XVI LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 155 di lunedì 30 marzo 2009
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI
La seduta comincia alle 11.
DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 27 marzo 2009.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buttiglione, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fitto, Frattini, Galati, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera in data 27 marzo 2009, il deputato Pierluigi Mantini, già iscritto al gruppo parlamentare Partito Democratico, ha chiesto di aderire al gruppo parlamentare Unione di Centro.
La presidenza di tale gruppo, con lettera in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi (A.C. 2187-A) (ore 11,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2187-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro, Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la VI Commissione, onorevole Milanese, ha facoltà di svolgere la relazione.
MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, Pag. 2onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, in apertura della discussione sulle linee generali del provvedimento in esame, vorrei evidenziare il lavoro che è stato svolto nei giorni scorsi congiuntamente dalla VI Commissione (finanze), e dalla X Commissione (attività produttive), che ha portato nella giornata di giovedì a conferire al relatore il mandato a riferire in Aula. È doveroso riconoscere il lavoro svolto dai presidenti delle due Commissioni e dai colleghi di maggioranza e opposizione, che dopo una discussione vivace e proficua, critica e mai polemica, ha consentito di formare l'attuale testo che viene posto alla valutazione dell'Aula.
Il provvedimento reca un consistente intervento di sostegno ai settori industriali, volto a contrastare gli effetti depressivi che stanno producendosi nel Paese a seguito dell'attuale fase congiunturale negativa ed a favorire, nel più breve tempo possibile, l'inversione del ciclo economico.
Gli interventi contenuti nel testo originario, che già costituivano un forte segnale da parte del Governo nei confronti degli operatori economici, è stato ulteriormente arricchito con nuove misure introdotte nel corso dell'esame in Commissione, a seguito di un intenso e fruttuoso lavoro svolto da tutti i colleghi e con la presenza fattiva del Governo.
In particolare, il lavoro condotto dalle Commissioni, per le quali sono qui ad illustrare nell'interezza il provvedimento, è stato orientato verso le tre macroaree ritenute più sensibili agli effetti negativi della crisi in atto: imprese, lavoratori e quindi famiglie, enti locali. È stato previsto: il potenziamento degli strumenti per incentivare il rinnovo del parco moto e quindi per rilanciare il settore, nonché per incentivare la vendita di elettrodomestici, abbassando, comunque in un'ottica di efficienza energetica, la soglia per accedere al contributo, agevolando così lo smaltimento degli stock di magazzino; il potenziamento degli strumenti che consentono l'accesso alla liquidità a favore delle imprese; lo snellimento delle procedure per accedere più velocemente alla cassa integrazione; in materia di patto di stabilità, la concessione in funziona anticiclica di maggiori margini di manovra, specie al fine di incrementare l'entità delle spese per investimento da parte degli enti locali.
Per ciò che concerne le imprese, al fine di introdurre nuove e più ampi utilizzi del risparmio postale a favore dell'economia e per la realizzazione di interessi economici generali, è stato previsto l'intervento della Cassa depositi e prestiti, in via indiretta, attraverso intermediari bancari, in modo da ampliare il volume dei finanziamenti a favore del sistema, ripartire il rischio di credito con le istituzioni creditizie intermediarie, nonché utilizzare tali soggetti per l'istruttoria e la successiva selezione dei progetti da finanziare.
In tale ottica, è stato, altresì, previsto l'incremento delle disponibilità del Fondo di garanzia mediante l'utilizzo delle risorse giacenti sui conti di tesoreria finalizzate ad interventi sul capitale di rischio delle piccole e medie imprese.
Ciò consente, stante la grave situazione di mancanza di liquidità delle piccole e medie imprese, che gli interventi a garanzia del credito siano prioritari rispetto a quelli del capitale di rischio, per i quali l'attuale crisi dei mercati non ne chiede l'utilizzo. Inoltre, per l'anno 2009, una quota non inferiore a dieci milioni di euro delle risorse del Fondo di garanzia istituito presso il Mediocredito è stata destinata per il rilascio di garanzie, anche attraverso il ricorso ai consorzi di garanzia fidi, alle imprese operanti nei distretti industriali della concia, del tessile e delle calzature, ove siano realizzate opere collettive per lo smaltimento o il riciclo dei rifiuti industriali.
Analogo segnale alle imprese è stato dato con la previsione della possibilità di estendere gli interventi a valere sul Fondo di garanzia di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997 alle misure occorrenti a garantire la rinegoziazione di debiti con il sistema bancario e l'assolvimento degli obblighi tributari e contributivi. Inoltre, nell'ottica di sostenere le imprese esportatrici, è stato previsto che 300 milioni di euro della disponibilità del Fondo a carattere rotativo destinato alla concessione Pag. 3di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici a fronte di programmi di penetrazione commerciale siano trasferiti al Fondo per le attività di credito all'esportazione.
Allo scopo di liberare liquidità a favore delle imprese fornitrici della pubblica amministrazione, sono state estese ai debiti maturati nel 2008 le disposizioni di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 185 del 2008 in materia di ripiano dei debiti pregressi dei ministeri, a valere nei limiti delle disponibilità esistenti sull'autorizzazione di spesa ivi indicata, consentendo, così, di smaltire completamente tutte le eventuali situazioni debitorie formatesi nel tempo.
La crisi attualmente in atto ha evidenziato la necessità di individuare anche misure per difendere le società italiane quotate da scalate ostili, adottando il sistema, già ampiamente diffuso fuori dall'Italia, della shareholder identification, che prevede l'informazione alle singole società degli azionisti anche se possessori di quote inferiori al 2 per cento, soglia prevista per l'informativa al mercato. Ciò in quanto conoscere se qualcuno sta rastrellando le azioni di una società può consentire a questa o ai suoi soci di reagire per tempo, prima che si formino consistenti pacchetti ostili. Pertanto, nelle circostanze attuali, si è introdotta nell'ordinamento italiano una norma che consente di conoscere tempestivamente modifiche nell'azionariato delle società quotate, affidando alla Consob il compito di stabilire, sulla base di criteri oggettivi e per un limitato periodo di tempo, le società per le quali abbassare sino all'1 per cento la soglia di rilevanza per la comunicazione, attualmente stabilita per legge al 2 per cento. L'ambito di tale modifica, compatibile con la normativa comunitaria, può essere circoscritto, in presenza di vicende di particolare rilievo, a periodi predeterminati.
Altra importante area di intervento in cui le modifiche apportate a seguito dei lavori della Commissione hanno inciso in maniera significativa sul contenuto del decreto-legge all'esame di quest'Aula è rappresentata dagli ammortizzatori sociali. Tra le più rilevanti azioni adottate in materia si evidenziano quelle attraverso cui è stato semplificato il procedimento per l'autorizzazione al pagamento diretto del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria ai lavoratori destinatari, prevedendo che, nell'ipotesi di comprovate difficoltà finanziarie, accertate dal Servizio ispettivo territorialmente competente, il trattamento venga pagato direttamente dall'INPS.
Inoltre, per superare le criticità che possono provenire dalla mancanza di liquidità del datore di lavoro, è stato previsto di utilizzare il pagamento diretto contestualmente all'autorizzazione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria.
È stato anche introdotto un meccanismo diretto a consentire l'intervento tempestivo del sostegno al reddito nel caso in cui l'impresa non anticipi il trattamento, ma richieda che l'INPS paghi direttamente il trattamento medesimo ai lavoratori, autorizzando, altresì, l'INPS ad erogare il trattamento di cassa integrazione in deroga prima dell'emanazione del decreto di concessione unicamente nell'ipotesi in cui l'azienda non anticipi il trattamento, ma richieda il pagamento diretto ai lavoratori.
Sono state semplificate le procedure per accedere agli ammortizzatori sociali in deroga ed incentivate le assunzioni di lavoratori destinatari di trattamenti in deroga, dipendenti di imprese non rientranti nell'ambito della disciplina già prevista per le assunzioni di lavoratori in mobilità, legge n. 223 del 1991, e, conseguentemente, non accompagnati dai benefici previsti per le assunzioni di lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria ed in mobilità non in deroga.
Si è previsto l'aumento per il 2009 dell'una tantum in favore dei collaboratori coordinati e continuativi, portandola dal 10 per cento del reddito dell'anno precedente al 20 per cento. Infine, è stato introdotto l'importante principio che la ripartizione delle risorse del FAS e destinata a favore degli ammortizzatori sociali avviene senza i vincoli di territorializzazione previsti a legislazione vigente: in Pag. 4mancanza di questa precisazione, infatti, si assisterebbe all'incongruenza secondo la quale tali interventi di sostegno al reddito ed ammortizzatori sociali avrebbero potuto essere erogati solo con il rispetto della percentuale dell'85 per cento nelle regioni sottoutilizzate e del 15 per cento nelle altre, nelle quali probabilmente l'impatto delle relative esigenze è di gran lunga maggiore.
L'ultima macroarea riguarda il Patto di stabilità. Dev'essere osservato come l'indirizzo governativo in materia di finanza pubblica si è sinora ispirato al principio fondamentale della salvaguardia del Patto di stabilità: comportamenti di particolare rigore appaiono in realtà necessari, in considerazione tanto dell'entità del nostro debito pubblico quanto dell'esigenza di far fronte a una congiuntura negativa di cui non sono ancora chiari i confini. Tenendo ben presenti questi elementi imprescindibili, la proposta approvata in Commissione consente agli enti locali virtuosi di aumentare la propria spesa negli investimenti, cercando di reperire le risorse laddove sono presenti, per esempio nel mondo regionale qualora non si spendano integralmente, per far sì che possa aumentare la spesa di investimento degli enti locali senza però aumentare nel suo complesso la spesa pubblica, e quindi senza creare alcun danno alla salvaguardia del Patto di stabilità. In questi termini, quindi, il meccanismo su cui si fonda la disposizione in esame permette non già il superamento dei limiti del Patto fissati per il comparto, ma la rimodulazione degli obiettivi su base regionale, potendo riguardare tanto la regione e gli enti locali quanto gli enti locali tra di loro, in un sistema a vasi comunicanti: la regione potrà ridurre le sue spese per favorire gli investimenti degli enti locali, oppure un ente locale potrà eventualmente cedere ad un altro ente la propria inutilizzata quota di maggiore capacità di spesa.
Quanto alle caratteristiche di questa norma si devono evidenziare: la facoltatività, non risultando introdotto alcun obbligo di far ricorso al meccanismo delineato nella proposta; ciò consente alle singole regioni in logiche federaliste, con l'assunzione di una responsabilità istituzionale consona al loro ruolo, di individuare le risorse inespresse del proprio territorio e di procedere così allo sblocco delle uscite che si rendessero disponibili. L'innovatività, che si coglie appieno con la soppressione del comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, che in linea generale consentirà a tutti gli enti locali di considerare le entrate derivanti da operazioni straordinarie, quali ad esempio le alienazioni immobiliari, non influenti sul rispetto dei saldi, e quindi di creare spazi ulteriori per le spese; mentre la norma transitoria è necessaria per salvaguardare il ridetto principio di rigore, posto che altrimenti verrebbe a determinarsi la necessità di ingenti compensazioni finanziarie; la possibilità di movimentare i residui e i risparmi derivanti dalla riduzione dei tassi sui mutui o dalla rinegoziazione dei mutui stessi, che possono anche costituire un ammontare di una certa significatività; l'esclusione di spese dal Patto di stabilità interno degli enti locali, riguardanti un ammontare complessivo di 150 milioni di euro per il 2009, destinabile a pagamenti per le spese relative ad investimenti per la tutela della sicurezza pubblica, ad interventi temporanei e straordinari di carattere sociale a favore di lavoratori e imprese, diretti ad alleviare gli effetti negativi della congiuntura economica sfavorevole, a pagamenti per debiti pregressi e per prestazioni già rese nei confronti degli enti locali.
Nell'analizzare il contenuto di ciascuno degli articoli all'esame dell'Assemblea, mi soffermerò in particolare sulle innovazioni introdotte nella fase referente. Per ciò che concerne l'articolo 1, rammento che esso reca contributi per l'acquisto, con contestuale demolizione dei veicoli maggiormente inquinanti, di autovetture (1.500 euro), autocarri, autoveicoli per trasporti specifici, per uso speciale, autocaravan (2.500 euro) e motoveicoli (500 euro), e contributi aggiuntivi rispetto a quelli già previsti per l'acquisto di autovetture (1.500 euro) e autocarri a ridotto impatto ambientale, fino a un massimo di 2.500 euro. Pag. 5
L'agevolazione per l'acquisto di motoveicoli, inizialmente prevista per le cilindrate fino a 400 centimetri cubici, è stata estesa nel corso dell'esame nelle Commissioni concedendola anche per l'acquisto di motocicli con potenza fino a 60 kilowattora, indipendentemente dalla cilindrata, appartenenti alla categoria «euro 3». Per quanto riguarda poi i contributi per l'installazione di impianti a GPL e a metano sulle autovetture, l'agevolazione già recata nel testo riferita agli autoveicoli di categoria «euro 0» ed «euro 1» si applica ora anche alla categoria «euro 2». Ulteriori modifiche riguardano la semplificazione della documentazione circa l'utilizzo delle agevolazioni.
È stata inoltre introdotta, al fine di meglio tutelare i rivenditori che operano correttamente sul mercato, la responsabilità solidale tra il cedente e il cessionario per il pagamento dell'IVA relativa alle cessioni di pneumatici, qualora queste siano effettuate a prezzi inferiori al valore normale ed i contraenti siano entrambi soggetti passivi IVA.
In ordine all'articolo 2, che reca la detrazione del 20 per cento delle spese sostenute entro certi limiti e a determinate condizioni per l'acquisto di mobili, elettrodomestici ed altre tipologie di apparecchi, è stato specificato che la detrazione medesima vada riferita ad elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad «A+» in luogo della precedente e più generica definizione che poteva delimitarne l'applicazione alla classe non inferiore ad «A-». Sono stati inoltre più dettagliatamente definiti i criteri per la predisposizione, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, del protocollo d'intenti con i produttori dei beni oggetto di incentivo.
Per quanto concerne l'articolo 3 in materia di distretti produttivi assume specifico rilievo la modifica introdotta dalle Commissioni che ha ampliato le possibilità operative della Cassa depositi e prestiti. Le operazioni da questa effettuate nell'ambito della gestione separata della Cassa medesima possono assumere qualsiasi forma, da quella di concessione di finanziamenti a quella dell'assunzione di capitali di rischio o di debito, ed essere realizzate anche a favore delle piccole e medie imprese (in tale ultimo caso mediante l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio, negli altri casi invece la Cassa può effettuare le proprie operazioni anche in via diretta).
È stato poi inserito l'articolo 3-bis con cui si prevede la possibilità, affidata ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previa autorizzazione comunitaria, di estendere il regime IVA ad esigibilità differita ad ulteriori fattispecie oltre a quelle attualmente previste dall'articolo 7 del decreto-legge n. 185 del 2008, su cui peraltro è già stato predisposto il decreto attuativo di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, e in particolare con riferimento ai fornitori delle imprese in amministrazione straordinaria.
Con riguardo all'articolo 4, che prevede un beneficio fiscale diretto a favorire le aggregazioni aziendali del credito, è stata introdotta una misura di sostegno alle esportazioni disponendosi il trasferimento dell'importo di 300 milioni di euro dal Fondo rotativo concernente il finanziamento alle imprese esportatrici in Paesi non comunitari al Fondo per le attività di credito per le esportazioni.
L'articolo 5, mediante cui si provvede a ridurre le aliquote dell'imposta sostitutiva per la rivalutazione ed il riallineamento volontario dei valori contabili degli immobili non merce dal 7 al 3 per cento per gli immobili ammortizzabili e dal 4 all'1,5 per cento per quelli non ammortizzabili, è stato oggetto di una modifica in materia di norme tecniche per le costruzioni.
Si è inoltre intervenuti con l'articolo 5-bis nell'ancora non risolta questione della determinazione dei canoni per le concessioni demaniali marittime, stabilendosi che il Governo adotti entro il 30 settembre 2009 un regolamento per attuare le norme relative alla determinazione dei canoni annui dovuti per concessioni demaniali marittime rilasciate o rinnovate per finalità turistico-ricreative. Tutto ciò allo scopo di meglio definire il quadro normativo concernente il settore Pag. 6turistico, in considerazione della attuale fase di crisi economica e ridimensionando altresì il contenzioso pendente nel settore del demanio marittimo, volendo assicurare nel contempo il gettito erariale derivante dai relativi rapporti concessori.
In aggiunta a ciò, ed a conferma dell'attenzione riservata agli operatori del settore, viene sospesa la riscossione dei contributi dovuti in ordine alle suddette concessioni in attesa di definire la nuova disciplina regolamentare di attuazione, in ogni caso sino al 30 settembre 2009. Un ulteriore intervento è stato inoltre operato sull'articolo 6 che, nel testo iniziale del decreto-legge, prevedeva l'intervento della SACE Spa nella prestazione di garanzie per agevolare la concessione di finanziamenti destinati all'acquisto di autoveicoli, motoveicoli e veicoli commerciali di cui all'articolo 1 del decreto-legge al nostro esame.
A questa è stata aggiunta una disposizione in materia di estinzione dei debiti pregressi dell'amministrazione centrale, con l'evidente finalità di ridurre i tempi in attesa dei creditori della pubblica amministrazione. È stata, pertanto, estesa la disciplina recentemente dettata dal decreto-legge n. 185 del 2008 anche ai crediti maturati nei confronti dei Ministeri al 31 dicembre del 2008 (quindi, non più in relazione soltanto ai crediti maturati entro il 2007), e prevedendo un'attività di analisi e di revisione delle procedure di spesa, per evitare la formazione di nuove situazioni debitorie.
Per quanto riguarda il tema dei controlli fiscali e l'inasprimento delle sanzioni per indebito utilizzo dei crediti di compensazione, di cui all'articolo 7, è stata introdotta un'ulteriore norma volta a intensificare l'attività dell'amministrazione finanziaria, prevedendo un aumento di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010 degli stanziamenti per l'attuazione di un programma di prevenzione e repressione di obblighi fiscali. Inoltre, è stato disposto il mantenimento in bilancio dei residui concernenti il Fondo del 5 per mille dell'IRPEF, nonché delle risorse destinate da un apposito Fondo per mobilità territoriale, esodo ed assunzioni di alcune categorie del personale delle amministrazioni statali. Sono state, altresì, introdotte disposizioni per favorire l'accesso delle aziende di trasporto pubblico alla ripartizione dei Fondi per il finanziamento del rinnovo contrattuale del relativo personale.
Ulteriori integrazioni dell'articolo 7 hanno avuto riguardo al prolungamento del termine per l'esercizio del potere di accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate, nonché alla ridefinizione dei poteri dei commissari straordinari.
All'articolo 7-ter si è modificata la norma sugli ammortizzatori sociali di cui si è già detto precedentemente.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, se è possibile, prenderei anche una parte del tempo dell'altro relatore. Le chiedo, quindi, la possibilità di estendere per pochi minuti il mio intervento.
PRESIDENTE. Sta bene.
MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Grazie, signor Presidente.
L'articolo 7-bis sospende fino al 30 giugno 2009 alcune norme recate dal recente decreto-legge cosiddetto milleproroghe concernente la legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea, in relazione alla necessità di una previa ridefinizione del quadro normativo di riferimento in cui sono presenti competenze ordinamentali di regioni ed enti locali.
L'articolo 7-quinquies introduce alcune disposizioni in materia di Fondi, di cui si è già detto precedentemente. Tra queste, però, ritengo opportuno segnalare i commi 1 e 2, che istituiscono nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un Fondo con una dotazione, per il 2009, di 400 milioni di euro, da utilizzare per il finanziamento di interventi urgenti ed indifferibili, con particolare Pag. 7riguardo ai settori dell'istruzione, e presumibilmente anche per gli LSU della scuola, e agli interventi organizzativi connessi ad interventi celebrativi, rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri le modalità di utilizzo del Fondo.
L'articolo 7-sexies reca alcune disposizioni in materia di trasporto, prevedendo la soppressione dell'obbligo di corrispondenza fra il costo del carburante e la percorrenza chilometrica ai fini del calcolo delle prestazioni indicate nel contratto, ovvero nella fattura; per il settore dell'autotrasporto, il differimento di un mese del termine per l'autoliquidazione dei premi assicurativi INAIL, innalzando nel contempo il limite di spesa entro cui opera la riduzione dei premi previsti per l'anno in corso; alcune specifiche agevolazioni nei confronti del gruppo Tirrenia e in favore della gestione governativa navigazione laghi.
Infine, l'articolo 7-septies prevede, nelle more dell'operatività del Fondo per la finanza di impresa, istituito dalla legge finanziaria per il 2007, la possibilità di estendere gli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese alle misure atte a consentire alle imprese medesime la rinegoziazione dei debiti in essere con il sistema bancario e l'assolvimento degli obblighi tributari e contributivi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in conclusione, vi è da sottolineare che le Commissioni hanno lavorato sull'intero testo, lo hanno modificato in alcune parti ed hanno aggiunto alcuni punti essenziali. Tutto questo è avvenuto, sempre e comunque, in coerenza con la situazione economica in atto. Maggioranza e opposizione hanno posto al centro del dibattito esclusivamente l'individuazione delle risposte più adeguate da fornire al Paese, sempre mantenendo invariati i saldi di spesa e di bilancio (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Onorevole Milanese, si intende così che abbia svolto la relazione anche per la X Commissione (Attività produttive).
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
NICOLA COSENTINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Antoni. Ne ha facoltà.
SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Signor Presidente, con questo decreto siamo - credo - al sesto intervento che il Governo opera dall'esplosione della crisi ad oggi e in sostanza sempre in maniera parziale e non adeguatamente organica per affrontare la gravità e la consistenza della crisi.
Noi, sin dall'inizio, denunciammo questa condizione, ritenendo che fosse necessario un provvedimento complessivo, organico, serio, che mettesse al centro non solo la tutela nei confronti di coloro che subiscono le conseguenze peggiori della crisi, ma anche alcuni interventi adatti a farci uscire dalla crisi, a fare in modo cioè che si metta in moto un processo di crescita. Purtroppo, questo non è avvenuto e gli interventi che si sono succeduti hanno riguardato sempre singole questioni e non sono in grado di affrontare adeguatamente il peso, la grandezza e - per così dire - l'insieme della crisi.
Per noi questo è un grave errore, una sottovalutazione complessiva che il Governo e la maggioranza hanno fatto e che continuano a fare. Basta guardare le previsioni che qualunque istituto di ricerca oggi realizza per rendersi conto di come esista una differenza e una grave spaccatura tra le conseguenze della crisi e le iniziative che il Governo e la maggioranza anche con questo decreto prendono.
Di recente il centro studi di Confindustria ha fatto delle previsioni molto particolari, ma anche molto pesanti per il 2009, prevedendo una ripresa solo nel 2010. Stiamo parlando quindi di Confindustria, che non mi pare un organismo rivoluzionario, né antigovernativo, ma un organismo che si limita a mettere in fila i Pag. 8dati che in questo momento qualunque istituto che fa ricerche nel nostro Paese prevede e divulga.
Siamo in una situazione nella quale la previsione di una crescita negativa, cioè di non crescita, si allarga fino a diventare del -3,5 per cento. Siamo passati dal -2 al -2,5 (che era la previsione anche accettata dal Governo, poi accettata e ratificata dall'Unione europea) e ora ci allarghiamo, il che significa che siamo in una situazione di aggravamento della crisi, non di miglioramento.
Questo dovrebbe far riflettere molto ma evidentemente ciò non succede. Anzi, la reazione che molti esponenti del Governo hanno nei confronti di tutte queste iniziative è stizzita. Chiunque metta in guardia sul fatto che la crisi è grave e che si determinano queste condizioni viene definito un corvo, oppure viene accusato di mettere in moto processi negativi e di malaugurio. Io penso che nella vita ci vuole sempre ottimismo, ma che bisogna essere molto seri e molto realisti. Quindi bisogna partire dalle condizioni reali, se si vuole poi dare una risposta ed evitare che le conseguenze siano ancora peggiori.
Invece, si continua a sottovalutare anche il dato sulla disoccupazione (la previsione che si fa è una disoccupazione che aumenti da mezzo milione a un milione di persone nel 2009), senza che vi siano, come dirò più avanti, interventi complessivi tali da garantire una vera tutela a coloro che restano senza lavoro.
Quindi, vi sono due valutazioni da fare: una è una previsione, e appunto si può sempre semplificare e concludere dicendo che tanto sono corvi e predicatori del negativo; l'altra valutazione riguarda i dati già in possesso. Alla fine del 2008 l'ISTAT ha certificato che abbiamo avuto, soprattutto nelle aree deboli del Paese, 126.000 occupati in meno. Questa non è una previsione da corvi, ma è un dato, quindi da tale punto di vista tutto lascia pensare che, sulla continuità di questo dato, che è reale, anche il 2009 purtroppo sarà caratterizzato da una caduta ulteriore dell'occupazione, soprattutto nelle aree deboli, con conseguenze che noi giudichiamo devastanti.
Di fronte a tutto ciò il decreto-legge in esame è assolutamente insoddisfacente, assolutamente parziale e assolutamente non in grado di fronteggiare la vastità di questo tipo di condizione che abbiamo. Si limita ad alcuni interventi, che io definisco «pannicelli caldi» e ad alcune questioni, alcune con ritardo, anche giuste, ma che dovevano essere affrontate prima. Basta pensare alla questione dell'auto: siamo stati due mesi senza un intervento che poteva essere realizzato alla fine dell'anno scorso e che non avrebbe provocato la caduta di domanda di auto così come abbiamo avuto. Quindi, tutto ciò che viene fatto, anche se parziale, e che il relatore qui ci ha descritto è fatto con ritardo e non è assolutamente in grado di fronteggiare la vastità e la portata di quello che abbiamo davanti. Noi riteniamo che sia un grande errore che il Governo e la maggioranza stanno commettendo.
Proprio perché le questioni che abbiamo davanti sono di tale serietà e di tale importanza per cui vi è l'impegno di tutti i Governi del mondo per cercare di uscire da questa condizione, noi riteniamo che il Governo italiano dovrebbe valutare molto più seriamente e in maniera concreta qual è la conseguenza di tutto ciò e dare una risposta adeguata.
Finora siamo invece in presenza di domande senza risposte e di risposte senza domande, che è una caratteristica molto peculiare di questo Governo, in particolare perché finisce per dare o ha dato alcune risposte di cui non vi era necessità e per non dare alcune risposte, invece, a domande vere.
Gli esempi più clamorosi di risposte date a domande di cui non vi era necessità li abbiamo citati in varie circostanze: da una parte, si è abolita l'ICI sulle case di lusso, cosa di cui si poteva benissimo fare a meno, risparmiando quelle somme e destinandole a scopi molto più seri e molto più importanti; dall'altro lato, pensiamo alla grande trovata, che fu fatta nel luglio scorso, di detassare gli straordinari. Pag. 9In una fase in cui andava in crisi l'occupazione, la detassazione degli straordinari è una classica misura che favorisce la disoccupazione, non la contrasta, perché appunto evita, utilizzando i lavoratori che si hanno, di fare nuove assunzioni.
Quindi, solo per fare due esempi di due errori clamorosi che sono stati commessi - quello dell'ICI e quello degli straordinari - si vede che siamo in presenza di risposte senza che vi fosse una domanda. Si continua invece a non dare risposte alla vere domande che abbiamo di fronte, che sono nell'immediato tre. Noi abbiamo avanzato tre proposte concrete, semplici, senza confusione e dirette. Queste tre domande e queste tre proposte che la maggioranza e il Governo si sono rifiutati di accogliere sono chiare.
La prima riguarda chi perde il posto di lavoro. In questa situazione, nonostante i due interventi previsti sia nel precedente decreto-legge n. 185 del 2008, sia nel provvedimento in discussione, ancora non sappiamo se chi perde il posto di lavoro e non ha tutele previste dall'ordinamento, riceverà o non riceverà una tutela. Tutto viene rinviato ad una trattativa che si svolgerà con le regioni, a norme confuse (confermate anche dal decreto-legge in oggetto) e all'individuazione di categorie non meglio precisate. Pensiamo che tutto questo sia sbagliato e che sia necessaria una misura chiara, secca ed esplicita, che preveda che tutti coloro che perdono il posto di lavoro e non hanno altre tutele ricevano il 60 per cento della retribuzione percepita nell'ultimo anno. Questa è una proposta chiara, esplicita, che non si presta a nessun equivoco, a nessun ritardo, a nessuna interpretazione e che dà una risposta immediata a chi perde il posto di lavoro. Tutto questo non è previsto. Tutto questo si sottovaluta.
In occasione della grande vicenda che si è svolta in questi giorni al congresso del Popolo della Libertà, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, che il Ministro dell'economia hanno affermato che nessuno resterà indietro. Entrambi hanno usato questa espressione. Se nessuno resterà indietro, il Governo e la maggioranza devono accogliere la nostra proposta, perché rappresenta l'unica maniera affinché nessuno resti indietro; altrimenti, molti resteranno indietro. Non c'è niente da fare, non voglio affrontare la questione in termini polemici: sostengo ciò in termini effettivi.
Mi rivolgo ai relatori, ai presidenti di Commissione e al rappresentante del Governo: se si vuole che nessuno resti indietro, è necessario considerare questa proposta, applicarla e farla passare, perché è l'unico modo per dare, nell'immediato, una risposta e far sì che nessuno resti indietro. Se, invece, non si fornisce tale risposta, purtroppo, molti resteranno indietro, perché aspetteranno questa famosa trattativa, l'applicazione dell'accordo Stato-regioni e tutta una procedura che non si sa come e quando finirà, né cosa produrrà.
In questa sede, si è detto che vi è un problema di copertura e di soldi: non è vero. Se è vero quanto affermato dal Ministro Sacconi, i soldi vi sono. Il Ministro Sacconi, in televisione, addirittura, ha affermato che per gli ammortizzatori sociali vi sono 32 miliardi di euro, tra fondi ordinari e straordinari, e che il Governo ha garantito, per il 2009 e il 2010, 32 miliardi di euro. Lo ha affermato lui: riporto una frase detta davanti a milioni di italiani, che, quindi, non era né riservata, né detta in un circolo, ma in pubblico, in quella che viene definita «la terza Camera» che, da un po' di tempo, per il Governo è diventata la prima, quella in cui fare le comunicazioni (non in questa sede).
La nostra proposta costa dai 4 ai 5 miliardi di euro. Se vi sono 32 miliardi, si prendono 4 o 5 miliardi da quei 32 e si copre la nostra proposta. Cosa lo impedisce? Delle due, l'una: o non è vera la cifra dei 32 miliardi di euro - e, quindi, il problema è che non si possono fare questi annunci, se ad essi non corrisponde, poi, la realtà - o, se è vera, non si capisce perché si dica di no alla nostra proposta. Il ragionamento è semplice. Quindi insistiamo, perché riteniamo che quella cifra sia vera, perché un Ministro che parla in televisione non dice bugie, ma verità. Se Pag. 10quella cifra è vera, non si capisce perché vi sia questa negatività da parte del Governo e della maggioranza ad accettare tale proposta.
In questo senso insistiamo, perché riteniamo che sia fondamentale dare una risposta a chi oggi, perdendo il posto di lavoro e non avendo copertura, paga il prezzo più alto alla crisi, perché lo paga in modo netto, esplicito ed immediato. Al di là della retorica, quando si resta senza lavoro, vi sono anche altri problemi, che producono danni psicologici. È di oggi la notizia di un suicidio riguardante proprio un caso del genere.
Lasciamo perdere l'uso strumentale di vicende umane così terribili, perché nessuno vuole ricorrervi e men che meno io, però il problema c'è e far finta che non esista è sbagliato. Se la questione ha già riguardato quasi 200 mila persone e ne riguarderà ancora 500 o 600 mila, dobbiamo fornire loro una risposta e non basta questo rinvio, non basta quello che è previsto nel testo; assolutamente non è sufficiente, perché è un modo per non affrontare il problema nella sua essenza e la sua essenza è che esiste chi, perdendo il posto di lavoro e non avendo alcuna copertura, rischia profondamente di non avere nulla e quindi di subire un prezzo pesantissimo e terribile per la crisi. È per questa ragione che insistiamo su una proposta esplicita e chiara che abbiamo presentato in quest'Aula attraverso una mozione; la ribadiamo qui attraverso procedure emendative, ma la ribadiamo come punto politico essenziale.
La seconda proposta è altrettanto semplice. Ci troviamo in una fase in cui le fasce di povertà in questo Paese aumentano e sono encomiabili le iniziative assunte per fronteggiare tale situazione da parte di alcune istituzioni e di alcune organizzazioni. La Chiesa innanzitutto, ha messo in moto processi di solidarietà e di distribuzione attraverso la creazione di fondi specifici, attraverso una condizione reale che, in una fase di crisi, vede la partecipazione dei cittadini alla solidarietà che consiste nel dare da parte di chi ha di più a chi ha di meno. È un fatto normale e, se si vuole, anche banale; come non agire per ottenere questa conseguenza? Attraversiamo una crisi di queste dimensioni e possiamo fornire una risposta immediata attraverso un atto di solidarietà. Sono in corso nel Paese vari momenti di solidarietà e penso che questo Parlamento, attraverso una norma, dovrebbe trasmettere un segnale forte ed esplicito.
In tal senso, la proposta - anche questa semplice - che abbiamo avanzato, che il Partito Democratico ha avanzato attraverso il suo segretario, Dario Franceschini, è quella di aumentare del 2 per cento per il 2009 l'aliquota dei redditi che superano i 120 mila euro e di usare queste somme - che si aggirano intorno ai 500 milioni di euro - per fronteggiare le fasce di povertà attraverso aiuti diretti, anche nei confronti delle organizzazioni di volontariato che si occupano, in particolare, di affrontare il tema della povertà nel nostro Paese; anche questa è una questione assolutamente banale e semplicissima. Non si facciano le solite discussioni del tipo: volete aumentare le tasse. Non vogliamo aumentare niente, ma dare il segnale forte a questo Paese che, in momenti di crisi, chi più ha, si carichi - seppure in maniera piccola, attraverso il 2 per cento di un'aliquota marginale - di qualcosa in grado di fornire una risposta alle fasce più deboli del Paese. È una proposta che dovrebbe essere accettata e dovrebbe vedere questo Parlamento unanime nell'accettarla, perché è chiara ed esplicita e non si presta ad alcun equivoco. Essa ha la forza di essere anche impopolare, per certi versi, ed uso l'espressione: «ha la forza», perché tale proposta dà il segno che il partito di opposizione non si muove in maniera demagogica, accusando il Governo di non fare nulla e, quindi, chiedendogli di operare in un certo modo. Poiché la risposta è sempre la stessa: è facile chiedere, quando poi non si ha la maniera di coprire e non si sa dove prendere i soldi, considerato che esiste un problema di finanza pubblica noi, in questo caso, lo esplicitiamo, facciamo un'operazione di trasparenza che è anche impopolare. Potremmo dire: prendete il denaro dalla Pag. 11lotta all'evasione, invece diciamo in maniera esplicita come agire. Questa è una riflessione vera che si è svolta in parte, ma si dovrebbe svolgere anche in quest'Aula.
Lo scandalo vero, la vergogna vera di questo Paese è che vi sono solo 200 mila contribuenti sopra i 120 mila euro lordi; vi sono, inoltre, milioni di auto di grande cilindrata e milioni di barche! E per fortuna, aggiungo io, perché vuol dire che è un Paese che presenta fasce di ricchezza accanto a quelle di povertà e quindi non è ridotto in modo tale da non potersi permettere le condizioni che chiediamo e noi chiediamo uno sforzo nei confronti di determinati contribuenti.
Ci si è obiettato: ma lo chiedete proprio a quelli che pagano le tasse e non ai furbi che non le pagano? È una giusta obiezione; tuttavia, per chiedere a chi non paga le tasse dovremmo condurre una vera e propria lotta all'evasione fiscale ed inserire una norma ad esempio per prelevare 500 milioni di euro dalla lotta all'evasione fiscale, ma ci avrebbero fornito una risposta del tipo: siete demagoghi, i soliti a proporre che tali fondi si prelevino dall'evasione fiscale!
Noi, invece, siamo stati più seri: siamo convinti che dalla lotta all'evasione fiscale bisognerebbe prendere altro che 500 milioni! Piuttosto miliardi, se è vero come tutti affermano, anche il Ministero, che si stima una cifra di 100,120 miliardi di euro di evasione fiscale. Basterebbe il 10 per cento per coprire tutto quello che qui si chiede, ma poiché per questo c'è bisogno di tempo pensiamo che sia più serio esplicitare una proposta con queste condizioni.
Abbiamo la netta impressione che il Governo, che si era presentato all'elettorato, dicendo che avrebbe diminuito le tasse, in effetti non le diminuisce o meglio le diminuisce in un solo modo: strizzando l'occhio a chi si può permettere di non pagarle o a chi le può evadere e così le diminuisce di fatto, dando un segnale a determinati soggetti, togliendo la tracciabilità ed eliminando tutto quello che faticosamente era stato stabilito dal precedente Governo e che era impopolare, e non a caso si è pagato.
Se si danno segnali di lassismo, si pone in essere un'operazione di diminuzione delle tasse, senza attuarla, per i furbi che possono farlo.
Detto questo e tornando alla proposta, essa è chiara ed esplicita e serve ad una fascia della popolazione italiana che in questo momento sta pagando il prezzo maggiore della crisi, cioè la fascia di povertà. Noi vogliamo fornirgli una risposta esplicita; è possibile farlo e, allora, non si capisce il «no»; non si capisce perché questo atteggiamento di chiusura in voi stessi e mi riferisco al Governo e alla maggioranza; vi è una sorta di autosufficienza incredibile, quasi da gloriarsi da eroi, come è stato detto nel congresso del Popolo della Libertà, da eroi dei due mondi.
Ma quali eroi, se, di fronte a chi perde il posto del lavoro, non fate niente; se, di fronte alla proposta di venire incontro alle fasce di povertà, si dice «no»? Dov'è l'eroismo? È una bella frase che si usa in maniera propagandistica e che può avere anche efficacia nella propaganda e tra le persone, ma che non ha conseguenze reali.
Anche gli strumenti nuovi che si potrebbero usare per fronteggiare sia la disoccupazione sia la povertà non vengono alimentati con questo decreto-legge, mentre lo si potrebbe fare.
Altri Paesi, la Germania innanzi tutto, stanno usando uno strumento importante come i contratti di solidarietà, ossia quelli volti ad evitare che la gente esca dal ciclo produttivo, distribuendo il lavoro, che è diminuito, tra tutte le persone, diminuendo, sulla base del principio di solidarietà, il salario ai lavoratori, nonché facendo partecipare le imprese e anche lo Stato a questo sforzo, quindi dividendo per tre lo sforzo che si deve fare per fronteggiare una situazione di tale natura.
Ebbene, il fondo per i contratti di solidarietà esiste in questo Paese dal 1984 e gli altri Paesi ce lo hanno copiato (si critica sempre tutto quello che accade in questo Paese; eppure, noi abbiamo questo istituto dal 1984).
Ahimè, questo istituto è coperto quest'anno con soli cinque milioni. Ciò significa Pag. 12che, se si vuole fare un qualsiasi accordo (e già sono stati siglati nel nostro Paese 190 accordi di solidarietà) o se si vogliono incentivare, non vi sono soldi. Si legge oggi sui giornali che il Governo sta provvedendo e che porterà i 5 milioni a 35 milioni già in questo decreto-legge. Questo finora non si è visto e lo stesso relatore non ne ha parlato. Non so se nei prossimi giorni o nel corso di questo iter parlamentare ciò avverrà. Lo auspico, perché sarebbe anche questa una risposta.
La terza questione che abbiamo sollevato, in maniera forte, è quella della possibilità, per i comuni, di aprire dei cantieri che diano lavoro. Ritornerò in seguito su tale argomento, nella parte finale del mio intervento, parlando delle cosiddette mega opere. Intanto vi è un problema che riguarda le piccole opere, quelle che servono immediatamente per la vita delle persone, dalla sicurezza delle scuola ai manti stradali e a tutto quello che serve nella vita quotidiana e che i comuni, in questo momento, non possono fare, perché, attraverso il patto di stabilità e la sua interpretazione che è stata data dal Governo, non possono spendere soldi e, quindi, non possono investire.
Abbiamo svolto una battaglia, in quest'Aula, attraverso una mozione che il Governo ha accettato e che la maggioranza ha approvato. Tuttavia, quando si è trattato di passare dall'impostazione generale alla concretezza, se non ho sentito male, anche il relatore, questa mattina, ci ha confermato che la disponibilità effettiva è pari a 150 milioni di euro. Insomma, la grande montagna ha partorito il topolino! Se le cose sono quelle dette, non è possibile pensare che si dia una risposta sulla rimessa in moto dell'economia (anche con iniziative parziali che diano la possibilità a comuni e province di mettere in moto i cantieri), se tutto ciò si limita ad una cifra pari a 150 milioni di euro. Penso che vi sia proprio una spaccatura, una differenza fondamentale.
Ho parlato qui di tre proposte. Si poteva dire «sì» a tutte e tre perché erano tutte coperte e non avevano bisogno di niente. Ma è una questione di volontà politica. Se si vuole affrontare la crisi, nelle sue conseguenze, e la si vuole superare, per uscirne il più presto possibile, bisogna fare cose diverse da quelle che il Governo ha fatto finora e da quelle che, con questo decreto-legge, si fanno perché esse sono assolutamente insufficienti e insoddisfacenti.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Vorrei parlare ancora per tre minuti. Pertanto, credo che una riflessione attenta che il Governo dovrebbe fare dovrebbe portarci a questa valutazione.
Dopo aver detto questo, passo alla mia considerazione finale. Di fronte a tutto ciò, le attività parziali contenute in questo decreto-legge sapete come sono coperte? Esse sono coperte con i fondi della legge n. 488 del 1992, che servivano alle imprese che investivano nel Mezzogiorno e con il famoso FAS, il Fondo per le aree sottoutilizzate, quindi anch'esse con soldi delle aree deboli del Paese. Siamo, dunque, al paradosso. Nel momento il cui esplode la crisi, anche a causa di una cattiva distribuzione della ricchezza, la logica vorrebbe di ripartire dai ceti deboli - e le nostre proposte fanno questo - e dalle zone deboli, per fare in modo che si superi la crisi e se ne esca positivamente. Questo Governo fa l'esatto contrario. Non affronta il problema dei ceti deboli - e l'ho spiegato - né affronta il problema delle zone deboli, anzi, usa i soldi delle zone deboli per coprire ciò che riguarda tutto il Paese, ossia fa un'operazione di trasferimento della ricchezza al contrario, un'operazione non solo inaccettabile e sbagliata ma anche destinata a produrre effetti devastanti sulla condizione del Paese, perché è inutile pensare che tutto questo poi non avrà conseguenze, quando si privano intere aree di infrastrutture e si deteriorano le condizioni di vita. Si tratta delle condizioni che conosciamo e che viviamo ogni giorno e che portano alle differenze, all'allungamento delle distanze e ad una condizione di invivibilità. Qui sta la vera sfida, badate bene! Pag. 13
Bisogna ripartire da queste condizioni, dai ceti deboli e dalle zone deboli. Così si può dare una risposta alle conseguenze della crisi e uscirne in positivo. Se il massimo che riuscite ad esprimere è che si aprono cantieri per opere piccole ed il massimo che riuscite a dare al Paese nel Mezzogiorno è il ponte sullo stretto (che si farà tra vent'anni, se si farà), quindi, nell'immediato, nulla, si compie un errore non solo antimeridionale, ma anti-italiano, perché il Paese lo si riunisce se si affrontano questi problemi.
La Germania e la Spagna lo hanno fatto; l'Italia deve farlo, se vuole avere una prospettiva vera di una risposta immediata alla crisi e puntare ad un Paese più unito che si sviluppa tutto e che sia in grado di competere in Europa e nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.
CARLO MONAI. Signor Presidente, l'Italia dei Valori ha seguito con interesse e con viva partecipazione il lavoro che nelle Commissioni VI e X si è svolto in queste ultime settimane per cercare di dare un contributo laico e migliorativo a questo approccio congiunturale della crisi che ha messo a nudo a livello planetario la criticità di certe politiche economiche improntate ad un eccessivo liberalismo e ad una deregulation dei mercati finanziari che, in qualche modo, il Governo italiano ha cercato di contrastare. Lo ha fatto, però, a nostro giudizio, con una manovra frammentata, disarticolata e senza una regia d'insieme anche in questo provvedimento anti-crisi e con una certa mancanza di tempestività rispetto a quello che è stato fatto negli altri Paesi europei e negli Stati Uniti d'America.
Il mercato dell'auto anche da noi è un mercato strategico non solo per il suo fatturato, di per sé, ma anche per tutto l'indotto e la componentistica che questo settore determina. Eppure, questo provvedimento ha tardato ad arrivare e quando è arrivato ha dato una risposta, anche in questo caso, che secondo noi non è sufficiente e dimentica tutto un settore produttivo manifatturiero che ha ricevuto risposte solo parziali e più di facciata che sostanziali.
Mi riferisco, in particolare, al settore dell'arredamento e dei mobili che, soprattutto in alcuni territori della nostra Italia, è particolarmente radicato. Provengo dal Friuli Venezia Giulia e sappiamo quanto questa regione abbia nel settore dell'arredamento e della distrettualistica del mobile e della sedia le sue punte di diamante; eppure, questi settori sono stati poco presi in considerazione, se è vero come è vero che gli incentivi previsti da questo provvedimento sono legati a dati cronologici e presupposti di fatto molto residuali.
Infatti, la detrazione del 20 per cento nella misura massima di diecimila euro ripartita in cinque annualità è prevista per l'acquisto di mobili, elettrodomestici ecosostenibili, apparecchi televisivi e computer, però solo se finalizzati all'arredo di un immobile per il quale siano stati effettuati, a partire dal primo luglio 2008, interventi di ristrutturazione edilizia secondo le procedure che consentono la detrazione IRPEF del 36 per cento delle spese sostenute.
Da questo punto di vista, quindi, la normativa è anche un po' discriminatoria, in quanto non si capisce per quale ragione si vogliono agevolare gli acquisti di questi mobili solo per coloro che hanno risorse sufficienti per ristrutturare un immobile di loro proprietà e non si pensi invece a tutta una platea di potenziali beneficiari che, magari, non hanno i soldi per acquistare una casa o per ristrutturarla, ma che hanno necessità di rinnovare l'arredamento, di rinnovare le dotazioni degli elettrodomestici di casa e che, quindi, avrebbero potuto accedere a questi benefici con un impatto molto più importante e significativo nella logica di uscire dalla crisi che attanaglia le famiglie e che enfatizza e divarica le fasce del Paese dal punto di vista economico. Oggi, chi è più ricco non subisce più di tanto la crisi, mentre chi è povero, o la classe media, Pag. 14subisce la crisi in maniera incisiva e si amplia il divario tra chi ha tanto e chi ha poco.
Inoltre, tutto il sistema delle piccole e medie imprese rimane sfiorato da questo provvedimento che ha come destinatario il grosso cluster dell'industria metalmeccanica pesante e dell'industria metalmeccanica dell'automobile, mentre - come dicevo - c'è tutto un settore delle piccole e medie imprese manifatturiero riguardante - come diceva l'amico e collega Lulli in Commissione - il tessile e il settore dell'arredamento che in questo modo vengono toccati solo in maniera residuale ed enunciativa, piuttosto che concreta.
Voglio anche rimarcare come il Governo e la maggioranza siano rimasti purtroppo sordi alle proposte emendative che avevamo suggerito nelle Commissioni, proprio nel tentativo di colmare queste lacune e di rendere questa disciplina meno discriminatoria e più ragionevole. Vedo anche, alla luce del parere che è stato espresso dalla VIII Commissione permanente, che molte delle nostre ipotesi di lavoro sono state fatte proprie dalla stessa Commissione.
In particolare, per esempio, il tema della dell'incentivo ai filtri antiparticolato: noi avevamo proposto che questi filtri fossero necessariamente a corredo degli acquisti delle automobili ecocompatibili a cui sono destinati gli incentivi, ma questa previsione non è stata recepita. Oppure avevamo proposto che ci fossero degli stimoli agli enti locali ad incentivare con opportune premialità la circolazione pubblica e privata nei centri cittadini dei veicoli a basso contenuto di emissioni inquinanti; anche qui il nostro partito aveva supportato un'ipotesi di ampliamento dei fondi destinati alla mobilità sostenibile che, voglio ricordarlo, sono fondi dedicati agli enti locali che possono in qualche modo programmare e progettare degli interventi di maggiore sostenibilità ambientale dei trasporti pubblici, ad esempio con il car sharing o con la ciclabilità delle città. Il Governo ha risposto annunciando semplicemente una generica disponibilità a recepire un ordine del giorno su questo tema.
Oppure, ancora, le Commissioni di merito invitavano ad estendere le agevolazioni per l'acquisto di mobili e di elettrodomestici anche ai casi di acquisto di una prima abitazione per uso residenziale, quindi anche nel caso in cui non fosse sottoposta a ristrutturazione edilizia; un analogo provvedimento era stato ipotizzato dal nostro partito, ma anche qui senza che questa ipotesi fosse condivisa.
Continuo ancora: la ragionevolezza vorrebbe che, anche nella logica di rispondere agli obiettivi di Kyoto e alle sollecitazioni dell'Unione europea, l'ammodernamento del parco degli elettrodomestici ad alta efficienza energetica avesse molto più ragion d'essere se consentito in termini generali ed astratti a tutte le famiglie che intendano spendere i loro risparmi per questo tipo di beni di consumo durevoli.
Viceversa, anche per quanto concerne questo aspetto, la previsione lega l'incentivo solo ai fortunati proprietari di casa che abbiano anche speso i loro denari per ristrutturarla e a queste sole condizioni è previsto tale incentivo fiscale. Quindi, si tratta di un provvedimento che cerca di dare una risposta che però è scostante, parziale e, secondo noi, ben difficilmente ci consentirà di favorire un momento di rilancio rispetto a questa stagnazione, anzi, a questa regressione dell'economia che anche in Italia si fa sentire in maniera molto pesante.
Altri provvedimenti sui quali ci siamo confrontati erano quelli relativi al Patto di stabilità. Anche riguardo a questo tema, dopo la discussione che abbiamo svolto in quest'Aula sulla proposta di più forze politiche tesa a derogare al Patto di stabilità, quanto meno per quegli investimenti infrastrutturali che nelle economie stagnanti possono rappresentare dei meccanismi provvidenziali per ridare fiato ad un'economia dormiente e per coniugare l'aspetto della spesa con quello della sua utilità e della sua concretezza di investimento in opere pubbliche e in strutture utili alla comunità, sembrava che ci fosse Pag. 15spazio, anche in Commissione, affinché il Governo potesse in qualche modo recepire queste indicazioni, come aveva fatto formalmente e nominativamente in Aula.
Tuttavia, come è stato già detto dal collega D'Antoni, l'intervento poi è stato annichilito da una previsione che riguarda esclusivamente le spese degli enti locali realizzate negli assi «adattabilità/occupabilità» in materia di ammortizzatori sociali, che certamente è significativa, o per interventi di carattere sociale a favore dei lavoratori e delle imprese. Certo è, però, che il Fondo è ben poca cosa (solo 150 milioni di euro) e che le condizioni di accesso a questa deroga sono altrettanto limitate, perché riguardano solo quegli enti locali che abbiano garantito il rispetto del Patto di stabilità in passato e che abbiano una certa virtuosità nella gestione delle risorse. In situazioni di crisi come quella che stiamo attraversando, però, una maggiore incentivazione rispetto a quelle realtà locali che possono disporre di risorse economiche, ma che non possono spenderle per i vincoli del Patto di stabilità, avrebbe dovuto, a nostro giudizio, trovare un atteggiamento più coraggioso, più forte da parte della maggioranza e del Governo, teso, come si era del resto orientata anche l'Aula, a garantire che questi soldi potessero essere spesi in infrastrutture e, quindi, in un circuito virtuoso che rialimenti la spesa e i consumi.
Le altre norme sulle quali abbiamo inutilmente cercato di richiamare l'attenzione del Governo erano quelle relative al grave tema della solvibilità dei pagamenti per le pubbliche forniture da parte della pubblica amministrazione. Avevamo ipotizzato il rimpinguamento di un Fondo affidato alla Cassa depositi e prestiti che potesse in qualche modo rendere più certo e più diretto il pagamento dei fornitori di tutte le pubbliche amministrazioni. Questo, come voi sapete, in Italia è un aspetto molto distorsivo della competizione europea, atteso che il nostro Paese è molto arretrato nei pagamenti dei propri creditori.
Anche questa previsione non ha trovato risposte significative. Si tratta, quindi, di un provvedimento che ha visto un approccio molto sterile dal un punto di vista di tutti i possibili suggerimenti e le possibili capacità di migliorarne l'impianto e anche un atteggiamento contrario alla formale presa di posizione del Governo in occasione della discussione svoltasi in Aula sulla deroga al Patto di stabilità.
