XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 201 di lunedì 31 marzo 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

La seduta comincia alle 15,05.

ENRICO GASBARRA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 24 febbraio 2014.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Chaouki, Cicchitto, Cirielli, Costa, De Girolamo, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Lorenzin, Lotti, Lupi, Merlo, Migliore, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Speranza, Tabacci, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente sessantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Protocollo concernente le preoccupazioni del popolo irlandese relative al Trattato di Lisbona, fatto a Bruxelles il 13 giugno 2012 (A.C. 1619) (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica n. 1619: Ratifica ed esecuzione del Protocollo concernente le preoccupazioni del popolo irlandese relative al Trattato di Lisbona, fatto a Bruxelles il 13 giugno 2012.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame di tale disegno di legge di ratifica è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1619)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Picchi.

GUGLIELMO PICCHI, Relatore. Signor Presidente, Governo, colleghi, il Protocollo Pag. 2che oggi discutiamo una conseguenza della bocciatura da parte del popolo irlandese del referendum sul Trattato di Lisbona svoltosi nel 2008.
In conseguenza di questa bocciatura, i Capi di Stato e di Governo, il Consiglio europeo, nel 2009, adottò una decisione che aveva come oggetto una serie di garanzie giuridiche, riguardanti solo ed esclusivamente l'Irlanda, in materia di diritto alla vita, protezione della famiglia, istruzione, fiscalità, sicurezza e difesa.
La decisione doveva essere il presupposto per l'adozione di un nuovo Protocollo, appunto concernente le preoccupazioni del popolo irlandese relative al Trattato di Lisbona, che tutti gli Stati membri avrebbero dovuto ratificare dopo l'adesione di un nuovo Stato membro. L'occasione è giunta con l'adesione da parte della Croazia all'Unione europea e, pertanto, un'apposita conferenza intergovernativa ha predisposto il testo del Protocollo, che poi è stato sottoscritto da tutti gli Stati membri il 13 giugno 2012 a Bruxelles.
Il Protocollo, che ha la veste di un accordo internazionale da allegare al Trattato sull'Unione europea ed al Trattato di funzionamento dell'Unione europea, sancisce il primato delle norme costituzionali irlandesi, in materia di famiglia, diritto alla vita e all'istruzione, sulle norme della Carta dei diritti fondamentali che non possono influenzare le disposizioni costituzionali.
Passando agli articoli del Protocollo, l'articolo 1 riguarda il diritto alla vita, alla famiglia e all'istruzione. L'articolo 2 del Protocollo stabilisce che nessuna disposizione del Trattato di Lisbona modifica, in alcun modo, per alcun Stato membro, la portata e l'esercizio della competenza dell'Unione europea in materia di fiscalità. L'articolo 3, che riguarda le questioni di sicurezza e difesa, ribadisce sostanzialmente quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 21 del Trattato sull'Unione europea in ordine ai fondamenti dell'azione internazionale dell'Unione, ovvero diffusione della democrazia, dello Stato di diritto, diritti dell'uomo e libertà fondamentali, uguaglianza e solidarietà, principi della Carta delle nazioni unite e del diritto internazionale.
Questo articolo 3 è, in particolar modo, molto peculiare, in quanto non pregiudica né condiziona in alcun modo la tradizionale politica di neutralità militare della Repubblica d'Irlanda e riserva all'Irlanda, o a qualsiasi altro Stato membro, la decisione sulla partecipazione o meno alle operazioni militari europee, conformemente alle norme giuridiche nazionali ed eventualmente esistenti in materia.
Questo provvedimento, il Protocollo, doveva entrare in vigore entro un anno da quando era stato sottoscritto alla Conferenza intergovernativa. Essendo già trascorso il 30 giugno 2013, entrerà in vigore quando tutti gli Stati membri avranno ratificato il Protocollo.
Questo Protocollo è molto peculiare in quanto, insomma, evidenzia come sia fondamentale l'esigenza di ascolto dell'opinione pubblica su temi molto sensibili, in particolare i temi legati all'integrazione europea, e, quindi, determina anche un modo con cui sia possibile partecipare all'Unione europea, tenendo conto delle opinioni pubbliche nazionali. È, quindi, un Trattato molto rilevante e ne auspichiamo una rapida approvazione.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare il deputato Michele Nicoletti. Ne ha facoltà.

MICHELE NICOLETTI. Signor Presidente, il Protocollo che il nostro Parlamento si appresta a ratificare è stato sottoscritto dal nostro Governo, come ha ricordato il relatore, così come dagli altri Governi europei nello scorso 2012. La maggior parte dei Parlamenti europei ha approvato la ratifica del Protocollo nello spazio di 6-15 mesi. A distanza di più di 21 mesi manca solo l'approvazione da parte del nostro Paese, assieme a Belgio e Croazia, che, però, è entrata da poco nell'Unione.
Come è già stato ricordato, a causa dei Paesi ritardatari il Protocollo non è entrato Pag. 3in vigore l'anno scorso e si attende che possa entrare in vigore quest'anno. Anche su questo piano si esprime la solidarietà europea. Se ogni Paese non fa la propria parte anche sul piano legislativo, l'Europa non può funzionare.
Ora, si potrebbe pensare che il ritardo con cui il nostro Parlamento si appresta a compiere quest'atto, rispetto a quello della stragrande maggioranza degli altri Parlamenti europei, sia dovuto al fatto che il nostro Parlamento ha voluto dedicare a questo tema un'ampia serie di approfondimenti. Non è così ! Il tema è stato trattato con la dovuta serietà dalla Commissione affari esteri, ma il dibattito ha impegnato solo alcune ore. Si potrebbe, allora, pensare che il ritardo sia dovuto alla divisività del provvedimento, al fatto, cioè, che esso introduca tali e tante fratture, dentro il corpo politico e sociale, da avere bisogno di uno spazio adeguato di trattazione per comporre la volontà collettiva in una decisione non lacerante. Così non pare. I diversi gruppi politici presenti in Commissione, pur sottolineando talvolta criticità e preoccupazioni legati al Protocollo, hanno tutti espresso un voto favorevole.
Allora, questo ritardo non dipende dal provvedimento. È un atto quasi dovuto, dato che riguarda, come è stato detto, le modalità di applicazione del Trattato di Lisbona alla Repubblica irlandese. Ma dipende da altri due fattori, che mi preme qui sottolineare. Il primo di questi è l'insufficiente attenzione che continuiamo a prestare al diritto internazionale ed europeo, come se si trattasse di materia secondaria, da affrontare in Parlamento nei ritagli di tempo, e non fosse, invece, la materia politica per eccellenza, come i cittadini hanno compreso benissimo, materia che di fatto apre ai cittadini possibilità nuove, ma che comporta anche il rispetto di vincoli e impegni.
Il secondo motivo è la lentezza e la disorganicità del nostro processo legislativo che richiede oggi, senza alcun dubbio, una revisione anche profonda, per garantire in modo effettivo lo studio, la partecipazione di tutti, maggioranza e minoranza, al procedimento legislativo, ma anche l'efficacia e la qualità dei provvedimenti. In questo senso, dentro il cammino di riforme costituzionali e di revisioni del Regolamento della Camera, dovrebbe trovare spazio una corsia dedicata, in modo specifico, alla ricezione e all'applicazione del diritto internazionale e comunitario.
Quanto al merito del Protocollo, la sua genesi ha chiaramente luogo in una difficoltà politica, come è stato ricordato, da superare nel momento in cui, per giungere all'approvazione del Trattato di Lisbona da parte di tutti gli Stati, sono state avviate procedure, anche straordinarie, volte a superare le diverse opposizioni. Esiste un fattore contingente, però esiste anche un elemento più profondo da considerare, e cioè che, con questo Protocollo, viene ribadita, in qualche modo, la natura pluralistica dell'ordinamento giuridico europeo, il fatto cioè che l'ordinamento giuridico europeo non riproduce il quadro del monismo statalistico all'interno del quale tutto si deve uniformare e rendere omogeneo, ma mantiene, invece, la pluralità, che è il tratto distintivo della civiltà europea sul piano culturale e linguistico, ma anche sul piano giuridico, come i nostri grandi storici del diritto ci hanno ricordato.
Il luogo in cui viene esercitato questo rispetto del pluralismo è un luogo, per così dire, vitale, il diritto alla vita, il diritto di famiglia, la materia fiscale, la materia di difesa, come a dire che le politiche comunitarie, secondo il fondamentale principio di sussidiarietà, non possono minacciare la vita dei cittadini europei e gli ordinamenti devono essere in qualche modo il più favorevoli possibile alla vita dei loro cittadini. Qualcuno potrebbe ridurre questo elemento ad una sorta di concessione nei confronti di un caso specifico, come quello irlandese. Si ricordi, però, il precedente del Protocollo n. 30 nei confronti del Regno Unito, che riguarda esattamente l'applicazione dell'ordinamento giuridico europeo in materia di diritti fondamentali ai cittadini britannici.
Questo elemento di concessione, questo elemento di riconoscimento del pluralismo Pag. 4non è un elemento di debolezza dell'Unione, ma, anzi, è un elemento di sua forza. La forza di un ordine giuridico non sta nell'imposizione di un unico modello, ma appunto nel riconoscimento di un sistema plurale in cui i diritti fondamentali delle persone vengono garantiti, ma, al tempo stesso, coniugati con le tradizioni e i sistemi giuridici locali. I popoli oggi guardano con più attesa delle classi dirigenti all'Unione europea. Questo Protocollo in fondo testimonia che, laddove c’è un'attenzione dell'Europa ai cittadini e alle diversità, il referendum popolare poi giunge a confermare la validità di questo impianto. E questo è un elemento importante su cui riflettere oggi. Non dobbiamo scambiare la paura delle classi dirigenti nazionali con la paura dei cittadini. I cittadini sono disponibili a investire in più Europa, in più Europa politica, in più Europa capace di sostenere la vita dei cittadini, laddove questa si dimostri effettivamente attenta alle pluralità ed effettivamente impegnata a promuovere e non solo a vigilare sulla correttezza, pur importante, dei costi.
Un ultimo aspetto voglio sottolineare riguardo al Protocollo, perché una delle materie, come è stato ricordato, decisive è la materia della difesa, la neutralità dell'Irlanda, che viene qui rispettata. E anche questo è un elemento importante, perché la difesa comune sa anche accogliere quelle posizioni particolari espresse da singoli, da comunità o addirittura da Stati nei confronti del problema della pace o della guerra. Ma questo tema della neutralità irlandese, che qui viene giudicato compatibile con lo sforzo di costruzione di una difesa comune europea, ci dovrebbe ricordare come proprio il nostro Paese, così attento a questa tematica iscritta nell'articolo 11 della Costituzione, dovrebbe avviarsi con maggior forza, non solo sul piano delle politiche di sviluppo economico, ma anche sul piano delle politiche di difesa, a realizzare quel sistema di difesa comune europeo, che non solo esprime a livello più alto la solidarietà di un continente, ma oggi si rende anche necessario per il contenimento dei costi.
Come è stato più volte ricordato, l'Europa non è un costo aggiuntivo, ma è la via attraverso la quale i diversi Stati nazionali possono positivamente razionalizzare le loro spese e rispondere meglio ai bisogni dei cittadini. Per questo noi esprimiamo un convinto «sì» alla ratifica di questo Protocollo, augurandoci che possa essere rapidamente approvato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Scagliusi. Ne ha facoltà.

