XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 448 di lunedì 14 marzo 2011

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 12.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 10 marzo 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Baretta, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Crimi, Crosetto, D'Alema, Della Vedova, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Vito, Volontè e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: La Loggia e Carlucci; Bersani ed altri; Pelino ed altri; Vignali ed altri; Jannone e Carlucci; Vignali ed altri; Borghesi ed altri: Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese (A.C. 98-1225-1284-1325-2680-2754-3191-A) (ore 12,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge La Loggia e Carlucci; Bersani ed altri; Pelino ed altri; Vignali ed altri; Jannone e Carlucci; Vignali ed altri; Borghesi ed altri: Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 98-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la X Commissione (Attività produttive) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Raisi, ha facoltà di svolgere la relazione.

ENZO RAISI, Relatore. Signor Presidente, la proposta di legge n. 2754 consta di sette capi suddivisi in diciotto articoli e stabilisce i diritti fondamentali delle imprese definendone lo status giuridico con particolare riferimento alle micro, piccole Pag. 2e medie imprese, disciplinando i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni ed attribuendo incentivi ed agevolazioni anche di carattere fiscale, anche in seguito al recepimento delle indicazioni contenute nello Small business act adottato dall'Unione europea.
Lo Small business act vuole creare in Europa le migliori condizioni per la crescita e la competitività delle piccole e medie imprese affrontandone tutti i temi: dall'accesso al credito alla semplificazione amministrativa fino alla facilitazione della loro partecipazione agli appalti pubblici. Le politiche comunitarie nazionali devono tenere in maggior conto il loro contributo alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro. In altre parole lo Small business act individua orientamenti e proposte di azioni politiche da attuare sia a livello europeo, sia all'interno degli Stati membri quale ad esempio interventi di semplificazione, di riduzione degli oneri amministrativi, di apertura di mercati allo scopo di dare un nuovo impulso alle piccole e medie imprese europee valorizzando la loro potenzialità di crescita sostenibile nel medio e lungo termine.
Ai sensi dell'articolo 1 del provvedimento al nostro esame si esprime la finalità dello stesso provvedimento: stabilire i diritti fondamentali delle imprese definendone lo status giuridico, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, recependo appunto le indicazioni contenute nello Small business act.
In particolare tali finalità consistono nel riconoscere il contributo fondamentale delle imprese alla crescita dell'occupazione e allo sviluppo economico; nel promuovere la creazione di un contesto socio-culturale ove possano operare; nel sostenere l'avvio di nuove imprese, valorizzarne il potenziale di crescita, di produttività, adeguare l'intervento pubblico nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
All'articolo 2 si definiscono i principi fondamentali dello status giuridico delle imprese tra i quali la libertà di iniziativa economica e concorrenza, sussidiarietà orizzontale, semplificazione burocratica, norme certe sulla attività di impresa, oneri procedurali relativi ad attività imprenditoriale posti a carico della pubblica amministrazione che è tenuta peraltro anche ad una maggiore trasparenza nell'ambito di un apposito provvedimento legislativo.
L'articolo 3 sancisce il principio della libertà di associazione delle imprese precisando che nessuna associazione può rivendicare l'esclusività della rappresentanza e riconoscendo quali associazioni di rappresentanza delle imprese quelle rappresentate nel sistema delle Camere di commercio.
L'articolo 4 legittima le associazioni di categoria a proporre azioni in giudizio a favore e in tutela dei propri associati.
L'articolo 5 prevede che Stato, le regioni, gli enti locali e gli enti pubblici siano tenuti a valutare gli effetti sulle imprese delle iniziative legislative regolamentari, anche mediante l'obbligo di consultazione delle parti interessate prima della presentazione delle relative proposte. In seguito a tale consultazione i risultati dovrebbero integrare la formazione delle proposte legislative, regolamentari ed amministrative qualora possa determinarsi un pregiudizio eccessivo per le imprese.
L'articolo 6 prevede che per facilitare le incombenze gravanti sui cittadini e imprese i regolamenti della pubblica amministrazione devono specificare le modalità di presentazione dei reclami ed avere in allegato l'elenco di tutti gli oneri informativi, qualunque adempimento che comporti la raccolta, l'elaborazione, la trasmissione, la conservazione e l'approvazione di funzioni e documenti per la pubblica amministrazione gravanti sui cittadini e le imprese introdotti o eliminati con gli atti medesimi.
Il Dipartimento della funzione pubblica trasmette al Parlamento una relazione annuale sullo stato di attuazione della presente disposizione.
L'articolo 7 modifica l'articolo 14 della legge n. 246 del 2005 sulla semplificazione legislativa inserendo l'obbligo, per la pubblica amministrazione, di inviare al Consiglio dei ministri l'elenco di tutti gli oneri Pag. 3informativi gravanti sui cittadini e sulle imprese introdotti o eliminati con i medesimi atti normativi al fine di effettuare una stima dei costi gravanti sui destinatari.
L'articolo 8 semplifica i procedimenti per l'attività di impresa prevedendo la pubblicazione e l'aggiornamento di norme e requisiti minimi per ogni tipo di attività imprenditoriale nei confronti della pubblica amministrazione alla quale le imprese comunicano i loro codici di iscrizione al registro di imprese. È garantito loro l'accesso telematico e gratuito al registro delle imprese ed esse, le imprese, non possono richiedere copie di documentazione già presenti nello stesso registro.
Ai sensi dell'articolo 9, le pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali devono contrastare gli effetti negativi della posizione dominante di imprese sui propri fornitori o sulle imprese subcommittenti, in particolare nel caso in cui si tratti di micro, piccole e medie imprese, prevedendo, ad esempio, che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato possa procedere ad indagini ed intervenire in prima istanza con diffide e comminare sanzioni relativamente a comportamenti illeciti messi in atto da grandi aziende e da pubbliche amministrazioni.
L'articolo 10 sostituisce la verifica da parte della pubblica amministrazione con la certificazione di conformità di un prodotto o di un servizio o di un sistema di qualità di un'azienda rilasciata da enti, società e professionisti abilitati, ad esempio gli enti di normalizzazione. Ovviamente, nel corso delle verifiche, non è consentito comminare sanzioni per elementi non previsti nei requisiti stabiliti e tanto meno la sospensione dell'attività di impresa, a parte i casi di gravi difformità e di questioni penalmente rilevanti.
Con l'articolo 11, per rendere più trasparente possibile l'informazione relativa agli appalti pubblici di importo inferiore ai limiti stabiliti dall'Unione europea, lo Stato dovrà semplificare l'accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole e medie imprese, semplificare l'accesso delle micro e piccole imprese agli appalti pubblici di fornitura di servizi pubblici locali, suddividere i contratti in lotti e rendere visibile le possibilità di subappalto.
In caso di gare è vietato alla pubblica amministrazione richiedere alle imprese concorrenti dei requisiti finanziari sproporzionati rispetto al valore dei beni e servizi oggetto della gara stessa. Le prefetture predispongono elenchi di imprese e fornitori contenenti l'adesione, da parte delle imprese, a specifici obblighi di trasparenza e di tracciabilità dei flussi di denaro, beni e servizi.
Con l'articolo 12 si accoglie una raccomandazione della Commissione europea. Si prevede una serie di definizioni relative alle imprese, ai distretti, anche tecnologici e del commercio, e alle reti di impresa, in accordo con i criteri fissati proprio dall'Unione europea. Il concetto di impresa è esteso ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita.
Con l'articolo 13 lo Stato è tenuto a creare le condizioni più favorevoli per la ricerca, l'innovazione, l'internazionalizzazione e la capitalizzazione, per garantire la competitività e la produttività delle micro, piccole e medie imprese e le reti di imprese, a favorire la trasparenza nei rapporti fra queste ultime e gli istituti di credito, obbligando questi ultimi a trasmettere periodicamente al Ministero dell'economia e delle finanze, per la sua pubblicazione telematica, un rapporto sulle condizioni di credito medie praticate, e a definire linee guida degli interventi sulla base di indirizzi di politica industriale, previo parere delle organizzazioni di rappresentanza delle micro e piccole imprese. Presso il Ministero dello sviluppo economico è istituito un tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore delle imprese, con la funzione di organo di partenariato delle politiche di sviluppo.
Con l'articolo 14, si istituisce la Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese con compiti di indirizzo e controllo. Essa sarà composta Pag. 4da dieci senatori e da dieci deputati, nominati dai Presidenti delle rispettive Camere in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, e avrà un presidente, un vicepresidente e due segretari. La Commissione ha compiti di indirizzo e controllo sull'attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativa alle PMI e riferisce annualmente alle Camere il risultato della propria attività, fornendo osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull'eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente.
Con l'articolo 15, entro il 30 giugno di ogni anno, il Governo deve presentare alle Camere un disegno di legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, volto a definire gli interventi per l'anno successivo. Tale disegno di legge recherà anche norme di immediata applicazione al fine di favorire e promuovere le piccole e medie imprese, rimuovere gli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo, ridurre gli oneri burocratici e introdurre misure di semplificazione amministrativa. Il disegno di legge riporterà, inoltre, lo stato di conformità dell'ordinamento rispetto ai principi e agli obiettivi contenuti nella comunicazione alla Commissione europea di cui al comma 1, lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi annuali, l'analisi preventiva e la valutazione successiva dell'impatto delle politiche economiche e di sviluppo sulle piccole e medie imprese.
Con l'articolo 16 le regioni, sulla base delle competenze loro assegnate, possono prevedere norme di maggior favore per le piccole e medie imprese, purché non in contrasto con i principi e le disposizioni del provvedimento in esame. In sede di Conferenza Stato-regioni, le regioni promuovono la stipula di accordi e intese per favorire sia il coordinamento dell'esercizio delle competenze normative in materia di adempimenti amministrativi delle imprese sia il conseguimento di ulteriori livelli minimi di liberalizzazione.
Ai sensi dell'articolo 17, le disposizioni della presente legge non comportano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e l'articolo 18 sancisce l'entrata in vigore della legge dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
La proposta di legge in esame, che ha avuto un lungo iter in Commissione e, tra l'altro, anche un'ottima istruttoria alla quale tutte le parti sociali sono state chiamate a dare un contributo, è stata espunta nel suo percorso di alcune parti. Vorrei ricordarne alcune importanti che, a mio parere, in qualche modo, dovranno essere riprese anche attraverso la presentazione di ordini del giorno.
Tra le principali norme espunte per motivi finanziari si ricordano: una delega legislativa in materia di imposizione tributaria relativa alle imprese e di compensazione tra i crediti delle imprese nei confronti delle amministrazioni statali e i debiti relativi ad obbligazioni tributarie; la previsione - questo è un fatto importante - di regimi fiscali di maggiore vantaggio per le imprese giovanili, tecnologiche, femminili e localizzate in aree svantaggiate; l'istituzione dell'Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese.
Tra le altre norme soppresse si ricordano la garanzia che nei rapporti tra imprese e nei rapporti tra queste e la pubblica amministrazione la durata dei processi civili relativi al recupero di un credito non sia superiore ad un anno, nonché una delega per disposizioni correttive ed integrative della disciplina fallimentare.
Queste materie, che facevano parte del testo originario, credo e spero che, anche attraverso la presentazione di ordini del giorno, possano essere recuperate.
Ritengo che, comunque, il lavoro svolto dalla Commissione, che io ringrazio fin d'ora, sia un lavoro importante perché, per la prima volta, si sancisce il diritto delle imprese e si dà seguito allo Small business act, un atto rilevante di riconoscimento da parte dell'Unione europea dell'importanza delle piccole e medie imprese che, per la cronaca, nel nostro Paese rappresentano l'80 per cento del tessuto produttivo ed economico italiano.
Credo, quindi, che con la proposta di legge in oggetto si faccia un importante Pag. 5passo avanti e, forse, anche storico dal punto di vista del rapporto tra pubblica amministrazione ed imprese, con il riconoscimento di diritti e, sicuramente, di condizioni migliori di lavoro per i nostri imprenditori, per le nostre imprese in generale e, dunque, anche per i nostri lavoratori.
Ovviamente, spero che nel prosieguo dei lavori si mantenga il clima bipartisan che si è creato in Commissione e che ha consentito a tutti di arrivare in Aula con un testo condiviso da tutti i gruppi.
Questo è un segnale importante per il Paese: quando si tratta di lavorare sulle cose concrete che riguardano i cittadini, questo Parlamento sa fare la sua parte.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Cimadoro. Ne ha facoltà.

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, il mio intervento non sarà molto conciso, ma tenderò ad essere breve.
Innanzitutto, essendo questo il primo intervento in Aula dopo il disastro accaduto in Giappone, vorrei esprimere solidarietà al popolo giapponese per l'immane tragedia che lo ha colpito ma, soprattutto, per la loro dignità e la loro condotta.
Detto questo, siamo all'atto finale di un provvedimento che, come ricordava il collega Raisi, ha avuto un iter lunghissimo in Commissione, dove sicuramente è stato sviluppato, visto, seguito e audito.
L'intento del provvedimento in esame è quello di arrivare ad una soluzione alta, ma questo, probabilmente, non ci sarà consentito anche perché i tagli, il bilancio, la disponibilità economica da parte del Ministero e della Commissione competenti non ha permesso di arrivare ad una riforma o, comunque, di proporre delle modifiche di riforme importanti perché ogni qual volta si arrivava a formulare una definizione e una spesa il risultato veniva fermato.
Come ricordava il collega Raisi poc'anzi, la proposta di legge in discussione era composta originariamente da trentatré articoli, mentre ora siamo arrivati a diciotto. Questo dà sicuramente il senso della portata del lavoro che è stato svolto su questo provvedimento.
La proposta di legge in esame è volta a stabilire i diritti fondamentali delle imprese, definendone lo Statuto, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, come lascia intendere il termine Small business act.
Lo Small business act, già approvato in Europa nel 2008, mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee. Esso si basa su dieci principi fondamentali: lo sviluppo di un ambiente favorevole al fine di agevolare le piccole e medie imprese; il sostegno agli imprenditori onesti; la formulazione di normative conformi al principio «Pensare anzitutto in piccolo»; l'adattamento della pubblica amministrazione alle esigenze delle piccole e medie imprese; l'adeguamento dell'intervento politico pubblico in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici e di concessione di aiuti di Stato; ricorso a tipi di finanziamento diversificati; adeguamento della politica del mercato interno alle caratteristiche delle piccole e medie imprese; rafforzamento del potenziale di innovazione, di ricerca e di sviluppo delle piccole e medie imprese; trasformazione delle sfide ambientali in opportunità nell'ambito della produzione e della commercializzazione di prodotti e servizi; l'apertura delle piccole e medie imprese ai mercati esteri.
Tali erano, di fatto, i principi che inquadrano l'azione dello Small business act. Esso è stato formalmente adottato nelle conclusioni del Consiglio competitività dell'1 e 2 dicembre 2008. Il 4 dicembre 2008 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione «La strada verso il miglioramento dell'ambiente per le PMI in Europa - Atto sulle piccole imprese (Small business act)».
Nel Consiglio dei ministri del 27 novembre 2009 il Presidente del Consiglio ha illustrato una sua direttiva, che dà attuazione ai principi previsti nella comunicazione Pag. 6della Commissione europea relativa allo Small business act. Tale direttiva è stata adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri il 4 agosto 2010. Nel corso del 2010 la Commissione europea ha promosso la revisione dello Small business act, per aiutare e sostenere le piccole e medie imprese a superare la crisi, che nel contempo era arrivata.
Rispetto a tale iniziativa il Ministero dello sviluppo economico, in data 10 agosto 2010, ha inviato alla Commissione europea un documento di consultazione sul riesame dello Small business act. Nell'elaborato la direzione generale piccole e medie imprese del Ministero ha prospettato la creazione dello Small business act regionale (sono due le peculiarità territoriali delle piccole e medie imprese, non solo in Italia, ma in tutta Europa) e l'introduzione di un contratto di rete europeo sul modello italiano per favorire le relazioni tra piccole e medie imprese europee.
Come dicevamo l'iter parlamentare è stato lunghissimo. In data 10 marzo 2011 la X Commissione ha concluso l'esame in sede referente del testo unificato delle proposte di legge sullo Statuto delle imprese. Il testo base del provvedimento ha subito numerose modifiche ed integrazioni al fine di tenere conto, da un lato, dei pareri espressi dalle numerose Commissioni competenti in sede consultiva e, dall'altro, dei numerosi elementi di criticità emersi durante l'istruttoria effettuata dalla Commissione bilancio.
La nuova versione dello Statuto delle imprese presenta una forma più snella. Come dicevo, sono 18 articoli, in luogo dei 33 iniziali, essendo stati espunti, anche su richiesta del gruppo dell'Italia dei Valori, alcuni articoli che recavano deleghe particolarmente incisive, quali la delega al Governo in materia di riordino della disciplina concorsuale e la delega al Governo in materia di riordino della disciplina tributaria. Sono stati, inoltre, espunti alcuni articoli che comportavano evidenti oneri non coperti come, ad esempio, la norma che mirava a garantire una fiscalità di vantaggio per l'imprenditoria giovanile, femminile, tecnologica e nelle aree svantaggiate e gli articoli che istituivano l'Agenzia nazionale delle micro e piccole imprese.
In buona sostanza sono stati mantenuti tutti quegli articoli di principio che nel loro complesso mirano a creare un contesto di attenzione e di favore nei confronti della libertà di impresa, risultando mantenuti anche gli articoli concernenti la libertà associativa e la legittimazione ad agire delle associazioni di categoria. È stato mantenuto tutto il capo II, l'obbligo di valutare l'impatto delle iniziative legislative, le disposizioni mirate a garantire la massima trasparenza nei rapporti tra amministrazione e imprese, le norme concernenti i ritardi dei pagamenti nella transazione commerciale, che sono importantissime, l'articolo relativo alla disciplina degli appalti finalizzata a garantire la massima conoscibilità e trasparenza delle procedure di evidenza pubblica (e in particolare per i piccoli appalti), l'istituzione della Commissione parlamentare per le piccole e medie imprese, la legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro e piccole imprese. Naturalmente noi esprimiamo qualche perplessità su questi ultimi due punti. Fra le proposte del gruppo dell'Italia dei Valori, approvate in sede referente per confluire nel nuovo testo unificato trasmesso per l'esame in Assemblea, se ne segnalano due particolarmente significative, che riguardano la materia della responsabilità sociale delle imprese e quella del contrasto all'infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti e nelle forniture pubbliche.
L'emendamento Cimadoro 1.9, volto a includere tra le finalità dello statuto delle imprese l'attuazione del principio della responsabilità sociale dell'impresa, intesa come promozione dell'inclusione delle problematiche sociali e delle tematiche dell'ambiente nello svolgimento dell'attività delle imprese e nei loro rapporti con le parti sociali. Non è poca cosa, perché si tratta di un concetto fondamentale rispetto all'onestà di chi dà lavoro e svolge un'attività. Pag. 7
L'emendamento Di Pietro 11.26, prevede che le prefetture predispongano elenchi di imprese e fornitori contenenti l'adesione da parte delle medesime imprese a determinati obblighi di trasparenza, di tracciabilità dei flussi di denaro, di beni e di servizi. La medesima previsione, durante la discussione del provvedimento di legge recante disposizioni in materia di Piano nazionale antimafia, con il quale si era già parlato di questa white list, era stata votata dalla Camera dei deputati come ordine del giorno e impegnava il Governo alla creazione, presso le prefetture territoriali competenti, della white list di imprese e fornitori contenenti l'adesione, da parte delle imprese, a determinati obblighi di trasparenza, di tracciabilità dei flussi di denaro, di beni e servizi. Tale ordine del giorno allora era a prima firma dell'onorevole Messina, sempre appartenente al nostro gruppo.
In linea generale, tuttavia, nonostante l'accoglimento di numerosi rilievi e di alcuni emendamenti presentati dall'Italia dei Valori, il provvedimento concernente lo statuto delle imprese, trasmesso per l'esame in Aula, continua a presentare parecchie criticità. Ne elenco alcune: innanzitutto, il testo della proposta anzidetta, nonostante la presenza di una generale clausola di neutralità finanziaria, non appare corredato di relazione tecnica e questo non consente di determinare l'impatto di alcune misure in materia di procedura e di valutazione di adempimenti della pubblica amministrazione. Vedremo poi, nel tempo, se effettivamente saranno o meno efficaci.
In secondo luogo, occorre rilevare che anche gli articoli che contengono i principi e le finalità dello statuto potrebbero determinare effetti sulla finanza pubblica. Ciò non è dimostrato ma, anche in questo caso, vedremo nel tempo. In terzo luogo, non si può tacere del fatto che alcune disposizioni si sovrappongano a norme già vigenti, riproducendole e modificandole - è vero che ripetere è meglio che non dire - oppure disciplinando in modo nuovo istituti già previsti nell'ordinamento giuridico senza procedere ad abrogazioni.
Andrebbero, pertanto, rivisti, più nel dettaglio, alcuni passaggi. È il caso dell'articolo 12, recante una serie definizioni relative alle imprese e ai distretti e alle reti di imprese già contemplate in normative vigenti.
Viene inoltre istituita una Commissione parlamentare per micro, piccole e medie imprese, le cui competenze rischiano di sovrapporsi a quelle delle Commissioni parlamentari permanenti. Si prevede inoltre che il Parlamento approvi una legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro e piccole imprese. Al riguardo, si evidenziano le seguenti perplessità, che non sono sicuramente importantissime ma che, tuttavia, l'Italia dei Valori ha ritenuto necessario già segnalare al relatore in più di un'occasione. Innanzitutto non appare opportuno introdurre uno strumento legislativo nazionale in materia di tutela di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, in considerazione delle competenze in materia regionale, come abbiamo detto in più di un'occasione.
In secondo luogo, non appare accettabile che la norma sulla legge annuale per le microimprese rinvii ad atti normativi di rango inferiore, con un'infinita proliferazione di provvedimenti quali decreti legislativi e regolamenti in materia di tutela e sviluppo che rischiano solo di vanificare alcuni obiettivi. Infine, c'è da chiedersi che senso abbia prevedere un intervento di questo tipo se, dal momento in cui si è insediato, l'attuale Governo non è riuscito neanche una volta ad emanare la legge annuale sulla concorrenza, come, tra l'altro, evidenziato dalla relazione Antitrust. Anche la norma concernente i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali - ritardi riguardo i quali, oltretutto, entro due anni, l'Italia dovrà mettersi in regola, perché questo chiede l'Europa - ovvero l'articolo 9, pur contenendo il conferimento di una delega al Governo per l'emanazione di un decreto correttivo del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, non contiene alcun tipo di riferimento ai principi elencati dalla direttiva europea emanata in materia. Pag. 8
È stata pubblicata, sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 23 febbraio 2011, la direttiva del Parlamento e del Consiglio del 16 febbraio 2011 in materia di ritardi nei pagamenti e nelle transazioni commerciali, che entra in vigore il 12 marzo 2011. Gli Stati membri devono dare attuazione alla direttiva entro due anni (il 16 marzo 2013 sarà la scadenza, e come al solito noi sicuramente saremo in ritardo o non saremo tempestivi).
Non sto a leggere cosa dice perché mi sembra complesso, e i colleghi già sanno tutto su quello che dice l'Europa relativamente ai pagamenti. Inoltre suscita perplessità l'intera impostazione del provvedimento in esame che nel voler declinare all'interno del nostro ordinamento giuridico i principi dello Small business act sembra tuttavia non rispondere alle specifiche finalità cui tende la predetta iniziativa: in primo luogo, un impegno concreto da parte dello Stato a sostenere le piccole e medie imprese, attraverso l'emanazione di specifici provvedimenti di carattere fiscale e finanziario; in secondo luogo, un impegno da parte dello Stato ad innovare la disciplina di carattere ordinamentale attraverso la predisposizione di autonome iniziative che vanno dalla giustizia all'ambiente, alla cultura e al lavoro.
Infine, si ricorda che neanche un mese fa la Camera dei deputati ha approvato tutte le mozioni presentate dai vari gruppi parlamentari volte a dare attuazione allo Small business act, mozioni nell'ambito delle quali si richiede un intervento realmente tangibile da parte del Governo per sostenere le micro, piccole e medie imprese. A proposito di queste vicende - è per questo che noi siamo abbastanza perplessi, ma qualcosa si è fatto e ne daremo atto dimostrandolo in sede di voto finale - intendo leggervi il contenuto delle mozioni approvate a maggioranza assoluta della Camera.
Si intendeva impegnare il Governo a una serie di iniziative rispetto alle piccole e medie imprese, che sono poi tutti quei provvedimenti da mettere in atto per far crescere il nostro Paese. Non vi sto ad elencare tutto, però erano già state approvate e danno il senso di cosa vuol dire presentare in quest'Aula un ordine del giorno o una mozione: non servono assolutamente a niente. Noi impegnavamo il Governo: ad adottare le opportune iniziative finalizzate a rilanciare la domanda interna; a sostenere le piccole e medie imprese assumendo le necessarie iniziative, anche normative, volte ad entrare nella fase operativa dell'attuazione dello Small business act; ad adottare le opportune iniziative volte a favorire l'effettivo accesso al credito alle piccole e medie imprese (cosa che ci sentiamo dire ormai da anni); a monitorare le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese; a proseguire nel processo di semplificazione degli oneri burocratici e amministrativi (ce lo stiamo dicendo da venti anni); a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi del pagamento; ad individuare specifici indirizzi e risorse finanziarie per sostenere il made in Italy; in materia di credito di imposta ad adottare, al contempo, politiche pubbliche realmente efficaci che favoriscano lo sviluppo delle imprese; a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa nell'adozione di interventi volti alla liberalizzazione dei mercati; ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a sostenere la cooperazione strategica tra le università e le piccole e medie imprese (cosa che noi diciamo da tempo ormai, e riteniamo sia importantissimo); a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta ad aumentare la brevettabilità delle innovazioni italiane (molto spesso le nostre aziende, piccole o grandi che siano, non hanno la forza anche economica di arrivare alla brevettazione di alcuni manufatti importanti); ad adottare iniziative volte a promuovere l'immagine dell'Italia all'estero; a valutare la possibilità di adottare la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP e il pagamento dell'IVA nel momento in cui si incassano le fatture (è importantissimo anche questo); a sostenere il finanziamento di opere pubbliche di piccole e Pag. 9medie dimensioni; a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative, anche normative, volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli investimenti per la banda larga (strumento necessario e ormai sviluppato in tutta Europa, mentre noi probabilmente non siamo all'ultimo posto in Europa ma molto vicino); a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative di carattere finanziario volte a sostenere l'imprenditoria femminile e giovanile.
Questo è quello che dicevamo nella nostra mozione approvata in quest'Aula a larga maggioranza (a larghissima maggioranza), ma a questi impegni di fatto il Governo non ha dato seguito per niente. Il tentativo di mettere in piedi uno statuto delle piccole e medie imprese va bene. Probabilmente in Aula lo voteremo, daremo anche la nostra disponibilità, ma andava fatto uno sforzo diverso.
Andava, comunque, finanziata una risorsa per dare la possibilità di entrare e di mettere le basi ad un'iniziativa che, probabilmente, anche con questo provvedimento, non arriverà, comunque, a far crescere il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il perdurare della crisi ha spinto tutti i Paesi avanzati a confrontarsi con la ricerca di un nuovo paradigma di sviluppo in grado di sostenere le contestuali sfide dell'allargamento dei diritti, della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica. Non ci sembra che sia stato così per l'Italia dove le politiche del Governo sono state molto improntate a tagli generalizzati che hanno colpito i settori produttivi e lo Stato sociale.
La proposta di legge concernente lo statuto delle imprese è partita con molte buone intenzioni, in primo luogo con l'accordo di maggioranza ed opposizione all'interno della X Commissione. Tuttavia, nel corso dell'iter, presso le Commissioni che hanno espresso il parere, è stata largamente falcidiata. Anche la direttiva dell'Unione europea sullo Small business act per provare a pensare sempre a misura del piccolo, è stata ridotta ad una pura e semplice petizione di principio senza un minimo di risorse per sostenerne la reale applicazione. Alle micro, piccole e medie imprese italiane, quasi il 95 per cento del totale, va riconosciuto il ruolo di spina dorsale del Paese. Esse hanno dimostrato una grande capacità di adattamento all'evoluzione dei mercati internazionali, attraverso la flessibilità che le contraddistingue, la ricerca di moduli organizzativi originali, a partire dalla costituzione di distretti, e la capacità di farsi promotrici di tecniche e di processi innovativi.
È innegabile, onorevoli colleghi, che la difficoltà di accesso al credito sia esponenzialmente cresciuta con la crisi economica. Il sistema bancario è determinante per rendere la crisi meno profonda e duratura. I punti più critici sono, innanzitutto, la quantità di credito che, attualmente, viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese, e il costo di tale credito. La prima modalità di sano finanziamento dell'impresa è una corretta relazione tra debitore e creditore nell'ambito dei pagamenti, sia della pubblica amministrazione che tra privati, mentre troppo spesso il fabbisogno di credito delle PMI è artificiosamente accresciuto da modalità di pagamento capestro che generano un corto circuito anche nei sistemi di autofinanziamento più sani ed evoluti.
Nel 2010, i pagamenti della pubblica amministrazione sono arrivati ad una media di oltre 150 giorni di ritardo, rispetto ai 45 giorni dei clienti privati. Su questo tema, è necessario intervenire subito. L'Unione europea ha approvato una nuova direttiva, il 16 febbraio del 2011; il testo al nostro esame fa riferimento alla vecchia direttiva. È necessario anticipare i tempi e, per questo, abbiamo presentato alcuni emendamenti per applicare, in breve tempo, i contenuti della nuova direttiva di cui sopra. La vigente impostazione a carico delle imprese presenta una serie di Pag. 10ostacoli alla crescita perché disincentiva l'utilizzo del capitale proprio, rispetto al capitale di debito, e tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa. Anche qui, si è assistito all'aumento della pressione fiscale sui redditi d'impresa e di lavoro a tutto vantaggio delle rendite.
Nulla si è fatto, inoltre, per favorire l'occupazione in un momento nel quale il lavoro dipendente è diventato quasi un miraggio. Il numero degli occupati in Italia è ancora in calo (meno 0,4 per cento), per un totale di 22 milioni circa. Secondo le rilevazioni ISTAT di gennaio 2011 ci sarà una variazione dello 0,5 cento. Male sia l'occupazione maschile (meno 0,3 per cento) che quella femminile (meno 0,5 per cento), per un tasso complessivo di appena 56,7% di tutta la popolazione che lavora nel nostro Paese.
La comunicazione adottata dalla Commissione europea il 25 giugno 2008, una corsia preferenziale per la piccola impresa, meglio nota come Small business act, è di massima importanza per le politiche di sostegno alle piccole e medie imprese le quali, oltre a rappresentare la parte prevalente delle imprese attive in Europa, garantiscono l'occupazione a 65 milioni di persone che producono oltre la metà del PIL dell'Unione europea.
La comunicazione riveste particolare interesse per il nostro Paese considerato che il fenomeno delle piccole e medie imprese è molto diffuso: 99,4 per cento in Italia sotto i 50 dipendenti; sono 4,8 milioni e producono il 70 per cento del PIL. Se si considerano le microimprese, sono 6 milioni le imprese italiane interessate allo Small business act. È venuto il momento di finanziare strumenti efficaci a favore delle piccole imprese che sorreggono il peso del Paese con un'azione congiunta del Parlamento e del Governo ma anche delle regioni italiane per rinnovare profondamente le politiche volte a creare un ambiente favorevole per lo sviluppo delle PMI attraverso una vera semplificazione burocratica per la costituzione e la trasmissione di impresa, uno stabile miglioramento nell'accesso al credito e agli incentivi al mercato degli appalti pubblici con politiche ambientali ed energetiche, fiscalità e formazione a misura di micro, piccole e medie imprese.
Il Partito Democratico da un lato si è impegnato fortemente per migliorare la proposta di legge che è all'esame oggi, dall'altro ha presentato una proposta di legge autonoma a favore delle micro, piccole e medie imprese che ha proprio lo scopo di mettere le gambe o di dare gambe, come si suole dire, di attualizzare le proposte di principio contenute nello statuto delle imprese applicando da subito gli obiettivi dello Small business act. La nostra proposta istituisce un programma strategico nazionale, una corsia preferenziale per la piccola impresa, un programma triennale che dovrà contenere gli interventi a sostegno delle micro, piccole e medie imprese, in particolare il ricorso a meccanismi automatici di agevolazione, il ricorso a modalità di intervento basate su progetti di innovazione di prodotto e di processo, la promozione della formazione e del rafforzamento di filiere nazionali ma anche il superamento degli squilibri economici e sociali con particolare riferimento al Mezzogiorno, la previsione di agevolazioni mirate alla creazione di micro, piccole e medie imprese da parte dei giovani in cerca di prima occupazione e di donne e di disoccupate over 50 anni.
Abbiamo poi disciplinato gli interventi fiscali e di sostegno alle PMI riformando l'attuale sistema di incentivi alle imprese. Al fine di recuperare adeguate risorse per finanziare il programma strategico e nazionale abbiamo previsto l'istituzione del Fondo unico per la crescita e lo sviluppo innovativo nel quale confluiscono tutti i fondi finalizzati all'erogazione di incentivi destinati dalla legge nazionale agli interventi di sostegno alle imprese e stanziati annualmente dallo Stato al fine di eliminare gradualmente l'IRAP sul costo del lavoro; abbattere i costi energetici delle PMI; eliminare progressivamente la indeducibilità degli interessi passivi dal reddito operativo lordo e introdurre un sistema fiscale premiante per le reti di impresa, per le imprese che investono gli utili nel Pag. 11rafforzamento del capitale societario, del capitale tecnologico e del capitale umano con particolare riguardo alla stabilizzazione dei lavoratori precari; finanziare progetti di innovazione e di sviluppo della micro, piccola e media impresa nell'ambito del risparmio energetico e dello sviluppo dell'economia verde, dell'internazionalizzazione dei sistemi produttivi e dei redditi d'impresa, dei distretti e delle forme aggregative tra imprese, ricerca, innovazione, ideazione di progetti per la realizzazione di nuovi prodotti miranti ad un significativo miglioramento dell'impatto sul clima e sull'ambiente; individuare meccanismi automatici di agevolazione dei tempi e di conclusione della fasi procedimentali - aspetto importantissimo - modalità dei controlli e delle ispezioni, metodologie per il monitoraggio e la valutazione di efficacia delle agevolazioni; impiego delle metodologie informatiche. C'è poi il sostegno alla competitività delle micro, piccole e medie imprese tramite la tutela dei patrimoni aziendali e dei sistemi produttivi locali, l'esclusione dall'imposizione del reddito dell'impresa e di lavoro autonomo al 60 per cento dell'ammontare degli investimenti in beni strumentali. Questo è un punto.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Vico.

