PDL 999

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 999

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
TASSINARI, BAGNASCO, DEBORAH BERGAMINI, DE PALMA, MAZZETTI, PITTALIS, SACCANI JOTTI, TENERINI, TOSI

Modifiche agli articoli 19 e 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di durata del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, e 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, della legge 21 giugno 2017, n. 96, in materia di prestazioni di lavoro occasionali, nonché disposizioni per la detassazione dei trattamenti di fine rapporto di importo non superiore a 30.000 euro

Presentata il 15 marzo 2023

torna su

Onorevoli Colleghi! – Le grandi questioni economiche e sociali che ruotano attorno ai problemi della disciplina giuridica del mercato del lavoro continuano ad essere al centro del dibattito politico nel nostro Paese.
A vent'anni di distanza dalla sua genesi, sulla riforma che prese il nome di «legge Biagi» – la legge 14 febbraio 2003, n. 30 – si rende necessaria oggi una rimeditazione, tanto in termini di politica del diritto quanto di politica legislativa, che vada oltre lo schermo ideologico creatosi attorno a questo provvedimento.
A prescindere dalle divergenti opinioni sulle sue finalità e i relativi esiti, non può essere messa in dubbio la straordinaria portata innovativa della riforma del 2003 che, partendo dall'elaborazione teorica contenuta nel libro bianco sul mercato del lavoro dell'ottobre 2001, ispirato ai nuovi paradigmi della «flessi-sicurezza» posti alla base della politica sociale europea a partire dalla fine del secolo scorso, si è mossa su due macro-linee di intervento.
La «legge Biagi» ha introdotto una serie di strumenti che avrebbero dovuto consentire al nostro Paese di dotarsi di una struttura di politiche attive del lavoro più efficace: da un lato, ha inteso realizzare una forma più vantaggiosa dei servizi per il lavoro mediante la stimolazione della competizione fra la parte pubblica e quella privata; dall'altro ha agito sulla flessibilità in ingresso al contratto di lavoro tramite nuovi strumenti contrattuali volti a modulare regole e tutele in funzione della specificità del rapporto di lavoro.
L'idea si ricollegava al progetto, di cui Biagi era stato protagonista, volto a predisporre un nuovo statuto dei lavori, capace di superare l'egemonia del modello fondato sul solo contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, le cui rigidità erano ritenute incompatibili con la crescente disarticolazione dei modelli organizzativi dell'impresa e, per conseguenza, un ostacolo alla capacità di generare nuova occupazione.
Al di là delle apparenze, tali capisaldi hanno continuato a permeare le successive riforme, quali quella del 2012 quando il Governo Monti intervenne sugli ammortizzatori sociali e sulle sanzioni per i licenziamenti illegittimi, oppure, successivamente negli anni 2014 e 2015, con la elaborazione del Jobs Act.
Se, infatti, è vero che la legge Biagi aveva scommesso su un maggior pluralismo di tipologie contrattuali, mentre il Jobs Act aveva, al contrario, puntato sul ritorno alla centralità del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ridisegnando alcuni snodi cruciali della sua disciplina in modo da renderlo più appetibile dalle imprese e più coerente con l'evoluzione dei modelli organizzativi e delle dinamiche dei mercati globali, nondimeno, il quadro assiologico di riferimento era, anche nel Jobs Act, incardinato sui pilastri europei della maggiore flessibilità organizzativa unita allo sviluppo di misure di sostegno alla sicurezza del reddito e all'assistenza delle persone nelle fasi di transizione nel mercato del lavoro.
Nell'attuale permanenza di una simile impostazione, si deve rilevare come, ancor oggi, le resistenze al cambiamento permangano e come le stesse non giovino al mercato del lavoro: infatti, guardando ai principali indicatori, in primis al tasso di occupazione regolare, quello italiano rimane per molti aspetti uno dei peggiori mercati in ambito europeo.
In una materia come il diritto del lavoro, caratterizzata da forte idealità e anche da grandi ideologie, è quanto mai necessario operare verso il cambiamento, ma sempre cercando soluzioni effettivamente praticabili e adeguate rispetto all'epoca storica in cui si vive.
In tale contesto, la presente proposta di legge costituisce proiezione verso il «fare», proponendosi di incidere sui processi reali, tenendo conto della dirimente circostanza che oggi il mondo del lavoro è estremamente diversificato, parcellizzato.
L'attuale realtà lavorativa non è più caratterizzata dal binomio tra grandi fabbriche e, giustapposta, identità collettiva della classe operaia, ma da diverse tipologie di lavoratori, i cui problemi sono diversificati, non più coincidenti e, dunque, aumentati. Sono 25 milioni in Italia i lavoratori, fra dipendenti e autonomi, che creano valore, producono ricchezza, pensano, agiscono e sono al centro delle grandi trasformazioni sociali e culturali.
La risposta del legislatore a una simile caleidoscopica realtà del mondo del lavoro non può non muovere proprio da tale complessità e deve fornire risposte mirate alle singole categorie datoriali e di lavoratori.
Alla luce di un simile contesto, l'articolo 1 della proposta modifica la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, il cui termine viene elevato da ventiquattro a trentasei mesi, ma con la previsione di un limite minimo di diciotto mesi all'atto dell'instaurazione del primo rapporto di lavoro.
La diversa modulazione dei termini e la soppressione del rigido sistema delle causali comporterà da un lato una maggiore facilità per la parte datoriale ad assumere lavoratori a tempo determinato con contratti fino a trentasei mesi, lasso temporale maggiormente idoneo alla qualificazione professionale del lavoratore, e, dall'altro, tutelerà quest'ultimo con la previsione del termine minimo di diciotto mesi in sede di prima assunzione.
L'articolo 2 interviene, in primis, sulla disciplina del lavoro occasionale: da un lato viene aumentata la somma complessiva dei voucher intestati al prestatore sia con riferimento alla totalità degli utilizzatori, sia con riferimento a ciascun utilizzatore; dall'altro, stante la maggiore macchinosità delle procedure di utilizzo delle nuove prestazioni di lavoro occasionale rispetto a quelle previste per i vecchi voucher, si prevede la possibilità di ricorrere ai voucher cartacei per le prestazioni di lavoro occasionale rese a favore delle famiglie.
L'articolo 3, infine, reca una disposizione finalizzata alla detassazione dell'ultimo trattamento di fine rapporto percepito dal lavoratore in uscita dal mondo del lavoro per aver raggiunto la pensione di vecchiaia.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche agli articoli 19 e 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di durata del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato)

