XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 550 di lunedì 20 ottobre 2025

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 15,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

GILDA SPORTIELLO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 22 settembre 2025.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 80, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta in corso (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza petizioni, il sunto e l'assegnazione delle quali, ai sensi della deliberazione della Giunta per il Regolamento del 19 febbraio 2025, saranno pubblicati nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

Discussione del disegno di legge: Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento (A.C. 1866-A?) (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1866-A?: Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1866-A?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Maria Carolina Varchi.

MARIA CAROLINA VARCHI, Relatrice. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge recante disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento. Il testo in esame tratta un tema estremamente delicato, inserendosi nel quadro delle misure volte a garantire piena attuazione del principio del superiore interesse del minore, il diritto dei bambini e degli adolescenti a vivere e a crescere all'interno delle loro famiglie di origine.

Si tratta di un principio che ha una sua consacrazione internazionale nella Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York nel 1989.

La predetta Convenzione contiene, tra gli altri, i seguenti princìpi: richiama gli Stati a vigilare affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la sua volontà; prevede una serie di controlli e strumenti volti a garantire che i diritti in essa riconosciuti non restino sul piano formale, ma siano concretamente attuati. Tra le misure volte a favorire tale obiettivo, raccomandate peraltro dal Comitato delle Nazioni Unite, rientra anche quello di potenziare il sistema della raccolta dei dati in materia.

L'articolo 9 della Convenzione dispone a carico degli Stati sottoscrittori un obbligo di vigilanza, affinché i minori non siano separati dai genitori, tranne nei casi ritenuti assolutamente necessari dalle autorità competenti, sotto riserva di revisione da parte dell'autorità giudiziaria, secondo le procedure stabilite dalle leggi.

In questa prospettiva, la finalità di questo disegno di legge è quella di prevenire e ridurre i casi di prolungata permanenza presso istituti e di affidamento sine die di minori allontanati dalla famiglia di origine. Affinché tale finalità venga concretamente perseguita, con gli strumenti che questo disegno di legge propone di inserire, da un lato, sarà organizzato un efficace e tempestivo monitoraggio del fenomeno e, dall'altro, sarà garantito il rispetto delle procedure già previste a tutela del minore.

Credo sia importante evidenziare come, proprio per la delicatezza degli interessi da proteggere e la complessità della rete istituzionale, associativa e sociale coinvolta, il provvedimento abbia avuto tempi adeguati di gestazione e maturazione sia a livello governativo sia nel suo iter parlamentare, cominciato ormai un anno e mezzo addietro. Analogamente, l'istruttoria presso la Commissione è stata lunga ed articolata, consentendoci di coinvolgere molti attori istituzionali e sociali, oltre a magistrati, docenti ed esperti. Mi piace ricordare anche le associazioni a tutela dell'infanzia e quelle che rappresentano coloro i quali prendono in affido i minori.

Il provvedimento è stato esaminato senza la registrazione di voti contrari e questo lo considero un buon auspicio per l'esame in Assemblea.

Nel merito, il provvedimento si compone di tre articoli.

L'articolo 1 integra la legge n. 184 del 1983, che reca l'attuale disciplina in materia di affidamento dei minori e vi inserisce due articoli e, segnatamente, l'articolo 5-ter, con l'istituzione del registro nazionale delle famiglie affidatarie, delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici e privati, e l'articolo 9-bis, che istituisce il registro dei minori collocati in comunità di tipo familiare o in istituti di assistenza pubblici o privati o presso famiglie affidatarie. Le modalità di istituzione e tenuta del registro, nonché di acquisizione e trattamento dei dati sono demandate al decreto del Ministro della Giustizia, da adottare entro 6 mesi, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Va precisato che i dati sono di carattere numerico e che non consentiranno, quindi, in alcun modo, l'identificazione dei singoli casi che vengono ivi riportati.

L'articolo 2 prevede che, presso il dipartimento per le politiche della famiglia, sia istituito l'Osservatorio nazionale sugli istituti di assistenza pubblici e privati, comunque denominati, delle comunità di tipo familiare e delle famiglie affidatarie. I compiti del nuovo Osservatorio riguardano l'analisi delle informazioni e dei dati del registro nazionale, di cui prima si è detto, nonché i poteri di segnalazione alle autorità competenti in ordine a possibili situazioni di collocamento improprio e di impulso per lo svolgimento di ispezioni o sopralluoghi da parte delle stesse autorità. La definizione dell'organizzazione e della composizione del nuovo Osservatorio è demandata a un decreto del Ministro per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, che sarà emanato entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore. Per quanto riguarda gli oneri, rientrano tra le spese che possono essere finanziate a valere sul Fondo per le politiche della famiglia. Infatti, nell'articolo 3, sulle disposizioni finanziarie, in tal senso si dispone.

Naturalmente - lo preciso per ordine dei lavori - si attende ancora il parere della Commissione bilancio. Quindi, mi riservo, sin d'ora, di produrre emendamenti, laddove il parere della Commissione bilancio dovesse intervenire in tal senso.

Per il momento, riservandomi un intervento successivo, non aggiungerei altro, lasciando il tempo alla discussione generale; ancorché autorizzata a riferire oralmente, comunque deposito il testo della mia relazione.

PRESIDENTE. La ringrazio. È autorizzata a depositare il testo.

Ha facoltà di intervenire, se lo ritiene, il Ministro Roccella, che si riserva di farlo.

È iscritta a parlare la deputata Rachele Scarpa. Ne ha facoltà.

RACHELE SCARPA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghi, oggi discutiamo su un provvedimento che tocca il cuore della nostra responsabilità pubblica: proteggere i bambini e le bambine quando la loro famiglia attraversa una crisi. Lo facciamo dentro un quadro costituzionale e internazionale chiaro, ovvero la Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e, sul piano interno, lo statuto dei diritti del figlio all'articolo 315-bis del codice civile che impone a noi - Stato e istituzioni - il dovere di rendere effettivo il diritto del minore a crescere in un ambiente familiare idoneo.

Parto da un punto di merito. Il disegno di legge del Governo pone l'accento sul monitoraggio degli allontanamenti e istituisce registri e un Osservatorio dedicato. L'obiettivo dichiarato è condivisibile: conoscere per intervenire meglio, prevenire i collocamenti impropri e promuovere la qualità delle accoglienze. Su questo terreno, come Partito Democratico, c'è disponibilità a lavorare, ma c'è un limite evidente. Si costruisce un'architettura pesante, duplicata e senza risorse che rischia di fare più burocrazia che protezione.

Sul tema dei registri e dell'interoperabilità, oggi il testo prevede un registro nazionale presso il dipartimento per le politiche della famiglia e, in parallelo, registri presso i tribunali per i minorenni e i tribunali ordinari. Chi lavora ogni giorno nei servizi sociali e nella giustizia minorile ci ha avvertito del rischio di duplicazioni di banche dati che non si parlano e di oneri amministrativi che ricadono sul territorio. Esiste già un patrimonio informativo - penso al SIOSS e alle rilevazioni nazionali - costruito con anni di formazione e interoperabilità applicativa. Replicarlo non rende più forte la tutela, la rende forse più lenta e confusa.

La nostra proposta è semplice e concreta: un unico registro presso l'autorità giudiziaria competente per minorenni, pienamente interoperabile e con le banche dati nazionali e regionali, alimentato una sola volta dai comuni e dai servizi e accessibile, con adeguate garanzie di protezione dei dati personali, alle amministrazioni legittimate; un registro unico che rispetti il principio di minimizzazione dei dati, standardizzi i tracciati informativi e organizzi le informazioni per tipologia di affidamento, per anno, per durata e per eventuale intervento della forza pubblica. Così si monitora davvero il fenomeno, si individuano le situazioni che superano la fisiologia temporale dell'affido e si decide se e come sostenere il rientro in famiglia.

Per quanto riguarda invece l'Osservatorio nazionale, il Governo istituisce un nuovo Osservatorio sugli istituti di assistenza, sulle comunità e sulle famiglie affidatarie aggiuntivo rispetto all'Osservatorio per l'infanzia e l'adolescenza e al tavolo nazionale, già previsto per i minori fuori famiglia. Tre tavoli rischiano di essere troppi. È indispensabile chiarire funzioni e coordinamento, evitando sovrapposizioni, e va evitata un'impostazione ispettiva fondata su meri dati quantitativi.

Le situazioni dei minorenni non si leggono con un semplice algoritmo. Noi, per questo, proponiamo di sopprimere la previsione che attribuisce all'Osservatorio poteri di segnalazione e di collocamenti impropri basati sul solo screening dei numeri. Al contrario, proponiamo di rafforzarne il ruolo di supporto tecnico, valutazione, indirizzo e diffusione delle buone pratiche, con la presenza di rappresentanti degli enti locali. Non stanziare risorse in questo provvedimento è un cortocircuito.

L'articolo 3 sancisce l'invarianza finanziaria. Lo dico con rispetto, ma con fermezza: senza personale formato, senza équipe multiprofessionali stabili, senza mediazione linguistica dove serve, senza sostegno economico alle famiglie vulnerabili e alle famiglie affidatarie, i registri restano e resteranno scatole vuote. Non si previene un allontanamento per povertà con un modulo in più: lo si previene con un sussidio mirato, un educatore in più, un progetto domiciliare.

Per questo presenteremo un emendamento per istituire, presso la Presidenza del Consiglio, un Fondo strutturale di almeno 50 milioni di euro annui destinato al sostegno alle famiglie di origine in difficoltà economica e ai servizi di supporto alle famiglie affidatarie, come la tutela psicologica ed educativa, la mediazione, il sollievo, il rafforzamento dei servizi comunali e dei percorsi di prevenzione. Se diciamo che il diritto del minore a crescere in famiglia è un diritto soggettivo, allora dobbiamo finanziarlo.

La legge n. 184 del 1983 e le linee di indirizzo nazionali, aggiornate nel 2024, parlano chiaro: l'affido ha natura assistenziale e temporanea, e l'istituzionalizzazione è comunque sempre l'extrema ratio. La riforma Cartabia ha precisato i presupposti per l'affidamento al servizio sociale e ha fissato importanti incompatibilità per evitare conflitti di interessi. In coerenza con questo impianto, noi proponiamo che il testo richiami espressamente, all'articolo 1, il diritto del minore a crescere nella propria famiglia, con rinvio all'articolo 315-bis del codice civile; che si chiarisca che cosa si intende per collocamento improprio, escludendo in modo netto gli allontanamenti motivati dalla sola indigenza; che si preveda, nei casi di vulnerabilità economica, l'attivazione prioritaria di misure di sostegno alla famiglia, per evitare l'allontanamento o per favorire il rientro.

