidiana. Non è secondario come tema: è uno dei temi fondanti di quella che dovrebbe essere una maggioranza politica. Evidentemente, non c’è una maggioranza politica in questo senso: non c’è tra il Nuovo Centrodestra e il PD, non c’è dentro al PD, non c’è tra Scelta Civica, che pure si è astenuta dal voto del mandato al relatore; ed è di tutta evidenza, signor Presidente, che a questo punto si apre la possibilità, al nostro ritorno dalla sospensione dei nostri lavori, la prossima settimana, di verificare se ci sia la volontà da parte dei gruppi di maggioranza di tornare in Commissione, e in quel caso di decidere se si voglia tornare al testo originario o se si voglia mantenere questo testo, così come i numeri, la maggioranza, la forza del gruppo del PD in Commissione lavoro ha voluto e si è impegnato a mantenere.Pag. 37
Questa è la questione politica che ruota attorno a questo provvedimento.
È di tutta evidenza, non siamo stati noi a parlare di logica tutta ideologica da parte del PD, di marcia indietro del PD che non riesce a superare i suoi tabù storici; si è partiti per smontare la Fornero e si è finiti per smontare il Poletti e tutte le altre critiche hanno fatto sì che in quest'Aula, nella giornata di oggi, il capogruppo in Commissione di uno dei partiti di Governo abbia minacciato di non votare la fiducia, qualora questo atteggiamento dovesse riverberarsi e ripetersi anche nel Job Act, ma il Job Act, come lo definì un autorevole esponente del Nuovo Centrodestra, che oggi è componente del Governo e titolare dei uno dei suoi Dicasteri più autorevoli, quando fu annunciato, fu definito anche «the same soup», la stessa zuppa, la solita zuppa. Ecco, ora non ci nascondiamo dietro l'inglese, il vero atto, il primo atto operativo, è il cosiddetto job Act, decreto che, per forza di cose, entra in vigore subito, è stato fatto con lo strumento del decreto e che ha dei termini per essere convertito.
Allora, ha ragione anche la collega Polverini quando dice: cerchiamo di capirci, non è che quello che si fa qui, poi, al Senato viene ricambiato e ci riduciamo, come al solito, agli ultimi cinque giorni, all'ultima settimana, magari con qualche gruppo che poi, a un certo punto, si mette in testa di fare ostruzionismo, mettendo a rischio dinamiche e regole che poi valgono nel mondo del lavoro, e sappiamo quale sia la delicatezza di tutto questo nella vita quotidiana di chi nel mondo del lavoro e dell'impresa opera.
Allora, che cosa succederà di questo decreto al Senato ? Io invito la maggioranza a chiarirsi, lo avevamo fatto anche in Commissione, anche con la disponibilità a perdere qualche ora in più per dare la possibilità alla maggioranza stessa di chiarirsi al proprio interno. Ho motivo di ritenere che non sia questione di qualche ora, che ci siano impostazioni di fondo diametralmente opposte, legittime ma diametralmente opposte, e che abbiano grande difficoltà a venirsi incontro, perché non è un caso che, negli anni in cui l'autorevole e ottimo presidente Damiano era Ministro del lavoro, ci fu una contrapposizione frontale tra chi era nelle file del centrodestra di allora e del Nuovo Centrodestra oggi e, quando era Ministro Sacconi, la stessa contrapposizione ci fu tra gli esponenti della sinistra, e oggi del PD, e l'ex Ministro Sacconi, perché ci sono visioni del mondo del lavoro, dei temi sociali, della proiezione e dell'approccio che sono diametralmente opposte e, a nostro avviso, incompatibili.
È una delle ragioni per cui noi riteniamo che, spesse volte, passando sotto il banco della Presidenza, durante le votazioni sulle questioni di fiducia, il nostro «no» sia un elemento anche di coerenza; però è anche vero che noi, da opposizione, ci riserviamo – tant’è vero che ci siamo astenuti – anche di capire quale sarà la formulazione definitiva su cui il Governo chiederà o meno la fiducia, perché questo è un altro interrogativo. Il Nuovo Centrodestra, probabilmente, la fiducia, qualora dovesse essere posta, la voterà. Allora, in questo caso, cosa farà ? Assumerà quel testo, ma sulla base di che cosa ? Del ricatto politico della fiducia, per cui il Governo dice: o votate la fiducia oppure cade il Governo. Questo è il senso della fiducia, il Governo mette a rischio la sua stessa permanenza, la sua stessa esistenza in vita su un testo, perché lo ritiene talmente fondamentale.
Poi ci sono tanti strumenti: c’è il ritorno in Commissione, c’è la modifica, ci sono gli emendamenti. Allora, è bene sapere sin da subito, da questa discussione sulle linee generali, Presidente, che, se verrà messa la fiducia, questa fiducia non sarà messa in luogo dell'ostruzionismo fatto dal gruppo MoVimento 5 Stelle, dal gruppo Forza Italia o dagli altri gruppi di opposizione, perché non c’è stato ostruzionismo. Ci sono stati interventi di merito, anche di diverse sensibilità se si vuole, con diversi profili, ma non c’è stato ostruzionismo. Se dovesse essere chiesta la fiducia, è di tutta evidenza che questa fiducia sarà posta esclusivamente per un'esigenza politica, quella di tener compatta Pag. 38una maggioranza che, su queste tematiche e su queste questioni, compatta non è.
A fronte di questi elementi di chiarezza, se martedì dovesse esserci la proposta di rinvio in Commissione del testo per un ulteriore approfondimento interno alla maggioranza, è di tutta evidenza che noi non credo ci opporremo a questo rinvio, però siamo molto curiosi di capire cosa troverà la maggioranza nell'uovo di Pasqua. Troverà l'ennesima fiducia per mettere una toppa su un problema che, inevitabilmente, si riaprirà in Commissione al Senato, oppure vedremo se la maggioranza deciderà di affrontare dei nodi, e non so come riuscirà a risolverli, perché su questo il problema è aperto, resta aperto e io lo vedo, francamente, di difficile conciliazione. Restiamo a vedere e attendiamo uno svolgimento sereno e responsabile del provvedimento in Aula, però sapendo che c’è una crisi profonda, di cui evidentemente molti organi di stampa ritengono di non dare notizia, ma c’è, si sta consumando, si è consumata in questi giorni, si è consumata in quest'Aula, si consumerà ancora di più probabilmente nei prossimi tempi, perché riguarda un tema centrale su cui la maggioranza ha sensibilità non solo diverse ma opposte e su cui fare sintesi diventa semplicemente un esercizio di forza e un esercizio muscolare, che rischia di comprimere le prerogative parlamentari per esigenze politiche non condivise, ma soltanto di parte.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gnecchi. Ne ha facoltà.

MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, è evidente che i ruoli sono diversi. Fare opposizione è un ruolo che noi conosciamo molto bene, perché, nella scorsa legislatura, l'abbiamo fatta per i primi quattro anni e poi abbiamo sostenuto insieme, come larga maggioranza di questa Camera e anche del Parlamento, un Governo tecnico e, quindi, conosciamo tutti i meccanismi. È evidente una considerazione, rispetto a quello che ha appena detto il collega Baldelli, che peraltro era in Commissione lavoro con me, che conosco da tempo e di cui ho visto anche le posizioni sul lavoro, e se devo, da membro del PD, guardare come si sono creati il Nuovo Centrodestra e Forza Italia, rispetto ai temi del lavoro, credo che le divisioni, rispetto alle proprie posizioni vere, sincere, di competenza, riguardo a questi temi, potrebbero anche articolarsi in un modo diverso. Però, è evidente che non sta a noi valutare chi sta con noi e chi non sta con noi.
Però, voglio sottolineare la parte che non condivido dell'intervento del collega Baldelli, appena citata. I decreti-legge sono uno strumento d'urgenza, sono previsti dalla Costituzione, come è previsto sempre dalla Costituzione che, entro 60 giorni, debbano essere convertiti in legge. Quindi, non sono provvedimenti del Governo che non possono essere né migliorati né peggiorati ma, comunque, almeno discussi. Sono provvedimenti su cui si è previsto, in termini espliciti, che, per 60 giorni, siano a disposizione del Parlamento, dei due rami del Parlamento, per essere modificati.
Quindi, noi, su questo decreto-legge n. 34 del 2014, abbiamo solo svolto il nostro normale lavoro di discussione e di merito in Commissione lavoro. Siamo entrati nel merito, sono stati presentati tanti emendamenti, non sono stati votati tutti gli emendamenti di una parte politica o dell'altra o si è espresso parere contrario su emendamenti di una parte politica o dell'altra. Come abbiamo sentito dalla collega Polverini, molti emendamenti migliorativi sono stati condivisi, e sono stati condivisi anche da tutta la Commissione. Ci sono anche stati interventi che avrebbero potuto trovare una maggioranza diversa ma, comunque, sono stati tutti interventi discussi nella Commissione lavoro e sui quali si è votato.
Però, va anche sottolineato che il diritto del singolo parlamentare, se non si esprime almeno in Commissione rispetto allo stimolo, all'invito al dibattito e a presentare degli emendamenti su cui trovare una maggioranza, cercando di convincere i colleghi all'interno della Commissione... Pag. 39Questo è sicuramente il lavoro di merito più facile rispetto a quello che può essere il lavoro in Aula.
Quindi, noi siamo qui a sottolineare e ripetere quello che già la Costituzione ci dice: il decreto-legge è uno strumento del Governo che riveste carattere di urgenza, ma deve essere convertito dai due rami del Parlamento entro sessanta giorni. Non c’è scritto che prendere o lasciare voglia dire sostegno o non sostegno al Governo. Esiste una mediazione all'interno del Governo e esiste una possibilità di mediazione all'interno delle Commissioni di merito e all'interno dell'Aula, se no veramente sui decreti-legge varrebbe la pena di dire che diventano legge improvvisamente e immediatamente e che non c’è un lavoro parlamentare che li debba convertire in legge. Quindi, noi questo diritto-dovere delle due Camere di poter intervenire sui decreti-legge veramente lo rivendichiamo come diritto di democrazia.
Io vorrei entrare nel merito e sottolineare le parti alle quali, secondo me, non si è dato sufficiente rilievo e, invece, condivido ovviamente gli interventi di merito fatti dai colleghi del PD, ma condivido anche totalmente la relazione del relatore e anche interventi, non necessariamente del PD, che sono stati svolti in quest'Aula. Non cito i nomi solo per evitare che poi si possa dire che noi andiamo a sottolineare differenze anche all'interno di altri gruppi politici, sia di opposizione che di maggioranza.
Un'intenzione del Ministro Poletti che noi abbiamo veramente apprezzato è quella di un reale monitoraggio. Anche questo punto lo abbiamo migliorato, secondo noi, in Commissione, ma lo abbiamo migliorato andando nella direzione di quella che è già la disponibilità del Ministro e, quindi, veramente ci teniamo a sottolinearlo. Il testo attuale dice esplicitamente: ai fini della verifica degli effetti delle disposizioni di cui al presente capo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali presenta, decorsi dodici mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, una relazione alle Camere, evidenziando in particolare gli andamenti occupazionali e l'entità del ricorso al contratto a tempo determinato e al contratto di apprendistato, ripartito per fasce di età, genere, qualifiche professionali, aree geografiche, durata dei contratti, dimensione e tipologia di impresa e ogni altro elemento utile per una valutazione complessiva del nuovo sistema di regolazione di tali rapporti di lavoro, in relazione alle altre tipologie contrattuali, tenendo conto anche delle risultanze delle comunicazioni di assunzione, trasformazione, proroga e cessazione dei rapporti di lavoro derivanti dal sistema informativo delle comunicazioni obbligatorie, già previsto a legislazione vigente.
Ci tengo veramente a sottolineare questa parte perché, come il Ministro Poletti ha detto, bisogna sempre verificare che gli interventi che si portano avanti e gli interventi legislativi nuovi abbiano un reale effetto rispetto a quello che il Governo o il Parlamento si era prefissato. E quindi è importante, rispetto a questo, il fatto che l'articolo 1 dica in modo esplicito: «fermo restando che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». Allora, vale veramente la pena di sottolineare che la forma comune di rapporto di lavoro è il contratto a tempo indeterminato. Noi ci rendiamo conto che in una situazione di crisi occupazionale come questa bisogna favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e, quindi, favorire l'apprendistato. Dobbiamo favorire il fatto che un'azienda possa assumere a contratto a tempo determinato, perché può avere esigenze che non sono necessariamente esigenze che si protrarranno nel tempo, ma che possono essere esigenze di un momento particolare; e, in un momento di crisi come questo, è evidente che va favorito l'ingresso in azienda. Però, appunto è importante poi andare a monitorare se queste nuove modifiche, se queste nuove tipologie possono effettivamente aiutare l'ingresso nel mondo del lavoro e anche l'azienda.
Quindi, per noi, il monitoraggio è fondamentale. Ed è fondamentale rispetto a tutte le norme, perché la Ministra Fornero Pag. 40si è caratterizzata su due interventi, nel suo, breve, periodo di Governo: sulla manovra contro le pensioni, che è stata l'unica vera manovra di recupero di denaro; e sulla riforma del mercato del lavoro. Adesso noi stiamo intervenendo, con modifiche promosse dal Governo e discusse in Commissione lavoro, che secondo noi sono migliorative, senza modificarne l'impianto, del testo del Ministro Poletti e inoltre ci auguriamo, visto che la manovra sulle pensioni ha dimostrato degli effetti nefasti, si possa poi intervenire realmente su quella manovra. Quindi, per noi, è un atto di fiducia vero nei confronti del Ministro Poletti, è un atto di fiducia rispetto alla sua volontà di monitorare gli interventi legislativi, e quindi siamo poi disponibili anche a dimostrare gli effetti nefasti di altri interventi legislativi della Ministra Fornero nella scorsa legislatura.
Ci tengo anche a sottolineare un'altra parte che ha evidenziato il relatore, ma che, secondo me, va ancora rimarcata. Noi sappiamo che, in particolare tutta la scorsa legislatura, è stata una legislatura che possiamo definire contro le donne, e quindi noi, del Presidente del Consiglio Renzi, pensiamo che cambiare verso sia anche cambiare verso tenendo conto che vanno adesso approvate anche delle misure a favore delle donne. Quindi, aver sottolineato che, per una donna che inizia una gravidanza durante un periodo a contratto a tempo determinato, l'eventuale periodo di astensione obbligatoria serve per maturare i sei mesi che danno eventualmente diritto alla trasformazione del contratto a tempo indeterminato è una cosa importante, e questo è sicuramente da sottolineare. Così come è importante avere previsto il diritto di precedenza anche nei contratti a tempo determinato per una donna che inizi una gravidanza. Quindi, questo è veramente fondamentale per noi, e va sottolineato.
È evidente che molte altre cose bisognerebbe fare per favorire l'occupazione femminile. Noi sappiamo di essere, purtroppo, un fanalino di coda rispetto al tasso di occupazione femminile, e credo che intervenire a favore del sostegno alla maternità, a favore della creazione di servizi, a favore della conciliazione dei tempi di lavoro e dei lavori di cura, per uomini e per donne, sia fondamentale, perché solo quando un datore di lavoro potrà realmente temere che assumere un uomo voglia dire rischiare, in assenze dal lavoro per i congedi parentali, per far fronte a lavori di cura, per far fronte a pari responsabilità familiari e professionali tra uomini e donne, allora questo sarà il vero deterrente per scegliere un uomo rispetto ad una donna, perché ancora, ad oggi, tutti, i lavori di cura, il «lavoro» rispetto alla maternità (e lo chiamo lavoro ovviamente tra virgolette) e comunque tutto quello che riguarda gli impegni familiari, è ancora, purtroppo, più a carico delle donne. Per esempio, quando il Governo Berlusconi aveva innalzato l'età per la pensione di vecchiaia delle donne nel pubblico impiego, il risparmio, quel «tesoretto» di risparmio, era stato scritto che avrebbe dovuto servire per favorire l'occupazione femminile, per favorire i servizi, per favorire interventi a favore della famiglia e, quindi, di uomini e donne, ma purtroppo, invece, anche quel «tesoretto» è stato usato per altro.
Quindi, ci sembra importante rispetto a questo sottolineare che, in tutto quello che riguarda il lavoro, noi speriamo che vengano sempre sottolineate queste differenze di genere, ma sottolineando il fatto che vanno sostenute.
C’è anche un'altra piccola proposta emendativa nel disegno di legge di conversione del decreto lavoro, che va in questa direzione, che è spostare sino al 31 luglio 2015 i contratti a tempo determinato per maestri di asilo nido e di scuola per l'infanzia, perché noi sappiamo che i comuni hanno bisogno di questa proroga dei contratti a tempo determinato per potere appunto garantire il lavoro di queste lavoratrici – le chiamo «lavoratrici» perché sono in prevalenza donne – all'interno di questi servizi. Quindi, ci sembra importante anche sottolineare ciò, come dato positivo in termini anche di miglioramento apportato appunto in Commissione.Pag. 41
Poi è chiaro che noi siamo stati molto attenti alla formazione durante il contratto di apprendistato, perché il contratto di apprendistato, per l'appunto, è un contratto di lavoro, però noi vogliamo riuscire a pensare ai giovani ed alla loro formazione. Noi sappiamo che essere competitivi nel mercato del lavoro, nel mondo del lavoro, è ovviamente fondamentale e per essere competitivi è fondamentale avere una preparazione che va incontro a quelle che possono essere le esigenze dell'azienda. Noi siamo favorevoli alla formazione continua durante tutto l'arco della vita e, quindi, come siamo favorevoli alla formazione durante tutto l'arco della vita, alla riqualificazione ed alla possibilità di trovare un altro lavoro, è chiaro che nel contratto di apprendistato pretendiamo che vi sia veramente anche una formazione obbligatoria. Avere previsto che, se entro 45 giorni le regioni non rispondono positivamente, l'azienda più svolgere questa formazione all'interno della stessa azienda, e che comunque è indispensabile che nel contratto di apprendistato sia previsto, anche in forma sintetica, il piano formativo individuale è sicuramente per noi fondamentale.
Lo diciamo proprio nell'interesse sia dell'azienda che del lavoratore o della lavoratrice e poi, comunque, siamo convinti che vi sarebbe stata un'infrazione a livello europeo, se non fosse stata prevista la formazione, perché è chiaro che il contratto di apprendistato è un vantaggio economico per l'azienda, perché le si riconosce una decontribuzione, ma a questa decontribuzione deve anche corrispondere una formazione.
Questo, per esempio, è stato un punto, sul quale c’è stato uno scontro con il Nuovo Centrodestra all'interno della Commissione, ma noi non pensiamo assolutamente che possa venire messa in discussione la maggioranza di Governo, se si chiede una cosa che ci viene anche chiesta dall'Europa e su cui, comunque, anche il Governo ha dimostrato di essere sensibile. Lo stesso Ministro Poletti ha riconosciuto che questa della formazione durante il contratto di apprendistato era comunque una parte che si poteva modificare.
Noi quindi non vogliamo neanche che si giochi rispetto a questo, rispetto a contrasti, divisioni e grandi lacerazioni all'interno della maggioranza su cose che, se una parte della maggioranza non riconosce fondamentali, noi speriamo che questa parte della maggioranza capisca che erano giuste e fondamentali. Insomma, si può anche cambiare idea positivamente, diversamente siamo in presenza di una definizione di scontro ideologico, che noi abbiamo dimostrato di non avere perseguito in Commissione, perché abbiamo votato anche contro molte proposte emendative di colleghi, anche firmate dal Partito Democratico, che magari una maggioranza di noi avrebbe condiviso.
Quindi, ribadisco che il lavoro fatto in Commissione è un lavoro che ha migliorato il testo, e che ha permesso a tutti i commissari di esprimere le proprie posizioni e le proprie idee. Se non si fa questo lavoro almeno in Commissione e durante la conversione in legge di un decreto, non si vede quali siano i posti e i luoghi per poter approfondire.
Noi veramente teniamo a sottolineare anche che la Camera ha preparato un dossier molto utile e molto importante sul contratto di lavoro a termine, nel confronto con la legislazione degli altri Paesi europei, in cui si dimostra che i contratti di lavoro a tempo determinato in Francia, Spagna e Germania mantengono l'obbligo della causalità e che si permette l'utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato per determinate situazioni, come la sostituzione del dipendente con diritto alla conservazione del posto di lavoro o l'aumento temporaneo dell'attività d'impresa o il contratto di lavoro stagionale.
Quindi, anche a tutti quelli che ci dicono che noi siamo solo conservatori, e che non vediamo neanche tutti gli sviluppi che ci sono stati in Europa, noi ovviamente nel merito vogliamo dire e sostenere che gli sviluppi che ci sono in Europa noi li guardiamo, e li guardiamo con grande attenzione e, a volte, devo dire che Pag. 42nel nostro Paese si va anche indietro rispetto all'Europa, non sempre si va avanti.
Penso, dunque, che valga veramente la pena riuscire ad analizzare il testo uscito dalla Commissione in modo libero da pregiudizi, e che questo lavoro fatto dalla Commissione vada apprezzato. Abbiamo visto, peraltro, anche le dichiarazioni di Poletti di ieri allorché ha sottolineato che non abbiamo stravolto il testo originario, che siamo intervenuti nel merito. Noi chiaramente siamo sempre disponibili a confrontarci nel merito, si possono avere posizioni diverse, vorremmo solo non essere utilizzati in modo pro o contro questo Governo o usando diverse valutazioni, anche all'interno della maggioranza, su singoli emendamenti, perché questo non ci sembra risponda alla realtà; però capiamo che nel gioco maggioranza-opposizione, o anche di minoranze all'interno della maggioranza rispetto a singoli aspetti, questo sia legittimo.
Però, ovviamente, essendo capogruppo del gruppo più consistente all'interno della Commissione lavoro, dico che abbiamo svolto un lavoro enorme in questa settimana, di continuo confronto, di continua ricerca di aiuto anche da parte degli uffici giuridici della Camera, proprio perché gli interventi fossero interventi migliorativi anche nel testo. Abbiamo fatto tutte le audizioni possibili e immaginabili, e il relatore ne ha già dato conto, ma vi invito anche ad andare a leggere i resoconti delle audizioni, perché niente di quello che è stato messo è frutto di posizioni preconcette, ideologiche o che avessero lo scopo di mettere in difficoltà il Governo che noi stiamo lealmente sostenendo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferrara. Ne ha facoltà.

FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Signor Presidente, il decreto lavoro doveva e poteva rappresentare uno strumento fondamentale per segnare quel cambio di passo necessario al Paese per rimettere in moto l'economia, lo sviluppo, i consumi. Purtroppo, ancora una volta, invece, si decide di proseguire nel solco di politiche fallimentari già viste che hanno prodotto soltanto un abbassamento dei diritti, delle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori e della qualità del lavoro. Invece di combattere la precarietà si è preferito aumentarla, anziché varare norme utili a creare nuovi posti di lavoro si è preferito liberalizzare i licenziamenti.
Da trent'anni almeno si è scelto di impoverire, frammentare e precarizzare il lavoro, stimolando tra le lavoratrici e i lavoratori una concorrenza verso il basso, ai quali è stato imposto, pur di ottenere o mantenere un'occupazione, di rinunciare ai diritti più elementari, di rinunciare ad avere un progetto di vita, di rinunciare alla propria serenità nei luoghi di lavoro, per vivere sotto la spada di Damocle di un rinnovo contrattuale che potrebbe anche non arrivare. Si è deciso di spostare sulla rendita e sulla finanza la ricchezza prodotta. Abbiamo assistito al progressivo smantellamento dello stato sociale a favore di una privatizzazione dei beni e dei servizi che hanno aumentato i livelli di povertà, le disuguaglianze e l'esclusione sociale.
La crisi economica e finanziaria ha inoltre concentrato il potere nelle mani di pochi, allargando la forbice tra una maggioranza sempre più povera e una minoranza sempre più ricca. Un vero e proprio stillicidio che ha stravolto l'Europa, provocando oltre 26 milioni di disoccupati e 43 milioni di poveri. Avremmo sinceramente voluto fare un intervento di tenore diverso, ci avrebbe fatto piacere, almeno per una volta, fare un plauso al Governo e poter dire che su un tema importante come il lavoro si è davvero cambiato verso, per usare un'espressione cara al Presidente Renzi.
E, invece, dobbiamo constatare come le misure contenute nel presente decreto vadano, ancora una volta, nella direzione di una maggiore precarizzazione del mercato del lavoro. Gli interventi di semplificazione sul contratto a termine e sull'apprendistato non rispondono alle esigenze delle categorie che il Governo ha detto di Pag. 43voler maggiormente rappresentare, come i giovani e i precari. Per creare lavoro in Italia tutto serve, tranne che intervenire sulle regole del mercato del lavoro, con l'intento di togliere ulteriori garanzie alle lavoratrici e ai lavoratori.
Le vere cause del dramma occupazionale che viviamo nel Paese, con il 13 per cento di disoccupazione e un giovane su due che non trova lavoro, 5 milioni di poveri, più di mezzo milione di lavoratori e lavoratrici che nel 2013 hanno vissuto di sola cassa integrazione, sono da ricercare nelle politiche di austerità messe in atto in questi anni e nelle sempre minori risorse destinate agli investimenti e allo sviluppo, che hanno svilito le imprese, impoverito la popolazione e desertificato il sistema industriale.
Almeno dall'anno 2000 i contratti non a tempo indeterminato sono diventati un numero impressionante. Tutto si può dire, tranne che in Italia non esiste la flessibilità, in entrata e in uscita. Lo testimoniano le decine di forme contrattuali introdotte nelle precedenti riforme, da Sacconi alla Fornero, che hanno avuto come unico risultato la frammentazione del mondo del lavoro, un generale abbassamento delle tutele e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e non hanno prodotto un solo posto di lavoro aggiuntivo. Già il Governo Letta aveva provveduto a precarizzare ulteriormente i contratti flessibili e atipici, trasformando la precarietà del lavoro in precarizzazione delle condizioni di vita. Quindi, non si sentiva affatto l'esigenza dell'ennesimo intervento in tal senso.
Renzi, a parole, dice di voler combattere la precarietà, ma nei fatti, con il presente decreto, consentirà alle imprese di poter assumere, per 8, 5 volte – a seconda di come finirà questa discussione – nell'arco di tre anni, un lavoratore con un contratto a tempo determinato: praticamente un periodo di prova lungo tre anni, in cui il datore di lavoro può licenziare senza pagare alcuna indennità, senza nessun preavviso e senza nessuna motivazione.
Se poi incrociamo tale fattispecie con quella, prevista nel Jobs Act presentato al Senato, del contratto a tutele progressive, avremo un periodo di sei anni durante il quale la lavoratrice o il lavoratore sarà privato delle più elementari tutele: quasi la metà dell'anzianità aziendale media, che in Italia è stimata in quindici anni. L'unica buona notizia è che il tanto atteso Jobs Act non vedrà la luce prima del 2015. La cattiva è quella che, con una mossa astuta, all'interno dello stesso Jobs Act è stata inserita anche l'abrogazione della misura, che era già stata approvata qui alla Camera, sul contrasto all'odiosa pratica delle dimissioni in bianco. Si è scritta così un'ennesima pagina vergognosa ai danni dei diritti delle lavoratrici italiane: un vero e proprio colpo di mano, che rimanda alle calende greche una misura di civiltà come l'abrogazione, appunto, delle dimissioni in bianco.
L'eliminazione della causale dai contratti a termine estende il precariato a tutti i lavoratori, giovani e anziani, che troveranno o cambieranno lavoro. Il contratto a termine si potrà utilizzare sempre e per tutti senza spiegare il perché, senza collegamenti ad esigenze temporanee e senza più distinzioni tra un primo contratto a termine e le sue proroghe o i rinnovi. Non è con la liberalizzazione dei contratti che risolveremo i problemi occupazionali in questo Paese. La disoccupazione non si combatte rendendo più semplici i licenziamenti.
Anche le modifiche dell'apprendistato rappresentano un vero e proprio ritorno indietro, uno svilimento della causa mista del rapporto di apprendistato che si incentra in maniera fondamentale sulla chiara condivisione del percorso formativo, del tempo da dedicarvi, dei suoi sbocchi e degli strumenti da utilizzare.
Per questi motivi, crediamo che il decreto non risponda alle esigenze reali del Paese, delle imprese e dei lavoratori e delle lavoratrici e che andrebbe profondamente modificato nel suo impianto, perché il tema oggi non è la sola riscrittura delle regole del mercato del lavoro, ma come e quanto si investe in politiche Pag. 44industriali, in innovazioni tecnologiche, per rimettere in moto l'economia e creare sviluppo.
Il nostro Paese, che pur rimane il secondo Paese manifatturiero in Europa, ha visto maggiormente aggredito dalla crisi proprio questo settore, perché si è scelto di competere sulla precarietà, sulla riduzione del costo del lavoro, sulla contrazione dei diritti, sulle privatizzazioni come ricetta buona solo per fare cassa, piuttosto che sulla ricerca, sullo sviluppo, sulla valorizzazione delle nostre eccellenze.
Bisogna affrontare finalmente il tema di un nuovo modello di produzione che sia compatibile con l'ambiente, che non aggredisca il territorio, che non devasti le città. Bisogna affrontare il tema dell'efficientamento energetico e delle energie rinnovabili, delle infrastrutture, della salute e la cura delle persone, della mobilità; rimettere al centro la dignità delle persone che lavorano è la condizione da cui partire, se si vuole davvero cambiare questo modello di sviluppo.
Il nostro sistema industriale invece è già fortemente ridimensionato e marginale nel mercato globale e per questo servono interventi shock in economia, in grado di imprimere una vera svolta.
Quando cominceremo a discutere, ad esempio, di mobilità sostenibile e di polo nazionale dei trasporti, che rimetta al centro il tema del trasporto pubblico, della mobilità delle persone e delle merci, per offrire una possibilità di rilancio ad un pezzo importante della nostra industria, oggi in sofferenza e messa in liquidazione ? Dico questo pensando alla Ansaldo Breda, ad Ansaldo Sts, alla Breda Menarini bus, ad Irisbus, alle Autostrade del mare, al futuro di Fincantieri.
Quando decideremo di investire veramente sulle energie alternative, puntando al risparmio, all'efficienza, alla tutela dell'ambiente, ad un utilizzo intelligente delle fonti rinnovabili ? Per quanto tempo ancora dovremo discutere di banda larga e di informatizzazione della pubblica amministrazione, prima che diventi una realtà, rimettendoci al passo con il resto d'Europa ? Quanto dovremo aspettare prima che vi rendiate conto della necessità di un intervento pubblico e di grandi investimenti per riqualificare e rilanciare l'elettrodomestico, la siderurgia, l'elettronica, affinché producano senza inquinare e i loro prodotti siano competitivi sui mercati, innovativi ed ecocompatibili ?
Quanti altri disastri ambientali dovremo attendere prima che si ragioni su un piano straordinario contro il dissesto idrogeologico e per la messa in sicurezza degli uffici pubblici, delle scuole, degli ospedali, del nostro patrimonio storico ed artistico ?
Insomma, più che un decreto lavoro, serviva un piano straordinario del lavoro e per il lavoro, in grado di garantire buona occupazione, lavoro per le imprese e per i cittadini, rilancio dell'economia, un reddito minimo per chi rimane fuori dal mercato del lavoro come strumento di lotta alla povertà ed alla precarietà.
Dovevano essere queste le priorità del Governo. Ma nel decreto in esame oggi non c’è traccia di tutto questo.
In questa fase, nel Paese c’è una grande attesa e tanto consenso anche intorno alla figura di Renzi e del suo Governo e da lui la gente, quella che non ce la fa più ad andare avanti e si fa in quattro per arrivare a fine mese, si attende dei risultati ed un cambiamento vero. Rappresenta la novità rispetto a quella politica che ha allontanato i cittadini dalle istituzioni, incarna quel sentimento popolare che si ribella al disastro sociale di questi ultimi vent'anni ed intende riformare il sistema. Con questa novità e queste aspettative vogliamo aprire il confronto.
Per questo, non saremo di certo noi a giudicare negativamente la restituzione di 80 euro al mese nelle buste paghe delle lavoratrici e dei lavoratori che guadagnano meno di 25 mila euro all'anno, l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie, la riduzione dell'IRAP, il ripristino della decontribuzione dei contratti di solidarietà, il pagamento dei debiti alle imprese che lavorano con la pubblica amministrazione. Anzi, diciamo: finalmente, erano anni che aspettavamo e chiedevamo misure in tal senso.Pag. 45
Ma con lo stesso senso di responsabilità con il quale riconosciamo la bontà di alcuni provvedimenti, abbiamo il dovere di dire al Governo che, se non si tiene conto che i pensionati e la maggior parte dei precari stanno sotto i 25 mila euro e che i salari italiani sono tra i più bassi d'Europa, si rischia di vanificare tutto.
E se a questo aggiungiamo l'ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine e dell'apprendistato, che il Governo vuole farci approvare attraverso questo decreto-legge, ci rendiamo conto di come il cambiamento tanto auspicato rischia di riportarci su una strada vecchia e sbagliata, quella che continua a far pesare la crisi sulle spalle dei più deboli, di quelli che già tanto hanno dato, salvaguardando ancora una volta quel 10 per cento che detiene ancora oggi oltre la metà della ricchezza di questo Paese. Così facendo, il Governo dimostra di non volersi discostare da quelle politiche che hanno provocato l'impoverimento del Paese e determinato la crisi finanziaria che stiamo vivendo, limitandosi, se va bene, a porre qualche piccolo e insufficiente correttivo alle politiche di austerity che abbiamo subito in questi anni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tripiedi. Ne ha facoltà.

