FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 536

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
DORI, D'ORSO

Modifiche al codice penale, alla legge 29 maggio 2017, n. 71, e al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo e di misure rieducative dei minori

Presentata il 9 novembre 2022

  Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge, già approvata alla Camera dei deputati nella seduta del 29 gennaio 2020 nel corso della XVIII legislatura, ha l'obiettivo di favorire la precoce emersione del disagio giovanile, nonché di introdurre misure che possano adeguatamente prevenire e contrastare episodi riconducibili, in particolare, al fenomeno del bullismo in tutte le forme in cui esso si estrinseca, compreso il cosiddetto bullismo informatico o «cyberbullismo».
  L'ispirazione di fondo è quella di promuovere, prima di tutto, interventi di carattere preventivo che tengano in particolare considerazione la valorizzazione di percorsi educativi e rieducativi personalizzati rivolti non solo ai soggetti responsabili di illeciti, ma anche agli autori di condotte che, sebbene non ancora qualificabili come illecito, esprimano aggressività contro persone, animali o cose.
  Gli episodi di bullismo, così come il fenomeno della devianza minorile perpetrata in gruppo (nel mondo anglosassone individuato con il termine «baby-gang»), sono caratterizzati, infatti, da una consistenza e da una frequenza sempre più preoccupanti.
  Il bullismo come fenomeno sociale e deviante è stato oggetto di studio tra i vari esperti solo a partire dalla seconda metà del XX secolo nei Paesi scandinavi e, a partire dagli anni settanta, anche nei Paesi anglosassoni, in particolare in Gran Bretagna e in Australia.
  Per gli studiosi non esiste una definizione univoca di bullismo, sebbene ne siano state proposte diverse.
  Uno dei primi studi si deve alle indagini di Dan Olweus a seguito di una forte reazione dell'opinione pubblica norvegese dopo il suicidio di due studenti non più in grado di tollerare le ripetute offese inflitte da alcuni loro compagni. Secondo lo psicologo norvegese: «Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovverosia è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto ripetutamente, nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni». Le altre definizioni accreditate, a livello internazionale, sono quelle elaborate dagli psicologi inglesi Sonia Sharp e Peter Smith, per i quali il bullismo è: «Un tipo di azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni, e per coloro che ne sono vittime è difficile difendersi. Alla base dei comportamenti sopraffattori c'è un abuso sistematico di potere e un desiderio di intimidire e dominare».
  Secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), uno studente è vittima di bullismo quando subisce, in maniera intenzionale e ripetuta nel tempo, comportamenti aggressivi mirati a provocargli danni e sofferenze, fisicamente o psicologicamente (vittimizzazione), attraverso contatti fisici inopportuni, violenza verbale, aggressioni o manipolazione psicologica.
  Le azioni vessatorie attraverso cui il bullismo si manifesta possono essere classificate in dirette e indirette. Il bullismo diretto si caratterizza per l'attacco frontale; in quello indiretto, invece, manca il contatto fisico. Le azioni dirette possono così consistere in offese o minacce volte a svilire la vittima provocando in essa sofferenza e vergogna, mentre le azioni indirette sono finalizzate a diffamare con pettegolezzi e calunnie o a escludere la vittima dal gruppo dei pari.
  Le caratteristiche fondamentali di tale comportamento sono quindi: a) l'intenzionalità, data da un'azione consapevole e spesso premeditata, con il preciso intento di arrecare danno alla vittima; b) la persistenza, poiché l'interazione tra i soggetti non si esaurisce in un singolo episodio, ma si snoda in una serie di aggressioni reiterate nel tempo; c) l'asimmetria nella relazione, ossia lo squilibrio di forze, dovuta sia alle caratteristiche psico-fisiche individuali, sia al fatto che l'agente gode della complicità – o comunque dell'approvazione passiva – del gruppo; d) l'emarginazione della vittima, che viene isolata dagli altri soggetti, spesso timorosa di chiedere aiuti esterni e di rivelare ad altri quanto sta subendo.
  Una violenza che, con l'avvento di internet, ha trovato nuovi mezzi per essere ancora più invasiva, facendo emergere un altro fenomeno legato al bullismo, anche in questo caso diffuso soprattutto fra i giovani, il cosiddetto «cyberbullismo».
  Il cyberbullismo può essere considerato una particolare e aggravata forma di bullismo commesso tramite l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. In particolare, esso consiste nell'invio di messaggi offensivi, insulti o contenuti umilianti tramite messaggi telefonici e posta elettronica, diffusi in chat o nelle reti sociali (social network). Un aspetto che differenzia il cyberbullismo dal bullismo consiste nella natura indiretta delle prepotenze attuate in rete, in quanto non sussiste un contatto diretto tra la vittima e l'aggressore nel momento in cui gli oltraggi vengono compiuti. Il cyberbullismo si caratterizza rispetto al bullismo per la sensazione di deresponsabilizzazione da parte dell'autore del fatto a motivo del filtro costituito dal web, che non dà l'immediata percezione della gravità del danno procurato alla vittima. In particolare le comunità virtuali, oltre a garantire l'illusione dell'anonimato, tendono a spersonalizzare i rapporti, riducendo ogni possibile empatia tra la vittima e il persecutore. Considerate le caratteristiche pervasive e diffusive della comunicazione virtuale, le offese divulgate attraverso la rete internet sono in grado di raggiungere una molteplicità di persone contemporaneamente e di essere trasferite dall'una all'altra potenzialmente all'infinito, amplificando notevolmente la gravità e la natura dell'attacco oltraggioso. Venendo ai dati statistici, da quanto emerge dal giornale social «Noisiamofuturo», nell'ambito scolastico, nel 2017 si sono verificati 207 episodi di violenza, di cui il 40 per cento subiti anche online.
  I dati erano allarmanti già nel 2013-2014, periodo in cui l'associazione «Telefono Azzurro» aveva calcolato che, su 3.330 consulenze sui problemi dei giovani, il 14,6 per cento dei soggetti aveva affermato di essere stato vittima di bullismo.