Troppi affidamenti oltrepassano la soglia temporale fisiologica e si trascinano in una terra di mezzo che logora i bambini e le famiglie. Chiediamo che tra le funzioni dell'Osservatorio, o meglio, della cabina di regia unificata, sia inserito il monitoraggio specifico degli affidi scaduti, con protocolli condivisi tra autorità giudiziaria, servizi sociali e sanitari e comuni, per valutare il reinserimento nella famiglia di origine quando le condizioni saranno mutate. La transitorietà dell'affido non è un auspicio, è un obbligo da rendere a tutti gli effetti operativo.

Abbiamo oggi sul tavolo degli strumenti importanti: linee di indirizzo per l'affidamento familiare e per l'accoglienza nei servizi residenziali 2024, il quinto Piano nazionale sull'infanzia, il Piano di Azione Nazionale per la Garanzia Infanzia, gli investimenti PNRR nei servizi sociali e territoriali. Insomma, usiamoli, rendiamoli omogenei su tutto il territorio nazionale, evitiamo che il codice postale determini la qualità e il livello della tutela.

Proponiamo di inserire nel testo l'adozione di strumenti uniformi per la valutazione delle idoneità delle famiglie affidatarie e del benessere dei minori accolti, il riconoscimento e il sostegno di reti territoriali di famiglie affidatarie, con spazi di ascolto e di mutuo aiuto, misure economiche strutturate e omogenee per gli affidatari, oltre che una clausola di attuazione vincolante delle linee di indirizzo su base regionale, con monitoraggio centralizzato.

Il ruolo dei comuni, Presidente, non è un dettaglio amministrativo. È lì, nei servizi sociali e comunali, che si decide se un allontanamento è davvero inevitabile oppure se, con prevenzione e accompagnamento, la famiglia può essere sostenuta. Dobbiamo valorizzare il lavoro integrato dei sistemi sociale, sanitario, educativo e scolastico, superare logiche di controllo verticale e promuovere alleanze tra istituzioni e Terzo settore. Se chiediamo ai comuni più reportistica e più alimentazione di registri, meno tempo resterà per la cura delle famiglie.

Se invece semplifichiamo e investiamo, i comuni saranno messi nelle condizioni di fare al meglio la loro parte. Dobbiamo porci a tutela dei bambini nelle situazioni di violenza. È giusto ricordare anche il filone di lavoro che propone di introdurre nel codice civile una norma specifica: penso alla proposta nota come 317-ter, per rendere immediatamente effettivi i principi della Convenzione di Istanbul nei provvedimenti riguardanti i figli nei casi di violenza domestica e di genere, la sospensione delle visite al genitore violento, la protezione immediata, gli affidamenti temporanei a soggetti qualificati, le responsabilità chiare degli enti attuatori.

È un cantiere che dobbiamo seguire con la massima attenzione, garantendo che la priorità resti sempre e comunque la sicurezza e il benessere psicofisico del minore. Quindi mi permetto, qui, in discussione generale, di rielencare brevemente tutte le proposte che abbiamo fatto, in sintesi: un unico registro presso l'autorità giudiziaria per i minorenni, interoperabile con i sistemi esistenti, con dati organizzati per tipologie, anni, durata e indicatori di eventuale uso della forza pubblica; la soppressione delle duplicazioni e il chiaro coordinamento tra osservatori e tavoli esistenti, con un ruolo tecnico, non ispettivo, basato su evidenze qualitative, oltre che quantitative; l'inserimento espresso del richiamo all'articolo 315-bis del codice civile nel corpo del provvedimento; la definizione normativa di collocamento improprio e il divieto di allontanamenti motivati esclusivamente dalla povertà, insieme all'attivazione prioritaria di sostegni economici e domiciliari; l'istituzione di un fondo strutturale da 50 milioni annui per famiglie di origine in difficoltà, per servizi alle famiglie affidatarie e per il rafforzamento delle équipe territoriali; il monitoraggio degli affidi scaduti, con protocolli operativi per il reinserimento, quando possibile, nella famiglia di origine; l'attuazione uniforme delle linee di indirizzo 2024; standard nazionali per la valutazione delle famiglie affidatarie, con sostegni economici omogenei a sostegno delle reti di famiglie affidatarie; la formazione continua degli operatori sociali, sanitari e giudiziari e l'assicurarsi che ci siano spazi strutturati anche, ad esempio, per la mediazione linguistica e culturale per i minori stranieri; infine, la piena coerenza con la riforma Cartabia su presupposti, limiti, incompatibilità e attenzione specifica alle situazioni di violenza domestica, secondo i principi della Convenzione di Istanbul.

Abbiamo l'occasione di trasformare un testo, che rischia altrimenti, semplicemente, di limitarsi a produrre registri, in una riforma che fornisca tutele per davvero. Per farlo servono tre scelte politiche nette: semplificare, investire e responsabilizzare. Semplificare dove oggi aggiungiamo passaggi burocratici, investire dove oggi mettiamo la clausola di invarianza finanziaria, responsabilizzare le istituzioni che ogni giorno incontrano i bambini e le famiglie, dando loro strumenti, competenze e tempi per prevenire, proteggere e accompagnare.

Il Partito Democratico porterà in Aula emendamenti costruttivi, nel rispetto del lavoro dei territori e di chi nelle comunità familiari, nelle case famiglia e nelle famiglie affidatarie mette cuore e professionalità al servizio dei più piccoli. Chiediamo al Governo di accoglierli, perché misurare senza curare non è proteggere, perché l'allontanamento deciso per povertà non è tutela, ma ingiustizia, e perché l'affido deve restare temporaneo e accompagnato da un progetto di rientro, sempre quando possibile, nella famiglia di origine.

Ai bambini e alle bambine che oggi sono in affidamento dobbiamo una promessa semplice e impegnativa: ogni decisione che li riguarda sarà presa sempre nel loro superiore interesse, con competenza, con trasparenza e con risorse adeguate. Spero che nella discussione di questo provvedimento potremo farlo concretamente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pulciani. Ne ha facoltà.

PAOLO PULCIANI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, discutiamo oggi un provvedimento che tocca una delle questioni più delicate e decisive per la tenuta morale e civile della nostra comunità: la tutela dei bambini e dei ragazzi che vivono situazioni di fragilità familiare. Ogni società che voglia definirsi giusta deve saper guardare, infatti, ai propri minori come a un bene prezioso da custodire, e non come, semplicemente, a dei numeri o a casi di carattere amministrativo.

Per molto, troppo tempo, nel nostro Paese si è dato per scontato che l'allontanamento da una famiglia fosse una misura neutra, un atto dovuto, quasi sempre giustificato, ma dietro ogni provvedimento di affidamento c'è poi una storia, dei volti, delle ferite, e ci sono anche errori, ritardi, disattenzioni che possono lasciare cicatrici permanenti. Con questo disegno di legge vogliamo porre un argine concreto a quelle storture che, nel tempo, hanno trasformato l'affidamento in una condizione talvolta indefinita, priva di una reale prospettiva di rientro o di adozione, in cui troppi bambini finiscono per crescere senza sapere effettivamente a quale famiglia appartengono.

Il testo che oggi discutiamo, quindi, nasce da questa consapevolezza. L'istituzione di un registro nazionale presso la Presidenza del Consiglio e di registri territoriali presso i tribunali dei minori e ordinari permetterà di costruire una mappa reale, trasparente e costantemente aggiornata delle situazioni di affidamento e di collocamento nelle comunità.

Quindi, sarà possibile individuare, con dati oggettivi, i territori dove il ricorso all'allontanamento è più frequente, le strutture dove i minori restano più a lungo, le aree dove le famiglie affidatarie scarseggiano e tutto ciò nella consapevolezza che la conoscenza è il primo strumento di tutela. Questo provvedimento non nasce, pertanto, contro qualcuno, non è un atto di sfiducia verso gli operatori, né un attacco alla magistratura minorile o al lavoro encomiabile di tante famiglie affidatarie; è piuttosto un atto di alleanza con chi ogni giorno si prende cura dei più piccoli, per offrire loro strumenti migliori, regole chiare e trasparenti e uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale, perché oggi esiste un'Italia a più velocità anche su questo tema.

Ci sono territori virtuosi, dove il rientro in famiglia è accompagnato e monitorato, e altri in cui l'affidamento si prolunga, purtroppo, per anni, senza la revisione periodica, fino a trasformarsi in una forma di istituzionalizzazione mascherata. L'obiettivo è superare questa disparità e restituire al concetto di affidamento il suo significato originario: una misura temporanea, eccezionale, che è orientata al reinserimento familiare e non all'allontanamento permanente. È giusto ricordare che la legge n. 184 del 1983 - come è già stato fatto - fu un punto di svolta nella storia del diritto minorile italiano, ma dopo quarant'anni il contesto sociale è radicalmente cambiato, le famiglie sono più fragili, i servizi territoriali sono disomogenei e la pressione dei tribunali minorili è notevolmente cresciuta. Serviva, dunque, una riforma capace di dare coerenza e visione a un sistema che rischiava, diversamente, di procedere per inerzia.

Il Governo, pertanto, ha scelto di affrontare il tema con equilibrio, non con provvedimenti punitivi, ma con strumenti di conoscenza e responsabilità condivisa. L'invio periodico dei dati da parte dei tribunali e degli enti locali consentirà di fotografare in modo puntuale l'andamento dei provvedimenti di allontanamento, di individuare le cause più ricorrenti e di orientare le politiche sociali verso la prevenzione e il sostegno familiare.

Questa legge, dunque, non parla solo ai magistrati e agli operatori sociali ma parla a tutti noi, perché riguarda l'immagine stessa che l'Italia vuole dare di sé: un Paese che non volta lo sguardo di fronte ai minori più vulnerabili, che pretende trasparenza e responsabilità da chi esercita il potere di decidere sul loro futuro e che riconosce alla famiglia un valore non retorico ma concreto. Non c'è libertà più grande di quella di un bambino che può crescere nella propria casa circondato dall'affetto dei suoi genitori, ma quando questo non è possibile è lo Stato che deve intervenire, con fermezza e con misura, senza abbandonare mai l'obiettivo del rientro o, se necessario, dell'adozione. Ogni minore ha diritto a una famiglia e non a un'istituzione. Voglio dirlo chiaramente: non c'è nessun intento ideologico dietro questa riforma; c'è, pertanto, solo una volontà di rendere più giusto e più umano un settore che tocca le radici della nostra comunità, perché un Paese che non è in grado di proteggere i suoi bambini, di garantire la stabilità e l'identità non è un Paese che può guardare con fiducia al futuro. Siamo, dunque, di fronte a una legge di civiltà, di equilibrio e di verità, una legge che restituisce allo Stato la capacità di conoscere, di vigilare e di intervenire, senza sostituirsi alla famiglia ma accompagnandola, senza burocratizzare l'effetto ma garantendone la trasparenza.

