XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 494 di lunedì 16 giugno 2025

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIO MULE'

La seduta comincia alle 11,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato Segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO GIACHETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 13 giugno 2025.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 93, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta in corso (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: S. 1467 - Conversione in legge del decreto-legge 23 aprile 2025, n. 55, recante disposizioni urgenti in materia di acconti Irpef dovuti per l'anno 2025 (Approvato dal Senato) (A.C. 2448?).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2448: Conversione in legge del decreto-legge 23 aprile 2025, n. 55, recante disposizioni urgenti in materia di acconti Irpef dovuti per l'anno 2025.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2448?)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Antonio Giordano.

ANTONIO GIORDANO, Relatore. Grazie, Presidente. Colleghi, Sottosegretario Siracusano, la Commissione finanze ha svolto l'esame in sede referente del decreto-legge n. 55 del 2025, relativo alle disposizioni urgenti in materia di acconti Irpef dovuti per l'anno 2025, già approvato dal Senato. Il Senato non ha apportato modificazioni al decreto-legge e dunque la Commissione lo ha esaminato nel suo testo originario.

Il decreto-legge è composto di due articoli. Al riguardo, preliminarmente rammento che il decreto legislativo n. 216 del 2023, adottato in attuazione della legge delega per la riforma fiscale n. 111 del 2023, ha disposto all'articolo 1, limitatamente all'anno 2024, la riduzione delle aliquote Irpef e dei relativi scaglioni di reddito, innalzando il limite di reddito della cosiddetta no tax area previsto per i lavoratori dipendenti.

Il comma 4 del medesimo articolo 1 prevedeva che nella determinazione degli acconti dovuti ai fini dell'Irpef e relative addizionali, sia per il periodo d'imposta 2024, sia per quello 2025, non si dovesse tener conto di questa riduzione delle aliquote e degli scaglioni e che quindi dovesse essere assunta quale imposta del periodo precedente quella che sarebbe stata determinata applicando le aliquote e le detrazioni vigenti al 2023. Successivamente, la riduzione delle aliquote e degli scaglioni e l'aumento del limite di reddito della no tax area sono state rese strutturali dall'articolo 1, comma 2, della legge di bilancio 2025 (legge n. 207 del 2024).

Come chiarito dal Governo nella relazione illustrativa del provvedimento in esame, l'impossibilità di tener conto delle modifiche apportate alle aliquote e agli scaglioni nella determinazione degli acconti ai fini dell'Irpef e delle relative addizionali appare incoerente per gli acconti dovuti per l'anno 2025, considerando l'avvenuta stabilizzazione a regime delle misure in materia di aliquote Irpef e di no tax area sopra menzionate. Di conseguenza, l'articolo 1, comma 1, del provvedimento in esame, circoscrive al solo periodo d'imposta 2024 l'applicazione dell'articolo 1, comma 4, del decreto legislativo n. 216 del 2023. Si prevede conseguentemente che la determinazione degli acconti dovuti ai fini Irpef e relative addizionali per il periodo d'imposta 2025 sia effettuata assumendo quale imposta del periodo precedente quella ottenuta applicando le nuove aliquote e detrazioni per lavoro dipendente introdotte dal decreto legislativo n. 216 del 2023 per il solo anno 2024 e successivamente rese strutturali dalla legge di bilancio 2025.

Inoltre, per effetto delle medesime modifiche, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera a), del TUIR, è riconosciuta per i redditi di lavoro dipendente, esclusi quelli di pensione, e per taluni redditi assimilati, fino a 15.000 euro, una detrazione pari a 1.955 euro rispetto a quella previgente di 1.880 euro. In tal modo, come precisa la relazione tecnica, i contribuenti possono beneficiare delle suddette agevolazioni già in sede di acconto.

Il comma 2 incrementa di 245,5 milioni di euro per l'anno 2026 il Fondo di parte corrente di cui all'articolo 1, comma 886, della legge n. 207 del 2024 (legge di bilancio 2025), destinato alla compensazione degli eventuali scostamenti dal percorso della spesa netta indicata nel Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029.

Il comma 3 reca la copertura finanziaria della modifica apportata alla disciplina degli acconti Irpef per l'anno 2025. Il comma 4 dispone la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'aumento del sopramenzionato Fondo di parte corrente.

L'articolo 2, infine, prevede che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ovvero il 24 aprile 2025.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo che si riserva.

Intanto saluto i ragazzi del liceo scientifico statale “Enrico Fermi” di Padova, che assistono ai nostri lavori dalle tribune: siete voi? Fatemi un cenno… Non siete voi, siete troppo piccoli per essere al liceo scientifico. Arriveranno dopo. Intanto, benvenuti (Applausi).

È iscritto a parlare l'onorevole Toni Ricciardi. Ne ha facoltà.

TONI RICCIARDI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Buon inizio di settimana, mi verrebbe da dirle, Sottosegretaria Siracusano. Il relatore, poc'anzi, ha giustamente assolto al suo compito formale di raccontarci di che cosa si parla, e lo ha fatto con dovizia di particolari e la precisione e la sobrietà che quest'Aula richiede. Però, allo stesso tempo, se mi è consentito, ha fatto passare il tutto come se stessimo trattando di una tecnicalità per addetti ai lavori, tale che nessuno, al di fuori di quest'Aula, si preoccupa di comprendere.

In realtà, Presidente, quando parliamo di tasse, stiamo parlando del tema che, da secoli, interessa il rapporto tra il potere costituito - in questo caso lo Stato - e i cittadini, che lo Stato rappresenta e ai quali, a sua volta, lo Stato deve garantire, in seguito al pagamento delle tasse, servizi e diritti. Mettiamola così: quando si parla di delega fiscale, quando si parla di rapporto tra lo Stato e i cittadini, di pressione fiscale, della modalità attraverso la quale lo Stato chiede un contributo da parte dei cittadini, si sta parlando delle basi del contratto sociale - avrebbe detto Rousseau - che il potere costituito stipula con i cittadini.

Fatta questa premessa, Presidente, diciamoci anche una seconda cosa: se noi oggi ci troviamo qui, ci troviamo qui per colpa vostra e grazie ai CAF, perché voi siete intervenuti in una maniera annunciata come rivoluzionaria, come un cambio paradigmatico, frase che utilizzate ricorrentemente, sempre di più, immaginando che ci sia un cambio di passo nel Paese, nella gestione politica del Paese. In realtà, noi ci troviamo qui grazie alla denuncia dei centri di assistenza fiscale (CAF) della CGIL, i quali si sono resi conto che c'era un problema e che, per come avete scritto e immaginato la norma, invece di avere quel beneficio di circa 150 euro, che il relatore prima ha sottolineato, rischiavano di pagare di più rispetto a quello che la stessa legge, nel principio, doveva immaginare di colmare e di sanare.

E ancora, si è fatto sostanzialmente un intervento, che era stato raccontato come una misura che cercava di lenire, perché è complesso intervenire sulle tasse. È facile dall'opposizione venire qui a dire che avete sbagliato tutto, è facilissimo. In realtà, è complesso e difficile per tutti, da sempre. Tuttavia, una materia così delicata necessitava di annunci meno folkloristici - e lo dico con tutto il rispetto che vi porto - ma con una concretezza d'azione. Questa misura, invece, si è trasformata nell'ennesima penalizzazione per quelli che, le tasse, le pagano certamente, ossia i lavoratori dipendenti e i pensionati. È accaduto questo: una misura che era stata raccontata come la rivoluzione copernicana, in realtà, ha sottoposto a difficoltà e - all'interno delle difficoltà generali, quali l'inflazione, il carovita e il potere d'acquisto che decresce sempre più - ha creato un'ulteriore difficoltà.

In realtà, diciamocelo, colleghi e colleghe, e mi rivolgo alla cortesia della Sottosegretaria Siracusano: nonostante tutti gli sforzi che voi avete compiuto - perché io immagino che chiunque cerchi di amministrare la cosa pubblica, lo fa nell'interesse delle persone che rappresenta, del Paese in questo caso, ma cerca di incidere anche perché ha interesse a cercare nuovo apprezzamento nella base popolare -, purtroppo, signori e signore, ci dispiace, voi siete il Governo che ha aumentato la pressione fiscale. Voi siete il Governo che, dal 2023 al 2024, ha aumentato la pressione fiscale di 1,2 punti. Tradotto: avete aumentato le tasse in questo Paese.

Ci avevate raccontato la rivoluzione della flat tax - chi la voleva in un modo, chi la voleva in un altro -, in realtà avete aumentato le tasse. E le avete aumentate esattamente nei confronti di quel corpo elettorale, quei cittadini verso i quali - come ho detto in premessa - vi siete rivolti per stabilire un nuovo patto sociale: pensionati e dipendenti. I dipendenti e i pensionati sono coloro - lo ricordo a me stesso - che, come sapete, non hanno facoltà di aggirare o interpretare la norma. Io mi ricordo che, in un esame di economia, passammo molto tempo a discutere e il professore ci spiegava la differenza tra evasione ed elusione: è una di quelle tante materie sulle quali tu rifletti, sono parole che poi hanno un significato. E noi stiamo parlando di persone che né possono evadere, né possono eludere. E, allora, per chi l'avete fatto?

E, ancora, è mai possibile? Poi tu capisci perché la Presidente del Consiglio va all'assemblea dei dottori commercialisti - che io rispetto - e viene acclamata: e grazie! Allora, qualcuno ci può spiegare perché, nonostante si tenda ad andare verso un processo legislativo di semplificazione, in questo Paese fare la dichiarazione delle tasse è, ancora oggi, materia complicata? In questo Paese, un cittadino e una cittadina, nove su dieci, debbono rivolgersi a qualcuno, e se hanno, puta caso, avuto la fortuna di acquistare una casa o di fare un leasing o altro, devono andare per forza dal commercialista, perché altrimenti, tra le varie riforme o non riforme che avete fatto in questi anni, rischiano di non venire a capo della dichiarazione dei redditi e di commettere un reato nei confronti dello Stato.