  Nel 2014, secondo l'indagine «Osservatorio adolescenti» promossa dalla stessa associazione «Telefono Azzurro» e rivolta a un campione di 1.500 studenti di età compresa tra undici e diciannove anni, il 34 per cento dei ragazzi ha affermato di aver subito atti di bullismo.
  Dal rapporto dell'ISTAT del 15 dicembre 2015 (con riferimento all'anno 2014) è emerso che il 50 per cento dei ragazzi tra undici e diciassette anni «riferisce di essere rimasto vittima di un qualche episodio offensivo o violento».
  Secondo quanto si rileva dal rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese/2016 (del 2 dicembre 2016), il 52,7 per cento dei ragazzi tra undici e diciassette anni, nel corso dello stesso 2016, ha subito comportamenti offensivi, non rispettosi o violenti da parte di coetanei. La percentuale sale al 55,6 per cento tra le ragazze e al 53,3 per cento tra i ragazzi più giovani di 11-13 anni. Quasi un giovane su cinque (19,8 per cento) è oggetto di questo tipo di soprusi almeno una volta al mese, un'eventualità più ricorrente tra i giovanissimi (22,5 per cento). Su internet sono le ragazze a essere oggetto in misura maggiore degli attacchi dei coetanei cybernauti (24,9 per cento).
  I 47,5 per cento degli oltre 1.800 dirigenti scolastici interpellati dal Censis indica i luoghi di aggregazione giovanile come quelli in cui si verificano più frequentemente episodi di bullismo, poi il percorso tra la casa e la scuola (34,6 per cento) e la scuola medesima (24,4 per cento). Ma è sul web che il bullismo trova ormai terreno fertile, secondo il 76,6 per cento dei soggetti intervistati. Nel corso della propria carriera, il 75,8 per cento dei dirigenti scolastici si è trovato a gestire casi di bullismo.
  Per l'80,7 per cento dei dirigenti scolastici, i genitori tendono a minimizzare, qualificando tali episodi come «scherzi» tra ragazzi, quando sono i loro figli a essere coinvolti in episodi di bullismo, e solo l'11,8 per cento segnala atteggiamenti collaborativi da parte delle famiglie, a seguito della richiesta di aiuto della scuola e degli insegnanti. Il 51,8 per cento dei dirigenti ha organizzato incontri con i genitori sulle insidie del web, avvalendosi prevalentemente del supporto delle Forze di polizia (69,4 per cento) e di psicologi od operatori delle aziende sanitarie locali (49,9 per cento).
  Nonostante l'impegno delle scuole, non vi è stata un'equivalente risposta delle famiglie, la cui partecipazione è risultata bassa nel 58,9 per cento dei casi, media nel 36 per cento e alta in un marginale 5,1 per cento di scuole. Davanti a tali fenomeni i genitori restano spesso impotenti, ignorando in molti casi gli strumenti d'intervento più adeguati. Per contrastare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo è essenziale il rafforzamento del ruolo educativo dei genitori, che, con i loro comportamenti, costituiscono un modello per i figli.
  Nel novembre 2021 il Ministero dell'istruzione ha reso noti i dati della piattaforma Elisa su bullismo e cyberbullismo. I dati sono stati tratti da una campagna di monitoraggio avviata sul fenomeno del bullismo all'interno delle scuole. Al monitoraggio hanno partecipato 314.500 studenti che frequentano 765 scuole statali secondarie di secondo grado e 46.250 docenti di 1.849 Istituti scolastici statali.
  Dall'indagine è emerso che:
  il 22,3 per cento degli studenti e studentesse delle scuole superiori è stato vittima di bullismo da parte dei pari (19,4 per cento in modo occasionale e 2,9 per cento in modo sistematico);
  il 18,2 per cento ha preso parte attivamente a episodi di bullismo verso un compagno o una compagna (16,6 per cento in modo occasionale e 1,6 per cento in modo sistematico);
  l'8,4 per cento ha subito episodi di cyberbullismo (7,4 per cento in modo occasionale e 1 per cento in modo sistematico);
  il 7 per cento ha preso parte attivamente a episodi di cyberbullismo (6,1 per cento in modo occasionale e 0,9 per cento in modo sistematico).
  Molti studenti fanno notare di aver subito bullismo basato sul pregiudizio:
  il 7 per cento ha subito prepotenze a causa del proprio background etnico (5,5 per cento occasionale e 1,5 per cento sistematico);
  il 6,4 per cento ha subito prepotenze di tipo omofobico (5 per cento occasionale e 1,4 per cento sistematico);
  il 5,4 per cento risulta aver subito prepotenze per una propria disabilità (4,2 per cento occasionale e 1,2 per cento sistematico).
  Emerge che all'interno della scuola, nonostante sia stato nominato, risulta sconosciuta la figura del docente referente, e che solo l'11,5 per cento conosce in maniera approfondita le linee guida Orientamento 2021. Meno del 50 per cento sono le scuole che hanno attuato il protocollo di presa in carico delle situazioni di bullismo e cyberbullismo.
  Secondo una ricerca di Telefono Azzurro e Doxa Kids (2018), il rischio di incontrare questi fenomeni è percepito sia dai bambini più piccoli (8-11 anni), sia dai ragazzi (12-18 anni). La linea di Ascolto e Consulenza 1.96.96 è da anni punto di riferimento per le richieste di aiuto di bullismo e cyberbullismo. Nell'anno scolastico 2018/2019, il Centro di Ascolto e Consulenza ha gestito più di 1 caso al giorno per fenomeni di bullismo e cyberbullismo. In totale i casi gestiti sono stati 382, 112 casi in più rispetto al medesimo periodo di riferimento per l'anno scolastico 2016-2017 (n. 270). L'età delle vittime si sta abbassando: è un trend in crescita quello che vede come vittime bambini sempre più piccoli, anche a partire dai 5 anni (22 per cento dei casi nel bullismo, 5 per cento nei casi di cyberbullismo). Le richieste di aiuto per episodi di cyberbullismo sono più frequenti nelle scuole secondarie di primo grado e proseguono in adolescenza (più di 1 richiesta su 2 coinvolge preadolescenti).
  I dati dimostrano, dunque, come il fenomeno del bullismo e della violenza in genere, soprattutto tra gli adolescenti, sia diffuso: pertanto è necessaria e urgente una particolare attenzione da parte delle famiglie, delle istituzioni, soprattutto quelle scolastiche, e di tutti gli altri attori sociali tramite la messa in opera di nuovi strumenti sul piano sia della prevenzione sia della repressione. Si sta abbassando sempre più l'età nella quale si commettono azioni che, seppur non gravi in sé, sono l'anticamera di comportamenti che, in futuro, potrebbero sfociare nella delinquenza.