Si è piuttosto cercato di assecondare alcune richieste provenienti dalla Lega Nord che di per sé potevano essere anche condivisibili. Mi riferisco alle previsioni che condizionano la concedibilità degli incentivi al divieto di delocalizzare per tre anni per le imprese che ne beneficiano, anche se questa norma che dovrebbe garantire il tessuto imprenditoriale e i livelli occupazionali del nostro Paese paradossalmente rischia di tradursi in una sorta di ghigliottina per il provvedimento stesso, ovvero in una sorta di norma suicida. Su questa proposta emendativa della Lega Nord anche in Commissione si era avuta una vivace discussione che alla fine aveva portato anche il Governo a mutare atteggiamento. Inizialmente si era suggerita una sorta di condizione di preventiva autorizzazione comunitaria all'efficacia della norma stessa, ma le vivaci, ragionate e documentate critiche in Commissione avevano poi indotto il Governo ad esprimere parere contrario all'approvazione di questo emendamento passato in maniera fortunosa con il voto della maggioranza, anche se molti commissari sono stati un po' titubanti e imbarazzati.
Eppure questa norma prevede che gli incentivi alla rottamazione, colonna portante di questo provvedimento (o quelli per l'acquisto di mobili e di elettrodomestici, computer e televisioni) siano condizionati alla previsione del divieto di delocalizzare. La conseguenza paradossale è che questo provvedimento è già operativo dai primi di febbraio e vede già i consumatori rivolgersi al mercato dell'auto o a quello dell'arredamento per acquistare con gli incentivi i nuovi veicoli, ma non si sa bene quali saranno le sorti di questi incentivi. Infatti, temo che ben difficilmente la Comunità europea consentirà una simile previsione, perché in qualche Pag. 16modo è contraria al principio del libero mercato e della libertà di stabilimento, ovvero elementi quasi coessenziali al libero mercato europeo.
Quindi, se questa autorizzazione non dovesse esserci, cosa succederà di questi incentivi? Verranno comunque mantenuti con la conseguenza che questa norma rimarrà, come pare sia, un mero slogan di natura politica? Oppure nel momento in cui le imprese italiane (perché ovviamente questa norma può essere solo imperativa per queste imprese) dovessero essere vincolate a non delocalizzare, quali saranno le conseguenze negative rispetto alle concorrenti imprese straniere che questa norma non devono rispettare e che si troveranno quindi agevolate nella concorrenza rispetto alle nostre industrie italiane?
Questo modo di legiferare ci ha lasciato molto perplessi proprio perché introduce dei meccanismi estemporanei legati più che altro ad una sorta di volontà di affermazione di principi cari alla Lega Nord e senza che su queste norme, spesso, vi siano approfondimenti tecnico normativi adeguati e responsabili, come in qualche modo il Governo, sia pure in extremis, aveva tentato di favorire chiedendo il rigetto di questo emendamento.
Certo è che, in questo modo, non abbiamo lavorato; abbiamo, viceversa, lavorato senza considerare tutto il comparto del tessile, senza considerare che vi sono fasce sociali che non sono allo stremo della povertà, e quindi destinatarie della social card, ma che oggi patiscono gli effetti della crisi e alle quali questo provvedimento non dà risposte o dà risposte insignificanti.
Dal punto di vista operativo, le proposte dell'opposizione c'erano; erano anche proposte coraggiose, non populiste. Quando si parla di tassare i redditi alti, vi è comunque una fascia della nostra popolazione che certamente storcerà il naso, che certamente guarderà a questa misura con sospetto e con diffidenza, ma, di fronte ad una crisi congiunturale pesante, e forse non solo congiunturale, ma strutturale, così diffusa, vi sarebbe stato bisogno anche di un approccio più responsabile da parte del Governo rispetto a questo tema, che è stato supportato dal segretario del Partito Democratico, Franceschini. Tale questione avrebbe dovuto, credo, trovare maggiore considerazione o, quanto meno, il Governo avrebbe dovuto individuare delle soluzioni alternative che consentissero di dare risposta a tutte queste famiglie, che, ancora oggi, rimangono alla finestra e che, magari, non hanno neppure i soldi per comprarsi un'automobile nuova, ancorché con l'incentivo statale, e men che meno avranno i soldi per comprare casa e ristrutturarla, per poter poi beneficiare degli incentivi per l'acquisto degli arredi o degli elettrodomestici.
Vi è questa amara considerazione: al di là del fatto che il Governo abbia agito male e tardivamente e non abbia avuto disponibilità al confronto, mi auguro che, almeno in quest'Aula, le proposte dell'opposizione siano condivise, non perché siano dell'opposizione, ma perché su molte di esse troviamo anche, come ho ricordato, il parere favorevole delle Commissioni. Vi è, quindi, una condivisione anche da parte della maggioranza, almeno all'interno delle Commissioni di merito, su molte delle nostre proposte.
Se, viceversa, alla fine ci troveremo, come ci siamo già trovati in Commissione, di fronte al rifiuto ostinato e preconcetto di tutte le proposte emendative dell'opposizione, perché vengono dall'opposizione, penso che questo sia l'elemento più eloquente che smentisce, in maniera netta, queste euforiche e trionfalistiche aspirazioni del PdL, che, qualche giorno fa, si è battezzato come il «partito della speranza». Potrà esserlo se vi è effettivamente la volontà di sedersi attorno ad un tavolo, lavorando con tutte le voci che, in qualche modo, sono ugualmente motivate a risollevare questo Paese dalla crisi. Se questo sarà - ma fino ad oggi non è stato - allora la speranza sarà un elemento concreto e di uscita dignitosa da questo momento.
Se, viceversa, il partito della speranza rimane il partito dell'ultima dea, sapete che gli uomini di buona volontà, prima di affidarsi alla speranza, devono avere il Pag. 17coraggio, la dignità e la responsabilità di rimboccarsi le maniche e di trovare, con l'intelligenza e con la condivisione, le comode o scomode uscite da questo tunnel, di cui ancora oggi non si vede la luce.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vignali. Ne ha facoltà.
RAFFAELLO VIGNALI. Signor Presidente, prima di svolgere il mio intervento vorrei ricordare brevemente la scomparsa del sottosegretario allo sviluppo economico, senatore Ugo Martinat, che è scomparso sabato scorso e che è stato parlamentare di lungo corso, fin dall'VIII legislatura.
L'ho conosciuto solo negli ultimi mesi, nell'arco di questa legislatura, durante la quale abbiamo avuto anche l'occasione di lavorare insieme.
In questi pochi mesi, però, sono riuscito ad apprezzare la sua competenza e la sua concretezza, la sua capacità di ascolto, la generosità anche nel dare consigli a me neoparlamentare come ad altri, e un'attenzione ai problemi delle imprese senza ipocrisie e senza infingimenti; e per questo, sinceramente commosso, vorrei esprimere la mia vicinanza - parlo anche a nome dei colleghi della X Commissione - ai suoi familiari.
Questa crisi è nata altrove, anche se oggi fa sentire i suoi effetti, di cui, come è stato detto giustamente, come tutti sono concordi nell'affermare, non vediamo ancora la fine. Credo che il Governo in questi mesi abbia agito con prudenza, e una prudenza necessaria, sia in considerazione del nostro debito pubblico (aumentarlo significherebbe gravare ulteriormente sulle giovani generazioni, questo non va dimenticato), ma anche per realismo: bruciare anzitempo le risorse, poche, che abbiamo a disposizione non sapendo ancora quali saranno i confini di questa crisi, sarebbe stato assolutamente un atteggiamento irresponsabile; apprezzo quindi invece che si segua la situazione giorno per giorno, come si fa, e si intervenga in modo mirato laddove si vedono dei problemi. E così, dopo aver messo in salvo le banche, che è stato necessario per evitare effetti devastanti sull'economia e sulle nostre famiglie, si è intervenuto sulle famiglie stesse, si è intervenuti sugli ammortizzatori sociali, si è intervenuti per assicurare la continuità del credito alle imprese, si sono rilanciati gli interventi infrastrutturali già previsti anche dai Governi precedenti, con la recente delibera del CIPE. E nell'attesa del Piano casa, che servirà a rilanciare l'edilizia (provvedimento al quale si sta lavorando con le regioni, intervenendo quindi su un bene proprio della famiglia), si sta facendo un intervento ad ampio spettro, che è quello che credo serva: sarebbe sbagliato intervenire solo in modo mirato su alcuni settori. Bisogna tener conto di tutto: delle imprese, delle famiglie, delle persone, dei lavoratori.
Anche perché noi, a differenza di altri Paesi, non possiamo spostare il debito privato sul debito pubblico: per fortuna siamo un Paese con un basso debito privato e con invece, purtroppo, un altissimo debito pubblico; se però guardiamo al debito aggregato, cioè la somma di debito privato e debito pubblico, siamo messi meglio degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e siamo vicini alla Francia e alla Germania, i grandi Paesi con cui ci confrontiamo. Credo quindi che questo del Piano casa, quando vedrà la luce, potrà essere un ulteriore strumento per mettere in campo risorse private che ci sono, che possono dare un impulso non solo all'edilizia evidentemente in senso stretto, ma a tutta la filiera dell'edilizia, che è una filiera molto grande, anche perché siamo un Paese che produce tutto.
Il decreto-legge in esame interviene su tanti aspetti: interviene sulla filiera dell'auto, sulla filiera della moto (non bisogna dimenticare che siamo i primi produttori europei da questo punto di vista), sulla filiera degli elettrodomestici, sulla filiera del mobile e dell'arredo: aver vincolato la filiera del mobile e dell'arredo agli incentivi previsti per le ristrutturazioni rappresenta esattamente un tentativo per muovere anche tutta la filiera edilizia. E - parlo soprattutto per auto e moto, che è Pag. 18un settore che conosco meglio - gli effetti si vedono già: vi è una ripresa degli ordinativi delle auto, vi è una ripresa degli ordinativi delle moto.
In Commissione poi si è intervenuti - anche, bisogna riconoscerlo, su proposta del Partito Democratico, in particolare per l'insistenza meritoria del collega Lulli - sulla filiera del tessile e dell'abbigliamento, che soffre di una crisi che non è però legata a questa contingenza di crisi globale, ma ad una crisi che viene da ben più lontano: è una crisi che data da almeno dieci anni, e sulla quale comunque è giusto intervenire.
Il decreto-legge in esame dunque interviene sulle principali filiere produttive del nostro Paese, soprattutto sulle filiere legate ai beni durevoli che sono quelle più in difficoltà: i consumi immediati non registrano infatti un calo, eccezion fatta - ripeto - per il tessile, quanto i beni durevoli, e ciò dimostra evidentemente che in questa crisi è presente anche una componente di freno psicologico.
Intervenire su queste filiere significa anche intervenire sulle migliori imprese italiane, ossia su quelle imprese che in questi anni della globalizzazione hanno innovato, non hanno delocalizzato in modo selvaggio, si sono invece internazionalizzate ed hanno compiuto uno sforzo enorme ma che oggi, paradossalmente, sono più in difficoltà. Questo decreto-legge interviene in un sostegno reale alla filiera. Interviene anche sulla fiscalità di distretto (e credo che questa sia una battaglia comune agli schieramenti), sulle aggregazioni di impresa. Nelle Commissioni tra l'altro oltre al tessile - come è stato giustamente ricordato dal nostro relatore, l'onorevole Milanese - sono stati previsti altri interventi molto ampi: il fondo di garanzia, la norma sul pagamento dei fornitori (che costituisce un altro dei problemi che riguarda oggi le imprese in ordine alla questione della liquidità, che rappresenta il bene più scarso), il Patto di stabilità per i comuni (anche andando oltre semplicemente le prime proposte che riguardavano solo la sicurezza, per consentire loro di intervenire anche sul fronte sociale), le norme, infine, per accelerare l'erogazione degli ammortizzatori sociali, che ritengo siano assolutamente positive (esse non erano all'inizio contenute in questo decreto-legge e credo che sia stato saggio inserirle, perché evidentemente le persone e le piccole imprese che si trovano oggi più in difficoltà debbono poter avere risposte veloci).
Vorrei svolgere in conclusione però alcune osservazioni anche sul metodo seguito dal Governo. Vi sono modi diversi di intendere l'intervento pubblico: vi è un modo intrusivo, vi è un modo permanente, ossia di presenza dell'intervento statale nel lungo periodo, vi è un'impostazione culturalmente statalista che trova il suo riferimento nel modello neokeynesiano.
Da questo punto di vista, rispetto alla proposta del Partito Democratico del cosiddetto contributo di solidarietà ritengo che vada svolta qualche riflessione. La prima è che, intanto, forse varrebbe la pena di chiamarlo con il suo nome: non è un contributo - dal momento che a scuola mi insegnavano che i contributi sono volontari - almeno chiamiamolo tassa, quale è nella proposta. Come secondo aspetto, teniamo presente che quei redditi che si andrebbero a colpire sono per la stragrande maggioranza di lavoratori dipendenti e, in qualche caso, anche di lavoratori dipendenti con famiglie numerose. Un altro aspetto da tenere presente è che così andiamo a colpire in ogni caso redditi di soggetti che - ed è il caso dei piccoli imprenditori - trovano già le aziende enormemente tassate e che nelle prossime dichiarazioni dei redditi troveranno altre sorprese (in ragione degli interventi stabiliti con la penultima finanziaria che arrivano oggi ad effetto). È vero che si registra un relativo, modesto abbassamento delle aliquote, ma ciò a fronte di un allargamento consistente della base imponibile, compresa l'indeducibilità al 70 per cento degli oneri finanziari. Abbiamo pertanto il paradosso che gli oneri finanziari, e cioè gli interessi che le imprese pagano alle banche, risultano da un punto di vista fiscale come dei redditi e come tali vengono tassati, in un momento in cui cala il Pag. 19fatturato ma aumenta l'esposizione verso le banche: ciò provoca un mix mortale ed avremo tante e piccole imprese che si ritrovano con una tassazione superiore al 90 per cento. Non so cosa possiamo portargli via ancora: forse è ora di abbassare le tasse - e credo che questo sarebbe anche il miglior contributo per la lotta all'evasione - piuttosto che aumentarle!
L'altra modalità consiste, invece, in un intervento contingente, mirato a situazioni che cambiano. In un momento di difficoltà, quindi, è giusto che lo Stato intervenga, ma si è deciso, in questo caso, di intervenire secondo una cultura sussidiaria, di intervenire, ad esempio, sulla domanda e non sull'offerta. Non si è deciso di dare i soldi alle case automobilistiche, o a quelle che producono moto, o alle imprese che producono mobili od elettrodomestici; si finanzia la domanda non l'offerta, si finanziano i consumatori e si sostiene la domanda. Questo è un principio di sussidiarietà che trova nell'economia sociale di mercato il suo riferimento, e il nostro Governo, i Ministri Scajola e Tremonti, in questo caso, hanno seguito questo modello. Per questa maggioranza il fulcro, e il motore, dell'economia sono le persone, la loro libertà e la loro responsabilità. È nelle persone, nella loro energia, nella loro passione per il lavoro e l'intrapresa, nella loro responsabilità sociale e anche nella loro solidarietà, che si basa l'economia.
Conosco tantissimi imprenditori che, anche in questo momento, pur di non licenziare mettono soldi loro, pur di aiutare dipendenti che hanno difficoltà, li sostengono materialmente e personalmente; e sono tanti, più che di quello che si pensi. È in questa energia delle persone che noi troveremo la forza per uscire presto, e bene, da questa crisi. Le energie per la ripresa stanno qui, non stanno nel bilancio dello Stato. Non sono così stupido da voler negare l'utilità dell'intervento pubblico, lo ripeto: si tratta di risorse che servono, sono una condizione necessaria, in questa fase, ma non sono una condizione sufficiente.
Per noi l'economia, appunto, non è una parte di un universo matematico-meccanico. L'attività economica non è composta semplicemente dagli aggregati, investimenti e consumi, e tanto meno, le persone non sono una mera unità sociale di consumo, ma sono gli attori veri dell'economia.
Non siamo a un convegno e quindi fermo qui le riflessioni, anche se sarebbe interessante fare qualche osservazione al riguardo. Infatti credo che questa concezione dell'economia, ridotta ad un universo matematico e meccanico (che era la critica che Röpke, uno dei padri dell'economia sociale di mercato, faceva nel 1963 a Keynes), rappresenti lo stesso fondamento teorico che poi ha portato a quelle condizioni che hanno generato questa crisi. In fondo certe politiche statunitensi sulla casa e sulle banche rispondono a questa logica. Se questo è vero, credo che facciano bene il Governo e la maggioranza a non utilizzare, per la cura della crisi, dei rimedi che siano della stessa natura dei mali.
Mi auguro - concludo - che nel dibattito qui alla Camera possano essere accolti dal Governo ulteriori suggerimenti utili a migliorare questo testo, come ci sono stati in Commissione, sulla base delle proposte dei parlamentari di maggioranza e di minoranza, perché credo che il nemico qui non sia l'altra parte politica, ma che il nemico comune sia rappresentato dalla crisi. Mi auguro anche che i tempi ristretti che oggettivamente abbiamo a disposizione per la conversione in legge vedano prevalere in tutti - lo sottolineo - il senso di responsabilità verso il Paese e la sua economia rispetto alla ricerca di un consenso effimero.
PRESIDENTE. Onorevole Vignali, la Presidenza si unisce al ricordo dell'onorevole Martinat, al quale sicuramente sarà dedicato un altro momento della seduta, ma non volevo che il suo intervento restasse senza una risonanza da parte mia.
Colleghi, per dare ordine ai nostri lavori, preannuncio che la seduta antimeridiana proseguirà fino alle 13,45 circa. In Pag. 20base alla durata degli interventi degli iscritti a parlare, penso che sicuramente potranno intervenire l'onorevole Scarpetti e l'onorevole Anna Teresa Formisano e forse anche l'onorevole Polidori. Dipende - lo ripeto - dal tempo dell'intervento di ciascuno. I lavori riprenderanno poi alle 15.
Sospendo ora brevemente la seduta per un'interruzione tecnica.
La seduta, sospesa alle 12,35, è ripresa alle 12,50.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scarpetti. Ne ha facoltà.
LIDO SCARPETTI. Signor Presidente, il provvedimento in esame, che prevede misure di sostegno ai settori in crisi e che nell'ambito della discussione svolta nelle Commissioni riunite ha visto fra l'altro, oltre ad un confronto importante e significativo, anche l'accoglimento di alcune proposte avanzate dall'opposizione (in buona parte del Partito Democratico), deve essere valutato misurandolo al fatto se sia adeguato o no, se costituisca una risposta adeguata o meno rispetto alla gravità della crisi ed agli effetti drammatici che ormai dal punto di vista sociale e industriale la crisi sta producendo.
In questi giorni abbiamo sentito proporre soluzioni singolari, immagino frutto di un discorso più da bar che di sostanza, in cui, oltre all'iniezione e all'infusione di ottimismo, si diceva che due ingredienti potrebbero essere importanti per il superamento della crisi: la fantasia degli imprenditori (si è detto: gli imprenditori si facciano venire delle idee per affrontare la crisi) e l'invito, per i lavoratori che perdono il posto di lavoro, affinché si diano da fare, non stiano con le mani in mano e cerchino di trovare soluzioni. Naturalmente è sempre utile non lasciarsi andare all'autocommiserazione e mettere la buona volontà, ma non so se queste indicazioni siano di per sé sufficienti a risolvere i problemi, così come valutando il provvedimento in esame rispetto alla crisi che stiamo attraversando non possiamo dire che sia né adeguato né sufficiente al bisogno.
Proprio in questi giorni i dati ci dicono dell'andamento della nostra economia. I dati ISTAT parlano da soli: a gennaio gli ordinativi hanno fatto registrare un segno negativo del 31,3 per cento rispetto a dodici mesi prima (rispetto a dicembre, quindi in un solo mese, la contrazione è del 2,1 per cento); stessa sorte anche per quanto riguarda il fatturato, che è sceso su base annua di circa il 20 per cento (2,1 per cento in meno rispetto a dicembre). Le previsioni OCSE per il 2009 sono di una contrazione del prodotto interno lordo del 4,2 per cento; le stime di Confindustria si attestano sul 3,5 per cento, ma sono comunque ben al di sopra delle prime previsioni, che si attestavano attorno al 2 per cento, più o meno in linea con la media dei Paesi dell'Eurozona.
Non so se rispetto a questi dati bastino fantasia e volontà per recuperare o se invece, come abbiamo sostenuto e come continuiamo a sostenere, siano necessari strumenti e risorse di sostegno, una vera riforma anche degli ammortizzatori sociali, che sostengano tutte le categorie produttive e i lavoratori che perdono il posto di lavoro.
Sicuramente quello della liquidità e del credito per le piccole imprese e per le microimprese è uno strumento importante. In sede di discussione abbiamo avanzato proposte concrete, che vanno nella direzione di dare ossigeno alle piccole e piccolissime imprese: dal consolidamento della ristrutturazione del debito con garanzie dello Stato, allo slittamento a novembre del 20 per cento dell'acconto.
Rispetto alle proposte che avevamo avanzato, che, naturalmente, in parte comportano un aumento di spesa, le motivazioni ricorrenti sono sempre state quelle relative alla mancanza di copertura finanziaria. Riteniamo che l'obiezione in sé sia legittima e non possa essere banalizzata, tanto più che, nel passato, abbiamo fatto del rigore finanziario e del rigore dei conti la bussola del nostro modo di governare, lasciando, per la verità, anche consensi per Pag. 21la strada. Chi oggi, fra l'altro, sostiene questa posizione e questa bandiera, in passato ha operato attraverso le cartolarizzazioni e ha inventato la cosiddetta finanza creativa.
Il problema del debito è importante, ma, nello stesso tempo, dobbiamo anche interrogarci su come possano tenere i conti, senza fare politiche anticicliche di investimenti e di sostegno alla domanda e alle imprese. In altri termini, riteniamo che, se non si uscirà dalla crisi riducendo al massimo i danni sociali e quelli relativi al patrimonio industriale del Paese, non sarà neanche semplice garantire la tenuta dei conti pubblici in modo rigoroso. Infatti, se gli effetti della crisi dovessero essere devastanti, credo che dovremmo rivedere al ribasso anche le stime delle entrate, e se non sia, invece, virtuosa, mantenendo fermo l'obiettivo del rientro del debito, una politica che punti a mobilitare le risorse anche attraverso gli investimenti. Oggi, oltre agli incentivi del settore auto - che avranno anche effetti sull'indotto e, quindi, anche sulle piccole imprese, che rischiano di pagare il prezzo più pesante - sono necessarie politiche per le piccole e le microimprese, che rappresentano la grandissima parte del nostro patrimonio industriale.
Se dovessimo immaginare un'uscita dalla crisi senza tenere al massimo il nostro patrimonio industriale, dovremmo immaginare, poi, cosa succederebbe. Anche se le valutazioni sul superamento e la conclusione della crisi e sulla ripresa della crescita non sono precise (si orientano attorno al 2010), dobbiamo domandarci con quale apparato industriale arriveremo a quell'appuntamento, cioè se saremo sempre in piedi, oppure no.
Un altro aspetto importante che dobbiamo valutare, soprattutto in relazione alle piccole e medie imprese - che, come è stato detto, sono le imprese sottocapitalizzate, che in gran parte lavorano attraverso il prestito e gli istituti di credito -, è quello relativo a cosa sta accadendo nel nostro Paese nell'ambito dell'Europa a 15. Rispetto alla media dell'area dell'euro, siamo il Paese in cui i soldi costano di più rispetto agli altri Paesi, che sono anche nostri competitori. Come sappiamo, uno dei problemi della crisi, oltre a quello relativo alla domanda interna, è, soprattutto, quello relativo alle esportazioni: i nostri Paesi competitori, come Germania, Spagna e, soprattutto, Francia, hanno livelli del costo del denaro molto più bassi.
In questi giorni la camera di commercio di Mestre ci ha fornito dei dati che evidenziano come negli ultimi periodi, nonostante il buon grado di solvibilità delle industrie italiane, il volume di credito si sia sostanzialmente ridotto rispetto all'andamento degli anni precedenti e come sia notevole la forbice - che addirittura arriva a circa un punto percentuale - rispetto al costo del denaro negli altri Paesi. Ritengo che la garanzia e il sostegno agli istituti di credito sia importante, penso però che sia opportuno anche riflettere su questo, perché - come dicevo poco fa - gran parte del nostro sistema imprenditoriale e, soprattutto, la nervatura del nostro sistema imprenditoriale, che è composto da piccole e piccolissime imprese, lavora prevalentemente con denaro a prestito.
Per affrontare la crisi e per dare risposte, in particolare alle piccole imprese che forniscono prestazioni e servizi alla pubblica amministrazione, abbiamo proposto anche di allentare il vincolo sul Patto di stabilità per gli enti locali. La risposta, al di là di quanto viene sostenuto nella relazione di presentazione del provvedimento e dello sforzo che è stato compiuto, è comunque del tutto insufficiente, sia nella cifra, sia nei criteri posti alla base della possibilità di spesa.
In questi giorni il consiglio nazionale dell'ANCI esprime alcune valutazioni - tra l'altro, apprezzando anche le mozioni che sono state approvate proprio da questa Camera pochi giorni fa - chiedendo che siano sbloccati i fondi per accelerare i pagamenti delle opere già cantierate, ferme solo per esigenze di rispetto del Patto di stabilità interno, utilizzando gli avanzi per investimenti capillari sul territorio relativi a progetti esecutivi già approvati. L'ANCI ci ricorda che gli avanzi di amministrazione ammontano a circa 3,2 Pag. 22miliardi di euro e che i residui passivi ammontano a circa 15 miliardi di euro immediatamente spendibili. Stiamo parlando di cifre ragguardevoli, che rispetto ai 150 milioni di euro di cui abbiamo parlato sono sufficienti a descrivere la dimensione possibile in termini di ossigeno e di opportunità per le imprese del nostro Paese che aspettano di riscuotere e che, soprattutto, potrebbero lavorare su cantieri già aperti, fermi semplicemente perché i comuni devono rispettare il vincolo del Patto di stabilità.
Ritengo che anche questa sarebbe stata una risposta importante ai problemi di cui stiamo parlando e un sostegno ai settori e alle aziende in crisi del nostro Paese. Abbiamo parlato a lungo di federalismo fiscale, di autonomia impositiva e magari, poi, parliamo di piano casa senza tenere conto della titolarità di queste competenze - anche se su questo piano credo che il tema non debba essere ideologizzato né in un senso, né nell'altro - e dei limiti imposti alle amministrazioni, mentre se andiamo a vedere i dati rispetto all'indebitamento e alla capacità di rientro dall'indebitamento, vi sono enti locali che in passato si sono fatti carico abbondantemente del rispetto del Patto di stabilità,
Abbiamo anche avanzato la proposta del contributo di solidarietà. L'onorevole Vignali ci ricordava che forse bisogna parlare di tassa, ma al di là di questo, dietro a questa proposta c'è un'idea della società e anche delle persone, se si parla di persone.
Ci troviamo ad affrontare una crisi in cui le imprese si trovano in difficoltà; osservando i dati della mia provincia, dove la richiesta di iscrizione alle liste di disoccupazione è più che raddoppiata ed è arrivata oltre il 115 per cento, si evidenzia un aumento della disoccupazione. Gli strumenti degli ammortizzatori sociali che oggi esistono, fino a che non faremo una riforma seria, non garantiranno tutti coloro che perdono il posto di lavoro. Siamo nella situazione in cui si prevede l'espulsione dal processo produttivo di centinaia e centinaia di migliaia di persone e siamo di fronte a persone che già hanno perso il lavoro e che hanno anche accesso agli ammortizzatori sociali, ma sono mesi che non riscuotono per i meccanismi che conosciamo; pertanto, chiediamo che chi ha un vantaggio di reddito si faccia carico, in via straordinaria, per l'anno 2009, attraverso un contributo o pagando comunque delle tasse, mettendo in campo risorse che vanno a vantaggio di strati sociali incapienti e non abbienti.
Credo che si possano fare tanti discorsi, ma penso che questi siano piccoli fatti, ma concreti. Penso che tutti noi siamo quotidianamente a contatto con cittadini e persone che in molti casi hanno perso il posto di lavoro; in altri hanno addirittura perso prospettive di vita e credo che strumenti ed elementi di solidarietà non siano mai troppi fino a che non avremo davvero strumenti ed ammortizzatori sociali che non siano meramente assistenziali e che davvero sostengano tutte le persone e diano opportunità a tutte le persone di essere inserite nel mercato del lavoro. Credo che anche strumenti congiunturali di questo tipo possano essere importanti.
Concludo, dicendo che ormai da qualche settimana è in atto una discussione tra i menagrami e le «cassandre» e chi, invece, è fiducioso ed ottimista. Penso che non si possa essere Cassandra e che, anzi, in un momento come questo, il paese abbia bisogno di trovare concordia sugli obiettivi, su come affrontare la crisi e su come uscirne, e per la verità abbiamo anche tentato di farlo nel passato. È necessario che tutti si rimbocchino le maniche, ma è anche sbagliato un ottimismo di maniera.
Proprio ieri l'OCSE ci ha ricordato che andiamo incontro ad un anno, e forse anche il 2010, con un tasso di disoccupazione a due cifre. Forse, è sbagliato ed esagerato parlare di rischi per la tenuta e la coesione sociale, ma sicuramente, al di là dei pericoli che la crisi rappresenta per il sistema industriale del nostro Paese (come dicevo prima, il problema è come se ne uscirà: se usciremo in piedi o meno da questa crisi), essa produce anche effetti sociali dirompenti e laceranti. Pag. 23
Se è vero, come è stato detto ieri, che non si vuol lasciare indietro nessuno, credo che ancora non siano sufficienti né gli strumenti né le risorse a sostegno sia delle imprese, sia del mondo del lavoro nel suo insieme, che vive e continuerà a vivere nei prossimi mesi momenti non solo difficili, ma anche drammatici dal punto di vista sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Anna Teresa Formisano. Ne ha facoltà.
ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, nell'associarmi al cordoglio per la perdita del sottosegretario Martinat, che è stato ricordato anche da lei, signor Presidente, vorrei fare una riflessione su questo decreto-legge che ci ha preso in questi giorni, impegnandoci, come Commissione per le attività produttive, anche in ore tarde della serata.
Si tratta di un decreto-legge su cui vi sono tantissime aspettative e su cui tutti hanno gli occhi puntati ma che, francamente, in questo momento, mi dà una sensazione di amarezza perché ci troviamo ad affrontare la discussione sulle linee generali di questo provvedimento su cui, da qualche giorno, aleggia l'ombra della fiducia e, come al solito, tutte le discussioni e gli sforzi compiuti in Commissione, di fatto, verrebbero puntualmente vanificati.
Nell'intervenire mi corre l'obbligo, preliminarmente, di far osservare come il suo iter sia stato contraddistinto, in modo particolare, da veti e controveti, tutti interni alla maggioranza, e che solo a fatica - e lo voglio ribadire - è stata trovata la cosiddetta quadra tra le forze politiche che sostengono la coalizione di Governo.
Tuttavia, entrando nel merito del provvedimento, dopo settimane contraddistinte da segnali negativi, dobbiamo riconoscere che la settimana scorsa abbiamo registrato, finalmente, una buona notizia e cioè che gli incentivi per le auto sembrano aver dato quella boccata d'ossigeno che si attendeva, dopo che, di fatto, la produzione era crollata al di sotto del 50 per cento, tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. Per chi parla, per me, che vivo nella città di Cassino, dove ha sede uno degli stabilimenti più grandi e importanti della FIAT, vedere il piazzale che si svuota finalmente - credetemi - è una grande soddisfazione. Certamente, anche se a Mirafiori hanno annullato una settimana di cassa integrazione, ciò non basterà sicuramente a cancellare completamente il ricorso alla cassa integrazione o per rendere meno critica la situazione nell'anno - credo più terribile - per il settore automobilistico. Ma, comunque, già è una boccata d'ossigeno.
Permettetemi, però - e mi rivolgo a lei, signor Presidente - di fare una sottolineatura. Chi parla, già nel lontano ottobre 2008, aveva rivolto al Governo un'interrogazione a risposta immediata sulla questione degli incentivi al settore automobilistico, ovviamente con grande e particolare riferimento al gruppo FIAT ma, anche e non solo, pensando alla enorme e numerosa marea di aziende, piccole e medie, dell'indotto FIAT. Allora era presente in Aula il Ministro Scajola. Lo stesso Ministro mi rispose che vi era attenzione, ma, che per il momento, era stato stabilito di assegnare incentivi al settore della ricerca. Ovviamente, la risposta non fu per me piacevole. Pur apprezzando lo sforzo nel settore della ricerca, ricordo che risposi al Ministro Scajola che gli operai, che conosco, a fine mese non mangiavano «pane e ricerca». Da ottobre 2008, finalmente, ad aprile 2009 siamo arrivati ad invertire una rotta che non vedeva incentivi per il settore auto e ad erogare gli incentivi al settore auto. Pertanto, per me si tratta di una doppia consolazione e di una doppia soddisfazione e sarebbe troppo facile sostenere che l'avevamo detto prima noi.
Ovviamente questo è solo un settore della crisi, ma non ne è l'unico. Se in maniera molto veloce e da provinciale (passatemi il termine, provinciale, nell'accezione migliore di questo termine) penso per un attimo al territorio della mia provincia, quella di Frosinone, immagino anche il dramma che stanno vivendo (an Pag. 24che questo da me più volte sottolineato) gli operai e gli addetti della Videocon, altra multinazionale che sta vivendo ore di angoscia, perché anche lì vi sono centinaia e anzi migliaia di famiglie che vivono non solo del lavoro della Videocon ma anche del suo indotto. Anche questo problema è stato da me sollevato, in Commissione attività produttive, ricevendo, più o meno, rassicurazione ma il risultato è ancora nullo.
Penso, piuttosto, all'ipotesi da noi sostenuta di ampliare la politica di intervento nei distretti industriali, non solo in alcuni, ma in tutti i distretti industriali che possano rappresentare un volano e una risorsa per le industrie italiane e, quindi, per l'economia italiana. Anche in questo ambito, il risultato è molto scarso.
Penso, inoltre, a quando avevamo proposto, senza essere ascoltati, di ampliare le zone franche. Ciò perché chiaramente la situazione determinatasi per l'istituzione delle stesse (ormai due o tre anni or sono) è completamente mutata e, quindi, ritenevamo giusto rivedere la situazione nazionale per le zone franche ed eventualmente ampliarle. Anche su questo fronte, però, nulla di fatto.
Dopo il pacchetto delle misure anticrisi di fine novembre il Governo ha finalmente pensato di introdurre disposizioni per dare una risposta concreta a settori che in questo momento stanno soffrendo in maniera particolare: penso, per esempio, agli aiuti nel settore tessile calzaturiero e, ovviamente, anche quello dell'autotrasporto che è strettamente collegato soprattutto al mondo dell'auto; penso alle misure di sostegno al credito dell'esportazione; alle misure e agli ammortizzatori sociali per i precari; al Patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali; alla disciplina sui canoni demaniali; alle norme antispeculazione a tutela delle società quotate in borsa; a maggiori interventi nel settore dell'istruzione.
Sulle misure varate in favore del settore automobilistico abbiamo già svolto alcune osservazioni. Vorrei specificare che noi ci auguriamo che l'obiettivo comune voluto da tutte le forze politiche, al di là di maggioranza e opposizione, sia quello di stimolo ai consumi e, soprattutto, di crescita dell'occupazione con un'attenzione ovviamente alla tutela ambientale.
Connessa proprio all'esigenza ambientale è anche la misura che prevede l'agevolazione per l'acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza, agevolazione soggetta tuttavia alle garanzie di mantenimento dei livelli occupazionali e alle verifiche di tale impegno.
Credo che in quest'ottica il Governo dovrebbe porre una particolare attenzione alla situazione dell'Indesit di None, che rischia di chiudere i battenti se non si interverrà con un'operazione precisa di salvataggio al noto marchio di elettrodomestici che è una parte della storia del nostro Paese.
Se il cuore del provvedimento è rappresentato sicuramente dalle agevolazioni per il settore auto, il provvedimento contiene, tuttavia, delle misure condivisibili che, a nostro avviso, necessitano di chiarimenti più puntuali sul piano delle coperture finanziarie. Infatti, non riteniamo che quella dei conti dormienti sia una copertura buona per tutte le stagioni, come si dice in questi casi. Quando non si sa dove recuperare le risorse o si tirano fuori i FAS, o si tirano fuori i conti dormienti che mi sembrano strattonati da tutte le parti; e oggi non si capisce dove veramente siano tali risorse e in quali settori. Mi sembra l'immagine delle coperte tirate da una parte e dall'altra che sono sempre troppo corte.
Si tratta - lo abbiamo detto e lo ripetiamo - di interventi sicuramente condivisibili, ma probabilmente del tutto insufficienti per far fronte alla crisi generale che stiamo attraversando.
Ovviamente, avremmo auspicato ulteriori modifiche e l'accoglimento di qualche nostra proposta che non ci sembrava tanto eterea, ma molto concreta e che, invece, la blindatura del testo, così come si prevede, ovviamente non consentirà di introdurre.
In particolare, riteniamo che qualcosa di più poteva essere fatto in tema di ammortizzatori sociali, considerando sicuramente utile ma insufficiente il raddoppio Pag. 25dell'indennità per i Cocopro che restano senza lavoro e l'accelerazione delle procedure per l'erogazione della cassa integrazione. Ma io voglio porre un problema e una questione che in questi giorni personalmente sto vivendo e sto valutando: non c'è alcuna forma di ammortizzatore sociale, per esempio, per le cooperative di lavoro e mi riferisco in particolare alle cooperative di servizio che hanno al proprio interno un grosso numero di diversamente abili. Ebbene, se queste cooperative dovessero perdere il lavoro, non c'è alcuna forma di ammortizzatore sociale. Allora, non mi stancherò mai di ripetere che la parola «solidarietà» è molto bella e tutti facciamo a gara per appropriarcene, ma in politica questa parola o la si riempie di contenuti o, altrimenti, è uno slogan completamente vuoto. Mi sarei aspettata degli ammortizzatori specifici per i lavoratori delle cooperative sociali che perdono il lavoro.
Per fronteggiare l'attuale crisi economica e rilanciare l'attività di investimenti a nostro avviso non basta mettere a disposizione un fondo di 150 milioni per consentire agli enti locali di non computare ai fini del saldo del patto 2009 i pagamenti per le spese relative agli investimenti degli enti locali per la sicurezza pubblica, per gli interventi straordinari di carattere sociale anticrisi destinati a favore di lavoratori, imprese e artigiani e debiti pregressi per prestazioni già rese agli enti stessi. Avremmo gradito da questo punto di vista una maggiore apertura del Governo che ha dovuto tener conto ancora una volta dei veti imposti dalla Lega.
Bene il provvedimento che riguarda l'esame da parte dei Ministeri per la verifica dei conti e dei debiti che hanno nei confronti di imprenditori, perché pagare subito questi debiti da parte dei Ministeri sarebbe sicuramente una risposta importante per gli imprenditori che vantano questo tipo di risposta. Ma io voglio porre, e mi rivolgo al rappresentante del Governo in Aula questa mattina, un altro problema che, a mio avviso, non è inferiore: che tempi vi sono per i pagamenti da parte delle regioni verso gli imprenditori? Quanti imprenditori si trovano sull'orlo di una crisi; perché le regioni, piuttosto che i comuni (perché anche i comuni si trovano in questa situazione), non riescono a pagare questi debiti? Non sarebbe il caso, pongo questa domanda a voce alta e mi rivolgo al rappresentante del Governo in Aula, di pensare un qualcosa anche al tavolo Stato-regioni che coinvolga anche le regioni nel pagare subito gli imprenditori che aspettano da mesi, da anni, per avere il loro giusto pagamento per le prestazioni fornite alle regioni piuttosto che ai comuni? Io credo che il Governo non possa dire: sono cose che riguardano le regioni. Noi dobbiamo occuparci anche di questo, perché sappiamo bene che un altro punto negativo è questo: vi sono imprenditori che vantano crediti verso le ASL, per far un esempio molto concreto, che rischiano la chiusura. Questo non è possibile; noi dobbiamo intervenire anche su tale aspetto. Questo è l'invito che rivolgo al rappresentante del Governo.
Crediamo poi che le fasce deboli e gli anziani a basso reddito, prima di pensare a come acquistare il decoder digitale terrestre, abbiano qualche altra preoccupazione. Condividiamo pienamente gli aiuti per i distretti industriali per il settore calzaturiero e tessile in crisi; penso per esempio a quello di Prato ma anche a quello di Sora nella mia provincia, che è un settore molto forte nel tessuto industriale del nostro Paese. Mi auguro che tutto questo serva anche come volano per rilanciare il settore della moda che è sempre stato uno dei settori di vanto per il made in Italy.
Crediamo pure che siano utili i 300 milioni per il credito all'export in un momento in cui le nostre esportazioni stanno registrando un calo significativo, ma nondimeno riteniamo utili, nell'attuale contingenza, le misure a difesa delle società quotate per cui la Consob potrà ridurre la soglia, ora ferma al 2 per cento del capitale, per richiedere le comunicazioni di mercato.
Avviandomi a concludere, signor Presidente, auspico che il Governo non esaurisca Pag. 26il suo intervento con queste misure che, seppur condivisibili, non sono la soluzione. Mi auguro che ci sia un sussulto di ragionevolezza e che non si ponga la questione di fiducia sul testo risultante dall'esame delle Commissioni che hanno lavorato in maniera congiunta e che il Governo accolga qualcuna delle nostre proposte emendative che non riteniamo di parte, ma soprattutto utili a chi sta vivendo un momento di grande crisi in questo Paese, vale a dire soprattutto le sue categorie più deboli.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Polidori. Ne ha facoltà.
CATIA POLIDORI. Signor Presidente, questa mattina abbiamo detto di tutto sulla crisi e quindi, anche per brevità, come ci siamo promessi, non mi ripeto. Siamo tutti d'accordo sul fatto che la crisi del sistema finanziario è la crisi dell'intera economia e, come spesso accade nella storia, le decisione di pochi hanno purtroppo travolto e chiamato in causa tutti.
Signor Presidente, mi permetta comunque di parlare del mondo dal quale provengo, quello delle piccole e medie prese che sono l'asse portante dell'economia italiana e che, con riferimento al decreto-legge oggi in discussione, spesso, e soprattutto, rappresentano l'indotto del lavoro delle grandi aziende. Certamente in Italia vi sono grandi aziende che hanno seguito la tendenza degli ultimi anni, quella della delocalizzazione, della finanziarizzazione e quant'altro, ma la piccola e media impresa ha resistito, per quanto potesse, a questo miraggio.
La piccola e media impresa, come è noto, vive di innovazione, di competenza, di rapporto col territorio e, nonostante gli inviti incessanti che arrivavano dai migliori economisti di quotarsi in borsa e di usufruire di nuovi strumenti finanziari, non fa parte - vivaddio oggi lo possiamo dire - dell'economia dello shareholder value in cui tutto deve essere condizionato ai guadagni degli hedge fund o di tutti gli altri prodotti speculativi.
In questo senso l'Italia è stata, forse anche troppo, accusata di essere poco moderna e di non essere pronta a stare sul mercato. La realtà, invece, è che abbiamo molti settori di eccellenza, un tessuto industriale e sociale solido, almeno decisamente più solido dell'economia di carta di questi ultimi anni delle altre nazioni, fatto di imprese, o meglio di imprenditori, come ha detto prima l'onorevole Vignali, che hanno avuto e che hanno il coraggio di mettere il proprio capitale, per salvare la propria azienda, la propria creatura.
Certamente abbiamo delle inefficienze, dei deficit infrastrutturali e sicuramente dei problemi con il Mezzogiorno: una grande zona senza banche proprie e con istituzioni con scarsi legami con il territorio, con una regione in cui, fino a poco tempo fa, mancava una missione di sviluppo. Per rispondere all'intervento di prima dell'onorevole D'Antoni, per noi rimettere in cantiere il ponte sullo Stretto riconoscendo l'importanza di una rete infrastrutturale organica a differenza di progetti isolati che non riescono ad effettuare un cambiamento vero, è una delle grandi soluzioni di sostegno confortata da autorevoli esperti di settore.
Poi, che dire del debito pubblico? È noto a tutti che l'Italia ha uno dei debiti pubblici più alti del mondo in termini percentuali rispetto al PIL, dobbiamo prendere atto di questa situazione che è stata prodotta da decenni di squilibri in cui, peraltro, l'Italia fu costretta ad aumentare i propri tassi di interesse, tra l'altro sotto gli abili consigli del Fondo monetario internazionale. Tuttavia, vi è un'altra faccia di questa pecca italiana ed è la virtù del risparmio: l'Italia, insieme al Giappone, ha uno dei tassi di risparmi interno più alto del mondo, che costituisce la nostra fortuna, probabilmente, perché la nostra società non è indebitata, come invece lo sono i Paesi con altissimi livelli di credito al consumo dove la gente si fa prestare i soldi anche solo per andare avanti. Abbiamo sì un grande debito pubblico, ma una fetta consistente di questo debito è detenuto dalle nostre famiglie.
È, tuttavia, innegabile e sotto gli occhi di tutti come l'economia degli ultimi anni non fa funzionare la vera economia Pag. 27(quella reale) e le imprese hanno bisogno di regole certe, di infrastrutture e di un mercato che permetta loro di lavorare e di dare lavoro. Naturalmente abbiamo bisogno di un mercato che non premi il guadagno a brevissimo termine, perché questo scoraggia proprio quelle attività produttive di cui, invece, avremmo bisogno. Infatti, un sistema produttivo che spinge semplicemente a commerciare, piuttosto che a produrre, non può che provocare una riduzione del nostro tenore di vita.
Per questo motivo l'Italia dovrà utilizzare la sua posizione di Presidenza di turno del G8 per chiedere nuove regole internazionali su come operano le banche e le società, e che limitino tutte quelle operazioni poco trasparenti che sono oggi alla base di enormi buchi che minacciano l'economia. La medicina non è certo nel fondere banche fallite con banche fallite, non è nello switch o swap (o comunque si chiami) tra debito privato e quello pubblico e non è nel creare domanda privata artificiale addizionale. La forma di pensiero da applicare in questa prospettiva è quella biblica, ovvero separare il bene dal male, salvare le famiglie, le industrie e la parte delle banche autenticamente funzionali per lo sviluppo, separando il resto. Si dovrebbe stabilire una moratoria di tassi e di tempi e il nome tecnico potrebbe cambiare: bad bank o Chapter 11 poco importa, ma la sostanza è la stessa, ovvero separare il funzionale dallo speculativo.
Quindi, il momento di difficoltà che stiamo attraversando è innegabile, ma una lettura indistinta della situazione, come quella oggi più diffusa, rischia di suscitare un disorientamento generalizzato, alimentando un circolo vizioso pericolosissimo. È possibile, invece, dare un nuovo impulso all'economia attraverso una cooperazione costante tra i Paesi al fine di mettere in atto una concreta azione collettiva e sostenere l'economia vera.
Il Governo si è mosso con una legge finanziaria per il triennio basata sul presupposto di una crisi in intensificazione e con particolare attenzione alla tutela del risparmio assumendo il principio e il dovere costituzionale che identifica nel risparmio popolare un bene pubblico. Si è trattato di un atto coraggioso e degno di una lungimiranza politica, la politica vera, quella lontana dal non voler comprendere che solo una manovra di medio e lungo periodo, prospettica, poteva mettere il sistema Paese in grado di reagire.
Inoltre, è stato previsto un fondo finalizzato alle imprese, la riorganizzazione ed il sostegno all'internazionalizzazione, la banda larga, le semplificazioni, il primo piano energetico dopo vent'anni, il riordino degli incentivi (non più soldi ai programmi ma ai progetti) e la detassazione degli straordinari che abbiamo sentito prima dire inutile, ma probabilmente qualcuno si è distratto. Infatti, le 60 mila aziende che ho avuto l'onore di presiedere l'hanno chiesta incessantemente implorando il precedente Governo per due anni. Quindi, con tutto ciò il Governo sta sicuramente tenendo fede agli impegni presi in campagna elettorale.
Ora si fornisce un'altra risposta alla crisi prevedendo in particolare incentivi al rinnovo del parco circolante e all'acquisto di veicoli ecologici, detrazioni per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici, sostegno al finanziamento per l'acquisto di autoveicoli oltre che agevolazioni fiscali in favore delle imprese per affrontare la crisi del settore con interventi urgenti di sostegno alla domanda e per far convergere le politiche nazionali con le indicazioni della Commissione europea.
Da più parti quest'azione del Governo, finalizzata ad adottare provvedimenti che di volta in volta la situazione richiede, è stata giudicata tra le migliori in Europa. Ciò non è altro che l'adattamento al sistema e alle sue rinnovate condizioni, e anticipa l'onda creando il cambiamento piuttosto che subirlo.
La crisi del comparto auto, purtroppo, non ha toccato soltanto il nostro Paese, ma tutto il mondo, tant'è vero che anche la Commissione europea, durante la riunione informale dei Ministri dell'Unione europea, tenutasi a Bruxelles il 16 gennaio di quest'anno, ha evidenziato l'opportunità di prevedere sussidi pubblici di sostegno. Pag. 28
In Italia, l'automotive, che comprende l'industria dell'auto, la subfornitura, la componentistica, l'engineering e la rete di distribuzione, conta 2.500 aziende, per un totale di 165 miliardi di euro di fatturato, che rappresentano ben l'11,4 per cento del PIL nazionale, e 1 milione di addetti, con l'indotto allargato. Questo decreto-legge non è connotato da un carattere protezionistico: è caratterizzato dalla significativa volontà di non regalare i soldi dei contribuenti, ma di legarli all'erogazione di contributi alle imprese che garantiscano il mantenimento dei livelli occupazionali.
Quando sento dire che tutto ciò è insufficiente ed inadeguato alla crisi, come ho sentito prima dall'onorevole D'Antoni, mi viene da ripensare alle ultime manovre economico-finanziarie della scorsa legislatura. Ogni anno, più o meno il 2 novembre, si parlava del bilancio dello Stato e partivano le litanie delle manovre, con le categorie ad alzare altolà sugli effetti perniciosi che quel Governo intendeva perseguire. Nel presentare la legge finanziaria a me sembrava che assistessimo ad un copione a metà tra la livella di Totò e il venditore di almanacchi di Leopardi. Intanto, dedicavamo ogni anno alcuni mesi ai duelli tra la visione economica di destra e quella di sinistra, ma spesso ci siamo dimenticati che in quattro mesi, in Cina e India, si laureano mezzo milione di ingegneri. Il lunedì si parlava di buche e disastro dei conti, il martedì della necessità di inasprire in modo insensato la pressione fiscale, salvo poi trovarsi il mercoledì a dire che in effetti forse era imbarazzante, ma c'era un extragettito.
Con una di quelle invenzioni politico-lessicali, che fanno unica l'Italia, si cominciò a parlare di «tesoretto». Si aveva il coraggio di parlare di «tesoretto» nel Paese seduto sulla più alta montagna di debito pubblico che sia mai stata accumulata nella storia delle democrazie occidentali. Il coraggio si deve avere, ma deve e può essere solo quello del bene del Paese, di scelte a volte impopolari, costrette dalla situazione - va ammesso - ma che non nascondano, dietro la debole bandiera dell'etica e della demagogia, la propria incapacità a governare.
La volontà di reagire e il coraggio di accettare una sfida seria e importante, quale quella che l'attuale congiuntura di mercato ci sta imponendo, chiede al Parlamento uno sforzo di collaborazione, in grado di rispondere a chi è capace di lavorare e produrre, di insistere e di non mollare. È per questo che auspico, per il bene del Paese, che la maggioranza e l'opposizione diano un segnale forte e riescano a votare compatte questo provvedimento, che di certo non è risolutivo, ma si tratta di misure urgenti di sostegno e come tali vanno intese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Come concordato, sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15.
La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 15,05.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 2187-A)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta ha avuto inizio Pag. 29la discussione sulle linee generali. Sarebbe iscritto a parlare l'onorevole Bragantini, ma il Governo non è presente. Sospendo pertanto la seduta in attesa dell'arrivo del rappresentante del Governo.
La seduta, sospesa alle 15,10, è ripresa alle 15,15.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bragantini. Ne ha facoltà.
MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il disegno di legge in esame va inserito in un contesto più generale di misure che, a partire dall'anticipazione della manovra finanziaria dell'estate scorsa, sono state via via adottate per affrontare la crisi economica in atto nel Paese, la quale sta letteralmente paralizzando il sistema produttivo e impedendo alle piccole e medie imprese di crescere e di essere maggiormente competitive sul mercato interno ed internazionale. In particolare, vorrei ricordare il decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, con l'abolizione dell'ICI sulla prima casa, la rivalutazione dei mutui a tasso variabile e la detassazione degli straordinari; il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con l'istituzione del Fondo per i cittadini meno abbienti; il decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, a sostegno delle banche e degli istituti finanziari, e proprio nell'ambito della discussione di quel decreto era passato un ordine del giorno, tra tanti, in cui si impegnava il Governo a controllare che, se davamo i soldi alle banche, queste ultime poi dessero i soldi alle imprese, come si sta facendo; il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, con il bonus famiglie, l'introduzione del tetto del 4 per cento delle rate dei mutui a tasso variabile, l'IVA per cassa, la riduzione dell'IRES della quota IRAP, la revisione dei studi di settore. Tutto questo è già stato fatto: questo Governo si sta muovendo per risolvere il problema della crisi.