E, allora, ci potete spiegare perché si continua a complicare? Io ricordo a me stesso: c'è stata una stagione politica nella quale fu introdotta la precompilata, che era un modo, in un certo senso, di semplificare la vita alle persone. Io non riesco a capire come facciate a mantenere un punto di coerenza se, appena arrivati, avete parlato - in barba alla storia politica delle democrazie - di pizzo di Stato. Avete interpretato le tasse come pizzo di Stato. E qual è stata la risposta? Aver complicato la procedura, aver innalzato le tasse, perché le avete aumentate, e allo stesso tempo siete andati a colpire sempre e comunque i soliti noti, coloro che non hanno facoltà di incunearsi nella difficoltà burocratese della norma e sono costretti a stare a quello che automaticamente gli viene sottratto.

Ma facciamo un esempio: un lavoratore con reddito lordo da 33.000 euro, a seguito delle norme inserite nella legge di bilancio, poc'anzi richiamata, del 2025, finisce per ritrovarsi in busta paga 44 euro di aumento, rispetto ai 100 euro di aumento lordo che ha avuto; quindi, con una tassazione, un prelievo, del 56 per cento. Ma c'è una cosa straordinaria, un punto nodale sul quale vi siete superati. E da questo punto di vista, noi ringraziamo la funzione e il lavoro che i CAF compiono, perché noi riteniamo che i corpi intermedi abbiano ancora il valore di una democrazia, soprattutto in questo Paese. E credo che, forse, ogni tanto, anche per rispetto nei loro confronti, queste donne e questi uomini, che offrono un servizio di semplificazione dove lo Stato non c'è, dove lo Stato non è in grado di intervenire, andrebbero ringraziati, invece che bastonati.

Perché voi siete il Governo che bastona i patronati, voi siete il Governo che fa le campagne di comunicazione contro questo mondo, perché è esattamente quel corpo intermedio che o non risponde come deve rispondere ai vostri desiderata o, evidentemente, smaschera - come in questo caso - una disattenzione. La dico così, voglio essere - come dire - cortese, perché io immagino che se uno non fa, non sbaglia; quindi, vi voglio concedere anche la possibilità di dire: abbiamo commesso un errore, perché questo è lo stato dell'arte.

Allora, capiamoci su questo perché noi, rispetto a questa cosa, ovviamente siamo disponibili a non fare le barricate ma non - mi sia consentito - per rispetto politico nei vostri confronti, ma per rispetto di quelle persone che rischiano di essere ulteriormente penalizzate da questa norma fatta male.

Inoltre, c'è questo grande “non detto-detto” che ogni tanto spunta. Infatti, quando tu dici a qualcuno che sono state aumentate le tasse, la prima risposta che vi viene da dare è: ma noi abbiamo rinnovato il cuneo fiscale, bene; il cuneo contributivo, anzi, l'abbiamo modificato. Abbiamo modificato il cuneo contributivo trasformandolo da contributivo a fiscale, e questo che cosa ha generato? Perché poi, alla fine, noi siamo anche un Paese nel quale, quando si fa una norma, con tutti i presupposti corretti, ognuno di noi immagina di scrivere qualcosa per il bene della collettività; però, ognuno di noi dovrebbe ogni tanto avere pure l'umiltà - secondo me - di valutare ex post la ricaduta di quell'atto normativo che compie, ed è la ragione per la quale noi siamo qui oggi, e lo ripeto costantemente.

E allora rispetto a questo, a queste modifiche che voi avevate introdotto sbagliando, i contribuenti tra gli 8.500 e i 9.000 euro rischiavano di subire un taglio netto di 1.200 euro. Allora, voi capite che sbagliare sugli acconti Irpef è grave. Ma non è grave perché solo perché ti sfalsano le tabelle con le quali tu fai tutti i documenti di finanza pubblica in questo Paese; no, è grave perché colpisce direttamente e immediatamente le persone più fragili, le persone più deboli, le persone che hanno dei redditi che non sono sufficienti per poter giocare con le vostre alchimie normative.

Allora, diciamoci una parola di verità, colleghe e colleghi. Diciamoci che voi vi siete incamminati in un percorso di riforma fiscale che porta ad agevolare alcune classi sociali, alcune fasce sociali - uso l'espressione “fasce sociali” e non classi sociali, così so di avere la benevolenza del Presidente -, però questo è il dato. Cioè, queste modifiche tendono sempre più ad andare ad agevolare non la classe media, la middle class della quale discutiamo da decenni e che è entrata sempre più in difficoltà, ma tendono ad andare ad agevolare coloro che hanno di più, in barba al principio della progressività fiscale e in barba al principio che chi ha di più contribuisce di più, sempre nel rispetto di quel patto sociale che Rousseau ci ha insegnato secoli fa.

E allora, che cosa si fa? Come si interviene? Si interviene con l'ennesima pezza e l'ennesima toppa, come state facendo oggi. E noi, da questo punto di vista, oltre che prenderne atto e ringraziare per l'ennesima volta, perché è utile, Presidente… A parte la mia memoria che tende a esser stanca, è utile ricordarlo alle cittadine e ai cittadini, soprattutto anche alle colleghe e ai colleghi che, più di una volta, non hanno perso occasione per accusare i sindacati, i patronati, la stessa CGIL e, con essa, tutto questo mondo, di essere più un fastidio che altro.

In questo caso, ci sarebbe dovuto essere, probabilmente - e lo dico abusando della cortesia personale del relatore -, un attimo di attenzione a monte in più nel fare un processo che si è perso, che è quello della concertazione; ma quella reale, non quella finta in base alla quale convochi i sindacati a Palazzo Chigi facendo finta che ci hai parlato ma, in realtà, è già deciso. Dovremmo tornare a una stagione di concertazione preventiva nella quale siedano attorno a un tavolo tutte le parti. Noi stessi, in questo luogo, siamo rappresentanti di parte, di una parte, ma abbiamo il dovere e il compito di cercare le convergenze massime possibili affinché le varie parti che noi rappresentiamo possano sentirsi rappresentate in toto. Questa è la politica.

Il Governo ha il diritto di governare ma ha l'obbligo di rappresentare l'interezza di queste parti che noi, invece, rappresentiamo, e da questo punto di vista, care colleghe e colleghi, credo che questo sia l'ennesimo episodio di una distrazione.

Il problema sapete qual è? Non è l'errore possibile. Il problema è che noi vorremmo capire se la distrazione è un inciampo di percorso - e quello può succedere a chiunque - o se è voluta, perché questa è la domanda. Infatti, quando tu introduci una norma che genera dei calcoli, quei calcoli - ecco, un po' di finanza creativa - alla fine impattano rispetto alle tabelle di bilancio, di prospettiva economico-finanziaria che tu proponi; dopodiché fai delle correzioni, ma intanto quelle cifre che tu avevi dato per assunte stanno lì.

Allora io credo, noi crediamo che non sia così, crediamo più che altro in un errore tecnico, ma non vorremmo che questa cosa si ripetesse, e chiudo Presidente.

Guardate, le tasse, il lavoro e gli stipendi sono probabilmente l'argomento o gli argomenti chiave della disputa politica, sempre, perché sono quelle materie che toccano la carne viva delle persone, e sono quelle cose sulle quali, in un modo o nell'altro, ognuno di noi può avere ricette diverse e visioni diverse, ma averla una visione.

Allora noi, purtroppo, constatiamo che c'è una difficoltà di visione, e anche quando ci venite a dire che l'occupazione ha raggiunto il record massimo, guardi Presidente, è come se uno dicesse: io sono il più alto del villaggio. Ok, e qual è l'altezza media del villaggio nel quale vivi? Un metro e 50; io sono 1,60 metri e allora sono il più alto di tutti. In realtà, però, se vai al villaggio a fianco, qual è l'altezza media? Un metro e 70. E in quell'altro? Uno e 80. E in quell'altro? Uno e 90. E in quell'altro? Due metri. In sostanza, noi possiamo pure aver raggiunto il massimo del tasso di occupazione, ma attenzione: vi state dimenticando il fattore. Noi siamo un Paese che dal punto di vista demografico decresce, quindi evidentemente si allarga sempre di più la fascia di età di non produttività delle persone. E quindi, abbassandosi la fascia d'età e la platea di coloro che sono abili al lavoro, perché siamo un Paese dove i pensionati crescono di più e dove vi è longevità (viva Dio, almeno ogni tanto plaudiamo a una notizia positiva: si vive più a lungo nel nostro Paese rispetto ad altri), si abbassa ovviamente il numero di coloro che sono potenzialmente reclutabili al lavoro, ergo, aumenta in percentuale la percentuale. E questo è un dato. In realtà, se noi ci andiamo a confrontare con i villaggi vicini, noi siamo sempre 1,60 metri in un villaggio di 1,50 metri, ma i villaggi vicini (che sarebbero gli altri Paesi europei) ci condannano ad essere il Paese con i salari più bassi d'Europa.

Siamo il Paese con i salari più bassi del G20, siamo il Paese dove il potere d'acquisto è fermo da oltre trent'anni per responsabilità di tutti.

Però, se la condizione è questa, dovremmo assolvere tutti al principio cardine: quello di dire la verità ai cittadini e alle cittadine e cercare, rispetto a questioni del genere, che toccano i principi cardine, come ho detto all'inizio, che significa il patto sociale tra lo Stato e i cittadini, di essere un tantino più cauti, un tantino più sensibili e un tantino più accorti ogni tanto e ascoltare anche le ragioni dell'opposizione che tende ogni tanto a darvi suggerimenti per evitare di commettere insieme, non da soli, meno errori possibili.

PRESIDENTE. Salutiamo la delegazione delle studentesse e gli studenti e i docenti della Scuola Internazionale paritaria bilingue “My School”, che arrivano da Civitanova Marche, quindi Macerata. Benvenuti ai lavori della Camera dei Deputati (Applausi). Così come salutiamo la delegazione del 1° Circolo Didattico “Nicola Fornelli”, che arriva da Bitonto, quindi in provincia di Bari. Benvenuti entrambi alla Camera dei deputati (Applausi).