Con l'approvazione, pertanto, di questo provvedimento l'Italia compie un passo decisivo, reale ed effettivo verso la tutela dell'infanzia, un passo conforme ai principi internazionali ma anche alla nostra Costituzione che, all'articolo 30, richiama, appunto, la responsabilità della funzione educativa dei genitori e il dovere della Repubblica di intervenire quando questa responsabilità viene meno. Quindi, onorevoli colleghi e colleghe, questo testo non chiude il discorso ma lo apre. Da oggi avremo strumenti migliori per conoscere, per valutare e per correggere, ma soprattutto avremo una maggiore consapevolezza collettiva del fatto che i minori in affidamento non sono casi di cronaca ma persone, vite e speranze che meritano attenzione e rispetto. È un impegno che assumiamo non solo come legislatori ma come cittadini e come adulti, perché la credibilità di uno Stato si misura anche - e forse soprattutto - dalla cura che riserva ai più piccoli. Fratelli d'Italia, pertanto, sostiene convintamente questo provvedimento, per il quale ringrazio il Ministro Roccella.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Stefania Ascari. Ne ha facoltà.

STEFANIA ASCARI (M5S). Grazie, Presidente. Oggi discutiamo una proposta di legge, la n. 1866-A sul sistema affidi, che tocca un tema di straordinaria delicatezza: la tutela dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze più fragili del nostro Paese. Ebbene, vorrei dirlo con chiarezza: questa proposta presenta criticità sistemiche e strutturali molto profonde. Non basta istituire registri od osservatori se non si interviene sulle radici dei problemi, se non si correggono le distorsioni che da anni rendono ingiusto, inefficace e spesso doloroso il sistema dell'allontanamento dei minori. Noi avevamo proposto in merito una legge che avete copiato male, nata dal confronto con le associazioni e con chi ha le mani in pasta. Voi l'avete presa, avete tolto i nodi centrali, avete tolto il cuore, svuotandola completamente di significato e di efficacia; rimane solo uno scheletro vuoto.

Oggi, in Italia, troppi bambini vengono allontanati prima che siano esplorate fino in fondo tutte le alternative possibili. Troppi provvedimenti vengono adottati senza che vi sia un reale vaglio della possibilità di sostenere la famiglia nel suo contesto naturale, di affiancarla, di curarne le fragilità, invece di punirla. Lo Stato dovrebbe fornire una stampella alle famiglie in difficoltà, aiutarle e sostenerle e poi, quando quella stampella non serve più, viene restituita, avendo, appunto, dato autonomia e un aiuto concreto a chi ne aveva bisogno. Se non si fa questo, qual è il risultato? Il risultato è che sono i bambini a pagare, sono loro a vivere l'angoscia di un distacco che nella maggior parte dei casi avrebbe potuto essere evitato; sono loro a sentirsi spostati, collocati, gestiti - e queste sono parole fredde e burocratiche - quando invece dovrebbero sentirsi ascoltati, protetti, accompagnati, perché un bambino ha fame di famiglia, ha fame di affetto e ha fame di punti di riferimento.

Signor Presidente, in questa proposta manca la cosa più importante, cioè il riconoscimento che l'allontanamento deve essere l'ultima risorsa, non la prima scorciatoia. Manca la preferenza esplicita per la collocazione intra-familiare, per quei nonni, zii e parenti che possono rappresentare un ponte d'amore e di stabilità e manca una visione gerarchica delle soluzioni: prima la famiglia, poi l'affido familiare e solo in ultima istanza la comunità o la struttura. Non possiamo ridurre tutto a numeri e a statistiche: i dati non raccontano le notti insonni dei genitori, le lacrime dei bambini, la speranza che qualcuno li ascolti. Servono controlli veri, profondi, umani, con accessi diretti alle strutture, verifiche sulla qualità dell'accudimento, sul progetto riservato al minore e sulla tutela dei legami affettivi.

Trasparenza non significa burocrazia, ma presenza, responsabilità, verità e serve soprattutto sostenere le famiglie prima che crollino. Lo Stato deve esserci prima, non dopo. Deve intervenire con sostegni economici, psicologici ed educativi, con reti di aiuto e professionisti che rafforzino la genitorialità e che prevengano il trauma dell'allontanamento, perché diciamolo con forza: la povertà non può essere una colpa e non deve mai diventare una condanna alla separazione.

Al fianco della prevenzione serve formazione vera e continua per magistrati, magistrate, avvocati, avvocate, assistenti sociali, psicologi, psicologhe, consulenti tecnici, operatori e operatrici, perché servono competenza, sensibilità e conoscenza delle linee guida internazionali. Non possiamo più accettare che decisioni così delicate siano influenzate da teorie prive di validazione scientifica o da approcci rigidi e disumani. Le conseguenze di questi errori le abbiamo viste, le abbiamo toccate. Il “caso Bibbiano” ha scosso la coscienza del Paese, ricordandoci che quando si perdono equilibrio e umanità il sistema diventa terreno di dolore e ingiustizia.

E non possiamo dimenticare Stella, la bambina di Monteverde affetta da una malattia rara che rischiava di essere portata via dalla madre per essere collocata in una struttura. Quella stessa bambina, a soli cinque anni, si è legata con lo scotch sotto a un tavolo della cucina per prevenire, per impedire di essere prelevata. Solo la solidarietà del quartiere e la forza di una madre hanno impedito che quell'ingiustizia si compisse. Sul suo caso ho presentato due interrogazioni parlamentari perché nessun bambino - malato, fragile o spaventato - dovrebbe mai essere strappato da casa sua in nome di una teoria o di una routine amministrativa.

E poi c'è Frida, cito lei come donna, come mamma, ma potrei veramente citare tantissime donne. Frida è una donna maltrattata vittima di violenza e poi vittima delle stesse istituzioni, accusata di essere madre alienante solo per aver protetto la figlia di 18 mesi. Il suo caso è stato riconosciuto dalla Commissione sul femminicidio come uno dei 36 casi esemplari di rivittimizzazione istituzionale. Frida ha perso la figlia non per disamore, ma per averla amata troppo, per averla difesa troppo. E questa, colleghi e colleghe, è una ferita che pesa sulla coscienza di tutti e tutte noi. Troppe madri, come Frida, si trovano ancora oggi schiacciate da un sistema che confonde l'amore con la manipolazione, la protezione con il possesso. Io è dal 2018 che presento interrogazioni parlamentari per denunciare che la prima ratio è l'allontanamento coatto, l'utilizzo della forza pubblica per prelevare un bambino con modalità disumane e inaccettabili.

E poi, in quest'Aula, vorrei ricordare Davide Tonelli, il “bambino zero” del caso dei diavoli della Bassa modenese, un caso che è avvenuto nel mio territorio dove Davide, che ai tempi aveva tre anni, raccontò abusi che non erano mai avvenuti, spinto da un sistema che lo martellava di domande finché non diceva ciò che gli adulti volevano sentire. Un'inchiesta che distrusse famiglie, causò suicidi, disperazione, vite spezzate e nessuna prova concreta. Davide oggi è un uomo e dice: erano tutte bugie, mi costringevano a dire quello che volevano.

E io, in quest'Aula del Parlamento, voglio ricordare una madre, e lo voglio fare attraverso le parole di un insegnante che vedeva questa madre che ogni mattina portava la sua bimba per mano a scuola, si fermava un attimo e le diceva: ti voglio bene. Era l'unica madre che sentiva dire alla figlia “ti voglio bene”, le dava un bacio e la lasciava andare. Questa madre è stata accusata delle peggiori ingiustizie. La bambina è stata allontanata, inserita in una struttura. Questa madre non ha retto al dolore e si è lanciata nel vuoto, e questa bambina è cresciuta senza una madre. E allora io voglio ricordare questa donna e questa mamma in quest'Aula del Parlamento, perché storie come questa non si devono più ripetere: un grido che deve farci riflettere su quanto fragile possa essere la voce di un bambino e quanto devastante possa diventare quando lo Stato la manipola, invece di proteggerla. E poi voglio ricordare il caso Sagliano, dove un'intera famiglia si tolse la vita sotto il peso di accuse infondate e di un sistema che li aveva già condannati prima ancora di un processo. Vicende lontane nel tempo ma non nella sostanza, perché le stesse fragilità, gli stessi errori metodologici e le stesse ferite si ripetono ancora oggi.

Signor Presidente, da Bibbiano a Monteverde, da Venezia a Modena fino a quei nomi che non arrivano mai sui giornali emerge un filo rosso: un sistema che interviene troppo tardi per aiutare e troppo presto per punire. E allora io dico: cambiamo direzione. La vera riforma non è quella dei registri statici, ma quella della coscienza pubblica. La vera trasparenza non è nei numeri, ma nella capacità di guardare ogni bambino come un essere umano unico, con la propria voce e la propria storia.

Le risorse vanno destinate non a potenziare le strutture, ma a rafforzare le famiglie, a prevenire, a curare, a ricucire. Chiediamo, quindi, una revisione profonda del disegno di legge n. 1866-A? che si fondi su tre pilastri: controlli effettivi e accessi diretti alle strutture; sostegno concreto e tempestivo alle famiglie di origine; formazione obbligatoria continua e multidisciplinare per tutti gli operatori e le operatrici che ruotano attorno al sistema della tutela dei minori.

Ed ancora, aggiungo un punto imprescindibile: riforma della legge n. 54 del 2006. La bigenitorialità non può essere prevista a tutti i costi, se comporta la convivenza con un genitore violento ed è a danno del minore. Vediamo situazioni paradossali in cui una donna, che vuole proteggere suo figlio da un uomo sotto processo per violenza, deve persino mostrarsi collaborativa e difendere la genitorialità del padre per non essere tacciata di alienazione parentale e non vedersi allontanare i propri figli: questo è abominevole. Queste donne si ritrovano sul banco degli imputati costrette a subire un'attenzione morbosa qualora vi siano percorsi di visite protette, mentre sul padre violento prevale il giustificazionismo: è una vergogna! Per cui, anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ha, in tante occasioni, condannato l'Italia. Io in questa legislatura ho depositato una proposta di legge per istituire una Commissione d'inchiesta sul sistema affidi - come era stato fatto nella scorsa legislatura, sempre su mia richiesta -, ma, purtroppo, non ha ancora avuto seguito, è ferma in Commissione giustizia.