In particolare, con il decreto-legge in esame si sta dando un aiuto per le imprese in campo automobilistico. A nostro avviso, si poteva fare qualcosa di più in questo campo. Ricordo, ad esempio, il comma 3 dell'articolo 1, in cui a mio avviso, è avvenuta una svista: si danno dei contributi per quelle macchine che hanno una doppia alimentazione o un'alimentazione esclusiva a metano o elettrica o a idrogeno e ci si è dimenticati del GPL; e soprattutto ci si è dimenticati, o non si è riusciti a trovare una soluzione, per tutte quelle persone che hanno un reddito basso e auto vecchie, che non possono, anche se vi sono grandi sconti, riuscire a comprare una macchina nuova, per dare un maggiore impulso a questo importante settore. Non siamo riusciti a dare una risposta.
Per quanto riguarda l'articolo 2, gli incentivi sui mobili, si è invece data una risposta, offrendo la possibilità a chi sta ristrutturando di avere delle deduzioni, ma a mio avviso si poteva, con gli emendamenti che abbiamo presentato, riuscire a dare questa agevolazione anche alle giovani coppie: quelle giovani coppie che si sono sposate negli ultimi due anni o che si sposeranno nel prossimo anno, che magari non comprano casa, che non la ristrutturano, ma che vanno in affitto; dunque si poteva trovare modo per agevolare sia le famiglie, sia queste giovani coppie sia il settore del mobile.
Per quanto riguarda il settore tessile, nell'articolo 7 si è riusciti a dare un po' di risorse al suddetto settore; tuttavia, non le abbiamo date al consumo, ma direttamente alle aziende, quelle che avevano trovato la soluzione per gli scarichi industriali: non siamo dunque andati direttamente ad incidere sul settore del consumo. Siamo riusciti ad imporre il divieto per le aziende di delocalizzare, se usufruiscono di incentivi dello Stato, perché, a nostro avviso, è immorale che lo Stato (con i soldi dunque di tutti i cittadini) attribuisca degli aiuti a quelle aziende, a quegli imprenditori che, magari, una volta ottenuti, per considerazioni che attengono gli utili, i vantaggi per le loro aziende, portano la loro produzione all'estero, creando disoccupazione sul nostro territorio. Ciò è stato accolto con nostra grande soddisfazione. Pag. 30
Si è riusciti, con il decreto-legge in esame, a dare una risposta al demanio marittimo. In Commissione ne abbiamo parlato più di una volta, ormai da vari mesi: siamo riusciti a dare una soluzione per tale importante settore, del turismo, per i nostri operatori, che se altrimenti non sarebbero riusciti ad andare avanti, con l'aumento che vi è stato.
Si è tentato di dare una risposta per quanto riguarda il Patto di stabilità: si sono allargate un po' le maglie, ma, a nostro avviso, si doveva fare molto di più, perché in un momento di crisi bisogna far ripartire l'economia, gli appalti.
E chi è che può far partire gli appalti in brevissimo tempo se non i comuni? Se i comuni - logicamente mi riferisco ai comuni in attivo e a quelli virtuosi - avessero avuto maggiori possibilità di spendere i soldi che hanno per far partire le piccole opere, avrebbero dato una mano a far ripartire l'economia. Dunque, a nostro avviso si doveva e si potrebbe fare di più e senza dubbio speriamo che in Aula si possa dare un incentivo in questa direzione e verso quei settori (ma si dovrebbero toccare anche altri settori del manifatturiero che sono in crisi e che hanno bisogno di rilanciare la propria economia). Vi sono dei problemi che si potrebbero risolvere con l'aspetto fiscale, ad esempio innalzando per gli agenti di commercio la possibilità di dedurre dal reddito l'acquisto dell'auto fino ad un valore maggiore dell'auto (ad esempio, fino a 40 mila euro e non per la cifra che è stabilita adesso e che è molto bassa).
Speriamo che si possa modificare qualcosa in Aula oppure che con i prossimi provvedimenti si vada incontro anche a queste esigenze. Siamo consci che il Governo sta facendo il massimo ed il possibile perché - come è stato già ricordato prima - questo Stato ha un debito pubblico spaventoso, uno tra i più grandi di tutto il mondo occidentale. È un debito spaventoso soprattutto per quelli della mia generazione e per i giovani che lo hanno ereditato dagli ex politicanti che, soprattutto negli anni Ottanta, ci hanno lasciato un'eredità pesante, mentre in questo momento servivano risorse per superare una vera crisi e non utilizzare i soldi pubblici per concedere aiuti ad amici o per sperperi. Si poteva fare molto di più e per questo, da giovane, devo ringraziare i politici degli anni Ottanta, alcuni dei quali sono ancora presenti (mi viene in mente il gruppo dell'UdC che si rifà a quei politici), che non hanno dato la possibilità a questo Stato di disporre di risorse sufficienti per fornire una risposta maggiore alla crisi attuale (che è una crisi non solo finanziaria ma anche economica e che è iniziata più di un anno fa).
Se a settembre, quando è cominciata la crisi finanziaria, abbiamo terminato i fondi per gli ammortizzatori sociali ciò vuol dire che eravamo già in crisi economica. Speriamo dunque di trovare ulteriori risorse e soprattutto speriamo che i nostri cittadini, soprattutto gli imprenditori, non gettino la spugna e continuino a lavorare e ad ingegnarsi per far sì di poter portare a casa reddito per loro stessi e lavoro per le nostre famiglie.
Speriamo appunto di riuscire a superare anche questo momento difficile, ma da giovane dovrei e devo ancora ringraziare quelli che ci hanno lasciato un'eredità così pesante.
Speriamo che il Governo riesca a dare ulteriori risorse ed ulteriori possibilità alle nostre aziende, comunque nel complesso ritengo che qualche risposta - insieme anche alle misure contenute negli altri decreti-legge - sia stata data: qualcosa si sta facendo, molto più velocemente che nel passato. Ringrazio dunque il Governo e speriamo che con il dibattito che si è svolto nelle Commissioni e con quello in atto in Aula si possa continuare a migliorare il testo per fornire soluzioni concrete ai nostri cittadini.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi. Ne ha facoltà.
FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, come Partito Democratico abbiamo detto subito che la Camera si è trovata ad esaminare l'ennesimo Pag. 31provvedimento di urgenza sulla crisi economica che, a nostro avviso, è arrivato assolutamente in ritardo e con tante, troppe lacune che nel corso del lavoro nelle Commissioni riunite abbiamo cercato perlomeno di ridurre.
Il grave ritardo è purtroppo dimostrato dai numeri sempre più allarmanti per il settore italiano dell'auto con il tonfo del 35,8 per cento degli ordini e del 47,4 per cento del fatturato. Bisognava dunque a nostro avviso intervenire molto prima ed in maniera più organica sin dalla fine del 2008. Riteniamo che occorra una politica industriale più robusta per far fronte alla crisi e per tamponare le falle che ogni giorno, purtroppo, si aprono nel settore manifatturiero, che costituisce un patrimonio del Paese e che come tale dovrebbe essere difeso in maniera molto più forte dalle conseguenze della crisi affinché non ne subisca un danno strategico.
È con questa premessa che esprimiamo il nostro consenso agli incentivi a favore dell'auto, sebbene sia stata esclusa tutta la filiera della componentistica che interessa centinaia di aziende nel Paese, anche piccole, oltre che le multinazionali, ed occupa migliaia di persone. Chi è stato eletto in Toscana come me, ha ben presente, ad esempio, la crescente sofferenza, nella totale mancanza di sostegno e di attenzione da parte del Governo nazionale, delle aziende produttive della province di Livorno, di Pisa e di Massa che stanno esaurendo le ore di cassa integrazione.
Un piccolo segnale positivo è arrivato con l'introduzione, al comma 11-bis dell'articolo 1, delle misure sugli pneumatici per autoveicoli e motoveicoli mediante la solidarietà nel pagamento dell'imposta sul valore aggiunto tra il cedente ed il cessionario, anche se sottoposte, come sappiamo, ad autorizzazione comunitaria.
Grazie alla nostra iniziativa, con il contributo decisivo in quelle settimane dell'onorevole Veltroni e della sensibilità mostrata dal Ministro Scajola in sede di stesura del provvedimento, siamo riusciti a fare inserire incentivi per l'industria della camperistica che era stata esclusa nella prima stesura. Si tratta di un'industria che ha fortemente risentito della contrazione dei consumi; una realtà importante dell'industria italiana che coinvolge il settore dell'auto e tante piccole imprese, la cui localizzazione prevalente, pari all'80 per cento dei caravan allestiti nel nostro Paese, si trova in Toscana, tra le province di Firenze e Siena.
Nel corso dell'esame delle Commissioni di merito sono numerosi i problemi che noi del Partito Democratico abbiamo sollevato, rispetto ai quali occorre dare atto al Governo, e alla maggioranza, di aver prestato, perlomeno, un parziale ascolto. Così è stato per il consolidamento del debito delle piccole e medie imprese, uno degli interventi più sentiti e più richiesti da parte di tutto il mondo produttivo, come l'inserimento di un condizionamento virtuoso sul piano economico e sociale che si deve creare tra i benefici degli incentivi e la salvaguardia dei livelli occupazionali in quelle imprese che possono avvalersi di contributi che arrivano dalla finanza pubbliche, e, dunque, dai contribuenti.
L'assorbimento da parte dei relatori di un emendamento del gruppo del Partito Democratico impegna così il Ministero dello sviluppo economico, al fine di monitorare gli effetti del presente decreto-legge, alla stipula di un apposito protocollo di intenti con i soggetti delle filiere produttive e distributive dei beni, per i quali sono previsti degli incentivi proprio in relazione al mantenimento dei livelli occupazionali.
Questa è una formula realistica e praticabile sul piano del diritto comunitario, al riparo da quelle cadute di demagogia foriere anche di gravi infortuni normativi come l'introduzione, in virtù di una durissima forzatura della Lega nei confronti tra maggioranza, delle disposizioni dell'articolo aggiuntivo 3-bis che subordinano il godimento degli incentivi ad un impegno a non delocalizzare. Si tratta di una previsione del tutto condivisibile, naturalmente, in via di principio, se non fosse da sottoporre ad una previa autorizzazione comunitaria che la potrebbe rendere priva di effetti, o peggio, potrebbe provocare l'annullamento di tutto il provvedimento degli Pag. 32incentivi. Noi riteniamo che, di fronte alla crisi, questa dialettica da campagna elettorale, oltre a mostrare le prime crepe nella maggioranza, denoti una sofferenza forte di chi, come la Lega, glielo riconosciamo, insieme a noi, frequenta di più il territorio dove la crisi morde. Un'ulteriore dimostrazione, ma non ve ne era bisogno, che esiste una profonda differenza tra gli effetti concreti della recessione che sta colpendo il Paese e la personale interpretazione che il Presidente del Consiglio sta dando di questi mesi davvero difficili e alle presunte conseguenze sull'economia reale.
Prima di illustrare la nostra contrarietà netta sulla politica economica del Governo e le nostre idee alternative, ad ulteriore dimostrazione del senso di responsabilità che ci muove, e con l'intento costruttivo con i quali ci siamo approcciati fin dall'inizio della crisi, voglio concludere con le modifiche che sono state apportate, e che naturalmente abbiamo apprezzato.
Nel corso dell'esame degli emendamenti abbiamo segnalato con forza che, a nostro parere, si deve assolutamente intervenire per consolidare l'indebitamento delle imprese nei confronti del sistema bancario italiano, nel senso di ristrutturarlo: da debito a breve a debito a lungo termine. I fondi stanziati da alcune regioni non sono, infatti, sufficienti per effettuare questa operazione. Era necessario un intervento dello Stato che consentisse il consolidamento del debito delle imprese, senza, peraltro, operare una selezione preventiva dei beneficiari, perché sarà il mercato a decidere la sopravvivenza delle singole aziende.
In virtù dell'articolo aggiuntivo 7-septies, gli interventi del Fondo di garanzia di cui all'articolo 15 della legge 7 agosto 1997, n. 266, il cosiddetto Fondo Bersani, possono essere estesi alle misure occorrenti a garantire la rinegoziazione dei debiti in essere con il sistema bancario nonché il regolare assolvimento degli obblighi tributari e contributivi da parte delle piccole e medie imprese ammesse ad usufruire della prestazione di questo Fondo.
Quest'ultima misura ci convince mentre non possiamo che esprimere una grande preoccupazione, nonché manifestare l'esigenza di un ulteriore approfondimento, per come in questo provvedimento sia stata inserita una radicale trasformazione della Cassa depositi e prestiti, che - come è noto - amministra il risparmio postale che nel nostro Paese sfiora i 200 miliardi di euro. La Cassa è stata trasformata - come hanno fatto notare anche autorevoli editorialisti in questi giorni - in una vera e propria investment bank, con la possibilità di operare direttamente sul mercato dei finanziamenti alle imprese. Considerate le funzioni ad essa attribuite fino ad oggi e, in particolare, l'assetto azionario della Cassa - che, ricordiamolo, per il 70 per cento è del Ministero del tesoro, e per il 30 per cento è posseduto da 66 sulle 88 fondazioni operanti in Italia - riteniamo che questa rapida evoluzione, che il Governo ha voluto sottrarre ad un esame necessariamente più attento del Parlamento, debba essere ripresa all'attenzione di questa istituzione.
Comprendiamo infatti come l'anomalia della Cassa depositi e prestiti, che rappresenta un fenomeno palesemente distorsivo della concorrenza nella raccolta e nella gestione beatamente monopolista del risparmio postale (che è un asset niente affatto trascurabile della ricchezza del Paese), non venga sollevata dalle banche. Le banche ne sono indubbiamente danneggiate, ma non la sollevano dal momento che il loro rafforzamento patrimoniale, peraltro tardivo, passa per il collo di bottiglia dell'approvazione del Ministero del tesoro. Questo, che non è altro che un colpo di mano, pone almeno due problemi.
Il risparmio postale - come sappiamo bene - è garantito dallo Stato, e se con questo si fanno i prestiti all'economia, naturalmente sottoposti a rischio d'impresa, che cosa succederebbe se i prestiti o parte di essi non andassero a buon fine? Se non abbiamo capito male, in virtù del comma aggiuntivo 4-bis dell'articolo 3, la Cassa depositi e prestiti finanzierà le banche su un plafond che attingerà dalla provvista del risparmio postale, e con Pag. 33questo verranno fatti prestiti all'economia. Quindi se le PMI non rimborsassero i prestiti chi ce li rimetterebbe? Le banche? La Cassa depositi e prestiti, che però non ha i requisiti patrimoniali vigilati e imposti, come le banche? O i depositanti postali che godono della garanzia statale? Se poi la Cassa depositi e prestiti era nata per finanziare gli enti pubblici, in particolare quelli territoriali, questa funzione prospetticamente resterà? Sono domande che meriteranno di essere comunque perlomeno approfondite.
Siamo invece soddisfatti anche per un'altra misura, approvata nelle Commissioni riunite, che prevede un sostegno destinato alle imprese operanti nei distretti produttivi del settore della concia, del tessile e del calzaturiero (una quota per il 2009 non inferiore a 10 milioni di euro delle risorse del Fondo di garanzia delle PMI).
Il giudizio complessivo, però, non può che rimanere negativo per quanto mancava fin dall'inizio, e tale rimane la nostra valutazione sulla politica economica del Governo, alla quale non si sottrae questo provvedimento, per almeno tre motivi di fondo.
In primo luogo, quella del 2009 è una traversata durissima, e si tratta di un anno di recessione profonda nonostante tutti i tentativi dei Governi di stimolare l'economia. I paragoni con la grande depressione del 1929 continuano ad essere generalmente respinti, ma i cali dei consumi degli ultimi mesi del 2008, che in alcuni Paesi sono stati anche superiori al 30 per cento, non consentono di rimuovere totalmente dal tavolo l'ipotesi di una vera depressione, una contrazione del prodotto interno lordo a due cifre. Gli ultimi dati dell'ISTAT ci dicono che il prodotto interno lordo nazionale è calato nel 2008 dell'1 per cento, ed è il peggior dato dal 1975. Questo peggioramento si è accentuato negli ultimi mesi del 2008. Si stima che nella media del quarto trimestre l'indice della produzione industriale, corretto per il numero dei giorni lavorativi e per i fattori stagionali, sia disceso di circa il 6 per cento.
Tutte le associazioni di categoria segnalano, nonostante il calo dell'inflazione, una flessione continua dei consumi in quasi tutti i comparti, mentre i livelli occupazionali diminuiscono in maniera esponenziale, purtroppo, lasciando milioni di lavoratori senza adeguati ammortizzatori sociali. Quando arriverà la ripresa non solo non ci sarà un rapido sviluppo probabilmente, ma non si tornerà nemmeno ai livelli precedenti. Il benessere materiale degli italiani quindi non è definitivamente acquisito. Il rischio dell'arresto e della perdita delle posizioni con fatica conquistate purtroppo è sempre latente, e lo è maggiormente in questa fase. Come sappiamo il nostro territorio è privo di risorse materiali, le fonti di energia principalmente, che sono destinate a divenire ancora più scarse e costose in questa fase. L'importazione è vitale e l'esportazione è necessaria.
I produttori italiani vivono uno svantaggio competitivo che dovrebbe essere una preoccupazione in primo luogo di chi governa, per riconoscerla e per compensarla, ma tutto ciò in questi mesi non è stato fatto.
Il decreto-legge in esame, pur presentando alcune norme condivisibili - come abbiamo ammesso, ma che sono comunque settoriali, si rivelano spesso inefficaci e tardive rispetto alla velocità della recessione e dei suoi effetti in ogni settore della società e dell'economia -, presenta a nostro avviso evidenti carenze programmatiche in due fondamentali settori di intervento: il rilancio strutturale del manifatturiero, ed in particolare del made in Italy, e, conseguentemente, il sostegno ai lavoratori e alle famiglie in grave difficoltà, a quei ceti sociali medi che stanno passando sotto il livello di povertà.
In nessuno di questi punti focali sono state prodotte misure significative, se non almeno in parte, come ho appena spiegato, grazie alla proposta emendativa del Partito Democratico. Quello che è definito comunemente il made in Italy e che raccoglie la maggior parte della produzione manifatturiera nazionale non è soltanto l'espressione di una qualità elevata, universalmente Pag. 34apprezzata e riconosciuta, grazie alla quale l'Italia detiene ancora una quota significativa del commercio mondiale, ma è soprattutto modello produttivo specifico, che caratterizza il nostro Paese, quello della presenza uniforme di piccole e medie imprese e di un accentuato localismo aziendale.
Sulla base dei dati disponibili, quelli che risalgono all'ottobre scorso, l'attività si sta costruendo in quasi tutti i comparti dell'industria manifatturiera, con maggiore intensità in quelli dei beni intermedi e di investimento. I sondaggi congiunturali non lasciano intravedere una ripresa dell'attività manifatturiera a breve termine, anche perché in Italia la fiducia degli imprenditori è scesa ai minimi storici e si sono deteriorate in misura particolarmente accentuata le componenti relative ai giudizi sul livello degli ordini, soprattutto sui mercati esteri e sulle tendenze della produzione. È evidente che la crisi, rallentando notevolmente i volumi delle esportazioni e restringendo i livelli di accesso al credito, si ripercuoterà inevitabilmente proprio nel settore delle piccole e medie imprese, rischiando di causare una graduale e prolungata crisi strutturale dell'intero sistema. Sono 500 mila i posti di lavoro che perderemo nei prossimi due anni, secondo il centro studi di Confindustria.
Le stime sono preoccupanti e secondo gli analisti le vendite italiane all'estero torneranno a crescere in maniera significativa soltanto nel 2010. Tanto è grave la situazione che la Commissione attività produttive della Camera dei deputati ha deciso di istituire un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano, proprio in relazione alla crisi dell'economia internazionale, uno studio che speriamo risulterà approfondito del settore, con l'obiettivo di capire come il nostro sistema produttivo possa resistere alla recessione, se saprà reagire ad essa con una ripresa della capacità competitiva del sistema nel suo complesso e più in particolare dei diversi settori manifatturieri nazionali, facendo leva sui nostri pregi, sulle nostre qualità peculiari, proprie di un modello di sviluppo caratterizzato da un'accentuata presenza di piccole e medie imprese e cercando di correggere e ridimensionare i punti deboli, in particolare la limitata presenza nei settori delle nuove tecnologie a forte intensità di capitale.
Ci sarebbe molto bisogno adesso di una politica industriale interventista, orientata oltre che alle riforme strutturali anche a sollecitare domanda pubblica e privata e offerta pubblica e privata, per recuperare ritardi di sviluppo e promuovere occupazione tecnologica. Molti analisti, in questi mesi, hanno sottolineato come alla base del nuovo miracolo tedesco vi sia un forte intervento pubblico ed una stretta concertazione tra Governo, imprenditori, sindacati e banche. Il progetto «Industria 2015», messo a punto nella scorsa legislatura dal Ministro per lo sviluppo economico Bersani, ha rappresentato, rappresenta e può rappresentare ancora un piano credibile e organico di interventi pubblici nell'economia, che oggi appaiono drammaticamente urgenti per salvare ciò che rimane del nostro manifatturiero, sempre più a rischio.
Non si può continuare con le norme manifesto: mi riferisco in particolare all'articolo 3, quello relativo alla fiscalità dei distretti produttivi e reti di imprese, un provvedimento vuoto, perché modifica la disciplina fiscale di tali insediamenti, già estesa anche alle reti di imprese e alle catene di fornitura, ripristinando di fatto il regime fiscale previsto dalla legge finanziaria del 2006, che non ha trovato però applicazione per la mancata adozione dei relativi decreti attuativi.
Per concludere, quindi, noi abbiamo collaborato a migliorare molto il provvedimento in esame, che era arrivato alla Camera come al solito come un provvedimento-tampone, incompleto e tardivo. Il nostro senso di responsabilità, con il quale ci siamo approcciati fin dall'inizio della crisi, continua nonostante siamo al sesto decreto e non si veda purtroppo una strategia sulla quale ci si possa misurare Pag. 35concretamente (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, quando si scriverà la storia della politica economica del terzo Governo Berlusconi, una storia grama - posso preannunciare che Folder, un centro studi a noi vicino sta già lavorando ad un libro bianco su tale politica economica, che dimostrerà quanto grama sia la storia, soprattutto per i cittadini e per le classi più deboli -, si dovrà, per forza, parlare dei cinque provvedimenti adottati tra il 2008 e i primi mesi del 2009. Mi riferisco al decreto-legge n. 93 del 2008 (per intenderci, quello concernente l'abolizione dell'ICI), al decreto-legge n. 112 del 2008 (la cosiddetta manovra finanziaria estiva), alla legge finanziaria per il 2009, al decreto-legge n. 185 del 2008 (il cosiddetto pacchetto anticrisi) e al decreto-legge n. 5 del 2009, che stiamo discutendo. Potremmo aggiungere anche il decreto-legge n. 155 del 2008, concernente la stabilizzazione del sistema creditizio, che non aveva un impatto finanziario, ma ne avrà, comunque, uno a nostro giudizio, forse, ancora più pesante.
Oggi, dopo la conclusione della discussione sulle linee generali del provvedimento in oggetto e di un altro disegno di legge di conversione, all'ordine del giorno è prevista la discussione di una mozione da noi presentata e proposta, con riferimento alle problematiche del sistema bancario. In quella sede, magari, esamineremo meglio questo tipo di decreto-legge ed i suoi effetti.
Quello che è interessante è che la storia ha, come sempre, un inizio. Vorremmo porre l'inizio di questa storia al 10 ottobre del 2008, quando Silvio Berlusconi si trovava a Napoli e «arringando» gli italiani, dava i suoi «consigli per gli acquisti», dicendo: comprate ENEL, comprate ENI, perché azioni con quei rendimenti non potranno che farvi rientrare con il loro valore. Vi fu un certo scalpore con un Presidente del Consiglio che diventa - ma lui è tutto - anche consulente finanziario degli italiani e dà i consigli per acquistare determinati titoli in borsa. Da un certo punto di vista, ciò potrebbe sollevare anche qualche considerazione di natura penale, perché esiste un certo reato che si chiama aggiotaggio. Ma non importa, lasciamo stare, perché in seguito all'approvazione del cosiddetto lodo Alfano, non sarebbe neppure perseguibile e, quindi, neppure possiamo parlare di questo.
Tuttavia, vorrei pormi nella testa di quell'italiano che, quel 10 ottobre, consigliato dal suo Presidente del Consiglio, va in banca ad acquistare azioni ENI o ENEL. Vediamo cosa gli sarebbe successo dopo sei mesi. Il 10 ottobre, il titolo ENI andava più o meno maluccio e valeva circa 14 euro per azione; sei mesi dopo, continua a valere 14 euro. Quel cittadino avrebbe fatto un brutto affare. Per carità, piuttosto che perderci, va bene anche pareggiare il conto, tuttavia, quando un consulente finanziario vero consiglia un investimento, lo fa affinché il suo cliente possa trarne un valore ben maggiore. Quindi, avrebbe realizzato un pareggio. Tuttavia, la tendenza di quel titolo, nel medio e lungo termine, indica addirittura un ribasso. Pertanto, oggi gli operatori dicono: chi ha delle azioni ENI in tasca non le venda, le tenga, perché è meglio non operare su quel titolo.
Se, invece, quel cittadino, seguendo sempre il «consiglio per gli acquisti», avesse acquistato ENEL? Anche il titolo ENEL andava maluccio il 10 ottobre: valeva, più meno, 4,50 euro; dopo sei mesi, oggi, vale 3,45 euro. Questo significa una perdita secca del 25 per cento. Pertanto ci si chiede: perché il Presidente del Consiglio, facendo anche il consulente finanziario, ha consigliato male i cittadini? Vi è qualcuno che grazie a ENI e a ENEL ha guadagnato qualcosa.
ENI, per esempio, nel 2007 aveva investito in pubblicità con Publitalia circa 12,5 milioni di euro che nel 2008 sono diventati quasi 18 milioni, con un aumento Pag. 36del 38 per cento. ENEL aveva acquistato da Publitalia nel 2007 spazi pubblicitari per circa 10 milioni che nel 2008 sono diventati 13, quasi il 30 per cento in più. Già, c'è proprio qualcuno che grazie a ENI ed ENEL ha guadagnato: è Publitalia, è qualcuno che in qualche modo ha indotto gli investitori che gli hanno creduto ad investire in quel titolo. Peggio per quegli investitori, ma bene per lui perché qualche vantaggio lo ha tratto. È un aneddoto per dire che, purtroppo, la situazione è davvero problematica per i nostri cittadini.
Se andiamo a guardare gli effetti prodotti da quei cinque decreti-legge, essi sono completamente diversi rispetto a quelli comunicati. Purtroppo oggi la comunicazione diventa realtà e questo Governo ha indubbiamente delle capacità comunicative, legate forse anche al fatto che dispone di qualche azienda che ne ha (anzi, quasi tutte), per cui la comunicazione riesce sempre bene. Andiamo, però, a vedere cosa è realmente successo e lo facciamo prendendo i dati dello stesso Governo, della Ragioneria generale dello Stato.
Se andassimo a vedere qual è stato l'investimento in risorse attuato, per esempio, con il decreto-legge n. 155 del 2008, vedremmo che ammonta a 18 miliardi per il 2009 (qualcosa come l'1,2 per cento del PIL), che gli stanziamenti scendono a 12 miliardi per il 2010 e che diventano 13 per il 2011. Le fonti di finanziamento, però, sono cresciute ben di più: esse ammontano a 28 miliardi per il 2009, a 31 miliardi per il 2010 e a 44 per il 2011. Abbiamo, quindi, un impatto netto dei provvedimenti che è l'esatto contrario di un impatto di tipo espansivo, cioè di quello che sarebbe necessario per fronteggiare una crisi come quella che stiamo attraversando. L'impatto netto porta ad una riduzione dell'indebitamento netto pari a 10 miliardi nel 2009, quasi 20 nel 2010 e 31 nel 2011. Questi sono i numeri che, sostanzialmente, sono contenuti nella manovra d'estate, nel decreto-legge n. 112 del 2008, e che non sono stati minimamente controbilanciati, perché, di fatto, di risorse nuove non ne sono mai uscite, salvo quisquilie.
È evidente che con il peggioramento dei dati macroeconomici anche i dati dell'impatto finanziario del decreto-legge n. 112 del 2008 dovrebbero essere rivisti sia per quanto riguarda le maggiori entrate, sia per quanto riguarda le minori spese. La verità è, però, che non cambia il dato di fondo, non cambia, cioè, il fatto che nonostante i «decreti-legge anticrisi» l'impostazione di fondo della politica economica italiana rimane un'impostazione di tipo restrittivo - non di tipo espansivo - che porta ad una rilevante riduzione dell'indebitamento netto nel triennio considerato. Ciò è da un lato la conseguenza di un forte aumento di entrate, ma anche della riduzione netta di spese, per cui al di là degli annunci retorici del Presidente del Consiglio le spese per investimenti pubblici, anche nel 2009, risulteranno sostanzialmente tagliate rispetto all'andamento tendenziale.
Anche se ci limitassimo all'analisi dei soli provvedimenti finalizzati al sostegno dell'economia, ossia il decreto-legge n. 185 del 2008 e quello che stiamo esaminando, quindi il decreto-legge n. 5 del 2009, ci renderemmo conto che le risorse stanziate dal Governo per il 2009 sono di circa 7 miliardi, di cui 2 miliardi di sgravi fiscali, 3,5 di maggiori spese correnti e 1,6 di maggiori di spese in conto capitale, quindi nel 2010 la manovra si ridurrebbe a 4 miliardi, e a 5 nel 2011.
La verità è che la risultante che noi abbiamo è una riduzione dell'indebitamento netto di 35 milioni nel 2009, di 196 milioni nel 2010 e di 198 nel 2011 e per cui, in pratica, la conclusione di tutto questo ragionamento è che gli interventi anticrisi posti in essere dal Governo hanno avuto un impatto pari a zero sulla manovra netta, ossia come effetto sull'indebitamento netto e quindi sono esattamente in linea con la manovra d'estate, che era una manovra fortemente restrittiva.
D'altro lato, è anche interessante guardare cosa hanno fatto gli altri, perché il confronto deve essere fatto con loro e se Pag. 37riduciamo l'indice percentuale, ossia l'incidenza sul Prodotto interno lordo della manovra, è facile constatare che, prendendo come riferimento il PIL 2008 di alcuni Paesi, da dati del Fondo monetario internazionale risulta che gli Stati Uniti hanno avuto una manovra discrezionale dello 5,9 per cento, la Cina del 4,8, la Spagna del 4,5, la Germania del 3,4, il Canada del 2,8, il Giappone del 2,2, la Russia del 1,7, il Regno Unito del 1,5, la Francia dello 0,7 e l'Italia di un misero 0,3 per cento. Un intervento che poi risulta persino peggiore se si dovesse estendere, oltre le manovre di tipo discrezionale, anche ai cosiddetti stabilizzatori automatici, ossia quegli interventi che scattano in modo autonomo.
È vero che naturalmente questo ha degli effetti che riducono l'impatto nel rapporto deficit-PIL preso a base dell'andamento tra il 2007 e il 2010, tuttavia il problema è che un indebitamento che aumenta di poco non permette agli italiani di mangiare, e la verità è che il problema in questo momento è realmente quello di permettere a larga parte della popolazione italiana, in particolare a quella fascia di più basso reddito, a quella socialmente più problematica, di sopravvivere.
Possiamo, infatti, fare tutte le lotte che vogliamo al rapporto deficit-PIL, ma se la gente muore forse è meglio prima preoccuparsi di consentire alla gente di vivere e solo dopo misurare come è aumentato il Prodotto interno lordo.
La verità è che all'interno di questo provvedimento ormai passiamo da spot del Governo, del Presidente del Consiglio in particolare, a spot di parte della maggioranza. Infatti, questo vincolo istituito all'interno del decreto-legge sulla rottamazione dei veicoli e sull'erogazione degli incentivi alla non delocalizzazione, a parte le problematiche legate all'accoglimento da parte dell'Unione europea, presenta anche delle problematiche di natura reale e concreta che saranno difficilmente superabili.
Noi del gruppo dell'Italia dei Valori non crediamo ad una deriva di tipo protezionistico, pensiamo che il protezionismo non abbia mai risolto i problemi di un Paese, mai nella storia, può aver avuto qualche effetto limitato a tempi brevissimi, tempi però necessari semplicemente a far sì che all'interno di un Paese ci si organizzi e si formi l'economia nera e poi tutto il resto torna come prima. Immaginare, pertanto, di affrontare un tema come questo in una crisi globale mondiale con il protezionismo ci pare assolutamente fuori di logica.
Certo, avremmo preferito altre strade. Avremmo preferito non mettere i bonus in mano alla grande impresa ma ai cittadini, a coloro che devono acquistare le automobili e non direttamente alle case automobilistiche perché i nostri interventi - e lo faremo sempre, con tutti i nostri emendamenti - saranno finalizzati a riportare le questioni al livello non tanto della grande impresa, ma dei singoli cittadini, attraverso l'aumento del loro potere di acquisto, anche sotto forma di bonus da spendere obbligatoriamente per rimettere il volano dell'economia in movimento ma, comunque, attraverso il cittadino e il consumatore, non attraverso l'impresa.
Che dire, poi, dell'intervento sul Patto di stabilità? Abbiamo fatto qualche conto ma l'effetto è così limitato - ma così limitato - che ci sarebbe da ridere, perché l'imposizione di limiti di spesa pari a 150 milioni l'anno vuol dire 20 mila euro a comune, e questo ci sembra talmente ridicolo che forse era meglio nemmeno varare tale misura. Immaginare di dire che questa è la risposta alle mozioni approvate all'unanimità da questa Assemblea vuol dire che, ancora una volta, il Governo prende in giro il Parlamento e dichiara di volersi fare un baffo del Parlamento come istituzione. Infatti, se nemmeno le mozioni, approvate all'unanimità, ottengono una risposta seria, concreta e vera vuol dire che siamo in presenza di un Governo... d'altronde, il capo di questo Governo ha reso delle dichiarazioni, ieri, che la dicono lunga su quale sia la sua intenzione. Altro che poco potere! Sfortunatamente, ne ha troppo. Bisognerebbe limitarglielo, visto il modo con cui lo usa. Comunque, questa deroga al patto di stabilità Pag. 38vale due euro e mezzo a cittadino. Dire che non ci vogliamo prendere in giro mi sembra che sia il minimo.
Inoltre, per noi dell'Italia dei Valori vi è un altro dato all'interno di questo provvedimento che sconvolge. In questo momento siamo di fronte alla crisi epocale che tutti conosciamo in cui, ogni giorno, centinaia e centinaia di italiani perdono il loro posto di lavoro e non sempre hanno la garanzia di avere una qualche forma di ammortizzatore sociale. Se andiamo a vedere bene anche con gli interventi che sono stati compiuti, in realtà, si lasciano, comunque, sostanzialmente inalterati i beneficiari degli ammortizzatori sociali. Non voglio dilungarmi molto, anche se vi sarebbe molto da discutere, ma in realtà anche su questo punto andiamo a finire in un quadro complessivo incerto a parte il momento in cui ciò sarà spiegato e chiarito, perché molti aspetti sono ancora da comprendere. Pertanto, si diceva che si estende il beneficio anche a chi non ne aveva diritto ma, in realtà, l'estensione è limitata, comunque, a pochissimi soggetti. Inoltre, a nostro avviso, il decreto-legge in esame contiene un altro gravissimo neo. In questo provvedimento vi è un intervento che rifinanzia, di fronte a tutto quello che sta succedendo, con 25 milioni di euro la legge n. 311 del 2004, la cosiddetta «legge mancia», una delle cose che consideriamo più ...
MASSIMO VANNUCCI. Ridicole!
ANTONIO BORGHESI. ... non voglio usare una parola eccessiva, ma la consideriamo una proposta indecente. Infatti, immaginare di sbriciolare interventi di questo tipo su richiesta di singoli parlamentari, interventi privi di qualunque consistenza, di fronte - lo ripeto - a una crisi epocale come questa e riuscire a trovare mezzi per poi dire che non vi sono risorse mentre si riescono a trovare per la cosiddetta «legge mancia» credo sia realmente una proposta indecente.
Vi sono, inoltre, molti altri aspetti che non ci convincono all'interno di questo decreto-legge. Vorrei ricordare la questione della dichiarazione dei redditi di distretto. Non abbiamo neanche la definizione giuridica di distretto e legiferiamo su questa materia, lasciando così aperte delle incertezze enormi che costituiranno un altro incentivo all'evasione fiscale.
Peraltro, con tutti i suoi interventi, questo Governo ha dimostrato di essere colluso con l'evasione fiscale e continua ancora su questa strada. Infatti, nel momento in cui non c'è certezza giuridica sul soggetto beneficiario di questo intervento, ciò vuol dire che basta che qualche mese prima, un mese prima o un giorno prima di utilizzare lo strumento di quella dichiarazione dei redditi, facendo inserire e risultare residente un'impresa che ha perdite colossali, nessuno paga più nulla?
A me pare che veramente ci stiamo incamminando su una strada soltanto per il furbo e per il forte, ossia la strada del far west. Il far east è quello dove si è spostata la delocalizzazione; rispetto a quello, oggi il far west siamo noi che, con provvedimenti come questo, in realtà ancora una volta togliamo ai poveri e diamo ai ricchi, togliamo ai deboli e diamo ai forti, così come abbiamo fatto con le banche (ma di quello parlerò più avanti quando discuteremo della mozione).
Quindi, si tratta di un provvedimento che vedrà il mio gruppo convintamente e fortemente in opposizione. Pertanto, posso già preannunciare fin d'ora un voto del tutto contrario su un provvedimento come questo (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.
ANDREA LULLI. Signor Presidente, sono stato richiamato da qualche collega e amico di maggioranza alla sintesi. Devo dire che la sintesi non è una virtù di questo Governo, visto che stiamo già al sesto provvedimento nell'affrontare la crisi e mi pare sinceramente che si potrebbe parlare di politica «a coriandoli» nell'affrontare i temi economici e sociali di questo Paese.
Magari c'è anche qualche fuoco d'artificio, ma signor Presidente, vorrei che il Pag. 39Ministro del welfare Sacconi venisse in quest'Aula a spiegarci dove sono i 32 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali con i quali ha tanto rallegrato l'Italia in una nota trasmissione televisiva. Il problema è che, a forza di politica «a coriandoli», si possono fare grandi scenografie, ma l'efficacia rischia di essere molto limitata e non lo diciamo per partito preso.
Quando è stato compiuto un intervento che ha messo in sicurezza le obbligazioni e il risparmio degli italiani nei confronti del sistema bancario italiano non abbiamo esitato a concordare con quella misura, che ritenevamo estremamente importante, anche se in seguito hanno tardato molto i decreti attuativi in grado di far beneficiare di tali misure anche le imprese e le famiglie con mutui che non sanno come onorare.
Però, il problema politico che abbiamo di fronte è che questa politica «a coriandoli» è un elemento che espone il nostro Paese ad avere maggiori difficoltà nell'affrontare la crisi economica e soprattutto rischia di essere una mina vagante che può far ritardare l'aggancio alla ripresa, quando questa vi sarà, da parte del nostro sistema economico. Oltretutto, credo che bisognerebbe prendere atto che siamo in Quaresima e che, in particolare, lo sono tante famiglie italiane che probabilmente non finiranno la Quaresima con la prossima Pasqua, poiché la Quaresima durerà sicuramente per l'intero 2009.
Allora, a queste bisogna dare risposte concrete, perché - vedete - voi avete inserito in questo decreto-legge una semplificazione per l'erogazione dei soldi e degli ammortizzatori sociali: noi su questo ovviamente non siamo contrari, l'avevamo già avanzata noi una proposta del genere, che avrebbe permesso di non ritardare la riscossione di queste somme da parte di migliaia e migliaia di lavoratrici e di lavoratori che, invece, hanno sentito parlare per mesi e settimane in televisione e sui giornali di 9 miliardi di euro a sostegno del reddito e che in realtà non riscuotono un euro da qualche mese. Questo è problema molto serio, sul quale non possiamo continuare a fare propaganda.
Ed è anche per questo, credo, che Dario Franceschini ha avanzato le proposte di partecipazione dei redditi più ricchi ad una tassa per il 2009 che consenta in qualche modo di finanziare interventi a sostegno dei ceti più disagiati e più sfortunati, insieme alla proposta dell'assegno mensile ai disoccupati. Bisogna saperlo bene questo, perché in una situazione di questo tipo un primo messaggio di fiducia nel Paese è la redistribuzione di chi ha verso chi non ha, per fare in modo che la coesione sociale sia ancora più rafforzata, per dare senso di cittadinanza reale a chi si trova in condizioni di difficoltà. Come sanno bene le piccole e medie imprese, come sanno bene i sistemi produttivi locali, la coesione sociale e la fiducia rappresentato in primo luogo un elemento di tenuta, e in secondo luogo un elemento di successo del lavoro e della stessa impresa. Quindi, su questo argomento noi vi incalzeremo ancora in quest'Aula e in questo Parlamento.
Voglio dare atto di un lavoro che è stato fatto. Noi ovviamente abbiamo un giudizio critico e negativo sul provvedimento nel suo insieme, però abbiamo svolto insieme un confronto proficuo, certamente da posizioni distanti, che testimonia però un fatto: il Parlamento, se vogliamo farlo funzionare può funzionare e può portare dei risultati importanti. Spesso è la volontà politica che punta a stimolare il Parlamento e a farlo lavorare in modo da dare risposte concrete ai problemi che ha questo Paese, e questo Paese ne ha tanti.
Voglio interloquire in modo particolare, a parte con il relatore per la Commissione finanze, che ha svolto certamente una relazione asciutta e importante, che ha riassunto i temi del dibattito e del decreto, anche con il collega Vignali che, a parte l'apprezzamento che mi ha rivolto, ha fatto un intervento nei toni molto importante, di una civiltà politica che se volessimo affermare in questo Paese forse avremmo tutti noi la possibilità di dare un contributo per il superamento di questa Pag. 40crisi, che sicuramente è una bestia molto difficile da governare e molto difficile da riportare nell'ambito di una speranza che certamente ci vede tra i sostenitori, perché abbiamo una grande fiducia in questo Paese che amiamo profondamente.
Si dice: non possiamo fare di più, perché c'è il debito pubblico. Lo sappiamo bene, perché abbiamo avuto la ventura di portare l'Italia nell'euro; chi ha cercato di mettere a posto i conti pubblici negli anni scorsi lo sa bene che quello del debito pubblico è un grande problema; certamente è un vincolo alle politiche che dobbiamo mettere in campo. Ma il punto vero è che questa crisi non può che mettere in rilievo come sia necessario ricostruire uno stimolo pubblico, anche con l'utilizzo di risorse pubbliche.
Sono d'accordo, infatti, che è innegabile che l'Italia ha una ricchezza privata importante a fronte del debito pubblico, però bisognerebbe anche ricordarsi che in questi venti anni la ricchezza privata si è molto concentrata in poche mani e vi è stato un arretramento di parti non piccole della società italiana in termini di ricchezza.
Tuttavia, detto questo, si tratta di un fatto vero e ritengo anche giusta l'osservazione che, nell'affrontare la crisi, è positivo rimettere in circolazione le risorse private perché è del tutto evidente che in questo Paese, più che in altri, deve essere messo a frutto il risparmio delle famiglie, considerato che è più importante che in altri Stati; pertanto, poi valuteremo l'eventuale piano casa al netto delle strumentalizzazioni che vengono fatte e di un approccio, per così dire, naïf che può costare caro a tutti noi e soprattutto ai nostri figli in termini non solo di paesaggio, di ambiente, ma anche di vivibilità concreta delle nostre città e dei nostri territori. Su questo avremo modo di svolgere un confronto.
Tuttavia, la domanda che voglio rivolgervi, e che vi abbiamo posto anche durante il lavoro delle Commissioni è la seguente: siamo sicuri che questo approccio minimalista dell'uso delle risorse pubbliche, che certamente deve tener conto dei vincoli non tanto di Maastricht, ma dell'indebitamento che abbiamo e, quindi, del rapporto con l'economia mondiale, sia la risposta giusta?
Non vorrei che quando trarremo i primi bilanci ci accorgessimo che, in realtà, i saldi di finanza pubblica sono assai peggiorati con questo tipo di approccio invece che con una salutare scossa di intervento che possiamo realizzare allo scopo di cercare di rimettere in moto l'economia nazionale che, come ha ricordato anche il collega Bragantini della Lega, era già in affanno prima dell'arrivo della crisi finanziaria internazionale. Noi abbiamo questo dubbio, anzi, personalmente sono convinto, ma non solo io, che questo sia un approccio che può portare il Paese a un appesantimento, che può davvero far lievitare il debito pubblico senza che si sia riattivata l'iniziativa privata.
Occorre, infatti, considerare che lo stimolo pubblico è fondamentale anche per ricostruire le ragioni per le quali poi l'imprenditoria privata o le risorse private si possono mettere in gioco e che, nella situazione di crisi mondiale in cui ci troviamo e nella competizione economica mondiale che si svolgerà sempre più per livelli di sistema, non è possibile pensare di fare appello solo e soltanto alla capacità di arrangiamento che è tipica e che spesso è anche una virtù degli italiani. Credo che questo sia un errore grave che rischiamo di pagare gravemente.
Collega Vignali, lei in qualche modo criticando Keynes ci ha detto, in sostanza, che forse la crisi è frutto di un approccio del Keynesismo alle politiche economiche. Le voglio ricordare che Keynes è stato il primo economista che ha parlato di fine dell'economia in un discorso del 1928, pubblicato poi nel 1930 dopo lo shock del 1929, nel quale sostanzialmente diceva che, se guardiamo al futuro, l'economia non si presenterà più come un problema permanente per la nostra specie perché avremo risolto il problema della redistribuzione del reddito.
Non è andata così, ma quando si critica Keynes perché ci si dimentica della persona e si critica il Keynesismo perché Pag. 41guarda solo ai numeri, credo che si possa dimostrare che non è così. Anzi, la crisi, collega Vignali, è derivata soprattutto dal fatto che nel Paese, e in questo mondo, è entrata in crisi l'idea di un arricchimento sempre più rapido e in tempi sempre più stretti.
Questo è ciò che è entrato in crisi, ovvero l'avidità il cui motore è l'egoismo che qualche esponente politico di spicco della vostra maggioranza in una recente assemblea nazionale della Confindustria ha elogiato come il motore dello sviluppo dell'economia. È qui che vi è l'inghippo e si è consumata la crisi. Se non lo capiamo sarà molto più complicato trovare le soluzioni.
Credo che lo slogan «consumare tutti purché si consumi» non sia più la ricetta giusta. Devono essere rilanciati i consumi intelligenti e, di conseguenza, devono essere messe in campo vere politiche di aggressione alla crisi fin da oggi, e su questo aspetto vi abbiamo sfidato in tante situazioni.
Si dice che gli incentivi alla rottamazione delle auto e delle moto stiano dando i primi segnali di ripresa. Ciò è vero, tuttavia abbiamo fatto sì che nei primi due mesi dell'anno colassero a picco gli ordinativi e si creasse una situazione di aggravamento. Se gli incentivi alla rottamazione fossero stati prorogati, come le opposizioni vi chiedevano, già dal 1 di gennaio, ci saremmo risparmiati un problema non piccolo e tante ore di cassa integrazione per i dipendenti delle grandi aziende, così come qualche licenziamento nei settori collegati alla grande aziende, ovvero quelli che lavorano per conto terzi. Questo è stato un errore grave.
Da questo punto di vista capisco il problema. Abbiamo avuto una polemica con i colleghi della Lega per l'emendamento sulla delocalizzazione. È chiaro che esiste un problema sull'utilizzo delle risorse pubbliche e il rafforzamento dell'economia del Paese in cui le risorse pubbliche si utilizzano. Si tratta di un tema che affrontano altri grandi Paesi. Tuttavia, colleghi, la soluzione non può essere una norma volantino. Si passa, infatti, dalle leggi manifesto agli articoli volantino per fare, credo, un po' di campagna elettorale.
Se la Chrysler o la Peugeot, visto che stanno facendo accordi con la FIAT, venissero ad investire in Italia sarebbero esclusi dagli incentivi, e ciò rappresenterebbe un fatto paradossale. Una norma di questo tipo, se venisse davvero autorizzata dall'Unione europea (anche se sappiamo tutti che non lo sarà), rischierebbe di mettere in crisi anche quei cittadini che fino a oggi hanno usufruito del bonus creando così una situazione incredibile.
Se il problema è relativo all'utilizzo delle risorse pubbliche, noi una proposta ve l'avevamo fatta, ovvero utilizziamo la defiscalizzazione per gli investimenti produttivi nei distretti industriali. Gli imprenditori che investono nei loro territori usufruiscono della defiscalizzazione e questa misura è conforme con quanto stabilito dall'Unione europea. Ciò è possibile ed è anche una misura concreta se si vuole parlare di sistemi locali di sviluppo rispetto a una pantomima del fisco di distretto. Quest'ultimo non può funzionare a meno che non vi sia l'idea di non far pagare le tasse. Fisco di distretto significa che l'imprenditore è disponibile a pagare più tasse perché l'altro imprenditore ne paghi meno. Ciò non è possibile e non si può pensare di fare un'operazione del genere!
Allora, anche su questo aspetto vi incalzeremo. Se vogliamo davvero premiare le questioni legate all'ancoraggio del territorio, si abbia il coraggio di defiscalizzare gli investimenti produttivi nei territori e di sviluppare un ragionamento su ciò, così come si è fatto per le cosiddette Visco-sud e Tremonti-bis. Questa è la risposta al tema che poneva il collega della Lega e non la norma volantino tanto per salvaguardarsi l'anima e dire cose non applicabili.
Sul Patto di stabilità hanno parlato molti colleghi tra cui Borghesi, Scarpetti e Ceccuzzi.
Cosa dobbiamo dire su questo? Attenzione, se non cogliamo l'occasione - ma già si perde tempo - di far partire i piccoli Pag. 42investimenti e di smobilizzare le risorse che i comuni hanno negli avanzi di amministrazione, si perderà l'opportunità di dare veramente un colpo alla crisi.
Inoltre, attenzione, perché si rischia di invitare i sindaci alla disobbedienza civile. Infatti, parliamoci chiaramente: abbiamo abolito l'ICI per le case ricche, creando difficoltà, vi sono interpretazioni restrittive su altre norme e creiamo difficoltà. Certamente, abbiamo apprezzato - ho fatto il sindacalista e ritengo che prendere un euro in più sia meglio di niente - i 150 milioni in più che avete previsto, però bisogna avere la consapevolezza che non sono sufficienti. Su questo noi vi incalzeremo, perché non può esistere un atteggiamento di questo tipo, che penalizza soprattutto i comuni più virtuosi, quelli che hanno i soldi da investire. Se sarà necessario, credo che le amministrazioni locali potranno anche compiere atti di forza, anche di disobbedienza civile, per quanto mi riguarda, perché questo sarebbe nell'interesse generale del Paese, non solo della città che essi amministrano.
Poi, vi incalzeremo su altri temi. Sono d'accordo, infatti, che il fisco è un argomento delicato, però anche in quest'ambito, colleghi, abbiamo avanzato l'idea di prevedere la deducibilità degli interessi passivi per questo biennio per le imprese che non hanno più redditi operativi importanti, che, in una situazione di crisi grave, rischiano di pagare le tasse sugli interessi passivi, ma non vi è stata risposta.
Per quanto riguarda l'export e non solo, vi abbiamo proposto di innalzare il limite di compensazione dell'IVA da 561 mila euro a 1 milione di euro. Anche questo non ha costi per lo Stato - mi si consenta - perché sono soldi delle imprese, sono partite di giro. Certamente, ci sono problemi di cassa, ma a fronte di situazioni di questo tipo credo che non si possa non prendere atto che interventi di questa natura sono molto importanti.
Infine, voglio dire che certamente alcune cose sono state ottenute. Soprattutto, mi preme ricordare la questione del tessile, che certamente non è risolta con gli emendamenti che sono stati recepiti. Anche su questo punto, noi vi incalzeremo nel dibattito in Aula con nuovi emendamenti. Li giudico positivamente, ma il problema non è il giudizio, bensì la necessità di dare risposte alle migliaia e migliaia di imprese e alle centinaia e centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, che non le hanno.
La cosa importante è rinegoziare il debito con le banche da parte delle piccole imprese. Vi è una norma importante, però spero che il decreto attuativo giunga in tempo, perché questo è un punto molto delicato, che può far saltare molta parte dell'apparato produttivo industriale di questo Paese.
Noi ci accingiamo a questo confronto, lo faremo con queste proposte e con altre, non con molti emendamenti. Il Partito Democratico punterà su una ventina di emendamenti importanti nel corso del confronto in quest'Aula, sui quali vogliamo dare un segno.