1. All'articolo 19 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole da: «a dodici mesi» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «a trentasei mesi. In sede di prima assunzione il termine non può avere durata inferiore a diciotto mesi»;

b) i commi 1.1. e 1-bis sono abrogati;

c) al comma 2, le parole: «ventiquattro mesi», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «trentasei mesi».

2. All'articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 01 è abrogato;

b) al comma 1, le parole: «ventiquattro mesi», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «trentasei mesi», le parole: «quattro volte» sono sostituite dalle seguenti: «cinque volte» e le parole: «quinta proroga» sono sostituite dalle seguenti: «sesta proroga».

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, in materia di prestazioni di lavoro occasionali)

1. All'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1:

1) alla lettera a), le parole: «5.000 euro» sono sostituite dalle seguenti: «7.000 euro»;

2) alla lettera c), le parole: «2.500 euro» sono sostituite dalle seguenti: «5.500 euro»;

b) dopo il comma 11 è inserito il seguente:

«11-bis. Alle prestazioni di cui al comma 10, lettere a), b) e c), non si applicano le disposizioni del comma 9 e gli utilizzatori possono acquistare i titoli di pagamento, numerati progressivamente e datati, presso le rivendite autorizzate».

2. Per l'attuazione delle disposizioni del comma 11-bis dell'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, introdotto dalla lettera b) del comma 1 del presente articolo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, individua il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle relative coperture assicurative e previdenziali. Fino all'emanazione del decreto di cui al primo periodo, i concessionari del servizio sono individuati nell'Istituto nazionale della previdenza sociale e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1, lettere a) e c), e 6, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Art. 3.
(Detassazione del trattamento di fine rapporto)

1. Le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto, di importo non superiore a 30.000 euro, erogate a seguito di cessazione dell'attività lavorativa per l'accesso alla pensione di vecchiaia, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano nel limite di minori entrate complessive di 500 milioni di euro annui.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, definisce, al fine di garantire il rispetto del limite di cui al comma 2, i criteri di accesso al beneficio e le modalità attuative del presente articolo.
4. Alle minori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo, nel limite di 500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024, si provvede, per l'anno 2024, mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 gennaio 2023, n. 6, e, a decorrere dall'anno 2025, mediante corrispondente riduzione del Fondo per il sostegno alla povertà e per l'inclusione attiva, di cui all'articolo 1, comma 321, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.

torna su