LUDOVICO VICO. Abbiamo introdotto e lo suggeriamo come fase evolutiva dello statuto di impresa una norma per sostenere i business angels, soggetti pubblici o privati che investono nell'allargamento, nella creazione e nella riconversione tecnologica e ambientale nelle micro e piccole imprese apportando i capitali di rischio.
A conclusione del mio intervento aggiungerei semplicemente che lo statuto delle imprese è una legge ordinaria, tale da avere un iter più veloce - e noi auspichiamo che nelle prossime ventiquattr'ore sia approvato - e che certifica che si possono fare le cose senza modificare la Carta costituzionale, come l'articolo 41 (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Vico, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Saluto gli studenti del primo anno della facoltà di giurisprudenza dell'università Lumsa di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi) e ai quali voglio dire che siamo in una fase di discussione sulle linee generali del provvedimento, pertanto la scarsa presenza di colleghi in aula è dovuta al fatto che sono presenti soltanto i colleghi che sono interessati a tale fase del provvedimento, da portare poi all'attenzione del plenum dell'Assemblea. Buon lavoro.
È iscritto a parlare l'onorevole Vignali. Ne ha facoltà.

RAFFAELLO VIGNALI. Signor Presidente, non posso negare la mia soddisfazione per il fatto che lo statuto delle imprese oggi arrivi in quest'aula. È una soddisfazione certamente perché il provvedimento in esame porta anche la mia firma, ma soprattutto perché si tratta di un provvedimento fortemente voluto dalle imprese, in particolare dalle piccole, che sono - e non per modo di dire - la spina dorsale della nostra economia. Non a caso tutte le associazioni delle piccole imprese hanno sostenuto il provvedimento in esame: il presidente di una di esse l'ha definito una rivoluzione copernicana e ci hanno dato anche suggerimenti per migliorarlo.
In questo caso la classe politica ha accettato la sfida, ha messo da parte quello scontro a priori che troppo spesso contraddistingue il dibattito politico e parlamentare e si è concentrata su uno dei problemi più avvertiti, quello della crescita. Di questo atteggiamento è testimonianza il lungo ed approfondito lavoro svolto insieme alla X Commissione, in unanimità sul testo che oggi discutiamo. Personalmente non posso che augurarmi che questo stesso atteggiamento venga ribadito nell'Assemblea nella sua pienezza. Pag. 12
Mi sia consentito anche un particolare ringraziamento ai colleghi della X Commissione, ai funzionari che ci hanno assistito con assiduità e passione, ma anche ai colleghi ed ai funzionari delle altre Commissioni, in particolare la I, la II e la V, che hanno dato suggerimenti utili al miglioramento di un testo che per sua stessa natura coinvolge competenze diverse.
Mi sia consentito anche un ringraziamento al Governo, che ha sostenuto pubblicamente e in sede operativa il provvedimento in esame, dal Presidente Berlusconi al Ministro Romani. Un ringraziamento particolare lo vorrei rivolgere anche al sottosegretario Casero, che ha seguito con spirito costruttivo l'esame in V Commissione.
Una sottolineatura merita anche il consenso bipartisan che si è registrato sulla proposta di legge: in un clima politico in cui sembra possa esistere solo lo scontro, questa volta il Parlamento dimostra di sapere essere unito per il bene del Paese. Succede di rado, ma accade di regola quando l'ottica con cui si affrontano i problemi e si costruiscono le soluzioni è la sussidiarietà.
La comunicazione della Commissione europea del 12 gennaio scorso che sta discutendo la Commissione bilancio, «Analisi annuale della crescita», mentre prende atto che la ripresa procede con sempre maggior vigore e a ritmo sempre più sostenuto, chiede agli Stati membri un impegno forte: «Ora che le prospettive iniziano a migliorare, si impone un'azione politica risoluta». E spiega in modo molto chiaro: «Pur essendo condicio sine qua non per la crescita il risanamento finanziario, il risanamento finanziario non basta a stimolarla. In mancanza di politiche proattive la crescita potenziale rimarrà probabilmente modesta nel prossimo decennio. Per la crescita sarà essenziale avere un contesto favorevole all'industria e all'impresa, in particolare alle piccole e medie imprese. In mancanza di crescita, il risanamento di bilancio risulta ancora più problematico».
Lo statuto delle imprese che oggi discutiamo va esattamente nella direzione suggerita dall'Unione europea, ovvero la creazione di un ambiente esterno in cui fare impresa sia gratificante o quanto meno non ostacolato da parte dello Stato e della pubblica amministrazione. C'è in Italia un grande paradosso: siamo il Paese con il più alto tasso di imprenditori e allo stesso tempo anche uno di quelli in cui è più difficile fare impresa. A questo riguardo il rapporto Doing Business della Banca mondiale sulla libertà economica ci colloca al settantottesimo posto, dietro la Cina.
Se vogliamo agganciare la crescita non possiamo non porci il problema di come mettere le nostre imprese in grado di competere. Infatti, le energie per far crescere il PIL e l'occupazione del Paese stanno innanzitutto nei nostri imprenditori. Spesso, si imputa al nostro sistema produttivo la debole crescita del PIL e non si guarda, invece, ai fattori esogeni all'impresa, quei fattori ambientali che costituiscono una condizione decisiva della competitività, che è sempre più una competitività di sistema.
Per anni, abbiamo sentito demonizzare l'anomalia italiana da parte di certi guru, che volevano spiegarci che le nostre imprese erano malate mortalmente di nanismo e di familismo ed incapaci di comprendere le magie della finanza. Per fortuna, all'avvento della crisi, hanno dovuto cambiare argomento. Tutti, in Italia e in Europa, si sono dovuti rendere conto che l'anomalia, il problema non è il nostro tessuto produttivo, ma il fatto di non credere in esso fino in fondo.
Tuttavia, anche ora, non possiamo pensare che la crescita possa avvenire per decreto né, come sovente capita di sentire, possiamo pensare che essa sia semplicemente l'esito della quantità di risorse pubbliche che possiamo mettere in campo, e noi ne possiamo mettere in campo poche, a causa del nostro debito pubblico. Anche nella politica economica, invece, occorre innanzitutto sussidiarietà: in altri termini, occorre riconoscere il positivo che c'è, valorizzarlo e sostenerlo. Pag. 13
Queste sono le linee sulle quali si muove lo statuto. Esso mira, innanzitutto, al riconoscimento non solo economico, ma anche sociale, dell'impresa, del suo contributo essenziale al benessere generale; crea una visione positiva dell'imprenditore improntata alla fiducia e non a quel sospetto che ha determinato, per decenni, la legislazione italiana e che ha prodotto quei «lacci e laccioli» che oggi sono un freno insostenibile nella competizione globale. Per questo, nello statuto, si rafforza il principio del silenzio assenso e della responsabilità sugli atti della pubblica amministrazione e si riduce fortemente la discrezionalità dell'apparato pubblico.
In secondo luogo, si intende invertire il paradigma che ha guidato le politiche per le imprese, passando dal paradigma secondo cui «quello che va bene alla grande impresa, va bene all'Italia» a: «quello che va bene ai piccoli, va bene all'Italia». Ciò non perché si è cultori del «piccolo è bello», ma per realismo: piccolo è quello che c'è, e le piccole e medie imprese rappresentano il 99 per cento del totale.
Per questo, si introduce anche il principio di proporzionalità delle norme, con oneri minori e tempi di adeguamento più lunghi per le piccole imprese; si interviene sulla normativa del fallimento per salvare l'indotto; si rendono più stringenti le norme sui tempi di pagamento e si allargano i poteri dell'Antitrust.
Vorrei soffermarmi anche sulle possibili e principali criticità che sono state sollevate e dare una risposta a domande che sono state avanzate da diverse parti. Innanzitutto, la presunta impossibilità di prevedere i termini prescrittivi per la chiusura dei procedimenti fallimentari non fraudolenti in un anno. La X Commissione, accogliendo i rilievi della Commissione giustizia, ha sostituito il termine perentorio di un anno con una dicitura un po' vaga, in termini ragionevolmente brevi.
L'indicazione originaria del testo mirava ad attuare uno dei dieci principi dello Small business act dell'Unione europea. Peraltro, in diversi Paesi europei, questo termine viene rispettato. In alcuni casi, i termini sono addirittura dimezzati. Io non sono né un magistrato né un avvocato, capisco un po' più di organizzazione e, infatti, fatico a comprendere dove sia l'impossibilità di concludere i procedimenti in un anno, potendo utilizzare anche le nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione. Siamo impegnati, come Governo e come Parlamento, ad abbreviare i termini della giustizia civile: perché non possiamo adottare le migliori prassi di quei Paesi che fanno meglio di noi?
La seconda criticità avanzata riguarda la modifica della normativa sugli appalti che lo statuto introduce. Al riguardo, mi preme affermare che anch'essa prende le mosse dalle indicazioni dello Small business act, laddove chiede che le PMI possano essere meglio informate sugli appalti pubblici; che sia previsto, ovviamente senza ledere il principio di concorrenza, il loro frazionamento - laddove tecnicamente possibile - e che sia garantita una quota di riserva per le PMI. Si tratta di un invito che ci rivolge l'Europa e non possiamo certo disattenderlo, tanto meno invocando l'Europa stessa.
Il problema del rapporto con le regioni merita una terza riflessione. Il riformato Titolo V della Costituzione assegna ad esse un ruolo di primo piano. Lo statuto non invade le competenze regionali: esso fissa dei diritti minimi per le imprese, e questo è compito dello Stato. Alle regioni, il compito - che mi auguro sia esercitato anche con più forza - di prevedere maggiori tutele nell'ambito dei propri poteri.
Quanto alla Commissione bicamerale per le micro, piccole e medie imprese, essa non mira né a sostituirsi alle Commissioni permanenti del Parlamento, né, ovviamente, a prevaricare un ruolo regionale; al contrario, essa ha come compito, nei fatti, la vigilanza sull'attuazione dello statuto stesso. Per questo motivo, essa non comprime, ma esalta nel merito il ruolo regionale, così come rafforza l'azione delle Commissioni parlamentari e di tutto Parlamento.
Essa ha anche un valore simbolico di attenzione verso quei milioni di nostri concittadini che intraprendono, ma il suo Pag. 14valore non è solo simbolico. Essa ha il compito di riconoscere, valorizzare e sostenere l'azione delle nostre piccole e medie imprese in modo permanente e con tutto il risalto che meritano, soprattutto in considerazione della dimenticanza che la classe politica ha avuto nel passato nei confronti di questo mondo, che è quel pezzo del Paese che fa andare avanti tutta l'Italia.
In generale, vorrei comunque rispondere a tutte le obiezioni, compresa quella delle risorse: la parte fiscale è stata stralciata perché il Governo sta lavorando ad una riforma; il Ministro Tremonti, come sappiamo, è impegnato in diversi tavoli su questo. Tuttavia, in generale vorrei rispondere alle obiezioni che sono state rivolte, con queste domande: vogliamo davvero la crescita? Vogliamo davvero dare al nostro sistema un grado maggiore di competitività? Se è così, non possiamo confondere gli strumenti, ossia le norme e l'organizzazione, con il fine, che è la crescita.
Dobbiamo, invece, avere il coraggio e la capacità di rivedere e riformare norme e organizzazione per renderle più corrispondenti allo scopo: la crescita. Ciò si può fare senza comportare costi per lo Stato.
Lo statuto, quindi, non è inutile. Anche io avrei preferito il testo della Commissione, e non eliminare previsioni - come si è dovuto fare - presenti nella prima fase della discussione, in particolare quelle riferite direttamente allo Small business act. Tuttavia, credo anzi che, con l'aiuto delle Commissioni che hanno espresso i pareri, abbiamo avuto un atteggiamento costruttivo che ci ha permesso di salvare la maggior parte delle previsioni che lo statuto introduceva.
Sono alla conclusione del mio intervento e la vorrei dedicare al ringraziamento sincero e accorato che, mi auguro, sia di tutto il Parlamento verso quei milioni di persone, di nostri concittadini - i piccoli e gli invisibili, come li ha chiamati efficacemente in un suo editoriale Ferruccio De Bortoli - i quali, ogni giorno, costruiscono il benessere di cui tutti noi godiamo.
In molte delle fabbriche, delle officine, dei negozi e degli studi del Paese, si può leggere una frase di Luigi Einaudi, grande economista e statista, purtroppo troppo spesso dimenticato, che afferma: «Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti (...) costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi».
Questa frase - che ho voluto anche richiamare nella relazione introduttiva alla proposta di legge sullo statuto - ricorda ogni giorno a tantissimi imprenditori lo scopo vero dell'impresa, ossia la creazione di un valore del fare impresa, che eccede l'impresa stessa; un valore non solo economico, ma anche sociale, culturale e antropologico; un valore che non è solo per gli azionisti, come abbiamo sentito predicare e abbiamo visto applicare in tante prestigiose società di consulenza nel mondo finanziario e anche nelle multinazionali negli anni scorsi e che hanno portato alla crisi.
Al contrario, i nostri imprenditori creano un valore per tutti, per loro stessi, certamente, ma anche per i propri collaboratori, i dipendenti, i fornitori, i clienti, il territorio in cui insistono e lo Stato stesso; un valore creato dal desiderio autenticamente umano di costruire, privo di ogni nichilismo; un valore creato dall'impegno libero, responsabile e quotidiano.
Ne abbiamo visti esempi commoventi nei lunghi e difficili mesi della crisi, quando i nostri imprenditori non hanno seguito la pura ragione economica, che Pag. 15avrebbe con tutta evidenza chiesto loro di chiudere le aziende e di licenziare. Essi, invece, hanno tenuto duro. Quindi, un atteggiamento che non è darwiniano, né dentro l'impresa, né tra le imprese.
Per questo motivo, quando chiediamo più libertà per l'impresa, non chiediamo il mercato selvaggio, ma chiediamo semplicemente che siano liberate quelle energie di cui, grazie a Dio, il nostro Paese è ricchissimo, per fare crescere l'Italia; chiediamo che sia premiato il merito reale e quotidiano dei nostri imprenditori, ai quali, con lo statuto, diciamo innanzitutto: grazie, grazie e ancora grazie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanga. Ne ha facoltà.

GIOVANNI SANGA. Signor Presidente, come gruppo del Partito Democratico abbiamo concorso, in modo costruttivo e convinto, all'elaborazione di questo provvedimento che porta peraltro la firma di molti di noi. Abbiamo elementi e ragioni per dire che sotto questo profilo siamo soddisfatti, del resto già il termine «statuto» è evocativo di passaggi importanti sul piano legislativo, sul piano economico e su quello sociale. L'obiettivo di determinare un contesto favorevole alle attività di impresa in un momento delicato per l'economia italiana ed europea è certamente raggiunto, se si guarda alla legge in esame, anche se l'attività del Governo in questi mesi non sembra tenere particolarmente conto del dibattito che il Parlamento sta facendo. Soprattutto le micro, le piccole e le medie imprese italiane in questa congiuntura stanno pagando un prezzo elevato, senza avere adeguati sostegni ed incentivi. Basti pensare ai comunicati e alle dichiarazioni di questi giorni, di queste ore, dei rappresentanti delle categorie economiche, delle piccole e medie imprese che operano nel settore delle fonti rinnovabili: «si preannuncia una grave crisi» - leggo testualmente - «se non verranno presi gli opportuni provvedimenti». Crisi che andrebbe a sovrapporsi a mesi caratterizzati da una scarsa crescita, per non dire da forti rallentamenti in alcuni settori dell'economia.
Torniamo al contenuto del testo in esame, alla sua rilevanza sul piano del riconoscimento del valore dell'intrapresa che significa la capacità del nostro Paese di creare, inventare, agire con originalità e qualità, intelligenza e operosità.
Signor Presidente, sono componente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria commerciale, mi lasci dire che già da questo primo giro di audizioni che abbiamo svolto, risulta impressionante come nel mercato mondiale si cerchi di imitare e di contraffare i nostri marchi, le nostre produzioni, il nostro know-how. Questa vivacità questa vitalità, questa specificità italiana, come si fa a non sostenerla, a non promuoverla e a non incentivarla?
Ecco allora l'importanza dello statuto delle imprese che vuole in particolare, come già è stato ben ricordato e rilevato, liberare le PMI da una serie di vincoli e procedure burocratiche che sovente paralizzano la loro attività, che vuole semplificare, parola ormai abusata anche in questa legislatura, il rapporto tra imprese e pubblica amministrazione, rapporto complicato, non sempre trasparente, segnato dalla richiesta di nuove certificazioni, di ulteriori dichiarazioni, di tante attestazioni, verifiche e controlli formali, a volte certamente ridondanti e che, in particolare, vuole facilitare la partecipazione delle piccole imprese alle gare d'appalto come già si richiamava, altro capitolo grave per il nostro Paese dove si impegna più tempo a sbrigare le pratiche, compilare la modulistica, fare ricorsi e controricorsi, anziché a costruire o realizzare materialmente un'opera pubblica. E ancora, è necessario il sostegno alla ricerca e all'innovazione per garantire la competitività e la produttività.
Signor Presidente, ci sono atti importanti dell'Unione europea che attestano e riconoscono come la stessa competizione dell'Europa dipenda in modo sostanziale dalle piccole realtà imprenditoriali. C'è un dinamismo, un protagonismo imprenditoriale diffuso che va sostenuto con continuità, non a fasi alterne. C'è una forte Pag. 16consapevolezza anche tra i cittadini che saper fare impresa bene, con competenza, passione, slancio creativo è oggi la precondizione per la crescita e lo sviluppo. Mi auguro allora che a fronte di questi importanti confronti, di questo dibattito sia in sede parlamentare in Italia che in Europa, anche il nostro Governo mostri una attenzione diversa ai problemi delle imprese e in particolare delle micro, piccole e medie imprese. Voglio pensare che il Governo italiano non consenta che la pubblica amministrazione paghi con un ritardo rispetto agli impegni contrattuali di centinaia e centinaia di giorni.
Voglio pensare che non si ripetano gli episodi di questi giorni e di queste settimane, dove si promettevano frustate e scosse per il rilancio del Paese. Dove sono finiti il disegno di legge sulle liberalizzazioni, il decreto sugli incentivi e il provvedimento sulle semplificazioni, più volte annunciato? In questi giorni si è scritto e discusso molto anche al di fuori di quest'Aula dello Statuto delle imprese: ho letto analisi e commenti preoccupati; vi sono tante attese, ma anche tanti timori. Il rischio, pienamente avvertito dal mondo delle imprese, è che pure stavolta si approvi una buona legge manifesto, che contiene grandi principi e buone finalità (largamente condivise, peraltro), ma a cui non seguiranno gesti concreti e impegni adeguati sul piano finanziario.
Vi è un mondo, quello degli imprenditori, che chiede serietà alla classe politica, e alle istituzioni non chiede promesse o sussidi, ma risposte efficaci. Altro che riforma dell'articolo 41 della Costituzione per promuovere la libertà di impresa: si può fare già ora e molto, senza scomodare le procedure di modifica costituzionale. Noi del Partito Democratico la nostra parte la faremo, ma chiederemo, ancora una volta, a questo Governo, di fare la sua, senza infingimenti, senza tentennamenti e certamente senza rinvii (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, come Alleanza per l'Italia, abbiamo seguito l'iter di questo provvedimento nella Commissione di merito; poi, per quelli che sono i fisiologici cambiamenti all'interno del gruppo Misto, lo abbiamo un po' perso di vista. Siamo qui oggi per riprendere una riflessione e un ragionamento che ci stanno a cuore.
Il provvedimento che stiamo esaminando ci ricorda, se ve ne fosse bisogno, l'urgenza di mettere mano a provvedimenti concreti, che incidano sulla realtà produttiva e sociale del Paese. Non so dire quanto lo Statuto delle imprese assolva a questo compito, certamente un contributo positivo lo dà e negarlo sarebbe ingiusto, anche per il lavoro di concertazione che vi è stato all'interno della Commissione e per il consenso largamente ricevuto.
Il nostro è un Paese fermo, che non cresce: l'economia italiana sta arretrando nel contesto internazionale. Secondo le stime dell'OCSE la crescita dell'Italia per quest'anno è prevista all'1,3 per cento, inferiore quindi alla media prevista per l'area euro (più 1,7 per cento), e ancor di più rispetto a quella prevista per i Paesi dell'OCSE (più 2,3 per cento). Abbiamo avuto modo più volte di dire in quest'Aula che non vi è stata una politica industriale mirata: sono mancati seri progetti, da parte del Governo, per rimettere in moto la macchina produttiva dell'Italia. L'attenzione è stata rivolta alle ricadute sociali delle crisi aziendali, ma non alle iniziative di stimolo per la ripresa della crescita economica.
Lo so, è banale dirlo, ma forse può giovare: senza crescita una società consuma più ricchezza di quanta ne produce e finisce su un piano inclinato al termine del quale vi può essere solo un impoverimento complessivo, con gravi effetti economici e sociali. Sarebbe importante - lo ribadiamo - investire in ricerca e sviluppo. Purtroppo l'Italia destina a questo settore solo lo 0,65 per cento del prodotto interno lordo, contro una media dell'Unione europea dell'1,21 per cento. Se Pag. 17qualcosa si è mosso nell'economia italiana non è stato per meriti politici, bensì per il lavoro in solitudine di tante piccole e medie imprese, che soprattutto nell'export sono riuscite a sopravvivere e a cogliere l'opportunità offerta dai mercati dei Paesi emergenti.
Ma la sopravvivenza di chi ce l'ha fatta non deve trarre in inganno: le piccole imprese sono ancora in crisi. Il profilo di questa crisi è tutto nel ridimensionamento degli organici, che significa disoccupazione, e nella pesante riduzione degli investimenti, che, inevitabilmente, non sono destinati, se non in minima parte, all'innovazione.
Il 2011 è iniziato con una pallida luce di speranza per le imprese italiane, ma sappiamo che l'instabilità geopolitica che caratterizza oggi il nord Africa e il rincaro delle materie prime rischiano di stroncare sul nascere una ripresa già debolissima.
In questo quadro, quindi, ben venga un provvedimento che vuole offrire sostegno alle imprese con una particolare attenzione proprio a quelle di piccole e medie dimensioni, che - giova ricordarlo - costituiscono una risorsa essenziale per il ruolo strategico che ricoprono nel sistema economico italiano. Sono, infatti, oltre quattro milioni, cioè il 99 per cento delle imprese del Paese. D'altra parte, il rilievo assunto dalle piccole e medie imprese era già stato sottolineato dall'Europa con l'adozione dello Small business act, ossia la comunicazione della Commissione europea del giugno 2008, recante una corsia preferenziale per la piccola impresa, alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la piccola impresa, introdotta in Italia con la direttiva del Presidente del Consiglio del 4 maggio 2010, con cui si riconosce il forte contributo fornito dalle piccole e medie imprese all'aumento dell'occupazione e al benessere economico e la necessità di creare condizioni economiche e giuridiche tali da rendere più agevole e attraente l'idea di avviare una nuova impresa. La sollecitazione è a collocare le piccole e medie imprese al centro dei processi decisionali, al fine di rafforzarne la capacità di creazione di posti di lavoro nell'Unione europea e di promuoverne la competitività a livello sia comunitario che globale secondo il principio «pensare anzitutto in piccolo».
Nel merito del provvedimento, siamo in attesa di valutare gli emendamenti che credo saranno presentati anche dal Governo. Noi stessi ne abbiamo presentati quattro. Resta il rammarico per alcune norme, anche solo di indirizzo, atte a favorire misure di vantaggio per i giovani, per le donne e per le aree svantaggiate del Paese. Si tratta di temi tanto delicati quanto urgenti che ci auguriamo il Governo voglia recuperare in tempi rapidi. Temiamo fortemente che, al di là delle buone intenzioni, il provvedimento non risulti incisivo come dovrebbe. Nutriamo forti dubbi circa l'istituzione della Commissione bicamerale dedicata alle micro, piccole e medie imprese. Ciò non solo per il rischio di sconfinamenti sulla potestà regionale ai sensi del Titolo V della parte II della Costituzione.
Non è chiara, per lo meno al momento, la funzione di merito di tale Commissione. Il rischio è quello di moltiplicare le competenze, provocando un appesantimento in termini burocratici a discapito dei dovuti controlli e delle verifiche che, invece, questo cammino dovrebbe necessariamente prevedere. Sarebbe più opportuno concentrarsi sulla valorizzazione delle regioni e delle relative commissioni, provvedendo al loro potenziamento e affidando loro il ruolo di valutazione e verifica dello stato di attuazione dello statuto. È utile considerare che da più parti lo Statuto delle imprese è stato definito un provvedimento positivo, perché mette al centro le piccole e medie imprese, cerca di promuovere interventi adatti alla loro dimensione colmando le tradizionali distanze tra piccola e grande impresa che nel corso del tempo si sono ampliate. Sono apprezzabili i tentativi di valorizzare la libera iniziativa, l'assunzione del rischio, l'innovazione e gli interventi per liberare le imprese da costi e vincoli che ne limitano le potenzialità e ne comprimono la competitività.
La semplificazione degli oneri amministrativi e burocratici per chi avvia e gestisce Pag. 18un'impresa ne è un esempio importante. Viene anche fatto un passo avanti per agevolare e sostenere un'adeguata cultura di impresa. È evidente che le scosse che servono al Paese per garantire la ripresa economica e far ripartire la crescita non necessariamente debbono passare attraverso la strada lunga della riforma costituzionale dell'articolo 41. Lo dimostra questo provvedimento di iniziativa parlamentare, che assicura alcuni vantaggi immediati e concreti alle imprese e che, a differenza della ricetta elaborata dal Governo, può collocarsi nell'ambito di quei provvedimenti che realmente si occupano dei problemi che affliggono gli operatori economici, le famiglie e i giovani.
Si tratta, quindi, di un lavoro in parte positivo che, almeno a livello di indirizzo, agisce sul sistema Paese. È chiaro a tutti, però, che, così come molti altri provvedimenti ultimamente all'esame di quest'Aula, è privo di risorse finanziarie. Si tratta allora di uno strumento estremamente burocratico e di indirizzo in cui leggiamo un forte distacco con l'ispirazione anche contenuta nelle parole del relatore e del collega Vignali, che sottoscrivo soprattutto nella parte conclusiva, ma che però deve fare i conti con una realtà molto più complicata e complessa. Speriamo vivamente che non sia destinato ad essere, quindi, un mero esercizio di buone intenzioni.
Vista, inoltre, la larga convergenza di tutti i gruppi, ci auguriamo che se questo provvedimento sarà approvato potrà dispiegare almeno alcuni degli effetti positivi che si propone. I nostri emendamenti e anche eventuali ordini del giorno andranno in questa direzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scarpetti. Ne ha facoltà.

LIDO SCARPETTI. Signor Presidente, anche a me sembra importante che oggi il Parlamento avvii la discussione di questo provvedimento, in prima lettura, a conclusione di una lunga fase di discussione in Commissione e di confronto con le associazioni di categoria e con i vari soggetti interessati alla predisposizione di questo statuto per le imprese. Si tratta di un percorso che è durato quasi un anno e mezzo e che a volte, tra l'altro, è stato anche offuscato da dichiarazioni roboanti, come la modifica dell'articolo 41 della Costituzione, che sembrava che in modo taumaturgico, da un momento all'altro, dovesse risolvere tutti i problemi, i vincoli, i lacci e i lacciuoli che esistono oggi per avviare un'attività.
È importante perché, come è stato dai più ricordato, la struttura delle piccole, medie e microimprese nel nostro Paese è l'ossatura fondamentale del sistema produttivo ed industriale. I dati sono stati ricordati. Vi sono 4 milioni e mezzo di imprese, con oltre 17 addetti. Gran parte di queste imprese si trovano, però, in un livello dimensionale a mio avviso eccessivamente basso. Non è che voglia contraddire il virtuosismo rappresentato dalle piccola impresa ma questo, oggettivamente, deve essere un elemento da valutare perché in questa fascia vi sono 1,6 milioni di imprese che hanno da 2 a 9 dipendenti. A me pare che lo statuto delle imprese, che stiamo discutendo, introduca, aggiornando e sviluppando, appunto, un'evoluzione rispetto al concetto tradizionale dei distretti con il concetto di rete dell'impresa e dei distretti tecnologici che, a mio avviso, sono un riferimento importante se vogliamo che la nostra struttura produttiva, relativa alle piccole e medie imprese, vinca la sfida globale. È infatti difficile che un'impresa, che ha dai 2 ai 9 dipendenti, possa competere in un mercato globale nel quale certo ci possiamo avvalere del nostro saper fare, ma nel quale la ricerca, l'innovazione e lo sviluppo di nuovi prodotti sono sicuramente elementi fondamentali.
Se nelle politiche di sostegno e nelle attività che svolgiamo nei confronti di questo mondo, di questo settore e, in modo particolare, rispetto all'innovazione, alla ricerca e al trasferimento tecnologico, non consideriamo non solo la singola impresa, ma anche un sistema di imprese, appunto, che sono i distretti tecnologici e i metadistretti - che nel provvedimento di cui stiamo discutendo sono, in qualche Pag. 19modo, definiti - il rischio è di non fare i conti con i grandi cambiamenti e con quello che i mercati globali e mondiali oggi richiedono alle imprese.
In sostanza, voglio dire che una volta la piccola impresa era considerata un elemento virtuoso. Oggi, invece, credo che l'eccessiva frammentazione, se non è basata su un sistema di reti e su politiche di sostegno al sistema di rete, incontri dei grandi problemi sul piano della competizione globale. Stiamo discutendo, pertanto, un provvedimento fondamentale che, come è stato ricordato, si basa su principi, filosofie e impostazioni, e che aggredisce sicuramente problemi importanti che cercano di migliorare il contesto in cui l'impresa lavora, a partire dalle questioni relative al credito e alla sua trasparenza, alla riduzione degli oneri amministrativi e dalle questioni relative alla semplificazione burocratica e amministrativa.
Certo, saranno gli atti susseguenti a permettere la verifica di politiche attive e concrete in questo settore. Voglio dire che la legge annuale prevista nell'articolato della proposta di legge in esame, che prevede una discussione annuale sulle tematiche relative alle piccole e medie imprese, dovrà essere il momento in cui si concretizzano scelte operative concrete ed importanti, perché è difficile non essere d'accordo sui principi generali che rimettono al centro il mondo della piccola impresa, sia per lo sviluppo economico sia per la valenza sociale che essa ha.
Poi si tratta di vedere come, sulla base di questi indirizzi generali, si operano delle scelte concrete. In questi indirizzi generali mi pare che siano stati introdotti anche elementi innovativi, che riguardano i pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Il Governo deve fare, però, i conti con le norme che, quando discutiamo di altre questioni, esso mette in campo in relazione al Patto di stabilità e ai vincoli che questo produce per le imprese rispetto all'esigibilità dei loro crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Anche la norma, che segue lo Small Business Act, sugli appalti pubblici e le piccole e medie imprese mi pare che tenda a tener conto dell'importanza di favorire tali realtà.
Mi pare che sia importante e innovativa anche un'altra parte. Se oggi parliamo con gli imprenditori, i problemi sono sostanzialmente il credito, la liquidità e le procedure amministrative. Per la liquidità uno dei problemi è il rapporto tra imprese e fornitori; non soltanto il rapporto e il pagamento delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei piccoli imprenditori, ma anche il rapporto tra la grande e media impresa e l'impresa fornitrice, che ha i lavori in appalto. Mi sembra anche questa una cosa importante.
Concludo su un aspetto. A me pare importante la previsione di una legge annuale: la norma indica quali sono i filoni e i temi sui quali tale legge, in qualche modo, dovrà cimentarsi, e sono molti. Ne segnalo uno, che, fra l'altro, non a caso, immagino, è previsto alla lettera a) dell'articolo in questione, l'articolo 15: la semplificazione amministrativa. È stato ricordato che non importa prevedere rivoluzioni costituzionali, ma bastano leggi ordinarie. In questo Paese bisogna passare da una cultura dell'autorizzazione, che implica un'infinità di procedure burocratiche eccessivamente penalizzanti e con tempi mai definiti e certi per chi ne fa richiesta, ad una cultura dell'autocertificazione, o meglio, del controllo ex post.
Vi è una proposta di legge, l'atto Camera n. 1225, che è centrata particolarmente su questo obiettivo. È una delle proposte di legge unificate nel testo in esame questa mattina. Essa dà indicazioni abbastanza precise. In sostanza, penso che, indipendentemente dalla revisione dell'articolo 41 della Costituzione, noi possiamo davvero ragionare in termini di avvio dell'attività di un'impresa nel giro di un giorno attraverso l'autocertificazione, cioè attraverso una dichiarazione nella quale si comunica l'inizio dell'attività, come avviene nella materia urbanistica più in generale, con l'assunzione di responsabilità Pag. 20da parte di agenzie e soggetti comunque preposti e autorizzati a svolgere questo tipo di lavoro.
Soltanto così, ossia con una...

PRESIDENTE. Onorevole Scarpetti, la prego di concludere.

LIDO SCARPETTI. ... inversione radicale della cultura e della procedura amministrativa, passando da una cultura dell'autorizzazione ad una logica del controllo ex post, credo che potremmo ridurre o, comunque, attenuare molto uno dei problemi fondamentali del fare impresa e, in modo particolare, del fare piccola impresa nel nostro Paese. Spesso, infatti, siamo in assenza di certezza di tempi e, a volte, quasi in assenza di certezza dei diritti. Certo, la pubblica amministrazione deve acquisire una capacità di controllo maggiore.
Concludo anch'io dicendo che a me pare importante che vi sia uno spirito unitario. È segno che questo Parlamento riconosce formalmente - ed è una cosa importante - la strategicità della piccola impresa del nostro Paese. Abbiamo poche medie e grandi imprese. Siamo il secondo Paese manifatturiero della Comunità europea e lo siamo, visti i dati che sono stati enunciati prima, soprattutto in virtù della presenza di questa risorsa straordinaria che è la piccola impresa.
Oggi vi è bisogno di innovazione e lo statuto delle imprese fa un passo in avanti. Credo che i provvedimenti di merito e concreti che con leggi successive saranno adottati daranno un contributo decisivo in questa direzione (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 98-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Raisi, e il rappresentante del Governo non intendono replicare.
Il seguito del dibattito è dunque rinviato ad altra seduta.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato stabilito che domani, martedì 15 marzo, avrà luogo l'esame della mozione Franceschini ed altri n. 1-00590 in materia di promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, dopo gli argomenti già previsti in calendario ed in luogo della proposta di legge n. 54 - Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni - il cui seguito dell'esame sarà previsto la prossima settimana (23-25 marzo).
L'organizzazione dei tempia per la discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00590 sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 14,30 per lo svolgimento delle ulteriori discussioni sulle linee generali previste all'ordine del giorno.