Se sarà possibile, cercheremo di concorrere al miglioramento del testo, altrimenti questa sarà una piattaforma che credo porteremo avanti, anche perché sono sicuro che sarete costretti ad intervenire di nuovo in questa situazione, perché per ora i provvedimenti anticrisi non hanno ottenuto il risultato che avrebbero dovuto ottenere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.
MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Cosentino, francamente ci aspettavamo di più da questo ennesimo decreto-legge. Il nostro è un sentimento di delusione rispetto alle attese create, ma soprattutto rispetto alle esigenze del Paese.
La crisi ha impattato in Italia, un Paese già provato, direi stremato: 16 mesi consecutivi di calo dei consumi; non era mai avvenuto dal dopoguerra. Il potere di acquisto delle nostre famiglie ha raggiunto il ventitreesimo posto. Pag. 43
Questa crisi sta producendo - è davanti agli occhi di tutti - un calo della produzione e del fatturato industriale ormai a due cifre, anche questo senza precedenti. L'OCSE ieri ci ha comunicato le previsioni sia sul bilancio sia sull'andamento dell'occupazione, consegnandoci un preoccupante meno 10 per cento per quanto riguarda la disoccupazione.
Interventi nei settori che potrebbero più risentire della crisi erano e sono estremamente necessari. Parliamo dei beni non primari, delle cosiddette spese rinviabili, non indispensabili, quelle che possono risentire più di altre della crisi, che dobbiamo cercare di stimolare e aiutare per far vincere e superare una sorta di rinuncia psicologica: la paura della paura, come diceva Roosevelt.
I settori che sono stati inseriti nel decreto-legge non sono certo esaustivi di questa materia. È possibile qui intervenire e agire sulla leva fiscale attraverso i crediti di imposta, gli sconti fiscali e gli abbassamenti di aliquote. Va bene l'intervento sull'auto, sulle moto (è stato detto), anche se avviene con qualche ritardo; vanno bene gli interventi sull'arredo per la casa e non solo, ma sono limitati e poi ci tornerò.
Sono opportuni interventi sul tessile, sull'abbigliamento e sulla moda; ce ne sono, ma non bastano, e interverrò anche su questi. Un altro dei settori su cui dobbiamo intervenire, proprio per agire su questa paura, è quello del turismo.
Vi è, anche su questo, un timido intervento, quello riferito ai canoni demaniali, che, con il presidente Conte, abbiamo ispirato: l'articolo 5-bis, che dobbiamo assolutamente confermare e difendere per l'approvazione definitiva di questo decreto-legge, perché impatta con una norma sbagliata, che nessuno dei precedenti Governi è riuscito a modificare. Per la prima volta si dà un indirizzo, dopo un importante protocollo sottoscritto dal sottosegretario Brambilla con le regioni e le associazioni del settore.
Altri interventi che possono impattare negativamente sulla crisi sono quelli nei settori dell'edilizia e dell'adeguamento ambientale.
Per quanto concerne gli interventi nel settore dell'edilizia non basta l'annuncio del Piano casa. Voglio complimentarmi con la maggioranza, in questo caso, per la grande capacità comunicativa, per la grande centrale comunicativa che ha fatto parlare gli italiani per giorni e giorni della possibilità di allargare le proprie case. Tali interventi sono stati annunciati il venerdì, e gli italiani la domenica hanno disegnato la possibilità della stanza in più, della veranda, del garage, salvo poi accorgersi che la praticabilità di queste norme era difficile, complicata e complessa.
La materia rientra nella legislazione concorrente: dobbiamo convincere le regioni e non scaricare irresponsabilmente la responsabilità su altri. È stata solo e semplicemente un'azione di comunicazione brillante, ma che impatterà, purtroppo, con la dura realtà.
Ciascuno di questi settori meriterebbe un approfondimento, ma voglio dire qualcosa sul settore del mobile, del quale mi sono occupato. Ho proposto numerosi emendamenti a questo decreto-legge; lo avevo già fatto con i decreti-legge precedenti e con la finanziaria.
Sento, in qualche modo, di avere ispirato, insieme al mio gruppo, questo timido intervento, legato solo alle ristrutturazioni: il 20 per cento di 10 mila euro, 2 mila euro, a chi compra 10 mila euro di mobili e solo nel caso delle ristrutturazioni.
Lo ha già detto il collega Bragantini della Lega: sarebbe stato opportuno estendere questa misura anche a chi acquista per la prima volta casa; sarebbe stato opportuno creare un bonus per chi si muove dalla residenza di famiglia, per i giovani che rimangono in famiglia fino a 30-35 anni, agevolandone, invece, l'uscita, intervenendo sull'aspetto sociale e sull'aspetto economico del comparto del mobile.
Del resto, il settore del mobile fattura circa 40 miliardi di euro, occupa 410 mila addetti, occupa il 9 per cento degli addetti Pag. 44del settore manifatturiero oltre all'indotto, è il secondo settore italiano per numero di imprese; e anche questa è una delle caratteristiche del made in Italy.
Il decreto-legge è insufficiente perché la strada che ha intrapreso il Governo per fronteggiare questa crisi è sbagliata, è insufficiente. Ho qui un articolo de Il Sole 24 Ore che mette a confronto tutti i Paesi del mondo, il loro debito pubblico in percentuale del PIL e la quota di incentivi che hanno destinato in questa fase di crisi economica. Il nostro Paese si attesta allo 0,3 in percentuale sul PIL, ha stimato Il Sole 24 Ore 7 miliardi: non credo che alla fine, se facciamo bene i conti, siano in effetti 7 miliardi. Dopo di noi c'è solo la Turchia, che ancora non ha adottato provvedimenti specifici; ben più alte sono le percentuali che riguardano gli altri Paesi, a partire dagli Stati Uniti con il 6 per cento, poi la Cina con il 5 per cento, la Spagna con il 4 e mezzo, la Germania con il 3-4 per cento sul PIL: tutti hanno cercato di immettere domanda pubblica, di perseguire politiche pubbliche, di orientare la crescita.
Anch'io ho sentito - l'ha richiamato, e ha ben risposto il collega Lulli all'onorevole Vignali - le preoccupazioni che in maniera ricorrente ci vengono proposte circa il rischio di agire in deficit. Intanto, dipende da come si spende; poi, credo che non vi sia permesso banalizzare questa nostra proposta. Vi sono, in questi provvedimenti che avete approvato successivamente, profili di copertura molto discutibili: voi state producendo deficit senza dirlo, state agendo già in deficit senza dirlo, senza dichiararlo; la via maestra sarebbe stata, invece, quella di discuterne, di verificare l'ammontare di risorse che questo Paese avrebbe potuto utilizzare; e la sfida, noi l'avremmo raccolta, perché avreste dovuto rilanciare dicendoci: in questa fase transitoria vediamo cos'è necessario fare, dov'è necessario intervenire, però accordiamoci anche sui rientri, cioè accordiamoci su quelle politiche strutturali di cui il Paese ha bisogno per una spesa pubblica di qualità. Questa doveva essere la strada maestra! Ma presupponeva un confronto vero, presupponeva un tavolo di crisi vero, un confronto che potesse, appunto sul piano dei conti pubblici, rappresentare un'occasione di uscita.
Il limite, qual è? Il limite è esattamente nella mancata previsione di questa crisi! Voi avete sbandierato il fatto di averla anticipata, di averla vista a luglio. Non vi rifarò l'elenco delle misure sbagliate - sono state qui ricordate -, anche contraddittorie: dalla detassazione degli straordinari alla Robin tax, all'Alitalia, all'abrogazione dell'ICI, come insomma ricordiamo sempre. La madre di tutti gli errori è stata la manovra estiva: la manovra estiva è stata depressiva! Non vi è stato il coraggio di scegliere! Noi dovevamo affrontare il problema dei saldi, come dicevo prima: noi abbiamo condiviso i saldi obiettivi di quella manovra, avevamo concordato noi con l'Europa i tagli alla spesa pubblica. Ma non si doveva fare così! Un Governo che decide non può dichiarare un taglio del 17 per cento lineare su tutte le voci di spesa! In questo modo si taglia la spesa buona e quella cattiva, si taglia la spesa produttiva e quella improduttiva; si taglia in questo caso, riferendomi al decreto-legge, la spesa per lo sviluppo! E quante volte, poi, successivamente siamo dovuti intervenire per allocare di nuovo le risorse! Bisogna agire con più forza sulle sacche di spreco, sui veri privilegi, sulle incrostazioni; ma voi non avete avuto la forza e non avete avuto il coraggio.
Quindi, la manovra è da rivedere, ma del resto la state rivedendo anche con il provvedimento ora in discussione. Credo che il decreto-legge n. 112 del 2008 sia il più citato dai provvedimenti successivi e siamo di nuovo intervenuti ormai, credo, su tutti gli articoli. Non funziona, ve lo avevamo detto che non avrebbe funzionato! Su tre comparti non ci è consentito tagliare: sanità, scuola, sicurezza. Dovremo per forza tornarci sopra.
Vi faccio solo un esempio. Noi destiniamo alla scuola, dopo i tagli, 43 miliardi: essi rappresentano il 3 per cento del nostro prodotto interno lordo mentre la media europea si colloca ben oltre il 4 per cento. Ma come pensiamo di uscire dalla Pag. 45crisi se non investiamo in competitività, se non cerchiamo certo di ottimizzare, di risparmiare e di spendere meglio i nostri risparmi indirizzandoli però verso i settori giusti?
La legge finanziaria è stato un fallimento perché abbiamo visto successivamente decine di provvedimenti tra loro contraddittori con un intasamento mai visto e sempre con un mancato confronto: solo bracci di ferro all'interno della maggioranza, come abbiamo visto anche in relazione al decreto-legge in discussione. Vi è stato il paradosso - lo dico a lei, signor Presidente - di azioni di vendetta (non mi viene una parola migliore in questo momento) nei confronti di altri provvedimenti: era fermo l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge sulle quote latte perché non si andava avanti con il disegno di legge di conversione del decreto-legge relativo agli incentivi.
ANDREA GIBELLI, Presidente della X Commissione. È il contrario!
MASSIMO VANNUCCI. O, diversamente, era fermo il provvedimento sugli incentivi perché non si andava avanti con quello sulle quote latte. Però, così non si può governare un Paese!
Signor Presidente, presidente Gibelli, occorreva un'azione a 360 gradi: occorre ancora, siamo ancora in tempo, siamo sempre qui a dirvi e a sollecitarvi rispetto al confronto, a dirvi che è necessario un tavolo di crisi. Mi voglio riferire al tema del fisco: il fisco in un'epoca di crisi - qui abbiamo la Commissione finanze che si occupa di questo problema - può essere lo stesso? Ad esempio, quando parlavamo di politiche pubbliche per fronteggiare la crisi e quando dicevamo che il potere d'acquisto delle nostre famiglie era sceso al ventitreesimo posto tra i paesi industrializzati, noi pensavamo che i redditi più bassi, i redditi medio-bassi, quelli dei pensionati potessero essere sgravati da una riduzione fiscale almeno di 100 euro al mese, laddove la pressione fiscale è aumentata attestandosi ad un livello di oltre il 43 per cento.
Ma in un momento di crisi gli studi di settore, ad esempio quelli degli artigiani, possono rimanere gli stessi e con gli stessi parametri o possiamo allargare, come abbiamo fatto con le nostre proposte, il «forfettone»? Penso alle rimanenze di magazzino in un momento di crisi e di calo dei consumi come questo per i commercianti: sono valutate oggi nella stessa maniera, ma non è pensabile, come abbiamo proposto, una riduzione dei versamenti di IRES, IRPEF e IRAP? Ma solo il Governo Prodi è stato capace di operare una piccola riduzione dell'IRAP: voi l'avete sempre criticata, ma vogliamo mettere mano o no ad una sua revisione? Vi rendete conto di quale effetto può avere in questa crisi una tassa che viene calcolata sui dipendenti e sull'esposizione al debito, quando ci preoccupiamo di dire alle aziende di non licenziare e alle banche di prestare i soldi necessari alle aziende?
Insomma, questa azione a 360 gradi non c'è. La strada maestra era quella della lotta all'evasione, che non è soltanto una questione di risorse ma anche, e soprattutto, una questione di giustizia. Possiamo rivedere, come dicevo, gli studi di settore, l'IRPEF, le misure verso le piccole e medie imprese, gli artigiani e gli esercenti, che non indico come «categorie» tra gli evasori fiscali. Certo, mele marce sono presenti dappertutto, ma non è questo il problema! La sana lotta contro l'evasione fiscale è quella per cui saremo in grado di incidere nei confronti dei paradisi fiscali, dei grandi cartelli, delle grandi truffe. Vedo - e me ne dispiace - che gli altri Paesi su questo fronte sono molto più impegnati dell'Italia, del nostro Paese. Mi riferisco alla Germania e alla Francia, che hanno posto il tema presso tutti i tavoli del G8 e del G20 che si sono tenuti.
Un'altra questione, che si pone spesso in questi provvedimenti e che vorrei ricordare soprattutto al presidente Gibelli, riguarda la SACE (la società per l'assicurazione del credito all'esportazione), che viene utilizzata una volta per finanziare il credito per acquistare macchine (ai concessionari o, indirettamente, anche a chi Pag. 46acquista macchine), un'altra volta per pagare i debiti della pubblica amministrazione.
Credo che dobbiamo compiere una verifica, perché così non sosteniamo il credito all'esportazione, mentre questa sarebbe una grande opportunità. Io vengo da una missione conclusasi ieri in Libia, dove piccole e medie imprese italiane hanno difficoltà a farsi assicurare il proprio debito e, se sono costrette a lavorare esclusivamente con lettere di credito irrevocabile o con pagamento anticipato, perdono molte commesse. Se avessimo un sistema fluido di assicurazione al credito che verificasse il debitore, che intervenisse anche per piccoli importi, ritengo che la nostra piccola e media impresa avrebbe una possibilità in più, molte chance in più, e il sistema dell'esportazione avrebbe un'impennata. Invece, le risorse, che pur ci sono in questo comparto della SACE, vengono destinate altrove.
Tra l'altro, i miliardi fermi a credito di molte aziende non vengono sbloccati. Voglio richiamare in Aula il decreto-legge n. 185 del 2008, per il quale avevo proposto un emendamento, che poi è stato ricalibrato nel testo definitivo: il decreto legge n. 185 è stato pubblicato il 29 novembre e impegnava il Governo, entro trenta giorni, ad adottare un decreto che obbligasse le pubbliche amministrazioni a certificare il debito, perché non si capisce perché, se debitrice verso un'azienda o un privato e se non lo paga, la pubblica amministrazione non debba nemmeno certificare il debito di modo che il creditore possa farselo scontare pro soluto ad onere proprio, presso una banca o una finanziaria. Anche questo, sottosegretario Cosentino, ancora non è stato realizzato e questo provvedimento rappresentava un'occasione ulteriore per tornarci sopra.
Nel provvedimento ci sono anche aspetti, ovviamente, positivi - li ha richiamati l'onorevole Lulli -, come la misura per la quale noi ci siamo impegnati di più: il Fondo di garanzia di ultima istanza per le piccole e medie imprese finalizzato al consolidamento del debito. Ma ve ne sono altri francamente inquietanti, come l'articolo 7-ter che è un tentativo di semplificazione degli ammortizzatori sociali, prevedendo la garanzia del 20 per cento dell'ultima retribuzione ai Cococo e ai Cocopro. Ma vi rendete conto di quante migliaia di lavoratori a progetto, o a contratto, abbiamo in questo Paese? Quando parliamo di questi, non parliamo dell'apprendista, del ragazzo di diciotto o vent'anni, dello studente lavoratore, parliamo di persone che hanno famiglia, che hanno trentacinque o quarant'anni, che sono ricercatori universitari, che hanno un ruolo importante; non possiamo pensare, con il 20 per cento dell'ultimo salario, di dargli una garanzia; non è possibile. Dovevamo affrontare, come prevedevano le nostre proposte, il tema di un reddito di disoccupazione che non è vero che impigrisce la gente, perché ci sono le forme per poter continuare, per poter prevedere l'obbligo della formazione, ci sono forme per lavori socialmente utili e per rimanere a disposizione. Non possiamo mettere delle famiglie italiane di fronte a questa incertezza.
Inquietante, devo dire - mi rivolgo al relatore Milanese che pure ha fatto importanti dichiarazioni in quest'Aula -, è l'articolo 7-quinquies che prevede il Fondo di 400 milioni di euro per celebrazioni ed istruzione. Mi sembra indefinito, avreste dovuto chiedere che venisse meglio definito, che venissero meglio assunti gli impegni perché in un momento di crisi come questo 400 milioni di euro sono una cifra importante, sono 800 miliardi delle vecchie lire. Attenzione, allora, noi verificheremo costantemente l'andamento di questo Fondo e terremo sotto controllo il suo monitoraggio.
In conclusione, rimane il tema dei fondi veri, dei fondi freschi. Si può agire sulla spesa improduttiva (sprechi, privilegi, inefficienze), e non l'avete fatto con la manovra estiva. Si può agire sulle entrate, non aumentando la tassazione, ma intervenendo sull'evasione, ma il Governo, su questo punto, è molto timido, anzi sono state introdotte norme che ci hanno riportato indietro. Pag. 47
Va affrontato il tema delle politiche pubbliche possibili. Oggi, rispetto a quando abbiamo discusso i precedenti decreti - sottosegretario Cosentino - noi abbiamo più elementi perché l'ultima asta dei titoli pubblici - quella che preoccupa il Ministro Tremonti - ha avuto una domanda doppia rispetto all'offerta, perché noi abbiamo un andamento del debito pubblico e del costo degli interessi ben inferiore a quello precedente. Il Paese, gli italiani, che si sentono in questo momento come nei momenti più difficili del nostro Paese, dimostrano di volersi rimboccare le maniche, dimostrano di metterci l'impegno per venirne fuori. Bisogna avere fiducia in questo, e le aste sono una testimonianza di questo, e noi avremo un costo inferiore che dovremo impegnare rispetto al costo del debito pubblico. Purtroppo, queste occasioni, le occasioni di confronto e questi segnali, non vengono raccolti e vengono declinati in un decreto inadeguato, insufficiente, parziale e - devo dire - ingiusto.
Noi in questi mesi abbiamo detto molti «si» e molti «no». In questo caso non so quel che diremo, credo che dipenderà dal confronto che avremo in Aula, se sarà possibile. Vedo già il rischio della posizione della questione di fiducia, e per tale motivo richiamerei il Parlamento ad un sussulto di orgoglio, almeno per vedere garantite le norme e il lavoro che le Commissioni hanno prodotto. A meno di forti modifiche il nostro parere - al momento in cui si apre questa discussione - rimane negativo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 2187-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la VI Commissione (Finanze), onorevole Milanese.
MARCO MARIO MILANESE, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, intervengo soltanto per pochi minuti per confermare quanto detto all'inizio della discussione. Qui in Parlamento vi è stata un una discussione vera e per questo mi permetto di dare atto dell'onestà intellettuale e politica prima dei colleghi Lulli e Ceccuzzi, e adesso del collega Vannucci, che hanno effettivamente messo in evidenza come durante il lavoro svolto in sede di Commissioni riunite, in contraddittorio, siano stati dati pareri diversi sulla crisi. Noi pensiamo che prima il Governo e poi il Parlamento abbiano affrontato al meglio la questione.
Si è parlato di provvedimenti a coriandoli, di fuochi d'artificio e quant'altro, e si è detto che nell'affrontare questa crisi ogni giorno successivo era diverso dal precedente, e il fatto di affrontare la crisi con diversi provvedimenti ha consentito che noi la potessimo fronteggiare nel modo migliore. Non stiamo qui a dire che le banche in Italia non sono fallite. Stati, non dico più evoluti economicamente, ma che comunque sembravano più avanti del nostro hanno avuto seri problemi che noi non abbiamo riscontrato. Non sono però ammissibili - e mi dispiace che il collega Borghesi sia andato via - i soliti insulti al Presidente del Consiglio che poco hanno a che vedere con la discussione seria che abbiamo svolto. Dico solo - per ristabilire un po' la realtà delle cose - che questo Parlamento ha approvato l'anno scorso una norma che ha limitato di molto, se non azzerato, le spese di pubblicità e di rappresentanza. Quindi eventualmente le società cui faceva riferimento l'onorevole Borghesi saranno avvantaggiate in epoca precedente, quando al Governo c'era qualcun altro (facendo riferimento al 2007 e a parte del 2008).
Inoltre, il collega Vannucci ha giustamente fatto riferimento ad una classifica de Il Sole 24 Ore, e mi permetto di dire che ha perfettamente ragione; però ha menzionato Cina, Germania e Spagna. La Cina ha avuto un calo quasi dell'1 per cento del PIL, e chiaramente non ha mai avuto problemi di esportazioni, anzi abbiamo avuto noi problemi di importazioni dalla Cina. La Germania ha un debito Pag. 48pubblico che era del 60 per cento e adesso sta facendo molto debito pubblico, mentre la Spagna ha avuto la fortuna di avere un PIL che camminava molto più velocemente del nostro, grazie anche agli aiuti comunitari.
Detto ciò, voglio concludere dicendo soltanto che il lavoro svolto nelle Commissioni è stato un lavoro esaustivo: il testo è stato completamente analizzato, si poteva fare sicuramente di più, ma con i saldi e i vincoli di bilancio che abbiamo è stato fatto il massimo. Quindi, rendo merito alle Commissioni, a maggioranza e opposizione.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori (2232-A) (ore 16,45).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori.
Ricordo che nella seduta dell'11 marzo 2009 è stata respinta la questione pregiudiziale Ferranti ed altri n. 1.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2232-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Lussana, ha facoltà di svolgere la relazione.
CAROLINA LUSSANA, Relatore. Signor Presidente, il disegno di legge in esame è diretto a convertire in legge il decreto legge n. 11, emanato il 23 febbraio scorso sulla base della straordinaria necessità ed urgenza di introdurre nell'ordinamento misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell'allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale. Si prevede pertanto un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati. Inoltre, riprendendo un testo approvato all'unanimità - salvo solo due voti - dalla Camera dei deputati il 29 gennaio scorso, si prevede anche l'introduzione di una disciplina organica in materia di atti persecutori. Sono legate all'esigenza di una maggiore tutela della sicurezza della collettività le norme dirette ad una più efficace disciplina dell'espulsione e del respingimento degli immigrati irregolari, nonché quelle relative ad un più articolato controllo del territorio attraverso la previsione della predisposizione di un apposito piano straordinario.
Di fronte ad una situazione di grave emergenza e all'esigenza di dare un segnale di forza e di intransigenza nei confronti di coloro che si rendono colpevoli di delitti infamanti come quelli di violenza sessuale, il Governo ha scelto la via della decretazione d'urgenza. Inoltre, il Governo si è trovato innanzi a due altre emergenze: la difficoltà oggettiva di identificare nei tempi previsti dalla legislazione vigente gli stranieri irregolari che si trovano nei centri di identificazione e di espulsione e non collaborano, nonché l'estendersi, sul territorio nazionale, in realtà locali governate o dal centrodestra o dal centro sinistra, del fenomeno di associazioni di volontari Pag. 49che vigilano sul territorio per informare le forze di polizia sulla commissione di reati o su situazioni di pericolo per la sicurezza. Anche per questi due casi si è scelta opportunamente la via del decreto-legge, contestata - dobbiamo dirlo - nell'ambito dell'opposizione, in modo particolare dal gruppo del Partito Democratico.
Tuttavia, considerata la delicatezza delle materie oggetto del decreto, il Governo non ha inserito, come ben avrebbe potuto in fare, disposizioni formulate direttamente dal Governo stesso, preferendo invece emanare sì un decreto, ma composto da disposizioni che hanno avuto un'approvazione da parte di almeno un ramo del Parlamento. Si tratta di una scelta motivata dal rispetto del Governo verso l'istituzione parlamentare, che paradossalmente è stata invece criticata come una mancanza di rispetto del Parlamento ed, in particolare, di quel ramo di esso che avrebbe dovuto esaminare la disposizione approvata dall'altro ramo. Se la questione viene affrontata comunque scevra da ideologie, come dovrebbe avvenire sempre quando si cerca di rafforzare la sicurezza dei cittadini, ci si rende conto che in realtà ci troviamo di fronte ad un atto di rispetto nei confronti del Parlamento.
Lo ripeto: il Governo avrebbe potuto introdurre nel decreto-legge disposizioni del tutto originarie, formulate senza tenere conto di quanto il Parlamento stesse facendo sulla medesima materia. La questione vera è, quindi, se sussistano realmente le condizioni che legittimano il Governo ad emanare un decreto-legge: la necessità e l'urgenza. Secondo il Governo e questa maggioranza esse sussistono; secondo altre forze politiche, come il Partito Democratico, invece, tali condizioni non vi sono.
Nella prima seduta in Commissione, il tema della decretazione d'urgenza è stato una delle maggiori contestazioni che sono state formulate al Governo stesso. Ricordo anche che da parte di qualcuno, negli interventi dei colleghi e delle colleghe del Partito Democratico (in modo particolare, mi riferisco all'onorevole Samperi), ci si è chiesti se vi fosse o meno un'emergenza stupri tale da giustificare il ricorso alla decretazione d'urgenza.
Tale richiesta di conoscere se nel nostro Paese vi fosse o meno questa emergenza, nonostante i fatti di cronaca ben noti l'avessero evidenziata, è stata rivolta al Ministro. È stato espressamente chiesto al Ministro Carfagna, presente in Commissione, se vi fosse o meno tale emergenza. Dobbiamo dare atto al Ministro Carfagna di aver evidenziato, nella sua risposta, che, con riferimento ai reati di violenza sessuale, vi è un trend di diminuzione nel 2008 rispetto al 2007. Questa risposta estremamente puntuale e sincera del Ministro è stata male interpretata dal Partito Democratico: addirittura, siamo arrivati ad un veemente attacco al Governo e al Ministro, incolpati di voler strumentalizzare il fenomeno della violenza sessuale assumendolo, anche attraverso campagne di informazione, come un'emergenza, quando, in realtà, secondo il gruppo del Partito Democratico, tale emergenza non vi sarebbe.
Il Ministro non si è limitato ad affrontare il problema delle violenze alle donne sul freddo dato statistico del raffronto numerico dei casi di stupro tra il 2007 ed il 2008, ma si è posto, penso, come tutto il Governo, in un'ottica ben più complessa, andando ad analizzare il fenomeno nella sua reale complessità e gravità, che esula da un dato numerico che, peraltro, non è neanche un indice sicuro del fenomeno della violenza sessuale, considerato, purtroppo, che molti reati non vengono neanche denunciati dalle donne (abbiamo delle percentuali di non denuncia che raggiungono il 93-96 per cento). La violenza è un reato di assurda gravità, in grado - come abbiamo detto più volte - di uccidere nell'anima la donna che lo subisce. È un fenomeno destinato a crescere, se non si forniscono immediatamente delle risposte.
La trasformazione della nostra società in una società sempre più complessa e caratterizzata da disagi sociali porta anche un aumento del rischio dei reati nei confronti dei soggetti più deboli, tra i quali - certo, non per una ragione ontologica, ma Pag. 50per ragioni inerenti alle dinamiche dei rapporti sociali - rientrano le donne e i minori. Penso che questa sia la diversità di sensibilità o di impostazione fra la maggioranza e l'opposizione, del resto ben sintetizzata dalla risposta che il Ministro, per giustificare l'urgenza del decreto-legge, ha dato in Commissione: il decreto-legge si giustificherebbe anche se servisse ad evitare un solo episodio in più di violenza sessuale.
Ho voluto ripercorrere il momento iniziale del nostro dibattito in Commissione, per dire che, poi, effettivamente, in una seconda fase, il clima si è stemperato ed ha assunto da parte di tutti - bisogna riconoscerlo - una valenza maggiormente costruttiva, proprio perché, forse, quello che si voleva contestare era il metodo, ma non il merito del provvedimento. È difficile, infatti, contestare il merito di questo provvedimento. Quindi, dopo un impatto che sembrava prefigurare un esame in Commissione condizionato da ideologie e slogan, vi è stata, da parte di tutti, la presa d'atto che ci troviamo dinanzi ad una vera e propria emergenza da fronteggiare attraverso un complessivo e mirato sistema di misure e di modifiche dell'ordinamento vigente, che, allo stato, appare inadeguato per risolvere e contrastare un fenomeno di inaudita gravità.
Il decreto-legge affronta il fenomeno sotto alcuni particolari aspetti e anche questa è stata una scelta confermata, poi, dalla Commissione. Ringrazio chi, comunque, ha aderito a questa impostazione, perché presso la Commissione giustizia sono in discussione diversi progetti di legge in materia di violenza sessuale. Siamo arrivati alla votazione di un testo base, con riferimento al quale scadeva venerdì scorso il termine per presentare gli emendamenti, e il cui esame inizierà, probabilmente, nella giornata di domani.
È chiaro che la risposta che il Parlamento vorrà dare al fenomeno della violenza sessuale in modo più articolato e complesso seguirà quel canale, che mi auguro possa avere un ampio dibattito e la partecipazione fattiva e positiva di tutti al fine di dotare il nostro Paese di una legge migliore.
Nel decreto-legge sono state fornite solamente alcune risposte, parziali ma immediate ed urgenti. Sono state introdotte norme che prevedono l'ergastolo nel caso che la morte avvenga in occasione di violenza sessuale, ovvero che sia procurata da soggetti che abbiano tenuto condotte persecutorie; l'estensione dell'obbligatorietà della custodia cautelare in carcere e dell'arresto in flagranza ai reati di violenza sessuale; l'inapplicabilità a tali reati, in alcuni casi, delle misure alternative di detenzione, nonché - e questo credo rappresenti un grande passo in avanti - il gratuito patrocinio, indipendentemente dai limiti del reddito.
Per quanto riguarda, invece, le norme sugli atti persecutori, sono quelle approvate recentemente dalla Camera, pertanto in Commissione ci è sembrato inutile dover riprendere il dibattito che era già stato affrontato dall'Assemblea, quindi da un organo più autorevole rispetto alla Commissione stessa. Anche in tal caso, sono state inserite nel decreto-legge le norme sullo stalking e sugli atti persecutori approvate alla Camera: la ritengo una scelta giustissima da parte del Governo, del resto sullo stalking abbiamo perso fin troppo tempo nella passata legislatura, magari perché lo si era legato al reato di omofobia e non si era voluta riconoscere una corsia preferenziale alle donne. Il Governo, invece, ha scelto di non perdere quei cento giorni che tante volte servono per il passaggio da una Camera all'altra ai fini dell'approvazione di una legge. I risultati positivi si sono visti, come bene ha spiegato in Commissione giustizia il vice capo della Polizia, che ci ha raccontato delle prime imputazioni, delle prime misure cautelari, dei primi ammonimenti emessi dai questori, tutte misure a tutela delle vittime.
Oltre alle norme specifiche sulla violenza sessuale e sullo stalking ve ne sono poi alcune che riguardano l'immigrazione, volte a rendere ancora più efficace la disciplina dell'espulsione e del respingimento Pag. 51degli immigrati clandestini, in ossequio ai principi contenuti nella direttiva n. 2008/115/CE recante norme e procedure comuni negli Stati membri applicabili al rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Lo scopo prioritario della direttiva, infatti, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio e all'allontanamento del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione da Paesi terzi, è quello di consentire agli Stati europei di disporre di adeguati periodi di tempo per l'espletamento delle procedure necessarie all'esecuzione del provvedimento di espulsione.
Vi sono, poi, le disposizioni sul controllo del territorio, al fine di garantire un maggiore livello di sicurezza per i cittadini. Il testo trasmesso dalla Commissione all'Assemblea conferma pressoché integralmente il testo originario del decreto-legge, limitandosi le modifiche - come vedremo - ad alcuni dettagli rispetto all'impostazione originaria.
Passando alle disposizioni del decreto-legge, questo è diviso in tre capi. L'articolo 1 modifica l'articolo 576 del codice penale e disciplina alcune aggravanti speciali del delitto di omicidio che comportano l'applicazione della pena dell'ergastolo. Il comma 1, lettera a), sostituisce il n. 5) del primo comma dell'articolo 576 che prevedeva, nel testo antecedente al decreto-legge in esame, l'applicazione della pena dell'ergastolo per l'omicidio commesso nell'atto di commettere taluno dei delitti già previsti dagli articoli 519, 520 e 521 del codice penale. Tali ultime disposizioni sono state abrogate a seguito della riforma di cui alla legge n. 66 del 1996, che ha ridisciplinato e ridefinito le diverse fattispecie di reato sessuale. Il nuovo n. 5) prevede, quindi, che si applichi la pena dell'ergastolo se l'omicidio è commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e di violenza sessuale di gruppo.
Il comma 1, lettera b), dell'articolo 1 aggiunge la lettera 5.1) al primo comma dell'articolo 576, prevedendo la pena dell'ergastolo se l'omicidio è commesso dall'autore del delitto di atti persecutori di cui l'articolo 612-bis del codice penale (introdotto dall'articolo 7 del decreto-legge in esame).
Su quest'ultimo punto si è posta la questione se non sia più opportuno formulare la disposizione in maniera tale che risulti evidente il collegamento tra gli atti persecutori e l'omicidio.
L'articolo 2, comma 1, apporta due modifiche al codice di procedura penale. La Commissione ha modificato la lettera a), in maniera che risulti ancora più evidente che la nuova disciplina relativa alle misure cautelari si applica nei casi di violenza sessuale che non siano di minore gravità e quindi oggetto delle specifiche attenuanti previste dal codice penale. Viene estesa l'obbligatorietà della custodia cautelare in carcere in casi di gravi indizi di colpevolezza per una serie di gravi delitti quali l'omicidio, l'induzione alla prostituzione minorile, la pornografia minorile (escluso il caso della cessione, anche a titolo gratuito, di materiale pornografico), le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, la violenza sessuale, gli atti sessuali con minorenne e la violenza sessuale di gruppo, esclusi i casi di minore gravità.
Si tratta di una novità che servirà a scongiurare che in futuro possa capitare quanto accaduto finora creando sconcerto nella società: la scarcerazione di soggetti imputati di taluni delitti contro la libertà individuale e, in particolare, di quelle fattispecie che si sostanziano nella commissione di atti di violenza sessuale. Considerato che sussistono gravi indizi di colpevolezza spetterà alla parte dimostrare che non vi sono le esigenze per rimanere in carcere. Vorrei ricordare che una disposizione di medesimo contenuto era stata approvata dal Senato con il voto favorevole anche dell'opposizione e che, peraltro, anche alla Camera l'opposizione stessa aveva proposto di inserirla nel testo unificato sui reati di violenza sessuale.
È stata poi prevista l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza per il delitto di violenza sessuale, con l'esclusione, anche qui, dei casi di minore gravità, e per quello Pag. 52di violenza sessuale di gruppo. Effetto di tale novità è la possibilità di celebrare il processo con rito direttissimo; anche in questo caso la norma era stata approvata al Senato. Altra novità importante, in un'ottica di garantire la certezza della pena, è l'articolo 3, che estende una normativa più rigorosa in materia di benefici penitenziari ai reati di violenza sessuale. In questo caso si vuole evitare la scarcerazione, e quindi l'immissione in società, di soggetti che addirittura sono stati riconosciuti colpevoli di reati di violenza sessuale. Si tratta di reati così gravi, per i danni che producono nelle loro vittime, che non dovrebbero essere in alcun caso oggetto di benefici penitenziari.
Nel testo unificato adottato dalla Commissione in materia di violenza sessuale si prevede un'assoluta inapplicabilità dei benefici per i violentatori. Il decreto-legge, invece, riprendendo la norma approvata dal Senato, estende la speciale disciplina prevista dall'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario anche ai condannati per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 609-bis, 609-ter, 609-quater del codice penale - si tratta di atti sessuali con minorenni - nell'ipotesi più grave di compimento di atti sessuali con minori di età inferiore ai quattordici o ai sedici anni, qualora gli atti siano compiuti da soggetti legati da vincoli familiari o con posizione di autorità o d'influenza nei confronti del minore, e 609-octies (la violenza sessuale di gruppo). Ciò non significa che per tali reati non siano applicabili benefici penitenziari - mi riferisco ai permessi premio, all'assegnazione al lavoro esterno e alle misure alternative alla detenzione - ma quanto che questi benefici sono applicabili solo a determinate condizioni; in particolare, i benefici possono essere concessi solo se da parte del condannato vi sia una collaborazione con l'autorità giudiziaria.
Questo è un punto su cui occorre riflettere. In quanto la disposizione contenuta nel decreto-legge non sembra raggiungere quello che è l'obiettivo: pene certe per chi commette reati gravissimi. Non può forse essere sufficiente la collaborazione con l'autorità giudiziaria per raggirare il divieto di applicazione delle misure alternative alla detenzione, occorre fare qualcosa di più. Il dibattito in Commissione si è sviluppato in tal senso e il Governo ha dimostrato anche una certa attenzione nei confronti della ratio di un emendamento presentato dal Partito Democratico che prevedeva, come condizioni per l'applicazione delle predette misure, la sussistenza di risultati positivi nell'osservazione della personalità del condannato condotta negli istituti penitenziari con l'ausilio dello psicologo e il fatto che fossero stati previsti nel programma di trattamento. La questione è stata poi rimessa all'Assemblea, quindi la affronteremo.
È stata invece rimessa all'esame dei progetti di legge sulla violenza sessuale la questione del blocco androgenico parziale, ossia la cosiddetta «castrazione chimica», posto dal gruppo della Lega con un emendamento che condizionava la possibilità di essere ammessi ai benefici penitenziari al fatto che volontariamente il condannato per reati sessuali si fosse sottoposto al blocco androgenico, il quale ha comunque una durata temporale limitata in ragione della sua reversibilità.
Occorre chiarire che in Commissione, da parte del Governo e anche di molti commissari, non vi è stata una contrarietà in via astratta a tale soluzione. Si è piuttosto ritenuto opportuno non affrontare tale questione in occasione della conversione in legge di un decreto-legge, considerato che vi sono delle questioni di natura tecnica, anche sotto il profilo sanitario, che occorre approfondire anche attraverso audizioni. Quindi, penso che l'argomento potrà essere affrontato in altri provvedimenti e in altra sede, ma che non debba essere lasciato cadere.
Altra novità importante, che riproduce una disposizione già approvata dal Senato, è l'articolo 4, che estende la norma relativa al gratuito patrocinio anche alle vittime dei reati legati alla sfera della violenza sessuale, anche di gruppo, o del compimento di atti sessuali con minorenni e ciò anche in deroga ai limiti di reddito. Pag. 53La finalità della norma, che era stata inserita anche nel testo unificato della Commissione in materia di violenza sessuale, è evidente. Si vogliono garantire, alle vittime di tali reati, tutte le possibilità di tutela giudiziaria che, invece, oggi, in via di fatto, possono mancare anche quando, formalmente, la vittima del reato abbia un reddito maggiore di quello che oggi consente di accedere al gratuito patrocinio. Troppo spesso le vittime non denunciano i reati di violenza sessuale perché non hanno, di fatto, possibilità economiche per quanto abbiano un reddito superiore a quello minimo previsto per il gratuito patrocinio. A tutti gli ostacoli psicologici, che spesso impediscono alla vittima di denunciare il reato, si aggiungono ostacoli economici. Con la norma in oggetto lo Stato interviene sui secondi.
Gli articoli 5 e 6 esulano dalla materia della violenza sessuale e riguardano, rispettivamente, l'espulsione degli stranieri e il controllo del territorio. Si tratta, comunque, di norme strettamente connesse al tema della violenza sessuale, anche se hanno una valenza maggiore, andando a incidere su tutta la materia della sicurezza. Per quanto attiene all'articolo 5, questo è finalizzato a rendere più efficaci le procedure di espulsione e respingimento, attraverso il prolungamento del periodo di trattenimento degli stranieri irregolari nei centri di identificazione ed espulsione. La connessione immigrazione irregolare e sicurezza è un dato di fatto e certo non è uno slogan di una propaganda politica nei confronti degli immigrati irregolari. Un primo punto fermo deve essere questo: non vi è, da parte di nessuno, alcun atteggiamento razzista nei confronti degli extracomunitari ma viene, peraltro, supportata anche da dati statistici la stretta connessione tra aumento della criminalità e l'immigrazione clandestina.
Altro punto da chiarire è il seguente: le norme introdotte dal decreto-legge in tema di immigrazione non sono un'invenzione xenofoba del Governo, quanto il recepimento di una direttiva comunitaria. Infatti, l'attuale normativa prevede un periodo di trattenimento nei centri di identificazione di 30 giorni prorogabili, con convalida del giudice di pace, di ulteriori 30 giorni. In ossequio ai principi contenuti nella direttiva 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, il decreto-legge prevede che, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il periodo di trattenimento è procrastinato a 60 giorni, prorogabili di ulteriori 60 giorni, sempre previa convalida del giudice di pace fino ad un periodo massimo...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
CAROLINA LUSSANA, Relatore. Devo concludere, Presidente?
PRESIDENTE. Onorevole Lussana, la autorizzo volentieri a consegnare per iscritto la sua relazione.
CAROLINA LUSSANA, Relatore. Signor Presidente, voglio unicamente tornare su un altro punto che è molto controverso, cioè quello relativo all'articolo 6 del provvedimento in esame, che banalmente...
PRESIDENTE. Onorevole Lussana, il suo tempo è ampiamente terminato.
CAROLINA LUSSANA, Relatore.. ..è stato definito - dico solo questo - come «le ronde dei cittadini». In realtà, il decreto-legge, riprendendo esperienze che da anni sono in corso presso comuni di centrodestra e di centrosinistra, ha previsto la possibilità dei sindaci di avvalersi di associazioni tra cittadini, non armati, per segnalare alle forze di polizia situazioni di pericolo nella sicurezza urbana.
Dico solo che, al momento attuale, queste forme di volontariato sono regolate, nella migliore delle ipotesi, da un regolamento comunale. Il decreto-legge, invece, legalizza queste forme di associazione ma prevede dei criteri molto vincolanti, cioè che esse possano essere autorizzate da Pag. 54prefetti e comitati provinciali della sicurezza, che sono anche gli organi deputati a controllarle.
Signor Presidente, ringrazio per il tempo aggiunto che mi è stato concesso e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione, in calce al resoconto della seduta odierna, del testo della mia relazione.
PRESIDENTE. Onorevole Lussana, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MARIA ROSARIA CARFAGNA, Ministro per le pari opportunità. Signor Presidente, ringrazio la relatrice Lussana per la sua relazione, precisa e puntuale, e anche tutti i membri della Commissione per il lavoro che hanno svolto in Commissione. Naturalmente, il Governo seguirà con attenzione i lavori in Aula e sarà disponibile anche ad accogliere eventuali contributi migliorativi che vorranno arrivare.
Sottolineo quanto già detto dall'onorevole Lussana: il Governo ha ritenuto opportuno con questo decreto-legge non perdere altro tempo rispetto a quello che era già stato perso nella scorsa legislatura. Mi riferisco, in particolare, alla normativa sullo stalking, che ha dimostrato tutta la sua efficacia con le oltre 50 denunce che sono state presentate in meno di un mese.
Questo dimostra che di questa norma c'era bisogno e siccome nella stragrande maggioranza si tratta di donne che sono state in passato impossibilitate a trovare uno strumento giuridico adatto per potersi difendere da questi atti di persecuzione e di aggressione vera e propria, credo che sia veramente una mano tesa verso le tante donne che sono state sottoposte a questi atti di persecuzione.
Credo che introdurre anche in Italia la normativa sullo stalking sia assolutamente un segnale che va anche nella direzione della prevenzione di reati ben più gravi come la violenza sessuale e gli omicidi a sfondo passionale, visto che fatti di cronaca anche recenti ci raccontano di reati, come appunto la violenza sessuale e l'omicidio a sfondo passionale, che sono stati preceduti da attività di stalking spesso durata anche per diversi anni senza che questa sia stata in qualche maniera sanzionata.
Quindi, ritengo questo un momento di confronto importante e mi auguro che possa portare anche ad eventuali miglioramenti del testo. Siamo convinti della bontà di questo provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Minniti. Ne ha facoltà.
MARCO MINNITI. Signor Presidente, siamo chiamati a discutere in questa sede della conversione in legge di un decreto-legge che affronta il tema della sicurezza, con un particolare approccio relativo al tema della violenza sessuale. Nel momento in cui si è pensato di intervenire d'urgenza su questo tema abbiamo chiesto al Governo - io stesso lo chiesi personalmente al Ministro dell'interno - di concentrare il contenuto del decreto-legge esclusivamente sui temi relativi all'azione di contrasto, di prevenzione e di repressione degli atti di violenza sessuale sapendo che su quel terreno c'era stata in passato una grave sottovalutazione.
Si era fatto finta per lungo tempo di non vedere come il tema della violenza sessuale costituisse una drammatica emergenza nel nostro Paese, forse la più drammatica emergenza nel campo della sicurezza che ha impegnato l'intero Paese. Non è un caso, infatti, che mentre per quanto riguarda gli altri reati abbiamo un andamento che sembra seguire una curva sinusoidale e (cioè alcuni reati in alcuni momenti crescono, mentre in altri diminuiscono), sul tema della violenza sessuale negli ultimi 15 anni abbiamo avuto, invece, una curva permanentemente in crescita.
La violenza sessuale, che spesso si svolge dentro le mura della famiglia e dentro perimetri amicali, ha portato negli ultimi mesi ad avere una sequenza di episodi di violenza assolutamente drammatici. Quando allora, in occasione del primo decreto-legge sulla sicurezza, avanzammo Pag. 55la richiesta che temi di contrasto alla violenza contro le donne venissero introdotti in quel decreto-legge come misura straordinaria ed urgente, ci è stato risposto che la via sarebbe stata quella di un disegno di legge da parte del Governo. Oggi ci si accorge che probabilmente si è perso tempo e che quelle norme di cui oggi stiamo discutendo potevano essere già da tempo legge dello Stato.
Tuttavia, nel momento in cui si è discusso di questo decreto-legge, pur manifestando la nostra disponibilità ad una approvazione rapida di questo provvedimento, dicemmo: non introduciamo in questa iniziativa di carattere legislativo altri elementi che non c'entrano nulla con la violenza sessuale e che potrebbero portare soltanto ad inasprire e a rendere ulteriormente difficile la discussione e il confronto sulle tematiche delle politiche di sicurezza.
Da parte del Governo, invece, c'è stata una scelta assolutamente chiusa in sé stessa, che ha portato ad introdurre in questo decreto-legge due misure che rappresentano un vero e proprio strappo di carattere politico-istituzionale. Il primo strappo sta nella volontà di intervenire per decreto, prolungando i termini della detenzione nei centri per l'identificazione e l'espulsione. Qui c'è uno strappo di carattere istituzionale del tutto evidente dal momento che l'altro ramo del Parlamento, il Senato, aveva votato contro una norma analoga che il Governo aveva inserito nel disegno di legge sulla sicurezza. Il Parlamento si pronuncia contro nella discussione di un disegno di legge e il Governo interviene riproponendo una norma analoga attraverso un decreto-legge: non poteva essere più evidente e più chiaro lo strappo di carattere istituzionale.
La seconda questione affronta un punto che considero cardine nelle politiche di sicurezza. Ho ascoltato le parole frettolose che la relatrice ha pronunciato intorno a questo tema, questo è il cuore delle questioni che abbiamo di fronte. Attraverso un apposito articolo del decreto-legge si affronta il tema del controllo del territorio e una parte fondamentale di quell'articolo è l'apertura alla costituzione delle ronde: non giriamo attorno alle parole, di quello si tratta. In tal modo si produce uno strappo nel tessuto costituzionale, nel tessuto del sistema di sicurezza del nostro Paese, di dimensioni assolutamente straordinarie. Su questi temi mi intratterrò sapendo che sul resto del decreto-legge interverrà poi la collega Ferranti, che ha seguito con passione e impegno la discussione in Commissione su questo provvedimento.
Il problema è di carattere più generale, l'occasione della conversione in legge di questo decreto-legge può essere anche il momento per fare un bilancio di undici mesi di politica sulla sicurezza da parte del Governo Berlusconi. Sono passati undici mesi, un tempo sufficientemente lungo per trarre un bilancio, e noi ci troviamo un Governo che su questi temi ha già fatto due decreti-legge e ha in corso di discussione un impegnativo disegno di legge.
Il fatto che si intervenga con più strumenti legislativi testimonia fondamentalmente due cose. La prima è che ci si muove su un terreno puramente emergenziale: scoppia un fatto, c'è un evento e si fa un decreto-legge. Ma nel momento in cui si rincorre l'emergenza di fatto non si ha una politica per la sicurezza. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, penso che una politica seria della sicurezza dovrebbe cancellare il termine «emergenza». L'emergenza andrebbe cancellata perché essa presuppone un intervento che, in risposta ad un fatto immediato, è anch'esso una soluzione che si consuma rapidamente. Mai come nelle politiche di sicurezza ci sarebbe bisogno invece di un intervento di medio periodo, capace di avere un disegno e una strategia. Rincorrere gli eventi in tema di sicurezza significa di fatto non affrontare seriamente la questione.
L'altro aspetto di questi interventi legislativi plurimi è l'idea che su questi temi c'è un po' di confusione: ci sono norme che non stanno insieme l'una con l'altra, si rincorrono le realtà senza far venire fuori una visione generale della questione. L'idea che a un certo punto, nel momento Pag. 56in cui la destra andava al Governo dell'Italia, il problema della sicurezza si sarebbe risolto come d'incanto, con un colpo di bacchetta magica, purtroppo si è rivelata un'idea non fondata. Dico purtroppo perché da rappresentante dell'opposizione avrei preferito che su questi temi ci fosse una capacità d'intervento del Governo che risolvesse le questioni. È un interesse del Paese la sicurezza, non è un problema che può essere stretto dentro una piccola missione di parte politica.
Dopo undici mesi la situazione è sotto gli occhi di tutti e le violenze non sono diminuite. Abbiamo avuto un fine settimana drammatico, con i fatti di Roma, di Milano, di Arezzo e la drammatica vicenda di queste ore avvenuta a Catania. Non poteva esserci elemento più icastico per rendere l'idea di cosa significhi la violenza contro le donne e di come essa maturi spesso in condizioni drammatiche di vita familiare: in questo momento, mentre noi discutiamo, non sappiamo se il responsabile di quell'omicidio drammatico sia un padre o un figlio e la cosa è sconvolgente per tutti, parliamo di un padre, di un marito, o di un figlio di 15 anni. Tutto questo dovrebbe portare ad avere un approccio su tali questioni un pochino più prudente, meno propagandistico, un po' più riflessivo per comprendere che se c'è un aumento di questo tipo di violenza forse c'è qualcosa che non funziona nel complesso dell'assetto della società.
Di fronte a tutto ciò emerge con evidenza che non si può pensare che tutto il tema sia: ad una vicenda rispondere con uno spot. Colleghi, nelle politiche di sicurezza il rischio è effettivamente quella del boomerang: con più violenza uno lancia l'idea che i problemi vengano facilmente risolti, con altrettanta violenza quell'oggetto lanciato torna in faccia a chi l'ha lanciato e l'idea, quindi, che le questioni possano essere risolte così facilmente oggi appare assolutamente infondata. Pensiamo, ad esempio, al tema dell'immigrazione. Abbiamo avuto undici mesi di proclami, di facce feroci, di durissima capacità di interdizione verbale; oggi guardiamo la realtà come è: gli sbarchi a Lampedusa sono quasi triplicati, anche oggi vi è stato l'ennesimo sbarco - non più a Lampedusa, perché adesso li dirottano verso altre realtà della Sicilia - e la situazione appare assolutamente fuori controllo. Abbiamo firmato un oneroso Trattato di amicizia con la Libia che non sta funzionando, ma risulta evidente che quell'idea di una ricetta miracolistica può valere per una campagna elettorale, ma non funziona concretamente.
Non c'è dubbio che dietro le parole ci sia il vuoto di una politica nel campo dell'immigrazione, di fatto si sta facendo dell'immigrazione una semplice questione criminale: è un gravissimo errore! Ridurre l'immigrazione ad una questione criminale è un gravissimo errore perché non si tratta di dividerci tra di noi tra «buonisti» e cattivi, ma di comprendere che dentro quei flussi umani c'è qualcosa che va governato. Il Governo, invece, rinuncia esplicitamente a governare l'immigrazione, fa finta di combatterla rudemente, ma di fatto rinuncia a governarla. La stessa scelta di proporre l'allungamento della detenzione nei centri per l'identificazione e l'espulsione è il segno di quella rinuncia al governo del fenomeno. È del tutto evidente, infatti, che nel momento in cui si allunga la detenzione - so bene che la normativa europea prevede che forse è possibile arrivare a diciotto mesi - di fatto si rinuncia a qualunque possibilità di espellere un soggetto, si stabilisce che i centri per l'espulsione diventano centri di detenzione, si radicalizza il problema, lo si fa diventare un problema permanente del nostro Paese. Si pensa così di nascondere la polvere sotto il tappeto e non si comprende che, ad un certo punto, ci si può trovare di fronte a situazioni ingovernabili, difficilissime. Non si comprende neanche che una via maestra per affrontare il tema dell'immigrazione è quella di distinguere i buoni dai cattivi e di non fare di tutta l'erba un fascio: come si fa a dire che tutti gli irregolari in Italia sono dei potenziali criminali? È una stupidità, scusatemi la brutalità del termine. È una stupidità che non c'entra nulla con le politiche di sicurezza e che le rende ancora più complesse. Pag. 57
In Italia abbiamo diverse centinaia di migliaia di irregolari che derivano dal fatto che la legge Bossi-Fini purtroppo - anche questo, purtroppo - non ha funzionato bene e può succedere anche che uno dei due presentatori di quel provvedimento, il Presidente Fini, dica che la legge va rivista. Noi ci aspettiamo che ci sia una discussione non a spizzichi e bocconi su questi temi, che si affronti organicamente, anche in una sessione parlamentare, il tema dell'immigrazione, ma la si smetta di intervenire con provvedimenti che appaiono assolutamente scollegati l'uno dall'altro.