  Secondo quanto appare dagli ultimi recenti fatti di cronaca, il fenomeno assume anche nuove forme: interessa diversi ambienti sociali anche extrascolastici e sono numerosi, ormai, gli episodi dei quali rimangono vittime anche persone adulte, tra cui gli stessi docenti. Un'altra realtà preoccupante è rappresentata dalla diffusione di comunità virtuali create tra genitori, spesso con lo scopo di scaricare sulla scuola la responsabilità degli esiti negativi dei comportamenti dei propri figli.
  A fronte di questa situazione si rileva che, sotto il profilo penalistico, non esiste attualmente una disposizione normativa idonea a comprendere e, conseguentemente, a sanzionare tutte le forme di bullismo penalmente rilevanti.
  La giurisprudenza di legittimità sino ad oggi chiamata a giudicare alcuni recenti episodi, in assenza di una specifica norma penale incriminatrice, ha inteso, generalmente, sussumere tali condotte illecite nell'ambito del reato di atti persecutori (cosiddetto «stalking») di cui all'articolo 612-bis del codice penale (Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 28623 dell'8 giugno 2017).
  Infatti, le condotte sono accomunate, oltre che dalla serialità delle vessazioni, dall'alterazione delle condizioni di vita della vittima, unitamente all'accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità fisica.
  Tuttavia, l'attuale fattispecie del reato di atti persecutori non risulta sufficiente per contrastare con fermezza la diffusione di quelli che sembrano essere diventati, tra i nostri più giovani cittadini, dei veri e propri modelli comportamentali negativi, connotati da un forte spirito di prevaricazione e di aggressività.
  Vi è altresì da aggiungere che, nonostante il recente intervento in materia operato dalla legge 29 maggio 2017, n. 71, la tutela predisposta non appare sufficiente, in quanto è stata introdotta una disciplina finalizzata alla prevenzione del solo fenomeno del cyberbullismo in ambito scolastico e per la tutela delle sole vittime minorenni, senza però incidere sul profilo penalistico.
  Deriva da ciò la necessità di apportare modifiche al primo comma dell'articolo 612-bis del codice penale, per comprendervi espressamente tutte le condotte attraverso le quali il bullismo può concretamente estrinsecarsi, così che sia possibile perseguire gli atti di cyberbullismo mediante il vigente secondo comma del medesimo articolo 612-bis, che consente di qualificare il cyberbullismo come forma aggravata del bullismo.
  D'altronde, gli ultimi fatti di cronaca relativi a spiacevoli episodi di bullismo e di cyberbullismo hanno lasciato sbigottita l'intera collettività rendendola più consapevole delle devastanti conseguenze fisiche e psichiche di tali illecite pratiche sulla vittima, a volte indotta persino al suicidio. Ecco perché alcuni comportamenti non possono essere tollerati, ma vanno fermamente contrastati in una società che voglia far valere concretamente i princìpi e i valori costituzionali della libertà, dell'eguaglianza e della solidarietà sociale.
  Quest'iniziativa legislativa mira, pertanto, da una parte, a colmare una lacuna ordinamentale che non può continuare a persistere, considerate la gravità e la diffusione che certe forme di bullismo stanno assumendo negli ultimi anni; per altro verso, essa si propone di lanciare un'operazione culturale rivolta ai soggetti di minore età. Questi ultimi devono essere resi edotti del fatto che alcune condotte integrano un fatto di reato connotato da un grave disvalore sociale.
  In questo quadro, il ruolo delle famiglie e della scuola deve essere centrale. Da una parte, le famiglie, consapevoli della gravità di questi fenomeni, devono adempiere in maniera responsabile ai loro obblighi educativi; in questo senso la presente proposta di legge potrebbe considerarsi anche attuazione del principio contenuto nell'articolo 30 della Costituzione, là dove pone a carico dei genitori il dovere, e non solo il diritto, di educare i propri figli. Dall'altra parte, la scuola deve essere sostenuta nella sua azione educativa da strumenti normativi chiari e facilmente applicabili. A tale fine, al dirigente scolastico è attribuito espressamente il potere-dovere di segnalare alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni le situazioni nelle quali i comportamenti degli studenti iscritti all'istituto scolastico siano riconducibili ai fenomeni del bullismo o del cyberbullismo.
  La proposta di legge si compone di 9 articoli.
  L'articolo 1 interviene sul delitto di atti persecutori, previsto dall'articolo 612-bis del codice penale, per estendere l'ambito oggettivo dell'illecito penale alle condotte di reiterata minaccia e molestia che pongono la vittima in una condizione di emarginazione.
  In particolare, la riforma (lettera a)) interviene sul primo comma dell'articolo 612-bis per aggiungere ai possibili eventi prodotti dalle condotte reiterate di minaccia o molestia – che attualmente possono cagionare «un perdurante e grave stato di ansia o di paura» oppure ingenerano «un fondato timore per l'incolumità» della vittima, di un suo prossimo congiunto o del partner, oppure costringono la vittima ad «alterare le proprie abitudini di vita» – anche la condizione di emarginazione della vittima.
  La condizione di emarginazione non è attualmente definita dal codice penale, ma il concetto è richiamato dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sezione IV, sentenza n. 5905 del 2018) sul mobbing, definito anche come «danno da emarginazione». Secondo il Giudice amministrativo, ai fini della configurabilità della condotta lesiva di mobbing è rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, «che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell'ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell'ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza».
  Per quanto riguarda la pena applicabile al reato di atti persecutori, è opportuno ricordare l'inasprimento operato dalla recente legge n. 69 del 2019 (cosiddetta legge sul codice rosso), che ha previsto la reclusione da un anno a 6 anni e 6 mesi.
  La riforma non interviene sul secondo comma dell'articolo 612-bis codice penale, che prevede una aggravante (pena aumentata fino a un terzo) oltre che quando gli atti persecutori sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, anche quando il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. Intervenendo sul terzo comma dell'articolo 612-bis, la proposta di legge (lettera b)) aggiunge all'attuale aggravante per fatto commesso in danno di minore (di donna in gravidanza e di disabile) ovvero con armi o da persona travisata, l'aggravante per fatto commesso da più persone. Tali aggravanti comportano un aumento della pena fino alla metà.