La seduta, sospesa alle 13,25 è ripresa alle 14,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Dal Lago è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Realacci ed altri: Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni (A.C. 54-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa Pag. 21dei deputati Realacci ed altri: Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 54-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la V Commissione (Bilancio) e la VIII Commissione (Ambiente) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la V Commissione (Bilancio), onorevole Vannucci, che interverrà anche a nome del relatore della VIII Commissione (Ambiente), ha facoltà di svolgere la relazione.

MASSIMO VANNUCCI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo, come detto, anche a nome del relatore per la VIII Commissione, onorevole Guido Dussin, che si scusa per non potere essere presente a causa di improrogabili ed imprevisti impegni. Utilizzerò tutti i 15 minuti concessi per svolgere questa relazione, anche perché consideriamo tale proposta di legge molto importante.
Se lei lo consente, signor Presidente, voglio salutare con favore la felice coincidenza che questa proposta di legge sia all'esame dell'Aula nella settimana delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia. Del resto, i piccoli comuni sono l'ossatura del nostro Paese: sono i luoghi da dove veniamo e il fondamento della nostra civiltà.
Rifacendosi sempre alle celebrazioni, in fondo, esse stesse a cosa servono? Servono a capire come eravamo e da dove veniamo, servono a valutare e ad analizzare le nostre radici, a capire come siamo oggi e, nello stesso tempo, a definire i nostri orizzonti ovvero dove intendiamo andare.
A 150 anni dall'unità di Italia, quindi, ci interroghiamo su tre profili: ripensiamo alle nostre radici; facciamo un bilancio di quel che è stato fatto rispetto alle speranze e alle attese; modifichiamo le nostre azioni in questa direzione.
Allora, se abbiamo oggi la capacità, signor Presidente, di guardare all'Italia di 150 anni fa, l'Italia del 1861, da un piccolo comune - magari a me permetta di guardarla dall'Appennino marchigiano, da Montefeltro, area da cui provengo - pensiamo a quell'Italia che era fortemente insediata in quelle aree interne, fortemente agricola, un'Italia sostanzialmente diversa, con vie di comunicazione diverse, con una diversa cultura e con una diversa economia. Oggi siamo infatti diversi: l'Italia è cresciuta ed ovviamente è cresciuta in meglio, ma in questa crescita possiamo dire che si è registrata qualche distorsione e noi siamo appunto qui per correggerla.
Cosa è successo, infatti? L'Italia è cresciuta dapprima lungo gli assi ferroviari, poi lungo gli assi autostradali. Una volta le strade erano trasversali per motivi di sicurezza, poi invece siamo andati lungo le coste, in maniera perpendicolare. Cosa ha prodotto questo? Ha prodotto un forte congestionamento, nelle aree della costa o delle grandi città, una forte antropizzazione e un progressivo decremento di popolazione nelle aree interne. Tale è la fotografia di oggi.
È evidente che poi abbiamo dovuto seguire questo sviluppo, come hanno fatto tanti altri Paesi in Europa e nel mondo.
A 150 anni di distanza siamo qui ad interrogarci su cosa possiamo fare per modificare almeno le distorsioni più grandi che abbiamo registrato. Perché, possiamo dircelo, si è innescato un circolo vizioso per il quale nelle aree interne non c'è popolazione quindi non vengono garantiti i servizi ma, non essendoci una garanzia di servizi, non c'è popolazione, che non rimane residente. È un circolo vizioso che fa sì che tale decremento della popolazione continui e vi sia sempre più concentrazione nelle aree più grandi. Quindi, oggi, la terza domanda - sempre rispetto alla celebrazioni - è la seguente: Pag. 22dove vogliamo andare? Possiamo oggi fare un bilancio a mente fredda dopo aver seguito le grandi linee di sviluppo, come era inevitabile? Se dobbiamo fare un bilancio, dobbiamo dire che una politica di redistribuzione delle risorse e quindi della popolazione nel territorio, oggi, è necessaria ed è possibile. Rientra anche nella politica europea di coesione. Abbiamo avuto, poco tempo fa, lo ricordavo, in occasione della recente approvazione della legge sulla montagna, un'interessante audizione con l'attuale commissario europeo per la politica regionale, Johannes Hahn, che ha apprezzato le nostre considerazioni e ritiene che ciò sia uno dei principi fondamentali per la coesione in Europa. Del resto, altri Paesi quali la Spagna, la Danimarca e il Regno Unito attuano appunto politiche di riequilibrio demografico per favorire l'insediamento e la permanenza delle popolazioni nelle aree più marginali dei loro Paesi. Ciò, infatti, signor Presidente, ha dei vantaggi perché non provoca il dissesto, non solo socio-economico ma anche ambientale e perché incide fortemente sulla crescita, cose di cui il nostro Paese ha bisogno. Lo ricordavo sempre nella discussione concernente il provvedimento in favore dei comuni montani, che essi rappresentano in Italia il 57 per cento del nostro territorio e producono il 17 per cento del PIL e se oggi guardiamo alle grandi opportunità, possibilità e potenzialità di una politica agricola - e non solo - volta alla tipicità, vediamo che vi sono molte opportunità.
Quando parliamo di queste aree non dobbiamo mai dimenticare che esse garantiscono al nostro Paese la qualità della vita, dell'aria e dell'acqua e dobbiamo intervenire, signor Presidente, perché, come dicevo prima, le grandi autostrade - prima le ferrovie e poi le autostrade - hanno percorso le coste e messo in collegamento tra loro le aree più forti; oggi abbiamo nuove autostrade - la banda larga e la telematica - che rischiano di passare sempre negli stessi luoghi e di provocare il famoso digital divide ovvero la divisione digitale.
Questo è in sintesi lo scopo della proposta di legge in esame che ripercorrerò nei quindici minuti che ho a disposizione - poi lei, signor Presidente, mi interromperà - per spiegarla ai colleghi che dovranno intervenire. Le finalità ho già cercato di illustrarle e abbiamo voluto richiamare nell'articolo 1 la conformità agli obiettivi di coesione economica e sociale e territoriale di cui all'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea.
L'articolo 2, signor Presidente, è il cuore della proposta di legge perché non ci rivolgiamo ovviamente a tutti i comuni ma solo a quelli con popolazione pari o al di sotto dei cinquemila abitanti perché, come lei sa, quando vogliamo emanare provvedimenti a favore di tutti, sappiamo, per esperienza, che invece essi non vanno a beneficio di nessuno ed è stato quindi opportuno concentrarci su un elenco di comuni che vivono effettivamente un forte disagio. La proposta di legge è rivolta, ai sensi dell'articolo 2, soprattutto ai comuni che presentano un dissesto idrologico o altre criticità ambientali, arretratezza economica, decremento della popolazione, disagio abitativo, un elevato indice di vecchiaia o una percentuale di disoccupati molto alta, difficoltà di comunicazione o dove il territorio è molto ampio rispetto all'insediamento. Oltre che per tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a cinquemila abitanti questo vale per singole frazioni. Pertanto un comune al di sotto dei cinquemila abitanti che non rientri in questi parametri, ma che abbia una frazione che presenti tali requisiti, potrà rientrare nel provvedimento.
Quindi, è una legge che concentra - credo - alla fine alcune centinaia di comuni, e pertanto la legge avrà la possibilità di intervenire seriamente. Le norme che riguardano invece tutti i comuni sono quelle relative alla semplificazione amministrativa. Per tutti i comuni piccoli, cioè al sotto dei cinquemila abitanti, non applichiamo alcune disposizioni: le lettere a), b) e c) dell'articolo 3 fanno infatti riferimento ai programmi dei lavori pubblici (i piani triennali), alla grande programmazione richiesta dalle grandi Pag. 23città, che non è necessario chiedere ai piccoli comuni. Allo stesso modo, questi ultimi avranno nuove norme più semplici per la valutazione dei responsabili degli uffici, e potranno avvalersi dei concessionari del monopolio, dei tabaccai per pagare imposte, tasse e tributi. Potranno stipulare convenzioni con le diocesi cattoliche. Questa è già una prima norma di carattere finanziario, perché sappiamo che il patrimonio artistico in Italia è spesso legato alle diocesi cattoliche.
I comuni potranno avvalersi in questo caso (avendo la priorità) dei fondi per il gioco del lotto. Inoltre, potranno acquisire stazioni ferroviarie dismesse e case cantoniere della società ANAS dismesse. Voglio segnalarle una norma molto interessante per favorire il riequilibrio anagrafico. Si potranno registrare le nascite nei piccoli comuni anche se avvenute altrove, solo a fini statistici. Questo vorrà dire, per i comuni, avere una statistica per fare in modo che in Italia si sappia ciò che sta accadendo, superando così resistenze forti di mantenimento di centri nascite (a causa delle quali poi nessuno risulta più nato in determinati comuni). Questo è un aspetto che possiamo sanare. L'articolo 4, Presidente, (attività e servizi) cerca di unificare i piccoli comuni. Voglio ricordare che l'obbligo per i comuni al di sotto dei cinquemila abitanti di svolgere in forma associata le funzioni fondamentali, cioè tutte le funzioni del comune, l'abbiamo già decretato con una legge, e quindi questo provvedimento - voglio dirlo - tiene conto di una legislazione esistente ma anche di quella in itinere.
Non siamo intervenuti, per esempio, sulle norme che già questa Camera ha approvato (non ancora il Senato) riguardo al Codice delle autonomie, perché non potevamo farlo, e quindi non è una legge quadro sui piccoli comuni, ma interviene integrando norme. Quindi, l'equilibrio e l'obbligatorietà delle funzioni associate sono già presenti, e qui li rafforziamo e li richiamiamo, ma sono già presenti in altra norma. L'articolo 5 riguarda - come è giusto - tutti i comuni: valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali. È la vera forza della piccola grande Italia delle aree interne, delle aree appenniniche, delle aree alpine, con nuove norme, più semplici, per promuovere, commercializzare prodotti agroalimentari tradizionali, le nostre tipicità. I comuni potranno nella loro cartellonistica ufficiale chiamarsi: «Territorio di produzione del...», e potrei citare centinaia di questi prodotti che fanno grande l'Italia.
Inoltre si potranno avere contratti di collaborazione specifici, speciali con gli imprenditori agricoli del territorio. L'articolo 6 (programmi di e-government) fa riferimento alle autostrade moderne di cui parlavo prima: la telematica, la banda larga per dare la precedenza ai piccoli comuni perché questo digital divide, questa divisione digitale, non ci sia (a causa del quale le aree interne, anche in questo caso, perdono terreno). Voglio citare l'articolo 7 (servizi postali) attraverso il quale - come vede - vogliamo cercare di insistere per interrompere questo circolo vizioso (non c'è popolazione quindi non ci sono servizi; i servizi non ci sono perché non c'è popolazione), intervenendo sui servizi. L'articolo 7 si riferisce ai sevizi postali. Vogliamo cercare di indirizzare il contratto di programma che il Governo deve stipulare con l'amministrazione postale in conformità a questi principi: offrire ai comuni la possibilità di fare convenzioni per salvaguardare il servizio postale; si attribuisce la possibilità ai comuni - che possono negoziare con le poste perché quello sportello rimanga economicamente compatibile - di affidare a Poste italiane, ad esempio, i servizi di tesoreria, con la garanzia che lo sportello rimanga aperto. Altro servizio fondamentale è la scuola: si tratta di un articolo che abbiamo discusso a fondo con il Governo, con qualche dubbio che ancora permane, ma lo abbiamo voluto mantenere per affermare un principio.
Laddove, cioè, vi siano forti condizioni di disagio, regioni ed enti locali, anche rinunciando ad altre politiche, possono stipulare convenzioni con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con gli uffici scolastici regionali, sempre Pag. 24mantenendo i livelli delle prestazioni in materia di istruzione, per salvare qualche scuola che è necessario salvare. Altro servizio è quello idrico nei piccoli comuni. Agevoliamo, in questi comuni, anche le forme tariffarie, laddove è possibile, da parte delle autorità e allarghiamo la possibilità delle gestioni in economia, previste oggi per i comuni con mille abitanti, anche a quelli con tremila abitanti. E, poi, arriviamo al cuore del provvedimento, ossia ai due articoli che hanno risvolti finanziari, ai due fondi: un Fondo per l'incentivazione della residenza nei piccoli comuni ed un Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni. L'articolo 10 corrisponde alla funzione fondamentale, cioè, se i piccoli comuni possono vincere la sfida e mantenersi in piedi, hanno bisogno di popolazione e, quindi, incentiviamo la residenza. Come lo facciamo? Lo facciamo cercando di dare, attraverso questo fondo, delle risorse. Sappiamo, signor sottosegretario, che le risorse del bilancio sono limitate, ma qui la nostra fantasia è arrivata a prevedere una lotteria (piccola grande Italia); ce ne sono tante, con tanti nomi, una destiniamola ai piccoli comuni. Ci sembrava una cosa possibile.
Incentivare chi apre un'attività economica nei piccoli comuni, chi recupera un'abitazione abbandonata, chi acquista un immobile, chi sposta la propria residenza, chi recupera un patrimonio, chi promuove nuove attività educative per la prima infanzia: questa sarebbe la molla principale per far rivivere questi comuni. Nell'articolo 11, un fondo di 40 milioni in conto capitale per investimenti. È delegato, ovviamente, il Governo a stabilirne le finalità, però sono investimenti appunto da fare in questi comuni. I 40 milioni possono sembrare una cifra non sufficiente, ma se evitiamo una ricaduta a pioggia, come ho cercato di dire, ma ci concentriamo esclusivamente su quelli che ricadono nelle previsioni dell'articolo 2, ossia sui comuni, le centinaia di comuni (saranno 800,1.000) che hanno effettive necessità di disagio, che hanno bisogno di fare interventi per salvaguardare il patrimonio, per mettere a regime i corsi d'acqua, per tenere aperte le strade rurali, per favorire l'insediamento (se in un comune, infatti, non vi sono i servizi essenziali dati dalla viabilità e dalla sicurezza si avranno maggiori costi successivamente), credo che, con 40 milioni ogni anno come una goccia, si possano fare cose. Tutto ciò, se, appunto, non li disperdiamo a pioggia.
Signor Presidente, credo che le Commissioni congiunte, V e VIII, che ho avuto l'onore di rappresentare e che mi hanno incaricato di relazionare, abbiano svolto un buon lavoro. Chiedo scusa ai primi firmatari, l'onorevole Realacci e l'onorevole Lupi, per il tempo trascorso per la definizione del testo, ma è stato necessario, nel confronto costruttivo che abbiamo avuto con il Governo, per elaborare un buon testo che, oggi, si sostanzia negli articoli che vi ho illustrato e che ha la possibilità, non di essere una legge manifesto come rischiava di essere, ma una legge concreta per riequilibrare, cambiare un po' e rimettere ordine sotto il profilo dello sviluppo del nostro Paese. Voglio concludere, come sempre, con un richiamo ai festeggiamenti dei 150 anni dell'unità d'Italia perché lo dobbiamo a chi ha pensato alla nostra Italia, lo dobbiamo ai nostri padri (Applausi).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Dionisi. Ne ha facoltà.

ARMANDO DIONISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il provvedimento per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni approda ancora una volta dopo due legislature, la XIV e la XV, in quest'Aula, dopo vari tentativi nelle legislature precedenti.
Le finalità contenute nella proposta che ha illustrato testé il relatore si rivolgono soprattutto alla promozione e al sostegno delle attività economiche, sociali, ambientali e culturali di questi nuclei abitativi, ma anche alla salvaguardia dei servizi Pag. 25minimi essenziali sul territorio. La profonda trasformazione che ha investito il nostro Paese nel dopoguerra ha determinato uno spopolamento e un impoverimento del tessuto di questi microcosmi, causando una massiccia urbanizzazione e congestione nelle città e delle città stesse.
Gli abitanti dei piccoli centri da troppi anni vivono in condizioni di marginalità e di disagio sociale, economico e culturale. I comuni faticano a garantire i livelli essenziali dei servizi: parliamo di scuola, assistenza sanitaria, uffici postali, trasporti, presidi farmaceutici e perfino la chiesa - lasciatemelo dire da cattolico - fatica a garantire l'assistenza spirituale.
Il provvedimento che discutiamo oggi giunge all'approvazione dell'Aula dopo il varo del federalismo municipale, riforma alla quale il mio gruppo, l'Unione di Centro, si è detto e dichiarato più volte contrario. Sarebbe stato auspicabile e più utile per il Paese approvare prima il codice delle autonomie, che definisse le competenze dei vari livelli istituzionali unitamente ad una razionalizzazione e semplificazione degli enti.
In uno Stato federale non esistono tutti i livelli di Governo che abbiamo noi nella nostra organizzazione istituzionale e soprattutto non ci sono due Camere e più di mille parlamentari. È possibile attuare un sistema fiscale efficiente che vada bene sia a Roma con i suoi 3 milioni di abitanti sia ad un paese di 400 anime, come quello in cui sono nato io stesso? È possibile chiedere ai piccoli comuni di erogare in modo efficiente ed economico i servizi? Si tratta di domande legittime cui dobbiamo rispondere dal momento che con il federalismo il già precario equilibrio in cui versano i bilanci dei piccoli centri rischia la spallata definitiva in assenza di azioni politiche concrete.
Tali preoccupazioni - permettetemi - sono lecite se si considera che troppo spesso il Governo decide senza però calarsi nelle realtà delle piccole comunità locali che solitamente sono alle prese con ben altri tipi di problemi rispetto alle grandi aree metropolitane del Paese.
Con il federalismo municipale oltre all'aumento delle tasse ci avviamo verso una marginalizzazione sempre più forte degli oltre 5.800 comuni con meno di 5 mila abitanti dove vivono oltre 10 milioni di persone, cittadini che ogni giorno lottano per non retrocedere in serie C e che spesso sopperiscono alle mancanze dello Stato facendo appello alla passione, all'impegno, alla partecipazione degli amministratori locali e di loro stessi.
L'approvazione di questo provvedimento, pur con la scarsità di risorse disponibili, rappresenta un segnale di attenzione a queste realtà e dà l'idea di un'Italia diversa, dove tutti sono uguali e sono italiani, siano essi del sud o del nord, vivano essi in un piccolo paese o in una grande città. Per queste ragioni, questa è una proposta di legge che va sostenuta e approvata. La difesa e la valorizzazione del territorio, del paesaggio e dei beni storici e architettonici deve rappresentare un'opportunità per il Paese e non un peso da scaricare sui singoli che in questi territori vivono e che, pur tra mille difficoltà, hanno contribuito, anche solo con la loro presenza, alla tutela e alla conservazione di questi piccoli centri.
Essi - lo ricordo e lo rilevo - sono un enorme patrimonio per l'Italia in termini di tradizione, storia, cultura, economia, ma anche in termini di solidarietà, valori che spesso nei grandi centri hanno lasciato il posto all'individualismo sfrenato.
Non si tratta di continuare con quegli interventi a pioggia e con forme di sostegno disordinate e non mirate. I territori svantaggiati, come le persone, non chiedono pietà, quella stessa pietà che la cultura neoliberista efficientistica, la cultura del mercato e la cultura ragionieristica dei conti pubblici ci hanno imposto in questi anni. Chiedono solo risorse e mezzi adeguati per camminare sulle proprie gambe, per sopravvivere e continuare a crescere. Un'impostazione sbagliata finirebbe per produrre ulteriori problemi al disagio insediativo che caratterizza i piccoli centri e conseguentemente le grandi Pag. 26aree urbane: da un lato la fuga e lo spopolamento, dall'altro l'aggravarsi del degrado delle periferie cittadine.
Badate bene, non sto sostenendo che si debbano lasciare inalterati i piccoli presidi ospedalieri e continuare con sprechi e clientele. Sto sostenendo solo che il diritto alla salute sia uguale per Roma come nella valle dell'Aniene, perché la salute è un diritto.
La stessa cosa vale per la scuola - che testé il relatore ha voluto ricordare - per i servizi postali, per i trasporti, per le farmacie e per la possibilità di accesso culturale (un esempio per tutti: la banda larga).
Voglio esprimere una preoccupazione e lanciare un allarme: i provvedimenti del federalismo municipale colpiranno maggiormente questi territori marginali e svantaggiati. La riforma Gelmini produrrà tagli alle classi e in molti di questi comuni le scuole saranno chiuse. Le comunità locali vivono la chiusura della scuola come una ferita profonda, perché la scuola rappresenta un punto di aggregazione sociale e culturale, il cuore di una comunità. È necessario ripensare alla possibilità di tenere in vita questi presidi scolastici, anche con nuovi strumenti, l'importante è che vivano.
Credo che l'ambizione e l'obiettivo del provvedimento in esame siano coniugare tradizione ed efficienza e restituire la speranza di un cambiamento profondo al modo di affrontare la marginalizzazione territoriale. Bisogna però far comprendere alla comunità e agli amministratori che il piccolo comune da solo non ce la può fare. Faccio una citazione, il poeta John Doe diceva: «Nessuno è un'isola». Ed io oggi mi permetto di dire che nessun piccolo comune può e deve essere un'isola. L'unione e la gestione in forma associata dei servizi devono essere obiettivi prioritari sia per la sostenibilità economica, sia per la qualità degli stessi servizi.
Una volta la collina, la montagna e la campagna erano luoghi da cui fuggire per inseguire il miraggio del condominio di una periferia che, però, si rivelava invivibile. Se riuscissimo a investire su questa risorsa, invertiremmo la rotta, anche dal punto di vista culturale, e troveremmo sempre più persone disposte a trasferirsi in questi piccoli centri, dove la qualità della vita è sicuramente diversa e migliore.
In Italia il radicamento al paese d'origine è ancora molto forte ed esiste la propensione al ritorno; pensiamo a quanti anziani vivono nelle grandi metropoli come Roma o alle giovani coppie che si devono sposare e non riescono a trovare un'abitazione nelle grandi città: se dessimo loro una possibilità di ritorno, creando e garantendo i servizi essenziali, quanta gente potrebbe sicuramente avere una qualità migliore di vita!
Per queste ragioni è necessario che le politiche nazionali - e aggiungo regionali - siano indirizzate verso questo pezzo d'Italia che ha saputo preservare il territorio e il paesaggio e che ha ancora una storia e tradizioni proprie.
Auspico, altresì, una discussione e un'approvazione rapida di un'altra proposta di legge che si può collegare a quella in esame e che riguarda la riqualificazione dei centri storici minori e dei borghi antichi, che giace in Commissione ed è molto attinente al tema in discussione.
È un modo - proprio quando stiamo per festeggiare i 150 anni dell'unità d'Italia, che il relatore ha voluto ricordare - per valorizzare il grande patrimonio storico, archeologico e paesistico dell'Italia intera, e non di una sola parte.
Il provvedimento dovrebbe prevedere, tra l'altro, la possibilità di rimuovere le limitazioni del numero dei mandati consecutivi - ne abbiamo discusso più volte - alla carica di sindaco. In realtà così piccole, in un piccolo centro - lo sa bene il relatore, ma anche i colleghi che si sono occupati di questo problema - spesso è difficile individuare una classe dirigente o un sindaco e sostituirli con tanta facilità. Infatti, in quelle realtà, il sindaco diventa una figura di riferimento importante per tutta la comunità. Del resto, questo divieto riguarda solo alcuni amministratori, perché non riguarda i presidenti delle regioni, né i parlamentari, né tante altre figure Pag. 27istituzionali: quindi, perché discriminare gli amministratori di frontiera, che vivono soprattutto in questi comuni?
Termino, esprimendo il mio personale ringraziamento ai colleghi relatori per il lavoro svolto finora e per la disponibilità che hanno manifestato nel recepire le proposte che sono state avanzate all'interno delle Commissioni. Credo che anche il dibattito in quest'Aula possa servire e contribuire ulteriormente ad arricchire un provvedimento quanto mai necessario. Infatti, un'Italia che non è solidale, difficilmente potrà dirsi unita. Ecco perché credo che sia necessario sempre di più, anche con poche risorse, dare un segnale forte a questo pezzo d'Italia: non è solo un fatto economico, ma è anche un fatto culturale. Credo, infatti, che vi sia bisogno di riscoprire che questi piccoli comuni, che rappresentano l'ossatura di questo Paese, non sono solo un peso, ma soprattutto una grande opportunità per l'Italia (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei ringraziare personalmente e a nome del gruppo dell'Italia dei Valori i due relatori, sia il collega Guido Dussin, che non è potuto essere presente, sia, soprattutto, il collega Vannucci, per la sua relazione così puntuale. Tuttavia, mi differenzio immediatamente da quest'ultimo, almeno rispetto all'entusiasmo, non perché vi siano delle differenze sostanziali. Il fatto è che lui è ottimista per natura, mentre io un po' meno e, quindi, probabilmente, vedo più la parte mezza vuota del bicchiere rispetto a quella mezza piena.
Vorrei ringraziare inoltre, non solo perché l'iniziativa è partita da lui, ma anche per la costanza che ha dimostrato in queste tre legislature, il collega Ermete Realacci. Sin dalla XIV legislatura, eravamo nello stesso partito - non dello stesso gruppo, perché io ero nell'altro ramo del Parlamento - e il collega Realacci presentò per la prima volta un provvedimento, che sostenne con forza, e che ora, a forza di insistere, è al nostro esame. Quindi, a lui va il riconoscimento principale di avere fortemente voluto e creduto in questo progetto, che è un progetto per l'Italia o, auspicabilmente, dovrebbe diventarlo. Infatti, l'Italia, come diceva il relatore, ha un'ossatura di 8 mila comuni e, in particolare, l'80 per cento degli 8 mila comuni è al di sotto della soglia dei 5 mila abitanti. Si tratta, dunque, di comuni che dovrebbero ricevere, in tutto o in parte, le agevolazioni e le iniziative contenute nel provvedimento in oggetto.
Mi associo anch'io immediatamente nel rilevare che stiamo parlando di piccoli comuni in un contesto che non c'è, o meglio, che questa Camera si era data, con tutte le difficoltà e i miglioramenti possibili.
Mi riferisco alla proposta di disegno di legge governativo concernente il codice delle autonomie, che però è fermo presso l'altro ramo del Parlamento. Io non voglio entrare in rotta di collisione con quel ramo del Parlamento, ma semplicemente constatare come stanno le cose. Ebbene, quel provvedimento non ha fatto un passo avanti: non si capisce cosa ne pensi veramente il Governo, se voglia portarlo a compimento o meno.
Come si può, quindi, calare un discorso che coinvolga questi comuni - anche gli altri, ma in particolare questi - nel contesto del codice delle autonomie, che non c'è? Allo stesso modo, come si può far rientrare quanto stiamo deliberando e legiferando rispetto - come ricordava il collega che mi ha immediatamente preceduto - al discorso del federalismo fiscale municipale?
Come si può conciliare l'autonomia impositiva dei comuni - che non c'è - e soprattutto quell'autonomia impositiva che va a toccare soprattutto o quasi esclusivamente la proprietà di seconde case, quando qui stiamo parlando di comuni in cui sono disabitate anche le prime case, quelle che una volta erano le case di civile abitazione delle tante, o poche, famiglie che poi le hanno abbandonate? Mi riferisco non solo ai comuni di montagna o a quelli collinari, ma anche ai comuni piccoli Pag. 28di pianura, così come alle frazioni di comuni più grandi che sono state abbandonate.
Non a caso, nella proposta di legge al nostro esame, all'articolo 2, comma 1, lettera g), nell'elenco delle tipologie di comuni cui si applica la normativa non vengono inseriti solo i comuni a sé stanti che abbiano una popolazione inferiore ai 5 mila abitanti e che si trovino in certe condizioni, ma anche le frazioni che si trovano nelle stesse condizioni.
Quindi, vi è una profonda contraddizione nei comportamenti del Governo, il quale, da un lato - ben venga - esprime un parere favorevole nei confronti di questa proposta di legge, ma, dall'altro lato, si comporta in modo esattamente opposto. Ecco perché ho meno entusiasmo rispetto alla realizzazione concreta di questa legge, quando diventerà tale.
Ho anche qualche dubbio, relatore Vannucci, sul fatto che i comuni o le frazioni interessate siano solo alcune centinaia tra i tanti comuni al di sotto della soglia dei 5 mila abitanti. Perché tale dubbio? Vado a ragionare, ovviamente: ho appena detto che l'articolo 2 prevede che la legge si applica a certe tipologie. Proviamo dunque ad elencarle, lo ha già fatto lei, ma vorrei commentarle: lettera a) «comuni collocati in aree caratterizzate da fenomeni di dissesto idrogeologico...». Signor Presidente Leone, sarebbe interessante sapere dal Ministero dell'ambiente quanti sono i comuni d'Italia che abbiano avuto - negli ultimi dieci o vent'anni - problemi idrogeologici. Credo che siano almeno la metà dei comuni italiani.
Poi prosegue, sempre la lettera a): o caratterizzate «...comunque, da criticità dal punto di vista ambientale». Dunque, l'altra metà dei comuni italiani. Sto forzando i toni, ma è per farvi capire.
Inoltre, relatore Vannucci, il comma 2 del medesimo articolo demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della proposta di legge al nostro esame, l'individuazione dell'elenco dei comuni interessati alle norme previste in questo provvedimento. Dunque, temo che i comuni interessati siano molti di più.
Vado avanti: comuni caratterizzati da specifici parametri di disagio insediativo, cioè tutti quelli che stanno dentro quel contesto, a meno che siano grandi comuni di riferimento per la seconda o la terza abitazione, della montagna o della collina, e anche alcuni della pianura, come dicevo già prima. Poi vi sono i comuni siti in zone montane o rurali caratterizzate da difficoltà di comunicazione e le frazioni, come ho appena detto.
Non sarebbe neanche male se fosse una di queste caratteristiche, di questa tipologia di problemi, a individuare i comuni interessati da queste norme, però la platea rischia di essere troppo alta e grande rapportata agli obiettivi che si pone il provvedimento, che sono alti e sono condivisibili, lo dico onde evitare fraintendimenti.
In relazione al punto b) sottolineo la scarsità delle risorse finanziarie messe a disposizione: non si fa merenda, pranzo o cena con i fichi secchi, manco la merenda, figuriamoci il pranzo o la cena. Non si fanno le nozze coi fichi secchi, io parlo di cene normali, figuriamoci quelle dei pranzi di nozze. Quali sono gli obiettivi alti? Questo provvedimento - leggo testualmente il comma 1 dell'articolo 1 - ha lo scopo: «di promuovere e di sostenere lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, di garantire» - la lingua italiana è precisa, è una delle più precise al mondo - «l'equilibrio demografico del Paese, favorendo la residenza in tali comuni e contrastandone lo spopolamento, nonché di tutelarne e di valorizzarne il patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico». Si riferisce quindi alla necessità di garantire l'equilibrio demografico. Ma per raggiungere questo obiettivo, amici, colleghi, ci vorrebbero risorse immense a disposizione; così non è al momento ma, il rischio che diventi davvero una legge manifesto, parole del relatore, è alto. Ecco perché ci aspettavamo, e non è colpa certamente dei due relatori, che da parte del Governo ci Pag. 29fosse maggiore attenzione a che il provvedimento venisse coniugato, come già dicevo prima, con il codice delle autonomie, con la legge sul federalismo municipale e che venissero messe delle risorse.
Per brevità, vado speditamente a prendere in considerazione una ulteriore questione; vengo da una regione, signor Presidente, lei lo sa, il Piemonte, che rappresenta da sola oltre un ottavo degli 8 mila comuni italiani, sono 1.216 i comuni in Piemonte, di cui il 95 per cento inferiori ai 5 mila abitanti; immaginate cosa voglia dire questo, immaginate la dispersione che esiste. È proprio perché vengo da un territorio che ha queste caratteristiche che, pur avendo fatto il sindaco di una città di 30 mila abitanti, ma circondata da altri comuni con popolazione decisamente inferiore, anche ai mille abitanti, mi è dato di conoscere qual è lo stato dell'arte di quei comuni. Ecco perché mi pongo il problema di come sia possibile davvero garantire quegli obiettivi che sono elencati nel comma 1 dell'articolo 1: promuovere e sostenere lo sviluppo e garantire l'equilibrio abitativo, residenziale e demografico.
È chiaro che sono condivisibili tutte le norme previste all'interno di questa proposta di legge, da quelle contenute nell'articolo 3, relative alle disposizioni in deroga a leggi vigenti che ne favoriscano lo sviluppo, per esempio il codice degli appalti o la programmazione dei lavori o la infrastrutturazione di quei comuni, in modo tale da rendere le procedure più veloci, più snelle e meno vincolati, ma nello stesso tempo mi chiedo con quali quattrini. Ecco perché insisto, si può immaginare oggi che un comune - temo che neanche quelli più grandi, oltre i 5 mila abitanti, oltre i 10 mila abitanti potrebbero farlo - sia oggi in grado di acquistare dal demanio, dall'Agenzia delle entrate al valore economico definito dai competenti uffici delle Agenzie del territorio, le attuali proprietà ANAS e ferroviarie, i caselli dismessi, disabitati e non più utilizzati; con quali risorse può essere in grado un comune di mille abitanti o di settecento abitanti di acquisire dallo Stato una proprietà al valore di mercato quando non riesce a garantire i servizi minimi alle persone?
Come sia in grado - ed è un ottimo obiettivo quello di consentirlo ai comuni che si trovano in quelle condizioni - di potere, in qualche modo, concentrare anche su un unico luogo e unico ambiente l'erogazione di una pluralità di servizi come quelli sociali, energetici, scolastici, postali, artigianali, turistici, di comunicazione, di volontariato, di associazionismo culturale, commerciale e di sicurezza? Come? Ne prendo uno solo di esempio: quello della scuola e di una formazione di una classe dirigente, che parte dai primi livelli di formazione, ossia dalle scuole materne, che non ci sono più - sarebbe ancora meglio partire dagli asili nido, che non esistono in nessuno di questi comuni - e dalle scuole elementari che verranno chiuse, perché il decreto, diventato «legge Gelmini», va in quella direzione.
Oggi, come non possiamo non essere d'accordo con quello che è scritto in questo provvedimento? Noi siamo d'accordo e sono convintamente favorevole, ma nello stesso tempo non mi posso sottrarre dall'evidenziare la terribile contraddizione che esiste tra quanto contenuto in questa proposta di legge e in quelle che il Governo ha emanato e fatto approvare da una maggioranza - permettetemi di dire - supina rispetto alla volontà del Governo. Si vuole razionalizzare - grande parola inventata dal Ministro dell'economia e delle finanze, e non dal Ministro Gelmini - che poi si traduce, in italiano più comprensibile, in «tagliare», e dall'altra si dice: se vi mettete insieme e se le regioni vi vengono incontro, vi consentiamo, con questa proposta di legge, di mantenere i servizi - come quello scolastico - aperti, cioè funzionanti.
Ma di nuovo la domanda è: con quali risorse? Chi le mette, la regione? Ma se le regioni si trovano in condizioni peggiori dei comuni, e, non a caso, proprio le regioni che sono a confronto proprio in questi giorni e in queste settimane sul decreto delegato attuativo del federalismo fiscale regionale evidenziano già le grosse Pag. 30difficoltà derivanti dall'ultima finanziaria e, ancora prima, dal decreto-legge n. 78 del 2010, della scorsa estate.
Vi sarebbero ovviamente tante cose da dire, ma tralascio l'obiettivo, quello di mettere in prima fila; mi auguro sia davvero così. Ministro Romani, con niente risorse - anche se non suona bene in italiano, stavo per dire scarsissime, ma sono zero - destinate alla realizzazione della banda larga in Italia, come si può immaginare che si possa iniziare dai piccoli comuni, quando invece, purtroppo o per fortuna, quei pochi comuni che lo stanno realizzando sono quelli grandi che se lo fanno in proprio? Capite che anche qui vi è davvero una grande contraddizione?
Vado avanti: degli istituti scolastici ho già detto e sui servizi idrici non ho nulla da aggiungere, ben venga la riscrittura di alcune norme che consentono ai piccoli comuni la gestione in proprio del proprio acquedotto, soprattutto per quei comuni che, guarda caso, hanno l'acqua nel proprio terreno e servono anche altri comuni, in particolari i grandi comuni. Perché non favorire questi comuni minori? Si tratta di una buona proposta, che noi condividiamo in toto.
Arrivando alle questioni previste dagli articoli 10 e 11, cioè a quelle riferite alla famosa questione di come si riescano a fare le nozze con i fichi secchi. Con tali articoli vengono istituiti due fondi (come ricordava il relatore), uno dei quali per l'incentivazione della residenza nei piccoli comuni. Le risorse di questo fondo proverranno da una lotteria ad estrazione istantanea denominata per l'appunto «piccoli comuni». Mi auguro che almeno i cittadini dei piccoli comuni partecipino a questa lotteria, visto che poi le ricadute dovrebbero arrivare a loro medesimi.
Ma mi auguro che ci sia anche un'attenzione da parte di coloro che negli anni si sono trasferiti altrove per una terribile operazione di massiccia urbanizzazione che nel corso degli anni è avvenuta, con tutte le conseguenze anche di degrado - oltre che abitativo, civile e umano - delle estreme periferie delle nostre città, ma che negli ultimi anni ha avuto ancora un'ulteriore massiccia urbanizzazione. I comuni dove è già più presente l'urbanizzazione, infatti, si sono trovati in condizioni economiche e finanziarie, grazie ai tagli fatti da questo Governo e dal rispetto del Patto di stabilità, con l'unico strumento a loro disposizione che era quello di consentire che si urbanizzasse ulteriormente il proprio comune, perché ne derivavano gli oneri di urbanizzazione.
L'unico obiettivo era fare cassa, come per esempio con le multe. Quindi, va tutto bene (si fa per dire), ma poi si va a constatare che così non è e allora da questo Fondo - mi auguro di essere ovviamente smentito dai fatti - temo che non arriveranno grandi risorse finanziarie. Queste risorse - mi riferisco sempre al Fondo per l'incentivazione della residenza - dovrebbero servire all'acquisto di immobili destinati ad abitazione principale o attività economiche nei comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti. Dovrebbero essere attinti da questo Fondo i contributi da erogare a soggetti passivi dei tributi riferiti al possesso di immobili destinati ad attività economiche sempre in quei comuni, il recupero di immobili abbandonati e iniziative volte a favorire manifestazioni ed eventi artistico-culturali.
Poi arriviamo - dulcis in fundo e vado a concludere - all'articolo 11, relativo all'altro Fondo, quello relativo alla concessione di contributi statali destinati al finanziamento di interventi diretti a tutelare l'ambiente, i beni culturali, alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici, alla promozione dello sviluppo economico e sociale sempre dei comuni alla nostra attenzione. Ma da cosa è costituito questo Fondo? 40 milioni di euro: meglio che niente, ma dipende sempre dalla platea di comuni che avranno titolo per attingere da quel Fondo per realizzare quegli obiettivi che ho appena finito di elencare.
Quindi, temo che ci sia una dispersione enorme, a meno che non si faccia un'altra politica, di favorire qualche comune e di penalizzarne altri. Ma verrà applicato in modo rigoroso quanto previsto da questa Pag. 31norma? Poi lo verificheremo perché per fortuna è stato previsto che l'elenco che il DPCM evidenzierà dovrà fare un passaggio nelle commissioni competenti cioè la V e l'VIII per verificare se siano stati rispettati tutti i parametri.
Stiamo parlando di 40 milioni, ma - oltre alla terribile scarsità di risorse - la domanda che pongo al sottosegretario presente - anche se so non essere la sua specifica competenza, ma lo prego di girare a chi di dovere questa mia osservazione decisamente critica, tant'è che anticipo ai colleghi e ai relatori che abbiamo presentato emendamenti sui quali mi auguro che ci siano attenzione e convergenza da parte di tutti e che vanno a correggere quanto previsto in questo articolo 11 - è: dove si vanno a prendere questi 40 milioni? Per 20 milioni dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per 20 milioni dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Signori, sappiamo cosa vuol dire tutto questo oppure ce ne rendiamo conto e facciamo finta che quello che è scritto sia carta straccia? Stiamo parlando di tagli al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di risorse che sono destinate - finché non sarà legge rimarranno lì - per la difesa del suolo e per la bonifica dei siti inquinanti. Per quanto riguarda, invece, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le risorse sono destinate al finanziamento di opere ferroviarie.
Proponiamo che questi 40 milioni, nel suo complesso, vengano invece prelevati dall'ultima versione della «legge mancia», in modo da arrecare minor danno. Oppure, come prevediamo con un'altra proposta emendativa, che sia il Ministero dell'economia e delle finanze, se crede per davvero nella bontà di questo provvedimento - cosa che mi auguro -, ad andare a individuare di suo dove prendere le risorse e che queste siano decisamente superiori.
Sfideremo la prossima settimana il Governo, visto che oggi si svolgerà solo la discussione sulle linee generali, mentre la discussione sugli emendamenti e sul resto della proposta di legge sarà rinviata alla settimana successiva, a individuare più risorse e capitoli diversi dai quali attingere, perché così si dà un segnale forte a questi comuni. Siamo tutti d'accordo sugli obiettivi e sugli strumenti che vengono messi a disposizione, ma sulle risorse finanziarie vi è ancora molto da fare. La sfida è tutta qui (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Angelis. Ne ha facoltà.