DAVIDE TRIPIEDI. Signor Presidente, contratto di lavoro, o meglio contratto dello schiavo moderno. Un legislatore criminale poteva fare queste modifiche: 36 mesi, inserendo 5 proroghe, con un numero illimitato di rinnovi. Qua si sente proprio puzza di Confindustria ! Siete riusciti a modificare un testo che già faceva schifo e l'avete peggiorato, perché rendendo illimitati i rinnovi si crea lavoro nero e basta, si crea precarizzazione definitiva del mondo del lavoro, di quei lavoratori che voi dite di difendere e per i quali voi andate nelle piazze a dire: noi difendiamo i diritti dei lavoratori. Ecco smentito, ecco la faccia del Partito Democratico ! Questo cosa comporta alla modifica dei contratti ? Si snatura di fatto il contratto a tempo determinato, perché un lavoratore sa quando inizia e non sa quando finisce. Quindi, non è più determinato, è determinato alla volontà del datore di lavoro. Neanche i peggiori Governi di destra, i più liberisti, hanno mai osato tanto. Neanche i peggiori Governi di destra, e lo voglio ribadire con forza.
Modificando la contrattualistica, non si crea occupazione. In Italia ci sono 46 contratti diversi, quasi tutti flessibili, sia in entrata, che in uscita. È la solita scusa di prendere in giro gli italiani facendo credere che la legge, modificando i contratti, possa portare occupazione. Falso ! È una roba vergognosa l'ipocrisia che c’è dentro quest'Aula ! Voi sfruttate il lavoro e sfruttate i lavoratori ! In Italia la politica ha devastato il settore più importante, che è la piccola e media impresa. Siete voi i complici di questa vergognosa disfatta. Mentre i lavoratori ci chiedono certezze, voi come degni rappresentanti dello Stato fate il contrario. Complimenti ! Ma voi in campagna elettorale avete mai detto robe del genere ? Avete mai detto che modificavate il contratto a termine ? Avete mai detto che prorogavate il contratto, mettendo in discussione tutti i diritti dei lavoratori ? È stato votato un emendamento che prevede cinque proroghe e il rinnovo illimitato del contratto acausale, che nemmeno la Fornero aveva previsto. Questo non significa che noi apprezziamo la Fornero, che sia ben chiaro, vogliamo semplicemente sottolineare che il Partito Democratico sta facendo peggio. Peggio della Fornero, e ce ne vuole. Complimenti, signori, complimenti !
Mi viene in mente la «letterina» che abbiamo ricevuto dalla Banca centrale europea, inviata da Mario Draghi per sollecitare il Governo a fare riforme sulle pensioni e sul lavoro. Non contento dell'attacco vile che hanno subito i pensionati, i macchinisti e i lavoratori, che sono stati usati come bancomat dallo Stato, il Governatore della Banca centrale europea ci chiede sempre, attraverso una «letterina», di devastare con norme indecenti anche i lavoratori, portandoli completamente alla schiavitù moderna. E vi leggo testualmente alcuni punti della lettera che Pag. 46il Governatore ci manda: «È necessaria una complessiva e radicale e credibile strategia di riforma, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso le privatizzazioni su larga scala». E non è che lo dice Tripiedi Davide, un semplice deputato. Ce lo chiede il Governatore della BCE. E, tra l'altro, voglio sottolineare che nel DEF è ben specificato che si vuole privatizzare: ma cosa si vuole privatizzare ? Si vuole privatizzare ENAV, si vuole privatizzare Cassa depositi e prestiti, si vuole privatizzare Poste italiane, si vuole privatizzare ST macroeletronics e, mentre Rosato se la ride, i lavoratori piangono e, mentre Rosato prende in giro perché io ho detto una parola sbagliata, i lavoratori piangono !
E quando Beppe Grillo andò alle famose consultazioni con Renzi, dicendo che noi siamo i conservatori, noi non vogliamo la svendita del nostro patrimonio, c'aveva visto lungo e c'aveva ragione. Avete strumentalizzato anche in questo caso: Beppe Grillo non ha fatto parlare Renzi, Beppe Grillo comunica in maniera violenta; questa non è politica che ci appartiene e ci aveva visto lungo Beppe Grillo. State svendendo il patrimonio pubblico. Vergogna ! Ma veramente, ve lo dico con il cuore: vergognatevi di essere seduti in quest'Aula.

PRESIDENTE. Si rivolga alla Presidenza e con rispetto ai suoi colleghi.