In qualche caso questi provvedimenti rischiano di produrre effetti assolutamente gravissimi e di emarginazione, mentre in altri casi sono odiosi, come odiosa è la norma che stabilisce la possibilità che il medico debba denunciare il clandestino che si cura. Non sappiamo quello che mettiamo in moto! Parimenti è odiosa, sbagliata e discriminatoria l'idea di aumentare e di avere una tassa per il permesso di soggiorno. Così non si distinguono i buoni dai cattivi, ma si spingono i buoni nelle mani dei cattivi. Si arreca, inoltre, un danno alla sicurezza nazionale perché non vi è dubbio alcuno che una cosa è contrastare alcune migliaia (se ci sono) di clandestini pericolosi e un'altra cosa è fare una battaglia contro 600-700 mila irregolari e mettere sullo stesso piano chi commette uno stupro e la badante che assiste le nostre famiglie.
Ciò rappresenta una gigantesca operazione di perversione politica e culturale. Su questo aspetto con grande sincerità dico di fermarci un attimo e di riflettere. A volte si rischia che la toppa sia peggiore del buco e su ciò è bene che si svolga una riflessione molto seria e approfondita da parte del Paese.
Infine, mi si consenta di affrontare un altro aspetto. È chiaro che nelle vicende verificatesi anche in queste settimane e in questi giorni (proprio ieri e l'altro ieri) vi è un evidente problema di controllo del territorio. Mi riferisco al tema fondamentale della sicurezza e alla capacità di controllo del territorio da parte delle forze di polizia. In questi casi la via maestra qual è? Vi è un problema di controllo del territorio, quindi si devono dare più mezzi e più risorse alle forze di polizia. Questa è la via più elementare e più semplice.
Oggi ho ascoltato delle dichiarazioni stupefacenti: ho sentito dire addirittura che i fondi alle forze di polizia sono stati aumentati in queste settimane e in questi mesi, ma non se ne è accorto nessuno. Siamo tutti quanti vittime di un'allucinazione collettiva! Stamattina sono andato al Viminale dove vi era una manifestazione di protesta di tutti i sindacati di polizia. Si tratta di una gigantesca allucinazione che non avevo capito. Pensavo che i sindacati di polizia fossero lì per protestare per i tagli, invece ringraziavano il Governo per aver aumentato i fondi alle forze di polizia. Nemmeno loro si sono accorti che vi è stato questo aumento, e non se ne è accorto nessuno in Italia! Non se ne sono accorti il poliziotto che ha la macchina che non cammina perché manca di benzina, il carabiniere a cui non viene pagato lo straordinario, nessuno di coloro che sa quanto sia difficile oggi poter pensare di andare avanti su questa strada che compromette l'efficienza operativa delle nostre forze polizia.
Rispetto a ciò, perché non si sceglie questa strada? Potenziamo le forze di polizia e diamo loro gli strumenti per poter intervenire. Si sceglie sempre un diversivo: il primo è stato l'uso dei militari. Si è detto: noi non siamo per le forze di polizia, noi siamo più duri; mandiamo i militari a sorvegliare le strade.
Questa è una misura senza precedenti in nessun Paese europeo, i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti, ma non per demerito dei militari. Quest'ultimi sono formati per fare altro e noi li ringraziammo sempre per quello che fanno e per tenere alto il nome del nostro Paese nelle missioni all'estero. Invece, ora abbiamo i militari impegnati nel controllo del territorio, i paracadutisti che devono stare attenti allo scippatore: una cosa che non sta né in cielo, né in terra!
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La città di Roma, dove vi è stato il più alto Pag. 58numero di militari utilizzati, è quella dove si sono verificate più violenze. Si tratta di una strada di carattere propagandistico e serve a dimostrare che si fa quando non si fa.
Vorrei, inoltre, fare presente che discutiamo tanto di fondi alle forze di polizia, ma non è vero che l'uso dei militari in funzione di ordine pubblico non costa nulla. Rispetto a quello che si paga già per quelle Forze armate, noi abbiamo speso 72 milioni di euro.
Posso chiedere pacatamente di sapere perché quei 72 milioni di euro non li abbiamo dati alle forze polizia e a coloro che sono capaci di svolgere bene il loro mestiere? Abbiamo voluto questa straordinaria e singolare situazione per cui le pattuglie dei militari per poter camminare per strada devono essere accompagnate da un poliziotto o da un carabiniere. Povere forze di polizia italiane: la mattina accompagnano i militari e la sera devono fare le badanti alle ronde che oggi vogliamo regolarizzare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
Questo è lo stato dell'arte, questa è la pura e semplice verità e non giochiamo con le parole. Questa vicenda delle ronde è delicatissima e non c'entra nulla con quello che ci viene detto. Ho ascoltato parole molto impegnative: si è detto che le ronde rappresentano il principio della sicurezza partecipata. Non sta né in cielo né in terra: cosa c'entra la sicurezza partecipata con l'idea che, ad un certo punto, un gruppo di cittadini, probabilmente promosso politicamente, deve garantire il controllo del territorio. Vorrei che ascoltassero tutti. Vi è una prima obiezione di principio, che è evidente e sotto gli occhi di tutti: il monopolio della forza e della sicurezza, in tutte le democrazie liberali, è gestito dallo Stato, attraverso le forze di polizia.
Ho ascoltato - lo dico al Ministro Carfagna, che è così paziente da ascoltarci - al congresso del Popolo della Libertà, sabato e domenica scorsi, parole molto impegnative sull'ispirazione liberale e sulla rivoluzione liberale. Il fatto che, in una democrazia liberale, il monopolio della forza appartenga allo Stato e alle forze di polizia è un principio inderogabile dei principi liberali. Se volete fare una rivoluzione liberale, partiamo da lì, cioè rispettiamo i presupposti fondamentali del liberalismo. Se, invece, apriamo all'idea che ognuno possa farsi la sua milizia, non sappiamo dove andremo a finire.
Nei giorni scorsi, mi è capitato di partecipare ad una trasmissione radiofonica. Ad un certo punto, è intervenuta una signora, che protestava perché era andata con la sua ronda a fare la vigilanza al parco della Caffarella, dove si è verificata la tragedia di quella ragazzina di quattordici anni. La signora protestava perché il guardiaparco della Caffarella non l'aveva fatta entrare, secondo me giustamente. La signora protestava per due ragioni: in primo luogo, perché la sua era una ronda rosa, fatta solo di donne, in secondo luogo, perché vi era stata una discriminazione politica, in quanto la sua ronda era della destra di Storace, che è un partito troppo piccolo.
La ronda rosa-nero, come dice il collega D'Antoni, che non è la ronda del Palermo, è una delle ronde che si sono costituite. Pertanto, si è verificato plasticamente quello che può succedere: un gruppo di signore voleva entrare alla Caffarella e il guardiaparco, anziché fare il guardiano del parco dentro il parco, stava al cancello per impedire l'ingresso a quelli che volevano entrare per fare una cosa non regolare. Questo è il sistema. Per non arrivare poi a ciò che è successo a Rieti, dove una ronda, costituitasi appena dopo l'approvazione del decreto-legge, ha subito chiamato il 113, dicendo di aver visto nel parco una macchina infrattata coperta da rami, chiedendo di intervenire rapidamente. Hanno mandato il 113, ma vi è un piccolo particolare: quella macchina era della squadra mobile di Rieti, era della polizia, stava lì a fare un pedinamento delicato per questioni relative proprio alla violenza sessuale. La ronda ha consentito che quella macchina venisse scoperta.
Fermiamoci un attimo, riflettiamo un secondo. Lo dico anche ai rappresentanti del Governo: a me fa impressione l'idea Pag. 59che si possa fare una scuola ronde a casa di un rappresentante politico. È successo nel Veneto, dove il capogruppo di Forza Italia ha fatto la scuola ronde a casa sua, per formare le ronde a casa sua. Inopinatamente, erano presenti anche il questore e il prefetto di Treviso. Dico inopinatamente, perché forse non bisognerebbe andare a casa di qualcuno, se si è prefetto o questore. Lo dico per segnalarlo al Governo, sono cose che possono succedere, ma un occhio forse non guasta. Sarebbe bene che i rappresentanti istituzionali e di Governo non andassero a casa di privati a discutere delle ronde.
Poi, vi è stato un altro avvenimento ancora più importante, che vorrei mi fosse chiarito: ad un certo punto, rispetto all'iniziativa del Veneto, è intervenuto l'onorevole Borghezio, che giustamente gli amici della Lega Nord considerano un rappresentante autorevole di quel partito (lo so bene che è un rappresentante autorevole), il quale ha detto che, se Forza Italia fa la sua scuola, la farà anche la Lega. A domanda esplicita del giornalista, che gli chiede su quali basi si farà questa scuola delle ronde, egli risponde: su due principi fondamentali. Il primo è il rispetto delle leggi dello Stato (bontà sua, Borghezio vuole che si rispetti lo Stato).
Il secondo è un po' più impegnativo: noi vigileremo - dice Borghezio - perché sia rispettata la morale padana. Esiste in Italia - lo domando ai rappresentanti del Governo - una morale padana? E, se esiste, in che cosa consiste? In cosa consiste la sua violazione? Ed esistono poi una morale calabrese, una morale siciliana, una morale laziale? O non pensiamo, invece, che per quanto riguarda il sud l'idea delle ronde legalizzate significhi di fatto dare alla criminalità organizzata la possibilità di organizzare sul territorio il momento del controllo stesso del territorio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)? Con un piccolo particolare: che adesso tentano di farlo contrastati dalle forze di polizia e pagandoselo da loro; arriveremo al punto in cui lo faranno legalmente e con i soldi dello Stato!
È un paradosso gigantesco. Fermiamoci un attimo. E lo dico senza acrimonia, lo dico perché vorrei che su questo si riflettesse: ci sono degli strappi che non devono essere fatti. E non giochiamo con le parole: so bene che, se ci mettiamo a discutere da azzeccagarbugli (su una frase che non vuol dire esattamente questo o non vuol dire esattamente quest'altro), se la prendiamo così, sul terreno dei principi, non andremo da nessuna parte.
Fermiamoci un attimo. C'è un punto assai delicato che può produrre uno strappo nella vita sociale, nel sistema sicurezza del nostro Paese. Fermiamoci un attimo, perché a me non piace una sicurezza in cui ci siano gli avamposti politici. Per essere molto chiari a me non piace, anzi mi fa paura, una sicurezza in cui vi siano persone in camicia verde, in camicia nera o anche in camicia rossa che devono tutelare la sicurezza dei cittadini. Stiamoci attenti! Di qualunque colore sia la camicia, a me quel principio non va bene, perché stiamo introducendo un principio che alla fine si ritorcerà contro di noi; e magari, per aver mezzo punto di più in percentuale, per avere un sondaggio che ci dice che stiamo andando bene, noi mettiamo in discussione la sicurezza dell'Italia.
Fermiamoci un attimo. È un Governo che durerà forse una legislatura (ed io combatterò perché non duri una legislatura), ma non ci sono gli elementi assillanti che devono portare a capitalizzare tutto in termini di un consenso che può diventare un consenso di pancia, che diventa di fatto un problema significativamente serio per il nostro Paese.
Infine, consentitemi un'ultima considerazione. Vorrei che questi temi non venissero considerati come temi di bandiera politica. Mi auguro che nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione vi sia una discussione esplicita e chiara fra di noi, un dibattito che coinvolga l'intero Parlamento. Ho ascoltato parole preoccupate pronunciate anche dalla stessa maggioranza di Governo, parole preoccupate che vengono da persone che sanno quanto su questo terreno sia molto difficile costruire, Pag. 60ma molto facile strappare; e noi siamo di fronte al rischio di uno strappo traumatico.
Vorrei che queste parole venissero ascoltate. Vorrei - lo dico con sincerità - che non venissero considerate un elemento propagandistico. Tra di noi ci sono persone che, pur avendo un'appartenenza politica, hanno passato una parte della loro vita a rappresentare o a cercare di risolvere alcuni problemi; e se qualcuno vi dice «attenzione, fermiamoci un attimo a riflettere», non prendete questo «fermiamoci un attimo» come un'intimazione, un'aggressione o addirittura un dileggio: prendetelo per quello che è, sapendo che a volte sapersi fermare e saper ascoltare non è un segno di debolezza, ma un segno di saggezza (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.
ROBERTO RAO. Signor Presidente, devo dire che l'intervento che mi ha preceduto, dell'onorevole Minniti, è ampiamente condivisibile, sia per i toni che per le argomentazioni che ha usato, a partire dal fatto, come ha detto efficacemente, che solo in apparenza oggi discutiamo un decreto-legge omogeneo per materia. Peraltro, su alcuni aspetti non avremmo esitato a votare positivamente.
E dispiace che ai banchi del Governo oggi siedano proprio questi due rappresentanti dell'Esecutivo, perché le parti del provvedimento che riguardano il Ministero della giustizia e il Ministero che presiede l'onorevole Carfagna sono forse quelle che hanno trovato - e troverebbero e troveranno - nella discussione su questo decreto-legge più ampia considerazione e condivisione.
Il decreto-legge che discutiamo oggi in Aula per una parte considerevole non fa altro che anticipare alcune delle disposizioni contenute nel disegno di legge in materia di sicurezza e le norme previste nel disegno di legge già approvato dalla Camera sulle molestie insistenti.
Purtroppo, nella solita ansia di realizzare in fretta provvedimenti che sono peraltro già avviati alla conclusione, la fretta si dimostra, come spesso accade, nemica del bene.
L'Unione di Centro ha, infatti, valutato nel suo complesso positivamente il provvedimento sugli atti persecutori, rinunciando a sottolineare - come sa il Ministro, anche in Commissione - diverse perplessità in ordine alla genericità o alle possibili e confuse interpretazioni di alcuni aspetti della norma; abbiamo detto sì, come la quasi totalità della Camera, perché si tratta di un fenomeno in relazione al quale l'ordinamento non era stato finora in grado di assicurare un presidio cautelare e sanzionatorio efficace.
Anche quando non abbiamo condiviso le soluzioni tecniche, abbiamo quindi sempre apprezzato le motivazioni dell'iniziativa legislativa e la risposta normativa ad un fenomeno persecutorio forse non nuovissimo, ma reso particolarmente odioso dalle nuove tecnologie e più in generale dell'esperienza di vita contemporanea, con quel misto di familiarità e di estraneità in cui si sviluppano le relazioni tra le persone che certamente rende più esposta, e nel contempo più sola, la vittima delle molestie insistenti, che spesso è una donna.
Il provvedimento sullo stalking è stato giustamente finalizzato a perseguire comportamenti che troppo spesso sono stati sottovalutati non solo fino ad oggi dal legislatore, ma anche nella percezione comune e che, invece, si sostanziano in veri e propri accanimenti contro la persona e contro la sua libertà.
Inoltre, la circostanza che nell'ultimo anno vi sia stato un decremento dei reati di violenza sessuale, come pure è stato affermato dal Ministro Carfagna, non giustifica in alcun modo un'inerzia legislativa su questo tema. Ha ragione il Ministro: di questa legge c'era bisogno; e, aggiungo io: il Parlamento se ne era accorto, infatti l'abbiamo votata!
I crimini perpetrati in modo sempre più efferato e brutale anche su minorenni - e parliamo della violenza sessuale - generano un diffuso e generale stato di Pag. 61allarme sociale ed una conseguente emergenza da fronteggiare insieme in maniera efficace, come ricordava anche il collega Minniti, attraverso un complessivo e mirato sistema di misure di modifica dell'ordinamento vigente, tralasciando pertanto qualsiasi approccio ideologico, qualsiasi divisione di schieramento e qualsiasi pregiudizio politico che, in particolare su questi temi, sarebbe del tutto fuori luogo.
Siamo pronti, però, a contrastare quegli aspetti poco convincenti o controproducenti del provvedimento confidando in un dibattito ampio e costruttivo tra maggioranza e opposizione, così come confidiamo sulle molte perplessità che crescono tra le fila della stessa maggioranza (tra cui quelle espresse in Commissione, tra gli altri, dagli onorevoli Contento e Paolini) su alcuni aspetti, come quelli dell'articolo 2, relativi all'esigenza di estendere la custodia cautelare per una serie di atti e di specifici delitti di particolare gravità.
Vanno evitati, infatti, pericolosi automatismi nel disporre misure limitative della libertà personale, consentendo al giudice di valutare caso per caso, ma mi sembra che la relatrice, l'onorevole Lussana, abbia su questo già aperto un interessante momento di confronto che speriamo in Aula possa trovare la realizzazione più utile al provvedimento in esame.
Nonostante il Ministro Carfagna abbia giustamente osservato che il decreto-legge si giustificherebbe anche se servisse ad evitare un solo episodio di violenza sessuale o di stalking, occorre sottolineare come non tutti i provvedimenti urgenti adottati dal Governo siano stati effettivamente in grado di risolvere situazioni emergenziali, tanto più, come dirò più avanti, alla luce delle continue modifiche, sempre per decreto-legge, a decreti-legge appena varati.
Il fatto più grave è, in questa occasione, l'atteggiamento dell'Esecutivo, che ha ritenuto di operare unilateralmente alterando ancora una volta l'equilibrio tra i poteri dello Stato delineati dalla Costituzione ed esautorando così il Parlamento dalle proprie prerogative e responsabilità, che spesso si sono rivelate invece utili a migliorare norme varate di gran carriera dal Governo che continua a sottovalutare, secondo me inspiegabilmente, l'apporto qualificato di tanti parlamentari di opposizione e della stessa maggioranza, come spesso si è dimostrato nei lavori in Commissione (parlo, almeno, per la Commissione giustizia).
L'importanza degli argomenti trattati, e l'esigenza di intervenire in queste materie, è, infatti, riconosciuta dalla Camera, che quasi all'unanimità ha già licenziato, il 29 gennaio scorso, il provvedimento recante le disposizioni sugli atti persecutori attualmente all'esame della Commissione giustizia del Senato. Invitiamo su questo tema i colleghi del Partito Democratico a chiedere al loro gruppo in Senato un via libera complessivo anche rispetto all'istituto dell'ammonimento perché il rallentamento dell'iter di approvazione sta diventando un pretesto per l'Esecutivo stesso per la decretazione d'urgenza. Inoltre, ricordo che sempre sulla medesima tematica, la Camera dei deputati sta esaminando anche le disposizioni sulla prevenzione e la repressione di delitti di violenza sessuale.
Rimane il fatto che la decretazione di urgenza, utilizzata come non mai in questo inizio legislatura, ha contribuito, come ha ricordato recentemente anche il Presidente Fini, a sminuire fortemente il ruolo del Parlamento, relegato ormai ad un organo di ratifica di decisioni non sempre oculate, per ammissione degli stessi artefici, prese altrove. Se le cose non cambieranno, il Parlamento è destinato a diventare un organismo concretamente privato della possibilità di discutere democraticamente questioni politiche rilevanti. Assistiamo in questa legislatura all'introduzione di una nuova figura: «i decreti a puntate», sopratutto in materia di sicurezza o anticrisi, di cui i colleghi hanno discusso fino a poco fa; decreto-legge «sicurezza» uno, due, tre; decreto-legge «anticrisi» cinque, sei. Si tratta di decreti-legge necessari perché i precedenti erano pieni di errori tecnici e legislativi, per superare i quali si ricorre a norme correttive in altri decreti, con una produzione legislativa di pessima qualità. Pag. 62
In questa sede non possiamo, ad esempio, non segnalare, come hanno fatto anche i colleghi del Partito Democratico, che la norma sull'utilizzo di sistemi sulla di videosorveglianza sia in aperta e palese contraddizione con il disegno di legge in materia di intercettazioni. Non basta a risolvere tale conflitto la tesi esposta in sede di Commissione, anche dall'onorevole Di Pietro (che forse in questo caso dimostra più la sensibilità del magistrato che quella del politico) che sostiene che sarà la giurisprudenza a trovare una soluzione equilibrata, quando è chiaro, invece, che deve essere il legislatore, quando si accorge di possibili antinomie - e questo è un caso -, a risolverle, ove possibili, con norme ordinamentali e coerenti. Né si può risolvere la questione, come fa il sottosegretario Caliendo, differenziandole secondo la generica qualifica di videoriprese captative. Auspichiamo che almeno su questo punto possa trovarsi in Aula un'intesa chiara e coerente, in attesa che si approvi il testo sulle intercettazioni, già ampiamente dibattuto, e molto divisivo per altri aspetti; almeno liberiamo il campo dalle incongruenze tecniche. Inoltre, non possiamo tacere l'introduzione surrettizia nel decreto-legge di una norma già respinta dal Senato come l'allungamento del tempo di permanenza degli immigrati nei centri di identificazione e di espulsione. È un atto da considerarsi comunque grave e irrispettoso delle prerogative parlamentari (ma questo scarso rispetto sembra ormai un tratto distintivo di questo Governo). Il Senato ha già «bocciato» il principio stesso di quella norma ovvero che la permanenza nei centri possa trasformarsi di fatto in una custodia cautelare mascherata che di solito si riserva ai criminali accertati e pericolosi; perplessità in merito sono state esposte in Commissione anche dall'ivi capogruppo del PdL, l'onorevole Costa.
Le disposizioni sulle ronde per noi rappresentano una misura molto discutibile, ancora misteriosa, su cui diversi e autorevoli esponenti del Governo, dal Ministro della difesa, al sottosegretario di Stato per l'interno, e diversi esponenti del Popolo della Libertà veneti, e non solo veneti, invitano alla prudenza. Per noi rappresentano una misura inaccettabile, non tanto per la figura che si introduce, quanto per la filosofia sottostante e per la deriva pericolosa che da essa può nascere. Mi spiego: da una parte abbiamo il rischio notturno per persone sostanzialmente inermi che nei primi esperimenti hanno avuto la necessità persino di una scorta delle forze dell'ordine, dall'altra, il rischio della cosiddetta «giustizia fai da te», di chi, munito di un distintivo, di un giubbotto, si può sentire legittimato ad azioni pericolose e mirate. Abbiamo tanti dubbi, quindi, su questo istituto, come hanno rilevato anche esponenti della maggioranza, ad iniziare dall'autorevole contributo in materia, per esperienza e competenza, del senatore Pisanu. La norma del decreto-legge nel merito prevede la possibilità per i sindaci, previa intesa con il prefetto, di avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati - meno male, direi - al fine di segnalare alle forze di polizia dello Stato, o locali, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale. Come hanno osservato i rappresentanti delle forze dell'ordine in ripetuti interventi pubblici: le ronde o associazioni di cittadini, come volete chiamarle - non è un problema di lessico, come osservava l'onorevole Minniti -, rischiano di essere più un intralcio che una semplificazione.
In una parola, sono la risposta sbagliata ad una domanda - che, per carità, il Governo e la maggioranza hanno interpretato - di sicurezza, una domanda di sicurezza giusta, e che fa bene infatti il Parlamento a valutare, a interpretare, ma alla quale va data una risposta di serietà e di rispetto dello Stato e delle sue funzioni. Non siamo in maniera preconcetta contro le associazioni di cittadini (che però devono essere rigorosamente apolitiche e apartitiche) che vigilino e aiutino il prossimo magari facendo riferimento anche ai servizi sociali sul territorio. Ma vorremmo autorizzarle senza dare mezzi e risorse alle forze dell'ordine? Come possiamo far questo? Come possiamo speculare Pag. 63esclusivamente sulle emozioni? Significa aumentare un sentimento generalizzato di confusione e di paura nella collettività, oltre a certificare l'impotenza dello Stato che abdicherebbe in questo modo alla sua imprescindibile ed esclusiva funzione costituzionale di garanzia della sicurezza pubblica. L'Unione di Centro è disponibile a valutare costruttivamente qualsiasi provvedimento in materia, a condizione che abbia come scopo principale, al primo punto, quello di rivedere i tagli lineari del Ministro Tremonti proprio in questo settore, dal momento che le maggiore risorse e le assunzioni previste nel decreto costituiscono esclusivamente degli spot ancora una volta di propaganda. È arrivato infatti il momento di aprire una discussione seria, e non sull'onda dell'emozione, circa le reali condizioni in cui versano le forze di polizia in Italia.
Cito ancora l'onorevole Di Pietro che in Commissione ha sottolineato positivamente, pur chiedendo ulteriori risorse, gli stanziamenti di 100 milioni di euro per il 2009. Noi invece diciamo che questa norma è in realtà il gioco delle tre carte, non aumenta nulla, non dà alcuna risorsa di mezzi e di personale in più alle forze dell'ordine, anzi l'organico complessivamente nel 2009 subirà un decremento di personale. Le assunzioni di 2500 unità, già previste dalla finanziaria per il 2009, vengono semplicemente anticipate di un mese, mentre nello stesso anno andranno in pensione circa 5000 unità, quindi il doppio dei nuovi assunti. Analogamente quei 100 milioni che vengono assegnati al Ministero dell'interno per le urgenti necessità di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico vengono solo anticipati, in quanto già destinati al Dicastero per le medesime finalità dalla stessa finanziaria, che nel solo 2009 ha previsto riduzioni per oltre 200 milioni di euro.
La manifestazione odierna, cui faceva riferimento il collega prima di me, dei sindacati di polizia davanti alla sede del Ministero dell'interno, con la richiesta unanime di tutti i sindacati di più risorse e mezzi, conferma, al di là di qualsivoglia strumentalizzazione, che quanto affermiamo è vero ed è ciò che serve per dare più sicurezza ai cittadini. Lo dice infatti chi ogni giorno sulle strade vigila sulla nostra sicurezza, le forze dell'ordine (e vigilano con i mezzi di cui dispongono, fanno il loro lavoro).
Detto questo - mi avvio alla conclusione, Presidente - si fa fatica ad immaginare che uno strumento extraistituzionale come le ronde possa rappresentare una soluzione e soprattutto un fatto positivo per la cultura della legalità nel nostro Paese. Dobbiamo chiederci se la sicurezza non possa essere garantita con politiche più complessive, sociali, urbanistiche, di prevenzione, piuttosto che con soluzioni tampone, quale quella dei militari, per esempio, che nessuno ha visto più per le strade se non davanti agli obbiettivi sensibili (e questa degli obiettivi sensibili è forse una scelta giusta, l'unica scelta giusta sull'utilizzo dei militari). Lo stesso Capo della polizia, il prefetto Manganelli, ha sottolineato la necessità di una migliore razionalizzazione e coordinamento delle forze dell'ordine di polizia esistenti, nel rispetto di chi lavora ogni giorno con grande professionalità e sacrificio. La risposta alla diffusa domanda di sicurezza, secondo Manganelli, non può comunque essere la militarizzazione del territorio, soprattutto nei quartieri degradati e periferici, ma piuttosto una stretta collaborazione con le associazioni di categoria e di volontariato. Promuovendo coesione si riduce la paura e l'insicurezza. In un Paese blindato vivremmo invece impauriti e non rassicurati.
Sarebbero queste soluzioni meno roboanti, ma più efficaci e da tutti apprezzate. Per questo diciamo «no» a norme manifesto di pura propaganda, e sfidiamo la maggioranza a spegnere i riflettori della ribalta e ad accendere semplicemente la luce sui problemi reali (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signora Presidente, signora Ministro, Italia dei Valori è Pag. 64un partito notoriamente sensibile ai problemi della sicurezza.
La sicurezza è un valore che noi riteniamo in maniera errata sia stato lasciato al centrodestra. La sicurezza non è né di destra né di sinistra: la sicurezza è una funzione sovrana dello Stato, che fa riferimento agli articoli 1 e 2 della Costituzione, in quanto attiene alla capacità e al dovere dello Stato di garantire i diritti fondamentali della persona.
Per questo noi non ci stiamo a lasciare il problema della sicurezza alla destra. Fra l'altro alla destra contestiamo in maniera molto forte il fatto di non volerla. Anzi, la nostra contestazione è ancora più dura, ancora più forte: noi accusiamo la destra di avere rifatto qui in Italia un giochetto che in altri posti è stato fatto molto tempo fa, cioè quello di alimentare un'idea di insicurezza nei cittadini, al solo scopo di cavalcarla per fini elettorali, come è stato fatto in occasione delle ultime elezioni politiche, che su questo tema hanno dato un rilevante consenso alla destra. La si cavalca per poi magari subito dopo, al momento dell'attuazione pratica, trascurarla e non far niente per garantirla effettivamente. Noi, questo contestiamo alla destra: il fatto di aver cavalcato, di avere organizzato, di aver strumentalmente creato un sentimento di insicurezza attraverso l'informazione «amica», per poi poterla gestire in maniera strumentalmente politica.
La seconda contestazione forte che facciamo alla destra è quella di non essersene voluta occupare effettivamente. In effetti, tutti i provvedimenti che sono stati sbandierati in tema di sicurezza sono provvedimenti manifesto, sono provvedimenti spot, che in realtà non garantiscono l'esercizio della sicurezza come funzione sovrana. Anzi, questo esercizio viene concretamente contraddetto da interventi che, di contro alla sbandierata volontà di occuparsi della sicurezza, in realtà la smentiscono. Basti pensare al fatto che le forze dell'ordine sono state depotenziate nella loro capacità di operatività, proprio a cominciare dalle cosiddette finanziarie della destra. Ecco, dunque, ciò che noi contestiamo.
Voglio anche precisare un altro elemento, al quale aggiungerò subito un'altra considerazione: Italia dei Valori guarda alle singole disposizioni di legge per quello che sono, e non per una contestazione politica di carattere generale. Per questo non ritiene di dover buttare via tutto, di dover buttare via, come si dice, il bambino con l'acqua sporca. Noi sapremo distinguere qual è il bambino e lo sapremo anche proteggere; ma, l'acqua sporca, intendiamo far vedere dove è, qual è e intendiamo buttarla via in maniera definitiva.
In realtà, vogliamo chiarire che nell'esame dei singoli provvedimenti potrà accadere che riterremo alcune misure positive e che su di esse esprimeremo una valutazione positiva, ma aggiungiamo anche che ciò non ci impedirà di esercitare una critica molto forte sugli aspetti politici del provvedimento in esame e sugli aspetti di metodo. È quest'ultimo il terzo punto di contestazione che Italia dei Valori intende illustrare in questo momento.
Noi contestiamo, intanto, l'uso dei decreti-legge in maniera così esasperata come la destra ha fatto fino adesso: sono ben trentasette o trentotto finora, sempre convertiti, cioè provvedimenti approvati entro sessanta giorni, che smentiscono clamorosamente le affermazioni del Presidente del Consiglio fatte al rito, alla manifestazione della fondazione del suo personale partito, secondo cui l'Esecutivo ha pochi poteri.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 18)
FEDERICO PALOMBA. L'Esecutivo ha molti poteri, troppi poteri: noi gli contestiamo il fatto che stia concretamente stravolgendo la Costituzione materiale, esautorando il Parlamento delle sue prerogative e, attraverso l'esercizio dei mezzi consentiti - che diventano, però, strumentali e stravolgenti per il modo con il quale Pag. 65vengono esercitati - stia sostanzialmente cambiando la Costituzione. Il Presidente del Consiglio dei ministri, di poteri ne ha fin troppi e li sta esercitando: il Parlamento è già esautorato e svuotato delle proprie prerogative. Adesso, il secondo attentato è nei confronti di un altro potere autonomo e indipendente, quello della magistratura, e delle altre istituzioni di controllo della legalità, che si vorrebbero, ancora, sacrificare al primato, anzi, all'unicità dell'Esecutivo.
Quindi, contestiamo l'uso esagerato dei decreti-legge, e lo facciamo anche in questo caso, un uso esagerato sia rispetto alle finalità che sono state indicate, sia rispetto alle modalità con le quali esso viene esercitato. Abbiamo, più volte, contestato l'uso esagerato e, in molti casi, non corretto del decreto-legge e lo facciamo anche in questo caso. Infatti, alcune norme recate dal provvedimento sono condivisibili ma non legittimano minimamente il ricorso ennesimo a questo strumento, per giunta fatto in maniera strumentale rispetto alla sbandierata volontà di occuparsi della sicurezza.
Fatta questa contestazione di fondo, di merito e politica, possiamo anche addentrarci ad esaminare le singole disposizioni del provvedimento in discussione.
Abbiamo già detto nitidamente e chiaramente che non abbiamo alcuna difficoltà a trovarci d'accordo sull'articolo 1 del provvedimento in esame, e cioè con la previsione di una specifica aggravante per quanto riguarda la violenza sessuale. Riteniamo che vi sia una sensibilità dell'opinione pubblica e condividiamo tale previsione, ma al di fuori della utilizzazione strumentale che il Governo vuole farne, nel senso di cavalcare questa questione per indurre l'opinione pubblica a pensare che, in realtà, si stia muovendo sul piano della sicurezza. Esaminando questa disposizione in maniera precisa e considerando che può essere utile anche alla salvaguardia della donna e a farla sentire più sicura, riteniamo che, sull'articolo 1, la collettività possa decidere che vi sia una sensibilità molto spiccata in tema di tutela della personalità della donna e si possa, quindi, approvare un'aggravante di questo genere per i reati di violenza sessuale.
Siamo d'accordo e ci rendiamo conto che per questo, come per gli altri due articoli, si tratta, in realtà, di una funzione prevalentemente retributiva della pena, anche per ciò che si dirà in relazione all'articolo 3. Riteniamo che, in certi casi, anche la funzione meramente retributiva della pena possa essere utile per dare un segnale molto preciso alla collettività nazionale. Pertanto, certi valori, come il valore della persona della donna contro ogni sopraffazione, devono essere rispettati e, se non vengono rispettati, la collettività sa reagire, indicando questo bene come un bene essenziale, le cui violazioni intende punire in maniera adeguata rispetto alla gravità.
Lo stesso ragionamento vale per l'articolo 2 del provvedimento in discussione. Abbiamo visto qualcuno «storcere il naso» e affermare che l'articolo 275 del codice penale porrebbe, in maniera autonoma, l'obbligo della misura cautelare della custodia in carcere. Non siamo d'accordo su questo: basta leggere il citato articolo 275 per capire che, se vi sono gravi indizi di colpevolezza, in presenza di reati di una certa gravità, è doveroso ricorrere alla custodia cautelare, salvo che - vi è anche una previsione di salvaguardia - non si preveda che possa essere disposta un'altra misura cautelare. Pertanto, esistono già clausole di salvaguardia interne all'articolo 275 del codice penale e, se tra i delitti per i quali si deve, in primo luogo, pensare alla custodia cautelare (salve le clausole di salvaguardia di cui abbiamo detto), viene prevista anche la violenza sessuale sulle donne, siamo d'accordo.
Infatti, la violenza sessuale sulle donne è uno di quei reati che comportano delle offese che in molti casi non saranno mai lavate, perché la donna che è stata oggetto di violenza potrà forse, razionalmente e con un aiuto, riuscire a superare questo trauma, ma ci saranno momenti in cui probabilmente non riuscirà a superarlo completamente e a lavare - in senso Pag. 66psicologico - la violenza che ha subito su di sé e che sente dentro il proprio intimo, oltre che sulla propria pelle.
Mi pare che possa essere un messaggio giusto, nell'ambito delle leggi e senza stravolgere le disposizioni esistenti, che la collettività possa indicare un bene collettivo tutelato sommamente dall'articolo 2 della Costituzione - che tutela i diritti e i beni della persona sia come soggetto individuale sia come soggetto collettivo - e affermare che questo è un bene primario da proteggere e da tutelare. Siamo d'accordo su questo e non abbiamo francamente obiezioni, perché non si sta stravolgendo alcuna procedura di legge e si stanno attuando le procedure esistenti con tutte le garanzie che la legge prevede, pertanto diciamo «sì» a questa norma e lo facciamo perché siamo abituati a vedere al di là delle nostre contestazioni alla strumentalità del Governo e dei nostri avversari politici. Lo stesso possiamo affermare a proposito dell'articolo 3, che riguarda l'esclusione dei benefici penitenziari per questo tipo di reati.
Esaminato questo pacchetto di provvedimenti, tralasciamo le norme sullo stalking, che con un gioco delle tre tavolette il Governo ha voluto presentare come qualcosa di innovativo, come qualcosa comunque di riferibile a se stesso nella lotta contro la violenza sessuale e per la sicurezza, come invece non è, perché esso appartiene all'iniziativa del Parlamento ed è stato già approvato da un ramo del Parlamento. Lasciamo da parte, quindi, oltre che i primi articoli, anche quelli relativi allo stalking, con cui il Governo si è sostanzialmente appropriato di un risultato che era stato già ottenuto dal Parlamento ed è nato nel Parlamento, come ben sa l'onorevole Lussana, che annuisce, e rileviamo come il Governo lo abbia fatto proprio, mostrandosi come un Governo che si occupa della sicurezza. Ne prendiamo atto, non abbiamo alcuna ragione di dire che non va bene, perché lo abbiamo già approvato in questo ramo del Parlamento. Si è voluto inserire la questione all'interno di questo decreto-legge e il Governo ha mostrato le penne del pavone - essendo il pavone fuori dal Governo, ed essendo qui nel Parlamento! - e noi glielo passiamo; contestiamo il metodo con cui il Governo si appropria di cose fatte da altri, ma non abbiamo obiezioni nel merito, perché nel merito lo abbiamo già approvato.
Andiamo, però, a vedere i punti che per noi sono critici, insuperabilmente critici, il primo dei quali è rappresentato dalle cosiddette ronde. Pensiamo veramente che il problema della sicurezza possa essere risolto da quattro volontari con una fascia al collo e disarmati - per fortuna - che vanno nelle periferie delle città, dove l'oscurità è maggiore, e in questo modo pensiamo che si realizzi la sicurezza? È una cosa che sta totalmente fuori dal mondo.
Vedete, signor Presidente, signora Ministro, colleghi presenti, siamo estremamente critici nei confronti del percorso che questo Governo sta compiendo, un percorso che sta smontando e sta stravolgendo il sistema e il modello di sicurezza del nostro Paese, che era - e speriamo che sia - un modello fondato sulla circostanza che la funzione sovrana della sicurezza non può essere esercitata se non dallo Stato e dalle sue espressioni.
Qualunque altra modalità di esercizio della sicurezza è una modalità irritante, costituzionalmente irritante innanzitutto. Invece il Governo sta scientificamente smontando questo modello costituzionale di sicurezza, e ne darò alcuni esempi. La sicurezza esercitata dalle forze dell'ordine, che sono gli strumenti dello Stato deputati a tale funzione sovrana, è stata ed è costantemente depotenziata; ci sono tantissimi tagli, grossi e pesanti, sulle forze dell'ordine, tagli in termini di risorse materiali, di personale (che è stato ridotto), tagli che determinano una complessiva difficoltà, una crescente e costante difficoltà delle forze dell'ordine ad adempiere alla propria funzione sovrana.
Ci domandiamo, e lo chiediamo ai cittadini: ma non sarà che questo rientra all'interno di un disegno preciso che tende a modificare il modello di sicurezza? La domanda è assolutamente legittima e secondo Pag. 67noi ha una risposta positiva, se si pensa che si fa ricorso alle apparizioni di quattro giovanotti, magari scelti fra i più alti, che fanno parte dell'Esercito e che fanno delle apparizioni qua e là nelle città. In alcune città tremila militari di bella presenza non sono certo sufficienti a realizzare la sicurezza, ma quello che è più grave è che, con spese a carico della collettività, si tolgono fondi alle forze dell'ordine e si trasferiscono su altre entità che di per sé non sono adatte ad esercitare quel ruolo. Non solo non sono adatte perché sono attrezzate e addestrate a fare altro, ma anche perché è al di fuori della nostra cultura di sicurezza l'utilizzo di appartenenti all'Esercito.
Adesso sono tremila, poi c'è stato un altro stupro ed invece di domandarsi perché questo è successo il Presidente del Consiglio, in una delle sue solite sparate, ha detto: altri 30 mila militari. E perché non altri 300 mila? Tra poco la funzione della difesa non esisterà più perché i militari verranno chiamati ad esercitare la funzione della sicurezza, e senza risultati tra l'altro. Infatti, se i risultati ci fossero stati, secondo la logica del Governo non ci sarebbero stati più stupri, mentre se gli stupri ci sono evidentemente le misure messe in campo non sono sufficienti. Mi riferisco ovviamente agli stupri pubblici, perché quelli privati sono un altro fenomeno da esaminare seriamente in altro modo.
Se avesse funzionato quell'idea dell'Esercito, dicevo, non ci sarebbero stati altri stupri pubblici; invece, ci sono. Lo stravolgimento del modello di sicurezza fondato sul potenziamento degli strumenti, del personale e delle misure in favore delle forze dell'ordine è rappresentato da un altro fatto: da una parte si sposta la sicurezza verso l'Esercito, ma dall'altra si tende a rafforzare fenomeni di «sceriffismo» locale.
La polizia locale è stata chiamata a partecipare alle funzioni di sicurezza con uno degli innumerevoli decreti-legge che questo Governo ci ha somministrato. Gli organi di polizia locale sono stati investiti di problemi rilevanti in materia di sicurezza e le ronde rappresentano un'altra manifestazione, sia pure sul piano della privatizzazione, della volontà di ricorrere al fenomeno degli sceriffi e, comunque, dei controllori locali.
In questo modo che cosa si ha? Si ha un avvilimento delle forze dell'ordine, le quali sono veramente arrabbiate per il fatto che si tagliano gli straordinari, non si forniscono i mezzi, le si depotenziano e umiliano con il ricorso ad altri strumenti, che non sono quelli della loro professionalità e del loro impegno.
Ma quale conseguenza ha tutto questo, signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi? La conseguenza, se si manda avanti questo modello di sicurezza (e già così il pericolo è presente), è che si tenda a far credere che i fenomeni della sicurezza siano quelli connessi a singoli episodi che più colpiscono l'immaginazione dei cittadini e che più li fanno sentire poco sicuri o non rassicurati trascurando, invece, il potenziamento delle forze dell'ordine per avere una capacità di coordinamento generale e una visione generale, e dunque esse sempre meno riusciranno ad affrontare i fenomeni di grave criminalità nazionale e internazionale, come i fenomeni mafiosi e quelli connessi allo spaccio di stupefacenti e al traffico di armi e di schiavi.
Signori, attenzione! Non so se lo fate coscientemente o incoscientemente, ma attenzione: non si devono depotenziare le forze dell'ordine, che per la capacità di coordinarsi tra loro, per la capacità e la possibilità di interagire con l'Interpol e con le altre forze di polizia hanno la missione di reprimere i grandi crimini internazionali o i grandi crimini che sono tra di loro collegati, anche a livello di crimini territoriali e di criminalità organizzata.
Se è questo che volete fatelo pure, ma noi non ci stiamo. Denunciamo questo stravolgimento che state ponendo in atto. E l'avete fatto con le ronde. Mi limiterò a leggere alcuni spunti, dal momento che la stampa si è giustamente occupata della questione. In un articolo de Il Sole 24 Ore, del 17 febbraio scorso, si denuncia: tagli e turn-over bloccato, forze di polizia in Pag. 68affanno; mancano 21 mila uomini che nei prossimi due anni, in previsione del pensionamento di circa 12 mila fino a 16 mila uomini, aumenteranno vertiginosamente. Da un articolo de Il Tirreno, del 23 febbraio scorso: in Toscana i tagli del Governo costringono gli agenti a lavorare in condizioni penose; macchine guaste e poche munizioni; a Pisa scarseggiano le divise, a Prato mancano i fondi per cambiare il toner all'ufficio delle volanti, a Livorno mancano i fondi per riparare le macchine della polizia. Dalla stampa locale di Brescia: un auto su tre della Polizia di Stato è indisponibile o fuori servizio e nei prossimi anni verranno a mancare 30 agenti. Secondo notizie apparse su la Repubblica, del 6 marzo 2009, sembra che la Polizia non disponga dei fondi per poter pagare le spese di missione della squadra catturandi di Palermo e 30 poliziotti della questura palermitana, che hanno catturato il boss Lo Piccolo, attendono, da un anno, parte degli straordinari, e quelli che hanno arrestato Provenzano li hanno avuti solo dopo una protesta in piazza dei sindacati. E si dice che a Rimini ai poliziotti stiano togliendo dalla busta paga gli anticipi che hanno ottenuto per una missione di polizia giudiziaria, svolta per la direzione distrettuale antimafia di Bologna, e che a Genova il comune ha dovuto stanziare 300 mila euro per garantire ai poliziotti le attrezzature minime (torce, moto e computer). Il comune di Genova si è fatto carico di impegni, di doveri e di funzioni che lo Stato avrebbe dovuto assumere. Il Secolo XIX, del 24 febbraio 2009, infine, riporta la notizia che, sempre a Genova, in questura la banca dati è ferma.
Questi sono solo alcuni degli esempi, ma ne potremmo citare moltissimi. I Cocer, i funzionari e le organizzazioni rappresentative dei funzionari di polizia stanno denunciando tutto questo. Il problema è che le forze dell'ordine si sentono umiliate e non si sentono più rappresentate da questo Governo, da questa maggioranza e da questa destra che ha sempre sbandierato di voler garantire la sicurezza e di voler bene alle forze dell'ordine ma, al momento opportuno, taglia tutto e li lascia in condizione di non poter agire né di poter svolgere il loro ruolo.
Ecco quindi i due aspetti negativi dell'ulteriore umiliazione che questa maggioranza e questo Governo stanno infliggendo alle forze dell'ordine, malgrado i sacrifici che esse quotidianamente fanno. Sono umiliate perché i fondi che si dovrebbero investire sulla loro professionalità e sulla loro capacità ulteriore di esercitare le loro funzioni vengono distratti per altre funzioni che stravolgono sostanzialmente il modello della sicurezza.
Non siamo solo noi a dire che questo non va bene e che ciò sta realizzando uno stravolgimento molto forte delle funzioni sovrane dello Stato. Vi leggo una dichiarazione molto breve: «l'istituzione delle ronde di volontari a tutela della sicurezza nelle città rappresenta un'abdicazione dello Stato di diritto». Chi lo dice? La sinistra pericolosa e comunista? No, lo dice il segretario del Pontificio consiglio per i migranti, monsignor Agostino Marchetto. Per il rappresentante vaticano quella dei volontari civili non è la strada da percorrere e rischia di alimentare un clima di criminalizzazione dei migranti, mentre la repressione dei reati spetta alle autorità costituite. Credete davvero che la sicurezza possa essere esercitata dalle ronde? Non so se la Lega ha voluto la disposizione dell'articolo 6 perché ci crede davvero o per regolarizzare in qualche modo le camicie verdi, qualcuna delle quali, forse, era stata un pochino troppo esuberante e, quindi, per regolamentarle.
Ma voi pensate che davvero le ronde possano rappresentare la sicurezza e che possano essere istituite in tutto il territorio nazionale? Lo sapete che al sud, nei luoghi dove c'è la criminalità organizzata, le ronde ci sono già? Il loro controllo del territori è asfissiante: quelle sono ronde efficaci ed effettive. Lì lo Stato deve intervenire, non con contro-ronde, ma con una più efficace presenza dei propri organi costituzionali, che sono gli organi della Repubblica che esercitano le funzioni sovrane attraverso il popolo, mediante le proprie strutture organizzate. Pag. 69
Veramente vogliamo pensare che questo sia uno strumento di garanzia della sicurezza? Non scherzate, per favore, con temi così delicati e così drammatici. Il collega Rao ha contestato all'onorevole Di Pietro di essersi espresso in favore dei primi due commi dell'articolo 6. Mi associo a quanto ha detto l'onorevole Di Pietro, perché ogni goccia, ogni euro che viene attribuito al potenziamento delle forze di polizia (come previsto nei primi due commi) deve essere salutato con favore, non perché sia sufficiente - è larghissimamente insufficiente e inadatto a realizzare una professionalità delle strutture dello Stato - ma perché quando c'è un segnale positivo noi non stiamo a distruggere tutto, ma diciamo che quella è la strada verso la quale bisogna andare. Anzi, proprio per questo, abbiamo chiesto con un emendamento l'abrogazione dei commi da 3 a 7 dell'articolo 6, ossia quelli che riguardano le ronde.
PRESIDENTE. Deve concludere.
FEDERICO PALOMBA. Concludo subito, signor Presidente, dicendo che su alcuni punti possiamo anche essere d'accordo e possiamo anche votare positivamente; invece, sul complesso del provvedimento, l'Italia dei Valori si riserva di verificare che cosa sarà successo alla luce del dibattito parlamentare e del voto parlamentare. Alla luce di quello, vedremo come votare. Se sarà stata eliminata la disposizione sulle ronde, non escludiamo un voto positivo, altrimenti è tutto da vedere (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Molteni. Ne ha facoltà.
NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il primo pensiero va all'eccellente lavoro che ha svolto in questi primi mesi il Ministro Maroni, per il modo, la capacità, la tenacia e la determinazione con cui ha saputo affrontare, con risultati significativi e decisamente apprezzati, il tema della sicurezza dei cittadini e della tutela dell'ordine pubblico, in tutte le sue diverse sfaccettature e inclinazioni: dalla lotta all'immigrazione clandestina, all'ampliamento delle procedure di espulsione per gli stranieri irregolari, alla delinquenza, alla criminalità micro e macro, alla criminalità organizzata, con importanti successi sul fronte della lotta alle mafie, al problema degli sbarchi, ai rapporti con gli altri Paesi esteri attraverso la ridefinizione di importanti trattati internazionali.
In questo importante lavoro non va sicuramente trascurata la sensibilità e l'impegno sin qui dimostrato dal Ministro Alfano e dal Ministro Carfagna - che ringrazio per la presenza in Aula ma anche in Commissione - indice del fatto che l'azione del Governo risulta coesa, puntuale ed efficace, nonché indirizzata in un'unica prospettiva, quella di dare risposte certe e convincenti in tema di sicurezza ai nostri cittadini: riportare ordine, legalità e giustizia sul territorio, rendendo i cittadini e il territorio stesso protagonisti sinergici e complementari con le forze dell'ordine, ristabilendo la certezza del diritto e delle sanzioni con norme e dispositivi chiari, anche particolarmente restrittivi, che tutelano, come questo provvedimento, in modo particolare le donne ed i minori, vittime di reati tanto odiosi quanto gravi, il tutto ovviamente nel rispetto di quelle garanzie costituzionali doverosamente tutelate.
Questo decreto-legge si colloca all'interno di un disegno politico ed amministrativo chiaro, non equivoco e non ambiguo, in continuità con altri precedenti provvedimenti. Esso persegue la finalità di porre al centro del dibattito politico soluzioni concrete in tema di sicurezza, di contrasto alla delinquenza, di tutela delle vittime dei reati di violenza sessuale, di maggiore efficacia e applicazione delle procedure di espulsione degli stranieri irregolari, di potenziamento delle risorse e degli investimenti a beneficio del comparto sicurezza, con un piano straordinario di controllo del territorio. Sono tutti temi che questa maggioranza, di cui la Lega rappresenta Pag. 70la parte più attenta e sensibile, ha posto come priorità nell'agenda politica di questa legislatura.
Chi oggi si stupisce gridando allo scandalo, mostrando indignazione, usando toni e parole dure contro questo provvedimento, denigrando le scelte in materia di sicurezza del Ministro, fatica a comprendere e continua a dimostrare di non capire che il Paese reale, da nord a sud, dalla Padania alla Sicilia, e non quello virtuale o salottiero, chiede e sta chiedendo a gran voce questi provvedimenti; chiede norme severe e intransigenti, chiede un atteggiamento diverso dalla politica, duro e rigoroso verso chi commette crimini tanto efferati quanto odiosi.
È inutile provare indignazione a parole quando si verificano fatti infamanti e vergognosi, come quelli di Guidonia o della Caffarella o tanti altri episodi di violenza, magari meno pubblicizzati ma altrettanto indegni, se poi alle parole non si fanno seguire risposte immediate, concrete e altrettanto efficaci ed incisive. I cittadini sono stanchi di una politica fatta soltanto di slogan da campagna elettorale per prendere qualche voto in più. Sono stanchi di chiacchiere e di proclami. I cittadini pretendono fatti, azioni concrete, provvedimenti seri e in questa direzione si sono mossi il Governo e il Ministro Maroni ai quali va il nostro plauso.