EMANUELE SCAGLIUSI. Signor Presidente, oggi discutiamo della ratifica ed esecuzione del Protocollo sulle preoccupazioni del popolo irlandese relative al Trattato di Lisbona.
Il Trattato modifica i pilastri e il funzionamento dell'Unione europea, rafforzando il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali. Come molti di voi ricorderanno, il popolo irlandese ha bocciato il Trattato di Lisbona con il referendum del giugno 2008. Dopo aver ottenuto garanzie giuridiche dall'Unione europea, quali la propria neutralità militare ed il suo diritto ad imporre tasse e legiferare in materia di questioni etiche – come per esempio l'aborto –, l'Irlanda ha poi votato «sì» al referendum successivo dell'ottobre 2009. In seguito alle indicazioni giunte dal popolo, nel 2011 il Governo irlandese ha presentato un progetto di modifica dei trattati in forma di protocollo.
Il protocollo stabilisce che il Trattato di Lisbona non può influenzare in alcun modo i principi fondamentali della Costituzione irlandese, quali il diritto alla vita, la protezione della famiglia e il diritto all'istruzione. Allo stesso modo, tutela la sovranità fiscale di tutti gli Stati membri dell'Unione europea e ne preserva la sovranità nazionale in materia di politica di difesa e di sicurezza. Inoltre, il Protocollo ricorda come l'Irlanda sia storicamente mossa da una politica di neutralità e come sia decisa a mantenere la propria autonomia politica. Quindi, il Governo irlandese è stato l'unico dei Paesi dell'Unione europea a chiedere, per ben due volte, ai cittadini di esprimersi sul Trattato di Lisbona.Pag. 5
Fortunati gli amici irlandesi, che hanno potuto decidere le sorti del proprio Paese, Presidente, quindi hanno fatto valere la propria volontà. Fossero date anche a noi queste possibilità, chissà come sarebbero cambiate le cose in Italia, se ricordiamo che trattati come il MES e il Fiscal Compact sono passati da quest'Aula – ma anche lo stesso Trattato di Lisbona – senza nessuna richiesta alla popolazione, senza aver consultato i cittadini; è una cosa assurda e noi del MoVimento 5 Stelle pensiamo sarebbe stata una scelta ottima quella di fare un referendum consultivo prima di approvare il MES e il Fiscal Compact. Invece, relativamente a questo Protocollo, diciamo che è senza dubbio uno dei passi più importanti per innescare quel cambiamento che è auspicato quasi da tutti i popoli dell'Unione europea, ovvero il rispetto delle diversità economiche, culturali e sociali e la tutela di ogni differente sensibilità e tradizione nazionale.
Il MoVimento 5 Stelle quindi è favorevole a questo Protocollo, partendo proprio dall'assunto che le criticità poste in essere dal popolo irlandese meritino la più piena legittimazione; non possiamo infatti più illuderci che sia sufficiente tenere in piedi una comune politica estera e di difesa, o fiscale e bancaria; serve piuttosto stabilire una linea strategica che sia davvero comune ed inclusiva e che sappia sinceramente partire dal basso. È dalla gente che si crea la vera Unione europea, dalla solidarietà dei popoli e dall'unione dei popoli, che stanno sempre attenti a preservare la propria peculiarità territoriale.
Il Protocollo sulle preoccupazioni del popolo irlandese è la più limpida e democratica dimostrazione che ciascuno Stato dell'Unione europea ha il diritto di far valere le proprie ragioni indipendentemente dalla sua grandezza o forza. Quello da cui dipende la buona riuscita di tali sforzi è la rappresentazione politica e la sua vicinanza ai cittadini, e su questo noi, in quest'Aula, abbiamo ancora molto da imparare, visti i precedenti e visto quello che è successo fino adesso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tancredi, che non vedo in Aula.
È iscritto a parlare il deputato Franco Bordo. Ne ha facoltà.

FRANCO BORDO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, appare oggi più che mai attuale la discussione di questo Protocollo concernente le preoccupazioni del popolo irlandese relative al Trattato di Lisbona, e non solo perché ci troviamo ormai a ridosso delle imminenti elezioni europee, ma anche perché l'esito negativo del referendum di Dublino 2008, da cui nasce e si sviluppa questo Protocollo, va interpretato come un allarme.
Sono due le chiavi di lettura che possono essere utilizzate nell'esaminare questo Protocollo. La prima è quella dei nazionalismi alla francese, all'olandese, e dei populismi, anche nostrani, che non si pongono come obiettivo un processo di integrazione come soluzione alla crisi economica e alla recessione che stiamo vivendo. Ed è così che le soluzioni, oltre all'uscita dall'euro, sono anche quelle paventate e sottintese in questo testo, che, di fatto, costituiscono un arretramento nei diritti in materia di famiglia e del nascituro.
Vi è poi un'altra chiave di lettura, che vogliamo fare nostra, che passa attraverso una battaglia finalizzata ad un'evoluzione federalista dell'architettura istituzionale dell'Unione, che evidenzia, peraltro, l'esigenza, non più rinviabile, di un impegno deciso, volto a sanare la dicotomia esistente tra cosmopolitismo in economia e nazionalismo in politica che influenza le scelte della Commissione europea. Non possiamo e non siamo disposti a prestare il fianco a chi vuole parlare alla pancia di un'Europa che non vive ancora la condizione di popolo, che non pratica la consapevolezza dell'esistenza di più e svariate famiglie, diverse e non necessariamente consacrate dai riti religiosi.
Per noi non esiste una sola famiglia, composta da uomo e donna uniti in un matrimonio religioso. Per questo, leggiamo con preoccupazione l'articolo 41 dedicato Pag. 6al riconoscimento costituzionale ed alla protezione dell'istituto familiare, concepito come unità fondamentale naturale della società, nonché come istituzione morale. L'articolo 41 di questo Trattato pone il completo rispetto del popolo irlandese.
Inoltre, è richiamato il diritto alla vita del nascituro all'articolo 40, e per noi è esattamente equiparabile al sacrosanto diritto all'autodeterminazione delle donne ed al loro diritto di libertà. Si abbia, insomma, il coraggio di chiarire che il diritto alla vita non nega, con un velo di ipocrisia, il diritto all'aborto ad una coppia che decide di non volere o di non poter procreare. Non vorremmo leggere in chiave restrittiva questi due diritti richiamati sopra.
Pertanto, voteremo, ma non con poche riserve, questo disegno di legge, chiarendo, però, che l'articolato dell'atto in discussione contiene palesi elementi di arretramento rispetto alla strada che l'Europa deve intraprendere, e lavoreremo, dentro e fuori queste Aule, affinché l'integrazione europea passi soprattutto attraverso i diritti, e meno per i bilanci strozzati dalla cupola di austerità che deprime il sogno di spinelliana memoria (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gigli. Ne ha facoltà.

GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, il mio intervento va in senso opposto a quello di chi mi ha preceduto. Noi, oggi, siamo qui a discutere sulla ratifica del Protocollo che l'Italia ha firmato il 16 maggio del 2012, con il quale viene data risposta positiva alle preoccupazioni espresse dal popolo irlandese, che hanno portato alla bocciatura, la prima volta, appunto, come è stato già richiamato, con referendum, del Trattato di Lisbona. Al di là di quello che viene previsto, pur importante, per quanto riguarda l'imposizione fiscale e per quanto riguarda la neutralità dell'Irlanda, credo che il punto veramente importante e qualificante per l'Europa sia quello che riguarda i diritti della persona.
In poche parole, l'Irlanda chiede che si faccia un esplicito riconoscimento del diritto naturale; un diritto naturale che sostiene una serie di diritti non scritti nelle leggi e che, tuttavia, per la stessa Corte costituzionale irlandese, più volte, sono stati richiamati e indicati come tra i più ovvi e importanti diritti personali. Il diritto naturale l'Irlanda lo richiama con forza quando, per esempio, sostiene che lo Stato riconosce il diritto alla vita del nascituro.
Lo richiama quando sostiene che lo Stato riconosce la famiglia come gruppo naturale, primario e fondamentale della società e come istituzione morale che possiede diritti inalienabili e imprescrittibili che precedono e stanno sopra ad ogni legge positiva, e che lo Stato ha solo il compito di riconoscere, come peraltro la stessa nostra Costituzione. Ricordo Giorgio La Pira, quando si discusse qui dell'articolo 3, il quale volle, non che lo Stato attribuiva, ma riconosceva dei diritti che stavano appunto prima dello Stato stesso. Per questo, lo Stato irlandese riconosce la famiglia e per questo riconosce il ruolo educativo della famiglia (l'articolo 42 della Costituzione irlandese) come luogo naturale dell'educazione del bambino che garantisce ai genitori il diritto di provvedere, secondo i propri mezzi, all'educazione morale, religiosa, intellettuale, fisica e sociale dei loro figli.
Per questo ritengo che questo Protocollo debba essere ratificato dall'Italia senza alcuna esitazione, se non vogliamo che il campanello d'allarme, già richiamato, che aveva suonato in occasione del primo referendum irlandese, vada a coinvolgere masse sempre più numerose di persone. Infatti, la strada su cui l'Europa si è avviata, quella in qualche modo di imposizioni che finiscono per andare contro il diritto naturale e il sentimento dei popoli, può solo generare sentimenti antieuropeisti. Ed è bene che questo Protocollo venga ratificato prima delle elezioni europee, proprio per dare un segnale. E, allora, se non vogliamo procedere su questa strada, è importante che ci rendiamo conto, anche in Italia, che non tutto ciò Pag. 7che ci arriva dall'Europa deve essere preso come un obbligo se va contro il diritto naturale e la nostra Costituzione.
Voglio solo fare un esempio: nei giorni scorsi abbiamo dibattuto per quanto riguarda la strategia cosiddetta contro la discriminazione che l'UNAR ha cercato di propalare nelle scuole italiane e che sta sollevando forti resistenze da parte delle famiglie. Io credo che un problema del genere, cioè il tentativo di far passare come un obbligo che deriva dalla nostra adesione all'Europa questa strategia, in Irlanda non si sarebbe nemmeno posto. Voglio augurarmi che anche in Italia, sulla scia di questo Protocollo irlandese, sia possibile un domani operare qualche distinguo in più rispetto a ciò che ci viene proposto da qualche burocrate o da qualche risoluzione del Consiglio europeo e si possa, invece, fare più leva sulla nostra Costituzione e sulla tradizione del nostro diritto e della nostra cultura.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1619)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, deputato Picchi, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, brevemente per sottolineare due cose. La prima è l'ansietà di andare rapidamente perché siamo andati molto lenti. Questo Protocollo è già stato ratificato da 25 Paesi e questi ritardi dell'Italia nell'adeguarsi, di qualunque provvedimento si tratti, alle questioni europee non è sicuramente il miglior biglietto la visita e non è così che acquistiamo credibilità e influenza a livello europeo. Questa è un'interpretazione del Trattato di Lisbona, di grandissima importanza su temi fondamentali. Si certifica e si interpreta, a beneficio della scelta del popolo irlandese, che il Trattato di Lisbona e i trattati così come esistono non pregiudicano in alcun modo, come è stato ricordato bene dal relatore Picchi, alcune disposizioni costituzionali interne irlandesi (istruzione, diritto alla vita, fiscalità). È, quindi, anche un esempio di dialogo, alla luce del principio di sussidiarietà applicato a livello costituzionale, tra Unione europea e singoli Stati. Il punto, però, è che dobbiamo andare più veloci in queste questioni. L'occasione del semestre, le elezioni europee, che sono state ricordate in vari interventi, la consapevolezza aumentata nel nostro Paese, e mi sembra anche nelle Aule parlamentari, sull'importanza della questione europea, sulla centralità della politica europea livello interno, ebbene tutto ciò spero che prossimamente ci spinga ad agire in maniera più celere.
Questo è il punto più importante. Poi sono stati sollevati altri aspetti. Gli irlandesi – non so se gli irlandesi siano fortunati oppure meno – so che hanno una Costituzione che prevede e che obbliga la Repubblica di Irlanda a sottoporre a referendum alcuni Trattati internazionali e alcuni Trattati europei. I nostri padri costituenti hanno preferito utilizzare la via parlamentare per ratificare i Trattati internazionali ed europei. Questa è una scelta diversa dei costituenti irlandesi rispetto ai costituenti italiani. Però voglio ricordare che, come Governo e come Parlamento, abbiamo gli strumenti per aumentare il dibattito e aumentare forse anche la consapevolezza dell'opinione pubblica sulle questioni europee. Se insieme, Governo e Parlamento, ci impegniamo a sfruttare e attuare pienamente la legge n. 234 del 2012, ad esempio, legge che è stata concepita in questa Camera, voluta nella passata legislatura da tutti i gruppi politici e che dà un ampio spazio al dialogo con la società civile, al dialogo con le regioni, al dialogo con gli enti locali, al ruolo del Parlamento nell'orientamento della politica europea dell'Italia e quindi del Governo credo che, anche da questo punto di vista, daremo un contributo importante ad aumentare la consapevolezza Pag. 8della questione europea e anche la partecipazione democratica alle questioni europee.
Quindi, signor Presidente, ringrazio il relatore e ringrazio tutti coloro che sono intervenuti e l'auspicio del Governo e che è, a questa prima lettura, segua una seconda lettura molto rapida nell'altra Camera perché è evidente che vorremmo presentarci all'inizio del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dei ministri dell'Unione europea avendo fatto la nostra parte e dopo aver ratificato questo protocollo.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00339 concernente iniziative per l'esclusione dai vincoli previsti dal Patto di stabilità interno delle spese volte a finanziare interventi di contrasto al dissesto idrogeologico (ore 15,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00339 concernente iniziative per l'esclusione dai vincoli previsti dal Patto di stabilità interno delle spese volte a finanziare interventi di contrasto al dissesto idrogeologico (Vedi l'allegato A – Mozioni).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Palese ed altri n. 1-00414, Piccone e Dorina Bianchi n. 1-00415, Braga ed altri n. 1-00416, Zan ed altri n. 1-00417, Gigli ed altri n. 1-00418 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00414. Ne ha facoltà.

ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il rapporto «Terra e sviluppo» del Consiglio nazionale dei geologi, elaborato con la collaborazione del Centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato (CRESMe), descrive un'Italia vulnerabile, dal territorio fragile, esposta alle calamità ambientali, oltre la misura di quel che è fisiologicamente ammissibile.
Il 40 per cento della popolazione vive in aree ad alta sismicità; a rischio tellurico elevato soggiacciono 6,3 milioni di edifici e 12,5 milioni di abitazioni private; circa 6 milioni di persone abitano in aree ad elevato rischio idrogeologico; 30.000 chilometri quadrati del territorio sono ad altissimo rischio per eventi naturali, quali frane ed alluvioni.
Tali dati sono confermati dal primo rapporto ANCE/CRESMe su «Lo stato del territorio italiano 2012», laddove si evidenzia che l'Italia è considerato un Paese a sismicità medio-alta: in media ogni 100 anni si verificano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5,0 e 6 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6. Le aree più interessate dal fenomeno si trovano lungo l'intero arco appenninico, nella parte orientale delle Alpi e in corrispondenza delle aree vulcaniche.
La situazione del dissesto e dei terremoti, dal dopoguerra ad oggi, ha portato ad una stima dei danni pari a 213 miliardi di euro; il meccanismo di spesa per le calamità naturali è fortemente distorto: nel periodo 1991-2008 per la mitigazione del rischio idrogeologico sono stati impiegati 7,3 miliardi di euro, poco più di 400 milioni di euro l'anno.
Nel novembre 2009 il Governo ha presentato alle Camere i dati sul rischio idrogeologico attuale, le stime per gli interventi di messa in sicurezza e le procedure, anche straordinarie, per attivare gli interventi, a cominciare da quelle pluriennali previste dal piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico.Pag. 9
Il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi su tutto il territorio nazionale è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 miliardi di euro per il centro-nord e 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi di euro per il fabbisogno relativo al recupero e alla tutela del patrimonio costiero italiano. Tale fabbisogno finanziario si è scontrato con la cronica scarsità di risorse, sia dei bilanci statali che di quelli regionali, ulteriormente aggravata dall'intermittenza dei finanziamenti; in tali condizioni non è possibile né attuare la programmazione esistente nei diversi livelli di governo del territorio, né predisporre un credibile piano nazionale, dotato di uno stabile cronoprogramma di spesa. Purtroppo le spese per le emergenze sono difficilmente comprimibili, anche in forza delle attese della pubblica opinione e i mutui destinati alla copertura delle ricostruzioni sono difficilmente riducibili. Si tenga presente che ancora pesano sul bilancio statale eventi come il terremoto del Belice (1968) o dell'Irpinia (1980) e si calcola che la spesa per far fronte al terremoto in Abruzzo dell'aprile 2009 si potrà considerare esaurita nella previsione del 2032.
I Governi nazionali e regionali, di qualunque colore fossero, sono stati perennemente afflitti da problemi di deficit di bilancio e, da ultimo, dalla necessità inderogabile di fare fronte alla crisi economica, e sono dunque stati costretti a tagliare il tagliabile, ovvero, investimenti e ammortamenti.
Interessante è l'ultimo rapporto dell'ANBI (Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari), presentato nel febbraio 2014, in cui si riconosce che a determinare la situazione di emergenza hanno contribuito sia il mutato regime delle piogge, sia l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne, la riduzione del terreno agricolo. Si stima infatti che il consumo del suolo nel periodo 1990-2005 sia stato di oltre 244 mila ettari l'anno (circa due volte la superficie del comune di Roma), in pratica 668 ettari al giorno, ma si verifica, paradossalmente, anche il problema opposto: le superfici agricole, già oggetto di aggressione urbana, si riducono di per sé stesse a causa dell'abbandono. Purtroppo le calamità sono generate da eventi idrogeologici non prevedibili né tecnicamente né economicamente, ma è tuttavia possibile ridurre l'impatto degli eventi eccezionali attraverso azioni volte a rinforzare i territori fragili, a provvedere alle manutenzioni ed agli adeguamenti necessari a garantire la regolazione idraulica, ad assicurare il funzionamento degli impianti idrovori e il consolidamento degli argini. Dunque, non è più procrastinabile un programma di messa in sicurezza del territorio, indispensabile alla vita civile e alle attività produttive anche attraverso nuove regole d'uso.
Secondo dati ISTAT nel prossimo decennio l'incremento della popolazione nelle zone sismiche sarà di oltre 500 mila persone, mentre circa 250 mila persone si insedieranno nelle zone a rischio idrogeologico. L'Italia è un territorio fortemente antropizzato, con circa 189 abitanti per chilometro quadrato; se si calcolano anche i 5 milioni di immigrati, la densità aumenta a 202 abitanti per chilometro quadrato; se ulteriormente si calcola che su 301 mila chilometri quadrati sono utilizzabili solo 180 mila chilometri quadrati, si arriva a 339 abitanti per chilometro quadrato; il dato è confermato anche dallo studio del WWF sull'impronta ecologica delle nazioni: l'Italia ha un deficit ecologico di 2,9, cioè occorrerebbe che il nostro Paese avesse una superficie di 2,9 più grande, per sostenere gli attuali impatti della popolazione residente.
Il nostro è un Paese sovraffollato con tutti gli impatti che ne conseguono, primo tra i quali lo sfogo dell'urbanizzazione verso le aree libere, che sono soprattutto le aree agricole, ma anche verso aree meno idonee o assolutamente non idonee alle costruzioni, quali le aree a maggior rischio idrogeologico. Da un recentissimo studio dell'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (ISPRA), sull'andamento del consumo di suolo, si Pag. 10evince come esso sia cresciuto, negli ultimi cinque anni, al ritmo di oltre 8 metri quadrati al secondo e come risulti coperta dall'urbanizzazione un'area pari al 6,9 per cento del territorio, cioè oltre 20 mila 500 chilometri quadrati, dato del 2010. Nel 1956 era urbanizzato il 2,8 per cento del territorio; il consumo di suolo nel nostro Paese, per oltre 50 anni, sempre secondo l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, è sempre stato sopra la media europea. La classifica delle regioni più urbanizzate vede in testa la Lombardia, che supera la soglia del 10 per cento del territorio, con 14 regioni oltre il 5 per cento. Non vi è poi una chiara delimitazione degli ambiti di competenza dal momento che la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 ha previsto, da un lato, che siano di competenza dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema, secondo il comma 2, lettera s), dell'articolo 117), dall'altro, che il governo del territorio sia materia di competenza concorrente tra Stato e regioni secondo il comma 3, dell'articolo 117.
Anche questo contribuisce – rispetto all'urgenza di modifica del Titolo V, che il Paese attende, un anno dopo che è entrata in vigore, cioè a partire dal 2003 – al disastro che ha provocato quella modifica della Costituzione. Si è creata quindi una confusione dei ruoli, uno spezzettamento delle competenze, una strutturale mancanza di coordinamento, e numerosi ma vani sono stati i tentativi, nel corso delle legislature precedenti, di approvare una legge nazionale sul Governo del territorio, riformando così, ad oltre sessant'anni della sua entrata in vigore, la legge urbanistica del 1942.
Il quadro europeo non è più confortante. L'Unione europea ha da tempo riconosciuto l'esigenza di politiche pubbliche per una tutela attiva delle funzioni naturali svolte dal suolo, alla base della strategia tematica per la protezione del suolo adottata dall'Unione europea sin dal 2006. Gli interventi necessari per ridurre il rischio idrogeologico richiedono un investimento di quasi 8 miliardi di euro per circa 3.400 interventi. Secondo l'ANBI, infatti, l'adeguamento delle opere di bonifica idraulica è condizione fondamentale per la sicurezza del territorio per qualunque attività economica. I consorzi sono pronti e qualificati per contribuire e fornire supporto alle istituzioni ma poi è necessario cogliere anche le opportunità che offrono i fondi comunitari per la PAC 2014-2020. Sul terreno delle risorse, occorre essere pronti ad intercettare le opportunità attivabili nel quadro delle politiche di coesione per il ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020 ed agire in sede europea perché gli interventi di prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico possano essere esclusi dai vincoli stringenti del Patto di stabilità. Inoltre, è urgente dare piena attuazione alle direttive europee in materia di acqua e alluvioni, riorganizzando il sistema di responsabilità e competenze, eliminando sovrapposizioni e incongruenze che rendono meno efficace il sistema degli interventi.
Tuttavia, il Governo nazionale è in forte ritardo nel recepire la direttiva europea n. 2000/60/CE per l'azione comunitaria in materia di acque, concernente la costituzione degli otto distretti idrografici nazionali, dell'autorità di bacino distrettuale e dei relativi piani di gestione per l'attuazione degli interventi necessari a raggiungere gli obiettivi europei, già previsti nella legge n. 152 del 2006, esponendo così l'Italia al rischio dell'ennesima sanzione. Il medesimo ritardo lo stiamo accumulando nel recepimento della successiva e consequenziale direttiva n. 2007/60/CE, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, recepita in Italia dal decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49.
Gli otto distretti idrografici costituiti e le analoghe autorità di bacino, in base alla direttiva europea n. 2000/60/CE, hanno competenze sugli interventi locali legati alla manifestazione e all'evoluzione di rilevanti fenomeni di rischio per il territorio (frane, alluvioni, smottamenti, erosioni, eccetera) e sulla programmazione degli interventi preventivi di messa in sicurezza del suolo e per la gestione delle acque, Pag. 11come definito anche dalla direttiva europea n. 2007/60/CE, denominata «direttiva frane e alluvioni».
Il 2015 sarà l'anno di scadenza per il recepimento complessivo delle due direttive europee sopra richiamate e per raggiungere gli obiettivi ambientali già prefissati: protezione, miglioramento e ripristino di tutti i corpi idrici superficiali al fine di raggiungere un valido stato qualitativo delle acque; redazione dei piani di gestione del rischio di alluvioni in base alle nuove mappe della pericolosità e del rischio da alluvioni. Se si pensa poi che gli enti locali coinvolti avrebbero risorse proprie per poter disporre interventi di messa in sicurezza e di prevenzione, ma questa loro volontà si scontra con le regole imposte a livello nazionale in applicazione del Patto di stabilità, è dunque necessario una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo attraverso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse, ma anche attraverso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione.
La legge finanziaria per il 2014, cosiddetta legge di stabilità, e il successivo decreto-legge n. 136 del 2013 si limitano a dettare norme che dovrebbero determinare l'utilizzo delle somme già previste negli accordi di programma, mentre estremamente modeste sono le nuove previsioni di spesa: 30 milioni di euro per il 2014; 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016. L'ANBI nel 2013 aveva proposto, ai fini della riduzione del rischio idrogeologico, 3.342 interventi, per un importo di 7 miliardi e 409 milioni di euro, e nel 2014 ha proposto 3.383 interventi, per un importo pari a 7.995 milioni di euro.
Purtroppo, dal 2010 ad oggi il numero delle opere da realizzare per garantire maggiore sicurezza idrogeologica al Paese è cresciuto del 147,8 per cento, mentre il loro fabbisogno economico del 91 per cento; e l'ANBI ha proposto, nel proprio piano per ridurre il rischio idrogeologico, opere immediatamente cantierabili e con importanti ricadute occupazionali per la sistemazione idraulica di torrenti e rogge, la manutenzione del reticolo idraulico a difesa dei centri abitati, la realizzazione di opere per il contenimento delle piene, il consolidamento di pendici collinari e montane.
Si chiede quindi che il Governo presenti sollecitamente un disegno di legge contenente le linee guida generali sul governo del territorio, la legge quadro cui devono attenersi le regioni; riorganizzi il sistema delle competenze e delle responsabilità, in modo tale da evitare sovrapposizioni e conflitti tra le varie autorità; aggiorni e dia attuazione ad un piano contro il rischio idrogeologico, individuando risorse di bilancio certe e continuative per la difesa strutturale del suolo, magari sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per interventi prioritari di prevenzione del rischio idrogeologico. Ma soprattutto si chiede da parte del Governo, sotto il profilo dell'attuazione delle regole di finanza pubblica, un impegno ad assumere iniziative che ascrivano, tra gli obiettivi da realizzare nel prossimo semestre italiano di Presidenza europea, l'esclusione dai vincoli del Patto di stabilità interno delle risorse destinate alle opere finalizzate alla difesa idrogeologica e quelle relative al concorso degli enti territoriali all'attuazione del piano contro il rischio idrogeologico, introducendo disposizioni che prevedano tra gli interventi dello Stato destinati a rimuovere le condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, anche azioni di rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e di riqualificazione ambientale di territori danneggiati, da attuare attraverso gli strumenti della programmazione negoziata.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Piccone, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00415. Ne ha facoltà.