DAVIDE TRIPIEDI. Continuo a leggere la «letterina», Presidente, mi scusi, ma qua c’è un attacco violento ai lavoratori, al patrimonio pubblico e, in qualche mondo, devo esprimere il mio dissenso da questa vergognosa strategia di privatizzazioni e di svendita totale.
Continuo a leggere: «C’è anche l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi a livello di impresa in modo da ritagliare i salari» (quindi ritagliare i salari !) «e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto al livello di negoziazione». L'accordo del 28 giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione. «Dovrebbe essere adottata una revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un sistema di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la reale attrazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi».
Quindi, anche in questo caso stiamo obbedendo ai diktat della Merkel e del Governatore. Ecco perché è fondamentale andare in Europa per cambiare le cose. I cittadini italiani sono stufi di obbedire agli ordini di un'Europa che non ha più senso, di un'Europa che schiavizza, di un'Europa che permette la vendita di cibo scaduto in Grecia e di un'Europa che è debole con i forti e forte con i deboli.
Adesso vi voglio raccontare che cosa è accaduto in Commissione lavoro. Il presidente Damiano ci nega le riprese audiovisive non si sa in base a quale Regolamento. È strana la cosa, dato che il presidente Damiano in Commissione si è dichiarato personalmente favorevole alle stesse, ma non ha consentito, e questo è strano. Ho chiesto personalmente di mettere in votazione l'autorizzazione per le riprese audiovisive ma nulla da fare. Ma trovo ancora più grave la scelta che ha fatto il presidente Damiano blindando di fatto la Commissione – blindando ! –, quindi non dando la possibilità ad alcuni deputati della Repubblica italiana di audire le Commissioni, di audire il lavoro di Commissione. Io veramente sono proprio deluso: sembra quasi che il presidente Damiano voglia sottolineare che i deputati del Parlamento sono violenti, sovversivi, antidemocratici. Io veramente sono senza parole. Mi sembra strano perché, veramente, anche dei deputati del Partito Democratico hanno aderito alla campagna «Parlamento casa di vetro» per il registro delle votazioni in Commissione. Ma questo Pag. 47non ci stupisce per nulla. Il Partito Democratico è fantastico proprio per questo. Dice una cosa e ne fa un'altra.
Ma chissà cosa diranno i deputati sindacalisti come l'onorevole Albanella, l'onorevole Maestri, l'onorevole Miccoli, quando torneranno a svolgere attività di sindacato. Cosa diranno a quei lavoratori che subiranno questo vergognoso decreto-legge ? Che loro sono i complici delle assurdità del Governo ? E meno male che c’è Renzi che dice: «la sinistra che non cambia, diventa destra». Questa frase rimarrà nella storia ! Questa frase rimarrà nella storia !
Io, da deputato della Repubblica, mi sento male pensando che con questo decreto-legge potete toccare la vita delle persone, rendendole instabili – instabili ! –, quindi non garantendo un futuro a quei cittadini che non possono neanche accendere un mutuo per comprarsi una casa perché sono in balia di un datore di lavoro che, pur essendo onesto o, al contrario, disonesto, può veramente decidere della vita di una persona. Io sono indignato !
In questa discussione si è parlato di tutto, dell'articolo 18, si è parlato di dimissioni in bianco: le dimissioni in bianco tanto elogiate dal Partito Democratico, quel partito che ha votato contro la sanzione per il datore di lavoro che commetta illecito, quel Partito Democratico e Sel, lo voglio sottolineare, solo l'onorevole Sannicandro ha votato a favore, come abbiamo votato noi. E voglio ricordare anche quell'ente terzo che certificava le dimissioni dalle donne: avete tolto anche quello. Bravi ! Bravi ! Noi abbiamo votato contro le dimissioni in bianco proprio per quello: perché togliete garanzie alle donne; e l'onorevole Miccoli, che pur non capendo la situazione è convinto di quello che ha votato, a mio personale parere non si rende neanche conto della gravità delle cose che ha fatto. Noi, come gruppo del MoVimento 5 Stelle, siamo veramente contrari a questo decreto «porcata», che schiavizza, liberalizza, neanche i peggiori Governi di destra hanno fatto una roba del genere ! Veramente io sono senza parole !
Voglio sottolineare anche le audizioni che abbiamo fatto: il professor Alleva, 41 anni di diritto del lavoro, un insegnante dell'università, che ci dice che un contratto senza causa è un ossimoro. Non può esistere un contratto a termine senza un motivo ! Oppure, voglio ricordare l'audizione che abbiamo fatto con le sigle sindacali, che contestavano a prescindere il decreto-legge, o l'Unione generale del lavoro (UGL), che addirittura è venuta in Commissione dicendo che questo decreto-legge non rispetta la normativa europea, e noi abbiamo la Polverini che sta portando avanti, logicamente, questo decreto-legge, che lo difende.
Voglio sottolineare l'ipocrisia, l'ipocrisia, l'ipocrisia di quello che succede qua dentro: ci dicono una cosa e ne fanno un'altra, in campagna elettorale parlano di altro e poi fanno tutt'altro. Si sta andando avanti veramente con un senso di non appartenenza allo Stato, si sta andando verso la precarizzazione totale del mondo del lavoro, riducendo a incertezze – a incertezze ! – i lavoratori, tutti i lavoratori !
E allora voglio ribadire ancora con forza: la modifica dei contratti non porta posti di lavoro, se non c’è lavoro non è colpa dei contratti, ma è colpa di determinate politiche fiscali, perché questo Governo opprime fiscalmente, ma non solo questo Governo, sono vent'anni, vent'anni che si opprimono le aziende ! Sono vent'anni che si sta andando in questo senso: Sacconi e Damiano si sono veramente scontrati politicamente, ma adesso questo decreto-legge dimostra a tutti gli italiani come il Partito Democratico, il Nuovo Centrodestra e Forza Italia, pur contestando questo decreto-legge, siano veramente la stessa cosa.
Abbiamo già avuto problemi con le pensioni d'oro, il centrodestra non voleva il taglio delle pensioni d'oro, questi sono dati di fatto, Forza Italia uguale. Adesso, si parla di una possibile crisi di Governo, farsa, una crisi di Governo farsa, perché sono d'accordo, devono far finta di avere dei punti discordi, ma non è così, non è così. Aziende che se ne vanno dall'Italia, Pag. 48aziende che delocalizzano in nome dell'europeismo, aziende che delocalizzano in nome dell'internazionalizzazione delle imprese, la truffa delle parole. Questa è la truffa delle parole.
Veramente, mi piange il cuore, perché pensare che delle persone come Renzi, non elette da nessuno, stanno rovinando la vita dei futuri lavoratori, la vita dei nostri figli, dei nostri nipoti, in questa maniera, mi fa venire da piangere. Mi viene da piangere ! È imbarazzante, siamo stati presi in giro in Commissione; quando leggevamo quelle lettere dei precari ci hanno detto che noi siamo bambini, ci hanno detto che questo è infantilismo, Presidente. Abbiamo cercato di fare un po’ di ostruzionismo costruttivo, ricordiamocelo, costruttivo, perché abbiamo fatto delle proposte e siamo scesi nel tecnico del decreto-legge, siamo scesi veramente nel tecnico e abbiamo visto il Partito Democratico quanto è democratico. Emendamenti approvati della minoranza, o meglio del MoVimento 5 Stelle: 2, 2 su 300 emendamenti che avevamo proposto e 150 di questi erano tutti nel merito, due emendamenti... Vergogna ! Voi state mettendo veramente sotto i piedi il 25 per cento del Paese che vi chiede di non fare queste porcate ! Voi state veramente insultando...

PRESIDENTE. Onorevole Tripiedi, si rivolga alla Presidenza.

DAVIDE TRIPIEDI. Presidente, loro insultano il MoVimento 5 Stelle e il 25 per cento del popolo che li ha votati, noi quanto loro siamo deputati della Repubblica italiana e non ci va di essere derisi in Commissione per le assurdità che sta portando avanti questo Governo.
Ribadisco che, se verrà posta la questione di fiducia anche su questo decreto-legge, sputiamo addosso al Parlamento, gli sputiamo, perché il Parlamento perde valore, lo ripeto, perde valore. Dare a tutti i parlamentari la possibilità di emendare un testo di legge è veramente un dovere della maggioranza. Qui si sta andando dalla parte opposta ! Voglio chiudere qui perché ci sarebbero tante altre cose da dire, molte altre cose da dire ci sarebbero, ci sarebbero veramente tante cose, ma mi fermo qua e dico: vergognatevi !

PRESIDENTE. Collega, si rivolga alla Presidenza.

DAVIDE TRIPIEDI. Vergognatevi, vergognatevi; ma non solo il Partito Democratico, loro ancora di più, ma tutto il Parlamento si dovrebbe vergognare. Forse Sel ha difeso un pochino il diritto dei lavoratori, ma è un'esclusiva opportunità politica, io penso, spero di no, spero di no perché è grazie a loro che sono in maggioranza, è grazie a loro. Chiudo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Gregori. Ne ha facoltà.