MARCELLO DE ANGELIS. Signor Presidente, definirei questo provvedimento di iniziativa parlamentare un provvedimento a lungo atteso. Mi associo senz'altro al merito reso dall'onorevole Cambursano al collega Realacci che, in realtà, ha fatto di questa proposta una proposta di bandiera degli ultimi dieci anni - e forse anche più - di attività parlamentare. Pertanto, credo che sia doveroso riconoscere che se oggi siamo alla soglia del voto su questo provvedimento è senz'altro per merito della sua pervicacia.
Non mi associo - ed è ovvio - alla visione pessimistica del bicchiere mezzo vuoto, che ha così ben articolato l'onorevole Cambursano, un po' per ottimismo innato, come nel caso del relatore, un po' anche perché influenzato probabilmente da letture soggettive (ma in questo caso è difficile esimersene).
Vengo da un territorio, che è quello della provincia de L'Aquila, che è interessato da questo intervento per il 98 per cento dei comuni del territorio che, ahimè, tra l'altro rientrano tutti quanti in tutti quanti i parametri - mi si scusi il bisticcio di parole - elencati nel provvedimento. Sono tutti comuni che, purtroppo, hanno situazioni di marginalità economica e sociale, che sono caratterizzati da disagio insediativo, da un indice di vecchiaia della popolazione, che sono collocati in zone montane con difficoltà di comunicazione rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni e che hanno risentito, anche recentemente, non tanto dei problemi, Pag. 32ovvi, del sisma, ma di un aggravamento di problemi di dissesto ambientale che erano, ahimè - ne siamo tutti quanti consapevoli - generati anche dall'abbandono dei cittadini.
Negli ultimi quarant'anni ho avuto -, come in fin dei conti tantissimi concittadini, o meglio, compaesani, perché gli italiani, nella maggior parte, anche se cittadini in realtà sono rimasti paesani e spesso sono inurbati da non più di una generazione o due e hanno l'abitudine di ritornare al proprio paese d'origine -, l'esperienza, per almeno due volte l'anno, di attraversare il territorio e di vedere questi piccoli centri, che sono di per sé dei piccoli gioielli, fino ad arrivare al mio paese d'origine, sempre più impoveriti ma in termini assolutamente fisici. Ho visto le case che non venivano più risistemate perché considerate inutili, le scuole desertificate là dove vi fossero, le stesse strade non rimesse a posto perché, in fin dei conti, i fondi, scarsi, della provincia venivano destinati a vie più importanti o di più grande percorrenza. A poco a poco, in alcuni centri ho visto addirittura il bar della piazza rimanere pressoché deserto, frequentato da appena pochi vecchi in realtà in attesa della morte propria, se non della morte del paese.
La mia esperienza parlamentare, non enorme, mi ha insegnato a vedere nei provvedimenti di legge l'inizio della risoluzione di una problematica piuttosto che la sua conclusione. Credo che questa proposta di legge sia un buono schema. Ringrazio il relatore Vannucci per avere elencato tecnicamente tutti i punti salienti.
Credo che la proposta legge partisse già bene nei suoi propositi, ma che sia stata migliorata dall'ottimo lavoro fatto da entrambe le Commissioni. Quasi tutti gli interventi - non mi azzardo a dire tutti, ma lo penso - sono stati migliorativi e anche volti a cercare di trovare delle soluzioni al problema che riguarda tutti i nostri provvedimenti: la copertura finanziaria.
Sono assolutamente d'accordo con l'onorevole Cambursano, ma credo che nessuno potrebbe essere in disaccordo, sul fatto che ci vorrebbero maggiori stanziamenti, che sarebbe auspicabile che vi fossero maggiori risorse, ma, francamente, ritengo che sia evidente che viviamo in una stagione di ristrettezze economiche e che sottolineare semplicemente che non vi sono fondi sufficienti non sia adeguato, salvo chiedere di toglierli da una parte per metterli da un'altra.
Anche se mi rendo conto che si tratta di un intervento irrituale, è per questo che ritengo che questa soluzione di grande creatività italiana dell'introduzione di una lotteria finalizzata al finanziamento di questi fondi sia comunque l'esplicito riconoscimento del fatto che vi fosse e vi sia la volontà, che definire bipartisan è riduttivo, perché ritengo che coinvolga tutta la rappresentanza parlamentare, di dare una risposta a questo problema, che non è nato oggi.
L'abbandono dei piccoli centri è un meccanismo che, in realtà, ha caratterizzato il secolo precedente. Lo sviluppo della nostra società mondiale ha portato, come sottolineano le Nazioni Unite, ad avere di recente una maggiore popolazione mondiale nelle megalopoli rispetto, come era fino a metà degli anni Duemila, agli abitanti dei piccoli centri o delle campagne. Nei Paesi occidentali un po' più evoluti del nostro questa percezione della necessità di riscoprire i piccoli centri come dei luoghi di qualità di vita migliore si è già avviata decenni fa. Penso all'Inghilterra, dove, in realtà, i più abbienti sono quelli che lasciano le città per andare a vivere nei piccoli centri.
Sono anch'io assolutamente convinto che questa proposta di legge sia un buon punto di partenza e crei uno schema di sviluppo alternativo, anche in termini amministrativi, rispetto ad una deriva di impoverimento della rappresentanza politica delle periferie dei piccoli centri, che è iniziata, anch'essa, molto tempo fa, a mio avviso addirittura con l'istituzione delle regioni.
L'idea dello scioglimento delle province senza un'adeguata politica di ulteriore o diverso decentramento, come può essere il federalismo municipale, o anche l'attenzione Pag. 33ai piccoli centri, rappresenta semplicemente un ulteriore stimolo per la desertificazione della maggior parte del nostro territorio. Questo strumento va, però, sicuramente affiancato ad altri. Certo, ci vogliono incentivi o comunque interventi importanti per la salvaguardia o il rilancio dei centri storici, anche dei piccoli comuni, ma, a mio avviso, occorre soprattutto una politica di maggiori incentivi economici.
Le persone, anche giovani, qualora ne avessero la possibilità, lasciano i piccoli centri non tanto perché non vi sono le scuole o perché non vi è l'ufficio postale, ma perché non vi è lavoro. Sappiamo che, nel momento in cui vi fosse occupazione attraverso incentivi rivolti alla rete cooperativistica o anche ulteriori incentivi nei confronti delle micro imprese o delle imprese familiari, laddove vi fosse la possibilità di lavorare - lo sappiamo tutti - le comunità hanno la capacità, con vero spirito di sussidiarietà, di trovare delle soluzioni.
Se vi sono persone che decidono di abitare e di mettere su famiglia nei piccoli centri, vi saranno dei bambini e vi sarà l'esigenza di trovare fondi e soluzioni, anche per le scuole. Questi 40 milioni sono una base di partenza, non entusiasmante, ma ho imparato, almeno in questi tempi, a sorprendermi favorevolmente della capacità di reperire fondi piuttosto che degli annunci di tagli, che sono ormai la nostra quotidianità.
Credo che se la volontà di portare avanti questo nuovo modello di sviluppo - perché di questo si tratta e non semplicemente di un tentativo di tutelare i piccoli centri - continuerà ad avere, in particolar modo al Senato, la stessa identità di veduta, la proposta di legge in esame potrà rappresentare una base di partenza per dare nei prossimi dieci anni non un'evoluzione, ma un ritorno ad un volto più sano della nostra nazione in senso unitario e non semplicemente in termini simbolici o celebrativi, restituendo a tutti i cittadini d'Italia, in qualsiasi territorio ed in qualsiasi contesto essi vivano, quella loro caratteristica di radicamento che, d'altronde, ha fatto di questi piccoli comuni, per tutti noi, il luogo della memoria.
Spesso e volentieri sono i posti dove abbiamo seppellito i nostri morti e, anche a distanza di generazioni, ritorniamo a seppellirli. Sono dei luoghi sacri dove è l'anima della nazione e del nostro popolo da secoli (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, come avrà capito, la proposta di legge in esame è condivisa. Tutti gli interventi che vi sono stati, peraltro svolti da colleghi che la hanno anche sottoscritto, andavano nella stessa direzione. Ovviamente, sono d'accordo anche con ciò che dice il collega Cambursano, ossia che ci vorrebbero più risorse. Però, abbiamo fatto i conti con la condizione esistente e se, nel corso della discussione del provvedimento in oggetto, si potranno trovare più risorse sarà tanto di guadagnato.
La proposta di legge in esame, però, ha un suo senso, come mi sembra dicesse da ultimo anche il collega De Angelis, non solo per l'entità dei finanziamenti, ma anche per come propone di cambiare ottica nel guardare a questi territori. Proust diceva che un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi.
Possiamo guardare a questi territori - ed è uno sguardo che dobbiamo avere - con l'occhio di chi è attento al disagio che è una componente. Sappiamo, infatti, che in questi territori, in cui, come ricordava il collega Dionisi, vivono circa dieci milioni di cittadini italiani, che rappresentano il 72 per cento dei comuni italiani e oltre 5.800 comuni che amministrano, grosso modo, il 50 per cento, del territorio nazionale, vi sono condizioni di disagio e che, a volte, anche i diritti elementari vengono messi in discussione. Se ci limitassimo però a questo sguardo credo che non faremmo fino in fondo il nostro dovere di indirizzare l'attività del nostro Paese verso il futuro.
Come pure potremmo guardare a questi territori - e questo ci paralizzerebbe - Pag. 34secondo l'ottica delle competenze. Questo è un rischio forte. Tengo molto, come altri, a questa maniera di guardare all'Italia e, come ricordava prima il collega Cambursano, quello che è accaduto nelle passate legislature è che alla Camera veniva approvato un provvedimento con un'ampia maggioranza, a volte anche all'unanimità, poi al Senato lo stesso provvedimento arrivava alla Commissione affari costituzionali che cominciava a guardarlo con un'ottica giusta che, però, alla fine, fa perdere di vista il Paese, ossia l'ottica del chiedersi se la responsabilità di quanto previsto spetti al comune, alla provincia, alla regione, alla comunità montana, al parco, allo Stato nazionale, a questo o a quel Ministero. Tutte osservazioni giuste, ma che fanno perdere di vista un'ottica che è quella dell'Italia.
Faceva bene il collega Vannucci a richiamare con forza la coincidenza positiva che fa cadere il dibattito sulla proposta di legge in esame nel centocinquantenario dell'unità d'Italia perché il provvedimento in discussione vuole dire, innanzitutto, che abbiamo dei problemi, ma anche delle grandi opportunità per il Paese che vanno, ovviamente, affrontate destinando delle risorse, ma anche mettendo in moto delle energie. Tante volte questi territori si mettono in moto anche a partire da un bravo sindaco, da un imprenditore che scommette su una produzione che si svolge in quel luogo.
Alcune delle norme che sono contenute nella proposta di legge in oggetto sono a costo zero, ma hanno un alto valore simbolico e motivante. Come ricordava anche il collega Vannucci, sembra banale, ma è importante far registrare nei comuni coloro che sono nati in quel comune e che soltanto per ragioni di maggiore tutela sono andati in un ospedale in un altro comune nella fase della nascita in senso stretto, oppure permettere ai comuni di valorizzare nella toponomastica prodotti di qualità che in quei comuni vengono realizzati, o prestare una particolare attenzione alla razionalizzazione dei servizi pubblici nei piccoli comuni.
Infatti, chiudere una scuola o un ufficio postale in un'area di una città è una cosa; la stessa chiusura in un piccolo comune è un'altra operazione, perché la coppia giovane fa fatica a rimanere in un territorio se il bimbo che nasce deve poi andare troppo lontano.
Così pure ci sono tante misure che vanno nella direzione della proposta di legge, ma soprattutto, oltre allo stanziamento dei 40 milioni di euro, che ci auguriamo possano essere aumentati, lo sforzo di questa proposta di legge, in tutte le azioni che propone, è quello di guardare a questa parte d'Italia estesa, variegata e differenziata - si va dalle piccole isole alle Alpi e, come ricordava prima il collega De Angelis, nella provincia de L'Aquila sale ancora di più questa percentuale del 72 per cento di comuni sotto i 5 mila abitanti - effettivamente come una grande occasione per il nostro Paese.
Perché è una grande occasione? Lo dico in termini semplici: l'Italia è forte se fa l'Italia ovvero se anche nella competizione internazionale presidiamo le cose che noi possiamo fare ed altri non possono fare. Diceva Carlo Maria Cipolla che la missione dell'Italia è produrre all'ombra dei campanili cose che piacciono al mondo. Già in questi comuni molto spesso vi sono produzioni di grande qualità che non sono legate solo al settore dell'agroalimentare. Questi territori sono spesso pieni di produzioni di qualità, di prodotti DOP e IGP, di grandi vini, ma anche di grandi prodotti in generale. Penso al pecorino di Farindola - per parlare di cose che il collega De Angelis ben conosce - che è l'unico pecorino che si produce con il caglio di maiale, ma penso anche ad imprese che con un meccanismo tipico dell'Italia, mantenendo le radici nel territorio, scalano il mondo: a Monterubbiano vi è l'azienda che ha costruito le macchine elettriche per le olimpiadi di Pechino; a Massa Martana vi è una delle migliori aziende del solare termico nel mondo, ovvero l'Angelantoni industrie Spa; a Muccia, zona del collega Vannucci, si produce il migliore anice secco del Mediterraneo e a Monte Isola, in provincia di Brescia, vi Pag. 35è un'azienda, La rete Srl, erede di una antica tradizione - in quella zona si producevano reti da pesca addirittura all'epoca di Carlo Magno - che ha realizzato le reti per i mondiali in Corea e, questa settimana, delle reti tricolore, fabbricate proprio a Monte Isola questo piccolo comune sul lago d'Iseo, verranno messe in tutti i campi di calcio di serie A in Italia.
Potremmo continuare molto a lungo, per esempio con la nuova Simonelli a Belforte del Chienti; qualche settimana fa la prima pagina del The New York Times è stata occupata da un comune, sempre abruzzese, Tocco da Causaria, che presenta il 100 per cento dell'energia realizzata con fonti rinnovabili. Lo stesso accade a Scansano in Toscana, dove peraltro si produce anche un vino di particolare qualità.
Perché dico questo? Perché in tutti questi posti non c'è solo il sintomo di un disagio: c'è una scommessa per il futuro, vi sono dei potenziali, a partire da una produzione di qualità e da sindaci bravi che investono sul territorio e che si inventano iniziative. Pensiamo al sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, che è stato assassinato mesi fa, ma che era una risorsa straordinaria del suo territorio. Possiamo dire che Pollica quest'anno sarà la capitale della piccola e grande Italia, di questa iniziativa che la Legambiente promuove ogni anno in cui vengono coinvolti migliaia di comuni.
Personalmente sono d'accordo, anche se temo che non se ne farà niente per evitare intoppi: in questi comuni anche il discorso del terzo mandato andrebbe rivisto, perché tante volte un sindaco di qualità vale più di un finanziamento per la promozione del territorio. In questi comuni vi sono avventure umane che fanno bene al Paese. Vi è l'idea dell'unione dell'Italia, che non è un'idea ripiegata e antica, ma è un'idea dell'Italia, che può essere una chiave per il futuro del nostro Paese, proprio perché non perde la propria anima e magari la collega, attraverso la banda larga, al resto del mondo e scommette sul fatto che si può andare a testa alta nel mondo, se non si perde la propria identità. L'Italia è forte nel mondo quando viene vista così.
Del resto questo è anche il senso se volete dell'articolo 9 della nostra Costituzione, perché in esso si afferma: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il passaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Nessuna Costituzione al mondo pone, nello stesso articolo, il paesaggio e il patrimonio storico con la ricerca scientifica e tecnica. È nella congiunzione di modernità e di identità, di futuro e di passato, la scommessa dell'Italia.
Il senso di questa legge, non risolutivo - sono d'accordo con le parole pronunciate da tutti i colleghi e anche dal collega De Angelis da ultimo -, è che vuole mettere in moto un processo per avvertire che non stiamo parlando di sventurati cui guardare, scusate la brutalità, con occhio di compatimento, perché spesso così capita in quest'Aula quando si parla di piccoli comuni e si dice: «Poverini, ma la storia va da un'altra parte». Non è vero, la storia dell'Italia non va da un'altra parte, passa per i territori e per le identità.
Amo molto un carteggio svoltosi durante la guerra tra due intellettuali antifascisti, Pietro Pancrazi e Piero Calamandrei che, nel corso del 1941, girando l'Italia, si scambiavano le impressioni sul nostro Paese. Di ritorno da una visita a Recanati, Calamandrei scrive all'amico: «Questa nostra terra dove ogni valle e ogni cima ha un nome di famiglia, dove a scavar colline ci si accorge che son tombe sulle quali siamo cresciuti senza che mai si sia rotto nei millenni il filo della parentela con quei sepolcri». Pancrazi risponde: «Allora nasce dentro di noi come un intendimento e si sente, allora come non mai, di volere molto ma molto bene all'Italia». Questo voler bene all'Italia non è un retaggio del passato ma una scommessa sul futuro e questo provvedimento vuole rappresentarla (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 54-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge Contento: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, nonché al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, in materia di remissione tacita della querela (A.C. 1640-A) (ore 15,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge di iniziativa del deputato Contento: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, nonché al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, in materia di remissione tacita della querela.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 10 marzo 2011.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1640-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Sisto, ha facoltà di svolgere la relazione.

FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore. Signor Presidente, il museo di Brooklyn alla fine del 2010 ha organizzato una mostra di un pittore americano, Fred Tomaselli, e fra i dipinti in esposizione ce n'è uno che si chiama Field guides, che vuol dire il modo di guidare un campo. Esso rappresenta un contadino che, coloratissimo, si occupa di coltivare con la zappa un campo di funghi ma la caratteristica è che il contadino ha uno sciame enorme di farfalle che entra ed esce dal suo corpo e dalla sua testa. Questa è l'immagine che, credo, dobbiamo avere di un legislatore che, pur essendo chiamato a coltivare il campo delle leggi, non può non essere sensibile allo sciame di farfalle, ovvero al diritto vivente.
In tema di giustizia, cioè, non si può legiferare senza conoscere esattamente che cosa accade nella realtà, perché le regole non siano soltanto un segnale di rispetto formale del sistema ma si preoccupino essenzialmente di calarsi in quello che si percepisce, signor Presidente, e cerchino in qualche modo di raccogliere i segnali che quotidianamente rendono il diritto capace di regolare quanto accade. Allora se dobbiamo tener ben presente la realtà e fare dell'interpretazione della norma un percorso che non sia stereotipato e fisso ma capace di vivere quello che cambia nella storia - forse le parole tradiscono e vanno un po' oltre quello che questa piccola legge rappresenta ma quel che conta è la novità dell'approccio - in questa scia si colloca la normativa in esame. Perché essa si colloca in questa scia?
Perché innanzitutto è una normativa che introduce delle nuove ipotesi di revisione tacita della querela (in altri termini, scandendo con migliore chiarezza quando certi comportamenti paralizzano la prosecuzione del processo penale, perché in qualche modo concludente non vada al di là di quella che è la necessità logica, giuridica e razionale del sistema) che operano su fronti assolutamente logici e condivisibili, in linea con la politica di sgretolamento di taluni nodi adottata dal Ministro Alfano. Mi riferisco alla tecnica delle piccole riforme utili, concernente tutto ciò che può intervenire nel sistema per rendere più fluida la circolazione nei percorsi del plasma. Quindi si tratta di una selezione qualitativa e quantitativa del bene giuridico leso. Noi ci occupiamo di reati procedibili a querela che, per loro stessa ragione e natura, essendo sottoposti all'input del privato, si presentano come meno gravi rispetto ad altre fattispecie che sono invece notoriamente procedibili d'ufficio. Pag. 37In secondo luogo si privilegia il diritto della persona offesa che o sceglie deliberatamente, con un comportamento concludente, di non dare impulso al procedimento penale, ovvero accetta il risarcimento del danno (questo è un altro atteggiamento che in maniera concludente paralizza la prosecuzione del processo penale), ovvero riceve un'offerta formale, ma reale e effettiva, di risarcimento del danno che viene giudicata equa dal giudice e per ciò stesso legittima il dato che la persona offesa in qualche modo è messa nelle condizioni di non poter proseguire il processo penale.
In altri termini, qual è la scelta che noi cerchiamo di rappresentare come logica e utile soprattutto al sistema? Quella di un ragionevole esercizio della cosiddetta azione penale privata, cioè esercitata dai soggetti che propongono querela, perché il diritto di punire - non va dimenticato - non appartiene al privato, appartiene allo Stato. Quindi, è lo Stato che ragionevolmente stabilisce come e se intervenire in determinati frangenti e dare una regolamentazione al diritto soggettivo di punire esercitato diversamente. È sempre lo Stato a stabilirlo, quindi la persona offesa non ha un titolo autonomo per ottenere un'affermazione di responsabilità in sede penale. Intanto qualche volta è possibile perché lo Stato regolamenta e affida alla persona offesa determinati frangenti. Così si spiega storicamente (basterebbe leggere i lavori preparatori del 1931) la possibilità di proporre querela, tant'è che è la stessa parte che può autonomamente interrompere il flusso penalistico rimettendo appunto la querela. Se non vi fosse questa chance che lo Stato offre al privato non potremmo comprendere come mai il privato può esercitare una querela e può a sua volta «arbitrariamente», lo dico tra virgolette, liberamente, tornare indietro e fare in modo che quel cavallo che supera l'ostacolo (immagine classica della querela) torni indietro e si possa quindi revocare la richiesta di esercizio dell'azione penale (in senso atecnico, come incipit del processo penale). Con questa proposta normativa si tende ad evitare che vi siano processi penali cosiddetti di principio, cioè che non vi sia un ragionevole contemperamento tra la prosecuzione del processo penale e un ragionevole bilanciamento di interessi. L'esigenza di speditezza viene contemperata e in qualche modo uniformata a quella che è l'effettiva esigenza di tutela. D'altronde non è una rara avis del nostro sistema. Rammenterò l'articolo 35 della normativa in tema di giudice di pace che già prevedeva un sistema di questo genere, ovverosia comportamenti dell'imputato che legittimassero l'estinzione del reato, e anche lo stesso 341-bis, la reintroduzione del reato di oltraggio, che è nato in questo Parlamento, in cui il risarcimento del danno in favore del pubblico ufficiale e della pubblica amministrazione comporta l'estinzione del reato. Anche in quel caso, per giurisprudenza costante, è sufficiente l'offerta reale ritenuta congrua dal giudice perché il reato sia estinto. In altre parole, non è un meccanismo nuovo, ma si tratta di prendere atto, per esigenze di speditezza ed è corretto, Presidente, che, laddove vi sia un segnale di resipiscenza dell'imputato e il risarcimento del danno è accettato, ovvero nelle forme dell'offerta reale secondo l'antica giurisprudenza in tema di attenuante di cui all'articolo 62, n. 6 prima parte, del codice penale, la querela si debba ritenere tacitamente rimessa. Questo è un sistema ragionevole. Perché è un sistema ragionevole? Perché privilegia comunque il soddisfacimento delle ragioni delle persone offese.
Lo ritengo - e non ho timore a dirlo - addirittura più ragionevole della stessa depenalizzazione perché, quando si depenalizza, andiamo incontro, signor Presidente, ad una scelta di decriminalizzare un reato ed espungerlo tout court dal range dei reati che possano essere tali, cioè condotte illecite che non sono più reato e, quindi, la persona offesa non ha altra scelta che rivolgersi, se vi fossero responsabilità extracontrattuali, ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, al giudice civile. Ma, quando offriamo alla persona offesa una tutela penale che, intanto, è dismissibile perché vi è un risarcimento Pag. 38del danno, andiamo a privilegiare il diritto della persona offesa. La ragionevolezza, cioè, è proprio nel dato che intanto vi è remissione di querela per comportamenti concludenti - la mancata comparizione alla prima udienza -, per il danno risarcito - altro comportamento concludente -, per l'offerta reale ritenuta congrua dal giudice procedente, e, quindi, una ragionevole composizione in nome della speditezza. Ciò, per quanto riguarda l'impianto generale del presente provvedimento che - ripeto - cerca di introdurre, nelle scelte del Parlamento, un tipo di diritto penale più moderno e che sia più capace (shakerando problemi di processo penale e di diritto penale sostanziale quasi che, finalmente, si cominci a respirare in maniera stereofonica, non dividendo il processo dal diritto sostanziale) di offrire uno strumento idoneo a risolvere una serie di importanti problemi, evitando che il processo penale rincorra le libere volizioni della persona offesa e non sia, invece, ragionevolmente ancorato alla necessità di una sanzione penale.
Detto questo, la proposta di legge modifica il codice penale e specifica le ipotesi di remissione tacita della querela. Interviene, come dicevo, con questa capacità quasi multimediale tra diritto sostanziale e diritto processuale e novella anche il codice di procedura penale e il decreto legislativo n. 274 del 2000 in tema di competenza del giudice di pace. È evidente, infatti, che la persona offesa deve ben sapere che, se non compare alla prima udienza, l'effetto sarà la remissione tacita della querela. Questa è un'attenzione quasi ossessiva del presente provvedimento, cioè curare che l'avviso sia chiaramente esplicitato perché la persona offesa sappia esattamente e correttamente le conseguenze della sua condotta. È, cioè, un comportamento omissivo, ma a forte contenuto commissivo - fatemi passare questo termine -, tanto è severa la scelta di comunicare previamente a quel soggetto che, da quella mancata comparizione, scaturirà la conseguenza della remissione tacita di querela.
Le ipotesi sono queste: il querelante non compare, senza giustificato motivo, in udienza, nonostante abbia ricevuto rituale notifica della citazione; il querelante ha ricevuto risarcimento del danno. Sia chiaro che tutto questo meccanismo è applicabile soltanto ai reati procedibili, ovviamente, a querela, ma con pena inferiore nel massimo a quattro anni; ci stiamo occupando, cioè, di reati di bassa incidenza sul piano della gravità, ovvero reati significativi, ma che, comunque, perché procedibili a querela, mantengono la caratteristica di un bene giuridico ridimensionato proprio a causa della procedibilità. Basterebbe pensare che la persona offesa querelante può immediatamente ritirare, rimettere la querela e paralizza il processo. Benché si tratti di una superfetazione, si è ritenuto in Commissione che non fosse ultroneo ribadire che, questa normativa non è applicabile alle ipotesi di cui all'articolo 609-septies, cioè ai reati di violenza sessuale semplice, aggravata e agli atti sessuali con minorenne, che sono puniti con pena superiore ai quattro anni. È una delle ipotesi in cui abbondare certamente non vizia ed è bene chiarire che, in questa normativa, proprio perché, in determinati casi, il bene giuridico è di particolare gravità, l'oggetto non è indifferente rispetto alla specifica tutela che ciascuna norma incriminatrice ha. Terza ipotesi: l'offerta reale formale, ai sensi dell'articolo 1209 del codice civile, ritenuta congrua dal giudice procedente; in questo caso, l'offerta reale equivale a danno risarcito. Meccanismo non nuovo, signor Presidente, perché anche la giurisprudenza, in tema di attenuante del risarcimento del danno, aveva chiarito che questo meccanismo era idoneo, comunque, a far scattare, a favore di chi offrisse il danno con queste modalità, il diritto a beneficiare della stessa attenuante.
Si tratta quindi di riprendere alcuni temi antichi, cari al diritto penale, di modernizzarli e in qualche modo offrire al giudice, al legislatore e alle parti una chance di effettiva incidenza in un parallelismo, in un'interfaccia tra esigenze di speditezza, consapevolezza del bene giuridico, Pag. 39diritti della persona offesa che vengono ovviamente tutelati. Tutto ciò, con riferimento all'articolo 1.
L'articolo 2 interviene sull'articolo 337 del codice di procedura penale in tema di formalità e prevede l'obbligo per l'autorità che riceve la querela di avvertire il querelante che nelle fasi successive la mancata comparizione all'udienza senza giustificato motivo sarà interpretata come remissione tacita della querela e comporterà l'estinzione del reato. Come vedete l'avviso è immediato e connesso addirittura alla stessa presentazione della querela.
L'articolo 3 modifica l'articolo 419 in tema di atti introduttivi dell'udienza preliminare. Questa novità integra gli avvisi che il giudice deve comunicare e prevede l'obbligo di avvertire il querelante che la mancata comparizione all'udienza senza giustificato motivo comporterà la remissione tacita della querela e la conseguente dichiarazione di estinzione del reato. Sia ben chiaro e lo voglio dire perché non vi siano dubbi - so che sul punto sono stati presentati anche emendamenti - che la costituzione di parte civile ovviamente esonera qualsivoglia tipo di indagine sulla mancata comparizione della persona offesa perché, se compare per costituirsi parte civile a mezzo di procuratore speciale, questo ovviamente significa volontà espressa di proseguire nella querelle - è il caso di dire - nei confronti dell'imputato e quindi non vi sono perplessità.
L'articolo 4 inserisce un comma aggiuntivo all'articolo 484 del codice di procedura penale. Nell'ambito degli atti introduttivi al dibattimento il giudice rinnova d'ufficio la citazione al querelante qualora sia approvato o appaia probabile che questi non ne abbia avuto effettiva conoscenza. Anche in questo caso, il meccanismo è rigoroso perché il comportamento sia concludente e sia sicuramente anticipato o, per così dire, preceduto dalla sicura conoscenza da parte del soggetto delle conseguenze della mancata comparizione.
L'articolo 5 analogamente, con lo stesso spirito, integra il contenuto del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 429 del codice di procedura penale, con l'avvertimento al querelante, solo per reati procedibili a querela, che, in caso di mancata comparizione in dibattimento senza giustificato motivo, il reato sarà dichiarato estinto per remissione tacita della querela.
L'articolo 6 interviene parimenti sull'articolo 552 del codice di procedura penale cioè sulla citazione diretta a giudizio e, in questo caso, reato procedibile a querela, si prevede che il decreto di citazione a giudizio deve contenere l'avvertimento al querelante che, in caso di mancata comparizione in dibattimento senza giustificato motivo, il reato sarà dichiarato estinto per remissione tacita della querela. L'assenza di questo avvertimento comporta la nullità del decreto: anche qui la sanzione è proprio quella della nullità se non vi è questa certezza di conoscenza e mancato avviso. Stessa terapia per l'articolo 7 con riferimento all'articolo 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 in tema di giudice di pace. La Commissione affari costituzionali ha dato parere favorevole con due osservazioni. La prima riguarda la certezza che il querelante abbia contezza di quello che gli accade cioè che sia puntualmente informato di quello che gli succede e, quindi, che si tratti di un'azione volontaria tipizzata e l'altra è quella di sintonizzare questa norma con l'articolo 35 del decreto legislativo n. 274 del 2000. Dirò, a proposito, che il meccanismo si presenta ragionevole e non vado a scomodare la categoria della ragionevolezza come descritta nelle numerose pronunce della Consulta. Perché ragionevole? Perché il meccanismo di questa proposta di legge afferisce a tutti i reati procedibili a querela compresi quelli di fronte al giudice di pace. L'articolo 35 residuerebbe per i reati procedibili d'ufficio soltanto davanti al giudice di pace. Quindi il meccanismo sarebbe: per tutti i reati procedibili a querela vi è questa proposta di legge. L'articolo 35 giustamente, con rispetto del bene giuridico leso davanti al giudice di pace, riguarderebbe soltanto i reati del giudice di pace, residuando Pag. 40per gli altri reati ovviamente il regime ordinario previsto dal codice penale e dal codice di procedura penale.
Un ultimo chiarimento, signor Presidente: in questi giorni vi è stato anche chi, magari per scarsa informazione o per scarsa pazienza, ha ritenuto che, in questa proposta di legge, al di là delle categorie giuridiche che mi sono permesso di scomodare probabilmente non rispettando la qualità delle categorie stesse, vi fosse una chance di intervento ad personam.
Voglio dire che ciò va escluso radicalmente, perché si tratta di reati procedibili a querela, mentre tutto quello che riguarda situazioni ad personam afferisce a reati procedibili d'ufficio; si applica l'articolo 646 nel caso del processo Mediatrade, come abbiamo letto nelle agenzie, ma con l'aggravante dell'articolo 61, n.11 del codice penale, cioè un'aggravante che comporta la procedibilità d'ufficio. Non vorrei che, pur ritenendolo uno sforzo in perfetta linea con quella che è la politica del Ministro Alfano e del Governo (si tratta di piccole riforme utili che modernizzano processo e sanzioni di diritto sostanziale penale) si pensi che si modernizzi troppo, addirittura prevedendo per reati d'ufficio un tipo di estinzione che invece è solo dei reati a querela.
Ci possiamo soltanto scherzare; mi sembra che la correttezza e la lealtà che il Popolo della Libertà ha sempre dimostrato in Commissione ed in quest'Aula meritino una precisazione che esorcizzi questo fantasma, che qualcuno malamente ha agitato.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo e colleghi, non vi è dubbio che questa sia una settimana in cui parlare di riforme sulla giustizia equivalga a toccare il testo più delicato del dibattito politico italiano. Questi sono i giorni delle cosiddette riforme epocali, sono i giorni delle grandi svolte nell'equilibrio fra i poteri dello Stato, che probabilmente porteranno con loro grandi cambiamenti sull'assetto istituzionale.
Credo quindi che in questi giorni si debba andare ancora di più con i piedi di piombo quando si affrontano tematiche come quella normata dal provvedimento in esame. Anche alcune singole disposizioni, infatti, per quanto attinenti strettamente alle dinamiche processuali, possono coinvolgere e sconvolgere aspetti sostanziali in materia di giustizia penale che, se non sono affrontati con la dovuta lucidità e responsabilità, rischiano davvero di creare squilibri evidenti nei rapporti fra il cittadino ed il sistema, fra le parti offese e gli imputati, fra la magistratura e la legge. Certo, ho citato conflitti che sono radicati nel nostro Paese, nodi che faticano a risolversi nonostante i buoni propositi dei padri costituenti, nonostante i principi inviolabili ed indisponibili che regolano la giustizia in Italia, nonostante le intervenute convenzioni internazionali, che anche implicitamente sanzionano il nostro consolidato modo di legiferare su alcuni temi.
Proprio per questo, dovremmo cercare, anche attraverso norme tecniche e procedurali come queste sulla remissione della querela, di intraprendere un percorso nuovo, europeo e davvero riformatore sotto il profilo dei principi in materia di giustizia, equità e trasparenza del sistema, prima ancora che delle sovrastrutture burocratiche. Lo stesso dovremmo fare nei confronti della più ampia ed attualissima riforma della giustizia varata dal Consiglio dei Ministri.
Noi dell'Unione di Centro, come abbiamo fatto tutte le volte che si è trattato di discutere di temi seri ed importanti per il Paese, ci siederemo al tavolo con le altre forze politiche per dare il nostro contributo alla riforma e per renderla quanto più organica ed equa possibile.
È chiaro che vanno rilevati tutti quegli aspetti che non ci convincono, che condizionano eccessivamente le indagini e l'autonomia dei giudici, al fine di valutare se Pag. 41è davvero questa la strada giusta per una riforma organica del processo penale.
Dunque, in quest'ottica ci siamo posti nei confronti di questo testo e gli emendamenti presentati dal nostro gruppo in Commissione erano, comunque, rivolti a garantire l'uniformità sistematica della nuova disciplina con quella vigente, e a rimarcare gli aspetti positivi di un intervento normativo inizialmente condivisibile.
Certo, pur avendo dato mandato favorevole al relatore, oggi non possiamo non rilevare in Aula alcuni nodi fondamentali che frenano e, direi, condizionano la nostra iniziale proposta sostanzialmente favorevole al provvedimento in oggetto. Per quanto, infatti, il testo originario, opportunamente modificato, rappresentasse una costruttiva occasione per intervenire direttamente su alcuni aspetti tecnici del processo al fine di favorirne l'alleggerimento, in un quadro più generale di riforme che tendono, o dovrebbero tendere, ad avere effetti di deflattivi, è nostro dovere rilevare che i lavori hanno, poi, partorito un testo diverso dall'idea originale, nella forma e nella ratio.
Vedete, il testo originario del provvedimento interveniva sull'istituto della remissione della querela tipizzando le ipotesi di remissione tacita e, in particolare, il caso in cui il querelante, seppure debitamente avvisato, non compaia in udienza. Questa impostazione risultava inizialmente condivisibile, perché tesa ad evitare i continui rinvii di processi per la reiterata assenza del querelante parte offesa, ovviamente, per quanto concerne i reati il cui perseguimento è condizionato dalla querela.
Non possiamo, però, giustificare che il testo sia stato modificato in modo tale da inserire una vera e propria stortura dello spirito originario del provvedimento. Mi riferisco, in particolare, all'emendamento che porta la firma dei colleghi Angela Napoli, Rao ed anche la mia, senza che, nei fatti, possiamo ascrivercene la diretta responsabilità. L'onorevole relatore ha un po' sorvolato su questo aspetto del provvedimento, eppure si tratta di un fatto che, seppur avvenuto in buona fede, rappresenta un precedente grave. Un emendamento presentato dall'Unione di Centro infatti è stato completamente stravolto in assenza dei firmatari e riformulato, innestando un emendamento del relatore, appunto dell'onorevole Sisto, modificato dal subemendamento del proponente, onorevole Contento.
Ad oggi, tale riformulazione introduce una modalità per addivenire alla remissione tacita della querela del tutto nuova rispetto allo spirito originario della nostra proposta, che non conteneva alcun riferimento al rapporto tra risarcimento del danno e remissione automatica della querela.
La nuova norma introdotta a nostra insaputa prevede, infatti, che la querela si consideri come tacitamente rimessa innanzitutto quando la parte offesa sia stata risarcita (ipotesi nuova che in ogni caso non ha nulla di tacito, in quanto necessita dell'accettazione del querelante), ma anche quando - e qui sta il vero punctum dolens dell'avvenuta riformulazione - sia stata proposta una semplice offerta congrua in tal senso. Ciò equivale a dire che, quand'anche il querelante non dovesse accettare il risarcimento, ma il presunto reo gli proponesse un'offerta reale, ciò basterebbe ad estinguere l'intero processo, senza parlare dell'evidente scollamento che viene a crearsi tra volontà del titolare del diritto di querela e della facoltà di rimetterla e remissione stessa, fatto questo del tutto inaccettabile, anche alla luce delle considerazioni svolte dalla I Commissione.
Signor Presidente, un conto è tipizzare le ipotesi di remissione tacita - avvertire quindi il querelante che proprio il fatto di non comparire in udienza senza addurre un legittimo impedimento equivarrà a rimettere la querela, che era il testo originario della proposta di cui ci stiamo occupando -, altro e diverso è prevedere che la mera offerta risarcitoria del presunto reo comporti la remissione della querela, che è facoltà del querelante e non del querelato.
È chiaro poi che tale meccanismo, oltre a modificare la titolarità dell'esercizio Pag. 42della facoltà di remissione della querela, finirebbe per avvantaggiare solo il presunto reo che si trovasse nella condizione economica di fare un'offerta di risarcimento tale da essere ritenuta congrua dal giudice. Praticamente, egli acquisterebbe l'impunità privando il querelante della possibilità di proseguire comunque il giudizio e vedere così ristabilita la giustizia.
È dunque una modifica che disconosciamo tout court e sulla quale chiediamo all'Aula di intervenire, magari riprendendo la formula base dell'emendamento Rao-Ria, che era del tutto scevra da collegamenti tra ipotesi risarcitorie e remissione della querela. Si tratta di un emendamento che abbiamo ripresentato anche in Aula nei termini originari.
Non voglio nemmeno aprire una parentesi - lo ha voluto fare l'onorevole Sisto, il relatore - sui riflessi che questa norma ha avuto sulla stampa, quando si è scoperta l'applicabilità più o meno presunta di questo cavillo al processo Mediatrade, in base alla quale basterebbe un risarcimento per estinguere il reato di cui è imputato il Premier, anche perché è ancora da verificare se davvero la norma sia adattabile al capo di imputazione in questione.
Però, sorge spontaneo chiedersi quanto sia innocente o invece strumentale utilizzare emendamenti e nomi di altri parlamentari per manomettere i testi di legge. Viene naturale chiedersi perché il relatore, onorevole Sisto, e il proponente, onorevole Contento, non si siano assunti la responsabilità di questa modifica con un emendamento a loro firma, avvertendo invece il bisogno di manipolare la variante che avevamo proposto noi, che si limitava a prevedere che vi è remissione tacita quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela ovvero quando, pur ritualmente notificato, non è comparso all'udienza senza addurre un legittimo impedimento.
L'emendamento modificato, invece, prevede addirittura che vi sia remissione tacita quando il querelante ha ricevuto il risarcimento del danno o una mera offerta reale in tal senso, in relazione a reati puniti con pena inferiore nel massimo a quattro anni.
Sfido chiunque a dire che questo è un emendamento che riformula il precedente; questo è un emendamento del tutto nuovo, che nulla ha a che vedere con quanto da noi proposto!
Se la maggioranza decide di lasciare il testo così come è scaturito dai lavori della Commissione, il rischio di scrivere una legge iniqua è altissimo. Per questo, richiediamo con forza all'Aula di fare un passo indietro accogliendo una versione del testo che sia diretta unicamente a porre rimedio all'annoso problema - perché è un problema - dei rinvii di udienza per assenza del querelante e non invece diretta a privarlo del diritto di agire e di ricevere giustizia.
Tra l'altro, come dichiarato dal collega Rao nel corso dei lavori in Commissione, il nostro voto favorevole al mandato al relatore si basava e faceva affidamento sull'impegno assunto dalla maggioranza di tenere conto delle osservazioni apposte al parere dalla I Commissione. È proprio la I Commissione a rilevare che nei reati perseguibili a querela della parte offesa, sia il promovimento dell'azione penale sia la remissione della querela, che produce l'estinzione del reato, sono subordinati ad una manifestazione di volontà della persona offesa. Per questo, va garantito che l'effetto di remissione tacita della querela consegua esclusivamente ad un atto di volontà del querelante e non invece all'offerta risarcitoria del querelato.
Il presunto reo, in definitiva, deciderebbe per se stesso le sorti del procedimento acquistando di sua iniziativa una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato e quindi la certezza dell'impunità, privando la parte offesa del diritto a vedere punito, all'esito di un accertamento in contraddittorio, un fatto previsto dalla legge come reato.
Concludo, manifestando la nostra perplessità rispetto alla riformulazione dell'articolo 1 della proposta e invitando il Governo e la maggioranza parlamentare a correggerne il tiro nella direzione indicata Pag. 43dalla Commissione affari costituzionali. Noi ci riserviamo di valutare, nel prosieguo della seduta e sulla base della piega che prenderanno i lavori sul provvedimento, se mantenere o meno la nostra iniziale posizione di condivisione delle ragioni di fondo di questa proposta di legge.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, diciamo da subito che la posizione dell'Italia dei Valori è radicalmente demolitoria di questa proposta di legge. Oramai siamo abituati a vigilare, a tenere gli occhi aperti, perché una cosa che entra in un modo nelle Commissioni o al Quirinale esce poi in un altro modo.
Il Capo dello Stato ha avuto più volte occasione di lamentare il fatto che i decreti-legge si compongono di un numero limitato di articoli, tutti fondati sulla straordinaria necessità ed urgenza e poi in Parlamento vengono operati stravolgimenti e manomissioni del testo che lo rendono irriconoscibile rispetto a quello originario.
Questo accade spesso anche nei disegni di legge che il Governo non ha il coraggio di presentare e che fa presentare ai propri parlamentari, ma che spesso poi stravolge durante il corso della discussione e dell'approfondimento. Così è avvenuto per questa proposta di legge parlamentare, che in Commissione ha subito una fortissima manomissione.
Presentata come una proposta tecnica e, tutto sommato, neutra ed asettica, sulla quale si poteva anche discutere - noi non siamo favorevoli, ma comunque non avremmo avuto niente in contrario ad impiantare una discussione -, ne è uscita in modo stravolto. Qui parliamo di una proposta di legge che prevedeva di considerare come rimessione tacita della querela alcuni comportamenti, comunque ascrivibili alla volontà del querelante, quali la mancata presenza in udienza, per farne desumere automaticamente una rimessione tacita della querela stessa, e siamo passati da questa situazione ad una completamente diversa, in cui è sufficiente fare un'offerta reale di risarcimento ritenuta congrua perché il querelante sia espropriato del proprio diritto ad avere una pronuncia da parte dello Stato sulla legittimità o meno di un certo comportamento, voglia o non voglia il risarcimento.
Qui si stanno truccando le carte, signori, ma noi siamo abituati a questo giochetto e siamo molto attenti a vedere ciò che vi è nelle pieghe di ogni provvedimento, perché ci sembra di assistere alla storiella del re Mida al contrario: il re trasformava le cose vili in oro e qui le cose, magari accettabili, vengono assolutamente svilite, e tutto a favore dell'imputato, mai a favore della persona offesa.
Perciò, al collega Sisto, al quale riconosco l'abilità nel motivare le sue posizioni e anche un convincimento nelle cose che fa - non ho riserve a farlo -, con la stessa sincerità devo dire che non condividiamo assolutamente la sua impostazione, attraverso la quale egli continua a manifestare la posizione della sua parte politica verso una sostanziale privatizzazione del diritto penale e verso una sostanziale monetizzazione di tutto, con la conseguenza che il disvalore sociale dei comportamenti rimane assolutamente annacquato, coperto e travolto, come se vi fosse uno tsunami.
Ricordiamo che la querela è una condizione di procedibilità: ci troviamo di fronte a delitti per i quali lo stesso legislatore prevede che non si possa procedere se non vi è una richiesta del privato, ma una volta che la richiesta viene esercitata attraverso la querela, questi delitti sono come tutti gli altri. Per questi vige il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale e si deve procedere obbligatoriamente. Si fa salva un'ipotesi: quella che il privato, al quale era stata concessa la facoltà di rimuovere un ostacolo alla procedibilità, ritenga che a un certo punto siano venute meno le ragioni di carattere etico o ne siano sopravvenute delle altre, per lui di carattere ugualmente etico, che lo inducano a rimettere la querela.
A me è capitato di essere stato diffamato, di avere proposto querela per otto Pag. 44di questi casi e di avere ottenuto la condanna in primo e in secondo grado; eravamo a due giorni dalla sentenza della Cassazione - che probabilmente avrebbe confermato le altre sentenze e l'imputato sarebbe così andato in carcere per due anni - e io mi sono guardato dentro la coscienza e ho deciso di rimettere la querela. Ma queste sono situazioni diverse, perché il comportamento è comunque rimesso alla mia volontà di querelante, anzi, alla volontà del querelante (parliamo in termini oggettivi).
Con l'offerta reale questo criterio si capovolge totalmente: non c'è alcuna volontà di rimettere la querela, ma soltanto l'offerta di persone, gruppi politici ed economici ricchi con possibilità finanziarie che fanno un'offerta reale, con il che offrono quello stesso risarcimento che sarebbe conseguito ad una condanna, ma la evitano.
È troppo comodo questo! Troppo comodo, signori! Troppo comodo! Quando si incorre in una violazione del diritto penale non si può poi cancellare il disvalore che lo stesso ordinamento riconnette a quella violazione con un comportamento riconducibile esclusivamente alla volontà dell'autore del reato e non alla volontà di chi è stato offeso. Questa purtroppo - lo devo dire con amarezza, ma con piena avvertenza sul piano politico - è una cultura che sta alla base di questa maggioranza di Governo: tutto deve essere finalizzato e strumentalizzato rispetto all'ottenimento di alcuni obiettivi che riguardano alcune persone e, guarda caso, non sono mai vittime, ma sempre possibili autori di reati.
C'è una considerazione eccessiva della posizione degli autori dei reati ed una svalutazione totale degli interessi e dei diritti della persona offesa. Questo è ciò che accade in questa situazione attraverso una offerta reale offensiva anche della dignità di chi non vuole accettare un risarcimento e di chi non lo chiede, ma chiede soltanto una punizione. C'è un comportamento offensivo della dignità di questa persona. Infatti, bisogna pensare che ci sono cittadini che querelano per il semplice desiderio di avere giustizia e affinché lo Stato si pronunci, senza magari chiedere un risarcimento del danno.
In questo modo, con una semplice offerta reale, cioè con una monetizzazione, si impedisce al cittadino di avere giustizia, gli si impedisce di ottenere una pronuncia sulla illegittimità o legittimità del comportamento di chi è stato querelato. Basta avere i soldi e pagare, perché pagando si può ottenere tutto. Si può comprare anche la remissione non della querela, ma della giustizia. Noi non ci stiamo, consentiteci di dirlo. Noi dell'Italia dei Valori la pensiamo in modo totalmente diverso. Infatti, per noi vige il principio della responsabilità per cui chi viola la legge penale deve pagarne le conseguenze.
Proviamo a pensare che cosa accadrebbe se questa norma entrasse in vigore: si aprirebbe un suk, un supermercato della diffamazione a mezzo stampa, per cui alcune imprese editoriali che hanno certi interessi da proteggere e da difendere metterebbero nei propri bilanci un fondo rischi per l'attività imprenditoriale attraverso il quale potrebbero pagare quello che ogni persona vale a seconda di valutazioni più o meno discutibili, ma con una negoziazione che si aprirebbe sulla congruità. Quindi, si offrirebbero 5 mila euro, ma se non fossero sufficienti si potrebbe arrivare a 10 mila, se continuassero a non bastare, allora andrebbero bene 13 mila. Quindi, ci sarebbe una persona che vale 13 mila euro, quella che ne vale 30 mila e il povero disgraziato che ne vale 500 euro.
Tutto dipenderebbe non dalla volontà del popolo disgraziato, ma dalla volontà e dalla capacità economica di chi esercita il mercato del fango. In questo modo si avrebbe una crescita esponenziale della possibilità e dell'opportunità che verrebbe concessa ai gruppi editoriali e di comunicazione di infangare le persone, di distruggerne la dignità e l'onorabilità, perché tanto non pagano mai penalmente, ma quello che riescono a strappare al mercato della diffamazione e che comunque pagherebbero in un processo penale a titolo di risarcimento se il querelante lo chiedesse. Pag. 45
Allora, cosa facciamo? Consentiamo e diamo spazio a quella che viene chiamata la macchina della diffamazione. Diamo spazio a una crescita imponente di questi comportamenti perché tanto si paga una somma ma non si paga mai penalmente.
Quale direttore di giornale e quale giornalista non sarebbe felice e non chiederebbe una cosa di questo genere? Vi sarebbe libertà di infangare, distruggere e di demolire la dignità di una persona, perché tanto poi con qualche euro (mille, cinquemila o trentamila euro) cancello tutto, non rispondo mai penalmente né sarò mai recidivo. Sarò recidivo potenzialmente nella commissione ulteriore di reati, ma non sarò recidivo penalmente perché non avrò mai ricevuto una condanna, una dietro l'altra, che qualifichi il disvalore sociale del mio comportamento. Non vi sarà mai stata una cosa di questo genere.
Quale direttore di testata non sarebbe felice e non sottoscriverebbe una misura di questo genere? Crediamo che ve ne sarebbero, perché vi sono anche giornalisti e direttori di testate che sanno fare onestamente il loro mestiere, che sanno controllare le fonti, che sanno limitare il loro dovere di informazione entro argini rispettosi della dignità e insieme rispettosi della notizia. Pensiamo, insomma, che vi siano diversi giornalisti ed editori che continuerebbero a comportarsi così perché si sono già comportati in questo modo. Ma sappiamo che altri, che hanno già dimostrato fino adesso di comportarsi in modo diverso, si sentirebbero autorizzati e legittimati a comportarsi in questo modo all'ennesima potenza.
Dunque, non giochiamo ad ingannarci. Qui, nell'offerta reale di remissione tacita della querela, non vi è niente ed è esattamente tutto il contrario. Mentre la remissione tacita della querela è collegabile alla volontà comunque presunta e comunque riconducibile al querelante, nel caso di specie non vi è niente di tutto questo e abbiamo solo la volontà del querelato benestante o che fa del rischio di impresa anche un rischio calcolato politicamente di «scappottarsela» comunque e di farla franca di fronte alla legge penale.
Tuttavia, non siamo d'accordo su questo punto. O si depenalizzano i delitti di diffamazione, di appropriazione indebita, di truffa e tutti i delitti perseguibili a querela di parte o altrimenti, una volta che lo Stato ha affermato che vi è un disvalore, quello va mantenuto e non vi è comportamento di chi ha posto in essere la condotta criminosa che possa comportare un'automatica rinuncia dello Stato al suo potere punitivo e al suo diritto di riaffermare la maestà e anche la severità della legge.
Stiamo andando, anche con questo provvedimento, verso una progressiva privatizzazione della legge, del diritto penale e del diritto processuale penale. Mi sia consentita una digressione: su questa linea diamo origine anche a questa pseudovolontà di riformare la giustizia che per noi è solo un'espressione della volontà di deformare la Costituzione, sempre nell'interesse di qualcuno che così vuole perché deve riuscire a piegare le regole sostanziali. Se non vi riesce piega le regole processuali e, se non vi riesce ancora e se non basta, piega chi deve applicare le regole sostanziali e processuali.
Tuttavia, vi è una disposizione nell'articolo 35 del decreto legislativo n. 274 del 2000 sui giudici di pace che va verso la direzione di una giustizia riparatoria.
Ma voglio ricordare una cosa: persino il giudice di pace non ritiene avvenuta, congrua, positiva l'azione riparatrice se la stessa non è idonea a manifestare e a comprovare la riprovazione del reato e la prevenzione. Riprovazione del reato vuole dire che l'offerta reale non è minimamente legata ad un'ammissione di responsabilità né tanto meno ad un pentimento. È una brutale esibizione di potere economico che fa strame di tutti diritti: innanzitutto del diritto penale, ma anche dei diritti soggettivi delle persone che al diritto penale e alla legge penale si rifanno per avere protezione. Non è idonea neppure a consentire la prevenzione. È tutto il contrario! Ho dimostrato che la macchina del fango crescerebbe a dismisura, proprio perché la ripetitività all'infinito di un semplice intervento monetario che faccia venir Pag. 46meno ogni applicazione della sanzione penale sarebbe un incentivo a camminare in questa direzione. Egualmente dicasi per l'appropriazione indebita: se qualcuno si appropria di una mia cosa, io lo querelo e basta che egli mi restituisca quello che è mio e si cancella tutto. Troppo comodo!
Allora, perché l'appropriazione indebita è prevista come reato? Perché non è prevista soltanto come un illecito civile, per cui cito qualcuno dinanzi al giudice civile, gli dico che si è appropriato di una mia cosa e me la deve restituire e il giudice civile lo obbliga alla restituzione, se ne ricorrono i presupposti? Qui siamo di fronte ad un illecito penale che viene assolutamente cancellato, in conseguenza dello stesso strumento di restituzione del maltolto che sarebbe comunque conseguibile in un'ipotesi riparatoria. Siamo addirittura al di fuori della previsione, sia pure cauta, dell'articolo 35 del decreto legislativo sui giudici di pace. Siamo infinitamente al di fuori di questa previsione.
Siamo poi sicuri che questa disposizione sia costituzionale? Per noi dell'Italia dei Valori è assolutamente incostituzionale, intanto perché mina il principio di legalità, di legittimità, di effettività dell'applicazione della pronuncia di condanna, se ne ricorrono i presupposti, e dell'applicazione dell'effettività della sanzione. Questa previsione scardina totalmente questo principio che è alla base della nostra Costituzione. Ma essa viola anche l'articolo 24 della Costituzione, e cioè il diritto di far valere in giudizio le proprie pretese.
Io faccio valere in un giudizio penale le mie pretese e le mie aspettative, che vengono vanificate soltanto perché vi è un querelato abbiente che mi scodella, anche continuando ad insultarmi, una somma che magari non accetto, non ho chiesto e non voglio neppure.
Essa viola anche l'articolo 112 della Costituzione sull'obbligatorietà dell'azione penale, perché in questo modo si vincola, si impedisce, si ostacola la continuazione e la prosecuzione dell'azione penale soltanto perché vi è qualcuno che paga. E dove lo mettiamo l'articolo 3 della Costituzione? Chi è che ha la possibilità di fare venir meno la sanzione penale attraverso il pagamento se non chi è abbiente, se non i gruppi economici, se non le persone ricche? E una persona povera non può avere la possibilità di far venire meno la sanzione penale soltanto perché non ha i mezzi per fare un'offerta reale? Siamo totalmente al di fuori di ogni costituzionalità, stiamo scardinando i principi della nostra Costituzione.
Ecco perché siamo radicalmente contrari. Noi dell'Italia dei Valori riteniamo di stare andando, anche attraverso il provvedimento in esame apparentemente poco significativo, nella direzione di scardinare i principi dello Stato di diritto per cui le regole si applicano ad alcuni e ad altri non si applicano, per cui la legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale che per altri. Sono coloro che finora hanno imposto torsioni spaventose, assolutamente personali ed individuali, al nostro ordinamento giuridico, alle regole di ogni genere e che adesso, comprendendo che quelle torsioni finora non hanno avuto effetto, vogliono ricorrere all'intimidazione di chi quelle regole deve applicare allo scopo di dirgli «stai attento perché quando passerà questa riforma ci ricorderemo di quello che hai fatto e te la faremo pagare».
Siamo ferocemente contrari a questa logica e siamo favorevoli ad un ordinamento giuridico ordinato, regolato, regolamentato, in cui le regole si rispettano e valgono per tutti e valgono anche per chi è potente e ha i soldi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di entrare nel merito della questione della remissione tacita della querela desidero riportare in quest'Aula alcune considerazioni che la Corte di cassazione ha evidenziato nella relazione dell'anno giudiziario che si è appena concluso. Sono considerazioni che riguardano proprio una delle motivazioni di questo provvedimento, Pag. 47ossia il suo effetto deflattivo sui processi e sui procedimenti sia penali sia civili. La Cassazione scrive quanto segue, e cito: «Il Consiglio d'Europa ha invitato l'Italia ad adottare una strategia a medio e lungo termine per risolvere il problema strutturale della durata dei processi che esige un forte impegno politico». Penso che tutti concordiamo su questa diagnosi: concorda la maggioranza, concorda il Governo, a parole, ogni tanto, e concordiamo soprattutto noi del Partito Democratico. Sentiamo fortemente che una giustizia lenta diventa un'ingiustizia, una giustizia civile che non dà risposte in tempi brevi finisce per pregiudicare la capacità attrattiva del nostro Paese per gli investimenti esteri laddove i contenziosi, civili e di qualunque altro tipo, hanno bisogno, soprattutto in tempi di globalizzazione e, quindi, di velocità delle transazioni, di risposte in tempi brevi.
La Cassazione, dunque, invoca un piano per la durata ragionevole dei processi che impegni tutti i soggetti che operano nel mondo giudiziario e che prenda in considerazione in modo organico - questa è una parola che ritorna spesso nelle analisi che vengono fatte - e strutturale tutti i fattori che incidono sui tempi del processo. Questo piano, secondo la Corte di cassazione, deve mirare a rendere uniformi da un lato l'entità complessiva della domanda di procedimenti giudiziari civili e penali e, dall'altro, la capacità dell'apparato di soddisfare tale domanda nei tempi che, in relazione ai vari tipi di procedimento, sono stati specificamente indicati dalla Corte di Strasburgo. Quest'ultima viene invocata ogni tanto, soprattutto per motivare il provvedimento che è in discussione in questo momento in Commissione sul cosiddetto processo breve, senza però indicare che la Corte di Strasburgo chiede, in caso di ritardo nei procedimenti, che i processi vengano celebrati e che procedimenti abbiano corso. Essa non ha mai chiesto, come si accinge invece a fare questa maggioranza, la cancellazione sic et simpliciter dei procedimenti.
Se questi tempi - prosegue la Corte di cassazione - vengono in concreto rispettati da gran parte degli altri 46 Stati, che hanno aderito alla Convenzione sui diritti umani, non si vede la ragione per la quale tale risultato non possa essere raggiunto anche dal nostro Paese. Ed è questo il punto: il nostro Paese, al di là delle parole, al di là dei convegni, al di là dei proclami e dei risultati sbandierati, ha il dovere di raggiungere tali risultati attraverso un piano strutturale ed organico.
Si è detto che questo provvedimento avrebbe degli effetti deflattivi. Vorrei sottolineare un'altra incongruenza e contraddizione di questa maggioranza: da un lato vi è il processo breve che, come abbiamo detto, avrà come risultato quello di cancellare sic et simpliciter i procedimenti, sia penali che civili; dall'altro lato, però, abbiamo una maggioranza che opera in chiave panpenalista dal punto di vista della normativa e vediamo l'abbondare di provvedimenti che aggiungono delle sanzioni di tipo penale per comportamenti sociali. Basta andare a visitare qualunque carcere per rendersi conto che abbiamo demandato problemi sociali, come il difficile e complesso problema della droga, che abbiamo considerato come un semplice problema di ordine pubblico, buttando in carcere molti ragazzi e ragazze vittime di questo difficile e delicato fenomeno della nostra epoca. Abbiamo inoltre buttato in carcere gli immigrati, con l'introduzione del reato di immigrazione clandestina con il risultato di intasare i tribunali e di riempire le carceri di persone che non hanno commesso altro reato, se non quello di trovarsi in una condizione soggettiva di povertà.
Da un lato vi è dunque una normazione panpenalista, che aggiunge sanzioni penali a quelle già esistenti, e dall'altro una teorica velleità deflattiva che permetta alla macchina della giustizia di affrontare in tempi giusti e celeri tutto il carico, per adesso insopportabile, molto lento e complicato da smaltire per tutta la nostra macchina della giustizia. Sebbene quindi nelle intenzioni della maggioranza questa norma rappresenti un utile strumento per la riduzione del numero dei processi e dunque anche della loro durata, devo Pag. 48inevitabilmente sottolineare che quello che abbiamo oggi qui di fronte non è quel famoso piano strategico invocato dalla Corte di cassazione. Si tratta di una «leggina» isolata e non risolutiva, per giunta inadeguata al rispetto delle garanzie del querelante.
Questa legislazione a macchia di leopardo, ovvero una legislazione frammentata che non ha struttura di organicità, è un'altra forma alla quale questa maggioranza ci ha abituati. Sembra davvero strano anche il comportamento dell'onorevole Sisto, di cui apprezziamo la competenza, soprattutto in una materia come questa che riguarda il processo penale, e che è abituato ad entrare dentro la filosofia del diritto, ad esaminare i nessi di causa ed effetto tra una cosa e l'altra e a vedere l'istituzione in tutta la sua organicità. Mi meraviglio, quindi, che anche lui abbia ceduto a questo nuovo modo di normare così frammentario, soprattutto in materia di procedimento penale, laddove tutto si tiene in modo estremamente equilibrato e toccare un elemento significa in qualche modo sconvolgere tutto l'apparato e tutta la filosofia che sottende tale norma.
Confidiamo, quindi, che nel prosieguo del dibattito alcuni degli elementi già rilevati da altri colleghi vengano esaminati nel merito. Come sa l'onorevole Sisto, non abbiamo votato a favore del mandato al relatore, riservandoci comunque di intervenire nel merito del dibattito in Aula. Le nostre proposte emendative sono simili a quelle di altri gruppi, e sarebbe davvero strano che le proposte emendative del Partito Democratico conoscessero un destino e una sorte diversa da quelle di altri gruppi, pur trattandosi di emendamenti che vanno nella stessa direzione e, nello specifico, la direzione di salvaguardare alcuni principi, di cui mi accingo a parlare.
La proposta di legge, come sappiamo, interviene sull'istituto della remissione della querela e non sono pochi gli argomenti che sono toccati da questo istituto perché i reati perseguibili a querela sono tanti e riguardano anche aspetti importanti e rilevanti della nostra vita sociale e civile. Si tratta anche di reati che destano allarme sociale.
Ne citerei solo alcuni per dare un esempio di quanto il provvedimento in esame vada a toccare una gamma molto ampia dei nostri comportamenti collettivi: l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (articolo 393 del codice penale), la falsità in scrittura privata, la turbata libertà dell'industria e del commercio, la sottrazione consensuale di minori, le percosse e le lesioni personali colpose, la rivelazione del contenuto di documenti segreti, gli atti persecutori come la violazione di domicilio, le interferenze illecite nella vita privata, altri reati come i furti punibili a querela dell'offeso, deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi, reati ambientali e danneggiamento. Possiamo continuare fino a citare i reati societari, così importanti per un'economia avanzata come la nostra, false comunicazioni sociali in danno delle società, dei soci e dei creditori, operazioni in pregiudizio dei creditori, indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori. Quindi si tratta di un provvedimento che va a toccare dei settori assai importanti, delicati e anche strategici economicamente della nostra vita nazionale.
Sappiamo tutti che la remissione opera anche nel caso in cui il querelante non compaia senza giustificato motivo in udienza nonostante l'avviso che tale condotta comporti la remissione tacita della querela e la conseguente dichiarazione di estinzione del reato. Tutto questo è stato già approvato e già come dire contemplato dal legislatore che ha previsto i casi specifici in cui questa dovesse avvenire.
È stato già detto, secondo me, in modo abbastanza completo dall'onorevole Ria quali sono le criticità di questa legge. Leggendo un po' il dispositivo sappiamo che ovviamente nell'ordinamento la querela si configura come un diritto della parte che si ritiene offesa e quando è richiesta costituisce il necessario presupposto dell'azione penale che tra l'altro è obbligatoria da parte dei pubblici poteri sperando appunto che lo possa rimanere Pag. 49anche dopo. Ma ciò che è interessante e che vorrei far notare è l'idea importante della manifestazione di volontà della persona offesa. Penso che da essa non si possa uscire senza trovare una soluzione per quanto riguarda la manifestazione di volontà della persona offesa cioè non basta che la persona offesa possa saltare un'udienza, seppure sia la prima, perché il suo sacrosanto diritto venga riconosciuto.
L'importanza della volontà dell'offeso è d'altronde dimostrata dal fatto che anche quando interpreta la mancata comparizione in udienza senza giustificato motivo come manifestazione implicita di una volontà di remissione della querela il provvedimento in esame, in base alla relazione dell'onorevole Sisto, si preoccupa di adottare le necessarie cautele per assicurare che l'effetto di remissione tacita non avvenga senza la consapevolezza del querelante. Qui sta il punto, dobbiamo lavorare perché le condizioni di questa consapevolezza siano mature e non sia un atto automatico e tra l'altro unilaterale che possa impedire al querelante di far valere il proprio diritto.
La stessa cosa vale per quanto riguarda il risarcimento. I verbi che sono da sottolineare riguardano ricevere una proposta e accettarla per quanto riguarda il risarcimento.
Il querelato può proporre quello che vuole, può proporre la cifra che vuole, ma ciò che è importante (anche in nesso logico con la manifesta volontà della parte offesa) è il fatto di accettare, con esclusione (questo lo prevede anche il relatore) di ogni risarcimento fatto pervenire dal presunto reo alla parte offesa senza l'accettazione di questo ultimo. Quindi si tratta di un ricevere e di un accettare, proprio come necessità di verificare appieno quelle che sono le volontà del querelante.
Tra l'altro tutte le sentenze vanno in questa direzione. È stata citata una sentenza del giudice di pace, ma posso citare anche una sentenza della Corte costituzionale del 17 marzo 2007. Posso citare anche un'altra sentenza che è stata riportata qui dal Servizio studi della Camera, del 29 maggio 2008, che ha chiarito che nel procedimento dinanzi al giudice di pace la speciale causa di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie non opera sul solo presupposto dell'avvenuto risarcimento del danno, dovendo invece il giudice verificare in concreto anche l'eventuale permanenza di conseguenze pericolose o dannose del reato, e comunque valutare l'idoneità delle condotte riparatorie a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione (è quanto, tra l'altro, citato dall'onorevole Palomba poc'anzi).
Si tratta quindi come sempre quando si parla di materie che riguardano i diritti delle persone - concludo Presidente - di essere assolutamente accorti e di contemperare beni giuridici tutti costituzionalmente tutelati, e di fare in modo che la giustizia sia resa, e sia resa dalla parte dell'offeso, non dalla parte di colui che ha offeso. Davvero sarebbe strano che per materie come questa, che tra l'altro destano grande allarme sociale, le condizioni di coloro che sono offesi vengano in qualche modo indebolite.
Aspettiamo onorevole Sisto, nel prosieguo della discussione, che i nostri emendamenti - ripeto - simili a quelli di altri gruppi vengano presi in considerazione, il che determinerà l'atteggiamento politico e parlamentare del Partito Democratico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Molteni. Ne ha facoltà.

NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo innanzitutto doveroso evidenziare come il gruppo Lega Nord ha sempre avuto in tema di giustizia un atteggiamento di grande responsabilità nei confronti del Governo, del Ministro Alfano e della maggioranza parlamentare, un atteggiamento il nostro di dialogo costante e di sostanziale condivisione delle iniziative del Governo in materia di giustizia. Si tratta di condivisione e responsabilità dettate da un'alleanza di Governo solida e costruttiva, ma caratterizzate anche dalla necessità di evidenziare, laddove ve ne fosse l'occasione, elementi di miglioramento delle singole proposte normative. Pag. 50
Anche in riferimento a questa proposta di legge, d'iniziativa parlamentare (lo voglio ricordare), di cui condividiamo sommariamente lo spirito e le finalità, il gruppo della Lega Nord ha votato in Commissione a favore del mandato al relatore, riservandosi però la presentazione di alcuni emendamenti - come peraltro abbiamo conseguentemente fatto - per migliorare il testo e per superare alcune criticità, alcune delle quali sollevate anche dalla I Commissione (Affari costituzionali), in leale collaborazione con il relatore, cui diamo atto di aver sempre ricercato all'interno della Commissione un clima favorevole per poter addivenire ad una soluzione condivisa con tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione. Peraltro ci aspettiamo dal relatore il medesimo atteggiamento - non abbiamo dubbi - costruttivo e serio anche durante il dibattito parlamentare in Aula in riferimento agli emendamenti che sono stati proposti.
Quindi abbiamo tenuto un atteggiamento di responsabilità e di garantita lealtà, rispettando le posizioni assunte in Commissione, ovvero una valutazione - ripeto - indicativamente favorevole al provvedimento, ma con alcune riserve che andrò ad esporre e che trovano soluzione negli emendamenti che abbiamo presentato.
La proposta di legge a prima firma Contento ha lo scopo di porre rimedio ad una discrasia di interpretazione tra i diversi tribunali del nostro territorio dell'istituto della remissione tacita della querela disciplinata dall'articolo 152 del codice penale. Tale differenza di interpretazione, per un certo verso, è proprio riconosciuta dalla stessa giurisprudenza della suprema Corte di cassazione che è costante nel ritenere che l'apprezzamento delle circostanze di fatto sia rimessa alla competenza esclusiva del giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione, salvo aver dato adeguato conto in motivazione.
Come è noto - ed è stato anche abbondantemente ribadito durante gli interventi che mi hanno preceduto - nel nostro ordinamento penale i reati, per principio generale, sono perseguibili d'ufficio, nel senso che l'accertamento della fondatezza della pretesa punitiva dello Stato nei confronti del singolo è sottratto alla disponibilità dei privati. In via derogatoria rispetto a tale principio, con l'istituto della querela, si subordina alla volontà del privato la perseguibilità penale di alcune tipologie di delitti variamente caratterizzati. Con la querela, il privato invita il pubblico ministero a verificare se, acquisita una determinata notitia criminis, esistano o meno le condizioni per esercitare l'azione penale. Si tratta, dunque, di un atto di impulso processuale di parte con il quale l'offeso rimuove un ostacolo all'esercizio dell'azione penale.
L'obiettivo politico fondamentale del provvedimento è proprio quello di oggettivizzare la procedura dell'apprezzamento della volontà del querelante da parte dell'organo giudicante e, quindi, di dare un preciso significato ad un comportamento negativo da cui si possa desumere una volontà univoca di remissione tacita della querela, con la conseguenza che, se il querelato dovesse a sua volta accettarla, si avrebbe l'estinzione del reato per intervenuta remissione della querela stessa. In questo modo, ossia attraverso l'oggettivizzazione della tipizzazione della volontà del querelante di rimettere la querela, da un lato si darebbe certezza all'apprezzamento del giudice che non può divenire, come, invece, oggi di sovente accade, motivo di impugnazione, con le conseguenze che immaginiamo sul già lento e disastrato sistema giustizia. Dall'altro lato, si eviterebbe di mantenere pendenti processi penali di cui lo stesso querelante si sia disinteressato e che lo stesso legislatore ha rimesso di suo impulso.
Pertanto, il gruppo della Lega Nord Padania può condividere la finalità del provvedimento, anzi le finalità del provvedimento, che si specificano nel determinare delle economie processuali attraverso l'effetto deflattivo della proposta di legge, oggi quanto mai utili visto l'eccessivo carico penale pendente presente nei nostri tribunali e che tutti, costantemente, solleviamo Pag. 51e rileviamo essere uno dei mali principali del sistema giustizia del nostro Paese. Inoltre, riteniamo corretta, accogliendo lo spirito della proposta di legge, la prospettiva secondo la quale chi inoltra e presenta una querela, atto di impulso processuale di parte, debba interessarsi della querela medesima, debba manifestare interesse a seguire la tutela dei propri diritti lesi e, ciò, al fine di evitare che vengano proposte querele strumentali, dilatorie o di principio, come ha, giustamente, evidenziato il relatore all'inizio del dibattito, con l'unico effetto di ingolfare ed intasare il sistema giustizia del nostro Paese, già abbondantemente in crisi come abbiamo più volte avuto occasione di ribadire.
Al contempo, però, crediamo utile e necessario, anche attraverso la proposizione - ripeto - di una serie di emendamenti che saranno oggetto, ovviamente, di confronto costruttivo con il relatore, ma mi auguro anche con le opposizioni - credo che l'intervento del collega Touadi andasse esattamente in questa direzione -, tutelare compiutamente i diritti della parte lesa, anche alla luce delle osservazioni correttamente esposte dalla I Commissione affari costituzionali.
Non vogliamo, soprattutto in riferimento alla possibilità di estinzione del reato attraverso il risarcimento del danno, che passi un principio sbagliato di automaticità e di automatismo tra risarcimento del danno ed estinzione del reato, ovvero che, chi ha la disponibilità economica e paga, si veda estinto il reato, mentre chi, invece, ha condizioni economiche ben più limitate non si veda riconosciuta tale possibilità.
In riferimento agli articoli della proposta di legge, il relatore è già intervenuto ed ha, ovviamente, dato contezza delle modifiche normative che sono state previste, in modo particolare con riferimento all'articolo 152 del codice penale. Rilevo che spesso - ormai è diventata una prassi costante - dopo che, all'interno della Commissione giustizia, si è sviluppato un dibattito esclusivamente di merito e non offuscato da indicazioni e da liti politiche - e spesso e volentieri il dibattito in Commissione è serio, costruttivo e va al centro e nel merito del problema che si sta affrontando -, questo tipo di atteggiamento assolutamente propositivo e costruttivo da parte di tutte le forze politiche, poi, sistematicamente, durante il dibattito nell'Aula parlamentare, viene rovesciato, ovviamente per diversi interessi di carattere politico.
Devo dire che il confronto all'interno della Commissione è stato, ovviamente non da parte di tutte le forze politiche, di sostanziale valutazione positiva di questo provvedimento, salvo alcune riserve che anche lo stesso gruppo della Lega Nord ha posto e poi ha concretizzato in alcuni emendamenti. Anche il gruppo della Lega Nord Padania, esprimendo positivamente voto favorevole al mandato al relatore tramite la collega Lussana, che ha parlato a nome di tutto il gruppo, ha rimarcato ed evidenziato alcuni elementi di criticità che poi sono stati oggetto di formulazione anche da parte della prima Commissione permanente affari costituzionali. Tali criticità si sostanziano in due osservazioni di cui credo sia opportuno tenere conto al fine della modifica e dell'approvazione poi successiva del provvedimento. La prima osservazione, la prima criticità consiste nel fatto che dalla sola mancata comparizione del querelante in udienza si possa far discendere la remissione tacita, dovendo assicurare, invece, che il querelante sia reso pienamente edotto del fatto che alla sua azione volontaria tipizzata consegue, come effetto, la remissione e che l'ordinamento prevede già per quanto riguarda i reati di fronte al giudice di pace un meccanismo di valutazione più articolata da parte del giudice stesso rispetto a quella sulla congruità del risarcimento al fine di pervenire all'estinzione del reato.
Per quanto riguarda la possibile estinzione del reato a seguito di remissione tacita della querela per risarcimento del danno, mi è sembrato francamente un po' singolare e ritengo che sia totalmente da evidenziare il mutamento di posizione da parte dei colleghi dell'UdC, i quali all'interno della Commissione giustizia hanno Pag. 52presentato, a loro volta, l'emendamento 1.1 con questo preciso ed esatto tema. Pertanto, si tratta di un elemento che non posso che valorizzare ed evidenziare e al tempo stesso non posso che rammaricarmi ma mi auguro che questo tipo di mutamento e di posizione nell'Aula parlamentare non pregiudichi poi anche rispetto ai colleghi dell'UdC, a fronte degli emendamenti che sono stati presentati tanto dall'opposizione quanto della maggioranza, la possibilità di arrivare ad un testo condiviso che possa trovare il più ampio riscontro possibile.
Altri aspetti critici, come ho già ricordato all'inizio dell'intervento sulla proposta di legge, potrebbero essere quelli di una disuguaglianza ai sensi dell'articolo 3 della Carta Costituzionale fondata su motivi prettamente economici. Infatti, come già dicevo, colui che risulta essere capiente economicamente a differenza di chi non lo è, potrebbe, lo dico tra virgolette, comprarsi un'estinzione del reato basata sulla congruità di un risarcimento del danno stabilita dal giudice a cui il querelante sembra non possa nemmeno opporsi.
A fronte di ciò, il gruppo della Lega Nord Padania ha presentato e ha depositato una serie di emendamenti ad esempio al fine di tutelare maggiormente la parte offesa dal reato. Ad esempio abbiamo presentato un emendamento con il quale, per quanto riguarda la possibilità della remissione della querela a seguito di mancata comparizione all'udienza, vorremmo introdurre - con gli emendamenti abbiamo formalizzato e sostanziato questa proposta - un'udienza appositamente fissata, una cosiddetta udienza filtro. In questo caso, la parte offesa viene ritualmente citata a seguito di corrette notifiche e previo avvertimento che il suo comportamento in caso di assenza senza giustificato motivo, nel caso in cui dovesse comparire, sarà intesa come remissione tacita della querela medesima. Tale udienza filtro consente, da un lato, di garantire e tutelare la parte offesa di un reato senza gravare sul procedimento poiché si fisserebbe una sola udienza di rinvio immediatamente successiva la prima e, dall'altro lato, verrebbe esplicitamente resa edotta tramite gli avvertimenti previsti per legge che il provvedimento di rinvio deve necessariamente riportare.
Per concludere, signor Presidente, abbiamo espresso una valutazione positiva, abbiamo avuto modo di interloquire, di cogliere e capire la volontà da parte del relatore di aprire un dialogo importante in merito ai nostri emendamenti. Riconfermiamo la massima disponibilità da parte del gruppo della Lega Nord Padania a sostenere la presente proposta di legge per tutte le finalità espresse nel mio intervento.
Ciò anche e soprattutto alla luce di quella disponibilità - che il relatore già in altre occasioni ha evidenziato di possedere - ad un confronto costruttivo sugli emendamenti che mi auguro possa essere veramente tale - e non abbiamo motivi per dubitarne - con il relatore; mi auguro che questo atteggiamento costruttivo possa essere adottato anche da tutte le forze politiche che in Commissione giustizia hanno indicativamente espresso un parere favorevole al provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1640-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Sisto, per due minuti.

FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore. Signor Presidente, due minuti sono più che sufficienti per esprimere innanzitutto il mio compiacimento per la qualità del dibattito parlamentare che finalmente ha coinvolto non soltanto temi di carattere squisitamente di appartenenza, per così dire, ma si è spinto alla rappresentazione di categorie giuridiche di assoluto rilievo. In particolare, vorrei ringraziare i colleghi Palomba, Touadi e, per quello che dirò, Pag. 53anche l'onorevole Ria, per il loro intervento. L'onorevole Nicola Molteni è stato in linea con le prospettive e le valutazioni del relatore.
Devo però esprimere tre considerazioni. La prima riguarda la ventilata sperequazione economica che contraddistinguerebbe il meccanismo di estinzione con il risarcimento del danno: ritengo che, se vi è spinta verso il risarcimento del danno, sia privilegiata la persona offesa. In altre parole, se vi è una ferita, un vulnus o un comportamento illecito, si ha diritto a che il danno sia risarcito da parte della vittima. Quindi, sollecitare il risarcimento del danno è sicuramente una condotta a favore della vittima e non certamente a favore dell'imputato. Perché, il soggetto impossidente non è comunque tenuto al risarcimento del danno?
Voglio dire: il tema del risarcimento del danno è un tema noto e mi dispiace che qualcuno cambi accento e pensiero su questo punto. Quante volte in Commissione si è parlato della necessità di tutelare la vittima e via dicendo? Ebbene, quando si tratta di normative che possono in qualche modo leggermente spostare il baricentro della tradizionale lettura della procedibilità a querela, allora la tutela della vittima diventa privilegio dell'imputato. Mi sembra che il passaggio sia inammissibile e sia poco rispettoso della coerenza culturale.
Il risarcimento del danno è a favore della vittima. Se una vittima vede aumentate le chance di risarcimento del danno, questo è a vantaggio di quello che voi avete sempre sostenuto. Non si può per appartenenza - qui torno indietro - mutare quelli che sono gli orientamenti più volte rappresentati, anche e soprattutto dal gruppo dell'Italia dei Valori, che giustamente si pone sempre a tutela della vittima.
Signor Presidente, negli altri 25 secondi che mi rimangono voglio aggiungere che l'articolo 35, citato opportunamente con la sentenza del 2008 dal collega Touadi, fa riferimento anche ai reati procedibili d'ufficio, non soltanto a quelli procedibili a querela. Pertanto quel meccanismo che va oltre il risarcimento del danno è ben giustificato dalla procedibilità d'ufficio, mentre per quanto concerne quelli a querela, che sono oggettivamente, per qualità e quantità, meno gravi, questo meccanismo appare a mio avviso ampiamente sufficiente.

PRESIDENTE. Deve concludere onorevole.

FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore. Signor Presidente, l'ultima considerazione la vorrei esprimere sulle accuse che ho trovato del tutto improprie, perché non concordate neanche con il capogruppo, l'onorevole Rao, con il quale ho avuto un chiarimento: mi dispiace che l'onorevole Ria, che forse assomiglia come cognome ma non si è coordinato con il suo capogruppo, non sappia che ho chiarito ampiamente l'inapplicabilità al caso Mediatrade di questo... (Commenti del deputato Ria).
No, non c'è stata alcuna manipolazione in Commissione! Io non consento che si parli di manomissione in Commissione: non è consentito a chicchessia!

PRESIDENTE. Colleghi!

FRANCESCO PAOLO SISTO, Relatore. Il nostro gruppo, l'onorevole Contento e chi vi parla, opera nell'ambito della Commissione con la massima correttezza! Allora pregherei e diffido chiunque dall'ipotizzare comportamenti di questo genere, che non fanno onore a chi li dice!

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, faccio appello a lei affinché mi ascolti. Se ne faccia una ragione il relatore: qui dentro siamo persone libere ed esprimiamo giudizi politici anche su quello che accade in Commissione. Il relatore è pregato di assorbire quello che viene detto e di non reagire in questo modo, perché Pag. 54ringraziando Dio siamo ancora in democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

LORENZO RIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, vorrei tornare sulla questione perché mi sono limitato a dire che quello che è accaduto in Commissione non può rientrare in una riformulazione dell'emendamento accettata dai proponenti dell'emendamento stesso. Si trattava di un emendamento dell'onorevole Sisto e di un subemendamento dell'onorevole Contento che in Commissione sono passati in nostra assenza come emendamenti dell'onorevole Napoli, che li ha fatti propri dal momento che sia io che Rao eravamo assenti.
Quindi, si tratta di leggere ciò che è avvenuto sulla base oggettiva dei fatti, e i fatti sono andati in questa direzione. Se, poi, abbiamo toccato un nervo scoperto, chi alza la voce, a mio avviso, lo fa perché il nervo è stato toccato e quindi se ne faccia una ragione. Comunque, anche se le cose sono andate in questo modo, vorrei dire che, in Aula, abbiamo ripresentato il nostro emendamento originario: ebbene, lo accolgano e il caso potrà dirsi risolto.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00580 e Di Pietro ed altri n. 1-00586 concernenti iniziative per lo svolgimento nella stessa data dei referendum abrogativi e del primo turno delle prossime elezioni amministrative (ore 17,23).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00580 e Di Pietro ed altri n. 1-00586 concernenti iniziative per lo svolgimento nella stessa data dei referendum abrogativi e del primo turno delle prossime elezioni amministrative (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 2 marzo 2011.
Avverto che è stata altresì presentata la mozione Galletti ed altri n. 1-00591 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Amici, che illustrerà anche la mozione Franceschini ed altri n. 1-00580, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, credo che per illustrare la mozione in oggetto basterebbero veramente pochissimi secondi: infatti, il senso e l'obiettivo sono molto chiari, soprattutto, con riferimento alla richiesta rivolta al Governo contenuta nel dispositivo. Il Governo, infatti, viene invitato a tener conto, in ordine alla scadenza delle prossime elezioni amministrative, dell'accorpamento di alcuni referendum che sono stati dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale il 12 gennaio 2011. L'accorpamento ha una serie di obiettivi di ordine politico, sui quali cercherò di soffermarmi nel prosieguo della discussione.
Non vi è dubbio che i referendum ammessi dalla Corte costituzionale abbiano avuto ed abbiano un forte impatto sull'opinione pubblica e che riguardino materie su cui si è determinata, nel Paese, una discussione politica. L'esito di tali referendum viene assunto, anche da chi ha sottoscritto gli stessi referendum...

Pag. 55

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia potete continuare fuori la vostra discussione? Grazie. Prego onorevole Amici.