FILIPPO PICCONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, se Pag. 12potessimo sintetizzare al massimo quello che ci stiamo dicendo sul rischio idrogeologico in questo Paese, bisognerebbe fare ricorso ad un antico adagio, che semplicemente dice: prevenire è meglio che curare.
La tutela e la sicurezza del territorio italiano costituiscono una priorità fondamentale per il nostro Paese ed un interesse prioritario per la collettività. Secondo stime del Dipartimento della protezione civile, le calamità naturali sono costate in Italia una media di 3 miliardi e mezzo di euro l'anno negli ultimi trent'anni. Già solo in un'ottica minimale di difesa, la conservazione dello stock infrastrutturale esistente, pubblico e privato, costituisce oggi una delle grandi opportunità economiche del Paese. Gli interventi di difesa del suolo vengono già da tempo considerati alla stregua di una rete infrastrutturale per lo sviluppo sostenibile: una rete altrettanto importante di quella delle infrastrutture a rete tradizionalmente intese.
I dati riguardanti l'Italia sul fenomeno del dissesto idrogeologico sono allarmanti: in particolare, si evidenzia come in oltre 6 mila comuni italiani siano presenti aree a rischio idrogeologico, ovvero l'82 per cento del totale. Da sottolineare come questo dato fa rilevare in maniera direi prepotente che tutti, o quasi tutti, i suoli idrogeologici a rischio in Italia ricadano nella maggior parte dei casi in piccoli comuni, che sono assoggettati allo stringente vincolo del Patto di stabilità e alla mancanza di risorse molto più che dei grandi comuni.
È altresì da considerare come in Europa le frane registrate siano attualmente 700 mila, di cui 500 mila in Italia. Vorrei far notare, signor Presidente, come in Italia c’è uno sport molto bello, che spesso ci mette a confronto col resto d'Europa, sviscerando tutta una serie di indici, che va dal PIL, al PIL pro capite, al gap infrastrutturale e quant'altro: se facessimo questo gioco, e facessimo una sorta di ideale classifica, questo comparto risulterebbe il primo comparto per differenziale col resto dell'Europa e dei Paesi civili. È anche da ricordare come numerosi smottamenti interessino centri storici e preziosi beni culturali, tra i più importanti del mondo, come Pompei ed Agrigento, e in questo modo corriamo il rischio di perdere cultura, turismo e immagine nel mondo.
Non è meno importante il patrimonio naturalistico di questo Paese, che per fortuna è nostro, è di questo Paese, della nostra collettività e va tutelato. Come parlamentare abruzzese, mi preme sottolineare che la mia regione, insieme al Molise, è la regione più montuosa dell'Italia, con oltre metà del territorio a quote superiori a 600 metri dal livello del mare. La sua conformazione geologica e strutturale rende particolarmente attivi i fenomeni di dissesto idrogeologico, ultimo in ordine cronologico quello verificatosi lo scorso mese di novembre nelle province di Pescara, Teramo e Chieti a causa di eccezionali eventi.
In Abruzzo, le cosiddette calamità naturali hanno condizionato gli sviluppi urbanistici delle città – ovviamente parlo della mia regione che conosco meglio, ma è la rappresentazione dell'intero Paese –, hanno portato all'abbandono di interi Paesi o porzioni di abitati, mentre, in altri casi, hanno provocato perdite irrimediabili al patrimonio storico-culturale dell'intera comunità regionale. Livelli di pericolosità elevata e molto elevata interessano 236 comuni, su un totale complessivo di 305, come dire che oltre tre comuni su quattro presentano condizioni di alta pericolosità. Si pensi che una stima del fabbisogno finanziario necessario per il risanamento idrogeologico delle aree a rischio, solo in Abruzzo, porta all'enorme cifra di circa 1.200 milioni di euro.
Questo dato risulta perfettamente confrontabile con i dati provenienti dall'indagine conoscitiva, di cui parlava anche il collega che mi ha preceduto, della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, nella seduta del 3 novembre 2009, che individuava il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione delle situazioni di dissesto sull'intero territorio nazionale in complessivi 44 miliardi Pag. 13di euro. Ora, basterebbe prendere carta e penna e mettere a confronto alcuni dati che emergono in maniera evidente: 3/4 miliardi l'anno per rincorrere le emergenze; 44 miliardi stimati per mettere in sicurezza l'intero territorio nazionale farebbero pensare che, se noi trent'anni fa avessimo potuto spendere, o avessimo speso, questi 40 miliardi, ce ne saremmo risparmiati ben 90 piuttosto che rincorrere costantemente e continuamente l'emergenza e la cultura dell'emergenza. A questo bisogna aggiungere – dato, credo, assolutamente non trascurabile, anzi – che nel corso di questi vent'anni abbiamo pagato dazio in termini di vite umane, con oltre 300 vite umane perse a causa di smottamenti e frane.
Basti pensare – lo citava il collega che mi ha preceduto – a quanto è stato importante, doloroso, lacerante ed eclatante il terremoto, l'ultimo che abbiamo avuto nella mia terra, a L'Aquila, e le stesse vittime le abbiamo avute anche con le frane e gli smottamenti per rincorrere l'emergenza e per non avere un minimo di cultura della prevenzione e della pianificazione. Dai numeri riportati nasce pertanto l'esigenza di riflettere attentamente, allo scopo di sviluppare una politica del territorio che risponda in modo efficace alla prevenzione del rischio idrogeologico nel nostro Paese.
Occorre infatti agire ed affrontare il problema del dissesto idrogeologico non solo in una logica emergenziale, ma soprattutto con un'attività di prevenzione che possa garantire per il futuro la riduzione dello stesso con una politica attiva di difesa del suolo. La manutenzione preventiva rappresenta oggi la forma più sostenibile possibile di gestione della risorsa del territorio dal punto di vista sia ambientale che economico. La frequenza e la gravità degli eventi ci suggeriscono di sistemare e rimettere in sicurezza le aree di maggiore rischio idrogeologico, nonché di far rispettare le seppur numerose norme di sicurezza esistenti per le costruzioni nelle aree a rischio. Purtroppo, le politiche di gestione del territorio hanno continuato, nel corso di questi anni, a destinare gran parte delle risorse disponibili all'emergenza anziché ad un'opera effettiva di messa in sicurezza del territorio, la quale costituirebbe l'unica via possibile per superare questo problema ed evitare la perdita di vite umane e danni economici.
È altresì da ricordare come negli ultimi anni si sia assistito ad una crescita continua dell'urbanizzazione, ad interventi artificiali sui corsi d'acqua ed alla sottrazione di aree allagabili e di aree libere, agricole e boschive che costituiscono presidi essenziali per la tutela del territorio italiano, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta piogge particolarmente intense colpiscono il nostro Paese. C’è da dire che rispetto a questo argomento non bastano solo le regole, ma bisognerebbe investire anche in una cultura civica di maggior sensibilità rispetto alla nostra collettività che spesso, soprattutto in alcune aree del Paese, cementifica in maniera irrazionale, in maniera scomposta, in maniera abusiva.
Assume, quindi, una particolare importanza il disegno di legge del Governo, attualmente in discussione in Parlamento, che persegue la finalità di contenere il consumo del suolo, di valorizzare le aree non edificate e di promuovere l'attività agricola, nonché gli obiettivi del prioritario riutilizzo del suolo inedificato, al fine complessivo di impedire che lo stesso venga eccessivamente eroso e consumato dall'urbanizzazione.
È da considerare, inoltre, come la pratica dell'abusivismo e le continue deroghe alla normativa urbanistica abbiano minato la creazione di una cultura diffusa in materia di sicurezza sul territorio, di rispetto delle regole e di salvaguardia del suolo come risorsa per le generazioni future.
Occorre, quindi, valutare la possibilità di riattivare investimenti immediatamente cantierabili da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali e, quindi, rivedere il Patto di stabilità interno degli stessi enti, tenendo anche in considerazione che un piano di riduzione e gestione del rischio idrogeologico del territorio può rappresentare uno straordinario strumento di Pag. 14rilancio economico e di creazione di occupazione. Bene, quindi, ha fatto il Governo ad annunciare che dal 1 aprile saranno previsti stanziamenti per circa 1,5 miliardi di euro per interventi finalizzati alla tutela del territorio ed al contrasto al dissesto idrogeologico.
Con la nostra mozione, dunque, il Nuovo Centrodestra impegna il Governo a valutare la possibilità di assumere tutte le iniziative opportune affinché le risorse per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio siano escluse dal saldo finanziario, rilevante ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità interno, ed a valutare la necessità di assumere tutte le iniziative per prevedere risorse destinate ad interventi di prevenzione e di manutenzione ordinaria del territorio.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Mariastella Bianchi, che illustrerà anche la mozione Braga ed altri n. 1-00416, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARIASTELLA BIANCHI. Signor Presidente, tutti conosciamo già qual è la situazione drammatica del nostro Paese in termini di fragilità del territorio. L'82 per cento del totale dei comuni italiani è in una zona ad alto rischio per frane ed alluvioni; il 100 per cento del territorio in Calabria, in Molise, in Basilicata, in Umbria e in Valle d'Aosta; il 99 per cento delle Marche e della Liguria; il 98 per cento del Lazio e della Toscana, e naturalmente potremmo continuare.
L'elenco delle cause, purtroppo, lo conosciamo: l'uso dissennato del territorio, i fenomeni di spopolamento, la cronica mancanza di manutenzione del nostro territorio e di interventi di messa in sicurezza, ai quali si stanno aggiungendo eventi atmosferici eccezionali che cominciano ad essere, purtroppo, non più tanto eccezionali.
È l'impatto dei cambiamenti climatici che si fa sentire in modo drammatico. L'ultimo caso che ricordiamo tutti è quello dell'alluvione in Sardegna: 17 vittime, oltre 3 mila sfollati e danni per miliardi di euro dovuti ad una pioggia eccezionale che ha fatto cadere, in 12 ore, 400 millilitri di acqua, che naturalmente si è sommata alle tante caratteristiche di fragilità e di cattivo uso del territorio e ha reso quell'evento un evento di proporzioni assolutamente drammatiche.
Per noi del Partito Democratico, la strada da scegliere è quella della prevenzione. Noi consideriamo che la prima vera grande opera pubblica di cui il Paese ha bisogno è un piano nazionale di messa in sicurezza del territorio. Certamente, ci poniamo l'obiettivo di semplificare la governance e di attrezzare meglio e rafforzare il fondo unico per le calamità, che ancora purtroppo – lo abbiamo visto nel caso della Sardegna, da ultimo, ma anche in altri casi – non riesce a far fronte alle drammatiche esigenze delle popolazioni colpite. Ma dobbiamo saper scegliere con determinazione la strada della prevenzione e, quindi, dell'esclusione dal Patto di stabilità delle spese che si realizzano per investimenti.
Siamo assolutamente d'accordo che, quando si ragiona di golden rule – cioè, esattamente di questo, ossia dell'esclusione delle spese per investimento dal Patto di stabilità interno –, in quegli investimenti debbano essere considerati anche quelli necessari alla messa in sicurezza del territorio e ad un vero piano nazionale di prevenzione dei danni da frana e da alluvioni. Però, non ci sfugge neanche che vi è un problema enorme di capacità di spesa in questo Paese. Negli ultimi quattro anni sono stati stanziati 2,1 miliardi di euro tra risorse statali, risorse regionali e risorse del Ministero dell'ambiente e sono stati previsti 1.700 interventi per la messa in sicurezza del territorio. Di questi, però, 1,6 miliardi di euro risultano non spesi, 1.100 cantieri non sono partiti, abbiamo solo il 4 per cento delle opere che sono giunte al termine e solo il 18 per cento in corso.
Noi non possiamo assistere a questa potenziale possibilità di spendere risorse alla quale non corrispondono effettivi interventi senza interrogarci su come diventare più efficaci nel farlo.Pag. 15
E per noi del Partito Democratico è molto importante la decisione che ha assunto il Primo Ministro Matteo Renzi di istituire una struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio, in modo da avviare al più presto i cantieri necessari ed i cantieri che sono stati programmati e non attivati e poter spendere effettivamente questi 1,6 miliardi che sono stati stanziati, ma non ancora efficacemente spesi.
E, ancora sull'efficacia della spesa, faccio riferimento ad un altro capitolo molto importante, che l'Italia sfrutta purtroppo non in maniera adeguata, che è quello relativo ai fondi strutturali ed al corrispondente Fondo per lo sviluppo e la coesione. Anche qui registriamo delle capacità di spesa che sono assolutamente inferiori rispetto agli stanziamenti. E stiamo chiedendo, come Partito Democratico, che ci sia una particolare attenzione, nell'ambito degli obiettivi previsti per l'assegnazione dei fondi strutturali, a quelli dedicati all'ambiente (obiettivo 6), ma anche a quelli dedicati alla messa in sicurezza del territorio (obiettivo 5) ed a quelli dedicati alla trasformazione dell'economia verso un'economia a basso impatto di carbonio (obiettivo 4). È molto importante che nei fondi strutturali sia ben definita la capacità di spesa sull'obiettivo 5, e quindi i corrispondenti fondi previsti nel Fondo per lo sviluppo e la coesione, e anche che si riesca a spenderli in modo efficace, su programmi di spesa e di investimento che abbiano una dimensione effettivamente utile ad affrontare i problemi del Paese e a dare anche una possibile chiave di sviluppo importante.
