PDL 725

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 725

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
TONI RICCIARDI, PORTA, AMENDOLA, QUARTAPELLE PROCOPIO, CARÈ, DI SANZO, MANZI, CASU, BONAFÈ, ZINGARETTI, ORLANDO, STEFANAZZI, LAI, IACONO, GIANASSI, GIRELLI, LAUS, FASSINO, SCOTTO, FORATTINI, FERRARI, GHIO, SIMIANI, DI BIASE, BAKKALI, MADIA, D'ALFONSO, MEROLA, ZAN, BERRUTO, SERRACCHIANI, MORASSUT, FORNARO, GNASSI, MAURI, ORFINI, GRAZIANO

Istituzione della Giornata nazionale degli italiani nel mondo e delle migrazioni italiane

Presentata il 19 dicembre 2022

torna su

Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge è finalizzata all'istituzione di una ricorrenza per celebrare, divulgare e valorizzare le esperienze, le attività e il contributo apportato dai cittadini italiani all'estero nei campi della cultura e della lingua italiana, della ricerca scientifica e delle attività imprenditoriali e professionali.
L'articolo 1, al comma 1, propone di istituire la Giornata nazionale degli italiani nel mondo, da celebrare l'8 agosto di ogni anno. L'incendio nella miniera di Marcinelle, avvenuto l'8 agosto 1956 – nel quale morirono 262 lavoratori di dodici nazionalità, tra cui 136 italiani –, non rappresentò solo l'ennesimo tributo di migranti allo sviluppo economico europeo, ma anche il momento più drammatico di un'intera epopea migratoria. Marcinelle è comunemente riconosciuta come la catastrofe per antonomasia degli italiani all'estero. Non fu la prima né l'ultima, ma rappresenta uno dei tasselli più dolorosi del mosaico della migrazione italiana nel mondo. Alla faticosa ricerca di un nuovo assetto istituzionale e in una condizione di incertezza totale sul proprio futuro, l'Italia, fin dal 1946, aveva gettato le basi organizzative di uno dei più imponenti sistemi di esportazione di manodopera che la recente storia occidentale ricordi. Le piazze e i bar dei paesini, da Nord a Sud, furono tappezzati di manifesti rosa che incitavano a partire per le miniere del Belgio. Parallelamente ai centri di emigrazione, si sviluppò anche la rete dei trafficanti di migranti.
Regolari o irregolari, l'importante era che fossero tanti, un esercito chiamato a combattere la «battaglia del carbone», scavando nelle viscere della terra quella risorsa necessaria al rilancio economico dell'Europa. Molti, dopo i primi mesi, rimpatriarono o furono arrestati per il rifiuto di sottostare alle condizioni disumane per le quali Bruxelles e Roma si erano accordate: un flusso di almeno 2.000 minatori a settimana, in cambio di una fornitura di carbone, che però non arrivò mai. Inoltre, la vastità delle cifre, l'esposizione mediatica dell'avvenimento (coeva e posteriore) e i numerosi significati politici che furono attribuiti all'incidente così come molti altri fattori hanno reso la catastrofe di Marcinelle il simbolo del lato più doloroso della plurisecolare storia dell'emigrazione italiana.
Dal 2001, è stata istituita dal Governo italiano la Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, che da allora viene celebrata con molteplici significati in Italia e in Belgio ogni 8 agosto. La presente proposta intende, quindi, integrare e riscrivere la denominazione della «Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo» – individuata con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° dicembre 2001 – trasformandola in: «Giornata nazionale degli italiani nel mondo e delle migrazioni italiane».
Il comma 2 dell'articolo 1 precisa che la Giornata nazionale non è considerata giornata festiva, in quanto non determina gli effetti civili previsti dalle disposizioni in materia di ricorrenze festive di cui alla legge 27 maggio 1949, n. 260.
L'articolo 2 prevede che, in occasione della Giornata nazionale di cui all'articolo 1, siano promossi, in Italia e all'estero, cerimonie, iniziative e incontri volti a promuovere e a divulgare la storia, le attività, le esperienze e le professionalità acquisite in contesti internazionali dai cittadini italiani all'estero.