Ci sono delle situazioni particolari in cui il bambino ha il sacrosanto diritto di poter crescere anche solo con uno dei due genitori, come ad esempio quando c'è un padre violento che, se tale, non è mai un buon padre. Questo deve essere chiaro: un padre violento non è mai un buon padre! Ricevo costantemente segnalazioni di simili situazioni, lo ripeto, paradossali: dai prelievi violenti alla collocazione di lunga durata nelle case famiglia, fino all'ascolto del minore praticato in modo difforme nei vari uffici o non praticato, alle accuse di alienazione parentale - adesso ha cambiato nome, ma la sostanza è sempre quella - alle madri, agli allontanamenti forzati; e poi, ancora oggi, vedere assistenti sociali che, con le loro relazioni, diventano giudici, e i giudici che non fanno altro che delegare, creando un circolo vizioso a danno dei minori. Per tale ragione, ho depositato una proposta di legge di revisione della legge n. 54 del 2006, ripeto, ferma in Commissione giustizia.

Le istituzioni non possono rendersi complici di questa violenza, né i figli possono essere usati come armi di vendetta. Signor Presidente, la tutela dei minori non può essere un atto burocratico, è un atto d'amore. Ogni bambino ha diritto a crescere nel calore della propria famiglia, nel rispetto della propria storia, nella certezza che lo Stato non lo abbandonerà né lo strapperà via senza ragione, nella certezza che lo Stato sarà con lui e non contro di lui. E noi qui oggi abbiamo il dovere di ridare fiducia ai bambini e alle famiglie del nostro Paese, abbiamo il dovere di dire che la protezione non passa per l'allontanamento, ma per la vicinanza; che la giustizia non è punire la fragilità, ma sostenerla; che la forza dello Stato non è nella coercizione, ma nella cura, perché un Paese si misura da come tratta i suoi bambini.

Signor Presidente, colleghi e colleghe, non c'è battaglia più nobile, né riforma più urgente che difendere l'infanzia, ascoltare le madri e restituire dignità alle famiglie, perché ogni volta che uno Stato sceglie di sostenere invece di punire, di ascoltare invece di giudicare, di abbracciare invece di allontanare, quel Paese diventa più giusto, più umano, più vero.

E noi qui oggi abbiamo il dovere di essere quel Paese, perché è lì, in quella cura silenziosa, che si misura la grandezza delle istituzioni, perché in quella difesa si misura la civiltà di un Paese e il cuore della sua democrazia; perché ogni volta che una famiglia viene salvata è un pezzo di umanità che si ricompone.

Questo, colleghi e colleghe, deve essere il senso più profondo della nostra azione politica, del nostro servizio allo Stato e, purtroppo, questa legge che discutiamo non va in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1866-A?)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, se lo ritiene, la relatrice, che rinuncia.

Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, la Ministra Roccella, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Lupi n. 1-00511 in materia di politiche di coesione (ore 15,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Lupi n. 1-00511 in materia di politiche di coesione (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione della mozione n. 1-00511, che è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dai deputati Mantovani, Candiani e Rossello, che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventano rispettivamente il secondo, il terzo e il quarto firmatario. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Maria Rosaria Carfagna, che illustrerà anche la mozione Lupi, Mantovani, Candiani, Rossello ed altri n. 1-00511 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARIA ROSARIA CARFAGNA (NM(N-C-U-I)M-CP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, quando parliamo di politiche di coesione, parliamo di quelle politiche che servono per realizzare il principio di uguaglianza: principio fondante della nostra Repubblica, pilastro delle moderne Costituzioni democratiche, riconosciuto, anche a livello europeo, come valore universale e irrinunciabile. Il preambolo del Trattato sull'Unione europea lo pone, infatti, accanto alla dignità umana e ai diritti inviolabili della persona, tra i fondamenti dell'integrazione tra i popoli e della costruzione di una cittadinanza europea solidale.

Racchiuso nell'articolo 3 della nostra Costituzione, il principio di uguaglianza non si esaurisce in una proclamazione dal valore astratto, ma si presenta come un impegno concreto, che interpella la nostra azione politica e istituzionale e che oggi, misurandosi con sfide nuove e sempre più complesse, richiede risposte all'altezza del nostro mandato costituzionale.

L'enunciato costituzionale, infatti, non si limita a riconoscere l'eguaglianza formale di tutti i cittadini, ma impone alla Repubblica - e quindi anche a noi, come legislatori - la responsabilità di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà, compromettono l'uguaglianza sostanziale e ostacolano il pieno sviluppo della persona umana, impedendone la partecipazione alla vita economica, politica e sociale del Paese.

In questo senso, la politica di coesione rappresenta uno strumento essenziale di protezione e promozione dei diritti dei cittadini, specialmente di fronte alle crisi che nelle diverse fasi storiche hanno messo e mettono alla prova la tenuta sociale ed economica dei territori. Essa si pone come obiettivo quello di ridurre le disparità di sviluppo tra le regioni e gli Stati membri e di rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale per sostenere una crescita che sia davvero inclusiva e sostenibile.

Oggi, in un tempo segnato da crisi globali interconnesse, sociali, economiche, ambientali e geopolitiche, le disuguaglianze si sono acuite e, in tale scenario, le politiche di coesione assumono un ruolo ancora più rilevante, divenendo uno strumento imprescindibile e irrinunciabile.

Per Noi Moderati - e ritengo per tutti coloro che hanno a cuore il perseguimento del bene comune - la politica di coesione rappresenta più che un mero strumento di intervento: la coesione è espressione di una visione della società che vogliamo costruire, una società equa, giusta e solidale; una visione che pone al centro del proprio agire l'uomo, la persona umana, la sua dignità, e che vede il superamento delle disparità territoriali, economiche e sociali come una condizione essenziale.

Siamo fermamente convinti che questa visione possa realizzarsi solo nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, verticale ed orizzontale, e attraverso un dialogo efficace tra Stato e soggetti che operano nella società civile. In questo contesto, vorrei sottolineare il lavoro prezioso che i corpi intermedi e in particolare gli enti del Terzo settore svolgono.

La mozione che oggi presentiamo come maggioranza si inserisce in un momento storico importante, cruciale, delicato. La politica di coesione, come sappiamo, è stata, difatti, oggetto di un processo di revisione, nato dall'esigenza di rispondere con maggiore efficacia alle nuove sfide emergenti e di allineare le politiche di coesione, indirizzando i fondi anche verso quei settori che potrebbero risultare prioritari nel prossimo futuro: tecnologie critiche, difesa, emergenza abitativa, gestione dell'acqua e transizione energetica.

Si tratta di un passo importante, al quale, come forze di maggioranza, vogliamo prestare e assicurare la massima attenzione, a partire proprio da questa mozione. L'auspicio è che il dibattito che si apre oggi possa essere occasione di dialogo e di convergenza, un momento per affermare non solo il valore della coesione come strumento fondamentale di affermazione dei valori costituzionali, ma soprattutto per affermare una visione comune di società. Per Noi Moderati la visione è chiara: un Paese che non lascia indietro nessuno, che investe nella solidarietà come leva di sviluppo.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mozione affida al Governo degli impegni che si muovono in una direzione chiara, quella di una politica di coesione che sia realmente strumento di riequilibrio territoriale, ma anche visione strategica di un Paese che vuole crescere in modo equo, sostenibile e solidale; una coesione che non si misura nella qualità o soltanto nella qualità delle risorse allocate, ma anche e soprattutto nella qualità delle scelte, così come nella capacità di coinvolgere e valorizzare tutte le energie del Paese.

Abbiamo piena fiducia nell'operato del Governo e siamo certi che saprà proseguire con determinazione lungo questa strada, garantendo il pieno utilizzo dei fondi disponibili, il coordinamento con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la semplificazione delle procedure e il sostegno concreto a chi, nei territori, lavora ogni giorno per ridurre e contrastare le disuguaglianze. La ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Patrizia Prestipino. Ne ha facoltà.

PATRIZIA PRESTIPINO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, la mozione che oggi discutiamo riguarda un tema che tocca le fondamenta stesse del progetto europeo e della nostra idea di Paese: le politiche di coesione. Una politica che rappresenta da decenni lo strumento più concreto per dare attuazione al principio di solidarietà e per ridurre la disparità fra territori, favorendo uno sviluppo equilibrato, sostenibile e inclusivo, ma che oggi sta vivendo una vera e propria trasformazione strutturale.

I fondi della politica di coesione potranno essere destinati - si sa - anche a nuove finalità, incluse la competitività e la difesa. La Commissione, poi, intende unificarli con altri fondi, tra cui quelli destinati alle politiche agricole, a centralizzarne la gestione attraverso l'introduzione di piani di partenariato nazionali e regionali per gli investimenti e le riforme, sottoposti al suo vaglio al posto dei programmi in capo alle autorità di gestione.

L'obiettivo dichiarato è quello di rendere i fondi più flessibili e coerenti con le nuove priorità europee. Però, è un passaggio che non è solo tecnico, colleghi, è anche profondamente politico. Il rischio è che, in nome della flessibilità e dell'efficienza, rinazionalizzando la politica di coesione, si finisca per comprimere il principio di sussidiarietà e indebolire proprio l'approccio territoriale, quello che ha sempre consentito di modellare le strategie sulle esigenze specifiche delle regioni, degli enti locali, soprattutto degli enti più fragili, compromettendo così alla fine anche la legittimità e l'efficacia stessa delle politiche di coesione.

È un rischio che riguarda direttamente l'Italia, dove il tema della coesione coincide prettamente con il divario tra Nord e Sud, tra aree metropolitane e aree interne, dove questa riforma potrebbe tradursi in un'effettiva riduzione delle risorse destinate proprio alle aree più fragili; allarme aggravato dalla diminuzione dei fondi destinati all'agricoltura e dagli effetti dei dazi imposti proprio - udite, udite - dall'amministrazione Trump.

Del resto, il modello che la Commissione propone è lo stesso che Fitto, come Ministro del Governo Meloni, ha adottato nella ridefinizione del Fondo sviluppo e coesione, il principale strumento finanziario nazionale di attuazione delle politiche di coesione, con l'introduzione dei cosiddetti Accordi per la coesione, che ha, di fatto, fortemente centralizzato la programmazione delle risorse e ha prodotto ritardi, ha bloccato l'avvio di molti interventi urgenti, e questo lo sappiamo bene tutti.