MONICA GREGORI. Signor Presidente, intanto voglio ricordare e iniziare questo intervento proprio da quanto accaduto nella Commissione lavoro in queste due settimane: gli attacchi continui che vengono rivolti al presidente della Commissione lavoro in merito a un non rispetto del Regolamento.
Voglio ricordare in quest'Aula e ai colleghi che il presidente di Commissione si è rivolto agli uffici della Camera. Pertanto ha applicato quanto gli era stato detto dagli uffici della Camera. Semmai, il mancato rispetto delle regole, ma più che delle regole direi il mancato rispetto nei confronti di questo Palazzo, e soprattutto della carica che noi rivestiamo, c’è stato da parte delle opposizioni e del MoVimento 5 Stelle, continuando, pur nella loro legittima e democratica azione di ostruzionismo, con gli insulti, con le diffamazioni all'interno della Commissione; già lì mi sono espressa e ho chiesto ai colleghi, se erano convinti di quanto dicevano: rinunciate all'immunità parlamentare e ci vediamo dinanzi ad un giudice. Perché vede, Presidente, è ora di farla finita con questo sfascismo nei confronti della politica, nei confronti delle istituzioni, nei confronti delle parti sociali.
Mi sento indignata per quanto ci viene detto, perché qui dentro nessuno è venduto, Pag. 49perché chi ha svolto precedentemente il ruolo di sindacalista rivendica con orgoglio quell'esperienza; e in particolare la sottoscritta, proprio per l'esperienza avuta, che ha perso per due volte, per ben due volte il posto di lavoro per essere stata ferma nelle proprie decisioni a tutela dei lavoratori. Quindi, queste sono cose che secondo me devono cessare dentro questo Palazzo, per rispetto delle persone prima di tutto e perché questo contribuisce a snaturare l'importanza della carica che noi rivestiamo.
Arrivo al merito del decreto-legge, Presidente. Il collega prima diceva che si sono cambiati i contratti; ma veramente noi, nel decreto-legge, diciamo espressamente in alcuni punti che viene mantenuta l'autonomia contrattuale. Allora si deve comprendere che cosa è un contratto e che cosa è una norma, una legge, perché sono due cose ben differenti !
Siamo allora giunti – e qui vengo al merito del decreto-legge – ad un momento cruciale della nostra legislatura: la crisi occupazionale continua a premere sulla tenuta del nostro Paese, mettendo a repentaglio la questione sociale. L'imperativo morale di questo Parlamento è quello di reagire con coraggio ed efficacia, dando risposte rapide ma senza perdere la bussola delle conquiste normative in materia di lavoro, sancite nella Costituzione e affermate in leggi che hanno rappresentato il cardine dello sviluppo del sistema sociale dell'Italia.
Il testo che oggi approda in quest'Aula, e quindi esce dalla Commissione lavoro, è un testo equilibrato, attento a rappresentare tutte le sensibilità del mondo lavorativo e imprenditoriale del nostro Paese, l'associazionismo e la società civile. Si è lavorato con attenzione e dedizione, manifestando il massimo interesse a licenziare un provvedimento che guardi veramente alle esigenze di farci uscire dal pantano in cui ci si è venuti a trovare. La stratificazione legislativa in materia di lavoro è particolarmente preponderante, ma le colonne portanti che reggono il sistema di tutele risultano essenziali per un corretto equilibrio tra sviluppo economico e welfare, tra esigenze delle imprese ed esigenze dei lavoratori. Non esistono ragioni più forti e ragioni più deboli.
La gravità della crisi economica e i suoi sviluppi, che ci tengono ancora agganciati ad una sostanziale fase di stagnazione, vanno affrontati con il ricorso a strumenti legislativi che sappiano rappresentare le esigenze di tutti, non di una parte.
Desidero al riguardo concentrarmi su alcuni aspetti del decreto, in particolare l'articolo 1, che contiene disposizioni in materia di contratti a tempo determinato e somministrazione di lavoro a tempo determinato, con l'obiettivo di facilitare il ricorso a tali tipologie contrattuali per rafforzare così l'opportunità dell'ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che cercano occupazione.
In particolare, sempre nell'articolo 1, viene innalzata da 12 a 36 mesi, comprensivi di proroghe, la durata del lavoro a tempo determinato, tramite un contratto concluso tra il datore di lavoro e il lavoratore per lo svolgimento di qualsiasi mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. Fatto salvo quanto poi disposto dall'articolo 10, comma 7, il numero comprensivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell'anno dell'assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato; le eventuali proroghe sono ammesse fino a un massimo di cinque volte nell'arco di 36 mesi. Questo è un punto importante perché prima, com'era scritto il decreto e come ci è stato fatto notare nella serie di audizioni che abbiamo svolto in Commissione, le proroghe – che prima erano 8 e oggi sono 5 – potevano andare oltre i 36 mesi, e questo va sottolineato. Quindi questo avrebbe significato la precarizzazione a vita della persona. Oggi noi con Pag. 50questa modifica portiamo solamente a 36 mesi questa possibilità e quindi evitiamo la precarizzazione a vita.
Poi, vengano inserite delle importantissime disposizioni che riguardano le donne in maternità, che ha citato già prima l'onorevole Gnecchi e sulle quali non intendo soffermarmi ancora. Il diritto di precedenza, del quale tanto si parlava, proprio per le donne in maternità è stato inserito con un emendamento in Commissione lavoro, mentre prima c'era una dubbia interpretazione al riguardo, che avrebbe portato sicuramente a dei contenziosi e alla discriminazione della donna in maternità nel mondo del lavoro.
Un altro punto importante è il monitoraggio del mondo del lavoro dal momento in cui questo decreto sarà attuato. Il monitoraggio è fondamentale, perché ci permette di vedere la variazione nell'utilizzo di questi contratti e quindi anche di evitare sotto certi aspetti un abuso degli stessi o anche una schiavizzazione del personale.
Un'altra norma importante che è stata oggetto di ampia discussione in Commissione insieme al Governo è stata quella sulla trasparenza: anagrafe pubblica delle aziende. Si tratta di un emendamento che la sottoscritta aveva presentato e che è stato respinto dal Governo, ma non per questo provo rammarico contro il mio partito, contro la maggioranza e contro il Governo stesso, perché c’è stata, come dicevo, un'ampia discussione e con il Governo si è convenuto, per una serie di motivi, che era meglio ritirare l'emendamento in quanto alcuni aspetti dovevano essere studiati in modo migliore.
Una riflessione importante dicevo, perché nelle prossime settimane, proprio come hanno suggerito anche il relatore Dell'Aringa e il sottosegretario Bobba, si potrebbe aprire e sicuramente si avvierà un lavoro insieme al Ministero del lavoro e delle politiche sociali proprio per tentare di introdurre un sistema che controlli – quindi a differenza del monitoraggio – l'effettivo rispetto del 20 per cento dei lavoratori che si trovano all'interno dell'azienda.
Per concludere, tutti i deputati della Commissione lavoro hanno lavorato duramente per mantenere l'impianto e lo spirito della riforma voluta dal Ministro Poletti e dal Presidente del Consiglio Renzi, e qui voglio sottolineare una cosa. Prima è stato detto che il nostro Presidente del Consiglio non è stato eletto. Voglio ricordare ai colleghi del MoVimento 5 Stelle che loro sono qui con un click su un computer di 20, 30, 40 preferenze, a dispetto delle 600, 700, 1.000 preferenze che hanno preso i parlamentari del Partito Democratico. Questo va sottolineato e va ricordato, perché spesso viene dimenticato in quest'Aula.
Come dicevo, abbiamo voluto mantenere l'impianto del Ministro Poletti e del Presidente del Consiglio Renzi. Lo abbiamo fatto ritenendo opportuno modificare alcuni punti che di certo hanno creato un maggiore equilibrio tra imprese e lavoratori. Chi, come me, ha lavorato quindici anni, ma anche i miei colleghi che prima di entrare qui hanno lavorato in vari settori, sanno benissimo quali sono le difficoltà delle aziende, da una parte, e dei lavoratori, dall'altra. Chi è fuoriuscito dal mercato del lavoro sa benissimo quali sono le difficoltà per rientravi, e per questo l'equilibrio che si è voluto raggiungere in Commissione lavoro, con una ampia discussione con il Governo, è un equilibrio fondamentale perché, come dicevo prima, non si può pensare solo ad una parte o solo all'altra. Pertanto, io rivendico anche questo equilibrio.
Infine, vorrei ribadire la forte unità di tutto il Partito Democratico, dato che qui si dice che il Partito Democratico è diviso per mozioni, per minoranze, per schieramenti congressuali. Ribadisco, con forza, l'unità del Partito Democratico riguardo alle modifiche apportate al decreto e riguardo al decreto stesso e concludo, Presidente, dicendo: «State sereni, il Partito Democratico tiene».

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ciprini. Ne ha facoltà.