L'articolo 3, infine, reca la clausola di invarianza finanziaria.
Le migrazioni non sono mai state solo il risultato della ricerca di opportunità migliori da parte degli individui, ma anche il frutto di una complessa serie di processi economici e geopolitici. Allo stesso tempo, le migrazioni sono probabilmente una delle chiavi interpretative, tra le più significative, per comprendere il lungo processo della storia della globalizzazione, intesa nel suo senso più ampio e onnicomprensivo. Pur essendo una scelta individuale, di fatto, la migrazione è un'azione collettiva che cambia sempre più il paesaggio sociale, politico, economico e culturale del mondo, un fait social total in grado di rimodellare, nel nostro caso, il continente europeo.
Negli ultimi decenni, un numero crescente di Paesi, con alle spalle un'antica e prolungata esperienza emigratoria, si stanno confrontando con il processo inverso. Da luoghi della partenza, sono divenuti luoghi dell'arrivo, continuando a conservare la loro propensione alla mobilità. In realtà, come nel caso dell'Italia e di tanti altri Paesi europei, non esiste una cesura netta – un momento nel quale termina il flusso in uscita e si presenta quello in ingresso – ma convivono per lungo tempo processi di mobilità bidirezionale che rendono l'interpretazione meno netta e indubbiamente più complessa e articolata. Tuttavia, un momento interpretativo di quello che possiamo definire esodo di massa – pur sottolineando ove fosse necessario che la migrazione è fenomeno da sempre presente nella storia dell'umanità –, l'inizio dell'era della migrazione di massa si afferma verso la metà del XIX secolo. Dal punto di vista concettuale, già in epoca vestfaliana la migrazione era un aspetto consolidato della vita sociale e della politica economica e giocò un ruolo vitale nella modernizzazione e successivamente nel processo di industrializzazione del continente europeo.
Se il commercio di schiavi del XVIII secolo fu la più grande migrazione di massa forzata della storia, tra il 1851 e il 1914, invece, 41 milioni di europei si trasferirono volontariamente nelle Americhe e in Australia. Fino alla metà degli anni Sessanta dell'Ottocento, quasi il 70 per cento proveniva dal Regno Unito e il 20 per cento dalla Germania, nel decennio successivo il flusso fu affiancato e sostituito dalla grande diaspora italiana.
Italiani e italiane migrarono nelle Americhe e in Australia, ma anche nell'Africa mediterranea. Si stima che tra il 1876, anno della prima rilevazione statistica ufficiale italiana, e il 1914, più di 230.000 persone si trasferirono, temporaneamente o per qualche anno, in Africa, soprattutto in Tunisia, Egitto e Algeria.
Questo breve excursus sull'imperialismo e l'accenno al ruolo che all'interno di questo processo di cambiamento del mondo ebbe la migrazione sono utili per comprendere quando, dove, come e perché prese corpo la logica di utilizzare l'emigrazione quale strumento di politica economica.
Ripercorrere la storia della migrazione italiana nello spazio europeo significa utilizzarla non solo come elemento della costruzione del processo di integrazione europeo, ma soprattutto come tema all'interno di una gerarchizzazione di questioni che vedono l'emigrazione quale elemento centrale del processo di integrazione europea, che tuttora è in costante divenire. Questo approccio, tuttavia, deve intanto fare chiarezza sulla visione che il grande contributore di manodopera in Europa, l'Italia tra XIX e XX secolo, ebbe di tale fenomeno.
In realtà, nonostante le cifre ci dicano ben altro, si sviluppò una grande narrazione, forse a ragione, sulle direttrici transoceaniche, anche se l'emigrazione italiana si è strutturalmente diretta verso l'Europa. Tra il 1876 e il 1976 tale movimento si affievolì, ma senza arrestarsi fino alla metà degli anni Novanta, quando riprese con forza.