D'altronde, il Governo Meloni si è distinto da subito, dal momento del suo insediamento, come un Governo profondamente antimeridionalista: ha tagliato 3,5 miliardi di euro dal Fondo perequativo infrastrutturale, colpendo ospedali, reti idriche, collegamenti stradali proprio dove erano più necessari; con il disegno di legge sull'autonomia differenziata sta imprimendo al Paese una traiettoria di ulteriore frammentazione, che rischia di cristallizzare, e non ridurre, i divari territoriali; così come, osteggiando il salario minimo, non fa che minare proprio la coesione sociale e territoriale.

E poi c'è il tema dolente delle aree interne, per cui il Governo dapprima ha ipotizzato nel Piano strategico nazionale una sorta di spopolamento irreversibile, poi correggendo il testo, ma senza individuare poi risorse concrete. A questo si aggiunge l'intenzione, in sede di revisione del PNRR, di utilizzare i fondi di coesione proprio per coprire quei ritardi e quelle mancate attuazioni. Scelta inaccettabile, anche perché sottrarrebbe risorse la cui spesa è stata già programmata per destinarle a non si sa quali altri scopi.

Il Partito Democratico ritiene che la politica di coesione debba restare un pilastro di solidarietà e convergenza, come strumento di riduzione delle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali. Chiediamo, quindi, al Governo di salvaguardare la destinazione territoriale delle risorse, con priorità alle regioni più svantaggiate; di rafforzare le capacità amministrative degli enti locali per la gestione e attuazione dei programmi di coesione; di destinare risorse aggiuntive alle aree interne per contrastare quello spopolamento di cui parlavamo e garantire, fornendo servizi essenziali, il diritto di tutti e di tutte a restare nei propri luoghi di provenienza e di non dirottare le risorse della coesione su finalità estranee, come per esempio la difesa, o per colmare e nascondere proprio quei ritardi del PNRR.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Frijia. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA FRIJIA (FDI). Grazie, Presidente. Devo prendere le distanze da quanto appena affermato perché, va bene dire tutto e il contrario di tutto, ma poi non fotografare la reale situazione di come sta lavorando l'Italia e il Governo sui fondi, a partire dal PNRR e anche sui fondi di coesione, lo trovo veramente ingiusto.

Quindi, io credo che oggi, con questa mozione, con la mozione che discutiamo, abbiamo un'occasione preziosa per riflettere su una delle sfide decisive per il futuro dell'Italia e dell'Europa: la coesione economica, sociale e territoriale. Un principio che, come bene ha detto la collega Carfagna, nasce dal cuore della nostra Costituzione, che trova fondamento nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Uguaglianza significa rimuovere gli ostacoli che ancora separano territori, persone ed opportunità. Per questo i fondi di coesione non possono più essere considerati meri strumenti di compensazione, ma leve strategiche di sviluppo per affrontare le nuove e complesse sfide della nostra Nazione. Non bastano la spesa pubblica o la programmazione europea, servono collaborazione, fiducia e integrazione tra istituzioni, enti locali, imprese e Terzo settore. La politica di coesione 2021-2027 deve valorizzare queste energie, coinvolgendo anche il Terzo settore in modo trasparente e coordinato.

Come più volte ricordato dal Ministro per gli Affari europei, il PNRR e le politiche di coesione, Tommaso Foti, l'obiettivo del Governo è superare la frammentazione del passato e costruire finalmente un progetto Paese. Un sistema unitario che metta in sinergia risorse europee e nazionali, pubblico e privato, centro e territori. Negli anni scorsi abbiamo visto troppe risorse disperse o utilizzate in modo disomogeneo. Oggi, se confrontiamo l'utilizzo dei fondi di coesione 2021-2027 con quello del PNRR, emerge un evidente sbilanciamento a favore di quest'ultimo.

Il PNRR ha raggiunto tassi di impegno superiori al 90 per cento, mentre per i fondi di coesione, al 31 agosto scorso, risultano procedure di spesa avviate pari al 39 per cento e impegni al 27. Una differenza che il Governo Meloni, con il Ministro Foti, sta affrontando con determinazione, imprimendo una svolta di metodo e di merito alla governance della coesione. Uno strumento decisivo di questa nuova impostazione sono gli Accordi per la coesione, che permettono a Stato e regioni di programmare insieme le risorse del Fondo sviluppo e coesione, rendendo la pianificazione più trasparente, più efficace e più aderente ai fabbisogni reali dei territori.

È opportuno poi ricordare il grande lavoro del Vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Raffaele Fitto, che è stato capace di restituire alla politica di coesione la sua missione originaria: trasformare i territori, non semplicemente distribuirvi risorse. E in questa direzione il lavoro del Vicepresidente Fitto sulla proposta di revisione di medio termine della politica di coesione, approvata lo scorso 18 settembre, segna una svolta profonda. Le nuove priorità, innovazione, transizione energetica, gestione dell'acqua, emergenza abitativa, difesa, tecnologie critiche e decarbonizzazione, rispondono ai bisogni concreti dell'Italia e dell'Europa, anche in vista di un futuro allargamento dell'Europa, e, per la prima volta, sono integrate in una programmazione coerente con il PNRR.

Le risorse generano valore solo se radicate nei territori e se si traducono in progetti che toccano la vita delle persone. Lavoro, casa, scuola sono tre pilastri su cui costruire una vera coesione. Lo ha fatto presente il Ministro Foti al recente meeting di Rimini. La politica di coesione a livello europeo e nazionale sta cambiando profondamente sia a livello di programmi di intervento, con l'introduzione di nuove priorità, sia in tema di riutilizzo dei fondi di coesione. Penso, ad esempio, alle politiche abitative, all'housing sociale, richiamati anche nella mozione: non possono più essere affrontati come emergenze, ma come scelte strutturali sostenute dai fondi di coesione.

Penso alla gestione dell'acqua, alla mobilità sostenibile, ai servizi per la non autosufficienza. Ambiti strategici per la nostra Nazione, in cui, ad esempio, la collaborazione tra pubblico e Terzo settore potrebbe essere di grande utilità. E anche in questo senso la mozione impegna il Governo proprio in questa direzione: destinare risorse anche agli enti del Terzo settore, riconoscendone il ruolo essenziale nella promozione della coesione sociale e nello sviluppo di comunità inclusive.

Il monitoraggio della riforma della politica di coesione europea, poi, è altrettanto cruciale. L'Italia non deve essere spettatrice, ma protagonista delle scelte comunitarie. Grazie al lavoro del Governo e del Ministro Foti, la nostra Nazione ha recuperato credibilità in Europa e oggi può orientare le priorità europee secondo l'interesse nazionale e le specificità dei territori. Per questo è fondamentale monitorare l'applicazione concreta e l'evoluzione normativa della revisione, assicurando che i programmi 2021-2027 siano pienamente allineati alle nuove priorità europee.

Il Governo, inoltre, sostiene, per la messa a terra dei progetti, l'uso di criteri oggettivi, come l'indice di vulnerabilità sociale e materiale, integrato da parametri territoriali, per garantire che le risorse vadano dove i bisogni sono maggiori. Il coordinamento tra fondi di coesione e PNRR resta una priorità. Ogni euro deve trasformarsi in progetti, infrastrutture e opportunità reali, e in questa direzione il Governo ha avviato un percorso di semplificazione amministrativa e di rafforzamento della capacità operativa. Solo così le disponibilità finanziarie diventano sviluppo concreto.

Il punto centrale, poi, della mozione coglie l'essenza della nostra visione politica: superare le disparità territoriali. Non possiamo accettare che il divario tra Nord e Sud, tra città e aree interne, continui a frenare la crescita nazionale. La coesione è sì sviluppo, infrastrutture, connessione materiale e digitale, è capacità di attrarre investimenti e creare lavoro stabile, e rendere l'Italia una nazione più unita e competitiva, ma non è fatta solo di opere e di numeri, è fatta di persone.

La centralità della persona, il capitale umano e le reti locali di solidarietà sono i veri motori dello sviluppo. Ogni euro investito deve diventare un moltiplicatore di valore civico, economico e umano.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo davanti a una scelta strategica, a un cambio di approccio fondamentale e profondo, lo definirei una vera e propria riforma culturale. Infatti, se la politica di coesione saprà aprirsi a nuovi ambiti, dovrà farlo con un unico obiettivo: rafforzare la capacità del Paese di proteggere, innovare e includere. Non si tratta di spendere di più, ma di spendere meglio, laddove il ritorno in termini di resilienza, occupazione e competitività sarà più alto.

In questo senso, mi sento di dire che questa mozione non è un elenco di buone intenzioni, ma un programma di lavoro concreto, che rispecchia l'azione del Governo e l'impegno di Fratelli d'Italia: trasformare, per la prima volta, le risorse europee e nazionali in sviluppo tangibile, capace di ridurre le disuguaglianze e di valorizzare ogni territorio della nostra Nazione.

Per queste ragioni, annuncio la condivisione di questa mozione da parte del gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia e confermo l'impegno a vigilare affinché gli obiettivi assunti con questo documento diventino atti concreti, misurabili e utili ai cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Quartini. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Oggi discutiamo su una mozione che tocca il cuore stesso dell'idea di Unione europea. Parliamo di politiche di coesione, di politiche che rappresentano colonne portanti nel progetto di Unione europea, nate per unire, per ridurre le disuguaglianze territoriali, sociali ed economiche, per garantire pari opportunità di sviluppo e per dare voce e dignità a tutte le regioni, non solo a quelle più forti o più ricche. Ebbene, questa politica - lo diciamo con forza -, oggi, è sotto attacco: sotto attacco da parte della Commissione europea, che ha smarrito la bussola del vero europeismo dell'origine, e di un Governo nazionale, che, invece di difendere i nostri territori, preferisce piegarsi ai Diktat di Bruxelles, accettando una visione centralista, militarista, direi bellicista e lontana dai bisogni dei cittadini.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una deriva preoccupante: la Commissione von der Leyen, con la scusa della sicurezza e del riarmo, ha deciso di aprire la porta a una possibilità, dal nostro punto di vista, inaccettabile, cioè dirottare i fondi di coesione verso le spese per la difesa, che oggettivamente andrebbe chiamata “preparazione alla guerra”. Il termine “difesa”, dal nostro punto di vista, è assolutamente manipolativo.

Parlano di sicurezza europea, ma, in realtà, così avremo più insicurezza per i cittadini, meno risorse, meno diritti e meno prospettive. Del resto, lo sappiamo: le guerre le pagano i più deboli, i più poveri. Vengono favorite le lobby dei mercati della preparazione alla guerra, viene favorito un establishment sempre più avido: 800 miliardi per il riarmo, 5 per cento della spesa sul PIL per la NATO, con previsione di oltre 450 miliardi per l'industria della morte.