  La proposta di legge, infine (lettera c)), inserisce un comma nell'articolo 612-bis codice penale per prevedere in caso di condanna per il reato di atti persecutori la confisca obbligatoria degli strumenti informatici e telematici eventualmente utilizzati per commettere il reato.
  La riforma non modifica l'ultimo comma dell'articolo 612-bis codice penale, con la conseguenza che, anche per le condotte reiterate di minaccia o molestia che provocano emarginazione, il delitto è punito a querela della persona offesa (il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi; la remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate). Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
  L'articolo 2 della proposta di legge modifica la contravvenzione prevista dall'articolo 731 del codice penale in caso di inosservanza dell'obbligo scolastico.
  Si ricorda che attualmente l'articolo 731 del codice penale punisce con l'ammenda fino a 30 euro chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza di un minore, omette, senza giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione elementare.
  Si tratta di un reato a soggettività ristretta, che può essere commesso da genitori, tutori, adottanti, affidatari, responsabili degli istituti di assistenza, pervenendo, in sostanza, ad una coincidenza tra i soggetti destinatari dell'obbligo penalmente sanzionato e i soggetti responsabili dell'adempimento dell'obbligo scolastico che, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 76 del 2005 sono «i genitori dei minori o coloro che a qualsiasi titolo ne facciano le veci».
  La condotta può essere posta in essere soltanto attraverso un'omissione e – data la natura contravvenzionale – non rileva l'elemento soggettivo che può essere, indifferentemente, il dolo o la colpa. Il reato è attribuito alla competenza del giudice di pace (articolo 4, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 274 del 2000).
  Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della norma penale, la disposizione utilizza tanto nella rubrica, quanto nel testo, l'aggettivo «elementare».
  Ciononostante, fino al 2010, la contravvenzione si applicava anche per l'inosservanza dell'obbligo di frequenza della scuola media in virtù dell'articolo 8 della legge n. 1859 del 1962 (Istituzione e ordinamento della scuola media statale), che prevedeva in caso di violazione dell'obbligo scolastico l'applicazione delle «sanzioni previste dalle vigenti disposizioni per gli inadempimenti all'obbligo dell'istruzione elementare».
  Con l'abrogazione di questa norma da parte del decreto legislativo n. 212 del 2010, nessuna norma penale punisce attualmente l'inosservanza dell'obbligo scolastico della scuola media anche inferiore, sicché l'eventuale estensione dell'articolo 731 a detta ipotesi si risolverebbe in un'inammissibile interpretazione analogica in malam partem. In questo senso si è espressa la Corte di cassazione (sezione III, sentenza n. 4520 del 2017) affermando che l'articolo 731 non ha contenuto meramente sanzionatorio dell'obbligo scolastico previsto da varie leggi di ordine pubblico che si sono succedute nel tempo e prevede una specifica condotta costituita dall'inosservanza non del generico obbligo scolastico, ma di quello specifico dell'istruzione elementare (nello stesso senso anche sezione III, sentenza n. 4523 del 2017).
  Rispetto alla formulazione vigente, la proposta di legge:
  qualifica espressamente il reato come «proprio» del genitore, dell'esercente la responsabilità genitoriale e di chiunque eserciti le funzioni genitoriali;
  innalza la pena portando l'attuale ammenda fino a 30 euro all'ammenda da 100 a 1.000 euro;
  elimina il riferimento all'istruzione elementare, prevedendo l'applicazione della norma penale in caso di violazione dell'istruzione obbligatoria.
  In merito alla durata dell'obbligo scolastico si ricorda che in base all'articolo 34, secondo comma, della Costituzione «L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita».
  Il limite minimo previsto dalla Costituzione è poi stato innalzato dal legislatore ordinario: in particolare, da ultimo, l'articolo 1, comma 622, della legge 26 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) ha stabilito che, a decorrere dall'anno scolastico 2007/2008, è obbligatoria l'istruzione impartita per almeno dieci anni e che la stessa è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L'obbligo di istruzione si assolve anche – in base al medesimo articolo 1, comma 622 – nei percorsi di istruzione e formazione professionale (che rappresentano una delle componenti del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione e la cui competenza legislativa esclusiva è delle regioni, spettando allo Stato la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni).
  L'articolo 3 della proposta di legge apporta modifiche alla già ricordata legge n. 71 del 2017, che ha dettato disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.
  La proposta di legge:
  interviene sull'articolo 1 per estendere il campo d'applicazione della legge dalla prevenzione e contrasto del solo cyberbullismo, anche alla prevenzione e contrasto del bullismo;
  interviene sull'articolo 3, il quale disciplina il tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, chiamato fra l'altro a redigere il Piano di azione integrato per il contrasto del cyberbullismo. Oltre ad ampliare l'ambito di competenza anche al fenomeno del bullismo, la riforma integra la composizione del tavolo prevedendo la partecipazione di rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri e attribuisce il coordinamento dei lavori del tavolo – e il conseguente obbligo di presentazione alle Camere di una relazione sugli esiti delle attività svolte – al Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri (la legge n. 71 attribuisce il coordinamento dei lavori del tavolo all'allora Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca MIUR – ora Ministero dell'istruzione). Al fine di garantire continuità ai lavori del tavolo la riforma ne prevede la regolare convocazione con cadenza semestrale;
  modifica l'articolo 4, relativo alle linee di orientamento che deve emanare il Ministero dell'istruzione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, estendendo anche in questo caso il campo d'applicazione di questo strumento alla prevenzione e al contrasto del bullismo. Stabilisce inoltre che le linee di orientamento, così integrate, debbano essere recepite da ogni istituto scolastico;