SESA AMICI. ...come una straordinaria occasione per rivitalizzare uno strumento che - lo ricordo a me stessa, ma anche ai colleghi - è previsto dalla Costituzione. Si tratta di uno di quei classici strumenti della democrazia partecipativa che tutti dovrebbero avere a cuore di mantenere, senza ipotizzare, anche nella dialettica politica, di essere felici se quei referendum, sui quali i cittadini e le cittadine italiani sono chiamati ad esprimersi, non raggiungessero il quorum, al fine di renderli inefficaci. Questa, infatti, diventerebbe una lesione di un diritto sancito dalla nostra Costituzione e, cosa ancora più grave, metterebbe a rischio fortemente un'idea della democrazia partecipata in questo Paese, dove, a partire proprio dalle ultime elezioni, il distacco fra i cittadini, le istituzioni e la politica dovrebbe essere un tema su cui tutti noi dovremmo essere chiamati a riflettere.
Vorrei ricordare che dei quattro referendum dichiarati ammissibili, due riguardano la ripubblicizzazione dell'acqua e, soprattutto, la determinazione del servizio idrico, un altro riguarda le centrali per la produzione di energia nucleare e, in ultimo - uno degli argomenti che è più all'interno una dinamica di ordine politico, che ci ha visto già assumere posizioni in quest'Aula - uno riguarda l'abolizione di una parte della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri a comparire in udienza penale.
Che cosa aveva di fronte il Governo e tutti noi? Che in base all'articolo 34 della legge n. 352 del 1970, i referendum hanno solo un limite temporale: devono essere svolti in una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno. La stessa legge n. 352 fornisce solo un elemento di esclusione: che i referendum non possono essere abbinati quando sono in coincidenza con le elezioni politiche. Quindi, il tema è molto semplice da questo punto di vista.
Siamo di fronte all'ammissibilità di quattro referendum ed abbiamo contestualmente una scadenza amministrativa, che riguarda 1.310 comuni, che saranno chiamati al rinnovo delle proprie assemblee elettive. La logica, il buonsenso e il senso di responsabilità politica vorrebbero che ci fosse un abbinamento quasi normale tra il rinnovo delle assemblee elettive e lo svolgimento dei referendum a partire dal primo turno, quindi dalla prima domenica utile allo svolgimento delle elezioni amministrative. Ed è questo l'impegno che chiediamo al Governo con questa mozione. Che cos'è accaduto? È accaduto che in questo strano Paese - ed è uno strano Paese - nemmeno un paio di settimane fa abbiamo assistito, a volte attoniti o perlomeno meravigliati, ad una discussione circa l'eventualità o meno di stabilire che il 17 marzo, giornata per il centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, fosse considerato giorno festivo e che, quindi, ci fosse la possibilità per tutti di celebrarlo non svolgendo funzioni lavorative. La discussione è stata portata sulla stampa alla massima espressione sopratutto da una forza della maggioranza, che riteneva che quella giornata potesse essere celebrata ma senza l'assenza dal lavoro, perché la situazione economica di questo Paese non lo permetteva, perché quella giornata avrebbe prodotto un danno alle aziende che vivono in una situazione di profonda crisi. Improvvisamente, questa discussione è invece diventata non solo inopportuna. Addirittura ci si è richiamati a due elementi: alla tradizione di votazioni diverse nel merito, i referendum e le elezione amministrative, mentre qualcun altro, sempre di quella forza politica che sostiene la maggioranza, ha sostenuto che è del tutto evidente che non si possono accorpare i referendum e le elezioni per il rinnovo amministrativo, per il semplice motivo che vertono su due oggetti diversi. Soprattutto sarebbero diversi perché i referendum danno tre possibilità all'elettore: votare «sì», votare «no», oppure astenersi, non partecipando o non ritirando la scheda. Credo veramente che questa singolarità testimoni una strumentalità di Pag. 56fondo ed anche un elemento di assoluta gravità. La demagogia non è di chi oggi dice che l'abbinamento comporterebbe un risparmio di 300 milioni di euro. L'utilizzo di questo risparmio è già stato finalizzato nella mozione che seguirà, che credo illustrerà il collega Borghesi, ma non sulla base di una strumentalità, ma semplicemente a causa della situazione con cui questo Parlamento da tempo è costretto a confrontarsi - con la mancata produzione di leggi per mancanza di fondi finanziari e con leggi che ci viene impedito di discutere - che azzera un altro degli elementi cardine del ruolo del Parlamento, ma anche di chi esercita la funzione di Governo.
Quando si esercita la funzione di Governo, credo che l'interesse generale sia quello di aiutare a risolvere le questioni. Diverso è invece quando si esercita quella funzione con un atteggiamento insensato - poi diremo se è solo insensato o invece nasconde qualcos'altro - al punto che quel risparmio di 300 milioni di euro, che vi sarebbe, abbinando le votazioni, non lo si vuole assumere come dato per costruire politiche diverse e per alleviare una situazione con un sostegno reale ad una situazione economica, che non è solo grave per le imprese perché colpisce duramente le famiglie italiane.
Quando abbiamo posto questa questione, eravamo ben consci che ci sono stati altri momenti nella storia di questo Paese in cui gli abbinamenti non sono avvenuti, ma credo che il detto latino «errare è umano, perseverare è diabolico» in questa occasione sia ancora più vero. Ed è vero soprattutto perché ciò che abbiamo a cuore con questa mozione è un invito al Governo a ripensare a quella scelta che oggi stabilisce che il referendum avvenga quasi nel periodo ultimo stabilito dalla legge, il 12 giugno, costringendo gli italiani a votare tre volte in pochissimo tempo. Tutto questo è a discapito di una situazione che li vede soggetti non governati da questo Governo che, invece di mettere a disposizione quelle risorse e finalizzarle ad utilità pubblica, ha deciso di assumere il classico atteggiamento di sperpero del denaro pubblico.
Di fronte a questo sperpero del denaro pubblico altre potevano essere le soluzioni; credo che lo dovremmo dire con grande determinazione, perché risparmiare quei 300 milioni di euro per poterli investire in situazioni di utilità, determinerebbe, per questo Paese, un rapporto più corretto e forse anche più credibile con l'intera classe politica che governa questo Paese.
Invece no, e del resto non è difficile pensare che non lo vogliate fare, per ovvi motivi; è troppo facile infatti fare la politica degli annunci (e questa maggioranza di annunci ne fa veramente fin troppi). Mi vengono in mente vari modi in cui si potrebbero utilizzare quei 300 milioni di euro: basti pensare ad una data non molto lontana da quella in cui oggi stiamo intervenendo su questa mozione, ossia l'8 marzo. C'è stato un gran da fare di discussioni intorno al tema della conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di cura delle donne, al tema del ruolo di una famiglia che viene ridisegnata dentro una nuova concezione del welfare. Perché allora, dopo quelle parole, che sembrano un segnale proprio considerando l'insensatezza della proposta di non abbinamento, invece non dovremmo essere capaci di discutere del fatto che, ad esempio, andrebbe rifinanziato il Fondo per l'autosufficienza, azzerato dalle ultime leggi finanziarie? Sarebbe chiedere troppo? Sarebbe chiedere un dato di serietà a questo Governo? E ancora: se, oltre al fondo per l'autosufficienza, indicassimo in quei 300 milioni di euro una posta, ad esempio, per la costruzione degli asili nido, opere così importanti nella conciliazione tra lavoro di cura e lavoro femminile, forse quell'8 marzo non sarebbe stato semplicemente una passerella di buoni auspici, ma diventerebbe in modo concreto un lascito alle donne italiane sul fatto che questo Governo è in grado di produrre non solo parole, ma fatti. A voi la retorica del fare è molto cara, ma spesso dietro quella retorica del fare c'è il nulla e l'assenza Pag. 57proprio della concretezza che è tipica, invece, di chi vuole governare e risolvere le questioni.
C'è ancora un altro elemento che potrebbe essere immediatamente risolvibile nell'ambito di una discussione che lacera anche la stessa maggioranza: la questione del Fondo per la cultura. Mancano i finanziamenti e in questi giorni tutto questo si legge sui giornali. C'era stato l'impegno da parte di questo Governo e dell'allora Ministro Bondi, nel famoso decreto milleproroghe, a reintegrare le risorse al Fondo unico per lo spettacolo, 100 milioni di euro, e ne sprechiamo 300 milioni!
Credo che basterebbe semplicemente questo elenco di questioni per far capire come quell'abbinamento non abbia nulla di demagogico, ma sia semplicemente la risposta concreta per dare un sollievo alle famiglie e a settori importanti della società italiana, che chiedono con grande difficoltà di avere la possibilità di rimettersi dentro un sistema di competitività; non è semplicemente la richiesta di un aiuto, significherebbe invece invertire una tendenza: quella per cui le leggi devono essere fatte con una finalità di tipo generale.
Non mi convincerò mai nemmeno del contrario allorquando si legge, da parte del Ministro Maroni, che del resto, almeno formalmente, il motivo per cui non si abbinano elezioni e referendum è la tradizione. La tradizione non è una legge, anzi di fronte a quella tradizione occorrerebbe esattamente una legge che portasse il segno della vera concretezza dell'azione di Governo; occorrerebbe che si rinunciasse a tenere separate le elezioni amministrative dai referendum, proprio alla luce di un'assunzione di responsabilità di fronte alle condizioni del Paese. Invece ci si affida alla tradizione e non alla legge. Ciò implica però un elemento che credo non sfugga a nessuno e lo ha affermato con grande schiettezza un nostro ex collega, oggi presidente della regione Piemonte: l'onorevole Cota.
Cota dice: chi oggi vuole l'abbinamento dovrebbe prendersela con chi raccoglie le firme per referendum che non riusciranno mai a raggiungere il quorum.
È un modo ben singolare di ragionare di politica, perché il tema non è se il quorum si raggiunge o no, il punto è ben altro: come mettiamo in condizione questioni che riguardano i cittadini di essere affrontate. Associazioni e forze politiche hanno raccolto molte firme per l'ammissibilità di quei referendum, che possono essere svolti in una dinamica di discussione e di dialettica politica. Proprio per questo credo che non vi sarebbe nemmeno bisogno di continuare a ragionare su tali questioni: noi vogliamo e vi chiediamo ancora di ripensarci, di costruire le condizioni perché quell'abbinamento sia possibile, non ammettendo nessun elemento di strumentalità, ma riconoscendo che questo sarebbe un atto importante di questo Parlamento, in una delle condizioni peggiori in cui l'Italia si trova, dando così sollievo alla società e indicando le priorità sociali di questo Paese, dando delle risposte concrete senza fare, ancora una volta, su tali questioni, della demagogia, evitando, in particolar modo, l'analisi del fare. Vorrei capire poi, di fronte a proposte concrete dell'opposizione e per la finalità anche di questi 300 milioni di euro, come riuscirete a rispondere in termini concreti, se non con il fatto che gli italiani potrebbero avere qualche difficoltà nel votare con più schede.
Gli italiani però votano ormai da molti anni, sanno discernere il voto in momenti diversi delle stesse elezioni amministrative, in cui esprimono voti diversi a secondo delle assemblee elettive, e ancora maggiormente gli elettori conoscono i loro diritti nel rifiutare le schede quando non sono d'accordo con i quesiti proposti.
Voi volete impedire una discussione vera e volete impedire, evidentemente, utilizzando in maniera maldestra un'azione di Governo, che quel referendum possa raggiungere il quorum. Non si tratta infatti di una discussione nel merito ma, ancora una volta, di un interesse privato, ossia che l'ultimo quesito, che ho citato, sul legittimo impedimento, raggiunga il quorum, perché è una delle questioni centrali intorno alla quale, dall'inizio della legislatura, hanno ruotato solo gli interessi del Pag. 58Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà anche la mozione Di Pietro ed altri n. 1-00586, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, interverrò con poche parole. Vi sono motivazioni di principio e di merito che non dovrebbero lasciare spazio a discussioni circa l'opportunità di riunire in un'unica giornata le votazioni previste per le elezioni amministrative e per i referendum. Da settimane, con il nostro partito, abbiamo posto in essere una campagna per rendere in qualche modo palese a tutti quello che sta capitando.
Esiste una ragione di principio perché è ovvio che ogni cattolico può decidere se andare a messa o no, ma avete mai visto un sacerdote che dal pulpito invita i suoi fedeli a non andare a messa? Sarebbe veramente inimmaginabile. La nostra Costituzione chiede la partecipazione dei cittadini e compito di ogni uomo politico dovrebbe essere quello di fare di tutto perché questa partecipazione sia concreta e reale, perché questo diritto, che è un diritto-dovere, possa essere effettivamente esercitato da parte dei cittadini.
È chiaro allora che ad una situazione nella quale centinaia di migliaia di cittadini sono chiamati al voto per le elezioni amministrative dovrebbe essere conseguente il fatto di riunire in un'unica giornata quelle elezioni con la votazione dei referendum. Si può discutere sull'entità e sulla valutazione, perché ogni valutazione ha in sé un'opinabilità e si potrà evidentemente discutere se si tratta di 300 milioni di euro, di 250 o di 200, ma, comunque sia, si tratta di somme che vengono sperperate individuando due date diverse per le elezioni.
Noi riteniamo anche - e lo abbiamo già fatto - che una decisione confermata di tenere il referendum in data diversa non può che spingerci ad una denuncia alla Corte dei conti nei confronti del Ministro che dovesse firmare questo decreto. Infatti, è evidente che siamo di fronte ad uno sperpero di denaro pubblico, ad un danno erariale ingente. Noi sappiamo bene che ci troviamo in una situazione nella quale continuiamo a dire di no: faccio parte della V Commissione (Bilancio) e, quindi, mi trovo quotidianamente di fronte a proposte di legge approvate dalle Commissioni, che vengono tagliate, rese totalmente inefficaci adducendo motivazioni di carattere finanziario e la mancanza di sostegno di fonti finanziarie e di coperture.
Abbiamo fatto un elenco: a partire dal Fondo per le non autosufficienze (i fondi sono esauriti); i fondi per i malati di SLA e per la loro assistenza domiciliare; un anno di rifinanziamento del 5 per mille; la reintegrazione delle risorse tagliate al Fondo per le politiche sociali; l'acquisto di nuove autovetture per le forze di polizia che non riescono neppure a svolgere il loro compito per la mancanza di sostegni finanziari; la realizzazione di asili nido (c'era a suo tempo un fondo che è stato cancellato); la reintegrazione di risorse tagliate al Ministero della giustizia, mentre non parliamo di quelle tagliate al Ministero dell'istruzione e dell'università. Pensiamo anche a quest'ultima «scoperta» con cui sono stati bloccati 27 milioni al Fondo unico per lo spettacolo.
È così facile individuare gli enormi bisogni che in questo momento ha il Paese e noi ci permettiamo di sputare in faccia ai cittadini che li chiedono stabilendo che spendiamo 200-300 milioni di euro in più, perché qualcuno non vuole che la gente vada a votare e spera di ottenere - attraverso questa strada - il mancato raggiungimento del quorum come obiettivo politico per impedire che i cittadini si esprimano. Credo che tutto ciò sia assolutamente inaccettabile.
Noi abbiamo proposto quei quattro referendum che si dovranno tenere. Due sono stati proposti e abbiamo raccolto le firme su iniziativa di Italia dei Valori. Qualcuno ha parlato di sciacallaggio sulle vicende che stanno capitando in questo momento. Guardate che ci sono notizie Pag. 59dell'ultima ora drammatiche per quello che accade sul nucleare. I paesi civili più industrializzati e più avanzati del nostro come la Germania e la Svizzera hanno dichiarato oggi che bloccano i piani per la costruzione di nuove centrali nucleari e il Ministro dell'ambiente mi viene a dire che stiamo facendo dello sciacallaggio (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)?
Ma cerchiamo di ragionare con serietà di fronte a queste cose perché l'imponderabile è sempre dietro l'angolo. Come dimostra proprio la vicenda giapponese, ciò che era impossibile che accadesse è accaduto. Noi rispondiamo con centrali di tipo vecchio e immaginiamo di andare avanti su un piano che in qualche modo potrebbe portare alle distruzioni alle quali stiamo assistendo dall'altra parte del mondo.
È inutile proseguire oltre. Siamo in presenza di un modo di governare contro la Costituzione, contro i cittadini, contro la partecipazione dei cittadini a decisioni importanti, soltanto per realizzare un obiettivo di parte.
L'obiettivo di tutti, invece, sarebbe quello di portare al voto non il 50 o il 60 per cento ma il 90 per cento dei cittadini. Questo era un obiettivo che tutti cercavano di perseguire una volta.
Per questo motivo siamo assolutamente dell'idea di appoggiare questa iniziativa e ribadiamo che denunceremo il Ministro, se sarà lui a firmare quel decreto, per danno erariale e per sperpero di denaro pubblico (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato diverse argomentazioni a favore delle mozioni presentate dai gruppi del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori, che sostengono l'accorpamento tra la data dello svolgimento del referendum e il primo turno delle elezioni amministrative. Svolgo al riguardo, signor Presidente, alcune considerazioni. Non commento l'ultima dichiarazione dell'onorevole Borghesi che, francamente, mi sembra anche fuori luogo, al di là della posizione politica, proprio per il buonsenso che si deve avere in quest'Aula in ordine ai rapporti che intercorrono tra forze politiche e il Governo. Credo, tuttavia, che qualche precisazione vada svolta, al di là del balletto di cifre che pure è caratterizzato e continuerà a caratterizzare credibilmente il dibattito che ascolteremo, di qui a qualche tempo, sulla questione del cosiddetto election day.
Inizio con qualche considerazione preliminare, ossia quella secondo cui la democrazia ha dei costi. È evidente che questi costi servono a far funzionare la democrazia e servono anche a celebrare le elezioni e il referendum. Se dobbiamo chiuderci nella logica per cui la celebrazione dei referendum o le elezioni sono un costo e se addirittura dovessimo entrare in un'ottica di risparmio a tutti i costi dovremmo, paradossalmente, essere anche disponibili a sacrificare la celebrazione dei referendum o delle elezioni. Credo che questo non abbia senso ed è evidente che, poiché dal 1995 ad oggi, signor Presidente, non si è mai raggiunto il quorum dei referendum, sarebbe paradossale che coloro che propongono i referendum ne imputassero al Governo il costo.
Da questo punto di vista poi in ordine all'ipotesi di accorpamento con il primo turno svolgo alcune considerazioni preliminari. La disciplina costituzionale del referendum abrogativo prevede, affinché il referendum sia valido, il raggiungimento del quorum strutturale, vale a dire la maggioranza più uno degli aventi diritto. Tutte le forze politiche, in un'occasione o nell'altra, si sono avvalse, hanno ritenuto ammissibile e difeso il diritto degli elettori di scegliere tra tre diverse opzioni: il «si», il «no» e l'astensione (oltre alla scheda bianca o nulla), con i relativi diversi esiti del referendum: approvato, respinto o non valido.
Sin dal primo referendum, quello sul divorzio del 1974, vi sono stati comitati, associazioni o partiti che hanno proposto Pag. 60l'astensione. Ricordo la proposta iniziale dei Cattolici Democratici di Pietro Scoppola, poi mutata in «no» al referendum. Anche Pannella e i radicali proposero l'astensione per il referendum sulla scala mobile del 1985 che Craxi e Carniti rifiutarono, battendosi per la vittoria del «no» che poi effettivamente ebbe luogo.
Pertanto, il riconoscimento del pieno diritto di scelta di fatto tra tre opzioni ha avuto come conseguenza il consolidamento della prassi di non accorpare lo svolgimento del referendum con qualsiasi altro tipo di elezioni, al fine di non interferire in alcun modo con il diritto di scelta degli elettori. Questa prassi è stata seguita da tutti i Governi, di qualsiasi colore politico, nonostante le richieste di accorpamento avanzate via via dai promotori dei diversi referendum e tendenzialmente dai partiti in quel momento all'opposizione.
Si veda, ad esempio, il precedente dei sette referendum nel 1997, quando il Governo Prodi (Ministro dell'interno era l'onorevole Napolitano) scelse di tenere i referendum nell'ultima data utile del periodo 15 aprile-15 giugno, vale a dire il 15 giugno, senza procedere ad alcun accorpamento con le elezioni amministrative di quell'anno, svoltesi il 27 aprile con il ballottaggio l'11 maggio. Oppure, si veda il precedente dei sette referendum del 2000, quando furono gli stessi promotori, onorevole Amici, i radicali ad escludere l'accorpamento, rivendicando la necessità di due campagne diverse: una più specificatamente elettorale e un'altra, distinta da quella regionale amministrativa, per il referendum.
I referendum si tennero il 21 maggio e le regionali e il primo turno delle amministrative il 16 aprile. L'unica eccezione a questa prassi ormai consolidata è quella del caso del 2009, ma mai, mai nella storia vi è stata una concomitanza di date fra i referendum abrogativi ed altre elezioni; né con le elezioni politiche, perché questo è reso impossibile dagli articoli 31 e 34 della legge n. 352 del 1970, né con le elezioni europee o regionali o con il primo turno delle amministrative.
Si tratta di ben 15 precedenti (chi avesse la fantasia di volerli consultare su Wikipedia può togliersi lo sfizio). L'unico caso di accorpamento è avvenuto nel 2009 con il secondo turno delle amministrative, ma si tratta di condizioni straordinarie e particolari, che non possono costituire un precedente. Vediamo quali erano queste condizioni. Il caso del 2009, infatti, quando i tre referendum in materia elettorale furono accorpati con il secondo turno, si deve al fatto che i referendum avrebbero dovuto tenersi nel 2008 e furono rinviati a causa delle elezioni politiche.
L'articolo 34 della legge che disciplina i referendum prevede che essi non si possano celebrare nei 365 giorni successivi alla data delle elezioni. Sussistendo la necessità di indire i referendum in un tempo che varia, tra l'indizione e lo svolgimento, di 50 giorni, rimanevano sostanzialmente due date utili nel periodo previsto dalla legge, e cioè il periodo 15 aprile-15 giugno.
In altri casi il referendum slittò di due anni; è il caso del referendum sul divorzio, che slittò dal 1972 al 1974. Rimanevano soltanto due date utili nel 2009: il 15 aprile e il 15 giugno. Per evitare che nel 2009 gli elettori fossero chiamati a votare per tre domeniche consecutive, vale a dire il 7, il 14 e il 21 giugno, fu fatta una leggina per oltrepassare il termine del 15 giugno, e quindi di fatto si accorparono i referendum con il secondo turno delle amministrative. È evidente che si tratta di un caso eccezionale, che non ha nulla a che vedere con la situazione attuale.
Abbiamo, dunque, portato dei precedenti che chiariscono come, di fatto, la richiesta di accorpamento sia assolutamente strumentale, come l'astensione sia ormai una posizione politica e come, evidentemente, l'accorpamento potrebbe rischiare di falsare, in qualche modo, l'esito e il risultato del referendum. Concludo questo breve intervento, signor Presidente, citando un articolo di Chicco Testa dell'11 marzo scorso, pubblicato da Il Foglio. Chicco Testa dice: i referendari, quasi non sapessero che i referendum costano, accusano Maroni per non aver istituito Pag. 61l'election day, sparando cifre di potenziali risparmi che non tengono conto che vota per le amministrative solo una parte minoritaria dell'Italia. In realtà, la loro preoccupazione è il timore di non raggiungere il quorum necessario. Un aiutino, quindi, sarebbe il benvenuto. Questa è chiaramente la posizione dei promotori, di una parte dell'opposizione. È una posizione politicamente comprensibile, ma certo non si può far colpa al Governo se non la condivide. Certamente, la non condivisione di questa posizione da parte del Governo non solo non deve essere colpevolizzata, ma deve essere rispettata.
Purtroppo, ho ascoltato poche parole di rispetto nei confronti della posizione del Governo, ma ci auguriamo che la discussione di queste mozioni porti un dibattito di natura più elevata, anche alla luce dei precedenti che ho avuto l'onore e il piacere di fornire a nome del mio gruppo in quest'Aula. Con essi spero anche di aver chiarito e dipanato dubbi, ipotesi o nubi che potevano addensarsi su quale fosse la posizione del Governo, legittima e consolidata da una prassi antica e specchiata, oltre, ovviamente, a preannunciare l'atteggiamento assolutamente contrario ai dispositivi delle mozioni presentate dai gruppi dell'Italia dei Valori e del Partito Democratico.
Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato diverse argomentazioni a favore delle mozioni presentate dai gruppi del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori, che sostengono l'accorpamento tra la data dello svolgimento del referendum e il primo turno delle elezioni amministrative. Svolgo al riguardo, signor Presidente, alcune considerazioni. Non commento l'ultima dichiarazione dell'onorevole Borghesi che, francamente, mi sembra anche fuori luogo, al di là della posizione politica, proprio per il buonsenso che si deve avere in quest'Aula in ordine ai rapporti che intercorrono tra forze politiche e il Governo. Credo, tuttavia, che qualche precisazione vada svolta, al di là del balletto di cifre che pure è caratterizzato e continuerà a caratterizzare credibilmente il dibattito che ascolteremo, di qui a qualche tempo, sulla questione del cosiddetto election day.
Inizio con qualche considerazione preliminare, ossia quella secondo cui la democrazia ha dei costi. È evidente che questi costi servono a far funzionare la democrazia e servono anche a celebrare le elezioni e il referendum. Se dobbiamo chiuderci nella logica per cui la celebrazione dei referendum o le elezioni sono un costo e se addirittura dovessimo entrare in un'ottica di risparmio a tutti i costi dovremmo, paradossalmente, essere anche disponibili a sacrificare la celebrazione dei referendum o delle elezioni. Credo che questo non abbia senso ed è evidente che, poiché dal 1995 ad oggi, signor Presidente, non si è mai raggiunto il quorum dei referendum, sarebbe paradossale che coloro che propongono i referendum ne imputassero al Governo il costo.
Da questo punto di vista poi in ordine all'ipotesi di accorpamento con il primo turno svolgo alcune considerazioni preliminari. La disciplina costituzionale del referendum abrogativo prevede, affinché il referendum sia valido, il raggiungimento del quorum strutturale, vale a dire la maggioranza più uno degli aventi diritto. Tutte le forze politiche, in un'occasione o nell'altra, si sono avvalse, hanno ritenuto ammissibile e difeso il diritto degli elettori di scegliere tra tre diverse opzioni: il «si», il «no» e l'astensione (oltre alla scheda bianca o nulla), con i relativi diversi esiti del referendum: approvato, respinto o non valido.
Sin dal primo referendum, quello sul divorzio del 1974, vi sono stati comitati, associazioni o partiti che hanno proposto Pag. 60l'astensione. Ricordo la proposta iniziale dei Cattolici Democratici di Pietro Scoppola, poi mutata in «no» al referendum. Anche Pannella e i radicali proposero l'astensione per il referendum sulla scala mobile del 1985 che Craxi e Carniti rifiutarono, battendosi per la vittoria del «no» che poi effettivamente ebbe luogo.
Pertanto, il riconoscimento del pieno diritto di scelta di fatto tra tre opzioni ha avuto come conseguenza il consolidamento della prassi di non accorpare lo svolgimento del referendum con qualsiasi altro tipo di elezioni, al fine di non interferire in alcun modo con il diritto di scelta degli elettori. Questa prassi è stata seguita da tutti i Governi, di qualsiasi colore politico, nonostante le richieste di accorpamento avanzate via via dai promotori dei diversi referendum e tendenzialmente dai partiti in quel momento all'opposizione.
Si veda, ad esempio, il precedente dei sette referendum nel 1997, quando il Governo Prodi (Ministro dell'interno era l'onorevole Napolitano) scelse di tenere i referendum nell'ultima data utile del periodo 15 aprile-15 giugno, vale a dire il 15 giugno, senza procedere ad alcun accorpamento con le elezioni amministrative di quell'anno, svoltesi il 27 aprile con il ballottaggio l'11 maggio. Oppure, si veda il precedente dei sette referendum del 2000, quando furono gli stessi promotori, onorevole Amici, i radicali ad escludere l'accorpamento, rivendicando la necessità di due campagne diverse: una più specificatamente elettorale e un'altra, distinta da quella regionale amministrativa, per il referendum.
I referendum si tennero il 21 maggio e le regionali e il primo turno delle amministrative il 16 aprile. L'unica eccezione a questa prassi ormai consolidata è quella del caso del 2009, ma mai, mai nella storia vi è stata una concomitanza di date fra i referendum abrogativi ed altre elezioni; né con le elezioni politiche, perché questo è reso impossibile dagli articoli 31 e 34 della legge n. 352 del 1970, né con le elezioni europee o regionali o con il primo turno delle amministrative.
Si tratta di ben 15 precedenti (chi avesse la fantasia di volerli consultare su Wikipedia può togliersi lo sfizio). L'unico caso di accorpamento è avvenuto nel 2009 con il secondo turno delle amministrative, ma si tratta di condizioni straordinarie e particolari, che non possono costituire un precedente. Vediamo quali erano queste condizioni. Il caso del 2009, infatti, quando i tre referendum in materia elettorale furono accorpati con il secondo turno, si deve al fatto che i referendum avrebbero dovuto tenersi nel 2008 e furono rinviati a causa delle elezioni politiche.
L'articolo 34 della legge che disciplina i referendum prevede che essi non si possano celebrare nei 365 giorni successivi alla data delle elezioni. Sussistendo la necessità di indire i referendum in un tempo che varia, tra l'indizione e lo svolgimento, di 50 giorni, rimanevano sostanzialmente due date utili nel periodo previsto dalla legge, e cioè il periodo 15 aprile-15 giugno.
In altri casi il referendum slittò di due anni; è il caso del referendum sul divorzio, che slittò dal 1972 al 1974. Rimanevano soltanto due date utili nel 2009: tra il 15 aprile e il 15 giugno. Per evitare che nel 2009 gli elettori fossero chiamati a votare per tre domeniche consecutive, vale a dire il 7, il 14 e il 21 giugno, fu fatta una leggina per oltrepassare il termine del 15 giugno, e quindi di fatto si accorparono i referendum con il secondo turno delle amministrative. È evidente che si tratta di un caso eccezionale, che non ha nulla a che vedere con la situazione attuale.
Abbiamo, dunque, portato dei precedenti che chiariscono come, di fatto, la richiesta di accorpamento sia assolutamente strumentale, come l'astensione sia ormai una posizione politica e come, evidentemente, l'accorpamento potrebbe rischiare di falsare, in qualche modo, l'esito e il risultato del referendum. Concludo questo breve intervento, signor Presidente, citando un articolo di Chicco Testa dell'11 marzo scorso, pubblicato da Il Foglio. Chicco Testa dice: i referendari, quasi non sapessero che i referendum costano, accusano Maroni per non aver istituito Pag. 61l'election day, sparando cifre di potenziali risparmi che non tengono conto che vota per le amministrative solo una parte minoritaria dell'Italia. In realtà, la loro preoccupazione è il timore di non raggiungere il quorum necessario. Un aiutino, quindi, sarebbe il benvenuto. Questa è chiaramente la posizione dei promotori, di una parte dell'opposizione. È una posizione politicamente comprensibile, ma certo non si può far colpa al Governo se non la condivide. Certamente, la non condivisione di questa posizione da parte del Governo non solo non deve essere colpevolizzata, ma deve essere rispettata.
Purtroppo, ho ascoltato poche parole di rispetto nei confronti della posizione del Governo, ma ci auguriamo che la discussione di queste mozioni porti un dibattito di natura più elevata, anche alla luce dei precedenti che ho avuto l'onore e il piacere di fornire a nome del mio gruppo in quest'Aula. Con essi spero anche di aver chiarito e dipanato dubbi, ipotesi o nubi che potevano addensarsi su quale fosse la posizione del Governo, legittima e consolidata da una prassi antica e specchiata, oltre, ovviamente, a preannunciare l'atteggiamento assolutamente contrario ai dispositivi delle mozioni presentate dai gruppi dell'Italia dei Valori e del Partito Democratico.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, abbiamo ascoltato diverse argomentazioni a favore delle mozioni presentate dai gruppi del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori, che sostengono l'accorpamento tra la data dello svolgimento del referendum e il primo turno delle elezioni amministrative. Svolgo al riguardo, signor Presidente, alcune considerazioni. Non commento l'ultima dichiarazione dell'onorevole Borghesi che, francamente, mi sembra anche fuori luogo, al di là della posizione politica, proprio per il buonsenso che si deve avere in quest'Aula in ordine ai rapporti che intercorrono tra forze politiche e il Governo. Credo, tuttavia, che qualche precisazione vada svolta, al di là del balletto di cifre che pure ha credibilmente caratterizzato e continuerà a caratterizzare il dibattito che ascolteremo, di qui a qualche tempo, sulla questione del cosiddetto election day.
Inizio con qualche considerazione preliminare, ossia quella secondo cui la democrazia ha dei costi. È evidente che questi costi servono a far funzionare la democrazia e servono anche a celebrare le elezioni e il referendum. Se dobbiamo chiuderci nella logica per cui la celebrazione dei referendum o le elezioni sono un costo e se addirittura dovessimo entrare in un'ottica di risparmio a tutti i costi dovremmo, paradossalmente, essere anche disponibili a sacrificare la celebrazione dei referendum o delle elezioni. Credo che questo non abbia senso ed è evidente che, poiché dal 1995 ad oggi, signor Presidente, non si è mai raggiunto il quorum dei referendum, sarebbe paradossale che coloro che propongono i referendum ne imputassero il costo al Governo.
Da questo punto di vista poi in ordine all'ipotesi di accorpamento con il primo turno svolgo altre considerazioni preliminari. La disciplina costituzionale del referendum abrogativo prevede, affinché il referendum sia valido, il raggiungimento del quorum strutturale, vale a dire la maggioranza più uno degli aventi diritto. Tutte le forze politiche, in un'occasione o nell'altra, si sono avvalse, hanno ritenuto ammissibile e difeso il diritto degli elettori di scegliere tra tre diverse opzioni: il «si», il «no» e l'astensione (oltre alla scheda bianca o nulla), con i relativi diversi esiti del referendum: approvato, respinto o non valido.
Sin dal primo referendum, quello sul divorzio del 1974, vi sono stati comitati, associazioni o partiti che hanno proposto Pag. 60l'astensione. Ricordo la proposta iniziale dei Cattolici Democratici di Pietro Scoppola, poi mutata in «no» al referendum. Anche Pannella e i radicali proposero l'astensione per il referendum sulla scala mobile del 1985 che Craxi e Carniti rifiutarono, battendosi per la vittoria del «no» che poi effettivamente ebbe luogo.
Pertanto, il riconoscimento del pieno diritto di scelta di fatto tra tre opzioni ha avuto come conseguenza il consolidamento della prassi di non accorpare lo svolgimento del referendum con qualsiasi altro tipo di elezioni, al fine di non interferire in alcun modo con il diritto di scelta degli elettori. Questa prassi è stata seguita da tutti i Governi, di qualsiasi colore politico, nonostante le richieste di accorpamento avanzate via via dai promotori dei diversi referendum e tendenzialmente dai partiti in quel momento all'opposizione.
Si veda, ad esempio, il precedente dei sette referendum nel 1997, quando il Governo Prodi (Ministro dell'interno era l'onorevole Napolitano) scelse di tenere i referendum nell'ultima data utile del periodo 15 aprile-15 giugno, vale a dire il 15 giugno, senza procedere ad alcun accorpamento con le elezioni amministrative di quell'anno, svoltesi il 27 aprile con il ballottaggio l'11 maggio. Oppure, si veda il precedente dei sette referendum del 2000, quando furono gli stessi promotori, onorevole Amici, i radicali ad escludere l'accorpamento, rivendicando la necessità di due campagne diverse: una più specificatamente elettorale regionale amministrativa e un'altra, distinta per il referendum.
I referendum si tennero il 21 maggio e le regionali e il primo turno delle amministrative il 16 aprile. L'unica eccezione a questa prassi ormai consolidata è quella del caso del 2009, ma mai, mai nella storia vi è stata una concomitanza di date fra i referendum abrogativi ed altre elezioni; né con le elezioni politiche, perché questo è reso impossibile dagli articoli 31 e 34 della legge n. 352 del 1970, né con le elezioni europee o regionali o con il primo turno delle amministrative.
Si tratta di ben 15 precedenti (chi avesse la fantasia di volerli consultare su Wikipedia può togliersi lo sfizio). L'unico caso di accorpamento è avvenuto nel 2009 con il secondo turno delle amministrative, ma si trattò di condizioni straordinarie e particolari, che non possono costituire un precedente. Vediamo quali erano state queste condizioni. Il caso del 2009, infatti, quando i tre referendum in materia elettorale furono accorpati con il secondo turno, si deve al fatto che i referendum avrebbero dovuto tenersi nel 2008 e furono rinviati a causa delle elezioni politiche.
L'articolo 34 della legge che disciplina i referendum prevede che essi non si possano celebrare nei 365 giorni successivi alla data delle elezioni. Dovendo passare un tempo di 50 giorni, tra l'indizione e lo svolgimento rimanevano sostanzialmente due date utili nel periodo previsto dalla legge, e cioè il periodo 15 aprile-15 giugno.
In altri casi il referendum slittò di due anni; è il caso del referendum sul divorzio, che slittò dal 1972 al 1974. Rimanevano soltanto due date utili nel 2009 tra il 15 aprile e il 15 giugno. Per evitare che gli elettori fossero chiamati a votare per tre domeniche consecutive, vale a dire il 7, il 14 e il 21 giugno, fu fatta una leggina per oltrepassare il termine del 15 giugno, e quindi di fatto si accorparono i referendum con il secondo turno delle amministrative. È evidente che si tratta di un caso eccezionale, che non ha nulla a che vedere con la situazione attuale.
Abbiamo, dunque, portato dei precedenti che chiariscono come, di fatto, la richiesta di accorpamento sia assolutamente strumentale, come l'astensione sia ormai una posizione politica e come, evidentemente, l'accorpamento potrebbe rischiare di falsare, in qualche modo, l'esito e il risultato del referendum. Concludo questo breve intervento, signor Presidente, citando un articolo di Chicco Testa dell'11 marzo scorso, pubblicato da Il Foglio. Chicco Testa dice: i referendari, quasi non sapessero che i referendum costano, accusano Maroni per non aver istituito Pag. 61l'election day, sparando cifre di potenziali risparmi che non tengono conto che vota per le amministrative solo una parte minoritaria dell'Italia. In realtà, la loro preoccupazione è il timore di non raggiungere il quorum necessario. Un aiutino, quindi, sarebbe il benvenuto. Questa è chiaramente la posizione dei promotori, di una parte dell'opposizione. È una posizione politicamente comprensibile, ma certo non si può far colpa al Governo se non la condivide. Certamente, la non condivisione di questa posizione da parte del Governo non solo non deve essere colpevolizzata, ma deve essere rispettata.
Purtroppo, ho ascoltato poche parole di rispetto nei confronti della posizione del Governo, ma ci auguriamo che la discussione di queste mozioni porti un dibattito di livello più elevato, anche alla luce dei precedenti che ho avuto l'onore e il piacere di fornire a nome del mio gruppo in quest'Aula. Con essi spero anche di aver chiarito e dipanato dubbi, ipotesi o nubi che potevano addensarsi su quale fosse la posizione del Governo, legittima e consolidata da una prassi antica e specchiata, oltre, ovviamente, ad aver preannunciato l'atteggiamento assolutamente contrario ai dispositivi delle mozioni presentate dai gruppi dell'Italia dei Valori e del Partito Democratico.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Di Pietro ed altri n. 1-00579, Gentiloni Silveri ed altri n. 1-00587 e Briguglio ed altri n. 1-00588 in materia di limiti all'acquisizione di partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani da parte di soggetti che esercitano attività televisiva (ore 17,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Di Pietro ed altri n. 1-00579, Gentiloni Silveri ed altri n. 1-00587 e Briguglio ed altri n. 1-00588 in materia di limiti all'acquisizione di partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani da parte di soggetti che esercitano attività televisiva (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta del 2 marzo 2011.
Avverto inoltre che sono state presentate le mozioni Rao ed altri n. 1-00592 e Landolfi, Sardelli ed altri n. 1-00593 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto altresì che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione della mozione Di Pietro ed altri n. 1-00579. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Gentiloni Silveri, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00587. Ne ha facoltà.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Signor Presidente, l'obiettivo delle mozioni che sono oggi in discussione generale è molto semplice.
Si tratta di porre rimedio ad un pasticcio che è stato fatto con l'approvazione del milleproroghe. Il risultato di questo pasticcio è che ci troviamo a due settimane dalla scadenza, dal venir meno, di una normativa che è in vigore in Italia da sette anni, che fu introdotta nell'ambito della discussione della legge di riforma del sistema radiotelevisivo, la cosiddetta legge Gasparri, e che fa divieto ai gruppi che hanno delle posizioni dominanti nel settore televisivo di acquisire partecipazioni nella carta stampata e nei giornali.
Si tratta di un tipico limite antitrust, non è cioè un limite alla convergenza Pag. 62tecnologica tra carta stampata, Internet e televisione. È un limite a delle posizioni dominanti che vi sono in Italia nel mercato televisivo ed è, tra l'altro, coerente con tutta la normativa europea che proprio nel settore dell'informazione, in nome di un valore come quello del pluralismo informativo, autorizza e consente norme antitrust, come si dice in gergo ex ante, ossia che fissano dei tetti più severi di quelli previsti dalle normali normative del diritto alla concorrenza.
Quello che credo retoricamente ci dobbiamo domandare, la risposta ritengo sia abbastanza scontata, è se, rispetto alla situazione di sette anni fa che portò all'introduzione del suddetto divieto per i gruppi dominanti in campo televisivo, oggi il contesto in cui ci muoviamo sia cambiato in modo rilevante. Vi è ancora la situazione che sette anni fa ci indusse ad introdurre nella cosiddetta legge Gasparri, poi ripresa dal Testo unico della radiotelevisione, questo limite all'acquisto di partecipazioni nei giornali per i grandi gruppi televisivi?
Bene, credo che chiunque abbia un minimo di dimestichezza con questo settore può facilmente constatare che le ragioni fondamentali che portarono ad introdurre quel limite oggi sono assolutamente rimaste tali. Sono ragioni economiche, il sistema televisivo vive nel nostro Paese una situazione di oligopolio in cui vi sono due o tre grandi gruppi che racchiudono il grosso delle risorse. Pensate che in campo pubblicitario soltanto i primi due grandi gruppi, ossia Mediaset e RAI, raccolgono da soli più del 90 per cento dell'intera torta pubblicitaria e che la torta pubblicitaria televisiva è incommensurabile rispetto alla torta pubblicitaria della carta stampata.
Forse, anzi, le ragioni che spinsero il Parlamento nel 2004 a introdurre questo divieto oggi sono ancora più forti di allora, perché la situazione di concentrazione televisiva non è mutata, ma forse si è modificata la situazione della carta stampata, dei giornali. Oggi sappiamo bene che la situazione della carta stampata e dei giornali è di particolare fragilità e di crisi, sia dal punto di vista della diffusione (complessivamente i giornali italiani hanno perso, negli ultimi dieci anni, il 31 per cento della loro diffusione), sia dal punto di vista economico (quasi tutti i giornali italiani nell'ultimo anno o anno e mezzo hanno dichiarato lo stato di crisi in base alle normative previste al riguardo, anche in termini occupazionali).
Abbiamo, quindi, da una parte, un settore televisivo, che ha conservato la sostanza di una concentrazione che è la più elevata di Europa, e dall'altra parte abbiamo la carta stampata, che vive una condizione di particolare difficoltà. Direi, dunque, non soltanto che le ragioni che nel 2004 spinsero il Parlamento a deliberare non sono venute meno, ma che si sono probabilmente rafforzate. Ricordo anche un'altra particolare caratteristica del nostro sistema da questo punto di vista e cioè che l'Italia - che presenta con evidenza un maggior potere economico e una maggiore concentrazione dei gruppi televisivi rispetto al resto dei Paesi europei - non ha delle norme antitrust in campo televisivo. Non voglio in questa sede richiamare troppo a lungo una discussione che facemmo all'epoca della famosa legge Gasparri, ma gli unici limiti cosiddetti antitrust sono relativi ad una base di riferimento sconfinata, che è il sistema integrato delle comunicazioni e che fa sì che, praticamente, nessun gruppo di questo settore raggiungerà mai una posizione vietata rispetto a un settore così grande.
Lo stesso discorso non vale per la carta stampata, dove invece è in vigore dal 1981, quindi da trent'anni, una precisa normativa antitrust, introdotta appunto nel 1981, che, come si sa, riguarda il limite all'acquisizione di tiratura (i giornali non possono accumulare nelle loro proprietà oltre una certa tiratura di copie di carta stampata).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 18,05)