È incredibile che, ancora oggi, si utilizzino le stesse dinamiche di 2.500 anni fa, quando fu combattuta la guerra del Peloponneso, invece di promuovere con forza dialogo e diplomazia.

Parliamo di fondi che servono alle regioni più deboli, ai comuni, alle piccole imprese, alle scuole, ai giovani, fondi che servono per creare lavoro, infrastrutture, innovazione, per ridurre i divari e sostenere le aree svantaggiate del Paese. E, invece, secondo questa logica perversa, dovremmo usarli per comprare armi? Missili e bombe, al posto di asili e ospedali? Caccia e droni, al posto di collegamenti aerei? Navi da guerra, al posto di traghetti? Carri armati, al posto di strade e ferrovie?

No, colleghi, questo è inaccettabile. È un tradimento dello spirito europeo e dei principi di sussidiarietà e di solidarietà su cui l'Unione è stata costruita. Quello che fa ancora più rabbia è il silenzio complice del Governo Meloni: un Governo che si riempie la bocca di sovranità, ma poi tace quando si tratta di difendere gli interessi reali del Paese; un Governo che parla di patriottismo, ma non muove un dito per impedire che i fondi destinati al Mezzogiorno finiscano in spese militari decise altrove; un Governo che si piega alla logica della Commissione, rinunciando ad ogni battaglia politica e ad ogni difesa dell'autonomia dei territori. Non è solo un problema europeo. Anche a livello nazionale la direzione è chiara: si colpisce il Sud, si colpiscono le regioni più fragili, si colpisce la coesione.

L'autonomia differenziata, il federalismo fiscale, la scelta di usare il Fondo per lo sviluppo e la coesione per il ponte sullo Stretto, sottraendo risorse alla Sicilia e alla Calabria, sono tutti tasselli della stessa strategia: spaccare il Paese e creare cittadini di serie A e cittadini di serie B.

Lo diciamo con chiarezza: il Fondo per lo sviluppo e la coesione non è un salvadanaio da cui attingere per progetti bellicisti o propagandistici. È lo strumento che serve a colmare i divari, non ad approfondirli. E oggi quelle risorse vanno restituite integralmente alle regioni del Sud, a chi ogni giorno combatte per le carenze infrastrutturali, come la disoccupazione, come i servizi insufficienti.

Questa mozione chiede al Governo di fare una cosa semplice, ma fondamentale: difendere la politica di coesione non come un residuo del passato, ma come leva per il futuro del Paese e dell'Europa.

Chiediamo che l'Italia si opponga con forza, in tutte le sedi, all'idea di un Fondo unico europeo che accorpi e svuoti i fondi di coesione, quelli agricoli e quelli sociali. Chiediamo che si difenda l'approccio place-based che riconosce le specificità territoriali, che dà voce alle regioni, ai comuni e ai cittadini. Chiediamo che si impedisca qualunque dirottamento dei fondi verso la difesa, mantenendone la destinazione originaria a favore dello sviluppo locale. Chiediamo, con la proposta di legge del collega Filippo Scerra, che si introduca anche nel nostro ordinamento il principio di non arrecare danno alla coesione, così che ogni politica nazionale o europea venga valutata in base al suo impatto sui divari territoriali. Chiediamo, infine, che si pubblichi con urgenza la relazione prevista dal decreto-legge n. 77 del 2021, per verificare il rispetto del vincolo del 40 per cento delle risorse destinate al Mezzogiorno. Perché i cittadini del Sud hanno diritto a trasparenza e giustizia territoriale.

Mi avvio alla conclusione. La politica di coesione non è una voce di bilancio, è molto di più: è una visione di società, è la convinzione che lo sviluppo non si costruisce sull'esclusione, ma sulla partecipazione, che la crescita non è vera, se non è condivisa, che l'Europa e l'Italia non possono funzionare a due velocità, con alcuni che accumulano ricchezza e altri che vengono lasciati indietro.

Il MoVimento 5 Stelle difende questa visione, difende le comunità locali, difende il diritto di ogni cittadino, che viva a Milano o a Caltanissetta, a Taranto o a Torino, ad avere le stesse opportunità. Difende un'Europa di pace e solidarietà, non un'Europa basata sulle armi e sui muri.

Concludo, Presidente, rivolgendo un appello direttamente al Governo: smettetela di piegarvi ai voleri della Commissione, smettetela di considerare la coesione una spesa da tagliare. Difendete il Sud, difendete i territori, difendete la dignità del nostro Paese in Europa. Perché la vera sicurezza non si costruisce con i cannoni, ma con le scuole, con le infrastrutture, con il lavoro e la giustizia sociale. Questa è una battaglia che il MoVimento 5 Stelle non smetterà mai di combattere.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo? Si riserva di farlo successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 1686, 1687, 1589 e 2345.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Regno di Thailandia, dall'altra, fatto a Bruxelles il 14 dicembre 2022 (A.C. 1686?) (ore 16,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione disegno di legge n. 1686?: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Regno di Thailandia, dall'altra, fatto a Bruxelles il 14 dicembre 2022.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1686?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire, in sostituzione del relatore, il deputato Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione.

PAOLO FORMENTINI, Vicepresidente della III Commissione. Grazie, Presidente. L'intesa in esame, sottoscritta a margine del vertice tra l'Unione europea e l'Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) nel dicembre 2022, si inquadra nella più ampia strategia dell'Unione europea per l'Indo-Pacifico, che ha già portato nella presente legislatura ad analoghi accordi divenuti legge come quello con Singapore. Il comitato sull'Indo-Pacifico, costituito in seno alla Commissione esteri, nella prima metà della legislatura ha operato nella medesima direzione di sviluppare rapporti con i Paesi Like-Minded dell'Asia orientale. L'obiettivo del provvedimento è sviluppare un dialogo globale e intensificare la cooperazione in tutti i settori di interesse comune, nonché stabilire la cornice giuridica e politico-istituzionale di riferimento per le relazioni bilaterali con la Thailandia.

L'Accordo in esame, che è stato fin qui ratificato da 18 Stati membri dell'Unione europea, si compone di 64 articoli suddivisi in 8 titoli. Più nel dettaglio, il Titolo I, relativo alla natura dell'Accordo e all'ambito di applicazione, riconosce quale elemento essenziale dell'intesa il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e negli altri strumenti internazionali sui diritti umani applicabili alle parti, nonché il principio dello Stato di diritto.

Vengono, inoltre, ribaditi gli impegni a promuovere lo sviluppo sostenibile, a collaborare per affrontare le sfide connesse ai cambiamenti climatici e alla globalizzazione e a contribuire all'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Inoltre, le parti convengono di cooperare nella lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa e di promuovere l'attuazione degli strumenti internazionali sul disarmo. Nello stesso ambito rientra anche l'impegno comune a rispettare gli obblighi di lotta contro il commercio illegale di armi leggere di piccolo calibro per prevenire e combattere il terrorismo.

Il Titolo II riguarda la cooperazione bilaterale regionale e internazionale, promuovendo lo scambio di informazioni nell'ambito di consessi quali l'ONU e le sue agenzie, l'ASEAN, il Vertice Asia-Europa, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo e l'Organizzazione mondiale del commercio.

Il Titolo III concerne la cooperazione in materia di scambi e investimenti, incluso il settore sanitario e fitosanitario. In particolare, le parti si adoperano per migliorare la comprensione reciproca delle rispettive leggi e politiche in materia di concorrenza, nonché per promuovere lo scambio di informazioni sui diritti di proprietà intellettuale.

Il Titolo IV riguarda la cooperazione nel settore della libertà, della sicurezza e della giustizia, con l'obiettivo di promuovere lo Stato di diritto. Le parti si impegnano, in particolare, a intensificare la cooperazione in materia di assistenza giudiziaria reciproca e di estradizione. In materia di politiche migratorie la Thailandia e ciascuno Stato membro dell'Unione europea convengono di riammettere tutti i propri cittadini che non soddisfino le condizioni vigenti d'ingresso, soggiorno e residenza nel territorio di uno Stato membro o della Thailandia. Le parti convengono di cooperare anche nella lotta contro la criminalità transnazionale, la corruzione e gli abusi sessuali su minori.

Il Titolo V disciplina la cooperazione in altri settori, quali la promozione e la tutela dei diritti umani, le politiche macroeconomiche, la fiscalità, la politica industriale, la scienza, la tecnologia, i cambiamenti climatici, l'energia, i trasporti, il turismo, l'istruzione, la cultura, la protezione dell'ambiente, l'agricoltura e la sanità.

Il Titolo VI definisce gli strumenti di cooperazione, prevedendo che le parti mettano a disposizione i necessari mezzi, anche finanziari, per conseguire gli obiettivi citati.

Il Titolo VII delinea il quadro istituzionale, istituendo un Comitato misto, che si riunisce almeno ogni due anni a turno a Bangkok e a Bruxelles, incaricato di garantire il buon funzionamento dell'Accordo e a formulare raccomandazioni per promuoverne gli obiettivi e risolvere eventuali divergenze.

Il Titolo VIII reca le disposizioni finali, tra cui la cosiddetta clausola evolutiva che consente alle parti di estendere l'Accordo al fine di intensificare la cooperazione anche mediante accordi specifici o protocolli.

Il disegno di legge di ratifica si compone di 4 articoli. In particolare, l'articolo 3 introduce una clausola di invarianza finanziaria in base alla quale, dall'attuazione dell'Accordo, non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, Sottosegretaria Siracusano, che rinuncia.

Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Governo della Malaysia, dall'altra, fatto a Bruxelles il 14 dicembre 2022 (A.C. 1687?) (ore 16,26).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione disegno di legge n. 1687?: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Governo della Malaysia, dall'altra, fatto a Bruxelles il 14 dicembre 2022.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1687?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Formentini.

PAOLO FORMENTINI, Relatore. Grazie, Presidente. L'intesa in esame è il primo Accordo bilaterale concluso tra l'Unione europea e la Malaysia e si inquadra nella strategia dell'Unione europea per l'Indo-Pacifico. L'obiettivo è instaurare un partenariato rafforzato tra le parti e approfondire e consolidare la cooperazione sulle questioni di reciproco interesse. L'Accordo comprende anche un'importante sezione sulla cooperazione commerciale, che apre la strada alla conclusione dei negoziati in corso sull'accordo di libero scambio. L'Accordo in esame, che è stato fin qui ratificato da 17 Stati membri dell'Unione europea, si compone di 60 articoli suddivisi in 10 titoli.