  introduce il nuovo articolo 4-bis, il quale prevede che le regioni possano adottare iniziative volte a fornire – anche attraverso convenzione con gli uffici scolastici regionali – alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado che ne facciano richiesta, un servizio di sostegno psicologico agli studenti. Il servizio suddetto è finalizzato a favorire lo sviluppo e la formazione della personalità degli studenti medesimi e a prevenire fattori di rischio o situazioni di disagio anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie;
  interviene sull'articolo 5, che attualmente impone al dirigente scolastico, in caso di episodi di cyberbullismo in ambito scolastico che non costituiscano reato, di informare tempestivamente i genitori (o i tutori) dei minori coinvolti e di attivare adeguate azioni educative. La riforma prevede che a fronte di tali episodi, o di episodi di bullismo, il dirigente scolastico debba anzitutto attenersi alle linee di orientamento ministeriali, quindi informare i genitori e disporre iniziative di carattere educativo che coinvolgano anche il gruppo classe. Nei casi più gravi, ovvero di condotte reiterate, quando le iniziative educative non appaiano sufficienti, il dirigente potrà coinvolgere i servizi sociali per individuare percorsi personalizzati di assistenza delle vittime e di «accompagnamento rieducativo» degli autori degli atti, oppure attivare le autorità competenti per l'adozione delle misure rieducative previste dall'articolo 25 della legge sui tribunali per i minorenni;
  infine, con disposizione di chiusura, il provvedimento prevede che ogniqualvolta nella legge n. 71 del 2017 si fa riferimento a «fenomeno del cyberbullismo» occorra riferirsi invece a «fenomeni di bullismo e cyberbullismo».
  L'articolo 4 modifica la legge sull'istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni (regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, cosiddetta «legge minorile»).
  In particolare, tramite la riformulazione dell'articolo 25 del citato regio decreto, sono apportate alcune modifiche alla disciplina delle misure coercitive di intervento non penale nei confronti di minorenni dalla condotta socialmente inaccettabile (lettera a)).
  A differenza degli interventi penali, possibili solo a partire dal quattordicesimo anno d'età e nel caso in cui il fatto costituisca reato, per l'applicazione delle misure di cui all'articolo 25 non è prevista un'età minima, e non sono tipizzate le condotte devianti che possono darvi luogo. Si tratta di un istituto introdotto con la legge 25 luglio 1956, n. 888, che ha modificato il regio decreto-legge del 20 luglio 1934, n. 1404, istitutivo del tribunale per i minorenni. La legge n. 888, dopo aver sostituito la definizione di minore traviato con quella di «minore irregolare per condotta o carattere», ha introdotto e ha messo al primo posto la misura dell'affidamento del minore al servizio sociale, quale attività di sostegno e controllo della condotta del minore, ordinata dal tribunale per i minorenni e attuata dal servizio sociale, che lascia il minore nel suo contesto familiare facendolo però seguire ed aiutare dal servizio stesso. Accanto ad essa, la medesima legge ha conservato la misura del collocamento del minore presso un istituto di rieducazione o istituto medico psico-pedagogico.
  In primo luogo, la riforma interviene sulle diverse ipotesi che consentono l'adozione delle misure rieducative del minore aggiungendo all'«irregolarità per condotta e per carattere» del minore, anche il riferimento a condotte aggressive, anche di gruppo, nei confronti di persone, animali o cose o lesive della dignità altrui.
  Diverse modifiche attengono altresì al procedimento per l'adozione delle misure.
  Attualmente esso inizia a seguito di segnalazione non obbligatoria del minore al tribunale per i minorenni da parte del pubblico ministero minorile, oppure da parte dei genitori, o dell'ufficio di servizio sociale, o degli organismi di educazione (ad esempio la scuola), o di protezione e di assistenza all'infanzia (servizi sociosanitari).
  Con la riforma, il pubblico ministero è l'unico soggetto che può riferire al tribunale sulla base delle segnalazioni ricevute da chiunque, dopo aver assunto le necessarie informazioni. L'organo competente all'adozione delle misure resta il tribunale dei minorenni (nuovo comma 1 dell'articolo 25 della legge minorile). Quest'ultimo dovrà però previamente sentire il minore stesso, i genitori o l'esercente la responsabilità genitoriale.
  Nell'ordinamento vigente il tribunale, effettuate indagini sulla personalità del minore, può disporre con decreto motivato l'applicazione della misura che ritiene più consona al caso, scegliendo fra affidamento al servizio sociale e collocamento in una struttura.
  La novità più rilevante della riforma consiste nella previsione di un intervento preliminare rispetto alle suddette misure. Tale intervento consiste nell'attivazione di un percorso di mediazione oppure nello svolgimento di un progetto di intervento educativo con finalità rieducativa e riparativa, sotto la direzione e il controllo dei servizi sociali minorili, che può essere disposto dal tribunale dei minori con decreto, nel quale dovranno essere esplicitati gli obiettivi e la durata dell'intervento (nuovo comma 2).
  La determinazione del contenuto del progetto educativo è rimessa invece ai servizi sociali territoriali e nello stesso può essere previsto il coinvolgimento del nucleo familiare del minore, tramite un percorso di sostegno all'esercizio della responsabilità genitoriale (nuovo comma 3 dell'articolo 25).
  A conclusione del progetto, il tribunale dei minorenni, sulla base della relazione predisposta dai servizi sociali, e sentito il minorenne, i genitori o gli esercenti la potestà genitoriale adotta un ulteriore decreto motivato optando tra quattro diverse soluzioni (nuovo comma 4):
  conclusione del procedimento;
  continuazione del progetto o adozione di un progetto diverso in relazione alle mutate esigenze educative del minore;
  affidamento del minore ai servizi sociali;
  collocamento del minore in una comunità, qualora gli interventi precedenti appaiano inadeguati.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche all'articolo 612-bis del codice penale)