È iscritta a parlare l'onorevole Ylenia Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Il provvedimento, approvato in prima lettura al Senato senza modifiche, giunge all'esame dell'Assemblea nel suo testo originario ed interviene per correggere un difetto di coordinamento normativo, legato alla riduzione da quattro a tre aliquote Irpef, e per garantire l'allineamento tra le nuove aliquote. Questo rende chiaro - lo dico soprattutto a beneficio dei colleghi dell'opposizione - quanto questo Governo sia capace di valutare l'impatto reale delle proprie misure e, quindi, di correggere lì dove si rende conto che l'impatto non avrebbe avuto l'effetto sperato e immaginato quando appunto era stata immaginata la misura.

Credo che questo sia il primo punto sul quale dovremmo soffermarci mettendo in evidenza la capacità del Governo non solo di valutare effettivamente le proprie misure e la loro efficacia, ma anche di saper prendere repentinamente una decisione e, soprattutto, di porre in essere repentinamente gli aggiustamenti necessari affinché quella misura possa realmente essere impattante sui cittadini italiani. Benché i colleghi della sinistra evidentemente non riescano a leggere questa capacità e questa grandissima innovazione di comportamento politico rispetto alle esigenze del cittadino, credo che non si possa non sottolineare questo aspetto.

Il decreto-legge, come sappiamo, interviene sul calcolo degli acconti 2024 recependo, tra l'altro, alcuni dei suggerimenti che sono arrivati dai CAF. Una volontà, quella del Governo, di dare prontamente risposta alle questioni che erano state sollevate proprio dai CAF e che sono rientrate in questo provvedimento. È un provvedimento, composto da due articoli, che introduce misure urgenti per la determinazione degli acconti Irpef da versare nel 2025 e che si inserisce nel contesto più ampio della riforma fiscale, già avviata nel 2023 e, poi, ripresa anche con la legge di bilancio del 2025. Al riguardo ricordiamo che, nonostante le opposizioni avessero augurato a questo Governo l'incapacità di porre in essere una misura strutturale, proprio nel 2025 il Governo Meloni rende strutturale la riduzione delle aliquote Irpef e l'innalzamento della no tax area per i lavoratori dipendenti. Ricordo, tra l'altro, che secondo la normativa precedente anche per il 2025 gli acconti Irpef sarebbero stati calcolati con riferimento alle vecchie aliquote, creando quindi un disallineamento rispetto all'imposta effettiva dovuta. Quindi, il decreto che andiamo a convertire rettifica in via definitiva questa anomalia, limitando l'applicazione della vecchia normativa al solo 2024.

Gli acconti Irpef pertanto - questo a chiarezza di tutti e per sgomberare il campo da ogni dubbio - saranno calcolati nel 2025 utilizzando le nuove aliquote e le detrazioni, rese appunto permanenti, come dicevo, con la legge di bilancio che abbiamo approvato pochi mesi fa. È stata quindi confermata una detrazione di 1.955 euro, maggiore rispetto a quella degli anni precedenti per i redditi da lavoro dipendente. Una platea importantissima poiché è composta da 2,2 milioni di contribuenti, principalmente lavoratori dipendenti e pensionati. Il beneficio fiscale per questi lavoratori e per i pensionati si traduce in un maggiore acconto di circa 364 milioni di euro, già contabilizzato nel 2025; per gli altri contribuenti il provvedimento comporta un risparmio di 245 milioni di euro.

Stiamo parlando di un allineamento degli acconti alle nuove aliquote che sono state approvate e che sono minori rispetto a quelle precedenti e, di conseguenza, anche gli acconti saranno ridotti. Il livello di pressione fiscale, pertanto, prosegue la curva discendente iniziata con questo Governo. Tale decisione di politica fiscale rientra nell'azione che il Governo ha voluto portare in quest'Aula a favore degli italiani, sin dall'inizio della legislatura. È un cambio di passo che il Governo Meloni ha voluto imprimere attraverso il riordino del sistema fiscale per costruire finalmente un rapporto più giusto tra fisco e cittadino, così come gli italiani ci chiedevano, così come gli italiani hanno incaricato questo Governo di fare quando lo hanno votato.

La direzione che il Governo, anche grazie al lavoro del Vice Ministro Leo, ha preso dai primi giorni del suo insediamento è proprio quella che ha ribadito nuovamente il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni proprio pochi giorni fa: tagliare le tasse e adesso passare a quelle del ceto medio. Il sistema fiscale non deve soffocare la società ma deve aiutarla a prosperare; non la deve opprimere ma deve chiedere il giusto e utilizzare le risorse come farebbe un buon padre di famiglia, con buonsenso e senza gettare i soldi dalla finestra, cosa che invece purtroppo abbiamo visto fare sino a questo momento, negli anni precedenti, con i Governi precedenti. Ecco ritengo che, in questo contesto, dopo due anni e mezzo di legislatura, quanto fatto dal Governo e dalla maggioranza in tema di riforma fiscale sia assolutamente da apprezzare e sottolineare.

Insieme alle misure di riduzione delle aliquote Irpef, altri interventi - che vanno nella direzione di favorire i contribuenti, di rendere il fisco più amico, come ad esempio la flat tax già utilizzata da più di 2 milioni di contribuenti - sono già operativi e condivisi dai contribuenti. Ricordo anche l'eliminazione per i piccoli contribuenti e le piccole partite IVA degli acconti di novembre che, grazie a questo Governo, possono essere spalmati e non più anticipati, come è sempre accaduto invece in questo Paese.

Siamo intervenuti, pertanto, in maniera decisa sull'ordinamento tributario, essendo ben consapevoli dello stato di preoccupazione nel quale milioni di contribuenti si trovavano da anni. Lo abbiamo fatto in due modi formali ma sostanziali allo stesso tempo: attraverso la riduzione delle aliquote e, conseguentemente, della pressione fiscale; in secondo luogo, attraverso un atteggiamento completamente diverso, non più vessatorio da parte dell'Agenzia delle entrate nei confronti dei contribuenti.

Sono due aspetti fondamentali che già in questa prima fase hanno generato innegabili maggiori incassi da parte dello Stato. Si tratta di numeri inoppugnabili da questo punto di vista: solo lo scorso anno c'è stato un maggiore gettito di 34 miliardi, per quanto riguarda le entrate dello Stato. C'è stata quindi un'efficacia immediata dell'azione di Governo che non ha comunque terminato il percorso di attuazione della delega fiscale attraverso i decreti attuativi.

Mi avvio alla conclusione e credo, però, che sia importante sottolineare che il provvedimento all'esame dell'Assemblea oggi rappresenta un adeguamento rispetto all'accorpamento delle aliquote, che genera una minore pressione fiscale. Di conseguenza, con l'applicazione dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge all'esame, si prevede che la determinazione degli acconti dovuti ai fini Irpef e relative addizionali per il periodo d'imposta 2025 sia effettuata assumendo quale imposta del periodo precedente quella ottenuta applicando le nuove aliquote e detrazioni per lavoro dipendente, così come introdotto dal decreto legislativo n. 216 del 2023 per il solo anno 2024 e, successivamente, reso strutturale dalla legge di bilancio 2025.

Per effetto di queste modifiche, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera a), è riconosciuta per i redditi di lavoro dipendente, esclusi quelli della pensione, e per taluni redditi assimilati fino a 15.000 euro, una detrazione pari a 1.955 euro, rispetto a quella previgente di 1.880 euro. In questo modo, così come sottolineato proprio dalla relazione tecnica, i contribuenti potranno beneficiare di queste agevolazioni già in sede di acconto: una buona notizia per i cittadini italiani, per i contribuenti italiani. Questo ovviamente riguarda soprattutto coloro che percepiscono redditi di lavoro dipendente, perché proprio loro potranno beneficiare, sin da subito, delle nuove agevolazioni fiscali, anche in sede di versamento dell'acconto e non soltanto a saldo.

Questo provvedimento si inserisce nel solco delle misure in materia fiscale già adottate dal Governo, che ha inteso operare, in primo luogo e da subito, dal primo giorno della legislatura, a favore dei contribuenti più deboli e cioè quelli con reddito medio-basso; penso al taglio del cuneo fiscale: era provvisorio ed è stato reso strutturale, passando da un taglio contributivo a uno fiscale, in modo da poter essere distribuito su una platea molto ampia di contribuenti.

Con le esigue risorse finanziarie a disposizione nel bilancio dello Stato, a causa delle scellerate gestioni precedenti, contraddistinte da sussidi a pioggia, e degli scenari internazionali che ogni giorno descrivono immagini drammatiche, con ripercussioni inevitabilmente economiche e finanziarie anche sulla nostra Nazione, ritengo che da parte del nostro gruppo di Fratelli d'Italia non si possa che apprezzare e ringraziare quanto sta facendo questo Governo, soprattutto il nostro Presidente, Giorgia Meloni, per il Paese, per i cittadini, per i contribuenti, i lavoratori onesti che partecipano alla vita dello Stato con orgoglio e dedizione e ai quali questo Governo guarda sempre con estrema gratitudine e, soprattutto, con estrema attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Raffa. Ne ha facoltà.

ANGELA RAFFA (M5S). Grazie, Presidente. Noi oggi ci ritroviamo qui, ancora una volta in Aula, a discutere dell'ennesimo rattoppo di un Governo inadeguato; un Governo confuso e ossessionato ideologicamente da una riforma fiscale che non funziona e che nessuno ha capito in questo Paese. Siamo qui a convertire un decreto-legge nato per correggere un errore gravissimo, frutto di norme scritte in fretta, senza competenza né ascolto. È l'ennesima umiliazione per i contribuenti italiani, perché prima li avete colpiti con norme sbagliate e poi li trattate come bancomat da cui prelevare per coprire i buchi causati dal vostro dilettantismo legislativo. Altro che semplificazione fiscale, come diceva la collega, siamo di fronte all'ennesimo disastro politico di questa maggioranza.