Non dimentichiamoci che agire per la prevenzione del territorio significa far partire dei cantieri e significa creare occupazione sul territorio, a vantaggio di piccole e medie imprese ed a vantaggio della sicurezza della collettività.
Infine, signor Presidente, concludo su quest'annotazione. Quando noi ragioniamo sulla prevenzione – perché di questo dobbiamo ragionare –, naturalmente si tratta di attenuare l'impatto delle comunità colpite, di attenuare la gravità della crisi e, quindi, di ragionare su come si rafforza la possibilità d'intervento della Protezione civile e su come si rafforza il fondo per le calamità; dobbiamo ragionare di prevenzione e, quindi, di Patto di stabilità, fondi strutturali e fondi per lo sviluppo e la coesione.
Ma la vera prevenzione, quando cominciamo a ragionare di sicurezza del nostro territorio, comincia ad essere sempre di più la prevenzione dei cambiamenti climatici. Facevo riferimento prima all'impatto di eventi eccezionali ed estremi, come quello della Sardegna. Noi dobbiamo certamente rafforzare l'impegno in termini di politiche di adattamento ai cambiamenti climatici e, quindi, rafforzare la messa in sicurezza del territorio e anche cominciare ad interrogarci davvero in modo approfondito sul nostro modello di sviluppo e su quali misure in termini di mitigazione dei cambiamenti climatici, come Italia, intendiamo adottare.
E, di nuovo, ci rassicura molto, come Partito Democratico, l'impegno, che il Presidente del Consiglio Renzi ha ribadito, di mettere al centro del semestre europeo il rapporto tra clima, energia e competitività, in raccordo con Expo 2015. La messa in sicurezza del territorio, la ridefinizione di un'economia che sia rispettosa dell'ambiente, la lotta vera, seria, ai cambiamenti climatici sono per noi del Partito Democratico delle priorità nella nostra azione politica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Franco Bordo, che illustrerà anche la mozione Zan ed altri n. 1-00417, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FRANCO BORDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, signora sottosegretaria, il 68,9 per cento dei comuni italiani è a forte rischio idrogeologico, 6 milioni di cittadini vivono in aree del Paese considerate molto rischiose e 22 milioni di cittadini in aree mediamente rischiose; sono 6.251 le scuole e 547 gli ospedali che sorgono su terreni non sicuri.
Ogni giorno, in Italia, vengono edificati 668 ettari di terra, un'area equivalente a Pag. 1696 campi di calcio. Nel corso di dieci anni, l'edilizia ha consumato 244 mila ettari di terreno, il più delle volte sottratti all'agricoltura, che è il vero presidio del territorio, dei beni pubblici ambientali e paesaggistici.
Il piano contro il dissesto idrogeologico del 2010 prospettava 1.365 azioni, per una spesa di 4,1 miliardi di euro; nel 2011 si è saliti a 2.519 azioni, per 5,7 miliardi di euro; nel 2012 a 2.949 azioni, per 6,8 miliardi di euro; nel 2013 a 3.342 azioni, per 7,4 miliardi di euro e l'aggiornamento al corrente anno porta la cifra di 3.383 interventi, per un valore di quasi 8 miliardi di euro.
Dal recente rapporto dell'Associazione nazionale consorzi di bonifica si evince che, dal 2002 al 2012, sono stati stanziati 2,98 miliardi di euro a seguito di dichiarazioni di stato di calamità. Sempre dal medesimo rapporto si stigmatizza che dei due miliardi di euro previsti dal piano contro il dissesto idrogeologico del 2010, riconfermati negli anni seguenti, signori sottosegretari, si è speso appena il 4 per cento, che è l'equivalente dei compensi e dei costi delle gestioni commissariali. Cioè, oltre all'enorme ritardo accumulato nell'affrontare un fenomeno grave e devastante per le vite delle persone e per le economie dei territori, si aggiunge la vergognosa beffa del mancato utilizzo di fondi disponibili.
È opportuno ricordare che, nell'ambito degli interventi contro il dissesto idrogeologico, e proprio nel tentativo di accelerare la spendibilità delle poche risorse assegnate alla difesa del territorio, la legge di stabilità per il 2014 ha fissato una road map di procedure e scadenze per verificare progetti per la difesa del suolo cantierabili o messi in atto dai soggetti responsabili degli interventi. Tra l'altro, si prevede che, entro il 30 aprile del 2014, i soggetti titolari delle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto devono finalizzare le loro risorse disponibili agli interventi immediatamente cantierabili e sono tenuti a presentare una specifica informativa al CIPE indicando il relativo cronoprogramma e lo stato di attuazione degli interventi già avviati.
Da troppi anni si continua a discutere della fragilità del nostro territorio e della necessità di intervenire per la sua messa in sicurezza, ma gli interventi di prevenzione sono praticamente inesistenti, nonostante sia dimostrato che prevenire ha un costo di molto inferiore rispetto al ricostruire e al riparare i danni, senza contare le centinaia di vittime che verrebbero risparmiate.
La spesa per la prevenzione è stata in media di 250 milioni l'anno: cioè, per ogni milione speso per prevenire, ne abbiamo spesi 10 per riparare i danni della mancata prevenzione. Troppo spesso, come dimostrano molte delle calamità naturali che hanno colpito il nostro Paese, gestire le emergenze, piuttosto che investire nelle opere di prevenzione per la difesa del suolo, ha rappresentato e rappresenta un «affare», dal punto di vista economico e politico.
Se certamente vanno ripensati il nostro modo di costruire, di canalizzare le acque, di gestire i fiumi e le coste, nonché i sistemi urbani, oggi è ormai improcrastinabile un adeguato impegno finanziario del Governo al fine di poter finalmente finanziare, con adeguate risorse, un piano pluriennale di interventi per la difesa del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico nel nostro Paese, consentendo contestualmente la loro effettiva spendibilità, troppo spesso impedita a causa dell'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno da parte delle regioni e degli enti locali.
Peraltro, il taglio delle risorse alle regioni e agli enti locali, sommato all'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno a cui sono tenuti, rende molto difficile per essi poter finanziare e realizzare anche i piani di manutenzione esistenti.
È, quindi, indispensabile che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del Patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno Pag. 17per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori, interventi che – è bene ricordare – significano apertura di cantieri diffusi sul territorio e, quindi, importanti ricadute occupazionali.
L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è infatti distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltre che un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della grande infrastruttura.
Partendo da queste considerazioni, vorrei aggiungere un'ulteriore chiave di lettura che può contribuire a dare risposte immediate a questo grave problema, che attraversa il Paese intero: l'agricoltura. Dobbiamo considerare l'agricoltura un elemento cardine, multifunzionale nello sviluppo economico sostenibile delle comunità locali, del Paese e dell'Europa, nella salvaguardia della cultura materiale dei luoghi e delle salute umana, nella conservazione attiva della biodiversità e del territorio, nella lotta per la cura del paesaggio e della sicurezza idrogeologica nonché per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
Dobbiamo considerare l'agricoltore come un attore centrale della nostra società, che può lavorare per contribuire all'innovazione, alla diffusione di una cultura dell'alimentazione di qualità e alla tutela dell'ambiente. Su queste basi abbiamo bisogno di sostenere un modello agricolo di qualità, promuovendo quelle buone pratiche aziendali che coniugano la storia e la cultura enogastronomica dei territori con l'investimento nell'innovazione tecnologica.
Questo è un passaggio imprescindibile per sostenere il reddito agricolo e per riconsegnare al nostro agricoltore un ruolo di curatore del bene primario del suo lavoro, che è un bene pubblico, e cioè la terra, la nostra terra. Con la promozione di modelli produttivi più sostenibili, più giusti ed equi possiamo contribuire a migliorare e a cambiare il sistema nei suoi aspetti fondamentali, un sistema che a tutt'oggi nel suo complesso non riduce, anzi in alcuni casi addirittura aumenta l'uso di combustibili fossili, di concimi, fitofarmaci e antiparassitari, e persiste nell'attuare un ciclo di produzione troppo lungo, perpetuando ancora troppi sprechi di quantità di cibo.
Nel contempo si continuano a consumare suolo e risorse idriche, a perdere terreno agricolo e fertilità dei suoli, con un incremento della disoccupazione giovanile nel settore, sintomo di una grave difficoltà di accesso alla terra. I dati dell'ultimo censimento Istat sull'agricoltura danno un quadro poco rassicurante: evidenziano una pesante perdita della superficie agricola utilizzata nel nostro Paese pari a 300 mila ettari e una più pesante perdita di superficie aziendale totale pari a un milione e mezzo di ettari, con una riduzione del numero di aziende di circa un terzo negli ultimi dieci anni. Si tratta di numeri che non denunciano solo una radicale destrutturazione del settore primario, ma che puntano il dito verso un vero e proprio abbandono delle zone rurali, verso una erosione di terre fertili per un mal concepito uso del suolo e, soprattutto, verso una politica incapace di investire nell'agricoltura e nella preziosa opera di presidio del territorio che le aziende agricole offrono alla collettività. Sul fronte dell'abbandono del territorio la situazione è particolarmente grave in regioni come la Liguria, la Valle d'Aosta e il Friuli Venezia Giulia – caratterizzate da una grande vulnerabilità idrogeologica, dove la presenza di tessuto agricolo è fondamentale – ma che negli ultimi dieci anni hanno visto rispettivamente una contrazione delle aziende del 46, del 41 e del 33 per cento.
Voglio dire che la difesa del suolo, e di quello agricolo in particolare, la valorizzazione delle produzioni di qualità, lo stimolo alla crescita di occupazione nuova e buona, il rafforzamento di un sistema agricolo ed alimentare sostenibile, solo per fare alcuni esempi, sono temi strettamente legati tra loro e che necessitano una Pag. 18elaborazione di veri e propri progetti di carattere nazionale che vedano protagonisti tutti i soggetti interessati.
Per attivare delle vere politiche a difesa e valorizzazione dell'ambiente vanno dunque favorite e sostenute nei futuri piani di sviluppo rurale pratiche agricole virtuose sotto il profilo ambientale ed individuata la possibilità di remunerare i servizi ambientali dell'agricoltura, a cominciare dalla tutela della biodiversità, dal risparmio idrico, dalla piantumazione di nuovi alberi, dalla cura delle aree boschive, dalla manutenzione degli argini dei nostri corsi d'acqua.
Voglio far presente che con la nostra mozione, tra le altre proposte, impegniamo il Governo ad attivarsi nel monitoraggio di tutte quelle aree agricole, di proprietà pubblica, che risultino essere dismesse, abbandonate, o comunque aree non più utilizzate per finalità produttive da riconvertire all'agricoltura sostenibile, prevedendo un apposito programma nazionale, che prediliga l'affidamento e l'affitto delle aree in questione ai giovani agricoltori e organizzazioni, associazioni, imprenditori, che operano nel campo dell'agricoltura sociale.
Attuare questa scelta, che non comporta oneri per le finanze pubbliche, può dare un contributo significativo all'attività di contrasto al dissesto idrogeologico dei nostri territori e, contemporaneamente, imprimere un impulso al settore agroalimentare nazionale e consegnare una prospettiva di lavoro a nuove generazioni.
In conclusione, per affrontare seriamente il fenomeno del dissesto sul nostro territorio, Sinistra Ecologia Libertà propone che la Camera dei deputati impegni il Governo ad attivarsi in sede europea affinché vengano scorporati dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del Patto di stabilità e crescita le risorse stanziate per il contrasto al dissesto idrogeologico; a prevedere comunque, già in sede di predisposizione del Documento di economia e finanza 2014, che l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato da parte di regioni ed enti locali per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità interno, dando eventualmente priorità agli interventi sulle aree a più elevato rischio; ad avviare conseguentemente un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale principale grande opera infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio stesso, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale; infine, a prevedere l'esclusione automatica dal Patto di stabilità interno, senza la necessaria approvazione di una specifica norma di legge, come attualmente previsto, delle spese sostenute dai comuni a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi, in relazione a eventi calamitosi in seguito ai quali è stato deliberato lo stato di emergenza.