Alla sinistra, che fino ad un anno fa governava il Paese, che aveva la responsabilità di Governo e l'opportunità di legiferare in materia di sicurezza, oggi pronta a scandalizzarsi e a stracciarsi le vesti per le famigerate ronde padane, come se questo provvedimento parlasse solo di ronde - fermo restando che il termine «ronde» non viene utilizzato in nessun rigo del provvedimento, sul tema torneremo poi successivamente - chiedo loro, ai rappresentanti della sinistra, cosa abbiano fatto sul tema della sicurezza nei due anni di Governo Prodi. Io rispondo il nulla, lo zero assoluto e i cittadini un anno fa hanno risposto nel medesimo modo: nessun provvedimento incisivo, nessuna risposta seria alle istanze di sicurezza dei cittadini, nessuna riduzione e limitazione dell'immigrazione clandestina, nessuna norma per fronteggiare la dilagante sequenza di violenze.
Quindi non accettiamo lezioni da chi sul punto ha miseramente fallito e il riconoscimento di questo fallimento viene continuamente sancito e ribadito dai cittadini chiamati alle urne, che si tratti di elezioni politiche, regionali o locali. I cittadini hanno saputo premiare la Lega ovvero chi meglio di altri ha saputo interpretare quel bisogno e quella richiesta di sicurezza che i cittadini chiedono a gran voce, non cavalcando la paura degli italiani, come qualcuno continua a ripetere, ma ascoltando i cittadini, e vivendo il territorio quotidianamente a contatto con i problemi reali come solo gli uomini della Lega sanno fare.
Alla Lega, tra i tanti meriti, va sicuramente ascritto quello di aver saputo incanalare il forte senso di disagio e di insicurezza dei cittadini verso il fenomeno dell'immigrazione clandestina e verso determinati fenomeni delinquenziali dentro binari democratici e civili, evitando una deriva autoritaristica ed una giustizia fai da te da parte dei cittadini stessi. In quest'ottica, cari colleghi, va letto l'articolato relativo ai volontari della sicurezza e alle associazioni dei cittadini per la sicurezza.
Il Ministro Maroni, con intelligenza e lungimiranza, grazie a questo provvedimento, ha voluto dare una veste giuridica e di legalità ad un fenomeno popolare, reale, ormai diffuso e praticato sui territori da destra a sinistra, incanalandolo però dentro principi riconosciuti, chiari e sotto il controllo di soggetti competenti legittimati dal voto popolare, i sindaci, e da organismi ed autorità riconosciute, i prefetti e il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza.
Questo decreto-legge, dettato dalla necessità e dall'urgenza degli ultimi gravi avvenimenti di violenza soprattutto nei confronti di donne e minori avvenuti recentemente nel nostro Paese, rappresenta una risposta seria e quanto mai doverosa che, insieme al decreto-legge n. 92 del 2008 sulla sicurezza, al decreto-legge Pag. 71n. 151 del 2008 relativo a prevenzione e accertamento di reati e contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina, nonché al disegno di legge sulla sicurezza già approvato dal Senato e oggi in discussione presso la Commissione giustizia di questa Camera e ad altri provvedimenti, si inserisce in un quadro complessivo ed organico di attenzione e di intervento da parte del Governo sul tema della sicurezza.
Gli articoli 1, 2, 3, 4, 7 e successivi del provvedimento in esame apportano importanti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, introducono norme contro la violenza sessuale e gli atti persecutori, introducendo il reato di stalking, di cui abbiamo già avuto abbondantemente modo di parlare in Aula, allo scopo di dare una maggiore tutela alle vittime in un momento di forte emergenza sociale. A chi si scandalizza invocando una presunta espropriazione del ruolo del Parlamento rispondo dicendo che bene ha fatto il Governo ad anticiparne l'introduzione per decreto anche perché sul reato di stalking si è registrata una positiva, quasi totale, convergenza da parte di tutte le forze politiche durante il dibattito in Aula.
Questo è un Paese che ha bisogno sicuramente del confronto, della discussione e dell'analisi. Prima il collega Minniti diceva che è bene fermarci a riflettere; io dico: attenzione a non fermarci troppo, attenzione a non riflettere troppo, la sinistra ha avuto due anni per poter riflettere, ora è il momento di agire. Questo è un Paese a cui bisogna dare delle risposte e noi, classe politica, abbiamo il dovere di fornire ai cittadini risposte celeri ed immediate.
La politica, di fronte ad episodi gravi e a violenze inaudite non poteva rimanere silente e soprattutto non poteva non intervenire con risolutezza e tempestività, ridando ai cittadini un giusto senso di appartenenza e di riconoscimento nella giustizia e nella legge. Vedere stupratori che dall'oggi al domani vengono rimessi in libertà o sono beneficiari degli arresti domiciliari godendone gli effetti comodamente seduti sul divano di casa, non era più tollerabile ed accettabile. In tal senso vanno le disposizioni in cui si prevede l'ergastolo in caso di omicidio in occasione di determinati delitti di violenza sessuale, si estende l'obbligatorietà della custodia cautelare in carcere per i delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale, esclusi i casi di minore gravità, atti sessuali con minorenne.
Il decreto-legge sovverte il principio di residualità dell'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale e propone la regola in base alla quale la custodia cautelare diventa la misura prioritaria e le altre misure diventano residuali, non solo per le associazioni di tipo mafioso, anche straniere, ma anche per tutti i reati previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-ter, nonché per tutta una serie di altri reati puntualmente indicati. Inoltre, si prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per violenza sessuale, tranne i casi di minore gravità, e per violenza sessuale di gruppo con conseguente possibilità di procedere con rito direttissimo e di celebrare il processo anche nelle successive quarantotto ore.
Con l'articolo 3 si limita l'applicazione dei benefici penitenziari previsti dalla legge Gozzini per i condannati per i delitti di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e violenza sessuale di gruppo. Come è già stato detto, viene esteso il gratuito patrocinio dello Stato a tutte le vittime di violenza sessuale. La chiara finalità della previsione è rimuovere oltre agli ostacoli psicologici anche quelli economici. Quelli appena citati sono norme e provvedimenti doverosi, legittimi, di buonsenso e necessari per riaffermare la presenza dello Stato e per rispondere ad un crescente e sempre più diffuso stato di allarme sociale percepito dai cittadini. Si tratta di una vera e propria emergenza da fronteggiare attraverso un sistema di misure di modifica dell'attuale ordinamento, palesemente oggi non in grado di contrastare questi fenomeni. Pag. 72
È importante ricordare che la Lega ha presentato in Commissione un emendamento - e ringrazio il relatore, la collega Lussana, per il parere positivo dato, nonché per il lavoro svolto su questo provvedimento - in riferimento alla castrazione chimica o blocco androgenico totale. Si tratta di un emendamento serio e studiato attentamente, con tutti i crismi di costituzionalità in cui si prevede che in caso di condanna per alcuno dei reati di cui agli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies del codice penale, la concessione dei benefici penitenziari è ammessa solo se il condannato si sottopone volontariamente al trattamento del blocco androgenico totale ed è reversibile.
Tale trattamento è inserito in programma di recupero psicoterapeutico svolto a cura dell'amministrazione penitenziaria che a tal fine si avvale dell'ausilio di centri convenzionati pubblici e privati che dispongono di professionisti specializzati in psicoterapia e in psichiatria. È compito del giudice indicare il metodo da applicare e la struttura sanitaria pubblica nella quale eseguire il trattamento stesso, oltre che individuare l'ufficio di polizia giudiziaria ove il condannato deve recarsi a scadenze precise per dimostrare l'avvenuto intervento, tenendo conto delle modalità del trattamento, dell'attività lavorativa e del luogo di abitazione del condannato.
La finalità principale consiste nello scongiurare la recidiva a fronte di fattispecie di reato tanto aberranti che violano la libertà individuale o l'infanzia. In ciò consiste la forza argomentativa della castrazione chimica alla quale bilanci attendibili condotti nei Paesi dove essa è già in vigore riconoscono notevole efficacia sotto il profilo della prevenzione; circostanza che giustifica la compressione dei diritti dell'autore del reato.
Si tratta di un emendamento serio, che il Governo, a nostro avviso, troppo sbrigativamente e po' superficialmente ha messo da parte. Ci spiace l'atteggiamento di chi non avendo nemmeno approfondito seriamente la nostra proposta si sia dichiarato pregiudizialmente e ideologicamente contrario. Tuttavia, riproporremo questo emendamento perché la gente ce lo chiede, i cittadini sono sensibili al tema e le persone per bene in queste settimane stanno affollando i gazebo della Lega firmando le nostre petizioni. Avremo, quindi, occasione e modo di riparlarne.
Un cenno merita anche l'articolo 6, i cui commi 3, 4, 5 e 6 disciplinano quel processo di sicurezza partecipata che tanto clamore - demagogico e strumentale ovviamente - ha suscitato nell'opposizione e in qualche isolatissimo e personale settore della maggioranza. Già la settimana scorsa durante il question time in questa Camera il Ministro Maroni, rispondendo all'interrogazione del collega Nucara, ha con chiarezza delineato i profili del provvedimento. Il decreto-legge, riprendendo esperienze che da anni sono in corso presso comuni non necessariamente o esclusivamente leghisti - tanto di centrodestra quanto di centrosinistra e ricordo Bologna, i City angels e la regione Emilia Romagna, con la legge regionale del 2003 - prevede la possibilità per i sindaci che lo desiderano di avvalersi di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare agli organi di polizia locale, oppure alle forze di polizia dello Stato, eventi che possono recare danno alla sicurezza urbana, oppure situazioni di disagio sociale.
Le associazioni sono iscritte in un apposito elenco e i requisiti di iscrizione nell'elenco con le relative modalità di tenuta, nonché la definizione degli ambiti operativi, sono demandati ad un apposito decreto del Ministro dell'interno. La verifica dei prescritti requisiti, nonché il loro periodico monitoraggio, è attribuita alla stessa autorità provinciale di pubblica sicurezza. La norma stabilisce, inoltre, che i sindaci per lo svolgimento dell'attività di cui sopra debbano prioritariamente avvalersi delle associazioni costituite tra personale in congedo delle forze dell'ordine, delle Forze armate e degli altri corpi dello Stato. È preclusa la possibilità per il sindaco di avvalersi delle altre associazioni qualora destinatarie di risorse economiche a carico della finanza pubblica. Pag. 73
Quindi, gli scopi dell'introduzione di questo processo di sicurezza partecipata federalista sono facilmente intuibili ai più, purtroppo, non a tutti quelli che siedono in quest'Aula. Al netto della demagogia e delle strumentalizzazioni, questo provvedimento serve, da un lato, ad aumentare le forme e i metodi di sicurezza dei cittadini, dando ai sindaci la possibilità di avvalersi, ovviamente in termini complementari, dello strumento della sicurezza partecipata, e, dall'altro lato, a dare una veste giuridica nazionale a quelle associazioni di cittadini oggi già esistenti, ma totalmente svincolate da ogni forma di controllo e di regolamentazione. Non vi è alcuna sostituzione dei cittadini alle forze di polizia. Qualcuno ha parlato di ronde armate, altri di giustizieri della notte, altri ancora di associazioni eversive. È evidente che di nulla di tutto ciò si tratta. Noi capiamo che, come spesso si verifica nel gioco della politica, bisogna individuare un aspetto particolare di un provvedimento e creare la demonizzazione del medesimo, lo spettro della paura. Echeggiare la barbarie leghista fa effetto e, a volte, qualcuno ci crede pure. Purtroppo, per qualcuno, però, i tempi sono cambiati: la gente sta con la Lega, condivide le nostre battaglie, capisce quello che stiamo facendo e soprattutto mostra apprezzamento per la coerenza con cui difendiamo le nostre idee e le nostre proposte. Un sindaco che di nome fa Flavio e di cognome non Tosi, bensì Zanonato, sindaco di sinistra di Padova (tanto per intenderci, quello che viene definito l'uomo del muro, per aver costruito nel 2006 una recinzione per proteggere un quartiere di Padova invaso dagli spacciatori), così dichiara su La Stampa del 23 marzo: «(...) Che i cittadini possano dare una mano nella lotta contro il crimine è fuori discussione. La collaborazione, la denuncia, tutto giusto (...)».
Francamente, facciamo fatica a capire la sinistra. I vostri sindaci, che sono sul territorio, che raramente ascoltate, hanno già fatto queste associazioni, si sono già avvalsi di questi strumenti. Continuate a non capire, a rimanere lontani dai bisogni della gente, per questo continuerete a perdere voti e consenso.
Il decreto-legge, inoltre, all'articolo 6, incrementa anche mezzi e personale a favore delle forze di polizia: 100 milioni di euro aggiuntivi per le spese correnti, per le urgenti necessità di tutela della sicurezza e del soccorso pubblico, che arrivano direttamente dai proventi sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; altri 100 milioni di euro per effettuare nuove assunzioni per le forze di polizia e il Corpo dei vigili del fuoco. Quindi, vi sono più soldi per la sicurezza. Per il 2009, invertendo un trend ormai costante di contrazione delle risorse, registrato negli ultimi anni, soprattutto nel periodo 2006-2007, ovvero durante il periodo del Governo Prodi, la dotazione finanziaria delle forze dell'ordine non soltanto non ha subito tagli e contrazioni, ma è stata notevolmente aumentata rispetto al 2008. La dotazione finanziaria del dipartimento della pubblica sicurezza per il 2009 è superiore di circa 650 milioni di euro rispetto al 2008. Per le spese correnti, si è passati da una dotazione di 6,7 miliardi nel 2008 a 7,4 miliardi nel 2009, con un incremento di 730 milioni di euro, superiore del 10 per cento rispetto al 2008. Sono soldi veri, che testimoniano l'impegno concreto del Governo per il comparto sicurezza, nei confronti del quale l'attenzione dovrà necessariamente rimanere alta.
Infine, è opportuno citare l'articolo 5, finalizzato a rendere più efficaci le procedure di espulsione e respingimento, attraverso il prolungamento fino a centottanta giorni del periodo di trattenimento degli stranieri irregolari nei centri di identificazione ed espulsione. Tale norma, unitamente alle altre in tema di lotta all'immigrazione clandestina e all'avvio entro il 15 maggio dei pattugliamenti congiunti delle coste libiche, rappresenta un tassello fondamentale di quella politica di rigore e di intransigenza, che ha portato, già nei primi mesi del 2009, a risultati importantissimi. Fino al 28 febbraio del 2009, sono stati effettivamente rimpatriati nei Paesi di Pag. 74origine 3.129 clandestini, in particolare in Tunisia. Sono misure importanti e significative, in riferimento alle quali è ovvio che questo tipo di attività deve essere implementata e la guardia non può mai essere abbassata.
Concludo, signor Presidente, ricordando che la sfida della politica, che da tempo la Lega Nord ha raccolto, è quella di ricondurre le paure, il disagio, le insicurezze dei cittadini nell'alveo della democrazia, attraverso provvedimenti di legge - questo ne è l'esempio - che riportino all'interno del perimetro democratico le legittime richieste di sicurezza dei cittadini. Noi crediamo in questo e, grazie al Ministro Maroni, lo stiamo facendo e continueremo a farlo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA. Signor Presidente, vorrei partire da quella che è stata la critica prioritaria al provvedimento in esame che è venuta dall'opposizione. Non si è trattato di una critica di merito, bensì di una critica di metodo. In sostanza, l'opposizione ha argomentato eccependo l'utilizzo della decretazione d'urgenza, attraverso la quale è stato posto in essere il provvedimento.
Dobbiamo riconoscere che talvolta, negli anni, la decretazione d'urgenza è stata utilizzata interpretando estensivamente la sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza. È, altresì, fuor di dubbio che sia compito del Parlamento, attraverso un iter completo, approvare le leggi. Ma occorre che questa esigenza sia bilanciata da altre esigenze, che sono degne di altrettanta tutela costituzionale: la sicurezza dei cittadini, l'esigenza che il più forte non calpesti il più debole, la necessità che di fronte ad atti di violenza inaudita i magistrati e le forze dell'ordine abbiano a disposizione strumenti per reagire, punire e reprimere.
Di fronte a norme finalizzate alla tutela della persona, il Parlamento non è stato inerte: si pensi, solo per citare alcuni esempi, alla normativa sullo stalking, all'esame in Commissione giustizia delle norme sulla violenza sessuale, all'esame, sempre in Commissione giustizia, delle norme sulla pedofilia. Ma nelle more di un dibattito parlamentare completo sono trascorsi giorni, settimane, mesi con le cronache che si sono arricchite di tragici fatti di sangue, di stupri, di violenze, di atti di molestie reiterati che talvolta sono sfociati in omicidi.
Per il Governo, con il dovuto rispetto per le prerogative del Parlamento, è stato un atto dovuto intervenire tempestivamente; ed un forte significato va attribuito ad una circostanza: al fatto che il Governo si sia limitato ad inserire nel decreto-legge quasi totalmente norme che già erano state esaminate almeno da un ramo del Parlamento, dalla Camera la normativa sullo stalking, dal Senato tutte le altre norme.
Un'analisi puntuale di queste norme ci fa capire come ce ne fosse veramente l'esigenza nel nostro ordinamento, a partire dalla normativa sullo stalking, le molestie insistenti. I colleghi che erano presenti in Parlamento nella scorsa legislatura ricorderanno che già a quell'epoca affrontammo la materia. La affrontammo in Commissione con spirito costruttivo; allora eravamo all'opposizione e collaborammo con la maggioranza per arrivare a fare in modo che il testo fosse il più condiviso possibile. Perché nella scorsa legislatura questo provvedimento non divenne legge? Non divenne legge perché la maggioranza volle strafare, e cercò di utilizzare questo strumento legislativo, che era condiviso da tutti, infilando quasi di soppiatto alcune norme relative al contrasto dell'omofobia; norme che all'interno della stessa maggioranza erano assai controverse. Questo provocò il blocco e la paralisi del provvedimento.
Ricordo il primo ufficio di presidenza nell'ambito della Commissione giustizia: quando fu necessario individuare le priorità da affrontare, il testo sullo stalking fu considerato dalla maggioranza e dall'opposizione come prioritario.
Si partì, proprio per individuare un rapporto anche di continuità rispetto al Pag. 75lavoro già svolto nella scorsa legislatura, dal testo condiviso (chiaramente depurato dalle norme controverse relative alla lotta contro l'omofobia); si lavorò assiduamente in Commissione con spirito costruttivo da parte di tutti quanti e si giunse ad un testo che poi approdò in Aula e venne approvato dall'Assemblea della Camera.
Oggi il Governo ha ritenuto di recepire totalmente, nell'ambito di questo decreto-legge, il testo che era stato approvato.
Per entrare nel merito delle norme che sono state poste in essere, devo dire che in molti - ed io lo condivido - nutrono una certa diffidenza allorché si trovano a dover approvare l'inserimento nel codice penale di nuove fattispecie e di nuove sanzioni penali. È possibile, infatti, che in numerose circostanze vi possano essere altri strumenti altrettanto validi per reprimere o per prevenire.
Nel caso di specie, convintamente abbiamo approvato e convintamente riteniamo che vi fosse l'esigenza di una nuova fattispecie penalistica, una fattispecie penalistica che probabilmente il legislatore aveva trascurato negli anni di individuare, ritenendo che fosse sufficiente prevedere un reato di molestie o un reato di minacce.
Dobbiamo pensare che le molestie, nel momento in cui siano reiterate, assumono un disvalore sociale ed anche dal punto di vista penalistico molto più serio che una semplice somma di condotte criminose: questo è il ragionamento, questa è l'analisi - anche dal punto di vista giuridico, ma soprattutto dal punto di vista sociale - che ci ha fatto pervenire alla conclusione di individuare una seria e più grave fattispecie di reato.
Una condotta integrativa di un reato non va, infatti, mai analizzata e valutata autonomamente, bensì nel contesto in cui si realizza. Il legislatore non aveva fino ad oggi ritenuto che più atti di molestia o minaccia sedimentatisi nel tempo potessero avere un disvalore penale esponenzialmente più grave, tale da meritare la previsione di una fattispecie autonoma.
Un'altra esigenza da soddisfare - e cui era necessario far fronte - era quella di correre in soccorso, prima che si realizzasse il processo, attraverso misure cautelari, alle vittime di reati di molestie reiterate nel tempo, prima che questi reati sfociassero in fatti di sangue particolarmente gravi.
Il semplice reato di minaccia, anche grave, o di molestia, anche grave, non avrebbe consentito al magistrato di avere uno strumento cautelare e di fare in modo che un soggetto, un autore di determinate condotte fosse allontanato dalla vittima attraverso determinate forme di misure cautelari.
Questo è un elemento che ci ha fatto propendere e che ha rafforzato la nostra convinzione di inserire una nuova fattispecie criminosa. Oltre a questa norma, che sicuramente costituisce un risultato storico per questa maggioranza ma anche per coloro che hanno lavorato assiduamente, vi sono poi le norme sulla violenza sessuale.
Si è scelto di intervenire sul codice di procedura penale al fine di prevedere che per determinati reati gravi ed odiosi, per i quali vi fossero e fossero provati gravi indizi di colpevolezza, vi fosse un'ipotesi di presunzione di esigenza cautelare da soddisfarsi attraverso la detenzione in carcere.
Il caso è quello degli stupri, o comunque quello in cui non vi siano ipotesi di attenuanti: in questi casi il giudice delle indagini preliminari dovrà valutare semplicemente la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, alla luce della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il soggetto dovrà essere mandato in carcere.
Si inverte il ragionamento: sarà compito del magistrato, laddove non individui delle esigenze cautelari, di motivarlo, e di individuare in modo chiaro ed evidente il suo percorso logico-giuridico che fa sì che un soggetto, su cui pendono gravi indizi di colpevolezza, non sia incarcerato.
Da parte della Commissione giustizia, nell'ambito dell'esame del disegno di legge, si è scelto di proseguire nell'esame delle norme sostanziali. Non abbiamo voluto appesantire - è stata una scelta da maggioranza suffragata dalle norme Pag. 76regolamentari - questo provvedimento con norme che probabilmente dovevano ancora essere analizzate e valutate con attenzione, anche alla luce di audizioni e di analisi degli eventuali effetti delle norme stesse.
Ho ascoltato prima il collega Nicola Molteni fare riferimento alle norme sulla castrazione chimica. Ebbene, ritengo che il Governo non abbia agito con superficialità nel momento in cui ha chiesto un accantonamento di questa proposta. Avrebbe, forse, agito superficialmente se la avesse accettata e se avesse accettato che si agganciasse una tale misura ad un provvedimento d'urgenza senza una valutazione, non sicuramente politica, ma scientifica; è necessario svolgere delle audizioni e fare degli approfondimenti, pur rispettando le motivazioni che hanno portato i colleghi della Lega a presentare una proposta dal forte significato politico e giuridico.
Per quanto attiene le norme sulle ronde: fa specie per chi legga il testo del decreto-legge chiamare queste associazioni, questi gruppi di volontari, ronde. Ci tengo a leggere la norma per fare in modo che tutti coloro che non hanno avuto occasione di farlo si rendano conto di come è stato strumentalizzato il provvedimento; nel testo si parla di sindaci che, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle forze di polizia dello Stato o locali, eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.
Leggendo questa norma, entrando nel merito del testo, parola per parola, mi chiedo veramente che cosa vi sia di anomalo, in che cosa si possa contestare una siffatta norma? È previsto un elenco preciso e puntuale che auspichiamo non sia anche troppo burocratico, perché molto spesso i cittadini che vogliono fare del volontariato, e che vogliono mettersi a disposizione dello Stato, trovano nella burocrazia statale lacci e lacciuoli che tante volte li fa desistere. Confidiamo nella concretezza del Ministro Maroni affinché questa norma venga scritta in termini semplici e puntuali, perché tutti coloro che intendono affiancarsi allo Stato possano farlo con grande semplicità. Su queste associazioni è stato detto molto. È stato detto anche che in molte città sono già state realizzate delle esperienze in questo senso; basta citare il caso degli assistenti civici che sono stati utilizzati, fin dal 2001, a Bologna, che oggi sono utilizzati in diverse realtà locali, tra le altre, a Brescia, a Forlì, a Viterbo, e che sono formati, addirittura, dai comuni tramite corsi organizzati dalle polizie locali.
Questo significa semplicemente istituzionalizzare delle situazioni di fenomeni spontanei di cittadini che intendono affiancarsi allo Stato.
L'onorevole Palomba ha accusato la maggioranza di voler modificare il concetto di sicurezza. Per noi sicurezza significa anche far collaborare tutti coloro che intendono farlo, che intendono mettersi a disposizione dello Stato (e metterli in condizione di farlo), significa coinvolgere i cittadini, sensibilizzarli, valorizzarli, incentivare la solidarietà, consentire che l'attività di volontariato si espliciti in un settore nel quale forse poco si era esplicitata, il settore della sicurezza.
Infatti, ritengo che non sia un tabù quello di avere dei volontari che si affianchino alle forze dell'ordine, o meglio che vedano sempre il punto di riferimento della loro azione nelle forze dell'ordine, che convergano sulle forze dell'ordine, ma segnalino l'esistenza di reati e l'esistenza di pericoli per la sicurezza.
Ci stupisce, quindi, l'approccio dell'opposizione che in Commissione si è davvero trincerata dietro a critiche formali, ma ha trascurato l'esigenza di concretezza richiesta dai cittadini e, a parte le critiche sulla ronde (critiche con valenza fortemente ideologica e strumentale), non è entrata nel merito del testo.
Era necessario ed urgente che lo Stato desse un segnale, un segnale che il Parlamento, nel tempo, nei mesi che ha avuto per affrontare questi provvedimenti, non è stato in condizione di dare. Pag. 77
Quindi, è da apprezzare la tempestività del Governo ed è da apprezzare anche il fatto che il Governo abbia inteso inserire in questo provvedimento tutte norme che erano già state istruite da almeno un ramo del Parlamento.
Non è un provvedimento sull'onda dell'emozione, ma è un provvedimento volto ad offrire strumenti agli inquirenti, ai magistrati, agli amministratori locali, strumenti operativi migliori e più rigorosi.
Siamo stati accusati anche di aver fatto, come maggioranza, un decreto-legge che non risolve i problemi della sicurezza, ma siamo convinti anche noi che questo provvedimento sia un tassello per affrontare in modo costruttivo e per dare dei segnali in termini di risoluzione del problema della sicurezza. Sicuramente, esso serve ad apportare importanti accorgimenti e ad offrire un segnale a favore dei soggetti deboli.
Penso che sia necessario avere un approccio diverso, un approccio forse meno strumentale. Ho ascoltato anche le considerazioni svolte dall'onorevole Minniti, il quale ha apportato delle argomentazioni sicuramente apprezzabili, sicuramente interessanti, ma forse a sproposito rispetto a quello che stiamo trattando oggi.
Oggi stiamo trattando una materia specifica, una materia nata sull'onda di una serie di episodi particolarmente gravi. Sicuramente non era intenzione del Governo risolvere i problemi legati all'immigrazione clandestina attraverso il decreto-legge in discussione (questo non era neanche mai stato dichiarato). Si trattava del mezzo per dare agli investigatori e agli inquirenti uno strumento in più.
Ricordo un'audizione svolta con il Capo della polizia, nella quale alcuni strumenti legati proprio alla permanenza nei CPT, nei CIE, erano considerati come necessari, proprio in ragione della presenza di una certa burocrazia forte, che vincola inquirenti e coloro che devono individuare le identità dei soggetti clandestinamente immigrati nel nostro Paese.
Ebbene, anche sotto questo profilo sarà necessario intervenire. Non dovremo avere burocrazia che vincola l'azione del Governo, e non dovremo avere burocrazia che vincola l'azione di coloro che debbono fare applicare le leggi.
Ebbene, il decreto-legge in esame è un segnale in questo senso, un segnale di concretezza, un segnale di realismo, un segnale - lasciatemelo dire - anche di rispetto nei confronti del Parlamento, per aver recepito norme che erano state dal Parlamento istruite e studiate.
Esprimo un grazie ai rappresentanti del Governo, che in Commissione hanno sempre offerto una motivata argomentazione delle loro posizioni, un grazie al relatore, onorevole Lussana, che ha fatto altrettanto e un grazie particolare al sottosegretario Caliendo, che oggi è in quest'Aula, perché il suo supporto, anche giuridico, è stato particolarmente utile ed apprezzato.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.
DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, per il mio inserimento nell'elenco degli iscritti a parlare in discussione, ho avuto modo di ascoltare tutti i colleghi che mi hanno preceduto e anche da parte dei colleghi della maggioranza vi sono state puntualizzazioni sicuramente coerenti con il provvedimento che si è qui a discutere, mentre altre francamente non sono state altrettanto condivisibili, perché forse dettate più da una filosofia politica in quanto tale (ma demagogica, direi) che dalla considerazione del merito del provvedimento in esame.
Siamo qui a discutere della conversione in legge del decreto legge n. 11 del 2009, che ha ad oggetto l'entrata in vigore, in via appunto anticipata, delle disposizioni per il contrasto alla violenza sessuale contenute nel disegno di legge in materia di sicurezza, l'atto Camera 2180, già approvato al Senato e attualmente all'esame della Camera, in discussione presso le Commissioni riunite I e II (Affari costituzionali e Giustizia), nonché le norme contenute nel disegno di legge in materia di atti persecutori (si tratta in questo caso di un provvedimento che, già approvato dalla Camera, è ora all'esame della Commissione giustizia al Senato). Pag. 78
Il decreto-legge in esame, in realtà, costituisce l'occasione per prolungare il periodo massimo di trattenimento dello straniero nei centri di permanenza, identificazione e di espulsione da sessanta a centoottanta giorni e per realizzare un piano di controllo del territorio attraverso volontari della sicurezza. Realizza poi un'anticipazione soltanto al 31 marzo, anziché al 30 aprile, della possibilità di nuove assunzioni per le forze di polizia e i vigili del fuoco, per un ammontare di 100 milioni di euro circa e poi anticipa - la prima, appunto, delle intese anche con il Ministro della giustizia e il Ministro dell'economia - l'attribuzione al Ministero dell'interno, nel limite di 100 milioni per il 2009, delle somme oggetto di confisca, che sono state disciplinate in quel Fondo unico di giustizia e, nei limiti di 3 milioni, per il Fondo nazionale contro la violenza sessuale.
Ma a tal proposito vi è da ricordare - perché è sempre bene cercare di ricordare un po' il passato - che quel fondo aveva per il 2008 una dotazione di 20 milioni di euro destinata ad un piano contro la violenza alle donne, istituito dalla legge finanziaria per il 2008, finalizzato alla prevenzione, all'informazione, alla sensibilizzazione, al sostegno, a case rifugio, a centri. Quel fondo è stato prima azzerato, poi ripristinato, poi nella formulazione del bilancio annuale e pluriennale non è stato mai rifinanziato per il 2009, quindi adesso si fa una misura tampone e si reintroducono soltanto pochi soldi, 3 milioni a fronte di quei 20 milioni che dovevano essere lo stanziamento e l'aiuto vero contro la violenza, non soltanto intesa come possibilità di reprimere, ma anche di prevenire e aiutare le vittime.
Vi è poi questo pout pourri di norme: la previsione che il sindaco, d'intesa con il prefetto, possa avvalersi, per il controllo della sicurezza urbana e per l'individuazione di situazioni di disagio sociale, di associazioni di volontariato, di cittadini non armati - ho sentito anche qui dire: «per fortuna» - costituiti in via prioritaria da ex appartenenti alle forze di polizia e i cui requisiti, gli ambiti operativi, l'iscrizione e le modalità saranno poi stabiliti con decreto ministeriale, peraltro fuori da qualsiasi controllo parlamentare.
Inoltre, in contrapposizione a quanto, poi, sarà scritto in un disegno di legge che dobbiamo ancora discutere, che era considerato urgente, ma la cui discussione parlamentare viene ritardata continuamente (mi riferisco al provvedimento concernente le intercettazioni), nel decreto-legge in esame si autorizzano i comuni, ai fini della tutela della sicurezza urbana, all'impiego della videosorveglianza nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, anche con la possibilità di conservare i dati fino a sette giorni, o anche di più in caso di necessità. Anche in questo caso, si è agito in maniera molto vaga ed alquanto discrezionale e i limiti sono stati anche evidenziati presso le Commissioni di riferimento come non adeguati per il rispetto della normativa.
Il Governo ha giustificato questo decreto-legge con la straordinaria urgenza di assicurare la tutela della sicurezza della collettività, a fronte della crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso norme che - si dice - sono, finalmente, poste a contrastare tali fenomeni, per una più concreta tutela delle vittime dei reati. Si introduce la disciplina degli atti persecutori in forma organica, un'efficace disciplina dell'espulsione e del respingimento degli immigrati e un più articolato controllo del territorio. In realtà, queste sono dichiarazioni unilaterali, tra l'altro, smentite poi, dall'analisi sistematica delle norme che sono introdotte.
Quindi, quando ci è stato detto che abbiamo fatto una contestazione di metodo, inizialmente in Commissione giustizia anche con toni forti e risentiti, è perché, in questo pout pourri di norme, con riferimento ad alcune, è stato inopinatamente interrotto l'iter parlamentare di approvazione. Mi riferisco, in particolare, all'introduzione del reato di stalking, di nuovo conio, della cui necessità ed urgenza eravamo tutti consapevoli e a cui tutti abbiamo contribuito. Con riferimento ad esso, forse, era sufficiente contingentare Pag. 79i tempi al Senato: in questo modo, sarebbe stato già legge dello Stato, senza ricorrere allo strumento del decreto-legge, che, poi, deve essere convertito in legge e passare per l'esame delle Camere.
Pertanto, mi sento di dire, perché oggettivamente risulta dai calendari della Commissione giustizia - la relatrice Lussana, che stimo e che ha manifestato un forte impegno nella materia, non potrà contraddirmi -, che l'iter del testo sulla violenza sessuale, che modificava in maniera sistematica le norme e che doveva essere discusso - infatti, era stato già predisposto un testo unificato e dovevano essere votati soltanto gli emendamenti (ricordo che il loro esame era stato fissato per i primi del mese precedente) - è stato rallentato attraverso la discussione del decreto-legge in oggetto.
Quindi, si dice, come premessa, che sono in crescita i delitti di violenza sessuale. In realtà, forse, vi è stata - e dico, per fortuna - solo una crescita mediatica. Le statistiche confermano la riduzione numerica degli episodi di aggressione sessuale, anche se, certamente, ogni singolo comportamento di violenza sessuale è sufficiente, da solo, a polarizzare l'attenzione del legislatore, degli investigatori, della magistratura, dei servizi sociali, a richiamare interventi che consentano una maggiore protezione della vittima, nella vicenda giudiziaria e, fuori, nel contesto sociale.
È chiaro, infatti, che dietro un solo episodio di violenza - ne siamo consapevoli e lo condividiamo, non abbiamo bisogno di lezioni da parte di nessuno - si pregiudica, per lo più irreparabilmente, il percorso di vita della vittima. Tuttavia, i rimedi non possono certo trovare spazio in un decreto-legge come questo, in cui si realizza, ancora una volta, quello che stiamo contestando a questo Governo, per una serie di provvedimenti, soprattutto in materia di giustizia e sicurezza: interventi frammentari che non risolvono il problema. Infatti, il problema della violenza, in genere, non si risolve con un mero inasprimento delle pene o prevedendo l'obbligatorietà della misura cautelare in carcere.
Ciò è tanto vero - e anche l'onorevole Costa, nella serietà del suo impegno di capogruppo in Commissione, me ne darà atto - che proprio dal Popolo delle Libertà sono venute le esigenze di mitigare le automaticità delle norme introdotte da questo decreto-legge che partono da una presunzione di pericolosità sociale dell'autore del reato - nate in riferimento ai delitti di criminalità organizzata e qui applicate automaticamente al violentatore - e che non consentono al giudice di modulare la possibilità di adattare le misure al caso concreto. Su quel punto noi non abbiamo presentato proposte emendative, voi della maggioranza sì. Mi dirà l'onorevole Lussana (a ragione) che è vero che la modifica dell'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, che ha portato a questa presunzione di pericolosità e all'automaticità dell'applicazione della misura cautelare della traduzione in carcere, al Senato era stata votata anche dal Partito Democratico nell'ambito dell'esame del cosiddetto «pacchetto sicurezza», ma essa doveva essere adeguatamente ponderata alla Camera nella sua coerenza sistematica, valutata nel quadro di quel provvedimento che si stava votando in un testo unificato e soprattutto coordinata con il testo sulla violenza sessuale che, come dicevo poco fa, sarebbe stato in dirittura d'arrivo se non fosse intervenuto questo decreto-legge. Avremmo avuto una riforma dei reati di violenza sessuale e non l'anticipazione dell'entrata in vigore del reato di stalking che era stato già approvato e di una norma, quella relativa alla misura cautelare per il violentatore.
Questa misura non risolve i problemi e tutti voi lo sapete e ne siete convinti quanto me. Quelle norme dovevano essere valutate complessivamente rispetto ad altre - di cui non vi è traccia in questo provvedimento - che sono in grado di percepire l'aspetto di prevenzione, di efficace contrasto, di formazione culturale e di recupero umano e psicologico della Pag. 80vittima. Le avevamo attese, queste norme; erano state scartate nell'ambito della discussione sullo stalking sostenendo che sarebbero essere valutate quando in sede di modifica della normativa in materia di violenza sessuale. Ma mentre si stava arrivando alla conclusione di quel percorso - grazie anche alla sensibilità dei promotori, del relatore e di tutta la Commissione -, vi è stata questa battuta d'arresto e, anche qui, nulla si prevede se non quei 3 milioni di cui parlavo inizialmente attribuiti ai fondi per i centri, che sicuramente non sono sufficienti e che, comunque, non valorizzano un programma di intervento organico, perché in tutti i settori c'è forse l'intenzione, ma per la fretta di dare una risposta all'emotività popolare mancano la presa in carico delle problematiche, lo studio delle cause e la volontà di risolvere i problemi con modalità adeguate.
Il decreto-legge pone una soluzione affrettata, che in definitiva è solo demagogica. Infatti, già in base alla legge in vigore da prima della emanazione del decreto-legge - questo è un punto su cui forse altri colleghi non hanno potuto soffermarsi adeguatamente, ma che vorrei rappresentare perché sia completo l'esame da parte di noi tutti - i colpevoli di violenza sessuale non possono accedere ai benefici penitenziari, a meno che non si possa escludere il collegamento con la criminalità organizzata. Era già previsto dall'articolo 656 del codice di procedura civile che l'ordine di carcerazione dovesse essere scontato in carcere, escludendo, quindi, la detenzione domiciliare. Ci si riferisce ai casi di condanna definitiva che deve essere eseguita.
Il decreto legge, nella finalità emotiva di rendere meno facile l'accesso ai benefici penitenziari, ha però previsto che i condannati per violenza, una volta entrati in carcere, possano chiedere quei benefici (lavoro all'esterno, permessi premio o detenzioni alternative) solo in caso di collaborazione, oppure se esclusa l'attualità del collegamento con la criminalità organizzata o se ricorra il presupposto della limitata partecipazione che rende impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, oppure ancora se vi è stato l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità.
A cosa serve questa strategia riferita ai benefici penitenziari se non a dichiarare al popolo degli elettori un maggior rigore nella concessione dei benefici penitenziari quando questo non è vero? Infatti, si pone un binomio che è stato costruito per la criminalità organizzata e che fa riferimento alla collaborazione. Pensate che, in ordine alla collaborazione, la confessione degli autori dello stupro della Caffarella, per ciò stesso, comporta l'ammissione ai benefici penitenziari.
Pertanto, quando vi diciamo, non per una presa di posizione, non per una critica fine a se stessa, non per una posizione che sia soltanto ideologica come voi affermate, che avete costruito una norma frettolosa, inadeguata, incapace di risolvere le problematiche che si pongono in ordine al violentatore, al reo violentatore, è perché, appunto, questa è una previsione che non risolve la problematica.
La superficialità di questa scelta, l'inadeguatezza totale emerge, appunto, ove si consideri la devianza dei soggetti che compiono questi reati, che tra l'altro sono per lo più individuali. Anche quando la violenza è di gruppo, infatti, non si inserisce in una forma di criminalità organizzata, ha caratteristiche diverse, proprie, che sono legate all'autore del reato.
Su questo punto è stato chiarificatore il documento acquisito a seguito delle audizioni svolte; per questo ringrazio la presidente, la relatrice, i colleghi e tutti coloro che, tramite audizioni, hanno consentito l'acquisizione di elementi di valutazione ulteriore che comunque saranno utili. Infatti, anche se il decreto legge, nel suo complesso, non è da noi condiviso, per altri motivi che sono stati già enunciati da altri colleghi del Partito Democratico prima di me, comunque siamo convinti che alcune norme, per essere efficaci, devono essere orientate nel senso proprio di una finalità vera che si intenda perseguire.
Nei reati sessuali la recidiva è frequente e la condotta collaborativa, quella Pag. 81che voi prevedete per ammettere i rei ai benefici penitenziari, la confessione, non è sintomo di ridotta pericolosità.
I benefici penitenziari non possono essere congegnati sulla base di quelli previsti per la criminalità organizzata, ma devono essere concessi solo quando sia accertato, con metodologia scientificamente provata, la cessazione o la riduzione del rischio di reiterazione.
Si poteva pervenire all'individuazione di protocolli concordati tra Giustizia e Sanità per lo svolgimento di percorsi e per l'individuazione dei trattamenti in aderenza anche a quelle che sono le acquisizioni tecnico-scientifiche e criminologiche nella materia. La decisione deve essere assunta dal magistrato di sorveglianza all'esito di una completa e appropriata analisi di tutti gli elementi rilevanti nel caso concreto.
Lo abbiamo detto in Commissione e lo ribadiamo qui: molte volte in quelle carceri, nelle carceri (tranne qualche eccezione, ad esempio abbiamo un istituto penitenziario pilota a Milano Bollate, ma l'Italia non è fatta di istituti penitenziari pilota), nella maggior parte degli istituti penitenziari, non ci sono psicologi strutturati, ma solo psicologi a convenzione che magari hanno terminato le ore e quindi il magistrato di sorveglianza si trova a dover valutare la pericolosità del soggetto, sulla base di relazioni che sono solo magari quelle degli educatori e quindi non sono adatte al soggetto.
Su questo punto ci dovete dare atto che la nostra non è mai una posizione meramente ideologica, abbiamo presentato degli emendamenti che tendono a perseguire un risultato: quello di far sì che i violentatori non escano dal carcere se non hanno superato quei percorsi all'interno del carcere che siano percorsi di recupero, di riabilitazione psicologica, psichiatrica e farmacologica, tutto ciò che è necessario attraverso l'osservazione e che faccia parte del programma.
Su questo noi confidiamo che relatrice e Governo facciano autocritica sapendo che quella norma è un boomerang e mi sono permessa di fare l'esempio dei rei confessi della Caffarella per dimostrarvi come quella norma potrà operare.
E poi c'è un altro punto, sicuramente per noi importante, che non è vero che è stato strumentalizzato e impiegato demagogicamente, dal Partito Democratico e dall'opposizione, per contrastare delle buone pratiche che alcuni sindaci di città virtuose hanno utilizzato per poter dare voce a quel segno di solidarietà sociale. Ma non è questo ciò che si va introdurre con questa norma. Mi riferisco, appunto, all'articolo 6, che ha per oggetto la predisposizione di un piano straordinario di controllo del territorio. Il progetto è grande: da tale espressione ci si sarebbe aspettato un intervento diretto a tutelare la sicurezza pubblica, a potenziare la presenza delle forze dell'ordine, il loro necessario coordinamento, la loro capacità d'intervento, i mezzi, la formazione professionale e il numero, in un progressivo rafforzamento di quello che deve essere il controllo dello Stato sul territorio ai fini della sicurezza e della repressione e della prevenzione dei reati.
E invece, in realtà, come dicevo prima, si è trattato solo di un anticipo al 31 marzo. Era necessario varare un decreto-legge per anticipare al 31 marzo la possibilità di assumere, per una spesa di cento milioni di euro, nelle forze di polizia e nel Corpo dei vigili del fuoco, il che costituisce, peraltro, un apporto davvero minimo rispetto a ciò che avverrà nel 2012, con i pensionamenti? Nel corso delle audizioni ci è stato detto che vi saranno circa 10 mila persone in meno, per le singole forze di polizia. Il Ministero dell'interno, per la Polizia di Stato, ha da poco bandito un concorso da 80 posti da funzionario. Queste sono le cifre. I concorsi non ci sono né vengono banditi. Ma in questo contesto si è pensato di anticipare l'accredito prima di quella concertazione che avrebbe dovuto prevedere una parte dei fondi al Ministero della giustizia, un'altra al Ministero dell'interno e una, per eventi eccezionali, alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Pertanto, si anticipa questo Fondo al Ministero dell'interno. Una Pag. 82parte andrà al Fondo nazionale contro la violenza sessuale (l'ho già detto), ma non si conosce la destinazione di questi soldi perché in questo decreto-legge non è prevista.
Rimane, appunto, oscura la concreta utilizzazione delle somme anticipate per la tutela della sicurezza pubblica, essendo poi i commi successivi dell'articolo 6 del provvedimento in esame tutti basati sia sulle associazioni di volontari, sia sull'impianto di sistemi di videosorveglianza nel territorio dei comuni e, forse, a questo dovrebbe essere destinata una parte della somma anticipata al Ministero dell'interno.
Ma, d'altro canto, si è anche tanto declamato il fatto che proprio perché si ha rispetto per il Parlamento si sono inserite, in questo decreto-legge, norme già approvate dal Senato o dalla Camera. In realtà, non è così al cento per cento perché, per esempio, proprio con riferimento a queste associazioni di volontari, le cosiddette ronde, l'articolo 6, terzo comma, costituisce uno stralcio dell'articolo 52 del decreto-legge in materia di sicurezza pubblica, approvato dal Senato, ma vi sono delle differenze. In primo luogo, la decisione di avvalersi della collaborazione tra cittadini non armati è attribuita non più, genericamente, agli enti locali, ma ai sindaci, i quali non devono più acquisire il previo parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ma la previa intesa con il prefetto.
In secondo luogo - e questo è l'aspetto che più mi preoccupa - l'ultima parte dell'articolo 52 vietava la derivazione, da queste disposizioni, di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Questa formula è venuta meno, non è più presente. È stato sempre detto che si tratta di associazioni di volontariato che non saranno finanziate dallo Stato.
In realtà, una lettura attenta di questo articolo 6 - che più si legge, più suscita grandi perplessità su come verrà attuato e su quali saranno le strumentalizzazioni nella realizzazione di queste associazioni - rivela che il sindaco si può avvalere delle associazioni iscritte all'elenco, sulla base di un controllo meramente formale dei requisiti, che saranno stabiliti da un decreto del Ministro di cui non conosciamo assolutamente i presupposti.
Il Parlamento non conosce e non conoscerà nulla dei requisiti. Si dice che, in via prioritaria, il sindaco si può avvalere di quelle costituite tra gli appartenenti in congedo alle forze dell'ordine e alle Forze armate. Quindi, in prima battuta, in queste associazioni si raccolgono coloro che sono andati in pensione. Si sa che gli appartenenti alle forze dell'ordine vanno in pensione presto, e quindi vengono occupati in un post-lavoro dopo la pensione, per fare da trait d'union con i colleghi delle forze di polizia in servizio.
Le associazioni diverse (quindi, quelle non costituite da appartenenti in congedo) sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie a nessun titolo di risorse economiche a carico della finanza pubblica. Quindi, questo ci fa capire che quelle che in via prioritaria saranno costituite da appartenenti in congedo potranno (o forse dovranno) essere finanziate dallo Stato. Che Governo è questo che, anziché farsi carico del lavoro per le migliaia di giovani che sono senza occupazione e si trovano in situazioni di disagio nella nostra società e delle migliaia di famiglie che mantengono i giovani agli studi e per cui non si apre nulla, pensa di investire soldi dello Stato in questo modo?
Evidentemente, ciò viene fatto perché i pensionati costano meno e non hanno bisogno di contributi, né di un sistema previdenziale. Quindi, in tal modo, si può realizzare questa «para-sicurezza» con associazioni di volontariato (chiamiamole di volontariato), che controllano il territorio e attraverso cui lo Stato abdica a tutto quello che è il suo dovere di controllo, di prevenzione e di sicurezza.
Infatti, una persona va in pensione perché la legge prevede che a una certa età si debba esaurire il proprio compito nell'ambito di una funzione ed anche perché ci sono lavori usuranti, come quello nelle forze di polizia, che non consentono di superare i limiti di età. Dunque, si utilizzano i pensionati, anziché potenziare le Pag. 83forze di polizia con nuove leve, con nuove risorse e con energie professionalmente valide, dando la possibilità ai giovani di crearsi una famiglia, una casa, di avere dei figli. Questi vengono sbandierati nelle trasmissioni pubbliche televisive come obiettivi che vuole il centrodestra e che gli stanno a cuore, ma non è vero.
Questo è quello a cui siamo profondamente contrari. Si tratta di soluzioni posticce, il che non vuol dire rinnegare quelle soluzioni che si sono sperimentate in alcuni comuni e che hanno portato comunque al volontariato e ad arricchire la solidarietà sociale e la cittadinanza, quello è altro. Si tratta, invece, di inserire determinate associazioni, attraverso una modalità alquanto generica, arbitraria e tutta da verificare, perché il Ministero si lascia attraverso il decreto ampie possibilità per quanto riguarda i requisiti di iscrizione, aprendo la rotta a vie diverse da quelle che dovrebbero essere di uno Stato, che proprio la destra dovrebbe avere a cuore.
Allora, mentre da un lato è possibile che rivoli della finanza pubblica vadano ad alimentare associazioni di volontariato che non possono sostituire le forze di polizia, dall'altro quelle associazioni non finanziate potranno godere di finanziamenti privati e in alcune realtà potranno alimentarsi anche di finanziamenti della criminalità. Ci si dice che c'è il controllo del prefetto: ma quale controllo del prefetto?
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DONATELLA FERRANTI. Il prefetto, attraverso le sue strutture già povere, si limiterà a verificare che quelle associazioni abbiano i requisiti formali previsti per essere iscritte, ma non sarà possibile capire quali tipi di finanziamento ci sono dietro, quale tipo di pressione potranno esercitare sul territorio, avvalendosi di poteri che gli sono conferiti da questo decreto-legge.
Questa è una responsabilità che noi del Partito Democratico non vogliamo, e vogliamo che ne rimanga traccia; chi vuole veramente assumersela deve farlo per intero. Ma c'è ancora il dibattito parlamentare per rendersi conto di quali saranno gli effetti e per cercare di eliminare questi effetti, perché ciò non era nell'intenzione dei proponenti, ne voglio essere certa, ma può essere una deviazione molto pericolosa a cui noi non possiamo assolutamente aderire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.
MARCO FEDI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, vorrei iniziare questo mio intervento ricordando la lotta di liberazione, che celebreremo il 25 aprile. Essa ci ha consegnato uno splendido esempio di libertà, la libertà che appartiene alla nostra storia nella misura in cui insieme l'abbiamo conquistata, salvaguardata e fatta crescere nell'aspirazione comune per una società più giusta ed equa.
Eppure, sulla parola libertà in questi anni e in questi giorni sono stati costruiti partiti politici, movimenti politici. È una parola rispetto alla quale c'è un uso, a volte, propagandistico, più che politico. Chi crede nella libertà non è mai solo, ci ha voluto dire il leader del Popolo della Libertà. Ma non è sufficiente credere nella libertà e non sentirsi soli, occorre vivere anche nella giustizia, essere solidali, far parte di una comunità anch'essa libera. Solo così noi tutti saremo liberi e non saremo mai davvero soli.
Vedete, noi crediamo in una società di liberi cittadini che sentono il dovere e la responsabilità di organizzare il vivere civile facendo in modo che anche le nostre società, le nostre comunità, siano libere e sicure. Abbiamo naturalmente valutazioni diverse, ma dobbiamo parlare del quadro attuale perché è in quel quadro che si pone questa discussione, ed è in questa situazione complessiva, che riguarda questo decreto legge e il disegno di legge che è in discussione al Senato, che le norme di cui ci occupiamo vanno inquadrate. Quindi non è fuori contesto, onorevole Costa, discutere anche di questo anticipo di norme che arriveranno anche in quest'Aula. Pag. 84
Per questa maggioranza libertà significa abbassare l'asticella su tutte le regole, militarizzare il territorio e le nostre città, mentre si riducono le risorse per l'unica vera lotta alla criminalità, quella condotta dalle forze dell'ordine; criminalizzare i diversi, gli immigrati e le minoranze, allontanando i processi di integrazione. Per questa maggioranza libertà significa limitare il diritto di professare la propria religione, spesso sono state evocate e proposte norme restrittive in tal senso. Avete proposto il permesso di soggiorno a punti e l'introduzione di un esorbitante costo amministrativo per il suo rilascio e rinnovo, nonché il reato di clandestinità, che rischia di aggravare la situazione senza dare risposta alle motivazioni che portano l'immigrazione irregolare nel nostro Paese (una risposta che richiede, lo abbiamo detto, un coordinamento a livello europeo e il giusto equilibrio tra i temi della sicurezza e quelli dell'immigrazione).