TIZIANA CIPRINI. Signor Presidente, oggi va in scena la prima parte dello Pag. 51«Slave Job Acts» di Renzi e va in scena con una sospetta coincidenza, che accade da anni in Italia: le peggiori leggi, nefaste e criminali, si fanno sotto le festività. Così gli italiani, distratti rispetto alle routine quotidiane, non se ne accorgono, grazie anche al silenzio complice dei media. È la solita collaudata strategia dei sepolcri imbiancati. Con questo provvedimento, infatti, si passa dal mercato del lavoro al mercato degli schiavi del lavoro. Si sancisce la legalizzazione della precarietà a vita.
Oggi è il 18 aprile 2014, Venerdì Santo, e sto parlando in un'Aula pressoché vuota, perché tutti sono partiti per le festività pasquali. Oggi è Venerdì Santo e, ironia della sorte, questa pericolosa nefandezza, che spazza via tutti i diritti dei lavoratori conquistati con le dure lotte degli anni Settanta, approda nell'Aula del Parlamento italiano. Ma si sa che ogni epoca ha il suo santo protettore e oggi è la volta di «San Precario», che entra ufficialmente nel calendario italiano. «San Precario» è il patrone dei precari e delle precarie: da «preco», instabile, malfermo, senza equilibrio. È il santo del ventunesimo secolo dopo Cristo, colui che prega per avere un lavoro, perché il lavoro è diventato da diritto a concessione e l'Italia è una Repubblica affondata sul lavoro.
«San Precario» è il protettore di chi lavora per un sotto salario, di chi soffre le conseguenze di un reddito intermittente ed è schiacciato da un futuro incerto che ci accomuna tutti. Questa è la quarta volta che si rimette mano alla disciplina del contratto a tempo determinato. È dall'inizio del 2000 che è iniziato lo smantellamento delle tutele del lavoro, volto a fare del contratto a termine la norma e del contratto a tempo indeterminato l'eccezione, togliendo, mano a mano, tutta una serie di vincoli al suo utilizzo, smontandolo pezzo per pezzo.
Adesso Renzi si è messo a rottamare anche i contratti. Una volta il contratto a tempo determinato era vietato, poi venne ammesso con il decreto legislativo n. 368 del 2001, adottato proprio in attuazione della direttiva dell'Unione europea n. 70 del 1999. Nel 2007, con la legge n. 247, il contratto a tempo determinato venne esteso al massimo tre anni. La legge Fornero, la n. 92 del 2012, ha ammesso la acausalità per il primo contratto per dodici mesi, non prorogabile. Con il decreto-legge Giovannini n. 76 del 2013, si sopprime il divieto di proroga del contratto a termine acausale. Ed ora arriviamo all'ultimo atto: il decreto-legge n. 34 di stampo «polirenziano». Nessun Governo di destra aveva mai osato tanto, nessuna legislazione europea contiene una liberalizzazione così ampia e totale del contratto a tempo determinato, che diventa di fatto la norma ordinaria delle assunzioni, in palese contrasto con la direttiva n. 99/70/CE.
Durante i lavori in Commissione è spuntato l'emendamento «salva faccia», che avete messo in premessa dell'articolo 1 e che recita così: in considerazione del perdurare della crisi occupazionale e nelle more dell'adozione di provvedimenti volti al riordino delle forme contrattuali di lavoro, al fine di rafforzare le opportunità di ingresso nel mercato del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione e fermo restando che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, eccetera eccetera...
Ebbene, questo è stato l'emendamento «salva faccia» proposto dal PD per far finta di fare ancora qualcosina di sinistra, per far finta di essere ancora dalla parte dei lavoratori, mentre, in verità, li stanno pugnalando alle spalle. Questo emendamento è stato una sporca bugia, è il bacio di Giuda, è una premessa scandalosa e mistificatoria che contraddice tutto l'articolato della legge susseguente. Quindi, si mente sapendo di mentire. Perché questa è senza alcun dubbio la più violenta aggressione ai diritti dei lavoratori di questi ultimi anni, e ancora una volta si sfrutta il collaudato metodo dell'emergenza come scusa per precarizzare il lavoro, per ridurre le garanzie, per ridurre lo stato sociale, per creare un esercito di senza diritti e senza lavoro.
La crisi diventa una banderuola per tutti, per tutto. Diventa un pretesto per Pag. 52abbattere tutele e garanzie. Si creano generazioni di poveri che lavorano sotto ricatto, che non ti consente di vivere con dignità. Negli anni Settanta avrebbero fatto le barricate nelle strade, altro che aule vuote ! Ma il Jobs Act di Renzi in verità è un «McJobs Act», che istiga al lavoro sotto ricatto, di bassa qualità, mal pagato e senza prospettive. Il tempo indeterminato è condannato a estinguersi a favore del precariato a vita senza tutele e senza garanzie. Da ora le imprese sono libere di scegliere fra assunzione stabile e assunzione precaria. Ma quale datore di lavoro giudicherà più conveniente assumere un lavoratore a tempo indeterminato ? Ora, se una donna rimane incinta, se ti ammali, se ti sposi, nessun problema per le imprese, non ti licenziano più, basta che non ti prorogano il contratto, quindi ecco un modo facile per liberarsi di un peso senza renderne più conto a nessuno.
Pertanto, dal mercato del lavoro si passa al mercato degli schiavi del lavoro. Ogni norma che si rispetti sottintende una visione del mondo del lavoro e quella alla base di questo provvedimento è una concezione ricattatoria e sfruttatoria dei lavoratori che dà mano libera a eventuali profittatori, ai mercanti di schiavi moderni.
Che gli italiani sappiano, però, che il precariato è la prima scelta del Governo Renzi e la concatenazione dei contratti precari, proposta da questo provvedimento, equivale, in verità, alle catene del neoschiavismo. Dopo il passaggio in Commissione, le proroghe sono scese da otto a cinque ma con un numero illimitato di rinnovi senza causa. Il risultato ? Incertezza, lavoro nero tra un rinnovo ed un altro, e precarietà deregolamentata. Siamo così passati dalla stagione dei diritti dei lavoratori degli anni Settanta a quella delle suppliche a vita, nella speranza che riproroghino il contratto precario; quindi, si va, navigando a vista per tutta la vita, senza progettualità, senza visione di lungo periodo, con stili di vita a scadenza.
Propongo inoltre uno stress test per il contratto «a spezzatino» di Renzi. Provate ad andare in banca per chiedere un mutuo, brandendo in mano il vostro contratto sfornato da Poletti e Renzi e vediamo se vi erogano il mutuo. Vi ridono in faccia e vediamo se lo considerano davvero una solida garanzia. Eppure, lo Stato dovrebbe farsi carico di quel bisogno innato e connaturato all'essere umano, che è il bisogno di sicurezza; la stessa organizzazione sociale, che ogni comunità si dà, è un modo per rendere stabile e sicuro il percorso di crescita dell'individuo.
In un nostro emendamento, per esempio, abbiamo proposto l'istituzione, a titolo gratuito, di una commissione di analisi e studio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con la finalità di studiare, contrastare e prevenire gli effetti derivanti dalla condizione di lavoratore a tempo determinato e flessibile, dovuta, ad esempio, all'incertezza del lavoro, all'impossibilità di progettazione, al blocco della carriera, all'insufficienza della promozione, ad una bassa retribuzione, all'insicurezza, allo scarso valore sociale attribuito a se stessi e al lavoro svolto, allo stress psico-sociale, alla riduzione della capacità di progettualità e di sviluppo della propria personalità e delle proprie aspirazioni. Sono tutti effetti che hanno un costo sociale immenso.
Inoltre riteniamo che, senza una flex-security, una rete di protezione sociale, non sia possibile adottare il modello della flessibilità selvaggia. Occorre, quindi, un reddito di cittadinanza per realizzare una vera flessibilità del lavoro, scelta e non subìta, dove è il singolo a volersi sperimentare in più mestieri, senza essere costretto ad accettare qualsiasi lavoro, anche insoddisfacente. Perché oggi infatti i concetti di posto di lavoro e posto di reddito coincidono. Oggi si va al lavoro magari anche insoddisfatti di ciò che si fa perché è l'unica fonte di reddito. Con il reddito di cittadinanza invece si spezzerebbero finalmente le catene dello schiavismo connesso al lavoro. Ma, allo stato dei fatti, il lavoro dipendente, tutelato a tempo indeterminato, è l'unica forma di dipendenza che dà indipendenza. La flessibilità del lavoro si deve pagare di più e non di meno perché il lavoratore ha meno sicurezze e, maggiore Pag. 53è la probabilità di essere licenziati, minori saranno i salari; invece dovrebbe essere proprio l'opposto. Persino l'economia liberista insegna che, se proprio volete comprare un bond ad alto rischio, vi devono pagare interessi molto alti. I salari pagati ai lavoratori flessibili devono essere più alti, non più bassi, proprio perché è più alta la loro probabilità di licenziamento.
Questo esempio è la ratio proposta da uno dei nostri tantissimi emendamenti in cui prevedevamo proprio un'indennità di precarietà. Poi Poletti, in un'audizione, ci ha detto che questo decreto serve sostanzialmente ad evitare contenziosi sul lavoro. Infatti, in verità è una maxi sanatoria di tutti i contenziosi aperti e di tutti quei contratti a termine che, in passato, sono stati utilizzati illegalmente ma, adesso che si è tolta la causa, non ci sarà più modo di sottrarsi al ricatto e non ci sarà più modo per avere giustizia presso i tribunali, per punire gli abusi dell'utilizzo del contratto a termine per coprire esigenze di lavoro continuativo. Ora il datore di lavoro può ricorrere del tutto liberamente al contratto a termine, senza bisogno di giustificare in alcun modo il motivo per cui l'assunzione avviene a termine e non, come sarebbe normale, a tempo indeterminato. In verità, sono già pronte valanghe di ricorsi per palesi violazioni delle direttive europee. Ce lo chiede l'Europa di adottare il contratto made in Renzi ? Non credo proprio e andiamo a vedere perché.
La direttiva dell'Unione europea 1999/70/UE, alla clausola n. 5, impone agli Stati membri dell'Unione europea di introdurre nelle legislazioni nazionali norme idonee a prevenire e a sanzionare gli abusi della successione di contratti di lavoro a tempo determinato, mediante l'introduzione di una o più misure relative a: ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei contratti dei rapporti a termine; durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Con il decreto-legge n. 34 del 2014 il legislatore, pur ponendosi furbescamente in una situazione di rispetto formale della disciplina comunitaria, pone una sostanziale delazione della stessa, attraverso l'abrogazione della precedente disposizione, a monte della quale l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro era consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività del datore di lavoro.
La piena liberalizzazione del ricorso al lavoro a termine suscita fondati dubbi di compatibilità della normativa interna proprio rispetto alla lettera a) dell'Accordo quadro europeo, in quanto è definitivamente eliminato l'obbligo di indicare le ragioni e le esigenze specifiche che il datore di lavoro deve soddisfare per giustificare il ricorso a tale fattispecie in luogo dell'ordinario contratto a tempo indeterminato, che – lo si ricorda ancora – rimane la forma comune ed ordinaria di impiego.
Dubbi di compatibilità della legislazione nazionale con la normativa europea si profilano anche rispetto al requisito di cui alla lettera b) della direttiva medesima. Il decreto-legge n. 34 del 2014 nulla stabilisce in relazione al numero dei rinnovi possibili del contratto a termine, ma fissa soltanto il limite massimo alla possibilità di proroga, che è istituto diverso rispetto al rinnovo: la proroga del contratto consiste nel prolungamento del termine di scadenza dello stesso; il rinnovo si verifica allorquando, venuto a scadenza il primo contratto, le parti decidono di sottoscriverne un altro.
Ma va anche stigmatizzata la circostanza che il numero di proroghe, ora sceso da 8 a 5, senza alcun obbligo di pause, può esporre la disciplina introdotta dal decreto-legge proprio ad un giudizio di incompatibilità comunitaria, ancora per la violazione della clausola n. 5, la quale per l'appunto voleva proprio evitare, nella sua ratio fondante, un abuso dell'utilizzo del contratto a termine.
Quindi, è in atto un vero e proprio aggiramento della direttiva europea, perché Pag. 54in verità il provvedimento è vera e propria istigazione al precariato selvaggio. Tra l'altro, il testo originario sfornato dal duo Poletti-Renzi era fuori legge per l'Europa anche per l'abrogazione della norma che subordina l'assunzione dei nuovi apprendisti alla prosecuzione del rapporto di lavoro di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. La norma è in contrasto con lo spirito dell'istituto dell'apprendistato, che è finalizzato anche alla formazione e successiva assunzione. Diversamente, si legittima la condotta del datore di lavoro che, ottenuti i benefici e i contributi derivanti dall'assunzione dell'apprendista, può assumere nuovamente altro personale, senza stabilizzare quello precedente, istigando quindi un mercato della schiavitù del lavoro, stavolta minorile.
Evidentemente, la norma si pone anche in contrasto con la decisione della Commissione europea n. 128 del 2000 e la conseguente sentenza della Corte di giustizia europea in cui l'Italia era stata condannata per non avere rispettato il regime dei finanziamenti contributivi, in tema di trasformazione dei contratti di formazione-lavoro in contratti a tempo indeterminato, non avendo rispettato la condizione che subordina la legittimità degli aiuti alla condizione dell'assunzione finalizzata alla creazione di nuovi posti di lavoro nell'impresa beneficiaria.
Insomma, in Commissione siete stati costretti a lavorare in un'ottica di riduzione del danno e, dallo zero assoluto, lo avete portato al 20 per cento. Ma capiamo che questo modus operandi incarna bene lo spirito di Poletti, uno che viene dalla Legacoop, abituato ad aggirare le normative e ad usare, ad esempio, in forma anomala il sistema cooperativo, che incassa i benefici previsti dalla legge per le cooperative vere e poi opera, a tutti gli effetti, come le aziende finalizzate al profitto, che non perseguono alcuno scopo mutualistico, ma solo logiche di mero mercato, mentre i soci lavoratori lavorano sotto ricatto, costretti ad accettare condizioni di lavoro e paghe da fame.
La vostra linea d'azione, adottata in Commissione, è stata quella di ridurre i danni che i vostri stessi Governi combinano, che stanno facendo. È la logica del meno peggio, a cui noi ci siamo sottratti, perché questo decreto-legge è una schifezza nella sua interezza, che va rispedito in toto al mittente, in quanto frutto pericoloso della politica del marketing di Renzi, della sua politica del fast food, che sforna prodotti rapidi, ma di qualità scadentissima.
È il cibo spazzatura che nemmeno la maggioranza che lo sostiene vuole ingoiare e Renzi, infatti, porrà la fiducia proprio per difendersi dai suoi, non certo dalle opposizioni. Su questo provvedimento si sta aprendo, infatti, la quarta fasulla crisi di Governo, con il Nuovo Centrodestra e Scelta Civica che non hanno dato mandato al relatore. Napolitano e Poletti, due ex comunisti, si sono prestati a colpire con la complicità del «bulletto» Renzi i ceti deboli e i precari, istituzionalizzando il ricatto e la minaccia che accompagna la condizione precaria, unico possibile accesso al lavoro e al reddito. La scelta autoritaria, con la repressione e la cancellazione delle tutele, e ricattatoria, caratterizza il Governo delle larghe intese, privo di investitura popolare e tuttavia deciso a evitare persino il dibattito in Aula, ponendo la fiducia.
Parole d'ordine: silenziare tutto, nascondere lo smoking gun e che si usi allo scopo anche la pausa pasquale così non se ne accorge nessuno. Ma state sereni, perché ci sarà il MoVimento 5 Stelle a far sì che i nomi escano nelle piazze, che escano i nomi di tutti coloro che voteranno «sì» a questa nefandezza per salvarsi la poltrona, condannando alla schiavitù del lavoro intere generazioni. Italiani, Presidente: buona Pasqua e non sorprendetevi della sorpresa che ci ha fatto Renzi, perché glielo ha chiesto la trojka (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Labriola. Ne ha facoltà.