  1. All'articolo 612-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) al primo comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero da porlo in una condizione di emarginazione»;

   b) al terzo comma, dopo le parole: «legge 5 febbraio 1992, n. 104,» sono inserite le seguenti: «o se è commesso da più persone»;

   c) dopo il terzo comma è inserito il seguente:

   «Con la sentenza definitiva di condanna è sempre disposta la confisca degli strumenti informatici e telematici utilizzati per commettere il reato».

Art. 2.
(Modifica dell'articolo 731 del codice penale)

  1. L'articolo 731 del codice penale è sostituito dal seguente:

   «Art. 731. – (Inosservanza dell'obbligo di istruzione dei minori) – Il genitore o l'esercente la responsabilità genitoriale su un minore o chiunque ne eserciti le funzioni, che ometta di impartirgli o di fargli impartire l'istruzione obbligatoria, è punito con l'ammenda da euro 100 a euro 1.000».

Art. 3.
(Modifiche alla legge 29 maggio 2017, n. 71)

  1. Alla legge 29 maggio 2017, n. 71, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) all'articolo 1:

    1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

   «1. La presente legge è volta a prevenire e contrastare i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo in tutte le loro manifestazioni, in particolare con azioni di carattere preventivo e con una strategia di attenzione e tutela nei confronti dei minori, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, privilegiando azioni di carattere formativo ed educativo e assicurando l'attuazione degli interventi senza distinzione di età nell'ambito delle istituzioni scolastiche»;

    2) al comma 2, dopo le parole: «legge, per» sono inserite le seguenti: «“bullismo” e» e dopo le parole: «in danno di minorenni,» sono inserite le seguenti; «anche se»;

   b) all'articolo 3:

    1) al comma 1, primo periodo, dopo le parole: «e il contrasto del» sono inserite le seguenti: «bullismo e del» e dopo la parola: «rappresentanti» sono inserite le seguenti: «della Presidenza del Consiglio dei ministri,»;

    2) al comma 2, le parole: «dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca» sono sostituite dalle seguenti: «dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia»;

    3) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

   «2-bis. Al fine di prevenire e contrastare fenomeni del bullismo e del cyberbullismo il tavolo di cui al comma 1 è convocato regolarmente a cadenza semestrale»;