L'errore sugli acconti Irpef, quello che avrebbe costretto milioni di persone, soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati, a versare anticipi gonfiati e non dovuti, era stato ampiamente previsto da tutti: professionisti, CAF, addetti ai lavori. Ve l'abbiamo detto anche in Commissione e cosa avete fatto di risposta? Nulla, avete alzato le mani e avete detto: così è. Avete lasciato che il caos normativo si abbattesse sui cittadini e solo adesso, con mesi di ritardo, cercate di mettere una pezza.

Ma il danno è già stato fatto e la vostra credibilità politica è andata in fumo. Badate, non è un caso isolato. Questo pasticcio si inserisce in un pattern chiaro di fallimenti nella vostra gestione del fisco italiano: dal clamoroso flop del concordato preventivo biennale alla rafforzata riforma del processo tributario, fino alla valanga di decreti attuativi che continuate a scrivere e riscrivere, smentendo voi stessi a distanza di settimane. Siete voi, Governo e maggioranza, che portate avanti una riforma fiscale a colpi di propaganda e improvvisazione; una riforma che doveva alleggerire e semplificare e che, invece, sta strangolando il ceto medio e aumentando il caos fiscale nel Paese.

Parliamoci chiaro: le tasse in questo Paese stanno aumentando, altro che le vostre promesse. Non lo diciamo noi del MoVimento 5 Stelle per partito preso, lo dice l'Istat che la pressione fiscale è in aumento e non perché, come prova a giustificarsi la Presidente Meloni, ci sono più persone che lavorano e quindi si pagano più tasse. No. L'aumento della pressione fiscale è colpa del fiscal drag e delle vostre politiche miopi sulle tasse locali. Il fiscal drag, il drenaggio fiscale, colpisce chi ottiene un piccolo aumento di stipendio; anziché premiarlo, voi lo punite facendolo saltare di uno scaglione Irpef più alto e togliendogli in tasse quello che ha guadagnato.

Le tasse locali? Stanno esplodendo perché avete tagliato i trasferimenti ai comuni e alle regioni, scaricando su di loro - e quindi sui cittadini - il costo del vostro Patto di stabilità capestro. Il risultato è sempre lo stesso: a pagare sono i cittadini, nelle cui tasche andate a ravanare ogni volta che vi serve fare cassa. In quali tasche andrete a trovare i soldi per rimediare ai vostri errori? Sempre nelle tasche degli italiani, anche questa volta.

Questo decreto-legge sugli acconti Irpef è solo l'ultima dimostrazione di un modello fiscale sbagliato e pericoloso. Sì, pericoloso, anzi, lo dico scandendo bene le sillabe, come piace a voi: pe-ri-co-lo-so.

Un fisco che cambia ogni mese, che genera incertezze e confusione perfino tra i professionisti. Questo è un fisco nemico della crescita, nemico della fiducia, nemico della giustizia. Con i continui correttivi e decretini, avete trasformato la fiscalità in un percorso a ostacoli per i cittadini e le imprese. Questa ennesima svista vale un buco di 245 milioni di euro nelle casse pubbliche. Dove li troverete questi 245 milioni? Di nuovo dalle tasche degli italiani, per l'ennesima volta. Non illudetevi che con questo decretino “ripara-danni” abbiate risolto tutto. Le distorsioni più gravi, introdotte dalla vostra pseudo-riforma fiscale, restano tutte in piedi. Avete tagliato il trattamento integrativo, quei 1.200 euro l'anno di bonus fiscale voluti dai Governi precedenti e così migliaia di lavoratori a bassissimo reddito, quelli tra gli 8 e i 9.000 euro l'anno, hanno perso fino a 100 euro al mese in busta paga; un paradosso vergognoso nel bel mezzo di un'inflazione galoppante. Avete tolto risorse proprio ai cittadini più deboli.

Inoltre continuate a ignorare il fiscal drag, questo meccanismo subdolo per cui l'inflazione fa aumentare le tasse senza bisogno di nuove leggi. Lo sapete quanto pesa questo drenaggio fiscale? Venticinque miliardi di euro, sottratti alla disponibilità degli italiani; 25 miliardi di potere d'acquisto evaporati mentre voi fate finta di nulla. Non avete previsto nessuna vera tutela per il ceto medio. Anzi, tra l'aumento delle imposte locali e la perdita di detrazioni il ceto medio si ritrova sempre più schiacciato e senza protezioni reali.

Noi del MoVimento 5 Stelle queste cose le denunciamo da mesi. Abbiamo presentato un ordine del giorno che mette nero su bianco la perdita di potere d'acquisto subita dai cittadini e chiede misure strutturali contro il fiscal drag. È ora di indicizzare le aliquote Irpef, le detrazioni all'inflazione, di restituire respiro ai salari e alle pensioni, erosi dall'aumento dei prezzi. Ma di questo nel vostro provvedimento non c'è traccia; silenzio totale da parte del Governo, che finge di non vedere l'elefante nella stanza: stipendi e pensioni reali più poveri ogni anno che passa. Allora ci abbiamo provato noi a migliorare questo decreto. Non ci siamo fermati alla critica, abbiamo proposto emendamenti concreti, di buonsenso, per dare sollievo immediato a famiglie e lavoratori. Li elenco qui, anche se la maggioranza li ha dichiarati inammissibili pur di non discuterli nel merito. Estensione della seconda aliquota Irpef al 35 per cento fino a 65.000 euro di reddito: in questo modo avremmo davvero ridotto le tasse sul ceto medio, allargando la platea di chi paga un'aliquota più bassa invece del salasso del 43 per cento. Lo aveva annunciato persino la Presidente Meloni di volerlo fare; diceva: aliquota al 35 per cento fino a 60.000 euro.

Vi ricordate? Ma dopo i proclami avete fatto marcia indietro, rimangiandovi la promessa, noi invece l'abbiamo messa nero su bianco. Aumento delle detrazioni per gli affitti e per i mutui sulla prima casa, un aiuto concreto a chi deve pagare un canone di locazione e una rata sempre più cara, soprattutto ai giovani e alle famiglie alle prese con il carovita e con rialzo dei tassi di interesse. Un modo per restituire un po' di ossigeno nel bilancio mensile di milioni di italiani.

Nuove agevolazioni fiscali per spese socialmente importanti, come avevamo già fatto presente in Commissione, quindi detrazioni per i disturbi specifici dell'apprendimento, per aiutare ragazzi e famiglie ad affrontare i costi di terapie e istruzione. Bonus per abbattere le barriere architettoniche, così da rendere case, negozi e uffici accessibili a tutti, veramente a tutti. Incentivi per l'efficientamento energetico degli edifici, per far risparmiare sulle bollette e rilanciare il settore dell'edilizia verde. Misure di civiltà, oltre che di stimolo economico.

Cosa avete risposto a queste proposte di buonsenso? Avete alzato un muro. In Commissione è mancato il confronto, avete chiuso la discussione in fretta, senza neppure voler ascoltare chi, fuori di qui, continua a dirci che così non va. Avete bocciato in blocco tutti i nostri emendamenti per puro pregiudizio ideologico, rinunciando a migliorare davvero il testo. Inoltre, al Senato avevamo proposto un emendamento che, ovviamente, avete vigliaccamente bocciato.

Con il nostro emendamento proponevamo un vero abbassamento dell'Irpef sul ceto medio, finanziandolo con un potenziamento della digital tax: parliamo di quella digital tax che la Meloni di lotta, quando era all'opposizione, diceva che era troppo bassa. Ebbene, noi ne abbiamo proposto un potenziamento per sgravare il ceto medio: il partito della Meloni ha detto “no”, con tutti gli altri compagni di merende della maggioranza.

Colleghi, altro che semplice decreto correttivo: questo provvedimento è di fatto il certificato ufficiale del fallimento della politica fiscale di questo Governo, è la liquefazione delle vostre promesse elettorali sulla riduzione delle tasse. Dove sono finiti i vostri slogan e slide sul taglio delle tasse per il ceto medio? Ce lo chiediamo tutti. Li avete fatti sparire perché avete scoperto, dopo avere illuso gli italiani, di non avere né coperture né idee per mantenerli davvero. Lo ammettono i vostri stessi Ministri: il trio Giorgetti, Salvini e Leo, qualche giorno fa, ha candidamente dichiarato che il taglio delle tasse al ceto medio slitta a data da destinarsi.

È vergognoso questo atteggiamento: prima la propaganda, poi la retromarcia. Continuate a sbandierare come riforme delle pezze colorate che non cambiano nulla nella vita dei cittadini. Non ci siamo, colleghi, qui proprio non ci siamo, né nel metodo né nel merito. State usando la materia fiscale, una delle più delicate e vitali della Nazione, come strumento di bandiera, piegandola alle vostre ossessioni ideologiche e, come tutte le ossessioni, anche la vostra ha perso di vista la realtà e le persone, diventando pericolosa.

È ora di dire basta a questo pressappochismo: basta con le narrazioni false, basta raccontare che tagliate le tasse mentre, in realtà, le aumentate e colpite sempre i soliti noti, i soliti cittadini onesti, lasciando intatti i soliti furbi e gli evasori cronici. I cittadini italiani non chiedono miracoli, ma chiedono regole certe, chiare, rispetto e giustizia fiscale e invece oggi si ritrovano a doversi difendere dallo Stato, che dovrebbe aiutarli. Questo non è il nostro modo di governare, questo non è il nostro modello di Paese e siamo qui, ancora una volta, per ripeterlo forte e chiaro.

Il MoVimento 5 Stelle non parteciperà a questo teatrino: lo denunciamo, lo combattiamo e continueremo a farlo in ogni sede, perché l'Italia merita di meglio; merita un fisco giusto, progressivo, redistributivo e semplice, come recita la nostra Carta dei valori, un fisco amico dei cittadini onesti e implacabile con chi evade. Questo è il modello per cui ci battiamo e continueremo a batterci, dentro e fuori quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2448?)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, se ritiene, il relatore, l'onorevole Giordano. Non intende replicare.

Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, che ugualmente non intende replicare.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Richetti ed altri n. 1-00426, Manzi ed altri n. 1-00456, Piccolotti ed altri n. 1-00457 e Caso ed altri n. 1-00458 concernenti iniziative per un piano strategico nazionale volto ad attrarre e favorire la permanenza di ricercatori europei ed extraeuropei in Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Richetti ed altri n. 1-00426, Manzi ed altri n. 1-00456, Piccolotti ed altri n. 1-00457 e Caso ed altri n. 1-00458 concernenti iniziative per un piano strategico nazionale volto ad attrarre e favorire la permanenza di ricercatori europei ed extraeuropei in Italia (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Valentina Grippo, che illustrerà la mozione Richetti ed altri n. 1-00426, di cui è cofirmataria.

VALENTINA GRIPPO (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, a più riprese noi, in quest'Aula, abbiamo parlato di fuga dei cervelli, di fragilità dell'impianto della ricerca italiana che non investiva e non investe sul sapere quanto dovrebbe. Oggi abbiamo portato questa mozione - e siamo ben contenti che anche gli altri gruppi abbiano seguito questo stimolo - perché quello che sta accadendo, quello che arriva da oltreoceano, semmai possibile, rende il quadro ancora più allarmante e preoccupante, perché a fianco alla cronica mancanza di visione dell'Italia nell'investire in ricerca, in saperi, in scienza, si è aggiunta un'altra enorme questione, che è quella del venire a mancare del baluardo statunitense sulla ricerca.

C'è stato un tempo, non troppo lontano, in cui bastava dire Harvard o MIT per sentirci tranquilli. In quel tempo - che è stato anche un tempo in cui l'Italia in qualche modo si è accontentata e ritratta - eravamo in qualche modo nascosti e ci sentivamo legittimati a non investire perché tanto c'era qualcuno nel mondo che andava avanti, ricercando per tutti e investendo anche sui nostri cervelli, sui nostri ricercatori. Oggi, nel 2025, è venuto a mancare anche questo modello, facendoci riflettere e rivedere quanto fosse sbagliato tutto quello che abbiamo fatto in precedenza.

Tutto è iniziato con il secondo insediamento del Presidente Donald Trump negli Stati Uniti, lo scorso 20 gennaio, e non stiamo parlando solo della questione politica, ma parliamo davvero di numeri, di provvedimenti esecutivi, di tagli concreti. Nei primi 100 giorni di mandato, l'amministrazione Trump ha ridotto in media del 53 per cento la spesa per nuove sovvenzioni scientifiche nelle principali agenzie federali: il National Institutes of Health, la National Science Foundation, l'Environmental Protection Agency. Si stima che 12 miliardi di dollari siano stati già congelati o cancellati; oltre 2.100 progetti di ricerca sospesi - progetti che erano vitali, sì, per gli Stati Uniti, ma per tutto il mondo - e decine di migliaia di ricercatori licenziati (non solo precari, anche persone che stabilmente lavoravano in queste istituzioni da anni).

Ma non è finita qui. Le università di élite, di élite culturale degli Stati Uniti, da Harvard a Columbia, sono finite sotto attacco diretto: congelamento dei fondi, revoca dello status fiscale, restrizioni ai visti per studenti e docenti, soprattutto per studenti e docenti internazionali, cosa che ci riguarda direttamente. Una sorta di guerra culturale dove la scienza è diventata un nemico da sottomettere. Stiamo parlando della comunità scientifica americana, quella che ha inventato i vaccini mRNA, il CRISPR, il deep learning. Tutta questa comunità ha iniziato a tremare. La rivista Nature ha lanciato l'allarme: il 75 per cento dei ricercatori statunitensi oggi sta valutando di trasferirsi all'estero e molti guardano l'Europa.

Allora, perché abbiamo portato questa mozione in Aula? Perché vogliamo chiedere al Governo e a quest'Aula: l'Europa è pronta ad accogliere questi ricercatori? L'Italia è pronta? Una delle cose che mi fa più impressione quando discutiamo di questi temi è l'idea che l'investimento in ricerca - facciamo questa discussione spesso anche quando parliamo di cultura in quest'Aula - sia un investimento a perdere. Ebbene, stiamo parlando ovviamente di sapere, ovviamente di salute, ma stiamo parlando anche di risorse economiche. Ci dicono OCSE ed Eurostat che ogni euro investito in ricerca restituisce da 2,5 a 4 euro alla Nazione che investe; sul PIL un 1 per cento investito restituisce lo 0,61 per cento di crescita del PIL e, negli ultimi anni, abbiamo perso 134 miliardi in capitale umano che se ne è andato.

La scienza, quando funziona, salva le vite. Questo è direttamente connesso e se pensiamo ai drammi che abbiamo vissuto negli ultimi anni, dalle pandemie alle crisi energetiche, ci appare subito evidente. Però, io voglio raccontarvi una storia. Vi racconto la storia vera di un bambino - le iniziali sono K.J. - nato con una mutazione potenzialmente letale, una malattia genetica rara che provoca un accumulo tossico di ammoniaca nel sangue. Per questo bambino, lo scorso maggio, grazie a una terapia basata sull'editing genetico i ricercatori hanno potuto correggere il gene CPS1 nel suo DNA: un intervento chirurgico sul genoma.

Sette mesi prima questo tipo di intervento non era possibile, questo bimbo sarebbe morto, ed era un intervento che si riusciva a fare solo nei topi. La ricerca è andata avanti e questo bambino è stato guarito. Non è un miracolo, è scienza finanziata, sostenuta, libera. Ecco perché non possiamo più accontentarci, non possiamo più pensare che basti mandare i nostri migliori all'estero perché qualcun altro li valorizzi. Non può funzionare così. L'Italia ha vissuto così per decenni, nell'idea che tanto alla ricerca ci pensavano gli altri e nel frattempo ha accumulato ritardi strutturali che oggi ci costano miliardi.

L'Italia spende in ricerca solo l'1,4 per cento del PIL contro una media europea del 2,2 per cento; poi ci sono gli Stati virtuosi: la Germania sta al 3,1 per cento, la Svezia al 3,6 per cento. L'Italia ha perso 156.000 giovani nel solo 2024, molti con lauree STEM; ha bruciato, come dicevo, secondo stime indipendenti, oltre 134 miliardi di euro in capitale umano in fuga negli ultimi quindici anni e ha un tasso di ritorno di vincitori ERC, i più importanti grant europei, tra i più bassi d'Europa.

Ora, dopo la crisi americana, si apre una finestra, una finestra per attrarre, per tornare competitivi, per riportare a casa, ma anche per accogliere chi oggi fugge da un'America diventata ostile al sapere. Per questo abbiamo ritenuto di presentare questa mozione, indicando 7 punti concreti per cambiare rotta.

In primo luogo, un Piano strategico nazionale per la ricerca, con orizzonte quinquennale, governance chiara, obiettivi misurabili e investimenti stabili. Poi, l'investimento in infrastrutture all'altezza delle sfide globali: supercalcolo, AI, biotecnologie, medicina di precisione, materiali avanzati. Serve una rete di centri di eccellenza diffusa sul territorio, non solo concentrata in tre poli, ma veramente capillare come l'Italia potrebbe facilmente fare.

In terzo luogo, e questo è uno scoglio nodale sempre quando l'Italia si affaccia al mondo: snellimento delle procedure per attrarre talenti e investimenti internazionali, visti i rapidi riconoscimenti automatici dei titoli di studio, accesso al welfare e alla sanità.

Pacchetti di attrazione, in quarto luogo, per i ricercatori in fuga dagli Stati Uniti e da altri Paesi che hanno altre questioni di libertà. Questi pacchetti devono poter includere alloggi, scuole per i figli, servizi per le famiglie, fondi per la costruzione di team di ricerca. Solo questo ci renderebbe davvero competitivi sul mercato mondiale delle intelligenze che questo offre.

Quinto punto: adesione a pieno titolo al programma europeo Choose Europe, già firmato da molti partner strategici per accedere a fondi aggiuntivi e al reclutamento condiviso, cosa che a tutt'oggi l'Italia non ha ancora fatto. Sesto: istituzione di un'Agenzia nazionale indipendente per la ricerca con un piano decennale, autonomia gestionale e finanziaria, trasparenza della valutazione dei progetti che è sempre stato un tallone d'Achille dell'Italia. Settimo: potenziare la sinergia pubblico-privato con incentivi per le imprese che investono in ricerca e assorbono ricercatori. Un modello alla tedesca dove accademia e industria innovano insieme.

Concludo, Presidente, questa che abbiamo portato in Aula alla discussione, all'attenzione di tutti i colleghi, non è un'analisi, non è una riflessione, è una chiamata politica, una chiamata alla responsabilità nazionale. Dopo decenni, in cui abbiamo vissuto nell'ombra della scienza di altri Paesi, abbiamo una possibilità storica di costruire una nostra autonomia scientifica e di fare, seppure in ritardo, ciò che l'Italia merita di essere, una possibilità per riportare a casa cervelli, per competere, per tornare a essere protagonisti della scienza europea. Non possiamo perdere altro tempo. Perché, mentre noi attendiamo, altri firmano contratti, mentre noi tentenniamo, altri investono e attraggono, mentre noi ci domandiamo se sia il caso, la scienza ci sta già lasciando indietro. Questa mozione è il nostro modo per dire basta alla rassegnazione…

PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

VALENTINA GRIPPO (AZ-PER-RE). …basta con l'idea - concludo - che in Italia non si possa fare ricerca vera, basta con il talento che parte e con il silenzio di chi resta.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferrari, che illustrerà anche la mozione Manzi ed altri n. 1-00456, di cui è cofirmataria.

SARA FERRARI (PD-IDP). Grazie, Presidente. La mozione che vado ad illustrare, presentata dal Partito Democratico, ha lo scopo di proporre al Governo una strategia per investire sulla conoscenza come leva di sviluppo e competitività del nostro Paese, trasformando quella che, in questo momento contingente, può essere un'occasione di arricchimento del nostro capitale umano, anche attraverso il disinvestimento che gli Stati Uniti stanno facendo rispetto ai loro ricercatori e ai loro scienziati. Ma l'attrattività del nostro Paese si costruisce se, in primis, quello che andiamo a proporre è un mondo della ricerca e della conoscenza che ha una sua forza, un suo riconoscimento, un suo investimento chiaro, cosa che oggi purtroppo non è, non è quella la direzione nella quale sta andando il nostro Governo.