Le impronte digitali ai bambini rom e le classi separate per i figli degli immigrati: questo è stato il modello di libertà e di integrazione che ci ha proposto la maggioranza. Non mi ha sorpreso che alcuni parlamentari del PdL abbiano sentito il bisogno di esprimere chiaramente la loro preoccupazione per una serie di proposte che mettono in discussione valori e principi ben radicati nella nostra Costituzione. Noi diciamo che per essere liberi, davvero liberi, dobbiamo contare sull'organizzazione dello Stato, sulle regole del vivere civile, sulle nostre capacità di esprimere il meglio dei valori, della cultura e della nostra umanità.
Il Governo e la maggioranza parlano ogni giorno il linguaggio dell'emergenza su tutti i temi tranne quello della crisi economica. L'emergenza che evocate ogni giorno, non solo nella comunicazione mediatica e nell'azione politica, ma anche negli atti parlamentari, ha conseguenze molto negative sulle capacità del nostro Paese di affrontare con razionalità le sfide che abbiamo davanti e le soluzioni che proponete, oltre a chiari profili di incostituzionalità che sono stati ricordati anche in quest'Aula, confondono materie tra loro diverse, confondono cause ed effetti, dati reali e fatti di cronaca.
Abbiamo davanti a noi l'ennesima decretazione d'urgenza nonostante la Camera avesse già approvato, il 29 del gennaio scorso, le norme sugli atti persecutori. La diminuzione del numero dei reati di violenza sessuale - un dato statistico di cui si è parlato - nulla aveva sottratto all'attenzione del Parlamento, che avrebbe votato anche al Senato una legge condivisa su questi temi; sottrae, però, a voi maggioranza, una delle motivazioni, tutte di parte, per utilizzare un tema così importante come i reati di violenza sessuale e lo stalking, per continuare un'azione di delegittimazione del Parlamento.
Questo Parlamento ha dimostrato di saper fare, di saper portare avanti scelte condivise, di saper lavorare anche in tempi brevi, lo ha dimostrato nel bene e nel male. Lo ha dimostrato quando la maggioranza ha voluto e votato il lodo Alfano, materia assolutamente specifica, contingente e lontana dai bisogni della gente, e l'abbiamo dimostrato, invece, insieme, con il via libera pressoché unanime proprio sul disegno di legge che contiene le misure contro gli atti persecutori, ora all'attenzione del Senato, e l'avremmo dimostrato fino alla fine contro i reati a sfondo sessuale e gli atti persecutori. Perché non volere questa assunzione di responsabilità del Parlamento? È la domanda che pongo all'attenzione della maggioranza: perché non volerla fino in fondo, ed allontanare l'ipotesi di un'azione condivisa su temi importanti per il nostro Paese? Forse la strategia presidenzialista o di premierato forte che ci propone il leader del Popolo della Libertà, forse queste due tesi si nutrono di uno scontro ideologico che vuole essere di nuovo sospinto.
Il contrasto alla violenza sessuale e agli atti persecutori, che costituisce una parte di questo decreto-legge, è una priorità per il Paese, per le sue istituzioni, quindi anche per il Parlamento. Le misure di contrasto alla violenza sessuale e agli atti persecutori rivestono una grande importanza morale e sociale ma, appunto per Pag. 85questo, devono essere affrontate con una seria azione parlamentare. L'iniziativa parlamentare già ad inizio d'anno aveva dimostrato quanto fossero convergenti le linee politiche di maggioranza e di opposizione sulle direttrici di un maggiore sforzo per la prevenzione e per l'informazione e l'assistenza alle vittime. Tuttavia non bastano solo le pene, è necessario un profondo cambiamento culturale. Ecco perché chiediamo di non contribuire a celare la violenza sessuale all'ombra di altre misure che imbarbariscono la nostra democrazia: dalle ronde contenute in questo provvedimento, fino al tradimento del giuramento di Ippocrate per i medici contenuto nel disegno di legge sulla sicurezza pubblica. Ecco la ragione per cui vi chiediamo di fare uno sforzo davvero titanico, che è carente in questo provvedimento, per contribuire a far conoscere il reato di stalking, ossia gli atti persecutori, che oggi è individuabile in maniera chiara, ma che richiede una battaglia culturale e politica per tutelare e proteggere le vittime di violenza sessuale e di atti di persecuzione, nonché centri di assistenza, informazione, formazione del personale, mezzi e risorse per le forze dell'ordine a cui affidare la repressione, la lotta e la prevenzione di questi reati.
Ecco perché la scelta delle ronde è sbagliata: illudere i cittadini che il controllo del territorio possa essere gestito da loro formazioni - lo abbiamo capito cosa sono - è offensivo.
I sindacati di polizia in primo luogo, ma i cittadini di ogni ordine e grado vi dicono che le ronde non aumentano neanche la percezione della sicurezza, eppure insistete. All'estero l'Italia è sempre più guardata anche da chi vorrebbe visitarla solo per turismo come un Paese ben strano nel mezzo di un'emergenza che non c'è. La legalizzazione delle ronde - con l'arma del telefonino o senza - rischia di trasformarsi nell'ennesima trovata propagandistica. Il problema è che non possiamo però oggi valutarne appieno le conseguenze e per questo siamo preoccupati.
Ritengo, infatti, che il provvedimento sulle ronde sia pericoloso e pertanto da respingere per molteplici ragioni di merito e di metodo. In primo luogo le ronde che sono previste da questo decreto-legge rappresentano una pericolosa delega ai privati della gestione di un pezzo della sicurezza pubblica, ovvero il primo passo per la legalizzazione della giustizia fai da te. Ciò quando l'articolo 117 della Costituzione riserva allo Stato la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, escludendo da questa sua potestà sovrana la sola polizia amministrativa locale. Riconoscere un ruolo ad organizzazioni private costituisce un vulnus per la sovranità statale e può condurre ad esiti imprevedibili.
È stato ricordato - e lo voglio ribadire - che la natura di questa associazione è tutt'oggi oscura, in quanto il decreto-legge rinvia ad un successivo decreto ministeriale tutta la definizione. Tuttavia, è inquietante che il comma 5 lasci chiaramente trasparire la possibilità di finanziamenti da parte di privati. Al di là della questione di principio, è evidente il rischio di strumentalizzazione a fini particolari, ad esempio in aree dove è forte la presenza della criminalità organizzata.
Per quanto sia detto che il compito della ronde è limitato all'attività di segnalazione alle forze di polizia dello Stato di eventi particolari, la formulazione usata è ambigua e pericolosa. Se può essere chiaro il concetto di danno alla sicurezza urbana, assolutamente generico e suscettibile di arbitrarie e distorte interpretazioni è quello contenuto nella formulazione: situazioni di disagio sociale. Le ronde, infatti, potranno intervenire contro ogni persona, ogni gruppo e ogni situazione che dal loro punto di vista potrà rappresentare un disagio sociale. Non vorrei insomma che qualche membro delle ronde possa vedere il disagio sociale anche in alcuni soggetti deboli, emarginati o semplicemente parte di una minoranza. Penso ai mendicanti, ai senza fissa dimora, alle prostitute, agli immigrati in genere, ma anche agli omosessuali o a gruppi di giovani magari troppo chiassosi.
A tal proposito per usare un eufemismo, risulta bizzarro che il Governo spenda tante energie nell'ufficializzazione Pag. 86delle ronde mentre il Ministero dell'interno taglia i finanziamenti per la sicurezza e, pertanto, i fondi stanziati per il 2009 serviranno a malapena al solo approvvigionamento di carburante per gli automezzi delle forze dell'ordine. Il dipartimento della pubblica sicurezza ha persino diramato una circolare che interrompe le manutenzioni delle vetture. Siamo alle solite: da un lato il Governo e la maggioranza fanno demagogia, vantando in astratto maggiore sicurezza e, dall'altro, in concreto tagliano i fondi a chi materialmente ha il dovere e la responsabilità per garantirle.
Questo decreto-legge anticipa disposizioni del disegno di legge sulla sicurezza che contiene l'odiosa norma che impone ai medici di denunciare i loro pazienti immigrati non in regola, in spregio ad ogni senso di umanità, di deontologia professionale e di buonsenso.
In conclusione, voglio sottolineare un aspetto, da italiano che conosce da oltre un quarto di secolo l'esperienza dell'emigrazione e la pericolosa confusione tra immigrazione e criminalità che è spesso sottesa a questo decreto-legge e a molti atti e dichiarazioni di esponenti di Governo e di maggioranza. Le stesse persone che negano l'entità drammatica della crisi economica che tocca anche e soprattutto il nostro Paese, invitando a non temere e a non aver paura, danno invece troppo spesso l'impressione di usare la cronaca nera per creare consenso elettoralistico verso la compagine di Governo. Miope è ogni politica che punta tutto sulla repressione e non bada affatto all'integrazione degli immigrati i quali, come di recente segnalato dall'ISTAT, producono oltre un decimo del nostro PIL.
Se questo decreto-legge verrà approvato purtroppo quello dell'integrazione diventerà sempre più un percorso a ostacoli, figlio di un contesto culturale in cui lo straniero è un diverso, da allontanare dalla vista, ma che va bene finché bada ai nostri anziani o coltiva i nostri campi clandestinamente. Le norme contenute nel disegno di legge atto Camera n. 2180 non faranno che aggravare la situazione.
Il nostro «no» a questo decreto-legge è legato a valutazioni di merito, a una valutazione politica sull'insieme delle norme presentate in materia di sicurezza. Non è un «no» alle norme contro la violenza sessuale e contro gli atti persecutori, su cui stavamo lavorando per avere maggiore severità per la repressione, per avere servizi e informazioni per i cittadini e per le vittime. Non è un «no» al Parlamento, che avrebbe potuto approvare una legge su questi temi con rapidità e razionalità di materia, è un «no» all'arroganza di una maggioranza, che condanna se stessa alla solitudine, perché il Paese non vi seguirà più sulla strada dell'emergenza, del vicolo cieco della xenofobia e nella riduzione delle libertà civili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.
MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, credo che, in questa discussione di carattere generale sul contenuto del decreto-legge che saremo chiamati ad esaminare in Aula prossimamente, non si possa che partire da una considerazione di carattere preliminare: la politica criminale, cioè di contrasto ai fatti delittuosi ed alla criminalità, non può essere, né per il Parlamento né per il Governo, una sorta di distillato degli umori delle tricoteuse, come qualcuno qui, con qualche candore, ci ha annunciato. Infatti, se questo non è mai potuto essere, la complessità della situazione attuale e la necessità che il contrasto alla criminalità ed a fenomeni delittuosi sia il frutto di uno studio approfondito delle dinamiche sociali che li producono impongono un senso di responsabilità e, dunque, che il cosiddetto ascolto della gente non sia l'unico elemento, soprattutto non sia l'elemento dirimente, delle scelte di politica giudiziaria e di repressione penale, che noi siamo chiamati ad adottare nel nostro ruolo di parlamentari e che il Governo è chiamato ad assumere nel suo ruolo di guida del Paese. Pag. 87
Peraltro, dobbiamo fare un'altra considerazione preliminare: studi seri ed approfonditi di natura scientifica, soprattutto nel mondo anglosassone, nel mondo statunitense, che ha già superato questa fase di richiamo agli istinti della popolazione, hanno dimostrato che, da un lato, vi è una cosiddetta percezione del fenomeno sicurezza assai diversa dalla sua realtà e dalla sua evidenza statistica, poiché tutte le comunità moderne percepiscono la sicurezza in maniera più ansiosa e preoccupata di quanto i dati effettivi dimostrino, d'altro canto hanno anche dimostrato che le misure messe in campo, ricorrendo alla necessità di bandire questi istinti, sono del tutto inefficaci. La più inefficace in questo campo è la società statunitense che, pur avendo alcuni milioni dei propri concittadini detenuti, oltre 2 milioni detenuti e almeno 7 milioni oggetto di iniziative in senso lato di repressione criminale, tuttavia non ha risolto, in nessun modo e in nessun caso, il fenomeno della crescita della criminalità, anzi della crescita, come i dati in questo momento dimostrano, di una forte criminalità organizzata, che, disponendo di mezzi e di forze assai più incisive di quelle di un tempo, si sta consolidando nelle aree esterne rispetto agli Stati Uniti, come dimostra il traffico di stupefacenti, ormai gestito dal Messico.
E dunque continuare ad insistere nella tesi e nella tecnica pratica che il contrasto a qualunque fenomeno criminale e a qualunque fenomeno delittuoso debba essere affidato agli istinti, spesso anche solleticati da abili comunicazioni mediatiche, significa non risolvere il problema; e noi su questo punto e su questa tecnica non siamo e non possiamo essere d'accordo. Noi siamo d'accordo nel discutere di questi problemi, noi riteniamo che la necessità di contrastare la criminalità e i fenomeni delittuosi appartenga effettivamente alla coscienza collettiva del Paese, ma dobbiamo intenderci una volta per tutte, e questo dibattito può essere l'occasione per farlo: dobbiamo sapere se il Governo e la maggioranza parlamentare intendono continuare a presentare, anche attraverso le tecniche invasive di interpolazione dei decreti-legge, provvedimenti che non hanno alcuna efficacia sostanziale ma che tendono a soddisfare quel bisogno, quell'ansia di sicurezza mediatica che non risolve i problemi, o se invece intendono lavorare seriamente con noi nei luoghi e nelle sedi a ciò deputati, nelle Commissioni parlamentari e in Aula, per risolvere tali problemi. Perché questi sono problemi seri e gravi, che tali rimangono nonostante la declamazione e nonostante l'apparenza che ci viene presentata.
Fra l'altro vi è un'altra insidia, che riguarda l'uso strumentale della tecnica del decreto-legge, che è insidia grave in ogni materia, ed è insidia gravissima nelle materie della sicurezza e del contrasto alle forme di devianza e di criminalità; perché l'opinione pubblica - e ciò dovrebbe preoccupare non solo e non tanto l'opposizione, ma tutti i parlamentari - finirà per credere che soltanto a colpi di decretazione e a colpi di scarti e di scatti, che non hanno la serietà e l'incisività di un lavoro parlamentare, si possano risolvere i problemi, e finirà per credere che il Parlamento non nella sua componente di opposizione, ma nella sua complessità, nella sua consistenza unitaria è incapace di risolvere i problemi del Paese, fra l'altro quindi svilendo non il lavoro e l'impegno dei singoli parlamentari, ma anche quello di tutto il complesso del Parlamento. È questo, fra l'altro, un fenomeno che sta diventando in qualche misura preoccupante perché, come è stato già illustrato negli interventi precedenti, non solo non c'è nessuna accelerazione reale della soluzione dei problemi sotto il profilo legislativo, ma anzi attraverso l'aggancio di vagoncini alle locomotive dei decreti-legge che passano, talvolta retrocediamo addirittura rispetto allo stato dell'arte che avevamo raggiunto con un lavoro serio ed efficace nelle Commissioni parlamentari.
Questo - cioè la materia del contrasto alle forme di violenza, in particolare violenza sessuale, ma direi della violenza fra persone - è uno dei casi più paradigmatici: avevamo svolto un ampio, articolato dibattito nella Commissione competente, avevamo raggiunto dei risultati particolarmente Pag. 88significativi; li avevamo raggiunti - occorre anche dirlo - sulla base di un testo che parte dalla precedente legislatura, e che si occupava in maniera molto più ampia e molto più articolata di risolvere sistematicamente tutti i problemi di questa materia, e invece ci ritroviamo a pezzettini di iniziativa parlamentare riassunti in un testo di un decreto, che peraltro è in larga misura o insufficiente o inefficace.
Se questa quindi è la considerazione riservataci, e se il Governo intende continuare ad andare avanti in questa maniera, non può certo avere il nostro assenso, anche se recepisce qualche pezzetto. Lo stucchevole argomento che il Governo precedente non abbia risolto qualcuno o molti di questi problemi dovrebbe essere - direi - espunto dal dibattito parlamentare, considerando che si tratta di fenomeni sociali che certamente durano da più di 15 anni, e negli ultimi 15 anni, a partire dal 1994, per ben 8 anni sempre l'attuale Presidente del Consiglio è sempre stato in grado di gestire il potere in maniera ampia e condivisa nel nostro Paese senza aver risolto questi problemi, che ora declama con questa singolare tecnica, nella quale talvolta egli fa il governante e talaltra fa l'opposizione, quasi sempre a se stesso.
Nel merito, come ho già detto ma dirò ancora brevissimamente, quasi nessuno dei problemi seri ed importanti che questa tematica richiede di affrontare sono stati definitivamente risolti. Si è parlato molto della violenza sessuale, ma credo che occorra pur dire che l'unica misura realmente adottata è quella, sicuramente importante, dell'aggravante speciale di cui all'articolo 576 del codice penale e cioè l'applicazione dell'ergastolo, per fortuna a fatti eccezionali, cioè a quelli nei quali vi sia l'omicidio.
Tuttavia, ciò non consente di dire che viene introdotta una misura particolarmente innovativa perché si tratta dell'estensione della custodia cautelare (tra l'altro, come già magistralmente illustrato dalla collega Ferranti, non necessariamente frutto appunto di una innovazione, ma oggetto anche di una necessità di approfondimento e di elaborazione, proprio perché la materia è particolarmente incisiva).
Ma soprattutto occorre dire che se vogliamo seriamente occuparci in primis dello stupro e in genere della violenza sessuale, dobbiamo anche a tale riguardo preliminarmente avere la consapevolezza che esso è un gesto che invade la persona e che ne viola permanentemente l'identità. Ma non è un gesto degli uomini, non è cioè un gesto che sostanzialmente rappresenta una sorta di male endemico dell'umanità: è un gesto di alcuni uomini, e quindi esso può essere combattuto e vinto!
Mi spiace qui citare - ma non fuor d'opera, perché credo che sia una profonda verità anche rispetto ad altri campi della vita e della repressione delle condotte deviate - il fatto che, come tutti i fenomeni umani, esso è un fenomeno che può essere combattuto e vinto: così diceva Falcone della mafia, ed anche della violenza dobbiamo sapere che questa può essere combattuta e vinta!
Ma per esserlo, appunto, dobbiamo avere la percezione del fenomeno. Allora dobbiamo sapere che molti degli stupri e delle violenze non sono denunziati, che molti si consumano nell'ambiente domestico, che molti non sono il classico stupro che noi configuriamo - quello dell'uomo violento contro la donna - ma avvengono spesso a danno dei minori, che molti si compiono in ambienti caratterizzati da ampio degrado sociale (nelle carceri, nelle periferie degradate e negli ambienti criminali, perché spesso lo stupro è un reato accessorio ad un'altra forma di sopraffazione e di violenza).
Quindi occorreva - e occorre ancora - una strategia complessiva che non si riscontra in questo provvedimento né nelle misure che siamo chiamati ad adottare: una strategia di contrasto che disponga di strumenti di indagine e conoscenza, di strumenti di prevenzione, di contrasto e di repressione ma anche di intervento successivo, tra cui può esservi senz'altro anche quello nei confronti di coloro che hanno commesso questi gravi reati. Pag. 89
Non dobbiamo infatti mai dimenticarci dell'articolo 27 della Costituzione e soprattutto della necessità che dobbiamo anche impedire che tali reati vengano reiterati (nel caso in cui questi soggetti hanno bisogno anche di un intervento di carattere psicologico).
Ma soprattutto occorrono interventi consistenti e massicci a favore delle vittime di questi atti. Non basta, anzi è un'altra occasione perduta, ad esempio, l'aver introdotto un piccolo favor nell'affidamento della difesa del gratuito patrocinio, tra l'altro con una norma che la svilisce, perché la afferma anche in deroga al reddito, quasi come se il problema della difesa delle vittime degli stupri fosse soltanto quello del reddito. È un problema di cultura, di mentalità, di necessità di assistenza e di sostegno, perché molto spesso la vittima non ha la forza e il coraggio non tanto o non solo economico, quanto morale, familiare e complessivo, di continuare a mantenere la sua posizione (dal momento che abbiamo inteso costruire anche il reato di stalking come un reato a querela). Anche a tale riguardo si tratta di mettere in campo una serie di misure integrate che sono non solo di carattere repressivo-criminale, ma anche di sostegno psicologico e sociale.
Poco altro vi è da dire, ma spendo un'ultima parola sulla questione che è stata più volte evocata e trattata e che anch'io voglio affrontare perché appartiene non solo al sistema della sicurezza, ma anche a quello della repressione criminale. Non c'è più da fare un discorso di prognosi, non c'è più da pensare a cosa potranno essere le ronde: vi è da verificare che cosa già sono, chi le sta facendo e perché! Abbiamo quindi una diagnosi: le ronde sono fatte nel nostro Paese e, come la storia ci insegna, sono state fatte in passato quasi esclusivamente per finalità politiche. Quand'anche quella della finalità organizzativa politica fosse l'eccezione, essa impedisce di considerarle uno strumento della democrazia. Anzi, consente di considerarle un pericolo per la democrazia, perché già le democrazie subito dopo la prima guerra mondiale - compresa la democrazia italiana e la claudicante e debole Repubblica di Weimar - ebbero la fatale condanna che poi condusse al nazionalsocialismo e al fascismo anche dalla nascita di formazioni associative che avevano astrattamente la finalità di difendere i diritti degli associati e di difendere l'ordine.
Quand'anche vi sia, o vi sia stata, la buona fede, la buona intenzione, nel proporre questi strumenti, tanto la storia, quanto ciò che già oggi sta accadendo - a parte la quasi comica situazione di ronde che, invece di svolgere opera di prevenzione, vengono scortate -, rendono necessario impedire con uno scatto di coscienza, non di carattere fazioso o politico, ma di carattere istituzionale, che questo strumento sedimenti, prima ancora che nella coscienza, nell'ordinamento della nostra Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il provvedimento oggi al nostro esame - lo voglio subito dire - contempla anche una serie di norme condivise, o quantomeno condivisibili, sulle quali come Italia dei Valori abbiamo avuto modo di esprimere, anche in più di un'occasione, una valutazione favorevole; mi riferisco, ad esempio, in maniera specifica, alle norme sulla violenza sessuale, sulle quali si sarebbe dovuto, in realtà, già intervenire da tempo.
Poi, però, ve ne sono altre che è davvero difficile poter condividere. Il punto più controverso, che come gruppo riteniamo assolutamente sbagliato, riguarda la possibilità per i sindaci, previa intesa con il prefetto, di avvalersi - cito testualmente - della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle forze di polizia dello Stato, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale (come se questo già non Pag. 90dovesse essere un dovere civico di ciascun cittadino).
Questa disposizione, così com'è stata pensata e inserita in questo provvedimento, in verità, appare come l'ennesima - mi sia consentito di dirlo - iniziativa demagogica del Governo. Si tratta di un'iniziativa che non solo è estranea al sistema di sicurezza previsto dalla Costituzione e dalla normativa vigente nel nostro Paese, ma che potrebbe comportare, addirittura, una serie di conseguenze assolutamente negative e attentare alla sicurezza dei nostri cittadini.
Innanzitutto, voglio richiamare il rischio di sollecitare, ancora una volta, per l'ennesima volta, i peggiori istinti di questo Paese, in particolare gli istinti xenofobi, rispetto ai quali, proprio in queste settimane, abbiamo avuto un richiamo da parte dell'Organizzazione internazionale del lavoro ovvero quell'agenzia dell'ONU che ha recentemente rilevato l'insistenza nel nostro Paese di dibattiti razzisti e xenofobi ispirati da odio contro gli stranieri. L'Organizzazione internazionale del lavoro ha invitato, quindi, il Governo ad adottare misure e interventi volti proprio a contrastare il clima d'intolleranza e a garantire la tutela dei migranti a prescindere dal loro status.
È palese, infatti, che traendo spunto da una concatenazione impressionante di stupri (soprattutto all'inizio di quest'anno lo abbiamo dovuto amaramente registrare), ma anche - perché non dirlo - dalla discutibile condotta di alcuni giudici che hanno disposto, in talune situazioni, con troppa generosità, gli arresti domiciliari per gli stupratori e i loro fiancheggiatori, questo Governo - che va avanti con spot pubblicitari, con operazioni d'immagine buone soprattutto durante le campagne elettorali o nell'imminenza di una campagna elettorale - finisce con l'espropriare ancora una volta il Parlamento delle sue prerogative. Ciò ricorrendo anche in questo caso a quella che pare diventata una prassi, ossia utilizzando il decreto-legge e varando di conseguenza una serie di misure, come l'istituzione delle cosiddette ronde e l'aumento temporaneo della detenzione degli immigrati irregolari e clandestini nei Centri di detenzione temporanea e di espulsione, per creare volutamente l'ormai nota e pericolosa equazione «clandestini uguale stupratori».
In secondo luogo, voglio richiamare un altro rischio, il rischio delle mani dei partiti sulla sicurezza. Mescolando infatti istituzioni, organi di Governo e milizie private in una assai preoccupante confusione di ruoli, si rischia di fare dell'ordine pubblico mobilitato attraverso le ronde il terreno prevalente della politica. Una parte delle ronde già attive nel centro nord ha infatti un colore politico. In testa sventolano le bandiere della Lega nord, seguite da quelle di Alleanza Nazionale (oggi - immaginiamo - dovranno almeno cambiare le bandiere), della Destra di Storace, di Forza nuova, di Fiamma tricolore, insomma tutte le componenti più moderate e conservatrici (per usare eufemismi) di questo Paese.
Anche l'Associazione nazionale dei funzionari di polizia ha recentemente definito il rischio di politicizzazione della sicurezza come un rischio reale che ci riporta alla memoria tempi che credevamo superati. Il riferimento è al tempo delle squadracce di partito.
Le conseguenze, quindi, potrebbero essere destinate a mettere in discussione proprio quella sicurezza che dite di voler tutelare, dal momento che non sempre sarà possibile controllare l'operato dei volontari, fortunatamente armati solo di cellulare, così come la reazione dei potenziali sorvegliati.
Ma, al di là della prevedibile inefficacia delle ronde in quanto produttrici di sicurezza, il vero pericolo è dato dal diffondersi, come senso comune, della falsa idea del popolo che si fa Stato, senza mediazione istituzionale. Il vero pericolo, cioè, è dato dal diffondersi di questa sorta di subcultura politica che vive la Costituzione, la magistratura, le Istituzioni dello Stato, lo stesso operato delle forze dell'ordine quasi come ostacoli da superare.
La nuova cultura politica che state cercando di diffondere fa leva proprio sul sentimento della paura, del pericolo sociale, Pag. 91dell'allarmismo. Non è un caso che il Presidente della Repubblica abbia preso le distanze da questo provvedimento, puntualizzando in una nota che sui contenuti dei decreti-legge resta l'autonoma ed esclusiva responsabilità del Governo.
So che è tautologico, so che può essere superfluo questo riferimento, e anche forse un po' formale, ma non è un caso che sia venuta questa nota. Come non è un caso che anche la posizione del Vaticano sia stata sin da subito molto dura. Il segretario del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Agostino Marchetto, ha definito l'istituzione delle ronde una abdicazione dello Stato di diritto, e ha poi aggiunto che se cercare di offrire ai cittadini - cito testualmente - la possibilità di dare un contributo ad aumentare la sicurezza delle loro città serve ad alimentare un clima di criminalizzazione dei migranti, certamente questo non trova e non può trovare il consenso della Chiesa.
Allora, voi sempre così attenti (almeno a parole) ai sentimenti e a tutto quello che si muove oltre il Tevere - ogni riferimento al testamento biologico non è puramente casuale - dovreste quanto meno fermarvi un attimo a riflettere di fronte a queste dichiarazioni.
In realtà, però, l'obiettivo finale forse, da parte vostra, non è neppure quello di colpire i clandestini o di intimidire tutti gli immigrati.
Voi, attraverso l'allarme sociale e la diffusione del sentimento della paura, avete un obiettivo finale ben più ambizioso, che sembra essere quello di stravolgere la Costituzione, e di accentrare nelle mani del Governo, o meglio nella figura del Capo del Governo, la pienezza dei poteri, riducendo il Parlamento e la magistratura a meri organi esecutori privi di qualsiasi utilità.
Altro che rivoluzione liberale! Montesquieu e la sua idea di separazione dei poteri non sono neanche stati messi all'angolo; nella vostra cultura, nella vostra appena ridefinita cultura, questi principi sono stati banditi definitivamente. Siete, quindi, non il partito liberale o del pensiero liberale, ma siete l'espressione della reazione e dell'autoritarismo. Siete monopolisti per quanto riguarda l'economia, siete affossatori della libera informazione, siete autoritari per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini.
Se il Governo avesse seriamente l'intenzione di affrontare i temi della sicurezza, della giustizia e della legalità metterebbe in campo una vera politica di sostegno al sistema sicurezza, e quindi di sostegno alle forze dell'ordine, attraverso un massiccio potenziamento sotto il profilo delle risorse umane, strumentali ed economiche. Non dimentichiamoci, infatti, che la legge finanziaria, quella che avete varato appena giunti al potere, ha tagliato un miliardo e 600 milioni per la tutela dell'ordine pubblico, per la prevenzione e il contrasto del crimine e per il contrasto alle frodi fiscali.
Il Governo, dunque, anziché sbandierare oggi i 100 milioni rimanenti stanziati appunto all'articolo 6 del decreto-legge in esame, che serviranno o dovrebbero servire per assunzioni al fine di predisporre un piano straordinario di controllo del territorio, farebbe bene a spiegare il blocco del turnover e i tagli al personale che, come denunciano i sindacati di polizia già da alcuni mesi, hanno prodotto un buco di quasi 21.000 agenti.
Sono quegli stessi agenti che stazionavano stamattina davanti al Viminale, proprio contro i tagli alla sicurezza, quei tagli che vengono negati tanto dal Ministro Maroni quanto da alcuni esponenti di questa maggioranza, ma che contrastano visibilmente con la protesta di tutte le sigle sindacali delle forze di polizia, quelle che accusano il Governo dei continui tagli ai fondi della sicurezza, che denunciano il pagamento delle trasferte di tasca propria, le mancate riparazioni delle auto ferme nei garage, la mancanza di benzina, il pagamento degli straordinari in misura inferiore al servizio ordinario.
Per concludere, quindi, signor Presidente, voglio ricordare che la nostra Costituzione non menziona in alcun modo la possibilità di mettere in atto una sicurezza «fai da te», ma all'articolo 117, anche riformulato, affida chiaramente e inequivocabilmente Pag. 92la materia della sicurezza alla competenza esclusiva dello Stato. Il controllo del territorio e la sicurezza dei cittadini e delle cittadine sono assegnati ai corpi dello Stato e non sono quindi contemplate milizie speciali, siano esse di partito o meno. La scelta del legislatore costituzionale è, quindi, pienamente coerente con quella dottrina politica liberale a cui a parole fate riferimento, ovvero quel principio secondo cui i cittadini si spogliano di una parte dei loro diritti e delle loro facoltà in favore dello Stato, affinché questo tuteli diritti fondamentali quali la libertà, la vita, la proprietà.
È, dunque, lo Stato - e non le associazioni del volontariato civico - a garantire la sicurezza della vita associata, tanto più se ciò riguarda una materia complessa e difficile come il tema menzionato nel titolo del decreto-legge in discussione, ovvero quella materia complessa e difficile persino da affrontare in un dibattito quale il tema della violenza sessuale, la quale, almeno basandosi su tutti i dati disponibili, avviene essenzialmente - e lo si vuole dimenticare - ancora di più se in danno ai minori, all'interno delle mura domestiche, ad opera perlopiù di parenti o di amici intimi della famiglia della vittima.
Ma l'impegno costante ad innescare sensazioni di pericolo sociale e paura sembra essere nella scala di priorità di questo Governo sicuramente più forte del rispetto della verità e della Costituzione, del rispetto della verità dei numeri e della tragica realtà della violenza sessuale.
È chiaro, quindi, che l'approvazione di una disposizione che riconosce l'utilizzo delle ronde, seppure non armate, per il controllo del territorio, determinerà un'alterazione sia in termini di competenze in materia di sicurezza sia in termini di regressione culturale e giuridica, da cui sarà difficile, lo so, tornare indietro.
In questo quadro un'opposizione seria come quella dell'Italia dei Valori ad un Governo che tenta in tutti i modi di spaventare e allarmare i cittadini, distraendoli dai veri problemi del Paese, non può che dichiararsi fin d'ora contraria a norme di questo genere (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.
RITA BERNARDINI. Signor Presidente, posso dire di fare questo intervento per lei, per l'onorevole sottosegretario Caliendo e per quattro deputati che al momento sono presenti in Aula, ma che credo...
PRESIDENTE. Se vuole li blocchiamo...
RITA BERNARDINI. Essendo l'ora di cena, qualcuno magari se ne andrà. Però, fortunatamente vi sono servizi pubblici come quello di Radio radicale che consentono se non altro ai cittadini di ascoltare tutti gli interventi.
Vi è un'emergenza in Italia ed è un'emergenza seria: è l'emergenza della giustizia italiana. Mentre la giustizia italiana attende da anni una riforma organica, si procede - lo fa più che mai questo Governo - con provvedimenti che, come afferma l'Unione delle camere penali, sono demagogici e diretti a gettare fumo negli occhi dei cittadini.
Ampliamento delle ipotesi di cattura obbligatoria in violazione della presunzione di innocenza, e sottraendo ogni discrezionalità al magistrato; estensione dei cosiddetti doppi binari processuali per categorie di imputati; limitazione dei benefici penitenziari; istigazione alla delazione processuale; abuso dell'incidente probatorio per ritornare a principi inquisitori; fino ad arrivare all'introduzione delle ronde e, addirittura, alla proposta di limitare i colloqui dei legali in carcere, assecondando la cultura che vede nell'avvocato il favoreggiatore del proprio cliente. Come dicevo, si tratta di una giustizia malata, che non trova certo in provvedimenti di questo tipo la sua cura.
Processi lenti: l'Italia è al 156 posto al mondo, su 181 Paesi, per la lentezza dei processi. Ricordiamo bene questo dato: 156 posto su 181 Paesi. In altre parole, Pag. 93veniamo dopo l'Angola, il Gabon, la Guinea e São Tomé. Questo è il risultato dell'indagine che è stata svolta sulla lentezza dei processi in Italia. Si tratta di processi civili e penali: vi è un arretrato di più di 5 milioni di processi civili e di 3 milioni 200 mila processi penali. Ecco l'emergenza, che porta, ogni anno, a vedere cadere in prescrizione più di 140 mila processi. Fra questi processi, consentitemi di dirlo, non vi saranno tutte «mammolette»: vi saranno molte persone che la fanno franca, perché tutto cade in prescrizione. Ecco il collasso della giustizia, ecco il collasso delle carceri italiane.
Oggi, la cifra che ci viene data è quella secondo cui le carceri italiane sono arrivate a 61 mila detenuti, quando la capienza regolamentare ammonta a poco più di 42 mila. Ciò vuol dire che vi è uno Stato che pratica l'illegalità, attraverso una detenzione assolutamente insostenibile e contraria ai principi costituzionali, come è stato detto, anche recentemente, dal Ministro della giustizia. Do atto al Ministro Alfano di essere il primo Ministro di questa Repubblica ad affermare un concetto così grave: che lo Stato italiano si trova in una situazione di illegalità per quel che riguarda le carceri, che sono incostituzionali.
Veniamo al provvedimento in discussione. Si è detto che si tratta di un decreto-legge, che possiede, quindi, requisiti di necessità e di urgenza. Il provvedimento in esame viene motivato nel preambolo - basta leggerlo - essenzialmente sulla base della crescita dei casi di violenza sessuale. In altri termini, nella relazione è scritto che questo decreto-legge viene predisposto perché vi è una crescita dei casi di violenza sessuale. Tuttavia, quando, in Commissione giustizia, abbiamo posto una domanda al Ministro Carfagna in relazione all'andamento dei casi di violenza sessuale, chiedendole se fossero aumentati, il Ministro ci ha risposto, onestamente che, secondo i dati comunicati dal Viminale e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, nel corso del 2008, vi è stata una diminuzione dell'8,4 per cento. Questi sono i dati.
Come dicevo, quindi, l'urgenza viene motivata con la crescita dei casi di violenza sessuale. Questo è scritto nella relazione, ma, poi, a domanda precisa, si dice che non è vero e che i casi di violenza sessuale sono diminuiti.
Questo decreto-legge, poi, compie altre operazioni, perché anticipa talune misure contenute in altri provvedimenti; infatti, fa propri contenuti di altri progetti di legge in discussione alla Camera o al Senato recependoli; tali sono i casi della violenza sessuale di cui al disegno di legge atto Senato n. 733, già approvato dal Senato il 5 febbraio scorso e ora in discussione in Commissione giustizia alla Camera, e il caso della disciplina penale del cosiddetto stalking. Quindi, si prendono parti di altri provvedimenti all'esame delle due Camere e li si recepiscono in questo decreto-legge. Credo che tutto ciò costituisca un vero e proprio corto circuito legislativo e che getti più di qualche ombra sull'effettiva rispondenza del decreto-legge in esame ai requisiti posti dalla Costituzione per la sua adozione. Inoltre, sicuramente esso crea una crisi nei rapporti tra l'Esecutivo e il Parlamento in ordine all'esercizio della potestà legislativa; questo lo diciamo soprattutto perché sappiamo che, almeno in questa Camera, c'è un Presidente, quale il Presidente Fini, che è molto attento a questi profili.
Entrando nel merito del provvedimento, esso prevede la massiccia applicazione della presunzione di pericolosità e della connessa applicabilità della sola custodia cautelare in carcere. Credo che questo sollevi seri dubbi di legittimità costituzionale in ordine ad un irragionevole bilanciamento tra la tutela della libertà personale, di cui all'articolo 13, comma 1, della Costituzione, ed esigenze di tutela della collettività, essendo innegabile che nel provvedimento in esame il legislatore abbia spostato in avanti, a favore delle richiamate esigenze di tutela della collettività, il punto di equilibrio fra dette esigenze e le incontestabili garanzie che vanno riconosciute ai cittadini imputati. Pag. 94
In questo decreto-legge l'indagato, l'accusato è già di per sé un colpevole che deve dimostrare la sua innocenza. Vengono così scardinati dei principi essenziali del nostro ordinamento. La modifica in discussione comporta la compressione della libertà personale nella modalità più estrema - custodia cautelare in carcere - per una molteplicità di condotte che sono fra loro assai eterogenee, sottraendo del tutto al giudice la valutazione di adeguatezza della misura e provocando, per l'estensione applicativa che il disposto necessariamente avrebbe, un aumento di proporzioni inusitato dei detenuti in attesa di giudizio, che già oggi nelle carceri italiane rappresentano oltre il 50 per cento, cittadini ritenuti non colpevoli - sicuramente innocenti - sino a sentenza definitiva. Stiamo parlando, quindi, di anticipazione della pena, che diviene paradossalmente effettiva proprio perché irrogata senza processo, proiettando un'immagine sicuramente dimidiata del diritto al processo e ciò in violazione all'articolo 27, comma 1, della Costituzione.
Dobbiamo considerare in questa sede e non possiamo dimenticare quali sono stati storicamente i casi di ingiustizia estrema. Voglio ricordare, poiché faccio parte della delegazione radicale all'interno del gruppo del Partito Democratico, il caso di Tortora, che venne massacrato di fronte all'opinione pubblica e presentato come un cinico mercante di morte.
Ci volle la costanza, la caparbietà, il voler credere in una giustizia giusta dei radicali per tirarlo fuori da quell'inferno in cui era caduto e quell'operazione, quell'azione politica portò ad una vittoria incredibile. Una vittoria del popolo italiano che votò per la responsabilità civile dei magistrati - lo ha riconosciuto, dobbiamo dargliene atto, anche in questi giorni, il Presidente emerito della Corte Costituzionale Giuliano Vassalli -, popolo italiano che però è stato tradito da una legge che certamente non riconosce questa responsabilità per i magistrati che sbagliano per dolo o colpa grave.
Ancora, questo è il decreto-legge del trattenimento e del prolungamento di questo trattenimento fino a centottanta giorni presso i CPT che oggi vengono chiamati, così per presentare ancora di più la faccia dura, la faccia cattiva di questo Governo: «centri di identificazione e di espulsione». È previsto il trattenimento fino a centottanta giorni: questo è quello che si fa contravvenendo in modo esplicito alle norme europee nonostante si affermi che in realtà lo si fa in applicazione delle norme europee.
Qui rivolgo un invito a leggere quali siano le disposizioni europee come la direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 16 dicembre del 2008 perché sicuramente questo decreto-legge non corrisponde a quella direttiva.
Poi vorrei anche fare alcune considerazioni sulle ronde, a parte il fatto che sono rimasta un po' meravigliata dal fatto che l'onorevole Nicola Molteni si sia alquanto adirato per il fatto che sono state chiamate ronde in quest'Aula: ma non sono stati loro, i leghisti, a inventare le ronde padane? E adesso si offendono se qualcuno semplifica la elegante definizione «associazioni volontarie di cittadini» chiamandole ronde? Le hanno chiamate sempre così, le hanno inventate loro, le ronde padane!
Mi auguro che questo Parlamento abbia la capacità di non essere sordo a quello che ci stanno dicendo in questi giorni sindacati di polizia di tutte le tendenze.
È recente un comunicato stampa che ci dà una notizia molto importante. È firmato dal sindacato di polizia COISP e vi si afferma che l'amministrazione comunale di Pescara ha emanato una risoluzione che impegna il sindaco e la giunta a non avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati per il controllo del territorio e a considerare la sicurezza dei cittadini come diritto inalienabile la cui tutela è compito primario e ineludibile dello Stato e delle forze dell'ordine. Inoltre la risoluzione impegna anche la giunta a proseguire sulla strada dell'inclusione sociale, del dialogo interculturale Pag. 95e della democrazia partecipata, promuovendo la creazione di spazi di confronto e via dicendo.
Cosa dicono questi rappresentanti sindacali delle forze di polizia? Essi affermano che questa risoluzione rimette la questione delle ronde nella giusta ottica chiamando le cose con il proprio nome e riconoscendo il senso profondo dell'impegno di noi poliziotti - sono contenta di riportare qui anche le parole di poliziotti - di noi poliziotti che mettiamo l'intera vita al servizio dei cittadini ricevendo come maggiore gratificazione possibile la loro fiducia, il loro sostegno e la massima collaborazione nelle forme più giuste che vadano nel senso di rendere il lavoro il più efficace ed efficiente possibile nell'interesse della collettività.
Ma sono stati tantissimi, i sindacati e gli esponenti delle forze di polizia, che si sono pronunciati proprio contro l'articolo 6 di questo provvedimento, che prevede l'istituzione delle associazioni volontarie di cittadini, cioè delle ronde.
Una misura impraticabile, così ha detto il Cocer dei carabinieri, che ha bocciato le ronde e ha chiesto un incontro con il Capo dello Stato e con il Presidente del Consiglio per avere chiarimenti su tematiche che oggi offuscano la serenità dei nostri colleghi. Al Cocer hanno poi fatto da sponda i sindacati di polizia, in particolare il SILP-CGIL e il SAP, che da Torino (come è già stato ricordato in quest'Aula) hanno detto: i partiti cercano di lottizzare pure le ronde, affidando a noi un ruolo di badanti. Questi sindacati si sono appellati al Governo affinché non sia convertita in legge questa norma. Il fronte dei contrari alle ronde è compatto, soprattutto dopo quanto è avvenuto - lo voglio ricordare - a Padova, con la rissa tra i leghisti di Veneto sicuro e gli antagonisti del centro sociale Pedro, con la Digos in mezzo a cercare di dividere i contendenti, e soprattutto tenendo conto di quanto potrebbe avvenire nei prossimi giorni, con le associazioni dei cittadini che in molte città si stanno organizzando per pattugliare parchi e strade.
Stiamo veramente attenti perché, lo ripeto, si parla di questioni molto serie, della vita e della sicurezza dei cittadini, che non può essere certo affidata a questo tipo di provvedimenti. Voglio ricordare - e lo faccio soprattutto dopo l'audizione che abbiamo avuto con l'Unione delle camere penali - che in questo decreto-legge si estende, in modo assolutamente indiscriminato, l'incidente probatorio, un istituto che dovrebbe essere accordato solo in casi eccezionali, cioè quando vi sia un concreto pericolo, rimandando al dibattimento la formazione della prova. E invece, tutto l'impianto del processo accusatorio viene messo in discussione.
Questo è un decreto-legge che prende parti di altri provvedimenti e che sicuramente non è capace di dare una risposta, certamente richiesta dai cittadini italiani, che è quella di una giustizia giusta, efficiente e che sappia rispondere al fatto che, ormai, tra processi civili e penali siamo arrivati a 8 milioni e mezzo di arretrato, cioè di processi che sono destinati, anno dopo anno, a non essere celebrati e questo, forse, anche grazie all'obbligatorietà dell'azione penale, che lascia ai magistrati e poi alle procure la possibilità di scegliere quali reati perseguire e quali, invece, no.
Forti anche del fatto che questo Parlamento ha approvato una nostra mozione, che aveva firme bipartisan e che indicava i punti precisi di una riforma della giustizia, mi auguro di poter essere in molti a ragionare sui punti più scottanti, dal punto di vista del diritto e dello Stato di diritto, di questo decreto-legge, e che si possano apportare delle modifiche significative.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2232-A)
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Di Pietro ed altri n. 1-00109 concernente iniziative relative al sistema creditizio italiano, con particolare riferimento alla riforma delle fondazioni bancarie e delle banche popolari quotate (ore 20,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Di Pietro ed altri n. 1-00109 concernente iniziative relative al sistema creditizio italiano, con particolare riferimento alla riforma delle fondazioni bancarie e delle banche popolari quotate (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che in data odierna è stata altresì presentata la mozione Cicchitto, Cota, Milo e Conte n. 1-00143 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà anche la mozione Di Pietro ed altri n. 1-00109, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, ringrazio per la presenza del sottosegretario e dei colleghi ancora qui presenti. Il 2 febbraio l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha fatto pervenire al Parlamento, alla Presidenza il Consiglio dei ministri, alla Banca d'Italia e alla Consob una nota che riguarda la governance degli istituti di credito e delle assicurazioni.
Per quale motivo? Bisogna dire che più volte, in passato, l'Autorità era già intervenuta per segnalare alcuni profili critici. In particolare, possiamo ricordare che lo ha fatto nel gennaio 2006 relativamente ai prezzi alla clientela dei servizi bancari, nel novembre del 2004 con riferimento agli ostacoli alla mobilità della clientela nell'ambito dei servizi di intermediazione finanziaria, nel 2007 per ostacoli allo sviluppo concorrenziale dei mercati per la clientela retail, nonché più volte con audizioni parlamentari.
In sostanza, l'Autorità garante oggi con questa nota tende a ritenere che vi siano alcuni profili critici che riguardano gli assetti di governance delle banche, in particolare relativi alla diffusione di legami azionari e personali tra banche concorrenti, soprattutto quando questa situazione determina intrecci non chiari tra soggetti finanziati e soggetti finanziatori per cui si verifica un conflitto di interessi evidente, alla scarsa trasparenza nell'operato di alcuni azionisti centrali, come nel caso delle fondazioni e il non adeguamento della normativa in tema di banche cooperative, particolarmente per quanto riguarda le banche popolari che, di fatto, svolgono un'attività, né più né meno pari a quella delle società per azioni.
Nonostante le segnalazioni che anche in passato l'Autorità aveva fatto, non c'è stata una capacità di autoregolamentazione da parte delle banche stesse e quindi, in questo senso, si chiede che vi sia un intervento di chi ha il potere di farlo - Parlamento, Governo - per eliminare conflitti di ruolo, riformare assetti di governance che non rispondono più alla situazione attuale, garantire l'indipendenza e introdurre una maggiore trasparenza nel ruolo degli azionisti.
Siamo in presenza di interventi legislativi - decreti-legge, in particolare - che hanno riguardato negli ultimi tempi il sistema bancario e, in particolare, la possibilità per lo Stato di entrare nel capitale delle banche o di prestare garanzia per aumenti di capitale delle banche o per passività, anche in forme di finanziamento da parte della Banca d'Italia per arrivare, infine, ai cosiddetti Tremonti bond, cioè Pag. 97alla sottoscrizione da parte dello Stato di obbligazioni speciali bancarie convertibili.
In particolare, l'Autorità garante propone di investire la struttura stessa del sistema bancario eliminando, lo ripeto, conflitti di ruolo e di incarico, garantendo questa trasparenza nel ruolo di azionisti finanziatori rispetto a chi viene finanziato, riducendo il fenomeno dei legami azionari - ad esempio, attraverso un intervento regolatorio che riduca la percentuale oltre la quale vanno dichiarate le partecipazioni rilevanti - e rivedendo poi la normativa sull'amministratore indipendente.
Allo stesso modo, secondo l'Autorità garante si dovrebbe intervenire sulle fondazioni bancarie per rendere più chiaro il loro processo decisionale. Su questo aspetto vorrei ricordare che nella scorsa legislatura la Commissione finanze ebbe a svolgere una serie di audizioni alle quali partecipò anche il presidente Guzzetti, in rappresentanza dell'associazione che riunisce le fondazioni. Fu per me particolarmente curiosa, se non addirittura in qualche modo inquietante, la risposta che egli diede ad una mia precisa domanda: ritenendo che le fondazioni nascevano su un capitale che non era di qualcuno ma era un capitale creato dalla comunità, chiesi chi doveva avere la rappresentanza degli interessi della comunità, e mi sentii rispondere dal presidente Guzzetti che lui, ad esempio, riteneva di rappresentare la comunità milanese e lombarda.
Ora, poiché io penso che i rappresentanti delle comunità sono coloro che vengono eletti dalla comunità, e non certamente chi in virtù di altri tipi di designazione si trova a capo delle fondazioni, mi pare che quella fosse una risposta curiosa, sulla quale infatti bisognerebbe fare delle riflessioni, anche perché ci sono delle fondazioni vicine ai territori nei quali vivo che praticamente hanno lo stesso soggetto decisionale - individuabile, ma evito di fare nomi - che dalla legge Amato in avanti governa di fatto una grande fondazione del nord Italia. Allora è evidente che qualcosa non sta in piedi se non c'è anche un ricambio, poiché evidentemente nel consiglio di amministrazione delle fondazioni dovrebbero essere presenti coloro che rappresentano, essendo stati eletti, i cittadini.
Lo stesso problema vale anche per la riforma delle banche popolari. Anche qui, di fatto, esse operano, né più né meno, come qualunque altro tipo di società per azioni, e forse anche qui non sono più giustificati determinati aspetti della loro vita (il voto capitario, la clausola di gradimento, il limite al possesso di partecipazioni azionarie e l'uso delle deleghe).
In questo senso, quindi, il sistema richiederebbe una regolazione, e per alcune questioni probabilmente si potevano condizionare gli aiuti di Stato - non so se sia tardi ma forse si può ancora fare - e non sembra che in realtà ciò sia avvenuto. Il Ministro Tremonti ha tentato in qualche modo di condizionarli, ma alla fine ne è uscito un provvedimento che sostanzialmente rinvia a dei protocolli da parte delle banche stesse.
Questa mattina ho depositato un'interrogazione rivolta al Ministro Tremonti, perché noi parliamo di un sistema che ha in sé degli aspetti che sono veramente inquietanti. In un sito Internet, pubblico e consultabile da tutti, è apparso nel 2009 un intervento con la pubblicazione per intero di un accordo tra la Barclays Bank di Milano, Unicredit e Gruppo Intesa. Questo accordo, che risale al 2007 ma che è stato reso pubblico in questo modo nel 2009, fa riferimento a un certo Project Brontos attraverso il quale la sede italiana di Barclays a Milano entra in una transazione repo, cioè un contratto di riacquisizione di compartecipazioni su profitti, con Unicredit in lire turche e Intesa Sanpaolo in sterline. Non siamo in presenza di cifre di poco conto, perché stiamo parlando per quanto riguarda Unicredit di un investimento di 2,5 miliardi di euro e per quanto riguarda Intesa di un miliardo di euro.
In sostanza, utilizzando meccanismi che portano a quello che non è neanche considerato un paradiso fiscale, ma in realtà probabilmente lo è, ossia il Lussemburgo, attraverso un'operazione che non sto qui ad illustrare (potrei farlo ma non Pag. 98mi sembra il caso) di fatto - questo è il dato politico che voglio trarre dalla vicenda - i due più grandi gruppi bancari italiani, Unicredit e Intesa insieme a Barclays Bank realizzano un'operazione con la quale risparmiano 75 milioni di euro di tasse. Non so se possiamo parlare di evasione, sicuramente possiamo parlare di elusione fiscale perché si tratta di un meccanismo, che, lo ripeto, non sto qui ad analizzare da un punto di vista tecnico, ma il cui risultato finale è che allo Stato italiano non vengono pagati 75 milioni di euro di tasse. Noi, ma anche il Governo, siamo qui quotidianamente a caccia di quattrini per finanziare il Fondo delle quote latte, i quattrini non si trovano e scopriamo che con una sola operazione di elusione fiscale, queste banche che oggi chiedono gli aiuti di Stato hanno posto in essere operazioni che hanno evitato il pagamento di 75 milioni di euro di tasse.