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Segoni ed altri n. 1-00419 che, vertendo su materia analoga alle mozioni presentate, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni). È iscritto a parlare il deputato Gigli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00418. Ne ha facoltà.

GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, senza ripercorrere molte delle condivisibili cose che sono state già dette, penso che valga la pena ricordare che siamo qui oggi per la terza volta in meno di un anno ad occuparci di problemi che in qualche modo hanno a che fare con il dissesto idrogeologico del nostro Paese. Se a questo aggiungiamo quello che è stato detto e discusso in sede di approvazione della legge di stabilità, sono almeno quattro volte, e tuttavia il tema non cessa di essere attuale. Sono oltre l'80 per cento infatti i comuni italiani che sono interessati da una situazione allarmante di dissesto idrogeologico sul proprio territorio e sono circa sei milioni le persone che vivono in zone Pag. 19ad alto rischio, un numero che si dilata a ben 22 milioni se includiamo anche le popolazioni che vivono in zone a medio rischio. Questo in parte è dovuto certamente alla conformazione del nostro territorio, basti pensare che il 44 per cento della superficie nazionale viene valutata come zona ad elevato rischio sismico, ma certamente non è frutto soltanto delle caratteristiche del territorio né degli eventi atmosferici avversi né della malasorte o della fatalità. A gettarci nella situazione drammatica in cui viviamo hanno contribuito infatti, certamente sì, i dati geologici o climatici, ma anche uno sconsiderato depauperamento del territorio prodotto dalla già richiamata urbanizzazione selvaggia e dal consumo del suolo che, per una popolazione sostanzialmente stabile, continua invece a «mangiare» e a erodere territorio agricolo, continua a impedire l'attività di imprese agricole e continua a creare strutture delle quali probabilmente nessuno ha bisogno e che non trovano nemmeno la giustificazione di essere un volano economico per l'edilizia nazionale; lo stesso volano potrebbe infatti realizzarsi rimettendo in sesto i centri storici e recuperando il patrimonio architettonico in disuso.
Ma, oltre all'urbanizzazione selvaggia, come dicevo, abbiamo anche altri fattori che hanno contribuito al dissesto idrogeologico, e a me piace ricordare – non è la prima volta che lo faccio in quest'Aula – tutta quella dissennata politica che ha finito per portare all'abbandono della montagna.
Una politica che fa della montagna italiana, in gran parte, una zona di povertà, cosa che non avviene in Paesi vicini. Io vivo in Friuli e la montagna austriaca, a distanza di pochi chilometri, appena passato il crinale delle Alpi, è certamente una montagna popolata, curata e ad alto valore economico: esattamente il contrario di quello che avviene nel nostro Paese. A questo ha contribuito certamente una politica non accorta, che ha finito per danneggiare le popolazioni di questi paesi, sottraendo loro risorse come scuole, come tribunali, come uffici postali, ovviamente, per le mutate condizioni ed esigenze della difesa, anche come caserme. Tutto questo ha finito per portare, piano piano, all'abbandono della montagna, anche perché sono arrivati in ritardo gli interventi che riguardano, ad esempio, la banda larga e la possibilità di lavorare a domicilio. Tutto questo, voi direte, cosa c'entra con il dissesto idrogeologico ? C'entra molto, perché la montagna spopolata significa mancata manutenzione degli argini, degli alvei dei torrenti, delle strade, dei supporti murari alle stesse. Basta, a quel punto, poco, basta un debole terremoto, basta un evento atmosferico particolare, per creare esigenze talora anche drammatiche.
In tema di dati, vorrei anche segnalare un'altra cosa, come cause: la mancata manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti idrici, la non attenzione ai bacini di decantazione o di deflusso di particolari situazioni che possono determinarsi dal punto di vista dell'abbondanza delle precipitazioni.
Se tutto questo è vero, allora noi dobbiamo tenere presente che tutto questo ha un costo. Basti pensare che, dall'inizio del secolo, in Italia sono stati 12.600 i morti e 700 mila i dispersi, i feriti, gli sfollati, in ragione di gravi calamità naturali. Abbiamo già ascoltato, mi pare nella relazione dell'onorevole Palese, come il costo complessivo stimato dal primo rapporto Ance-Cresme dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, sia stato pari a 242 e passa miliardi di euro: quasi 3,5 miliardi di euro all'anno, dei quali 3/4 interessano i terremoti, mentre il restante 25 per cento è da addebitare al dissesto idrogeologico.
Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in 1,2 miliardi di euro all'anno il fabbisogno per 20 anni di un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio; un piano, tuttavia, nemmeno di troppa ambiziosa portata, visto che ammonterebbero a 40 miliardi di euro i fondi necessari per mettere in atto gli interventi previsti dai piani regionali per l'assetto idrogeologico.Pag. 20
Dal 1991 al 2011 risultano finanziati interventi per circa 10 miliardi di euro: si tratta di meno di 500 milioni all'anno. E a farci riflettere sul significato di questa scarsa voglia di investire e sulle conseguenze che essa determina, basti pensare che, nello stesso periodo, negli stessi 20 anni, sono stati spesi ben 22 miliardi per far fronte alle sole emergenze, e non per sistemare il territorio. Quindi, la mancata cura del territorio, il mancato intervento per prevenire il dissesto idrogeologico, ci ha portato a spendere in emergenze molto di più di quello che la sistemazione del territorio stesso avrebbe richiesto.
E poi – è stato già richiamato poc'anzi dalla collega del PD – abbiamo visto anche un ritardo nell'esecuzione di opere pure finanziate; opere che, peraltro, non sono enormi nella loro potenzialità di spesa. Basti pensare che abbiamo a che fare, per quanto riguarda la sistemazione e la prevenzione del dissesto idrogeologico, con un mercato di opere pubbliche che ha a che fare solo con il 5 per cento del numero degli interventi e il 2 per cento degli importi di gara.
Quindi, stiamo parlando, appunto, di una spesa che, in qualche modo, è ancora marginale e, tuttavia, fa fatica a realizzarsi. Già lo scorso giugno 2013 il Governo si era impegnato, con l'accoglimento delle mozioni presentate dai gruppi parlamentari, ad attuare iniziative finalizzate a prevenire i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico. Nel novembre 2012, la Commissione europea ha sollecitato la corretta applicazione della direttiva del Parlamento e del Consiglio del 2007 relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, secondo la quale tutti gli Stati membri devono svolgere, per ciascun distretto idrografico, una valutazione preliminare del rischio di alluvioni, compresa una descrizione delle alluvioni significative avvenute in passato, qualora si ipotizzi che, in futuro, da eventi dello stesso tipo possano derivare notevoli conseguenze negative. Le risorse per la prevenzione del dissesto idrogeologico potrebbero rinvenirsi anche nel nuovo ciclo di programmazione europea 2014-2020 e, a tale fine, la legge di stabilità per il 2014 ha previsto che il Ministro per la coesione territoriale, di intesa con i Ministri interessati, destini una quota parte delle risorse del fondo per le politiche di coesione al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti di interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali. Sempre la legge di stabilità per il 2014 ha destinato alle misure di riduzione del rischio, tutela e recupero degli ecosistemi e delle biodiversità le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico per circa un miliardo e mezzo di euro. Ogni intervento ed ogni piano di azione per la prevenzione del dissesto idrogeologico tuttavia è destinato a fallire senza il pieno coinvolgimento degli enti locali, sia per la diretta conoscenza del territorio, sia perché essi sono coloro che vengono a trovarsi in prima linea in caso di evento calamitoso. Intervenire sul territorio, come è stato poco fa richiamato, significa, non solo evitare, come dicevo prima, di trovarsi poi a spendere di più per le emergenze, ma significa anche ridare ossigeno ad un'economia diffusa, ad un'economia di tutti i comuni – perché abbiamo visto che sono l'80 per cento i comuni italiani interessati – con possibilità di ricadute non indifferenti anche dal punto di vista occupazionale.
È per questo che il gruppo dei Popolari per l'Italia ha presentato questa mozione, che ci auguriamo voglia essere accolta dal Governo, perché adotti iniziative, anche di natura economica, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dalla legislazione vigente, innanzitutto finalizzate alla predisposizione di un piano straordinario di manutenzione dei versanti montani. Vorremmo, poi, che il Governo si impegnasse a verificare, a oltre quattro anni dall'avvio del piano nazionale straordinario per la mitigazione del rischio idrogeologico, a che punto siamo, cioè qual è lo stato di attuazione degli interventi previsti e destinati agli oltre mille cantieri di messa in sicurezza del territorio. E vorremmo, però, anche che venisse promossa Pag. 21una rivisitazione della normativa vigente in materia di controlli al fine di prevedere l'introduzione di meccanismi sanzionatori in caso di inadempienze accertate da parte delle pubbliche amministrazioni. Vorremmo anche che le risorse – abbiamo detto di un miliardo e mezzo di euro – stanziate dalla legge di stabilità per il 2014, disponibili e già autorizzate in termini di cassa, fossero rapidamente destinate allo scopo, verificando la possibilità anche dell'impiego in tempi rapidi delle ulteriori risorse derivanti dal nuovo ciclo di programmazione europea 2014-2020. E, approfittando del semestre a guida italiana dell'Unione europea, chiediamo al Governo anche di adoperarsi, nelle sedi competenti in Europa, affinché si affronti al più presto il delicato problema della prevenzione e della difesa del territorio, anche eventualmente sollecitando l'adozione di provvedimenti incisivi che consentano soluzioni condivise e comuni a partire, come già è stato richiamato, dall'esclusione dal computo nel saldo finanziario utile ai fini del rispetto del Patto di stabilità interno di quelle risorse che verranno destinate alla gestione del territorio e al monitoraggio delle situazioni a rischio idrogeologico e che eventualmente prevedono anche la costituzione di un fondo per la bonifica degli alvei dei fiumi e dei loro affluenti, nonché la costituzione di un centro europeo di raccolta dati.
Chiediamo, infine, che il Governo voglia valutare l'opportunità di vincolare una quota del bilancio statale alla costituzione di un fondo di garanzia per il lucro cessante delle attività economiche esistenti sul territorio oggetto di evento sismico o idrogeologico. La scorsa settimana abbiamo dato corso a tutta una serie di mozioni, che sono state approvate, che impegnano il Governo a mettere sul piatto risorse per le popolazioni del Veneto e dell'Emilia Romagna interessate dai recenti eventi alluvionali e dalle precipitazioni nevose che si sono determinate tra il 30 gennaio e il 18 febbraio. Vorremmo che il Governo, alla fine di tutto questo, potesse dare una qualche stabilità affinché non ci sia più bisogno di reintervenire ogni volta con provvedimenti ad hoc ma che, mentre va in porto un'azione pluriennale con finanziamenti certi nel corso degli anni per il recupero del territorio e per la prevenzione del dissesto idrogeologico, siano già accantonate di volta in volta le riserve per poter provvedere all'aiuto delle comunità colpite anche attraverso il sostegno al lucro cessante delle attività economiche interessate dagli eventi calamitosi. Grazie, mi auguro che il Governo voglia accogliere queste nostre richieste.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Terzoni, che illustrerà anche la mozione Segoni ed altri n. 1-00419, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