    4) al comma 6, le parole: «Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca» sono sostituite dalle seguenti: «Ministro delegato per le politiche della famiglia» e dopo le parole: «contrasto del» sono inserite le seguenti: «bullismo e del»;

   c) all'articolo 4:

    1) al comma 1, le parole: «per la prevenzione e il contrasto» sono sostituite dalle seguenti: «recanti anche le procedure per la prevenzione e il contrasto del bullismo e»;

    2) al comma 3, dopo la parola: «autonomia,» sono inserite le seguenti: «recepisce nel proprio regolamento di istituto le linee di orientamento di cui al comma 1, anche con riferimento alle procedure da adottare per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo, e»;

   d) dopo l'articolo 4 è inserito il seguente:

   «Art. 4-bis. – (Sostegno psicologico agli studenti)1. Per l'attuazione delle finalità della presente legge, le regioni possono adottare iniziative affinché sia fornito alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, che lo richiedano, anche tramite convenzione con gli uffici scolastici regionali, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un servizio di sostegno psicologico agli studenti, al fine di favorire lo sviluppo e la formazione della personalità degli studenti medesimi nonché di prevenire fattori di rischio o situazioni di disagio, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie»;

   e) all'articolo 5:

    1) il comma 1 è sostituito dal seguente;

   «1. Salvo che il fatto costituisca reato, il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cui articolo 1, realizzati anche in forma non telematica, che coinvolgono a qualsiasi titolo studenti iscritti all'istituto scolastico che dirige, applica le procedure previste dalle linee di orientamento di cui all'articolo 4. Egli informa altresì tempestivamente i genitori dei minori coinvolti o i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale su di essi e promuove adeguate iniziative di carattere educativo nei riguardi dei minori medesimi, anche con l'eventuale coinvolgimento del gruppo costituente la classe. Nei casi più gravi ovvero se si tratti di condotte reiterate o, comunque, quando le iniziative di carattere educativo adottate dall'istituzione scolastica non abbiano prodotto esito positivo, il dirigente scolastico può coinvolgere i rappresentanti dei servizi sociali e sanitari al fine di predisporre, compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente, percorsi personalizzati per l'assistenza delle vittime e per l'accompagnamento rieducativo degli autori degli atti medesimi, ovvero può riferire alle autorità competenti anche per l'eventuale attivazione delle misure rieducative di cui all'articolo 25 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835»;

    2) al comma 2, le parole: «con specifici riferimenti a condotte di» sono sostituite dalle seguenti: «dalle procedure indicate dalle linee di orientamento di cui all'articolo 4 della presente legge, con specifici riferimenti alle condotte di bullismo e di»;

   f) le parole: «fenomeno del cyberbullismo», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «fenomeno del bullismo e del cyberbullismo».

Art. 4.
(Modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, in materia di provvedimenti del tribunale per i minorenni)

  1. Al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) l'articolo 25 è sostituito dal seguente:

   «Art. 25. – (Misure rieducative) – 1. Il Procuratore della Repubblica, quando abbia acquisito la notizia che un minore degli anni diciotto dà manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere ovvero tiene condotte aggressive, anche in gruppo, nei confronti di persone, animali o cose ovvero lesive della dignità altrui, assunte le necessarie informazioni, verifica le condizioni per l'attivazione di un percorso di mediazione oppure può chiedere al Tribunale per i minorenni di disporre, con decreto motivato, previo ascolto del minorenne e dei genitori o dell'esercente la responsabilità genitoriale, lo svolgimento di un progetto di intervento educativo con finalità rieducativa e riparativa sotto la direzione e il controllo dei servizi sociali.
   2. Il decreto di cui al comma 1 definisce gli obiettivi e la durata del progetto di intervento educativo, compresi quelli dell'attività di volontariato sociale eventualmente disposta.
   3. Il competente servizio sociale, coinvolgendo ove possibile i genitori o l'esercente la responsabilità genitoriale, definisce il contenuto del progetto di intervento educativo secondo gli obiettivi individuati nel decreto di cui al comma 1. Esso può prevedere la partecipazione del nucleo familiare mediante un percorso di sostegno all'esercizio della responsabilità genitoriale.
   4. Almeno dieci giorni prima della conclusione del progetto di intervento educativo, e comunque con cadenza annuale, il servizio sociale trasmette al Tribunale per i minorenni una relazione che illustra il percorso e gli esiti dell'intervento. Il Tribunale per i minorenni, valutate le risultanze attestate nella relazione e sentiti il minorenne e i genitori o l'esercente la responsabilità genitoriale, con decreto motivato, può, in via alternativa:

    1) dichiarare concluso il procedimento;

    2) disporre la continuazione del progetto di intervento educativo o adottare un nuovo progetto rispondente a mutate esigenze educative del minorenne;

    3) disporre l'affidamento del minorenne ai servizi sociali;

    4) disporre il collocamento del minorenne in una comunità, qualora gli interventi previsti dai numeri precedenti appaiano inadeguati.