Oggi, in Italia la spesa pubblica in ricerca è tra le più basse rispetto alle grandi economie in termini sia assoluti che relativi al PIL e il divario rispetto a Stati Uniti e Germania, già sostanzioso 40 anni fa, è oggi più ampio che mai.

Riguardo al ruolo di pubblico e privato, in tutti i Paesi analizzati, il peso del settore pubblico si è ridotto rispetto alla componente privata rappresentata dagli investimenti delle imprese. In Italia la spesa pubblica è stimata allo 0,5 per cento del PIL nel 2024, con un aumento solo dello 0,1 per cento previsto dal Governo nei prossimi 5 anni, contro il 2,1 per cento della Francia, il 2,2 per cento della Spagna, il 2,6 per cento della Germania e il 4,8 per cento della Danimarca. Eppure, la spesa pubblica è uno strumento di competitività ed è il pubblico che deve farsi carico di aumentare la possibilità che il nostro Paese faccia passi avanti in innovazione, in proiezione verso il futuro, in protagonismo nei mercati internazionali e lo si fa attraverso la conoscenza.

Eppure, il Governo sta strizzando l'occhio alle università telematiche private che sono oggi la principale università italiana per iscritti, facilitandone in qualche modo la vita. Mentre contemporaneamente azzoppa l'università e la ricerca pubblica, perché riduce i finanziamenti, il Fondo di finanziamento ordinario delle università, andando sì, oggi, a sommare una serie di Fondi di origine diversa, così come è anche il PNRR, ma che sono evidentemente vincolati ad obiettivi ben precisi. Mentre le università hanno bisogno di stabilità, di interventi di sostegno strutturale con i quali possono garantirsi la propria libertà di scelta.

Lo stesso turnover, che oggi voi vincolate a una certa percentuale, in realtà è maggiore di quella percentuale di fatto, perché la riduzione dei finanziamenti oggi non consente a molte università di sostituire, nemmeno per la cifra che voi autorizzate, i pensionamenti. Secondo i dati più recenti, il nostro Paese ha una quantità di precariato che è superiore agli altri Paesi e, pur avendo il PNRR reso disponibili risorse importanti per il settore, ha, però, creato esclusivamente rapporti a tempo determinato, con un incremento esponenziale del precariato. I noti tagli inflitti dall'Esecutivo indurranno, purtroppo, gli atenei a non confermare almeno i due terzi dei più di 30.000 lavoratori precari tra professori a contratto, assegnisti, borsisti e ricercatori. Intanto, solo negli ultimi sei mesi, si stima che siano terminati ben 1.500 rapporti di lavoro a tempo determinato. Tutto ciò discende dal fatto che, nelle ultime leggi di bilancio del Governo, è stato ridotto il Fondo di finanziamento ordinario delle università di ben 500 milioni di euro nel 2024 e di 700 milioni per il triennio 2025-2027. Il Governo avrebbe, inoltre, introdotto l'adeguamento Istat degli stipendi per i docenti universitari senza fornire, però, stanziamenti aggiuntivi al Fondo di finanziamento ordinario.

Ai tagli, si aggiunge, in seguito all'approvazione della legge n. 207 del 2024, il blocco del turnover che, appunto, è al 25 per cento, ma, nei fatti, nelle università prive di soldi, quella percentuale si abbassa ulteriormente.

I primi provvedimenti dell'Amministrazione Trump, con conseguenze dirette nell'ambito scientifico ed accademico, hanno posto l'attenzione sull'importanza di rafforzare, in ambito europeo, l'autonomia della formazione universitaria e della ricerca, che però si garantisce - l'ho detto poco fa - rendendo strutturale e certo il Fondo di finanziamento ordinario.

Oggi, giovani ricercatori e giovani studenti italiani - lo so per via diretta - stanno rinunciando a borse di studio, a master che hanno vinto negli Stati Uniti perché, oggi, andare a studiare in quel Paese è diventato pericoloso. E, allora, dobbiamo valorizzare la loro permanenza sul nostro territorio. In questo contesto, l'Europa è intervenuta, varando la strategia europea per le startup e le scale-up, al fine di rendere l'Europa un luogo ideale per avviare e far crescere imprese globali basate sulla tecnologia.

La strategia, in linea con la più ampia iniziativa “Scegli l'Europa per la scienza”, lanciata dalla Presidente von der Leyen, si concentra, in primo luogo, sulla componente scientifica, che promuove un approccio europeo unificato per attrarre e trattenere i talenti, rafforzando, in tal modo, la competitività dell'Europa.

Veniamo però al punto fondamentale: è assolutamente necessario che l'Esecutivo compia un'importante inversione di tendenza delle politiche dei tagli e del precariato, per avviare iniziative strategiche di settore e investimenti e garantire continuità e centralità anche alla ricerca di base, perché è sulla ricerca di base che poi si va ad innestare il trasferimento tecnologico.

Questa sfida si intreccia, però, con una contraddizione evidente, con una sorta di ipocrisia, perché, se da un lato, si sta ragionando su come attrarre talenti dall'estero, dall'altro non si riesce a valorizzare il capitale umano già presente. Insomma, le misure adottate dal Governo con le riduzioni dei fondi agli enti pubblici di ricerca e i mancati investimenti nei giovani e nei ricercatori rischiano di vanificare qualsiasi sforzo di attrazione esterna, perché non si può attrarre talento se prima non si valorizza quello che già esiste.

E, quindi, l'attrattività dei ricercatori all'estero, se ben gestita, può rappresentare una straordinaria occasione di crescita e apertura, ma deve conciliarsi con una riforma profonda del sistema nazionale, a partire da un piano straordinario di assunzioni, per superare il precariato cronico che colpisce migliaia di ricercatori italiani, e da un incremento stabile e significativo degli investimenti in ricerca pubblica di base.

Se l'indirizzo della maggioranza verso una riduzione, verso i tagli, presenta probabilmente il non detto delle proiezioni statistiche sulla riduzione della natalità nel nostro Paese, noi siamo convinti che si debba e si possa fare molto di più in termini di intervento sull'aumento della natalità, con i servizi per la genitorialità, la condivisione dei compiti di cura, che vanno anche a superare l'ingente precarietà attuale delle lavoratrici, tra cui - con l'occasione, preciso - la precarietà delle ricercatrici, che è decisamente molto superiore a quella dei colleghi maschi.

Ma l'obiettivo non può essere quello di ridurre il finanziamento perché tanto la natalità ci dice che ci saranno meno giovani. Noi, proprio per questo, dobbiamo investire maggiormente per aumentare la percentuale di laureati nel nostro Paese, perché su quelli si basa la nostra competitività.

Ed ecco, allora, che questa mozione propone al Governo azioni concrete: adottare iniziative per finanziare un piano di reclutamento straordinario di ricercatori, ferme restando le peculiarità dei diversi sistemi e in ogni caso l'esigenza di non ostacolare ricambio generazionale; programmare un piano di rilancio ed espansione del sistema universitario che abbia l'obiettivo di recuperare il terreno perduto; un programma di reclutamento strutturale; iniziative, anche fiscali, per favorire il rientro dei cervelli e consentire a tale personale qualificato di esprimere, anche in Italia, il proprio talento; e, infine, adottare iniziative volte a predisporre un piano strategico per l'attrattività dei ricercatori stranieri di alta qualificazione, assicurando condizioni adeguate per lo sviluppo della loro attività scientifica in Italia, in sinergia con le università e gli enti di ricerca pubblici, e promuovendo, in parallelo, un piano strutturale di investimenti pubblici nella ricerca di base, anche attraverso il rifinanziamento ordinario del Fondo per la scienza e la tecnologia, e a garantire risorse pluriennali per il sistema della ricerca, quella pubblica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella, che illustrerà anche la mozione Piccolotti ed altri n. 1-00457, di cui è cofirmataria.

LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente. La mozione su cui discutiamo oggi sicuramente coglie questioni decisive. Per questo, gratitudine alla collega Grippo, che ha promosso, per prima, la discussione stessa. Grazie anche a Sara Ferrari. I loro interventi hanno già illustrato le questioni di fondo che intendiamo affrontare con questi nostri interventi, a partire dalle mozioni presentate dai vari gruppi. Infatti, ci troviamo di fronte a un attacco, con pochi precedenti, alla libertà di ricerca e di pensiero, forse perfino qualcosa di più.

In termini più generali, e, in profondità, ci troviamo nell'onda di un attacco in pieno periodo di disfieri delle cosiddette democrazie occidentali. Su questo, mi potrei soffermare a lungo, visto che il pensiero femminile e femminista si è molto interrogato su ciò che sarebbe successo nel momento in cui il patriarcato si andava disfacendo e, con esso, l'ordine simbolico, oltre che sociale, economico e politico, che lo avevano sorretto.

Noi, con l'amministrazione Trump, cosa vediamo? Vediamo tagli alla spesa pubblica, licenziamenti di massa, perfino prescrizioni, divieti in materia di scelte lessicali, discipline accademiche, campi di investigazione scientifica, di ricerca biomedica, e tutto ciò mina la democrazia, sicuramente.

Fare dell'Europa, se ce la facciamo e siamo ancora in tempo, un contesto attrattivo per le tante intelligenze che vogliono lasciare gli Stati Uniti - l'abbiamo sentito anche oggi - è senz'altro un obiettivo da perseguire e che condividiamo fino in fondo. Vogliamo sottolineare, tuttavia, tre aspetti principali che caratterizzano e distinguono la nostra mozione: l'attenzione all'offensiva ideologica che l'Amministrazione Trump sta mettendo in campo, offensiva che si dispiega attraverso i tagli, ma anche e soprattutto attraverso l'articolazione di una vera e propria guerra culturale contro la libertà di ricerca e di parola, i fondamentali della democrazia e del patto sociale e politico che l'ha fondata; la consapevolezza che il fenomeno americano è osservabile anche in Europa, se concentriamo lo sguardo sulle politiche in materia di università e ricerca messe in campo, per esempio, da Viktor Orbán, ma, per molti versi, anche da Giorgia Meloni e dai suoi Ministri Valditara e Bernini.