PATRIZIA TERZONI. Signor Presidente, sottosegretaria, con questa mozione il Parlamento ha l'opportunità di stimolare, per l'ennesima volta, il Governo ad intraprendere finalmente la politica del fare.
Quello del dissesto idrogeologico è un tema discusso in tutte le campagne elettorali e inserito in tutti i discorsi di insediamento dei nuovi Governi. Lo abbiamo sentito da Letta, dall'ex Ministro dell'ambiente, Orlando, ma lo abbiamo sentito anche dal nuovo Ministro Galletti e dal nuovo Presidente del Consiglio Renzi. È tema di dibattito ogni qualvolta in Italia ci troviamo a dover affrontare calamità naturali cioè praticamente durante tutto l'anno. È ormai accertato il dato economico secondo il quale interventi di prevenzione e sistemazione del territorio graverebbero sulle casse dello Stato molto meno rispetto agli interventi eseguiti in fase di emergenza. Non mi soffermerò su dati che ormai conosciamo a memoria per averli ascoltati proprio in quest'aula ormai troppe volte ed in un solo anno di legislatura. E proprio parlando di legislatura, in questa in corso, il MoVimento 5 Stelle ha stimolato il lavoro delle Commissioni e dell'Aula per arrivare ad intraprendere delle iniziative concrete volte a risolvere uno dei problemi maggiormente sentiti a livello nazionale. Il problema è molto sentito sui territori dove i sindaci chiedono Pag. 22a gran voce che siano dati loro gli strumenti per poter intervenire. Gli strumenti ora ci sono. Il Parlamento oggi ha la possibilità di nuovo di indicare al Governo la strada da seguire.
In questo primo anno abbiamo prodotto mozioni di livello nazionale per escludere dal Patto di stabilità le spese sostenute dagli enti territoriali per il dissesto idrogeologico. Ne cito alcune: le mozioni n. 1-00114, n. 1-00017, n. 1-00111, n. 1-00112, n. 1-00116, n. 1-00117 e 1-00124 tutte già approvate ed a larghissima maggioranza e che il Governo deve solo attuare. Mozioni che contengono dispositivi molto articolati ma quasi tutte accomunate dall'impegno di escludere dal Patto di stabilità le spese sostenute dagli enti territoriali per il dissesto idrogeologico.
A tali mozioni, che affrontano il problema del rischio idrogeologico in chiave nazionale a seguito di eventi calamitosi di particolare entità, fa seguito una serie di mozioni, come ad esempio la n. 1-00263, riguardante l'alluvione in Sardegna, e la 1-00367, inerente l'alluvione che ha colpito il Veneto e l'Emilia Romagna, in cui vengono formulati svariati impegni tra cui, di nuovo, di rallentare il Patto di stabilità per opere di contrasto al dissesto idrogeologico.
Il 2013 è stato anche l'anno in cui è ricorso il cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont ed in questa occasione è stata approvata, a firma di tutti i partiti, in Commissione ambiente la risoluzione n. 7-00111 che conteneva numerosi impegni fra cui l'esclusione, di nuovo, dal Patto di stabilità, lo stanziamento di fondi cospicui e certi, l'adozione di programmi anche in ambito forestale per la mitigazione del rischio idrogeologico.
A livello nazionale esistono progetti come quello dell'IFFI (Inventario fenomeni franosi italiani) che, se finanziati a dovere, potrebbero diventare una buona base di partenza per programmare, in maniera organica, gli interventi necessari su tutto il territorio nazionale. Far mancare questi finanziamenti significherebbe sprecare anni di lavoro e opportunità.
Oltre agli atti di indirizzo, sono state depositate anche numerose proposte di legge finalizzate a sbloccare fondi per gli interventi sul territorio e per regolamentare un settore spesso preda di speculazioni e approssimazione. Il Governo può prenderle, farle proprie, copiarle e metterle in pratica !
Ne elenco solo alcune così che il Governo qui presente possa prendere appunti. La proposta di legge di iniziativa parlamentare A.C. 1233; «Disposizioni concernenti l'esclusione delle spese per la prevenzione e la riduzione del rischio idrogeologico e sismico, effettuate dagli enti pubblici territoriali, dal saldo finanziario rilevante ai fini del Patto di stabilità interno». Poi abbiamo la proposta di legge A.C. 1578: «Agevolazioni fiscali per la realizzazione di interventi volti alla riduzione del rischio idrogeologico e sismico» e la proposta A.C. 2209: «Disposizioni concernenti l'applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica nelle opere pubbliche» ed ancora la proposta di legge A.C. 1533: «Interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche» e la proposta di legge A.C. 1952: «Introduzione dell'articolo 62-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernente l'istituzione degli uffici geologici territoriali di zona per la mitigazione del dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali». Quindi, gli strumenti ci sono. Ora vorremmo che venisse dimostrata anche la volontà politica di procedere in base alle indicazioni che non solo il MoVimento ha voluto esprimere. Siamo consapevoli che quello della sistemazione del territorio è un processo che richiederà tempo, ma siamo altrettanto consapevoli che non è più possibile rimandare la data in cui questi interventi prenderanno inizio. In ballo c’è la sicurezza dei cittadini e l'opportunità di creare numerosi posti di lavoro. Quello della sistemazione in ottica di prevenzione del rischio idrogeologico, insieme a quello dell'efficientamento energetico degli edifici, potrebbe diventare il più grande cantiere a cielo aperto d'Europa. Proprio dall'Europa, grazie ai fondi Pag. 23previsti per il periodo 2014-2020, potrebbe arrivare un ulteriore stimolo; anche per questo, abbiamo il dovere di farci trovare pronti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Busto, che però non vedo in Aula.
È iscritto a parlare il deputato De Rosa. Ne ha facoltà.