Allora, a me sembra che qualcosa non quadra e il mio è un richiamo al Ministro Tremonti che su tale questione mi pare un po' dormiente come i conti dormienti che sono diventati il secondo jukebox italiano: il primo, più gettonato, è il FAS perché quando manca qualcosa si gettona il jukebox del FAS, e ora, da un po' di tempo, è molto gettonato anche il jukebox dei conti dormienti. Forse, invece, più che sui conti dormienti il Governo e il Ministro dovrebbero cercare di intervenire per evitare meccanismi di questo tipo.
Concludo, richiamando l'impegno finale che chiediamo al Governo. Noi ci limitiamo a chiedere ciò che chiede l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e, quindi, a prevedere l'inserimento delle regole derivanti dalla segnalazione dell'Autorità, relativamente alla governance degli istituti di credito, all'effettiva portabilità dei mutui immobiliari per la prima casa, all'introduzione di un chiaro ed unico indicatore sintetico che riunisca le diverse voci di spesa a carico del cliente che vada in scoperto e, ferme restando le prerogative del Parlamento, ad assumere le opportune iniziative anche legislative, al fine di, secondo le indicazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, riformare le fondazioni bancarie e le banche popolari quotate. Questo è l'impegno che chiediamo al Governo di assumere con la nostra mozione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Conte, che illustrerà anche la mozione Cicchitto ed altri n. 1-00143, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO CONTE. Signor Presidente, capisco che l'onorevole Borghesi, che è uno fra i parlamentari più attivi, seguendo molte Commissioni abbia perso qualche passaggio nelle attività parlamentari che si sono svolte negli ultimi mesi, tant'è che il testo della mozione presentata da Di Pietro e Donadi non tiene conto del fatto che alcune cose che vengono richieste all'interno della mozione stessa sono state già realizzate. Ad esempio, quando si fa riferimento ad un protocollo di intenti tra l'ABI e il Ministero dell'economia e delle finanze, protocollo che era già previsto dal decreto-legge n. 185 del 2008, evidentemente gli è sfuggito che in data 25 marzo il protocollo è già stato firmato nei termini che erano previsti proprio dal decreto-legge n. 185 del 2008, vale a dire che venisse garantita la disponibilità complessiva alle condizioni di credito da concedere a favore delle famiglie e delle piccole imprese, che si tenesse conto della politica dei dividendi per garantire l'esigenza della patrimonializzazione delle banche e che si adottasse un codice etico in materia di politiche di remunerazioni.
Questo impegno è stato sottoscritto ed è teso a garantire per un triennio le risorse finanziarie a favore delle piccole e medie imprese; prevede la quantificazione di un contributo per la dotazione del Fondo di garanzia per i finanziamenti erogati alle piccole e medie imprese; prevede anche che vengano garantite nel rispetto di una sana e prudente gestione le risorse e l'applicazione di condizioni di credito adeguate a favorire lo sviluppo e il mantenimento delle iniziative imprenditoriali; che vengano previsti interventi congiunturali a favore delle famiglie in difficoltà Pag. 99per il pagamento delle rate sui mutui; che venga garantita una politica dei dividendi che favorisca la patrimonializzazione delle banche; che venga presentato un rapporto trimestrale in relazione alle azioni intraprese per il sostegno finanziario dell'economia.
È ben noto a tutti che il Governo in questi mesi di tempesta nei mercati finanziari ha provveduto a fare una serie di provvedimenti, d'altra parte d'accordo con tanti altri Stati membri dell'Unione europea e oltretutto molto spesso anche in anticipo. Sono stati fatti interventi che attraverso le banche centrali garantiscono il sostegno alla liquidità, quindi il rifinanziamento dell'interbancario, gli swap tra i titoli in possesso delle banche e quelli di Stato che riguarda la Banca d'Italia, gli swap tra i titoli in possesso delle banche e quelli del Tesoro di nuova emissione. Sono stati previsti, oltretutto, anche i sistemi per incrementare il core tier 1 che nel nostro Paese è stato fatto recentemente e che ha garantito il raggiungimento di livelli di core tier 1 intorno al 7-8 per cento. Questo naturalmente è stato fatto da un Governo nella piena consapevolezza che il sostegno ai mercati finanziari non fosse per le banche, ma per garantire che i flussi finanziari fossero garantiti all'impresa.
Nella mozione presentata dal gruppo dell'Italia dei Valori si fa riferimento ad alcune valutazioni fatte dall'Autorità garante che ci sentiamo di condividere nella loro complessità, almeno in parte. Ciò si può anche verificare in considerazione del fatto che in Commissione finanze abbiamo recentemente richiesto una audizione di Catricalà proprio per avere contezza delle governance delle banche, degli intrecci azionari e di tutto quanto è presente nell'esposto. Naturalmente non siamo più in tempo - poiché l'accordo è già firmato con l'ABI - per inserire alcune previsioni che, peraltro, erano già state riprese. Lo ricordo perché fui relatore della legge sul risparmio e le vicende relative agli intrecci azionari e agli scambi di garanzia di credito in virtù dell'acquisizione di capitale sociale di altre banche erano già aspetti che avevamo affrontato e che richiedevano ulteriori approfondimenti.
Quindi, nella sostanza, pur condividendo la necessità di fare questo tipo di iniziativa, ovvero di verificare quale sia lo stato dell'arte, ci rendiamo conto che ormai sul mercato internazionale - a partire dagli Stati Uniti - vi sono il principio della trasparenza e quello del ritorno all'etica anche in relazione a comportamenti che si sono determinati più sotto l'onda della necessità di garantire sia risultati sui bilanci trimestrali delle società, sia commissioni molto elevate. D'altra parte sappiamo tutti che il fenomeno dei subprime è stato determinato proprio dall'operatività di certi broker che, indifferenti rispetto alla qualità del credito, andavano a garantirsi commissioni sulla concessione di mutui a persone che evidentemente non avevano le capacità finanziarie per restituire i mutui concessi.
Se questa sera dovessimo fare un discorso su come si è mosso il mercato in questi ultimi anni, a partire dal Gramm Act del 1999 fino ad oggi, e se dovessimo inoltrarci in tutti quei meandri che sono pieni di obbligazioni collaterali (credit default swap ed altri derivati, che sono, anzi erano, all'ordine del giorno dei mercati finanziari), ci allontaneremmo dal contenuto di questa mozione. Al collega Borghesi è sfuggito un altro particolare: in materia di commissione di massimo scoperto, il Parlamento è già intervenuto, fissando le regole per l'applicazione, che partiranno dal 30 giugno, quindi dal prossimo trimestre. Però, è un intervento che il Parlamento ha già fatto. Naturalmente, una volta firmate le convenzioni tra Tesoro e banche e una volta eliminata parzialmente, ma comunque in maniera decisamente drastica, la commissione (le banche lamentano che l'intervento sulla eliminazione parziale della commissione di massimo scoperto costa al sistema creditizio qualche miliardo di euro in termini di proventi), credo che l'intervento del Governo - ne sono stati fatti altri ed altri dovranno essere ancora fatti - debba Pag. 100concentrarsi soprattutto su una verifica puntuale degli obblighi che sono stati sottoscritti dalle banche.
Eventualmente, si può chiamare il Parlamento a pensare a sanzioni rispetto alla mancata attuazione di parti del protocollo di intesa e naturalmente bisognerà garantire un monitoraggio costante, che va anche nella direzione di determinare i comportamenti degli intermediari finanziari e di quelli che prestano credito al consumo, tant'è che la Commissione finanze ha avviato un'indagine conoscitiva sul credito al consumo. Quindi, c'è materiale sul quale si sta lavorando e c'è un dibattito molto acceso in corso.
Voglio condividere anche alcune perplessità dell'onorevole Borghesi in tema di trasparenza e, se vogliamo, sul tema dell'autoreferenzialità all'interno delle fondazioni. Ciononostante, quando si fa riferimento alle banche popolari, credo che il collega Borghesi conosca bene la direttiva 2001/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 28 maggio 2001, che consente la quotazione di azioni di società anche cooperative. Quindi, dire che la partecipazione ai mercati finanziari non sia un requisito di trasparenza mi pare un po' forte. C'è obiettivamente da affrontare con molta serietà tutte le tematiche espresse, ma allo stato, forti anche delle azioni del Governo, credo che occorra proseguire sulla strada intrapresa dal Governo stesso e garantire che il Parlamento sia sempre più attento in ordine all'applicazione dei protocolli sottoscritti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi. Ne ha facoltà.
FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, intanto le preannuncio che chiederò l'autorizzazione a consegnare il testo del mio intervento ai fini della pubblicazione in allegato al resoconto della seduta odierna, in modo da poter esporre le mie considerazioni più brevemente.
Il gruppo del Partito Democratico, per il momento, si riserva di presentare una propria mozione, perché riteniamo di dover valutare i testi sin qui presentati, dato che gli argomenti posti in discussione sono così ampi che un impegno nei confronti del Governo deve essere attentamente valutato. Da questo punto di vista, voglio dire, infatti, che il dispositivo della mozione Di Pietro ed altri n. 1-00109 è un dispositivo che, dal punto di vista metodologico, ci pone qualche perplessità. Del resto, l'eventuale riforma delle fondazioni e delle banche popolari, qualora fosse un'esigenza condivisa, è materia squisitamente parlamentare. In taluni casi, incide su soggetti privati e appare una forzatura, quasi espropriativa delle proprie prerogative, da parte del Parlamento assegnare un compito in maniera così perentoria e secca al Governo su materie sulle quali dovrebbe essere anzitutto quest'Aula e il Parlamento in generale a doversi esprimere.
Tuttavia, per venire al tema della mozione, riteniamo che gli assetti proprietari delle banche e delle assicurazioni abbiano certamente, come ha dimostrato l'indagine conoscitiva dell'Antitrust, un'influenza diretta sui costi dei servizi bancari e dei servizi assicurativi. Nessun operatore, nessun cittadino soprattutto, può negare che il costo dei servizi bancari in Italia sia più alto rispetto alla media europea, e che ci sia da questo punto di vista ancora molto da fare per «efficientare» il sistema. I rilievi che muove l'Antitrust sulla necessità di introdurre maggiore concorrenza, di fare chiarezza sull'opacità degli intrecci azionari, sul ruolo dei cosiddetti amministratori indipendenti, sui quali l'Antitrust richiama l'attenzione al fine di un intervento regolatorio persino più forte dal punto di vista normativo, riguardano temi che hanno un'incidenza diretta sulle questioni del credito.
Riteniamo però, a differenza del presidente Conte, che sui punti che interessano soprattutto i consumatori ci sia ancora molto da fare. Anzitutto, preme precisare che in materia di mutui, al di là delle disposizioni che sono contenute nel protocollo e che sono indirizzate soprattutto alle persone che si trovano in condizioni di difficoltà perché hanno perso il lavoro (sono naturalmente condizioni molto importanti), negli ultimi tre anni Pag. 101sulla materia dei mutui immobiliari le uniche innovazioni normative efficaci, che hanno avuto un'influenza diretta sulla vita dei cittadini, si debbano ascrivere al centrosinistra: sto parlando della portabilità, introdotta nel 1997 con il decreto-legge cosiddetto Bersani, e sto parlando, naturalmente, anche di un ultimo intervento che abbiamo svolto per quanto riguarda il chiarimento su queste norme, che è stato introdotto con un nostro emendamento nel decreto-legge n. 185 del 2008, grazie al quale finalmente, come ha riconosciuto anche il Governatore della Banca d'Italia nell'ultima audizione che ha reso nella Commissione finanze il 18 marzo, si sono introdotte delle sanzioni a carico degli istituti di credito che non consentiranno la libera circolazione dei mutui tra una banca e l'altra. I proventi di queste sanzioni andranno ad alimentare il Fondo per le famiglie in difficoltà per il pagamento del mutuo prima casa, del quale stiamo aspettando il decreto attuativo, che ci risulta essere al Consiglio di Stato.
Sulla commissione di massimo scoperto si è arrivati alla formulazione contenuta nell'ambito del decreto-legge n. 185 del 2008, che tuttavia l'Antitrust considera insufficiente: essa chiede un chiarimento sul tasso usurario, e chiede un chiarimento anche sul prospetto informativo, al fine di mettere il cliente nella condizione migliore per poter valutare le condizioni che vengono poste.
Ritengo però non ci siano soltanto queste due questioni. Sui mutui vorrei aggiungere che, in virtù di una nostra iniziativa, quest'anno per la prima volta i contribuenti italiani potranno detrarre non più un massimale di 3 mila 600 euro, ma di 4 mila euro per coloro che sono intestatari di un mutuo prima casa. Vi sarebbe da aggiungere, naturalmente, il credito al consumo, sul quale vi sarà un'indagine conoscitiva da parte della Commissione finanze, e anche, direi, la questione del risparmio gestito, sul quale l'Antitrust a mio avviso ha omesso di approfondire le indagini, perché non si può sottovalutare l'impatto che ha il conflitto di interessi dalla banca universale sui consumatori. La banca universale è quella che prepara il prodotto finanziario, è quella che lo vende, che ha più premura di rappresentare se stessa, nel collocamento di un prodotto, che l'interesse del consumatore.
Per questi motivi noi siamo disponibili ad approfondire questi temi, che riguardano fondazioni bancarie e banche popolari. Troviamo l'accostamento abbastanza ardito, dal momento che le fondazioni bancarie, come sono state considerate dalle sentenze n. 300 e 301 del 2003 della Corte costituzionale alla fine di un lungo contenzioso, «perso» tra l'altro politicamente dal Governo e dal Parlamento nei confronti di queste ultime, sono state dichiarate soggetti delle libertà civili e sociali, e soggetti di natura privata.
Le banche popolari sono invece soggetti di gestione del credito diversi dalle fondazioni. Ma al di là di questo distinguo, siamo disponibili ad approfondire questo argomento e soprattutto, credo, a lavorare - e concludo - al tema del doppio monitoraggio del protocollo del 25 marzo. Perché doppio? Il primo monitoraggio naturalmente deve essere posto in essere affinché le banche corrispondano esattamente alle condizioni che sono state poste dall'intervento pubblico, e quindi assicurino i volumi di impieghi verso le famiglie e verso le imprese. Il secondo monitoraggio che occorre mettere in campo, però, è quello teso ad evitare che vi siano coercizioni amministrative e politiche da parte e attraverso i prefetti del Governo sugli istituti di credito perché, come ha detto il Governatore, l'esercizio del credito è un'attività d'impresa che non può essere sottoposta a condizionamenti. Su questi temi il Partito Democratico è disponibile a discutere e a valutare tutte le iniziative opportune per migliorare l'accesso al credito delle famiglie e delle imprese.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Ceccuzzi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Pag. 102
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito del dibattito è pertanto rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 31 marzo 2009, alle 10:
Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1367 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 febbraio 2009, n. 4, recante misure urgenti in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario (Approvato dal Senato) (2263-A).
- Relatore: Paolo Russo.
La seduta termina alle 21,10.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO CAROLINA LUSSANA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2232-A
CAROLINA LUSSANA, Relatore. Il disegno di legge in esame è diretto a convertire in legge il decreto-legge n. 11 emanato il 23 febbraio scorso sulla base della straordinaria necessità ed urgenza di introdurre nell'ordinamento misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell'allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale. Si prevede, pertanto, un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati. Inoltre, riprendendo un testo approvato all'unanimità (salvo 2 voti) dalla Camera dei deputati il 29 gennaio scorso, si prevede anche l'introduzione di una disciplina organica in materia di atti persecutori. Sono legate ad esigenze di una maggiore tutela della sicurezza della collettività le norme dirette ad una più efficace disciplina dell'espulsione e del respingimento degli immigrati irregolari, nonché quelle relative ad un più articolato controllo del territorio attraverso la previsione della predisposizione di un apposito piano straordinario.
Di fronte ad una situazione di grave emergenza ed all'esigenza di dare un segnale di forza e di intransigenza nei confronti di coloro che si rendono colpevoli di delitti infamanti come quelli di violenza sessuale il Governo ha scelto la via della decretazione d'urgenza. Inoltre, il Governo si è trovato innanzi a due altre emergenze: la difficoltà di identificare nei tempi previsti dalla legislazione vigente gli stranieri irregolari che si trovano nei centri di identificazione e espulsione e non collaborano nonché l'estendersi sul territorio nazionale, in realtà locali governate dal centrodestra o dal centrosinistra, del fenomeno di associazioni di volontari che vigilano sul territorio per informare le forze di polizia sulla commissione di reati o su situazioni di pericolo per la sicurezza. Anche per questi due casi si è scelta opportunamente la via del decreto-legge, contestata nell'ambito dell'opposizione solo dal gruppo Partito Democratico. Tuttavia, considerata la delicatezza delle materie oggetto del decreto, il Governo non ha inserito - come avrebbe potuto fare - disposizioni formulate direttamente dal Governo stesso, preferendo, invece, emanare un decreto composto da disposizioni che hanno avuto un'approvazione da parte di almeno un ramo del Parlamento. Si tratta di una scelta motivata dal rispetto del Governo verso l'istituzione parlamentare che paradossalmente è stata vista dal gruppo Partito Democratico come una mancanza di rispetto del Parlamento ed in particolare di quel ramo di esso che avrebbe dovuto esaminare la disposizione approvata dall'altro ramo. Se la questione viene affrontata scevra da ideologie, come dovrebbe avvenire sempre quando si cerca Pag. 103di rafforzare la sicurezza dei cittadini, ci si rende conto che in realtà ci troviamo innanzi ad un atto di rispetto nei confronti del Parlamento. Il Governo avrebbe potuto introdurre nel decreto-legge disposizioni del tutto originarie formulate senza tenere conto di quanto il Parlamento stava facendo sulla medesima materia. La questione vera è quindi se sussistono realmente le condizioni che legittimano il Governo ad emanare un decreto-legge: la necessità ed urgenza. Secondo il Governo e la maggioranza sussistono. Secondo il Partito Democratico, non vi sono tali condizioni.
Proprio nella prima seduta in Commissione, l'onorevole Samperi ha sollevato la questione della necessità ed urgenza delle disposizioni di cui il suo gruppo condivide la ratio od il contenuto stesso. Si tratta delle disposizioni sulla violenza sessuale e sugli atti persecutori. In maniera abbastanza veemente l'onorevole Samperi ha chiesto al Ministro Mara Carfagna se i reati sessuali siano aumentati nel 2008 rispetto al 2007. Il Ministro ha risposto che rispetto ad un trend di crescita di questi reati, si è registrata nel 2008 una diminuzione. A seguito di questa risposta vi è stato da parte dell'onorevole Samperi un veemente attacco al Governo ed al Ministro, incolpati di voler strumentalizzare il fenomeno della violenza sessuale assumendolo - anche attraverso campagne di informazione - come una emergenza quando in realtà, secondo il gruppo Partito Democratico, emergenza non sarebbe. Nella risposta data dal Ministro in seduta si è vista la diversa impostazione che il gruppo Partito Democratico ha, rispetto alla maggioranza, nell'affrontare il tema della violenza nei confronti delle donne. Il Ministro non si è limitato ad affrontare il problema delle violenze alle donne sul freddo dato statistico del raffronto numerico dei casi di stupro tra il 2007 ed il 2008, ma si è posto in una ottica ben più complessa, andando ad analizzare il fenomeno nella sua reale complessità e gravità, che esula da un dato numerico che peraltro non è neanche un indice sicuro del fenomeno della violenza sessuale, considerato che molti reati non vengono neanche denunciati dalle donne. La violenza è un reato di assurda gravità che sostanzialmente è in grado di uccidere nell'anima la donna che lo subisce. È un fenomeno che è destinato a crescere se non si pongono immediatamente delle risposte. La trasformazione della nostra società in una società sempre più complessa e caratterizzata da disagi sociali porta anche ad un aumento del rischio dei reati nei confronti dei soggetti più deboli, tra i quali - non certo per una ragione ontologica ma per ragioni inerenti alle dinamiche dei rapporti sociali - rientrano anche le donne. La differenza tra la maggioranza e l'opposizione (almeno come gruppo Partito Democratico) è tutta nella riposta data dal ministro in Commissione: il decreto legge si giustificherebbe anche se servisse ad evitare un solo episodio di violenza sessuale. Devo però dire che successivamente il confronto in Commissione ha assunto una valenza maggiormente costruttiva.
Dopo un impatto che sembrava prefigurare un esame in Commissione condizionato da ideologie e slogan vi è stata da parte di tutti la presa d'atto che ci troviamo innanzi ad una vera e propria emergenza da fronteggiare attraverso un complessivo e mirato sistema di misure di modifica dell'ordinamento vigente che, allo stato, appare inadeguato per risolvere e contrastare un fenomeno di inaudita gravità. Il decreto-legge affronta il fenomeno sotto alcuni particolari aspetti, lasciando il resto all'esame in corso presso la Commissione Giustizia dei diversi progetti di legge in materia di violenza sessuale. A questo proposito vorrei ricordare che proprio da domani inizierà l'esame degli emendamenti al testo unificato. Il decreto-legge fornisce solo alcune risposte immediate ed urgenti. Sono state quindi introdotte norme che prevedono l'ergastolo nel caso che la morte avvenga in occasione di violenze sessuali o sia procurata da soggetti che abbiano tenuto condotte persecutorie, l'estensione dell'obbligatorietà della custodia cautelare in carcere e dell'arresto in flagranza ai reati di violenza Pag. 104sessuale, l'inapplicabilità a tali reati, in alcuni casi, delle misure alternative di detenzione nonché il gratuito patrocinio indipendentemente dai limiti di reddito. Come si è detto le norme sugli atti persecutori sono quelle da poco approvate dalla Camera.
E l'inserimento nel decreto ha portato un grande risultato utile e cioè quello di anticipare di almeno cento giorni (termini ordinari che trascorrono per l'approvazione di una legge dai due rami del Parlamento) l'entrata in vigore della nuova fattispecie di reato sullo stalking. Nella passata legislatura si era perso già troppo tempo, soprattutto in virtù della scelta sbagliata di legarla all'omofobia.
Le oltre 2.770.000 vittime di stalking meritavamo una corsia accelerata.
E questo è stato lo scopo del decreto che, come ha spiegato in audizione in Commissione alla Camera il vicecapo della polizia, ha già consentito l'attuazione dei primi provvedimenti concreti: le prime imputazioni, i primi provvedimenti cautelari, i primi ammonimenti del questore.
A queste norme si aggiungono quelle sull'immigrazione volte a rendere ancora più efficace la disciplina dell'espulsione e del respingimento degli immigrati clandestini in ossequio ai principi contenuti nella direttiva 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni negli Stati membri applicabili al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Lo scopo prioritario della direttiva, infatti, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio e all'allontanamento del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, è quello di consentire agli Stati europei di disporre di adeguati periodi di tempo per l'espletamento delle procedure necessarie all'esecuzione del provvedimento di espulsione. Vi sono poi le disposizioni sul controllo del territorio al fine di garantire un maggiore livello di sicurezza per i cittadini.
Il testo trasmesso dalla Commissione all'Assemblea conferma pressoché integralmente il testo originario del decreto-legge, limitandosi le modifiche - come vedremo - a dei dettagli rispetto all'impostazione originaria del decreto.
Passando alle disposizioni del decreto-legge, questo è diviso in tre Capi.
L'articolo 1 modifica l'articolo 576 del codice penale, disciplina alcune aggravanti speciali del delitto di omicidio che comportano l'applicazione della pena dell'ergastolo. Il comma 1, lettera a), sostituisce il n. 5 del primo comma dell'articolo 576 che prevedeva, nel testo antecedente al decreto-legge in esame, l'applicazione della pena dell'ergastolo per l'omicidio commesso nell'atto di commettere taluno dei delitti già previsti dagli articoli 519 (violenza carnale), 520 (congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale) e 521 (atti di libidine violenta) del codice penale. Tali ultime disposizioni sono state abrogate a seguito della riforma di cui alla legge 66 del 1996 che ha ridisciplinato e ridefinito le diverse fattispecie di reato sessuale. Il nuovo n. 5 prevede, quindi, che si applichi la pena dell'ergastolo se l'omicidio è commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo. Il comma 1, lettera b), dell'articolo 1 aggiunge il numero 5.1) al primo comma dell'articolo 576, prevedendo la pena dell'ergastolo se l'omicidio è commesso dall'autore del delitto di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis del codice penale (introdotto dall'articolo 7 del decreto-legge in esame). Su quest'ultimo punto si è posta la questione se sia opportuno formulare la disposizione in maniera tale che risulti evidente il collegamento tra gli atti persecutori e l'omicidio.
L'articolo 2, comma 1, apporta due modifiche al codice di procedura penale.
La Commissione ha modificato la lettera a) in maniera tale che risulti ancora più evidente che la nuova disciplina relativa alle misure cautelari si applichi nei casi di violenza sessuale che non siano di minore gravità e quindi oggetto delle specifiche attenuanti previste dal codice penale. Pag. 105
In primo luogo, viene estesa l'obbligatorietà della custodia cautelare in carcere, in caso di gravi indizi di colpevolezza, per una serie di gravi delitti, quali l'omicidio, l'induzione alla prostituzione minorile, la pornografia minorile, escluso il caso della cessione, anche a titolo gratuito di materiale pornografico, le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, la violenza sessuale, gli atti sessuali con minorenne e la violenza sessuale di gruppo, esclusi i casi di minore gravità. Si tratta di una novità che servirà a scongiurare che in futuro possa capitare quanto è accaduto finora creando sconcerto nella società: la scarcerazione di soggetti imputati di taluni delitti contro la libertà individuale ed, in particolare, di quelle fattispecie che si sostanziano nella commissione di atti violenza sessuale. Considerato che sussistono gravi indizi di colpevolezza spetterà alla parte dimostrare che non vi sono le esigenze per rimanere in carcere. Una disposizione di medesimo contenuto era stata approvata dal Senato con il voto favorevole anche dell'opposizione, peraltro alla Camera si era proposto di inserirla nel testo unificato sui reati di violenza sessuale.
È stata poi prevista l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza per il delitto di violenza sessuale, con esclusione dei casi di minore gravità, e per quello di violenza sessuale di gruppo. Effetto di tale novità è la possibilità di celebrare il processo con rito direttissimo. Anche in questo caso la norma era stata approvata al Senato.
Altra novità importante in una ottica di garantire la certezza della pena è l'articolo 3 che estende una normativa più rigorosa in materia di benefici penitenziari ai reati di violenza sessuale. In questo caso si vuole evitare la scarcerazione e, quindi, l'immissione in società di soggetti che addirittura sono stati riconosciuti colpevoli di reati di violenza sessuale. Si tratta di reati così gravi per i danni che producono nelle loro vittime che non dovrebbero essere in alcun caso oggetto di benefici penitenziari. Nel testo unificato adottato dalla Commissione in materia di violenza sessuale si prevede una assoluta inapplicabilità dei benefici per i violentatori. Il decreto-legge, invece, riprendendo la norma approvata dal Senato estende la speciale disciplina prevista dall'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario anche ai condannati per i delitti di cui agli articoli: 600-bis, primo comma (induzione o sfruttamento di prostituzione minorile), 600-ter, primo e secondo comma (pornografia minorile), 609-bis (violenza sessuale) ad esclusione dei casi di minore gravità, 609-ter (circostanze aggravanti), 609-quater (atti sessuali con minorenni), nell'ipotesi più grave di compimento di atti sessuali con minori di età inferiore ai 14 o 16 anni, qualora gli atti siano compiuti da soggetti legati da vincoli familiari o con posizione di autorità o di influenza nei confronti del minore, e 609-octies (violenza sessuale di gruppo). Ciò non significa che per tali reati non siano applicabili i benefici penitenziari (i permessi premio, l'assegnazione di lavoro esterno e le misure alternative alla detenzione), quanto piuttosto che questi siano applicabili a determinate condizioni. In particolare, i benefici possono essere concessi solo se da parte del condannato vi sia stata una collaborazione con l'autorità giudiziaria. Questo è un punto su cui occorre riflettere, in quanto la disposizione contenuta nel decreto-legge non sembra raggiungere l'obiettivo: pene certe per chi commette reati gravissimi. Non può essere sufficiente la collaborazione con l'autorità giudiziaria per raggirare il divieto di applicazione delle misure alternative alla detenzione. Occorre qualcosa di più. Il dibattito in Commissione si è sviluppato proprio in tal senso. Il Governo ha dimostrato anche una certa condivisione con la ratio di un emendamento presentato dal Partito Democratico che prevedeva come condizione per l'applicazione delle predette misure la sussistenza di risultati positivi dell'osservazione della personalità del condannato condotta negli istituti penitenziari con l'ausilio dello psicologo e ove siano stati previsti nel programma di trattamento. La questione è stata poi rimessa all'Assemblea. È stata invece rimessa all'esame dei progetti di Pag. 106legge sulla violenza sessuale la questione del blocco androgenico posta dal gruppo della Lega con un emendamento che condizionava la possibilità di essere ammessi ai benefici penitenziari al fatto che volontariamente il condannato per reati sessuali si fosse sottoposto al blocco androgenico, il quale ha comunque una durata temporale limitata in ragione della sua reversibilità. Occorre chiarire che in Commissione non vi è stata una contrarietà in via astratta a tale soluzione. Si è piuttosto ritenuto opportuno non affrontarla in occasione della conversione in legge di un decreto-legge, considerato che vi sono delle questioni di natura tecnica, anche sotto il profilo sanitario, che occorre approfondire anche attraverso audizioni.
Altra novità importante che riproduce una disposizione già approvata dal Senato è l'articolo 4 che estende la norma relativa al gratuito patrocinio anche alle vittime dei reati legati alla sfera delle violenze sessuali, anche di gruppo, o del compimento di atti sessuali con minorenni, e ciò anche in deroga ai limiti di reddito. La finalità della norma, che era stata inserita anche nel testo unificato della Commissione in materia di violenza sessuale, è evidente. Si vogliono garantire alle vittime di tali reati tutte le possibilità di tutela giudiziaria che invece oggi in via di fatto possono mancare anche quando formalmente la vittima del reato abbia un reddito maggiore di quello che oggi consente di accedere al gratuito patrocinio. Troppo spesso le vittime non denunciano i reati di violenza sessuale perché non hanno di fatto possibilità economiche per quanto abbiano un reddito superiore a quello minimo previsto per il gratuito patrocinio. A tutti gli ostacoli psicologici che spesso impediscono alla vittima di denunciare il reato si aggiungono ostacoli economici. Con la norma in esame lo Stato interviene sui secondi.
Gli articoli 5 e 6 esulano dalla materia della violenza sessuale, riguardando rispettivamente l'espulsione degli stranieri e il controllo del territorio. Si tratta comunque di norme strettamente connesse al tema della violenza sessuale anche se hanno una valenza maggiore andando ad incidere su tutta la materia della sicurezza.
Per quanto attiene all'articolo 5, questo è finalizzato a rendere più efficaci le procedure di espulsione e respingimento attraverso il prolungamento del periodo di trattenimento degli stranieri irregolari nei centri di identificazione e espulsione. La connessione tra immigrazione irregolare e sicurezza è un dato di fatto e certo non è uno slogan di una propaganda politica razzista nei confronti degli immigrati irregolari. È un dato di ieri che i cittadini stranieri (comunitari ed extracomunitari) responsabili di circa il 40 per cento dei reati di violenza sessuale commessi in Italia nel 2008 rappresentano meno del 6 per cento della popolazione residente. Il dato non deve essere letto superficialmente nel senso che una minoranza delle violenze sessuali è commessa da extracomunitari, ma nel senso dell'alta percentuale di extracomunitari che commettono reati di violenza sessuale, visto che a fronte di una popolazione di extracomunitari inferiore al 6 per cento di quella complessiva ben il 40 per cento dei reati di violenza sessuale è commesso da quella ristretta fetta della popolazione.
Un primo punto fermo deve essere questo: non vi è da parte di nessuno alcun atteggiamento razzista nei confronti degli extracomunitari. Piuttosto, vi è una presa d'atto supportata anche da dati statistici: la stretta connessione tra aumento della criminalità ed immigrazione clandestina.
Altro punto da chiarire è il seguente: le norme introdotte dal decreto in tema di immigrazione non sono una invenzione xenofoba del Governo, quanto il recepimento di una direttiva comunitaria. L'attuale normativa prevede un periodo di trattenimento nei Centri di identificazione di trenta giorni prorogabili, con convalida del giudice di pace, di ulteriori trenta giorni. In ossequio ai principi contenuti nella direttiva 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, il decreto prevede che, in caso di mancata Pag. 107cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il periodo di trattenimento è allungato a sessanta giorni, prorogabili di ulteriori sessanta giorni, sempre previa convalida del giudice di pace, fino ad un periodo massimo complessivo di trattenimento non superiore a centottanta giorni. Nella relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge di conversione si legge che «la disposizione appare necessaria, in quanto l'esperienza consolidata degli ultimi anni ha dimostrato la non sufficienza del tempo massimo previsto dalla legge Fini-Bossi per il trattenimento: alcuni Paesi di origine trasmettono i documenti indispensabili per il rimpatrio con notevole ritardo, ovvero non consentono la restituzione dei loro cittadini se non per poche unità per volta; la necessità è altresì confermata dalla circostanza che autori di gravi delitti (come è accaduto a Bologna qualche giorno fa), una volta scarcerati per decorrenza dei termini di detenzione in carcere non sono ancora identificati e non riescono a esserlo in sessanta giorni. La disposizione appare inoltre urgente perché vi è l'elevata probabilità che nella sola isola di Lampedusa centinaia di stranieri irregolari, proprio per le difficoltà relative alle modalità di rimpatrio, tornino in circolazione entro la fine di marzo».
Altra norma estremamente importante in chiave di sicurezza è l'articolo 6, che detta disposizioni in tema di controllo del territorio. Tutti sappiamo che la sicurezza non si garantisce solo attraverso le norme penali. Occorre in primo luogo il controllo del territorio. Questo, naturalmente, spetta agli organi di polizia. Lo Stato non può abdicare in questa sua funzione primaria per il benessere dei cittadini. Per assicurare questa funzione occorrono risorse adeguate di mezzi e di personale, che il decreto mira ad assicurare tenendo conto della situazione economico-finanziaria generale. Invece, il dibattito si è incentrato su quelle che, adottando una terminologia fuorviante, sono state definite come le ronde dei cittadini. In realtà, il decreto-legge, riprendendo esperienze che da anni sono in corso presso comuni di centro-destra e di centro-sinistra, ha previsto la possibilità dei sindaci di avvalersi di associazioni tra cittadini non armati, al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle forze di Polizia dello Stato, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale. Le associazioni sono iscritte in un apposito elenco. I requisiti di iscrizione nell'elenco, con le relative modalità di tenuta, nonché la definizione degli ambiti operativi sono demandati ad un apposito decreto del Ministro dell'interno. Ciò consentirebbe al Parlamento di adottare eventuali atti di indirizzo. La verifica dei prescritti requisiti nonché il loro periodico monitoraggio è attribuita alla stessa autorità provinciale di pubblica sicurezza con l'ausilio del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. La norma stabilisce, inoltre, che i sindaci, per lo svolgimento dell'attività di cui trattasi, debbano prioritariamente avvalersi delle associazioni costituite tra personale in congedo delle Forze dell'ordine, delle Forze armate e degli altri Corpi dello Stato. È preclusa, invece, la possibilità per il sindaco di avvalersi delle altre associazioni qualora destinatarie di risorse economiche a carico della finanza pubblica. Oggi, secondo dati del Viminale, in centinaia di comuni ci sono iniziative di questo genere regolate, nella migliore delle ipotesi, da un regolamento comunale. Per lo più si assiste ad iniziative che esprimono un'esigenza, ma in modo sbagliato. Con il decreto si mira a regolare un fenomeno diffuso ed a controllarlo. Non vi è alcuna sostituzione dei cittadini alle forze di polizia, bensì è regolamentata la possibilità che cittadini associati riferiscano alle forze di polizia di situazioni di disagio o di illiceità che gli stessi hanno verificato - senza essere armati - sul territorio.
Inoltre, è prevista la possibilità per i comuni di utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico. E, altresì, stabilito che la conservazione dei dati raccolti con i suddetti Pag. 108strumenti sia limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione.
Come si è detto, il decreto-legge incrementa anche mezzi e personale a favore delle forze di polizia. In particolare, si prevede l'attuazione di un apposito piano straordinario di controllo del territorio, in particolare anticipando al 31 marzo 2009 la disposizione contenuta nell'articolo 61, comma 22, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, di stabilizzazione della finanza pubblica, che, in deroga alla normativa vigente, autorizza l'assunzione di personale delle Forze di polizia e del Corpo dei Vigili del fuoco. Inoltre è prevista, per le urgenti necessità di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, la riassegnazione immediata al Ministero dell'interno, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite di 100 milioni di euro, delle risorse oggetto di confisca, nelle more dell'adozione del decreto attuativo della disposizione contenuta nel decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143 convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, sul Fondo unico giustizia previsto. Questo limite è stato portato dalla Commissione a 150 milioni con un emendamento che secondo la Commissione bilancio non avrebbe copertura finanziaria. La questione è stata rimessa all'esame in Assemblea.
Il capo II contiene norme in materia di atti persecutori. Trattandosi della stessa disciplina approvata dall'Assemblea il 29 gennaio scorso ritengo che non sia opportuno, o che sia quantomeno superfluo, illustrare tali disposizioni all'Assemblea stessa.
Il capo III reca la copertura finanziaria.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCO CECCUZZI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE N. 1-00109
FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il tema che affrontiamo oggi è di grande interesse per tutti gli italiani che sono alle prese con questa fase profondamente recessiva dell'economia, i cui effetti si scaricano soprattutto sulle famiglie con i redditi più bassi e sulla struttura produttiva del paese e per questo trova ancora maggiore attenzione da parte del Partito Democratico.
Sono gravissime le responsabilità, per quanto è accaduto, delle principali autorità responsabili della politica economica del paese, di quelle di regolazione e di governo della moneta, del credito e dei mercati finanziari, nonché del pensiero liberista che, laddove ha potuto, ha cercato di demolire ogni politica tesa a temperare l'azione del mercato con l'interesse generale, rappresentato dalle politiche pubbliche, tornate oggi prepotentemente necessarie dopo che il mercato ha dimostrato che oltre che produrre, può anche bruciare ricchezza.
Il centro di ricerche Global Insight ha, infatti, calcolato che in poco più di un anno, dal settembre 2007 alla fine di novembre del 2008, nei soli Stati Uniti sono andati perduti, sommando il calcolo di valore delle case e quello delle borse e delle altre attività finanziarie, 9 trilioni di dollari: novemila miliardi di euro, una cifra perfino difficile da concepire, pari all'incirca ai Pil di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna messi insieme.
Gli interventi legislativi in materia di credito in questo primo scorcio di legislatura sono stati assai numerosi, basti citare solo tre decreti come il n. 155, il n. 157, ed il n. 185 del 2008, senza dimenticare che misure che riguardano il consolidamento del debito delle piccole e medie imprese si trovano nello stesso decreto n. 5 del 2009, che ha appena cominciato l'esame dell'Aula proprio stamattina.
Un provvedimento nel quale è stata anche inserita, del tutto in sordina, come abbiamo già denunciato in Commissione, la trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti, che amministra il risparmio postale che nel nostro paese sfiora i 200 miliardi di euro, in una banca commerciale, Pag. 109con la possibilità di operare direttamente sul mercato dei finanziamenti alle imprese.
Considerate le funzioni ad essa attribuite sino ad oggi, ed il particolare assetto azionario della Cassa, per il 70 per cento del Ministero del Tesoro e per il 30 per cento possedute da 66 azioni sulle 87 operanti in Italia, riteniamo che questa rapida evoluzione, che il Governo ha voluto sottrarre ad un esame necessariamente più attento del Parlamento, potrebbe costituire un supplemento di indagine conoscitiva da parte dell'Autorità Garante per il mercato e per la concorrenza.
Ci permettiamo di suggerirlo ad una istituzione verso la quale abbiamo grande rispetto e della quale apprezziamo le finalità della propria azione, come scritto nelle considerazioni inclusive rivolte al Parlamento, al termine dell'indagine sulla corporate governance di banche e compagnie di assicurazione, laddove l'Autorità auspica «la formazione di nuovi assetti di mercato in grado di operare, correttamente regolati, in modo concorrenziale».
Comprendiamo, infatti, come l'anomalia della Cassa Depositi e Prestiti, che rappresenta un fenomeno palesemente distorsivo della concorrenza, nella raccolta e nella gestione beatamente monopolista del risparmio postale, un asset niente affatto trascurabile della ricchezza del paese, non venga sollevato dalle banche, che ne sono indubbiamente danneggiate, dal momento che il loro rafforzamento patrimoniale, peraltro tardivo, passa per il « collo di bottiglia» della approvazione del Ministero del tesoro.
La questione non può essere trascurata dal momento che, secondo diverse analisi, l'andamento negativo della borsa italiana ha provocato una contrazione del 6 per cento della ricchezza delle famiglie. Proprio l'allocazione del risparmio delle famiglie in forme prudenziali ma al meglio remunerate, in una fase segnata da bassi tassi d'interesse, trova nel risparmio postale uno sbocco rilevante. A questo si aggiunge la fuga delle famiglie dal risparmio gestito, che rappresenta a tutti gli effetti una industria in crisi e che chiama in causa un altro, macroscopico e da tempo irrisolto conflitto d'interesse.
Nella «banca universale», che si è infatti andata affermando negli ultimi quindici anni, è insieme allocata la fabbrica dove viene pensato e realizzato il prodotto finanziario, la rete commerciale di distribuzione che provvede alla vendita alla clientela. È naturalmente più forte l'interesse della banca a favorire se stessa, cioè a vendere, che a rappresentare gli interessi del cliente. Una dinamica che mette in pressione anche i troppo spesso dimenticati lavoratori del credito, ai quali vengono assegnati obiettivi di vendita sempre più alti.
Si tratta di una catena nella quale si abbassano le garanzie per i risparmiatori che peraltro, nonostante l'entrata in vigore della Mifid, non sono in grado di leggere i prospetti informativi, rispetto ai costi di gestione del prodotto che sono troppo alti, al profilo di rischio, al rendimento, alla sua generale convenienza.
Queste considerazioni e sensazioni sono confermate anche da quanto emerge da una ricerca condotta da Boston Consulting Group a fine 2008 e secondo la quale un terzo degli italiani, a seguito della crisi investirà meno in Borsa, e sceglierà piuttosto prodotti di risparmio più stabili, considerando peraltro che il fattore di acquisto più importante è considerato «la piena comprensione del contenuto che si compra» mentre al secondo posto viene segnalata la «protezione del capitale».
Per gli italiani è anche cambiata la percezione del sistema bancario, basti pensare che è raddoppiata la percentuale dei clienti pronta a cambiare la banca di riferimento. Questa propensione è un fatto assolutamente positivo che deve essere sostenuto ed incoraggiato. Il consumatore che cambia, infatti, sceglie istituti con un'offerta, un approccio e servizi migliori. Potrebbe crearsi quindi un circuito virtuoso che porterà le banche a migliorare la propria offerta e di conseguenza ad un elevamento medio della qualità fornita.
Accanto alla necessità di affermare trasparenza e vantaggi per i consumatori sui Pag. 110mutui immobiliari e sulla commissione di massimo scoperto, sui quali è molto importante l'azione dell'Autorità per rafforzare l'azione di chi come il Pd, insieme all'Italia dei Valori, ne ha fatto un terreno di forte e decisa iniziativa politica senza alcuna esitazione avverso chi resiste - banche in primis ma anche governo colpevole di interventi spot privi di qualsiasi efficacia - ci permettiamo di aggiungere il risparmio gestito. È certamente vero che i primi due interessino un numero maggiore di consumatori, ma nessuna istituzione può trascurare questo elemento che è divenuto integrativo del reddito e della previdenza per milioni di famiglie.
Grazie ad un nostro emendamento al decreto n. 185 nel nostro ordinamento sono state introdotte sanzioni, apprezzate dal Governatore della Banca d'Italia nell'ultima audizione in Commissione Finanze, verso gli intermediari che ostacolino la portabilità del mutuo - introdotta nel 2007 dal decreto Bersani - da una banca all'altra, destinandone i proventi al finanziamento del fondo per le famiglie in difficoltà al pagamento della rata del mutuo e del quale è atteso, a breve, il regolamento di gestione. Ed ancora in virtù della nostra iniziativa quest'anno i contribuenti titolari di un mutuo prima casa potranno elevare la detraibilità degli interessi passivi fino a 4.000 euro. Una soglia che, a nostro avviso, deve essere ancora aumentata.
Sulla commissione di massimo scoperto, si è giunti nel corso dell'esame alla Camera, anche qui in virtù di una convergenza frutto di una forte iniziativa dell'opposizione, all'approvazione dell'articolo aggiuntivo 2-bis del decreto n. 185 che abbiamo giudicato positivamente, benché ancora incompleto ed insufficiente.
Per questo motivo condividiamo pienamente i rilievi avanzati dall'AGMC quando scrive al Parlamento che « ritiene opportuno sollecitare un intervento chiarificatore del legislatore che al fine di pervenire ad una indicazione precisa e tassativa dei criteri di calcolo del tasso usurario, nonché interventi regolatori che esplicitino un indicatore sintetico di tutte le voci di spesa a carico dei clienti finali, comprensivo delle commissioni.»
Infine le nostre considerazioni sull'influenza degli assetti proprietari delle banche sulle condizioni commerciali poste alla clientela.
La fotografia del «capitalismo familiare o relazionale» Made in Italy che in tante occasioni abbiamo criticato, ora è ufficiale perché l'ha scattata l'Antitrust, confermando che in Italia il settore finanziario è molto connesso.
Sono troppi gli intrecci azionari, secondo il garante, che portano le banche e le assicurazioni ad essere soci dei loro concorrenti. E sono troppi gli incarichi multipli conferiti alle stesse persone da imprese che dovrebbero confrontarsi solo sul mercato.
Il capitalismo di relazione ha radici molto profonde nel nostro paese. È quello che negli ultimi anni non ha fatto parlare di sé per i progetti innovativi o per una accentuata propensione al rischio d'impresa, quanto si è caratterizzato per le scalate a leva, che hanno zavorrato di debiti la società scalata, abbassandone la qualità del lavoro delle persone, dequalificandone il profilo industriale, deteriorandone la competitività sui mercati, ed andando alla ricerca di nicchie di mercato protette.
L'Autorità pone un tema centrale per il futuro del capitalismo italiano, per la modernizzazione della nostra economia, per lo sviluppo di una concorrenza nei mercati finanziari che possa andare a vantaggio dei cittadini e delle imprese, liberi e consapevoli di scegliere i servizi bancari più convenienti e le forme di investimento più adatte al proprio profilo di rischio.
La presenza delle Fondazioni ex-bancarie negli assetti proprietari delle banche è l'effetto e non la causa di questi mali dal momento che hanno riempito un vuoto «proprietario».
Esse infatti hanno dato un contributo determinante alla riorganizzazione del sistema bancario. I loro comportamenti sono oggi orientati alla valorizzazione del Pag. 111capitale investito, in armonia con il loro ruolo di investitori di lungo periodo, che consente alle aziende partecipate di perseguire i propri disegni industriali senza lo stress del rendimento a breve che ha contrassegnato negativamente tutta la fase precedente alla crisi.
Una prospettiva di breve termine ostacola innovazione, ricerca e sviluppo, diminuisce gli investimenti in capitale umano, incoraggia la ginnastica finanziaria. Fino a qualche mese fa lo stesso ruolo del bilancio aziendale era stato stravolto. Una volta era uno strumento per consentire al consiglio di amministrazione di valutare l'andamento dell'azienda e l'operato del management. Negli ultimi anni, quelli delle trimestrali roboanti e delle stock options è, invece, diventato il mezzo per produrre un continuo flusso di annunci per il mercato in modo da spingere in alto il prezzo delle azioni.
Il problema di trasparenza, in merito alla gestione coordinata delle partecipazioni, in una stessa banca da parte di più Fondazioni Bancarie, con patti di sindacato non formalizzati o esplicitati, è un tema serio che merita di essere valutato e gestito da parte della Consob che è l'autorità competente, naturalmente per tutte le società e non una singola categoria di azionisti, e del legislatore, ma solo quando la via regolamentare non appaia sufficiente.
La normativa societaria italiana viene da più parti riconosciuta come una delle più avanzate e tutelanti.
Un altro punto sul quale si dovrebbe utilmente lavorare è quello della qualifica di indipendenza degli amministratori dal momento che i meccanismi di autodisciplina delle società forse non sono stati sufficientemente efficaci. L'aspetto va affrontato e risolto naturalmente per tutti gli azionisti, nell'ambito del diritto comune, senza ricorso a normative speciali per una sola categoria di azionisti, che ne limiti l'autonomia.
Una radicale innovazione normativa sul punto appare necessaria: la previsione di archi temporali molto limitati per alternare le cariche, nonché la facilità di assumere la nozione di indipendenza nonostante il permanere di molteplici rapporti di fatto e indiretti, in più società o ambiti professionali sono profili da affrontare e superare.
Suscita qualche perplessità infine l'accostamento tra fondazioni e banche popolari poiché mentre queste ultime sono parte attiva del mercato bancario, le fondazioni sono enti non profit azionisti e quindi sono solo indirettamente coinvolti.
Il Partito Democratico può condividere l'opportunità di riformare le banche popolari. Tra le diverse proposte di legge depositate vi è un testo che mi vede come primo firmatario e sottoscritto da diversi deputati del nostro partito.
Essa si ispira al testo unificato al quale era pervenuta la Commissione Finanze del Senato, grazie al lavoro del suo presidente senatore Giorgio Benvenuto, e che aveva il merito di attenuare i limiti di partecipazione, specie per gli investitori istituzionali, di rafforzare la protezione per gli azionisti per le banche popolari quotate, pur mantenendo i caratteri essenziali della forma cooperativa. Possiamo chiedere che tutte le proposte vengano incardinate.
La crisi finanziaria degli ultimi diciotto mesi, non ha avuto gravi ripercussioni sulle banche popolari italiane, che, anzi, hanno visto il proprio modello uscire vincente dalla sfida con le grandi banche italiane. L'approccio della banca ancorata alla realtà del territorio, spesso irrisa negli anni dei maxi profitti derivanti dalla finanza, si è dimostrata un ancoraggio vincente.
Vi sono tuttavia problemi che si pongono che possono divenire opportunità da cogliere quali la rigidità del principio del voto capitario, i limiti alla raccolta delle deleghe di voto, i vincoli alla partecipazione individuale che possono determinare autoreferenzialità del management, insufficiente tutela degli azionisti, ostacoli al rafforzamento del patrimonio.
È da riflettere infine se, sia il caso, di votare un dispositivo, come quello proposto, che impegni il Governo a riformare le fondazioni e le banche popolari, perché trattasi, in primo luogo, di materia di preminente interesse parlamentare da non assegnare Pag. 112al Governo e per il fatto, come già detto, che le due materie non sono affini.
Dopo trenta interventi normativi in soli quindici anni il conflitto tra Governo, Parlamento e fondazioni bancarie si è concluso con le sentenze della Corte costituzionale nn. 300 e 301 del 2003 che ne hanno sancito la natura privata e la loro appartenenza alle libertà sociali. Questo non vuol dire che non si debba chiedere conto del loro operato, dei meccanismi di nomina dei propri organi di indirizzo e di gestione, della redditività del patrimonio, della trasparenza della attività erogativa, della coerenza della propria attività con i fini istituzionali perseguiti.
Le fondazioni bancarie, dal momento che dispongono di un patrimonio di quasi 80 miliardi di euro, debbono essere invitate a partecipare ancora di più a grandi progetti di interesse strategico per il paese come il fondo per le infrastrutture o le iniziative di housing sociale. A ben vedere in una ottica di sana e prudente gestione del patrimonio esse stesse avrebbero tutto l'interesse a diversificare i propri investimenti per evitare di concentrare il rischio in un solo settore o in una sola impresa come sono le banche, che per di più si trovano nell'epicentro della crisi e non assicurano più, almeno per questa fase, invitanti dividendi.
Per concludere il Partito Democratico è favorevole a lavorare ad ogni iniziativa che grazie all'aumento di una sana e regolata concorrenza tra operatori del credito e sui mercati finanziari, possa trasferire vantaggi su famiglie ed imprese. I costi dei servizi bancari alla clientela sono ancora troppo alti, e divengono insostenibili in una situazione di grave recessione come questa.
Si tratta in primo luogo di monitorare con grandissima attenzione, e correttamente, l'accordo quadro tra l'Abi ed il Ministero dell'economia in merito agli impegni assunti dalle banche per il credito a famiglie e imprese, di intervenire sui mutui, sulla trasparenza delle informative al cliente sui conti correnti e sulla commissione di massimo scoperto, sul risparmio gestito, sul credito al consumo.
Bisogna essere consapevoli che la crisi finanziaria ha modificato la gerarchia dei valori. La concorrenza è scivolata verso il basso. Oggi non è facile pensare come urgente un intervento mirato ad abbattere ostacoli alla concorrenza e che non hanno un effetto immediato sui prezzi dei servizi offerti ai consumatori. Tuttavia non è sbagliato guardare oltre. La crisi passerà ed il problema di uno sviluppo «sano» delle imprese rimane. Questo nell'interesse dell'Italia è l'impegno del Partito Democratico.