Più nel dettaglio, il Titolo I, relativo alla natura dell'Accordo e all'ambito di applicazione, riconosce quale elemento essenziale dell'intesa il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nonché del principio dello Stato di diritto.

Il Titolo II riguarda la cooperazione bilaterale regionale e internazionale, promuovendo lo scambio di informazioni nell'ambito di consessi quali l'ONU e le sue agenzie, l'ASEAN, il Vertice Asia-Europa, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo e l'Organizzazione mondiale del commercio.

Il Titolo III concerne la cooperazione in materia di pace, sicurezza e stabilità internazionale. Le parti convengono di cooperare per la prevenzione e la repressione degli atti di terrorismo e di altri gravi crimini, nonché di rafforzare gli accordi internazionali sulle armi di distruzione di massa, garantendo il pieno rispetto e l'attuazione a livello nazionale degli obblighi assunti nell'ambito di trattati e accordi internazionali sul disarmo e la non proliferazione.

Il Titolo IV riguarda la cooperazione in materia di commercio e investimenti, prevedendo l'impegno a concludere un accordo di libero scambio e la promozione della collaborazione su questioni sanitarie e fitosanitarie, ostacoli tecnici agli scambi, dogane, concorrenze e diritti di proprietà intellettuale.

Il Titolo V reca disposizioni in materia di giustizia e sicurezza, con l'obiettivo di promuovere lo Stato di diritto. In particolare, nell'ambito della cooperazione volta a prevenire e a controllare l'immigrazione clandestina, le parti convengono che la Malaysia e ogni Stato membro dell'Unione europea riammetteranno tutti i propri cittadini presenti illegalmente nel territorio di uno Stato membro o della Malaysia su richiesta della controparte. Ulteriori disposizioni riguardano la lotta alla criminalità transnazionale, alla corruzione e al finanziamento del terrorismo.

Il Titolo VI disciplina la cooperazione in altri settori, quali la promozione e la tutela dei diritti umani, la regolamentazione dei settori bancario e assicurativo, le politiche macroeconomiche, la fiscalità, la politica industriale, la cybersicurezza, il turismo e l'audiovisivo.

Il Titolo VII riguarda la cooperazione in materia di istruzione, scienza, tecnologia e innovazione, attraverso scambio di informazioni, promozione di partenariati di ricerca e promozione della formazione e degli scambi di ricercatori. È presente l'impegno a intensificare la cooperazione nel settore dell'energia, al fine di diversificare l'approvvigionamento ed aumentare l'efficienza energetica nel settore dei trasporti. Le parti convengono, inoltre, di cooperare per promuovere la salvaguardia dell'ambiente e incoraggiare il dialogo in materia di agricoltura, allevamento, pesca e sviluppo rurale.

Il Titolo VIII definisce gli strumenti di cooperazione, prevedendo che le parti mettano a disposizione i necessari mezzi, anche finanziari, per conseguire gli obiettivi citati.

Il Titolo IX delinea il quadro istituzionale, istituendo un Comitato misto incaricato di garantire il buon funzionamento dell'Accordo e di formulare raccomandazioni per promuoverne gli obiettivi, oltre che risolvere eventuali divergenze che derivino dall'interpretazione e dall'applicazione dell'Intesa stessa. Il Titolo X reca le disposizioni finali: in particolare, si prevede che qualsiasi differenza o divergenza tra le parti venga composta in via amichevole attraverso consultazioni o negoziati nell'ambito del Comitato misto.

Il disegno di legge di ratifica si compone di quattro articoli. In particolare, l'articolo 3 introduce una clausola di invarianza finanziaria in base alla quale dall'attuazione dell'Accordo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che rinuncia.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 862 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica d'Armenia, dall'altra, con allegati, fatto a Bruxelles il 15 novembre 2021 (Approvato dal Senato) (A.C. 1589?) (ore 16,31).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1589: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica d'Armenia, dall'altra, con allegati, fatto a Bruxelles il 15 novembre 2021.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1589?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Formentini.

PAOLO FORMENTINI, Relatore. Grazie, Presidente. Il provvedimento in esame, approvato dal Senato il 29 novembre 2023, mira a disciplinare le relazioni aeronautiche tra i Paesi membri dell'Unione europea e l'Armenia, sostituendo tutti gli accordi bilaterali precedenti. L'obiettivo è quello di istituire un unico mercato dei trasporti aerei, aprendo i rispettivi mercati, nonché di avviare una progressiva convergenza regolamentare, a cominciare dai settori della sicurezza, della tutela dei lavoratori, dei passeggeri e dell'ambiente.

Venendo al merito, l'Intesa copre tre principali aree di cooperazione economica, regolamentare ed istituzionale. In primo luogo, sul piano economico stabilisce norme comuni nelle seguenti materie: diritti di traffico, tra cui il diritto illimitato di volare tra l'Unione e l'Armenia o di sorvolare il territorio dell'altra parte o di effettuare scali nel territorio dell'altra parte per scopi non commerciali; flessibilità operativa, che contempla l'esecuzione del traffico di transito attraverso il territorio dell'altra parte; autorizzazioni per i vettori aerei di ciascuna parte a operare nel territorio dell'altra parte; opportunità commerciali per garantire a tutti i vettori aerei dell'Unione l'accesso all'assistenza a terra, la condivisione dei codici e l'intermodalità, nonché la possibilità di fissare liberamente un prezzo; norme per garantire una concorrenza leale e facilitare le attività commerciali; norme sui diritti di utenza per le infrastrutture e i servizi aeroportuali e aerei.

Sul piano della cooperazione regolamentare, entrambe le parti si impegnano a rispettare determinate disposizioni in materia di sicurezza dell'Unione, elencate in un allegato all'Accordo, a riconoscere i rispettivi certificati di sicurezza, a garantire il riconoscimento reciproco delle rispettive norme di protezione, a cooperare nella gestione del traffico aereo al fine di estendere il cielo unico europeo all'Armenia, a collaborare in materia di ambiente, tutela dei consumatori e aspetti sociali.

In terzo luogo, per quanto concerne la cooperazione istituzionale, ciascuna parte è responsabile di applicare le norme dell'Accordo sul proprio territorio. Un Comitato misto è responsabile della gestione dell'Intesa e di garantirne la corretta attuazione, se del caso ricorrendo a un meccanismo di risoluzione delle controversie.

Passando al disegno di legge di ratifica, mi limito a rilevare che l'articolo 3 prevede una clausola di invarianza finanziaria, per la quale dall'attuazione della legge di autorizzazione alla ratifica non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che rinuncia.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di Città del Capo del 2012 sull'attuazione delle disposizioni del Protocollo del 1993 relativo alla Convenzione internazionale di Torremolinos del 1977 sulla sicurezza delle navi da pesca, con Annesso, fatto a Città del Capo l'11 ottobre 2012 (A.C. 2345?) (ore 16,34).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione disegno di legge n. 2345?: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di Città del Capo del 2012 sull'attuazione delle disposizioni del Protocollo del 1993 relativo alla Convenzione internazionale di Torremolinos del 1977 sulla sicurezza delle navi da pesca, con Annesso, fatto a Città del Capo l'11 ottobre 2012.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2345?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Patrizia Marrocco.

PATRIZIA MARROCCO, Relatrice. Grazie, Presidente. L'Accordo in esame, adottato nell'ambito della conferenza diplomatica dell'Organizzazione marittima internazionale, ha lo scopo di agevolare l'entrata in vigore dei precedenti atti internazionali: la Convenzione internazionale di Torremolinos nel 1977 e il Protocollo del 1993, già ratificati dall'Italia, sebbene non siano mai entrati in vigore a causa della mancata adesione del numero minimo di Stati previsto. L'Accordo di Città del Capo contiene disposizioni sulla progettazione, sulla costruzione e sull'equipaggiamento dei pescherecci al fine di stabilire i parametri per la sicurezza degli equipaggi e di fornire condizioni di parità per le attività industriali.

Sebbene la pesca professionale sia riconosciuta a livello internazionale come una delle professioni più pericolose al mondo, manca infatti uno strumento internazionale di definizione dei parametri minimi di sicurezza e di un sistema integrato di controllo e monitoraggio delle unità di pesca. Più nel dettaglio, l'entrata in vigore dell'Accordo imporrà agli armatori e agli operatori internazionali che gestiscono pescherecci di conformarsi a regolamenti vincolanti a livello internazionale, in analogia a quanto avviene per gli altri tipi di navi che svolgono attività commerciali, diminuendo conseguentemente le pratiche che espongono ai rischi la vita degli equipaggi. Peraltro occorre osservare che la gran parte delle norme dell'Accordo è di fatto già vigente in Italia, in conseguenza del recepimento delle direttive 97/1970/CE e 1999/19/CE sull'istituzione del regime di sicurezza armonizzato per le navi da pesca di lunghezza eguale o superiore a 24 metri.

Gli articoli dell'Accordo stabiliscono gli obblighi generali, nonché le modalità di interpretazione e applicazione del Protocollo alla Convenzione internazionale del 1977, le modalità di ratifica, accettazione, approvazione e adesione all'Accordo, nonché la sua entrata in vigore. L'Annesso contiene invece le modifiche all'allegato e alle appendici all'allegato al Protocollo, sempre del 1993.

Tra le altre, segnalo la disposizione che consente all'amministrazione di esentare qualsiasi nave da uno qualsiasi dei requisiti del Protocollo se ritiene che l'applicazione di esso sia irragionevole e impraticabile in considerazione del tipo di nave, delle condizioni meteorologiche e dell'assenza di pericoli generali per la navigazione. Merita menzionare anche la norma che prevede che, dopo un'ispezione iniziale o di rinnovo a un peschereccio, con esito positivo, deve essere rilasciato un certificato denominato “certificato internazionale di sicurezza per pescherecci”. Infine, gli Allegati contengono i nuovi modelli dei certificati previsti.

Quanto al disegno di legge di ratifica, si compone di sei articoli. In particolare, l'articolo 3 individua come autorità competente per l'Italia il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto presso il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.

L'articolo 5 infine reca la clausola di invarianza finanziaria; pertanto le amministrazioni competenti svolgono le attività previste dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che rinuncia.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che la seduta di domani, martedì 21 ottobre, avrà inizio alle ore 14 anziché alle ore 11, in quanto lo svolgimento di interpellanze e interrogazioni non avrà luogo.

Avverto altresì che nella seduta di mercoledì 22 ottobre, alle ore 12,30, avrà luogo un'informativa urgente del Governo, con la partecipazione del Ministro dell'Interno, sull'attentato nei confronti del giornalista della Rai Sigfrido Ranucci.