D'altronde, fin dalla campagna elettorale, ricordo, è esplicito il tentativo, ancorché maldestro e confuso, di imporre un'egemonia culturale di destra, contrapponendolo a un presunto impegno continuo e affermato di egemonia culturale da parte del centrosinistra.

Quindi, noi mettiamo in campo la necessità di combattere la precarietà nelle università, nei centri di ricerca italiani: premessa decisiva per rendere credibile l'accoglienza solidale e il sostegno a ricercatrici e ricercatori, dottorande e dottorandi, che intendono lasciare gli Stati Uniti per stabilirsi in Europa e in Italia. Non so se si tratta di egemonia culturale di centrosinistra, ma sembra il minimo del buonsenso. Ma partiamo dagli Stati Uniti. Sono circa 60 le università colpite dai tagli. Spiccano, come abbiamo visto nei mass media, Harvard e Columbia, insieme a grandi campus privati di eccellenza.

Spiccano per due ordini di motivi. In primo luogo perché sono in testa al ranking globale dell'università da lungo tempo, in secondo luogo perché, nel caso di Harvard e Columbia, si tratta di campus nei quali la protesta studentesca contro la catastrofe di Gaza è stata più impetuosa. In molti casi sono tagli, in altri congelamenti temporanei, in altri ancora annunci non formalizzati per ora. Fatto sta che parliamo di cifre enormi.

Nel caso di Harvard, per fare l'esempio più significativo, si tratta di 2,4 miliardi di dollari già bloccati e 9 miliardi a rischio. La furia dell'Amministrazione Trump non ha colpito solo le università, ma anche i centri di ricerca, centri che, come noto, svolgono un'attività di ricerca per sua natura transnazionale. Il National Institutes of Health ha subito un taglio del 37 per cento del budget. La National Science Foundation del 70 per cento. Un colpo alla ricerca biomedica, in generale scientifica, americana e mondiale. La scura è stata violentissima, pure nei confronti di istituzioni federali dedicate agli studi umanistici e dell'arte, quali il National Endowment for the Humanities e il National Endowment for the Arts. Tagli delle risorse, del personale e del finanziamento ai progetti non solo futuri, ma anche in corso di svolgimento.

Il caso del National Endowment for the Humanities è emblematico. Nella nota ufficiale che dà conto delle nuove priorità di finanziamento, alla luce ovviamente degli ordini esecutivi dell'Amministrazione Trump, l'Agenzia chiarisce che sosterrà esclusivamente progetti che non promuovono ideologie estreme basate sulla razza e sul genere e che aiutano a far comprendere i principi fondanti e gli ideali che rendono l'America un Paese eccezionale.

Presidente, ho poco tempo, però volevo sottolineare che non è soltanto negli Stati Uniti, ma dappertutto in Europa che la libertà di ricerca e la libertà di pensiero devono essere pienamente tutelate. Per esempio come dicevo, in Ungheria, Viktor Orbán ha sottomesso le università pubbliche del Paese a dieci fondazioni private, le quali a loro volta dipendono fortemente dal controllo politico dello stesso Orbán. Ma anche in Italia non mancano gli affondi dei collaboratori più autorevoli della Ministra Anna Maria Bernini, come Ernesto Galli della Loggia, tra questi, contro l'eccessiva libertà di critica degli studenti e delle studentesse che si sono mobilitati negli scorsi mesi contro la macelleria di Gaza.

Ebbene, poco credibili saremmo tuttavia se nulla facessimo per invertire la politica e la rotta di questa politica, non solo in materia di scelte diciamo ideologiche, ma proprio entrando nel vivo di quelle che sono le politiche di tagli, di diminuzione di spesa pubblica che colpiscono le nostre università e che mantengono il terribile dramma della precarietà, soprattutto nell'ambito della ricerca, non soltanto quella universitaria, ma anche quella del Consiglio nazionale delle ricerche. Per cui chiedo alla Ministra, e alla Sottosegretaria Siracusano qui presente, di tenere in considerazione queste mozioni.

PRESIDENTE. Salutiamo i rappresentanti del Consiglio comunale dei ragazzi, in coordinamento con gli istituti “Carano” e “Losapio”, di Gioia del Colle, in provincia di Bari, che oggi sono presenti nelle tribune ad assistere ai lavori della Camera dei deputati. Benvenuti (Applausi).

È iscritta a parlare l'onorevole Patty L'Abbate, che illustrerà anche la mozione Caso ed altri n. 1-00458, di cui è cofirmataria.

PATTY L'ABBATE (M5S). Grazie Presidente, colleghi, Governo, e saluto anch'io i ragazzi che sono proprio della mia zona di Gioia del Colle, quindi li saluto. Vorrei iniziare leggendovi una cosa, poi vi dico di chi è: “Non dobbiamo dimenticare che, quando il radio venne scoperto, nessuno sapeva che si sarebbe rivelato utile negli ospedali. Era un lavoro di pura scienza e questa è la prova che il lavoro scientifico non deve essere considerato dal punto di vista della diretta utilità dello stesso. Deve essere svolto per la bellezza della scienza, e poi c'è sempre la probabilità che una scoperta scientifica possa diventare come il radio un beneficio per l'umanità”.

Era Marie Curie. L'ho voluto leggere perché oggi parliamo di scienza, parliamo di ricerca e immagino forse quanti Marie Curie in meno avremo in Italia. Ahimè, noi giustamente qui stiamo parlando dell'Italia, ma - come i colleghi vi hanno già esposto - il problema serio che ci preoccupa, il motivo per cui anche abbiamo scritto questa mozione e la stiamo portando avanti, è quello che sta accadendo appunto negli Stati Uniti.

Vi hanno già parlato dei tagli che sono stati fatti, ma ecco io ne ho visti altri che per me veramente sono letali: il 27 per cento di fondi al NOAA. Il NOAA sapete cos'è? È quell'istituto che, quando voi andate a ritrovarlo lì su Internet, vi dà la percentuale di CO2 che c'è in atmosfera. Lo dico anch'io ai miei studenti: andiamo a vedere quanto è aumentata la CO2 in atmosfera, andiamo a vedere le tabelle del NOAA. Bene, questi ricercatori non potranno più fare questo.

Un'altra è la NASA, alla NASA si taglia il 50 per cento. E poi l'EPA, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente. Questa notizia, quando l'ho letta, mi ha scosso fortemente, e vi dico anche perché.

Perché, quando ero nell'età di dottorato e ricerca, per me l'EPA era la prima fonte principale di documenti, di pubblicazioni scientifiche sulle quali io studiavo, sulle quali noi studiavamo. E se non ci fosse stata l'EPA, non si sarebbe andati avanti con una serie di tecnologie innovative che sono state portate avanti e che adesso, magari, utilizziamo. Quindi, è preoccupante.

Questa è una deriva che è partita dagli Stati Uniti, ma ci preoccupa, perché non vorremmo che si espandesse. Quindi, chiaramente avremo meno ricercatori lì, da loro, e allora noi stiamo dicendo: cerchiamo di farli venire in Italia, li facciamo venire in Europa.

L'Europa, a quanto pare, ha fatto un piano ottimo, quindi ha rafforzato i finanziamenti sulla ricerca. Ma noi? In Italia che abbiamo fatto? Cinquanta milioni che - grazie dello sforzo - però sono insufficienti non solo a far arrivare cervelli dall'America o dall'Europa, ma nemmeno a trattenere i nostri ragazzi. Non ce la facciamo, signori. Abbiamo appena chiuso un altro decreto, con il quale abbiamo tirato fuori questo exploit per cui aumenteranno chiaramente anche i precari nella ricerca: signori, i nostri ragazzi in università, che già prendono uno stipendio che è la metà di quello dei ricercatori che troviamo in altre parti dell'Europa. Quindi, già non ce la fanno nemmeno a creare una famiglia; e qui, questo mi sembra strano, perché voi, quando parlate di famiglia, la mettete al primo posto. Bisogna fare figli, la famiglia è importante: ma come fanno a mettere su famiglia i nostri ricercatori, ancora più precari, con soldi che vengono tolti alle università italiane? Trump lo sta facendo lì, ma non è che noi siamo tanto da meno. E questo ci preoccupa, signori, ci preoccupa veramente.

Vi volevo leggere qualcosa sulla libertà accademica perché, secondo l'articolo 33 della nostra Costituzione, noi non possiamo e non dobbiamo avere pressioni politiche, economiche o ideologiche quando si fa ricerca. La ricerca deve essere libera, signori; deve essere libera.

La mente: quando parliamo della mente dei ragazzi, dobbiamo lasciarli liberi di pensare, altrimenti non avremo quello che abbiamo noi qui; altrimenti l'Italia non cresce, non va avanti, non ci sono le innovazioni, signori, perché partono da loro, dal lavoro che loro fanno.

Poi, parliamo anche di made in Italy. Ma anche con riferimento al made in Italy, per poter produrre in modo innovativo ed essere competitivi a livello internazionale, signori, si parte dall'università e dalla ricerca che ci dà le basi e ci dice: attenzione, questa cosa dobbiamo farla in un altro modo, adesso ci inventiamo un'altra materia prima sostenibile, queste emissioni in atmosfera le possiamo abbattere in questo modo.

Viene da loro, da quello che noi stiamo soffocando. Voi mi potete dire: non ci sono soldi. Non voglio essere ripetitiva, ma dipende da dove decidiamo di mettere i soldi. Il peso politico lo fa il Governo, ma dovremmo farlo anche noi in Parlamento; ce ne fate fare poco, perché - è inutile dirlo - con i decreti viene fuori che il Parlamento fa pochissimo, fa pochissimo. Sembriamo dei passacarte, a volte: questi emendamenti non ce li passate.