MASSIMO FELICE DE ROSA. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, difendere il suolo dalle aggressioni indiscriminate significa difendere una risorsa anche economica che è strategica per l'Italia: l'ambiente, il paesaggio e le bellezze naturali. Difendere il suolo significa anche proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto idrogeologico che spesso ha conseguenze gravissime anche in termini di perdita di vite umane a causa dell'uso dissennato del territorio.
Io oggi, qui, non voglio mettermi a parlare, come al solito, di numeri che conosciamo benissimo, che conosciamo da anni e che però non hanno portato, evidentemente, a niente. Volevo più che altro cercare di ragionare, appunto, sulle cause tecniche e le cause reali che hanno portato ad arrivare a questa mozione, in questo momento. Noi abbiamo un andamento del consumo di suolo in Italia che, dal secondo dopoguerra, non è mai calato, abbiamo circa 70 ettari al giorno, con oscillazioni marginali. Si tratta di un consumo di suolo pari a circa 8 metri quadrati al secondo che continua a coprire il nostro territorio con asfalto e cemento, edifici e capannoni, servizi e strade, a causa dell'espansione di aree urbane, spesso a bassa densità, di infrastrutture, di insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, e con la conseguente perdita di aree aperte naturali o agricole.
I dati mostrano a livello nazionale un suolo ormai perso che è passato dal 2,9 per cento degli anni Cinquanta al 7,3 per cento del 2012, e non è poco. Si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai quasi 22 mila chilometri quadrati del nostro territorio. Dobbiamo ricordarci che il suolo non solo fornisce da sempre all'uomo la base per la produzione agricola e zootecnica, per lo sviluppo urbano e degli insediamenti produttivi, per la mobilità di merci e persone, ma il suolo è anche la dimora e il rifugio di una moltitudine di forme viventi e le sue caratteristiche e funzioni sono essenziali per la nostra sopravvivenza sul pianeta.
È necessaria ed impellente una regolamentazione più stringente del consumo di suolo attraverso politiche sia dirette, di interdizione e di indirizzo, che indirette per la riqualificazione dei centri urbani e il riuso del patrimonio edilizio esistente.
Abbiamo in discussione qui alla Camera varie proposte di legge e un disegno di legge del Governo sul tema del consumo di suolo. Sarebbe importantissimo riuscire ad approvare tale provvedimento prima dell'inizio della Presidenza italiana del semestre europeo.
Andiamo a vedere anche sul fattore lavoro che incidenza ha, perché la tutela del suolo è una grande occasione, come diceva anche la mia collega, per lo sviluppo e la crescita dell'occupazione nel nostro Paese, attraverso progetti di riqualificazione del patrimonio territoriale pubblico e privato.
Perché insisto sul consumo di suolo e la tutela del territorio ? Perché l'impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, in quanto comporta un rischio accresciuto di inondazioni, alluvioni, frane, smottamenti; contribuisce al riscaldamento globale, minaccia la biodiversità, suscita particolare preoccupazione allorché vengono ad essere ricoperti terreni agricoli fertili e aree naturali e seminaturali; contribuisce, insieme alla diffusione urbana, alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale. Ma il consumo di suolo contribuisce anche ai cambiamenti climatici, perché si può essere portati erroneamente a credere che l'impermeabilizzazione blocchi il rilascio di carbonio in atmosfera come CO2 e che, quindi, possa dare anche un contributo positivo nei confronti dei cambiamenti climatici. In realtà, nel corso di attività edilizie, rimuovendo Pag. 24lo strato superficiale del terreno, dove è concentrata la maggior parte della sostanza organica, parte dello stock di carbonio organico viene rilasciata come gas serra a causa della mineralizzazione, vanificando l'azione millenaria – ripeto: millenaria – dei processi naturali, responsabili della formazione del suolo. Tali interventi antropici spesso implicano anche una più o meno intensa deforestazione, andando così a diminuire significativamente gli stock di carbonio presenti nella vegetazione, senza considerare il ruolo fondamentale che hanno gli spazi verdi nell'assorbimento di CO2 e nella riduzione dell'impronta di carbonio da parte dell'uomo.
Infine, la capacità del suolo di immagazzinare acqua e l'assorbimento di pioggia nel suolo viene ridotta e, in molti casi, impedita completamente, con una serie di effetti sul ciclo idrogeologico. Le precipitazioni che si infiltrano nei suoli, infatti, fanno aumentare in misura significativa il tempo necessario per raggiungere i fiumi, riducendo il flusso di picco e quindi il rischio di alluvione. Una maggiore infiltrazione idrica riduce la dipendenza da depositi artificiali per la raccolta dei carichi di picco delle precipitazioni e migliora, di conseguenza, anche la qualità delle acque.
La trasformazione del suolo agricolo in cemento, inoltre, produce impatti anche sull'agricoltura, come è naturale. Queste sono le cause tecniche, perché le cause reali credo siano altre. Noi abbiamo un modello di sviluppo sbagliato a monte che mira solo alla crescita infinita su un pianeta che è finito. Nessuna politica è stata attenta realmente ai cambiamenti climatici. Siamo stati alla Conferenza delle Nazioni Unite, a Varsavia, pochi mesi fa, e l'attenzione dell'Italia su questa Conferenza e sulle decisioni che si prendevano a livello globale sui cambiamenti climatici non ci hanno toccato minimamente, come Italia.
In merito ai controlli, sembra che i controlli non esistano, e qui chiedo al sottosegretrario una certa attenzione, perché non è possibile che noi scopriamo solamente quando c’è il dramma che ci sono delle edificazioni all'interno dell'alveo dei fiumi o nelle zone di esondazione, perché le cartine sono disponibili e gli enti le hanno prodotte per tempo. Chi è responsabile in questi casi ? Ci deve essere un responsabile, ci deve essere un amministratore che ha dato l'ok per la costruzione e deve essere responsabilizzato. Inoltre, ci interroghiamo anche sull'abusivismo; abbiamo visto questo stesso Governo dare l'ok a decreti che permettevano abusi edilizi; e allora ci chiediamo perché siamo qua a discutere di dissesto idrogeologico. Crediamo che, come minimo, ci sia dell'ipocrisia.
E concludo dicendo: cosa si è fatto negli ultimi vent'anni ? Perché, appunto, negli ultimi vent'anni abbiamo visto decreti sull'abusivismo ma non abbiamo visto niente – niente ! – che sia stato fatto concretamente sul consumo di suolo; dove eravate non si sa.
Concludo realmente. Da quando siamo qui, abbiamo parlato spesso di dissesto idrogeologico, di consumo di suolo, pochissimo di cambiamenti climatici, mi chiedo a cosa sia servito: risoluzioni, mozioni, discussioni infinite. Le soluzioni il Governo le ha già in pancia, ma probabilmente preferisce ancora una volta distrarre e discutere all'infinito. Che il Governo prenda le proposte già depositate e le metta in pratica.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Chiedo al Governo se intenda intervenire o se si riservi di farlo successivamente.

SILVIA VELO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, lo farò successivamente, magari verificando la possibilità di addivenire ad un'unica mozione, o comunque ad una semplificazione del numero di documenti.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Pag. 25

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 1 aprile 2014, alle 9:

1. – Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 11)

2. – Seguito della discussione della proposta di legge:
FERRANTI ed altri; COSTA: Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (C. 331-927-B).
Relatori: Ferranti, per la maggioranza; Molteni, di minoranza.

3. – Seguito della discussione della proposta di legge:
BURTONE ed altri; VENDOLA ed altri; FRANCESCO SANNA ed altri; MICILLO ed altri: Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso (Approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato) (C. 204-251-328-923-B).
Relatore: Mattiello, per la maggioranza; Chiarelli, di minoranza.

4. – Seguito della discussione del disegno di legge:
Ratifica ed esecuzione del Protocollo concernente le preoccupazioni del popolo irlandese relative al Trattato di Lisbona, fatto a Bruxelles il 13 giugno 2012 (C. 1619).
Relatore: Picchi.

5. – Seguito della discussione delle mozioni Molea ed altri n. 1-00327, Lacquaniti ed altri n. 1-00388, Abrignani e Palese n. 1-00394, Schirò ed altri n. 1-00395, Allasia ed altri n. 1-00396, Prodani ed altri n. 1-00397, Benamati ed altri n. 1-00401 e Pagano ed altri n. 1-00402 concernenti iniziative a sostegno del settore del turismo.

6. – Seguito della discussione delle mozioni Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00339, Palese ed altri n. 1-00414, Piccone e Dorina Bianchi n. 1-00415, Braga ed altri n. 1-00416, Zan ed altri n. 1-00417, Gigli ed altri n. 1-00418 e Segoni ed altri n. 1-00419 concernenti iniziative per l'esclusione dai vincoli previsti dal Patto di stabilità interno delle spese volte a finanziare interventi di contrasto al dissesto idrogeologico.

La seduta termina alle 16,55.