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VINCENZA LABRIOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho letto e approfondito il decreto-legge, atto Camera n. 2208 intitolato «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese». Contestualizzando e considerando il periodo di crisi che l'Italia sta attraversando, mi sono domandata quale fosse l'obiettivo che il legislatore si pone con tale provvedimento: aumentare l'occupazione netta ? Fare emergere il lavoro irregolare o parzialmente regolare ? Le risposte a queste domande dovrebbero essere precedute da un'altra considerazione: il lavoro a termine è un'eccezione, seppur legittima e regolata, come a mio avviso dovrebbe essere e come l'Europa ha sempre indicato, o è il contratto base per eccellenza ? Così come sembra costruito, dal provvedimento non traspare una chiara scelta. I dati sono noti, il lavoro non cresce, la sua qualità, stabilità e durata di rapporti decresce da tempo. Dati inevitabilmente conseguenti non tanto a norme e regole, quanto allo stato della nostra economia che tutti gli indicatori segnano in negativo. Per questo mi domando se fosse stato meglio partire creando dei piani di investimento ventennali o la defiscalizzazione, credendo fortemente che l'Italia rimane la settima potenza industriale, ma la sua base produttiva è messa a rischio dalla profondità e dalla durata del calo della domanda.
Tornando al decreto-legge, si insiste sul tema della semplificazione, anche nel caso dell'apprendistato, il che comporta che l'oggettiva e indiscriminata incentivazione del contratto a termine colpirà soprattutto il contratto a tempo indeterminato, invertendo il paradigma che caratterizza in tutta l'Europa il rapporto tra contratto a termine e indeterminato. Se si incrocia la norma del decreto-legge con gli indirizzi annunciati nel disegno di legge delega, traspare la contemporanea volontà di rendere meno concorrenziali altre tipologie, con l'effetto, nei fatti, di spingere il contratto a termine verso l'alto. È pur vero che sono state apportate modifiche importanti, come la riduzione delle proroghe da otto a cinque, una certa tutela che si è cercato di dare alle donne lavoratrici e mamme, ma restano aperti ancora alcuni aspetti che a mio avviso andavano corretti, uno fra tutti reinserire la causalità dei contratti.
Altro aspetto che mi lascia perplessa è che nonostante abbia apprezzato una certa disponibilità al dialogo da parte sia del relatore che dal Governo, e una certa apertura ad accogliere delle modifiche, si è posta una chiusura quando si è cercato di apporre correzioni ad alcuni aspetti del decreto-legge, adducendo, nonostante fossero di buonsenso, che non si intendeva correggere determinati aspetti nel senso proposto dagli emendamenti. A questo punto, mi domando a cosa sia servito il nostro lavoro.
Ancora più preoccupante è l'intervento sul contratto di apprendistato: traspare un'oggettiva sottovalutazione del valore della formazione come elemento qualificante della crescita delle imprese e delle competenze della persona. Non è in questo caso in discussione il tema del rendere semplice l'adempimento formale rispetto alla formazione, ma per chiarezza, se le aziende, in assenza del piano formativo, svolgeranno la funzione formatrice rispetto a un chiaro obiettivo da raggiungere, quale il raggiungimento della qualifica dell'apprendista. Non so se Renzi intende lasciare questo ai suoi e ai nostri figli.
Concludo con una frase di Charles Péguy: «Ai miei tempi tutti cantavano, nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava. Oggi si protesta. A quei tempi non si guadagnava quasi nulla, eppure tutti mangiavano. C'era anche nelle case più umili una specie di benessere di cui si è perduto il ricordo. Non si facevano conti, ma si potevano crescere i figli».

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.Pag. 56
Prendo atto che il relatore per la maggioranza, deputato Dell'Aringa, rinuncia a intervenire in sede di replica. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia a intervenire in sede di replica.
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di martedì 22 aprile, a partire dalle ore 15.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 17 aprile 2014, il presidente del gruppo parlamentare Nuovo Centrodestra ha reso noto che sono stati nominati vicepresidente il deputato Sergio Pizzolante e componenti del comitato direttivo i deputati Nino Bosco, Vincenzo Piso e Paolo Tancredi.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Colgo l'occasione, per chi la festeggia, di fare tanti auguri di buona Pasqua, prima di tutti ai dipendenti della Camera dei deputati e a tutti i deputati presenti.
Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 22 aprile 2014, alle 15:

1. – Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (C. 2208-A).
Relatori: Dell'Aringa, per la maggioranza; Fedriga, di minoranza.

2. – Seguito della discussione delle mozioni Cirielli ed altri n. 1-00248, Verini, Leone, Dambruoso, D'Alia, Pisicchio ed altri n. 1-00432, Mottola e Palese n. 1-00433 e Molteni ed altri n. 1-00434 concernenti iniziative per la tutela delle vittime di reato.

3. – Seguito della discussione della mozione Boccadutri ed altri n. 1-00216 concernente iniziative per la sospensione del conio delle monete da 1 e 2 centesimi.

La seduta termina alle 13,40.

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