Ma non va bene, in questo modo. Ripeto, non va bene perché il danno non viene fatto all'opposizione, perché magari non passano le nostre cose; il danno viene fatto prima di tutto ai nostri giovani, ai nostri ragazzi, che non possono restare nelle loro case, non possono restare sui loro territori, i nostri bellissimi territori pugliesi. A questi ragazzi cosa vogliamo dire? Un domani potranno studiare nella loro Italia? Potranno, se sono bravi e intelligenti, fare ricerca? Se ne andranno ed è come se gli avessimo firmato dei bigliettini; gli stiamo firmando dei bigliettini: ecco, prendete questo bigliettino, lo fate per l'estero e via, andate in Europa. Non possono neanche andare più in America, anche lì castrati: niente, però da qualche altra parte andranno.

Quindi, con questa mozione, noi vi chiediamo veramente un po' di buonsenso; un po' di buonsenso perché stiamo portando avanti un'Italia in un momento molto, molto critico di transizione; di transizione non solo per il costo delle materie prime, il costo dell'energia, il costo della vita che aumenta, perché, quando le materie prime sono scarse, chiaramente aumenta anche il costo dei beni. Ciò in un'Italia dove non solo dovremmo dare più soldi ai nostri ricercatori, ma dovremmo darli a tutti i lavoratori, perché il salario minimo serve. Altrimenti, a chi vendiamo il made in Italy e le nostre cose, signori? A chi le vendiamo?

Io concludo, Presidente. Concludo dicendo che, ogni tanto, viene detto: la coperta è corta, non ci sono soldi. Però, noi come opposizione ve lo diciamo sempre da dove possono essere presi: dal riarmo. Perché mettiamo i soldi sul riarmo? Perché non li mettiamo per i nostri giovani? I nostri giovani del MoVimento 5 Stelle, il Network Giovani, in questi due giorni, sono scesi nelle loro piazze, nelle loro città e hanno detto: i soldi servono a noi giovani, non li mettete nelle armi.

Ve lo stiamo chiedendo, stiamo scendendo nelle piazze, ci stiamo mobilitando: andiamo nelle piazze anche noi continuamente; il 21 ci saremo di nuovo, ci saremo di nuovo e con noi ci saranno tutti i cittadini. Questo vi fa capire quali sono le priorità per i cittadini italiani. Quali sono? Creare lavoro utile, creare un lavoro che sia utile alla comunità. Quello che fanno i nostri ragazzi e i nostri ricercatori quando studiano, come diceva Marie Curie, è utile alla comunità; e questo dobbiamo fare.

Quindi, signori, vi prego: togliete soldi da quelle cose che non servono, evitiamo di fare queste case armate, chiuse, che non servono a nulla in Albania, questi centri; togliamo questi soldi dal ponte che non vuole nessuno: signori, sarà un'altra cosa assurda che porterà un danno ambientale pazzesco; togliamoli dalle armi: ma avete visto l'escalation che c'è? La gente ha paura. Quando io parlo di qualsiasi cosa, anche online, loro non pensano a quello che ho detto e mi rispondono: noi abbiamo paura per quello che sta accadendo. Usiamo gli extraprofitti delle banche e di chi ci sta guadagnando, perché tanto continuano a stare bene ugualmente; ma gliene togliamo un pochino per darli a chi realmente ha bisogno. Diamoli alle nostre università, diamoli ai nostri ragazzi, signori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Onorevoli colleghi, signor Presidente, Sottosegretario Siracusano, in apertura vorrei aprire una parentesi e rispondere a questa surreale sinistra italiana che, come ha fatto poco fa la collega Zanella di AVS, fa un intervento nell'ambito di un provvedimento sulla ricerca italiana parlando dei tagli americani alla ricerca e cita la manifestazione sul referendum in Ungheria dopo aver perso quello italiano - quello, appunto, in Italia - che avrebbero potuto sostituire tranquillamente con un congresso della coalizione di centrosinistra, con le primarie, invece di far spendere agli italiani tutti quei soldi che magari, appunto, potevano essere aggiunti ai tanti già stanziati dal Governo per la ricerca.

Ma intervenendo nel merito, la mozione di maggioranza risponde certo alle esigenze di miglioramento delle condizioni della ricerca nazionale: è un tema di interesse nazionale e geopolitico nella competizione con le potenze emergenti.

Per questo, la mozione di maggioranza impegna il Governo: a proseguire con ogni iniziativa utile nell'ambiziosa strategia nazionale per l'attrazione e la permanenza in Italia di ricercatori europei ed extraeuropei, con particolare attenzione alle opportunità derivanti proprio dalla nuova geografia della mobilità scientifica internazionale (quindi, una crisi che diventa opportunità); a continuare nell'impegno massiccio di promozione della ricerca di base e applicata, incrementando ulteriormente le risorse pubbliche destinate alla stessa e favorendo, quindi, l'accesso a fondi competitivi da parte dei giovani ricercatori e dei gruppi emergenti; a promuovere, quindi, un contesto normativo e amministrativo favorevole alla mobilità in ingresso mediante procedure semplificate per il rilascio dei visti, dei permessi di soggiorno e per i riconoscimenti dei titoli accademici e professionali; a rafforzare i meccanismi di reclutamento e progressione in carriera in base al merito attraverso procedure trasparenti, valutazioni scientifiche indipendenti e la riduzione delle barriere all'accesso per i candidati internazionali; a sostenere, quindi, le università e gli enti di ricerca nella creazione di ambienti accademici internazionali promuovendo programmi di accoglienza, supporto logistico e integrazione sociale per i ricercatori stranieri e le loro famiglie.

Ad avviare, pertanto, una campagna di promozione internazionale dell'Italia come destinazione scientifica in coordinamento con le reti diplomatiche, culturali e universitarie dirette proprio al consolidamento della posizione dell'Italia nella ricerca scientifica avanzata e alla promozione della collaborazione internazionale, cioè tutto quello che rivendica l'opposizione. Da sempre sosteniamo, infatti, che i ricercatori siano una risorsa strategica per l'Italia, presìdi di conoscenza, metodologie e competenze, e possono rappresentare non solo una risorsa per il mondo accademico, ma per tutto il tessuto socio-economico.

Per questo, insieme al presidente della Commissione lavoro Rizzetto, stiamo continuando l'iter della proposta di legge sulla valorizzazione del dottorato, ampliando il dialogo con le associazioni di categoria e le amministrazioni competenti. Dobbiamo rendere queste eccellenze nel settore della ricerca parte attiva di tutto il sistema Paese. La nostra attenzione, poi, va sulla professione del ricercatore e quella dell'Esecutivo, con il Ministro Bernini, è alta, costante e strutturata. Quindi, abbiamo approvato, nelle scorse settimane, in via definitiva, qui alla Camera dei deputati, il decreto-legge che conteneva disposizioni urgenti per l'attuazione delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza per garantire l'avvio ordinato dell'anno scolastico 2025-2026.

Proprio per la funzione strategica del settore dell'alta formazione e della ricerca per l'Italia, si è intervenuti per superare le criticità del contratto di ricerca, al di là della propaganda che è stata fatta sul tema e che, come abbiamo ascoltato, continua ad essere fatta.

La relazione tecnica della Ragioneria dello Stato alla legge n. 79 del 2022 indicava, infatti, chiaramente che l'aumento del costo unitario dei contratti di ricerca rispetto al preesistente assegno di ricerca avrebbe comportato - citiamo - “una riduzione del numero assoluto dei titolari”, stimata in “6.000-7.000 unità” sui 13.000 allora esistenti. Era il 2022, colleghi, e ora sono molti di più per via del PNRR. L'Accademia dei Lincei ha detto che la scelta è lungimirante; la Conferenza dei rettori delle università italiane ha detto che è una svolta strategica, smentendo di fatto l'opposizione.

Il mondo della ricerca è, quindi, al centro dell'agenda del Governo Meloni. Il Fondo di finanziamento ordinario è passato dai 7,4 miliardi del 2019 agli oltre 9 dello scorso anno, a cui si sono aggiunti i fiumi di finanziamento del PNRR e per il 2025 ci sarà un aumento ulteriore di 336 milioni, arrivando alla cifra record di 9,4 miliardi di euro. Godiamo, quindi, di una nuova credibilità internazionale. Il Fondo italiano per la scienza è aumentato di altri 150 milioni rispetto alla precedente edizione e oggi ha una dotazione di 475 milioni di euro ed è aperto un bando con altri 50 milioni di euro per ricercatori italiani e stranieri ora all'estero, superando così il mezzo miliardo di euro.

È fondamentale, quindi, che la Nazione continui a riconoscere il valore della ricerca e a sostenere chi la porta avanti. Investire in ricerca non è certamente un lusso o uno spreco, ma una necessità strategica per una Nazione come l'Italia. È una scelta che determina il futuro di tutti; la professione dei ricercatori, infatti, è una delle più preziose per il nostro presente, ma soprattutto per il nostro futuro. Non solo produce conoscenza, ma trasforma la conoscenza in valore e in opportunità. Auspico, quindi, che il confronto fra le istituzioni e le categorie possa proseguire su questa strada, all'insegna della valorizzazione, della promozione e della tutela della ricerca e dei ricercatori italiani. Insieme l'Italia deve tornare ad essere una superpotenza mondiale, culturale e scientifica.

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 17 giugno 2025 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 14)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 1467 - Conversione in legge del decreto-legge 23 aprile 2025, n. 55, recante disposizioni urgenti in materia di acconti IRPEF dovuti per l'anno 2025 (Approvato dal Senato). (C. 2448?)

Relatore: GIORDANO.

3. Seguito della discussione delle mozioni Richetti ed altri n. 1-00426, Manzi ed altri n. 1-00456, Piccolotti ed altri n. 1-00457, Caso ed altri n. 1-00458 e Tassinari, Amorese, Sasso, Bicchielli ed altri n. 1-00460 concernenti iniziative per un piano strategico nazionale volto ad attrarre e favorire la permanenza di ricercatori europei ed extraeuropei in Italia .

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

SQUERI ed altri: Istituzione della Giornata della ristorazione. (C. 1672-A?)

Relatore: SQUERI.

La seduta termina alle 13,15.