Avverto infine che, nella medesima seduta di mercoledì 22 ottobre, la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2025 avrà inizio alle ore 16,05 anziché alle ore 16,15.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 21 ottobre 2025 - Ore 14:

1. Seguito della discussione della proposta di legge:

MOLLICONE ed altri: Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e altre disposizioni concernenti la valorizzazione sussidiaria dei beni culturali e l'istituzione del circuito "Italia in scena". (C. 1521-A?)

Relatore: MOLLICONE.

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento. (C. 1866-A?)

Relatrice: VARCHI.

3. Seguito della discussione della mozione Lupi, Mantovani, Candiani, Rossello ed altri n. 1-00511 in materia di politiche di coesione .

4. Seguito della discussione dei disegni di legge:

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Regno di Thailandia, dall'altra, fatto a Bruxelles il 14 dicembre 2022. (C. 1686?)

Relatore: ORSINI.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Governo della Malaysia, dall'altra, fatto a Bruxelles il 14 dicembre 2022. (C. 1687?)

Relatore: FORMENTINI.

S. 862 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sullo spazio aereo comune tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica d'Armenia, dall'altra, con allegati, fatto a Bruxelles il 15 novembre 2021 (Approvato dal Senato). (C. 1589?)

Relatore: FORMENTINI.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di Città del Capo del 2012 sull'attuazione delle disposizioni del Protocollo del 1993 relativo alla Convenzione internazionale di Torremolinos del 1977 sulla sicurezza delle navi da pesca, con Annesso, fatto a Città del Capo l'11 ottobre 2012. (C. 2345?)

Relatrice: MARROCCO.

La seduta termina alle 16,40.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: MARIA CAROLINA VARCHI (A.C. 1866-A?)

MARIA CAROLINA VARCHI, Relatrice. (Relazione – A.C. 1866-A?). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! L'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge recante “Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento”, di iniziativa del Governo (C.1866).

Il testo in esame tratta un tema estremamente delicato, inserendosi nel quadro delle misure volte a garantire la piena attuazione del principio del superiore interesse del minore e del diritto dei bambini e degli adolescenti a vivere e a crescere all'interno delle loro famiglie d'origine.

Si tratta di un principio che ha una sua consacrazione internazionale nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall'Italia con la legge n. 176 del 1991.

La predetta Convenzione contiene, tra gli altri, i seguenti principi:

- richiama gli Stati a vigilare affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano che questa separazione sia necessaria nell'interesse preminente dello stesso;

- prevede una serie di controlli e strumenti volti a garantire che i diritti in essa riconosciuti non restino sul piano formale ma siano concretamente attuati. È stato a tale scopo istituito il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, organismo indipendente, con il compito di esaminare i progressi dei vari Stati nella messa in pratica degli obblighi sanciti dalla Convenzione, il quale ha raccomandato, in particolare, di potenziare il sistema di raccolta dati in tema di infanzia e adolescenza.

Tra le misure volte a favorire tale obiettivo, raccomandate peraltro dal Comitato delle Nazioni unite - istituito proprio in base alla citata Convenzione - rientra anche quello di potenziare il sistema di raccolta dei dati in materia.

L'articolo 9 della Convenzione dispone a carico degli Stati sottoscrittori un obbligo di vigilanza affinché i minori non siano separati dai genitori, tranne nei casi ritenuti assolutamente necessari dalle autorità competenti e sotto riserva di revisione da parte dell'autorità giudiziaria, secondo le procedure stabilite da leggi.

In questa prospettiva, la finalità del disegno di legge è quella di prevenire e ridurre i casi di prolungata permanenza presso istituti e di affidamento sine die di minori allontanati dalla famiglia d'origine.

Perché tale finalità sia concretamente perseguita, con gli strumenti che questo disegno di legge propone di inserire, sarà organizzato, da un lato, un efficace e tempestivo monitoraggio del fenomeno e, dall'altro, garantito il rispetto delle procedure già previste a tutela del minore.

Credo che sia importante evidenziare come - proprio per la delicatezza degli interessi da proteggere e per la complessità della rete istituzionale, associativa e sociale coinvolta nella “presa in carico” dei minori - il provvedimento in discussione abbia avuto tempi adeguati di gestazione e di maturazione, sia a livello governativo che nel suo iter parlamentare.

Ricordo che la deliberazione del testo da parte del Consiglio dei ministri, avvenuta il 26 marzo 2024, ha consentito un'ampia interlocuzione con i soggetti rappresentativi degli enti territoriali (a partire dalla Conferenza Unificata, l'UPI e l'ANCI) ed è stata preceduta e seguita dal coinvolgimento delle più significative realtà associative.

Analogamente, anche l'istruttoria presso la Commissione è avvenuta in tempi e modalità che hanno consentito di coinvolgere i principali attori istituzionali e sociali, tra cui, oltre a magistrati, docenti universitari ed esperti, mi sembra doveroso richiamare le associazioni a tutela dell'infanzia e quelle rappresentative di coloro che prendono in affido i minori.

Questa approfondita attività conoscitiva ha consentito di maturare valutazioni e orientamenti che - sebbene nell'ambito di un dibattito dialettico in cui sono emerse posizioni diverse - si sono concretizzate nell'approvazione di un provvedimento in Commissione senza la registrazione di voti contrari.

Sul provvedimento sono stati acquisiti i pareri favorevoli delle Commissioni in sede consultiva, ad eccezione della Commissione Bilancio che renderà direttamente all'Assemblea il parere sul provvedimento in esame.

Giungo adesso al merito del provvedimento, che si compone di tre articoli.

L'articolo 1 integra la legge n. 184 del 1983 che, agli articoli da 2 a 5-bis, reca l'attuale disciplina in materia di affidamento di minori, inserendovi due nuovi articoli.

In particolare, il nuovo articolo 5-ter dispone l'istituzione, presso il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, del «registro nazionale degli istituti di assistenza pubblici e privati, delle comunità di tipo familiare e delle famiglie affidatarie», al fine di monitorare il ricorso agli affidamenti dei minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo e contrastare il fenomeno dell'istituzionalizzazione impropria, in attuazione del superiore interesse del minore.

Le modalità di tenuta del registro e di acquisizione dei dati sono demandate a un decreto del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, da adottare entro sei mesi, previo parere della Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città ed autonomie locali e sentito il Garante per la protezione dei dati personali.

In tale registro sono inseriti, su base provinciale, i dati, di carattere numerico e non identificativo dei singoli casi, relativi al numero dei minori e gli istituti presso i quali sono collocati, nonché il numero di famiglie, comunità ed istituti disponibili all'affidamento.

La norma in commento esplicita quindi la finalità di tale registro, che è quella di monitorare il ricorso agli affidamenti dei minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo, e quindi prevenire e ridurre situazioni di collocamento improprio. I dati necessari sono periodicamente fomiti da regioni ed enti locali. In Commissione si è inteso specificare nel testo dell'articolato l'esigenza di semplificazione di ogni adempimento amministrativo.

L'articolo in commento interviene anche nel Capo II della citata legge n. 184, che reca disposizioni in materia di dichiarazione di adottabilità.

Il nuovo articolo 9-bis dispone che, presso ciascun tribunale per i minorenni e ciascun tribunale ordinario, sia istituito il «registro dei minori collocati in comunità di tipo familiare o istituti di assistenza pubblici o privati o presso famiglie affidatarie».

Le modalità di istituzione e tenuta del registro, nonché di acquisizione e trattamento dei dati sono demandate a un decreto del Ministro della giustizia, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, da adottare entro sei mesi.

Il registro contiene un capitolo specifico per ciascun minore collocato presso famiglie affidatarie o in comunità di tipo familiare o istituti di assistenza pubblici o privati comunque denominati, in cui la cancelleria annota i dati rilevanti dei provvedimenti che interessano il minore, nonché la sua eventuale condizione di portatore di bisogni speciali.

L'organo giudiziario tenutario del registro deve altresì comunicare trimestralmente al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia, a fini di monitoraggio del disagio sociale anche riferito a determinati contesti territoriali, i dati numerici riguardanti richieste e provvedimenti di collocamento del minore presso una famiglia affidataria ovvero presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato, comunque denominato.

La relazione illustrativa evidenza che tale disposizione trova la sua ratio nell'esigenza di assicurare un'adeguata tutela alle persone che, per la critica situazione familiare in cui versano, sono allontanate dalla famiglia di origine. “Qualora il minore venga allontanato dalla famiglia di origine, lo Stato è tenuto a esercitare una costante attività di vigilanza, predisponendo ogni misura volta a scongiurare il pericolo che la situazione di collocamento presso un istituto si protragga per tempi irragionevoli, con grave pregiudizio per lo stesso minore”.

L'articolo 2 prevede che, presso il Dipartimento per le politiche della famiglia, sia istituito l'Osservatorio nazionale sugli istituti di assistenza pubblici e privati, comunque denominati, delle comunità di tipo familiare e delle famiglie affidatarie.

I compiti del nuovo Osservatorio riguardano l'analisi delle informazioni e dei dati del registro nazionale istituito ai sensi dell'articolo 1, nonché poteri di segnalazione alle autorità competenti in ordine a possibili situazioni di collocamento improprio e di impulso per lo svolgimento di ispezioni o sopralluoghi da parte delle stesse autorità.

È previsto che presenti una relazione entro il 30 giugno di ogni anno, all'autorità politica delegata per la famiglia, al fine della successiva trasmissione alle Camere.

La definizione dell'organizzazione e della composizione del nuovo Osservatorio è demandata a un decreto del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. La norma specifica che in ogni caso ne faranno parte rappresentanti del Ministero della giustizia.

Quanto agli oneri, il comma 4 dell'articolo in esame integra le previsioni della legge n. 296 del 2006 per inserire le spese per tale organo - nonché quelle per la tenuta del registro nazionale di cui all'articolo 1 tra quelle che possono essere finanziate dal Fondo per le politiche della famiglia. Inoltre, inserisce le citate spese nell'ambito della quota del Fondo per le politiche della famiglia che viene ripartita mediante determinazione del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità.

L'articolo 3 reca le disposizioni finanziarie, relative agli oneri di istituzione del registro nazionale e del registro dei minori.

Sul punto, segnalo che le previsioni andranno aggiornate durante il dibattito in Assemblea alla luce dei tempi di prevedibile conclusione del procedimento legislativo, nelle forme che saranno indicate dalla Commissione Bilancio.

Mi limito pertanto ad evidenziare che il provvedimento stanzia 300.000 euro per il primo anno per l'istituzione del registro nazionale e 250.000 euro per l'istituzione del registro dei minori.