   5. I provvedimenti previsti nel presente articolo sono deliberati in camera di consiglio, previo ascolto del minorenne che abbia compiuto gli anni dodici, o anche di età inferiore ove capace di discernimento, e sentiti i genitori o l'esercente la responsabilità genitoriale e il pubblico ministero. Nel procedimento è consentita l'assistenza del difensore. Le spese di affidamento o di collocamento in comunità, da anticiparsi dall'erario, sono a carico dei genitori. In mancanza dei genitori sono tenuti a rimborsare le spese gli esercenti la tutela, quando il patrimonio del minore lo consente»;

   b) all'articolo 26, terzo comma, le parole: «di cui all'articolo 25, n. 1,» sono sostituite dalle seguenti: «di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 25 o la misura di cui al numero 3) del comma 4 del medesimo articolo 25»;

   c) all'articolo 27, primo comma, le parole: «dal n. 1 dell'articolo 25» sono sostituite dalle seguenti: «dall'articolo 25, comma 4, numero 3)»;

   d) all'articolo 28:

    1) al primo comma, le parole: «è ricoverato per l'esecuzione di una delle misure previste al n. 2 dell'articolo 25» sono sostituite dalle seguenti: «è collocato in esecuzione della misura prevista dall'articolo 25, comma 4, numero 4),»;

    2) alla rubrica, la parola: «ricoverati» è sostituita dalle seguenti: «collocati presso comunità»;

   e) all'articolo 29, terzo comma, le parole: «ad una delle misure di cui al n. 2 dell'articolo 25» sono sostituite dalle seguenti: «alla misura prevista dall'articolo 25, comma 4, numero 4)».

  2. Per consentire la prosecuzione della sperimentazione di cui all'articolo 1, comma 250, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, negli anni dal 2021 al 2024, con la possibilità di estendere gli interventi ivi previsti, fino al compimento del venticinquesimo anno di età, nei confronti sia di soggetti già destinatari degli interventi medesimi sia di altri soggetti che si trovino nelle condizioni indicate dal citato comma 250, è autorizzata la spesa massima di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024.
  3. Agli oneri derivanti dal comma 2, pari a 3 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, di cui all'articolo 1, comma 386, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Art. 5.
(Adeguamento del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249)

  1. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono apportate al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, le modificazioni necessarie per adeguarlo ai seguenti princìpi:

   a) prevedere, nell'ambito dei diritti dello studente enunciati all'articolo 2 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, che la scuola si impegna a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare l'emersione di episodi riconducibili ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, di situazioni di uso o abuso di alcool o di sostanze stupefacenti e di forme di dipendenza;

   b) prevedere, nell'ambito dei doveri dello studente stabiliti dall'articolo 3 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, che gli studenti siano tenuti a rispettare il dirigente scolastico, i docenti, il personale della scuola e i loro compagni;

   c) integrare la disciplina relativa al Patto educativo di corresponsabilità, di cui all'articolo 5-bis del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, prevedendo che il Patto contenga l'impegno da parte delle famiglie a partecipare ad attività di formazione organizzate dalla scuola, con particolare riferimento all'uso della rete internet e delle comunità virtuali, e a collaborare con la scuola per consentire l'emersione di episodi riconducibili ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, di situazioni di uso o abuso di alcool o di sostanze stupefacenti e di forme di dipendenza.

Art. 6.
(Attività di formazione e di monitoraggio per prevenire e contrastare i fenomeni di bullismo e cyberbullismo. Educazione all'intelligenza emotiva)

  1. Il Ministero dell'istruzione mette a disposizione delle scuole proprie piattaforme di formazione e di monitoraggio, al fine di prevenire e contrastare i fenomeni di bullismo e cyberbullismo, da realizzare nel limite di una maggiore spesa pari a 100.000 euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2022.
  2. Al fine di prevenire e ridurre i conflitti in ambito scolastico sono erogati moduli di formazione specifici, anche relativi all'educazione all'intelligenza emotiva, che mirino a sviluppare relazioni positive tra pari e a promuovere rapporti interpersonali ispirati al rispetto e all'uso di forme di comunicazione non violente, da realizzare nel limite di una maggiore spesa pari a 100.000 euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2022.
  3. All'onere derivante dal presente articolo, pari a 200.000 euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2022, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 125, della legge 13 luglio 2015, n. 107.

Art. 7.
(Numero telefonico gratuito nazionale e applicazione informatica per dispositivi mobili)

  1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia è assicurato un servizio per l'assistenza delle vittime di atti di bullismo e cyberbullismo mediante il numero pubblico emergenza infanzia 114, accessibile gratuitamente e attivo nell'intero arco delle ventiquattro ore, con i seguenti compiti:

   a) fornire alle vittime, ovvero alle persone congiunte o legate a esse da relazione affettiva, un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica da parte di personale dotato di adeguate competenze;

   b) nei casi di urgenza, informare prontamente l'organo di polizia competente degli atti di bullismo e cyberbullismo segnalati.

  2. Nell'ambito dell'applicazione informatica offerta gratuitamente dal servizio 114, è prevista, per le finalità di cui al comma 1, una specifica area dotata di una funzione di geolocalizzazione, attivabile previo consenso dell'utilizzatore, nonché di un servizio di messaggistica istantanea.

Art. 8.
(Rilevazione statistica)

  1. Al fine di contrastare il fenomeno del bullismo, in tutte le sue manifestazioni, con azioni di carattere preventivo, l'Istituto nazionale di statistica, nell'ambito delle proprie risorse e competenze istituzionali, assicura lo svolgimento di una rilevazione sugli atti di bullismo che ne misuri le caratteristiche fondamentali e individui i soggetti più esposti al rischio.
  2. La rilevazione di cui al comma 1 è svolta con cadenza triennale.

Art. 9.
(Clausola di invarianza finanziaria)

  1. Salvo quanto previsto dagli articoli 4, commi 2 e 3, e 6, dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di cui alla presente legge nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.