PAOLO GENTILONI SILVERI. Le ragioni, quindi, che spinsero a quelle decisioni sono ancora vive e, forse, sono più Pag. 63vive che mai in virtù delle difficoltà della carta stampata. Il contesto dei limiti antitrust è nettamente squilibrato, perché noi abbiamo sì dei limiti antitrust per la carta stampata, ma non ne abbiamo nel campo televisivo, dove le concentrazioni sono molto, molto più forti.
Infine, naturalmente, su tutto questo dobbiamo considerare l'incidenza del conflitto di interessi, cioè la particolarissima condizione del rapporto tra questi gruppi televisivi, anzi, il maggiore di questi gruppi televisivi, che da solo raccoglie il 62 per cento della pubblicità del nostro sistema, e il Presidente del Consiglio e la sua famiglia, che lo controllano.
In un contesto che non è mutato, l'esigenza di prorogare le normative previste dagli articoli 42 e 43 del testo unico del 2005 è stata riproposta da tutte le autorità di garanzia - sapete che le Authority hanno un potere di segnalazione formale al Governo in merito alla necessità di interventi legislativi - in particolare dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con una segnalazione formale: il 24 novembre scorso l'Agcom segnala al Governo la necessità di prorogare la normativa, che vieta ai grandi gruppi tv l'entrata nella carta stampata. L'Antitrust si unisce a questa segnalazione e, a conclusione dell'iter di approvazione del milleproroghe, fa un'ulteriore segnalazione, rilevando che il disposto del milleproroghe pone un'ulteriore questione e che cioè configura la possibilità - che l'Antitrust definisce inopportuna - che sia il Presidente del Consiglio dei ministri, l'onorevole Berlusconi, il titolare dell'eventuale proroga di questo divieto.
La segnalazione dell'Antitrust indica che l'adozione o la mancata adozione dell'atto di proroga - cioè sia il fatto di adottarlo sia il fatto di non adottarlo nei prossimi 15 giorni - si presterà ad essere sindacata ai sensi della legge 20 luglio 2004, n. 215 sul conflitto di interessi, allo scopo di valutarne l'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del Presidente del Consiglio e il danno per l'interesse pubblico. Quindi, l'Antitrust segnala che se il Presidente nel Consiglio, personalmente, con un DPCM concede una proroga - anche con la legge Frattini, che è una legge senza denti - rischia un'indagine seria da parte dell'Antitrust, ma lo stesso rischio c'è anche se il Presidente del Consiglio non concede la proroga, visto che a lui è stato attribuito questo compito dal dispositivo del milleproroghe.
Credo quindi che il senso delle nostre mozioni sia chiarissimo: il Governo ha poco tempo, meno di due settimane, per intervenire dal punto di vista legislativo su una situazione che rischia di diventare insostenibile e che, marginalmente, rischia di aprire alla persona del Presidente del Consiglio un problema molto serio in termini di conflitto di interesse. Si tratta di intervenire dando un termine congruo, che a nostro avviso potrebbe tranquillamente coincidere con la fine del 2012, che è la fine della transizione televisiva dall'analogico al digitale e che quindi consente di prorogare anche alcune caratteristiche del divieto introdotto nel 2004 e che erano relative a un universo televisivo caratterizzato dalla tecnologia digitale. Fino alla fine del 2012 può andare ragionevolmente una proroga e può farsi sulla base dei criteri già evidenziati nel testo unico della radiotelevisione, del 2005.
Naturalmente aspettiamo dal Governo una proposta in questo senso, ma siamo convinti che l'approvazione in Parlamento di queste mozioni può essere una chiara indicazione politica della necessità di rimediare al pasticcio fatto con il milleproroghe e di prorogare un divieto di ulteriore concentrazione in un settore in cui le posizioni dominanti dei principali gruppi televisivi rappresentano già un elemento di sconvolgimento del mercato (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà anche la mozione Di Pietro ed altri n. 1-00579 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, sarò di poche parole perché la Pag. 64questione, dal punto di vista tecnico è stata pregevolmente riassunta dal collega Gentiloni. Mi limiterò pertanto a dire che non solo condivido le riflessioni che egli ha svolto, ma che si tratta anche di una vicenda emblematica di come questo Governo e questa maggioranza legiferino senza aver mai presenti motivi di opportunità che dovrebbero consigliare dei comportamenti che quantomeno non richiamino continuamente l'esistenza di questo enorme conflitto di interessi di base - lo sappiamo - di un uomo che controlla nel sistema radiotelevisivo e anche nel sistema della stampa una quantità così rilevante di mezzi di informazione e che, essendo diventato Presidente del Consiglio oggi controlla anche le reti della RAI. Il che è tanto abnorme che è quasi come il disastro giapponese. Nessun Paese avrebbe mai pensato di dover fare una legge sul conflitto di interessi per una cosa così evidente tanto che in molti Paesi non c'è nessuna legge sul conflitto di interesse perché nessuno si azzarda, neppure lontanamente, ad entrare in conflitto di interessi in questo modo. Persino il Presidente del Cile ha venduto tutto!
Questo è il nucleo vero del problema, e proprio per questo il rinvio di quel divieto di incrocio era auspicabile da tutti fuorché da chi, invece, si muoveva con interessi probabilmente inconfessati, che erano quelli di far decadere quel divieto per poter agire. Per carità, le voci sono sempre voci e vanno prese per quello che sono, appunto delle voci, ma immaginare che possano esserci degli interessi oggi nei riguardi di un quotidiano come il Corriere della Sera mi pare cosa abbastanza normale (mi riferisco al fatto, lo ripeto, che ci possano essere degli interessi). Allora, il solo pensare che quel maldestro intervento di rettifica di quel divieto potesse avere anche come fondamento qualcosa del genere resta tra i sospetti che credo sia lecito avere.
Direi che sono sospetti avvalorati perché io mi sono letto la mozione del PdL, che probabilmente dopo sarà illustrata da qualche collega, e che va a riproporre pari pari - pari pari, lo ripeto - le stesse aggiunte che erano previste dall'emendamento al milleproroghe, salvo cancellarne una piccola parte che attiene alle quantità, e che quindi evidenziano una volontà precisa anche di fronte ad un rinvio, non ad un semplice rinvio, come quello che chiedevamo prima, ma ad un rinvio condizionato, a delle piccole parole che sono piene di sospetto. Che ci sia poi un conflitto di interesse evidente sollevato dall'Antitrust ed dall'Agcom per quanto riguarda il fatto che si vada a demandare proprio al Presidente del Consiglio, che è in questa situazione in un evidente conflitto di interessi indipendentemente da questo atto, anche quello della proroga, ebbene insomma fa parte di quell'assoluto atteggiamento di arroganza di questa maggioranza, che non si preoccupa neanche di avere un atteggiamento rispettoso nei confronti di un tema come questo.
Noi però questa volta non ci formalizziamo su questo specifico conflitto di interesse del Presidente del Consiglio, perché noi abbiamo presente il fatto che essendo oggi il 14 marzo ed essendoci la scadenza del 31 marzo, non si possa immaginare che l'intervento normativo avvenga attraverso un decreto-legge. Ciò vorrebbe dire, ancora una volta, escludere il Parlamento da una discussione seria e far sì che vi sia un rinvio condizionato ad una normativa, ad una scelta già fatta prima di quello che succederà al termine di quella scadenza. Per questo noi diciamo: intanto il Presidente del Consiglio faccia quello che deve fare, prorogare fino a fine anno - come è in suo potere - la scadenza, che sarebbe né più né meno fare ciò che doveva essere fatto con il milleproroghe, e che non è stato fatto, e quindi penso che conseguenze per lui non ce ne siano, e immediatamente si avvii invece un disegno di legge per discutere di un'ulteriore scadenza fino al 2012, così come richiesto in altre mozioni. Noi, in questo senso abbiamo oggi modificato la parte dispositiva della nostra mozione, proprio per dire: primo, si faccia il rinvio immediato, come è nei poteri del Presidente del Consiglio, fino alla fine di questo anno; secondo, si discuta in Parlamento se c'è necessità di Pag. 65fare non un rinvio semplice al 31 dicembre 2012, ma un rinvio con delle condizioni, e sia questo il luogo della discussione su quelle condizioni eventualmente poste.
Per questo, ritengo che la mozione del PdL sia inaccettabile, proprio perché ripropone esattamente sul 2012 quello che volevano fare e che non sono, poi, riusciti a fare per i richiami evidenti che ci sono stati sul punto, in particolare quello degli incroci, anche da parte del Presidente della Repubblica.
Naturalmente, noi voteremo -lo anticipo già fin da ora - a favore della mozione presentata dal PD e non voteremo, ovviamente, a favore di quella del PdL proprio per le motivazioni che ho cercato fin qui di illustrare (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Briguglio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00588. Ne ha facoltà.

CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, con la nostra mozione intanto vogliamo porre un problema che è centrale per la nostra democrazia politica, ossia il problema dell'informazione nel nostro Paese, il suo rapporto con chi è titolare di cariche di Governo e, in particolare, con chi ha una preminenza, all'interno di questa titolarità, che è, certamente, il Presidente del Consiglio.
Il 31 dicembre 2010 è scaduta la disposizione dell'articolo 43, comma 12, del Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, secondo il quale le emittenti televisive titolari di più di una rete nazionale e relative società non possono acquisire partecipazioni societarie in aziende editrici di giornali quotidiani. È ciò che passa giornalisticamente come il divieto di incroci fra giornali e televisioni.
Con il provvedimento cosiddetto milleproroghe, oggetto di un iter parlamentare molto tormentato, è stata introdotta la proroga del divieto, per chi possiede più di una rete televisiva, di essere proprietario di un giornale soltanto fino al 31 marzo 2011, e non fino al termine del 2012 come prevedeva il testo precedente del decreto-legge modificato, poi, nel corso dell'iter parlamentare. Il rinvio al 31 dicembre 2011 - questo è il punto - è, inoltre, facoltativo, innanzitutto, e, poi, rimesso alla discrezionalità del Presidente del Consiglio dei ministri. Infatti, il comma 2 dell'articolo 1 prevede espressamente che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può essere disposta l'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011 del termine precedente del 31 marzo.
Non vorrei definirlo come un piccolo giallo, ma, nella versione originaria del provvedimento cosiddetto milleproroghe, che era stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 26 febbraio, la tabella dei provvedimenti da prorogare al 31 marzo 2011 non conteneva, nell'elenco, proprio l'articolo che disciplina gli incroci stampa-tv. È stata eseguita una strana e singolare errata corrige dichiarando che, questa voce, sostanzialmente, è stata corretta poiché era sfuggita. Vorrei collegarmi non a considerazioni di parte, ma ad atti radicati in comunicazioni di autorità di garanzie per sottolineare qual è il problema perché, il 24 novembre del 2010, proprio l'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha sottolineato che questa disposizione in materia di limiti antitrust all'incrocio tra televisione e giornali quotidiani è stata concepita, fin dall'inizio, dal legislatore proprio a tutela del pluralismo dei mezzi di informazione, sulla base della nota sentenza della Corte costituzionale n. 826 del 1988.
E ha segnalato in modo formale al Governo e ai Presidenti delle Camere l'esigenza di un intervento legislativo al fine di mantenere in vigore il citato divieto in quanto strettamente funzionale alla tutela della concorrenzialità e al pluralismo dell'intero sistema dell'informazione. Ma l'Agcom ha evidenziato in modo particolare - questo è il secondo punto - una serie di debolezze della legge 20 luglio 2004, n. 215 in materia di conflitto di Pag. 66interessi e, in particolare, ha posto l'attenzione del Parlamento, che ritengo sia il primo interlocutore privilegiato, sulla discrasia che c'è tra l'ambito soggettivo e oggettivo dell'applicazione della normativa in materia di sostegno privilegiato, cioè la normativa che non contempla tra i comportamenti vietati che possono configurare un sostegno privilegiato, anche attraverso qualsiasi forma di vantaggio diretto o indiretto politico, economico, di immagine a titolare di cariche di Governo, alcun riferimento alle imprese della carta stampata. Cioè, c'è una lacuna normativa, nonostante i giornali siano ricompresi nel sistema integrato delle comunicazioni, il famoso SIC.
Quindi, le leggi-parametro proprio prese in considerazione dalla legge n. 215 del 2004 e la cui sola violazione è suscettibile di integrare la ricorrenza del sostegno privilegiato, impongono il rispetto dei principi del pluralismo, della completezza, dell'obiettività, della lealtà, dell'imparzialità dell'informazione solo da parte delle emittenti radiofoniche e televisive, mentre la stampa sotto il profilo contenutistico e comportamentale gode di una disciplina autonoma, che non è ricompresa nell'ambito delle leggi che poco fa ho citato.
Quindi, due problemi. A sua volta, l'Antitrust, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato in una segnalazione del 1 marzo 2011, direi una segnalazione allarmata e politicamente degna della massima attenzione, che è stata inviata sia al Presidente del Consiglio sia ai Presidenti dei due rami del Parlamento, ha ricordato la presenza - per carità, ha ricordato ciò che tutti sappiamo, intendiamoci - ma che venga dall'Autorità antitrust ha un particolare significato - di rilevanti partecipazioni della persona del Presidente del Consiglio dei ministri in più di una rete televisiva, e questo rende particolarmente sensibile sotto il profilo del conflitto di interessi il fatto che la proroga del divieto dell'incrocio di proprietà tra reti televisive e stampa quotidiana sia affidata alla discrezionalità e alla competenza dell'attuale Presidente del Consiglio dei ministri.
Poi, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il 2 marzo 2011 è ritornata su questo tema raccomandando che venga prorogato di un tempo congruo il divieto di cui parlavamo. Quindi, abbiamo voluto richiamare con la nostra mozione che siamo dinanzi a questioni sensibili per la nostra democrazia politica e non vorremmo che, da una parte, vi sia un silenzio più o meno voluto ma, dall'altra soprattutto, una sorta di acquiescenza nei confronti di un problema che invece è rilevante per la nostra democrazia. Con questa mozione abbiamo voluto richiamare questo problema.
Tale problema ha anche delle ricadute che possono essere considerate non molto da bon ton, non molto gradevoli, ma propriamente politiche. Infatti, è un fatto che sono state sollevate delle polemiche in sede politica e giornalistica nel momento in cui è stato nominato Ministro dello sviluppo il Ministro Romani, che viene dal mondo Mediaset (è inutile che ci giriamo intorno: diciamo le cose come stanno); inoltre è un fatto, per noi estremamente grave, ed è giusto che lo diciamo in questa sede, in Parlamento, che periodicamente - secondo notizie di agenzie di stampa e secondo notizie che vengono dalla stampa quotidiana - il Presidente del Consiglio faccia delle convocazioni dei direttori di alcune testate, sia giornalistiche sia di emittenti radiofoniche e televisive, in particolare afferenti al sistema di informazione Mediaset. È un fatto estremamente grave, che noi non intendiamo far passare sotto silenzio, perché collegato in modo precipuo ed in modo direi stringente alla materia di cui stiamo parlando in questo momento.
Pertanto, non soltanto noi crediamo - e nella mozione abbiamo voluto fare un passo in avanti - che sia importante prorogare immediatamente ad un termine congruo, e quello della fine dell'anno prossimo lo è certamente, ma vogliamo sollevare la questione di una riorganizzazione complessiva, di sistema di questa materia, perché incide direttamente sulla qualità della nostra democrazia e sui diritti dei Pag. 67cittadini ad essere informati compiutamente, secondo un sistema che garantisca il pluralismo delle informazioni.
Concludo, signor Presidente, dicendo un'altra cosa che a noi sembra importante richiamare (se non lo si fa in Parlamento e se non si solleva in qualche modo il velo delle ipocrisie!): c'è un modo molto chiaro che abbiamo notato nell'esperienza di questi anni, per eludere persino il divieto esistente di incrocio di proprietà fra reti televisive e stampa quotidiana. Tale metodo è quello di intestare la proprietà dei quotidiani a parenti stretti e prossimi di chi è poi titolare di società di emittenti televisive. Questo ormai lo notiamo nella prassi di tutti i giorni. Sappiamo benissimo che chi lo fa si espone notevolmente al sospetto di proprietà fittizie, quando poi la stampa quotidiana viene intestata a parenti estremamente stretti. Cerchiamo di risolvere il problema con molta serenità in sede politica e parlamentare e quando si dovrà andare ad una necessaria - per noi assolutamente necessaria - riorganizzazione di questa materia è bene che il pluralismo dell'informazione venga assicurato anche sotto questo profilo, eliminando questa ipocrisia e facendo sì che il divieto di incrocio sia reale e superi anche questo problema.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Valducci, che illustrerà anche la mozione Landolfi, Sardelli ed altri n. 1-00593, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARIO VALDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'articolo 43 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005, ha per oggetto le posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni e, all'articolo 12, prevede che i soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete non possano acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani.
Tale disposizione riproduce quanto già era previsto dalla legge n. 112 del 2004 e risponde all'evidente esigenza di tutelare il pluralismo dell'informazione e della comunicazione, evitando concentrazioni proprietarie che interessano contestualmente sia il mercato radiotelevisivo sia il mercato dell'editoria e, più precisamente, quello dei quotidiani. Nel testo iniziale della legge del 2004, come nel testo unico, il termine di applicazione del divieto era fissato al 31 dicembre 2010. Il punto essenziale, che può sicuramente agevolare il confronto fra i gruppi parlamentari sulle diverse mozioni all'ordine del giorno relative al tema in esame, consiste nel fatto che tutti quanti, proprio sulla base delle finalità di questo divieto, condividiamo l'opportunità e l'esigenza di prorogarlo. Una semplice proroga, tuttavia, non è sufficiente.
Il testo della disposizione scritta nel 2004 fa, infatti, riferimento ad un sistema televisivo che opera mediante la tecnologia analogica e non tiene conto della successiva evoluzione che si è verificata sotto il profilo delle modalità tecnologiche di trasmissione e sotto quello dei conseguenti assetti di mercato. Basti osservare che la norma in questione si applica a coloro che esercitano l'attività televisiva attraverso più di una rete, quando nel sistema digitale vengono meno il concetto stesso di rete proprio della trasmissione analogica e le procedure di concessione ad esso connesse.
Il problema si era già presentato nella fase di predisposizione del consueto decreto-legge di fine anno di proroga dei termini legislativi in scadenza. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con una propria segnalazione del 24 novembre 2010, da un lato, evidenziava al Parlamento la necessità di un intervento legislativo finalizzato alla conservazione della norma che vieta gli incroci di proprietà tra il settore televisivo e quello editoriale, dall'altro lato, invitava ad adeguare la formulazione del divieto di incrocio alla trasformazione del sistema radiotelevisivo intervenuta con l'evoluzione tecnologica digitale terrestre, satellitare e via cavo, nonché a quella del mercato di settore.
L'indicazione contenuta nella segnalazione dell'Autorità aveva trovato riscontro Pag. 68in una disposizione approvata nel corso dell'esame in prima lettura del decreto-legge da parte del Senato, con la quale, mentre si prorogava fino al 31 dicembre 2012 il divieto di incroci proprietari tra televisione e carta stampata, al tempo stesso, si ridefiniva l'ambito di applicazione. Per essere precisi, la disposizione approvata in prima lettura da parte del Senato individuava i destinatari del divieto, assumendo come riferimento una soglia minima di ricavi - l'8 per cento - rispetto all'ammontare complessivo dei ricavi del sistema integrato delle comunicazioni, ovvero una soglia minima - il 40 per cento - dei ricavi del settore delle comunicazioni elettroniche.
Le modalità con cui, in tempi ristretti, in modi non privi di confusione e con gli interventi di diversi soggetti istituzionali, si è pervenuto ad approvare il testo definitivo del decreto-legge di proroga dei termini, hanno comportato la soppressione delle disposizioni inserite in prima lettura al Senato. Il decreto-legge n. 225 del 2010, convertito con modifiche dalla legge n. 10 del 2011 ha, infatti, previsto una semplice proroga del divieto al 31 marzo 2011, ulteriormente estensibile, come le altre proroghe contenute nella tabella del decreto-legge, al 31 dicembre 2011 mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
L'inadeguatezza di questo esito è stata chiara fin da subito, tanto che nella seduta in cui il Senato, in terza lettura, approvava definitivamente il disegno di legge di conversione del decreto-legge, proprio su iniziativa di parlamentari di gruppi dell'opposizione, è stato presentato un ordine del giorno, accolto dal Governo, con cui si è richiesta una proroga più ampia e, insieme, una ridefinizione della formulazione del divieto, in modo da adeguarla all'evoluzione tecnologica nel frattempo intervenuta e ai conseguenti nuovi assetti di mercato.
Siamo tutti consapevoli - e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato lo ha espressamente segnalato - che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non rappresenta lo strumento più adeguato per estendere la proroga. Ciò dipende non solo dalla natura formale dell'atto, imputabile direttamente al Presidente del Consiglio, ma soprattutto dall'impossibilità del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di rivedere la formulazione del divieto, come invece risulta necessario e come in più occasioni è stato auspicato.
Per questo, il nostro gruppo ha presentato una mozione che, pienamente in linea con le indicazioni contenute nell'ordine del giorno accolto dal Governo al Senato, invita il Governo stesso ad assumere le necessarie iniziative normative per prorogare il divieto di incroci proprietari fino al 31 dicembre 2012 e per ridefinirlo in modo da assicurare che possa applicarsi a tutti i soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma. A tal fine, si potrà sicuramente partire dal testo della disposizione già approvata dal Senato nell'esame in prima lettura del decreto-legge di proroga dei termini, cercando di perfezionarla in modo da precisare, con un riferimento certo e determinato, quali sono le soglie di mercato, rispetto alle quali si individuano i soggetti destinatari del divieto.
Sarà opportuno, come già era previsto in quel testo, escludere che il divieto interessi anche i giornali quotidiani diffusi esclusivamente on line, in considerazione delle caratteristiche particolari di questo settore e di questo mercato ancora in fase di strutturazione. Sarà altresì opportuno ribadire, come già disposto da una norma attualmente vigente, che il divieto si applica anche alle imprese controllate, controllanti e collegate. Seguendo le indicazioni contenute nella mozione del nostro gruppo, si potrà quindi pervenire ad una disposizione che sia effettivamente un efficace strumento di tutela del pluralismo dell'informazione, in quanto impedirà incroci proprietari tra il settore televisivo e quello editoriale, applicandosi in modo omogeneo a tutti i principali soggetti che operano in Italia nel mercato televisivo: RAI, Mediaset, Sky Italia e Telecom.
Nell'illustrare i contenuti e le ragioni della mozione del nostro gruppo, ho inteso Pag. 69ricostruire in modo preciso l'origine e gli sviluppi del problema, per mostrare come, al di là di alcune notazioni polemiche contenute nelle mozioni presentate dai gruppi d'opposizione, non vi siano nel merito della questione motivi di contrapposizione. Per questo, auspico che le mozioni in esame offrano l'occasione per un approfondito dibattito parlamentare su un tema così importante e delicato e che, sulla base di questo dibattito, siano forniti al Governo indirizzi largamente condivisi, ai quali dovrà conformarsi l'intervento normativo da assumere.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 15 marzo 2011, alle 12:

1. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
LA LOGGIA e CARLUCCI; BERSANI ed altri; PELINO ed altri; VIGNALI ed altri; JANNONE e CARLUCCI; VIGNALI ed altri; BORGHESI ed altri: Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese (C.98-1225-1284-1325-2680-2754-3191-A).
- Relatore: Raisi.

2. - Seguito della discussione della proposta di legge:
CONTENTO: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, nonché al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, in materia di remissione tacita della querela (C. 1640-A).
- Relatore: Sisto.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Istituzione dell'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza (C. 2008-A/R).
e delle abbinate proposte di legge: BOCCIARDO; DE POLI, NUNZIO FRANCESCO TESTA; PISICCHIO; PALOMBA; VELTRONI ed altri; IANNACCONE ed altri; COSENZA. (C. 127-349-858-1197-1591-1913-2199).
- Relatori: Calabria, per la I Commissione; Castellani, per la XII Commissione.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00580, Di Pietro ed altri n. 1-00586 e Galletti ed altri n. 1-00591 concernenti iniziative per lo svolgimento nella stessa data dei referendum abrogativi e del primo turno delle prossime elezioni amministrative.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Di Pietro ed altri n. 1-00579, Gentiloni Silveri ed altri n. 1-00587, Briguglio ed altri n. 1-00588, Rao ed altri n. 1-00592 e Landolfi, Sardelli ed altri n. 1-00593 in materia di limiti all'acquisizione di partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani da parte di soggetti che esercitano attività televisiva.

6. - Discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00590, Piffari ed altri n. 1-00594, Della Vedova ed altri n. 1-00595 e Libè ed altri n. 1-00596 in materia di promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili.

La seduta termina alle 18,40.

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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO LUDOVICO VICO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE N.98-A ED ABBINATE

LUDOVICO VICO. Il perdurare della crisi ha spinto tutti i Paesi avanzati a confrontarsi con la ricerca di un nuovo paradigma di sviluppo in grado di sostenere le contestuali sfide dell'allargamento dei diritti, della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica. Non è stato così per l'Italia dove le politiche del Governo sono state improntate a tagli generalizzati che hanno colpito i settori produttivi e lo Stato sociale.
La proposta di legge Statuto delle imprese è partita con molte buone intenzioni, in primo luogo con l'accordo di maggioranza e opposizione all'interno della X Commissione, ma nel corso dell'iter presso le Commissioni che hanno espresso il parere è stata lungamente falcidiata.
Anche la Direttiva europea sullo Small Business Act, per provare a «pensare sempre a misura di piccolo» è stato ridotto a una pura e semplice petizione di principio senza un minimo di risorse per sostenerne la reale applicazione.
Alle micro, piccole e medie imprese, quasi il 95 per cento del totale, deve essere riconosciuto il ruolo di «spina dorsale» del Paese, esse hanno dimostrato una grande capacità di adattamento all'evoluzione dei mercati internazionali, attraverso la flessibilità che le contraddistingue, la ricerca di moduli organizzativi originali, a partire dalla costituzione di distretti, e la capacità di farsi promotrici di tecniche e processi innovativi.
È innegabile che la difficoltà di accesso al credito sia esponenzialmente cresciuta con la crisi economica. Il sistema bancario è determinante per rendere la crisi meno profonda e duratura. i punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e il costo di tale credito.
La prima modalità di sano finanziamento dell'impresa è una corretta relazione tra debitore e creditore nell'ambito dei pagamenti, sia della pubblica amministrazione che tra privati, mentre troppo spesso il fabbisogno di credito delle PMI è artificiosamente accresciuto da modalità di pagamento capestro, che generano un cortocircuito anche nei sistemi di autofinanziamento più sani ed evoluti. Nel 2010 i pagamenti della PA sono arrivati a una media di oltre 150 giorni di ritardo rispetto ai 45 giorni dei clienti privati. Su questo tema è necessario intervenire subito, l'Unione Europea ha approvato una nuova Direttiva il 16 febbraio 2011. Il testo al nostro esame fa riferimento alla vecchia direttiva, è necessario anticipare i tempi, per questo abbiamo presentato alcuni emendamenti per applicare in breve tempo i contenuti della nuova direttiva.
La vigente imposizione a carico delle imprese presenta una serie di ostacoli alla crescita, perché disincentiva l'utilizzo del capitale proprio rispetto al capitale di debito, tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa. Anche qui si è assistito all'aumento della pressione fiscale sui redditi d'impresa e di lavoro a tutto vantaggio delle rendite. Nulla si è fatto, inoltre, per favorire l'occupazione, in un momento nel quale il lavoro dipendente è diventato quasi un miraggio. Il numero di occupati in Italia è ancora in calo (-0,4 per cento per un totale di 22.831.000), secondo le rilevazioni ISTAT di gennaio 2011, con una riduzione annua dello 0,5 per cento (-110mila unità). Male sia l'occupazione maschile (-0,3 per cento) che il lavoro femminile (-0,5 per cento), per un tasso complessivo di appena il 56,7 per cento di tutta la forza lavoro del Paese.
La comunicazione adottata dalla Commissione europea il 25 giugno 2008, «Una corsia preferenziale per la piccola impresa», meglio nota come Small Business Act, è di massima importanza per le politiche di sostegno alle piccole e medie Pag. 71imprese le quali, oltre a rappresentare la parte prevalente delle imprese attive in Europa, garantiscono l'occupazione a 65 milioni di persone e producono oltre la metà del PIL dell'Unione europea.
La comunicazione riveste particolare interesse per il nostro Paese, considerato che il fenomeno delle piccole e medie imprese è molto diffuso in Italia, il 99,4 per cento delle imprese italiane sotto i 50 dipendenti: sono 4.8 milioni e producono il 70 per cento del PIL. Se si considerano le micro imprese sono 6 milioni le imprese italiane interessate allo Small Business Act. È venuto il momento di finanziare strumenti efficaci a favore delle piccole imprese che sorreggono il peso del Paese, con un'azione congiunta del Parlamento, del Governo e delle Regioni italiane per rinnovare profondamente le politiche volte a creare un ambiente favorevole allo sviluppo delle PMI attraverso una vera semplificazione burocratica per la costituzione e la trasmissione d'impresa; uno stabile miglioramento nell'accesso al credito, agli incentivi e al mercato degli appalti pubblici: con politiche ambientali ed energetiche, fiscalità e formazione a misura di micro, piccole e medie imprese.
Il PD da un lato si è impegnato fortemente per migliorare la proposta di legge all'esame, dall'altro ha presentato una proposta di legge autonoma a favore delle micro, piccole e medie imprese che ha proprio lo scopo di mettere le gambe, di attualizzare le proposte di principio contenute nello statuto delle imprese, applicando da subito gli obiettivi dello Small Business Act.
La nostra proposta istituisce il Programma Strategico nazionale «Una corsia preferenziale per la piccola impresa, un programma triennale, che dovrà contenere gli interventi a sostegno delle micro, piccole e medie imprese, in particolare il ricorso a meccanismi automatici di agevolazione: il ricorso a modalità di intervento basate su progetti di innovazione di prodotto e di processo la promozione della formazione e del rafforzamento di filiere nazionali; il superamento degli squilibri economici e sociali, con particolare riferimento al Mezzogiorno: la previsione di agevolazioni mirate alla creazione di micro, piccole e medie imprese da parte di giovani in cerca di prima occupazione, di donne e disoccupati over 50.
Abbiamo poi disciplinato gli interventi fiscali e di sostegno alle PMI, riformando l'attuale sistema di incentivi alle imprese. Al fine di recuperare adeguate risorse per finanziare il Programma Strategico Nazionale, abbiamo previsto l'istituzione del »Fondo unico per la crescita e lo sviluppo innovativo« nel quale confluiscono tutti i fondi finalizzati all'erogazione di incentivi destinati da leggi nazionali agli interventi di sostegno alle imprese e stanziati annualmente dallo Stato al fine di eliminare gradualmente l'IRAP sul costo del lavoro; abbattere i costi energetici delle PMI: eliminare progressivamente l'indeducibilità degli interessi passivi dal reddito operativo lordo, introdurre un sistema fiscale premiante per le reti d'impresa. per le imprese che investono gli utili nel rafforzamento del capitale societario, del capitale tecnologico e del capitale umano con particolare riguardo alla stabilizzazione dei lavoratori precari; finanziare progetti di innovazione e sviluppo delle micro, piccole e medie imprese nell'ambito del risparmio energetico e sviluppo dell'economia verde; dell'internazionalizzazione dei sistemi produttivi, delle reti d'impresa, dei distretti e delle forme aggregative tra imprese; ricerca, innovazione, ideazione di progetti per la realizzazione di nuovi prodotti miranti a un significativo miglioramento dell'impatto sul clima e sull'ambiente; individuare meccanismi automatici di agevolazione, tempi di conclusione delle fasi procedimentali, modalità dei controlli e delle ispezioni. metodologie per il monitoraggio e la valutazione di efficacia delle agevolazioni, impiego delle tecnologie informatiche.
C'è poi il sostegno alla competitività delle micro, piccole e medie imprese, tramite la tutela dei patrimoni aziendali dei sistemi produttivi locali, l'esclusione dall'imposizione del reddito di impresa e di lavoro autonomo del 60 per cento dell'ammontare degli investimenti in beni strumentali. Pag. 72Abbiamo introdotto una norma per sostenere i cosiddetti «Business Angels», soggetti pubblici o privati che investono nell'avviamento, nella creazione e nella riconversione tecnologica ambientale delle micro, piccole e medie imprese apportando capitale di rischio.
Così come prevediamo il sostegno alle aggregazioni tra micro piccole e medie imprese nella forma di new company composte da imprese compatibili per filiera o per settore di mercato che conferiscono i propri asset aziendali tangibili e intangibili, che rileva l'indebitamento delle aziende aggregate. Prevediamo una norma che faciliti le micro, piccole e medie imprese in stato di insolvenza oltre a una disciplina di semplificazione volta a «semplificare» le innumerevoli norme che questo Governo ha sparso nei più vari provvedimenti senza sentire il bisogno di un coordinamento e soprattutto di una tempistica nell'applicazione che tenga conto della realtà della pubblica amministrazione e delle scarsissime risorse per dotarsi di strumenti tecnologici adeguati.
Abbiamo previsto il riordino delle accise gravanti sulle imprese per l'utilizzo di gas naturale e di energia elettrica al fine di redistribuire su tutte le imprese il carico fiscale, a parità di gettito complessivo e in maniera progressiva. in modo da agevolare le micro, piccole e medie imprese.
Infine abbiamo previsto nella nostra proposta di legge l'applicazione immediata della Direttiva 2011/7/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, per quanto riguarda le transazioni tra imprese, lasciando un lasso di tempo più lungo alle pubbliche amministrazioni in considerazione delle scarsissime risorse di cui ormai sono dotate.
Con quale copertura? La riforma degli incentivi per la quale questo Governo è riuscito a far scadere la delega.
Allo Statuto delle imprese abbiamo presentato alcuni emendamenti che ripropongono le nostre proposte dall'attuazione immediata della Direttiva sul ritardo dei pagamenti, alla legittimazione delle associazioni imprenditoriali a proporre azioni in giudizio anche nei casi di abuso di dipendenza economica, al divieto per le pubbliche amministrazioni di sospendere per più di una volta un procedimento amministrativo e in ogni caso per un periodo non superiore a trenta giorni, alla tutela e conservazione dei patrimoni aziendali dei sistemi produttivi locali messi a rischio da situazioni di crisi economico-finanziarie, al sostegno alle attività dei «Business Angels», alla creazione di aggregazioni tra imprese e alle piccole e medie imprese in stato di insolvenza.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA MOZIONE N. 1-00590

Mozione n. 1-00590 - Promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 1 minuto (con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 19 minuti
Popolo della Libertà 1 ora e 2 minuti
Partito Democratico 58 minuti
Lega Nord Padania 29 minuti
Unione di Centro 25 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 24 minuti
Iniziativa Responsabile 23 minuti
Italia dei Valori 22 minuti
Misto: 16 minuti
Alleanza per l'Italia 6 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 4 minuti
Liberal Democratici - MAIE 3 minuti
Minoranze linguistiche 3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.