Tornando al quadro storico, l'unico momento in cui prevalsero le destinazioni extraeuropee furono i primi quindici anni del Novecento, fino allo scoppio della Grande guerra, anche se il dato delle partenze non è del tutto uniforme. Non è un caso che questo periodo corrisponda a quello dell'inizio di una legislazione organica sul tema e all'istituzione del Commissariato generale all'emigrazione. Tralasciando l'ormai nota questione statistica della difficoltà di avere cifre attendibili che siano utilizzabili sul lungo periodo, per comprendere a fondo un primo problema metodologico e in parte anche concettuale occorre valutare come fu definita l'emigrazione italiana verso l'Europa.
In realtà non lo fu affatto, nonostante diversi progetti governativi e iniziative parlamentari, come dimostra l'articolo 6 della legge 31 gennaio 1901, n. 23: «Emigrante, per gli effetti del presente capo, è il cittadino che si rechi in Paese posto di là dal Canale di Suez, escluse le colonie e i protettorati italiani, o in Paese posto di là dallo Stretto di Gibilterra, escluse le coste d'Europa, viaggiando in terza classe, o in classe che il Commissariato dell'emigrazione dichiari equivalente alla terza attuale». Visto il crescente flusso verso i Paesi europei, nel 1911 fu costituito a Milano l'Ufficio per i confini di terra, con l'incarico di offrire assistenza agli emigranti, soprattutto a donne e bambini. Dal punto di vista invece legislativo, per avere una prima definizione che comprendesse, anche se non menzionata direttamente, l'emigrazione verso l'Europa, occorrerà attendere il Testo unico dei provvedimenti sulla emigrazione e sulla tutela giuridica degli emigranti, di cui al regio decreto-legge 13 novembre 1919, n. 2205: «Salvo disposizioni speciali, è considerato emigrante, agli effetti delle leggi e dei regolamenti sull'emigrazione, ogni cittadino che espatri esclusivamente a scopo di lavoro manuale e per esercitare piccolo traffico; o vada a raggiungere il coniuge, ascendenti, discendenti, fratelli, zii, nipoti e gli affini negli stessi gradi già emigrati a scopo di lavoro, o ritorni in un Paese estero ove già precedentemente sia emigrato nella condizioni previste dal presente articolo» (articolo 10).
Se la legge del 1901 discriminava l'individuazione dell'emigrante per luogo di destinazione e per classe di viaggio, quindi non contemplando l'emigrazione verso l'Europa, nel 1919 cade la discriminante geografica e viene esplicitata la motivazione per lavoro, ma allo stesso tempo viene riconosciuto in maniera molto estesa, per grado di parentela, il ricongiungimento familiare. Un fattore determinante, almeno dal punto di vista della rilevazione statistica, anche se la dicotomia persisterà ancora nei primi decenni del secondo dopoguerra, fu l'abolizione nelle rilevazioni, a partire dal 1° gennaio del 1904, della distinzione tra emigranti temporanei e permanenti, sostituendo questa distinzione con le aree di destinazione: emigranti verso Paesi transoceanici ed emigranti verso Paesi d'Europa e del bacino del Mediterraneo (Algeria, Egitto, Tunisia, Marocco e Turchia asiatica).
Il concetto di temporaneità – o meglio definito di lavoro stagionale, che affondava le radici già in epoca medievale – ebbe la sua consacrazione nella dimensione e nelle modalità attuate nel XX secolo in Europa, a partire da Francia e Germania, per trovare la sua piena consacrazione nel secondo dopoguerra, in Francia, Svizzera e poi successivamente nell'allora Repubblica federale tedesca. Tuttavia, i settori dove questa forza lavoro fu impiegata furono innanzitutto l'agricoltura e il settore delle estrazioni minerarie, passando per il settore tessile e quello alberghiero e della ristorazione, fino all'edilizia – idealtipo dell'emigrazione temporanea del secondo dopoguerra – dove, dagli anni Cinquanta fino alle crisi petrolifere degli anni Settanta, la lingua ufficiale dei cantieri divenne l'italiano.
Se l'analisi sull'emigrazione transoceanica ha generato, per ovvie ragioni temporali, il proliferare di studi storici sul tema, l'emigrazione italiana in Europa ha visto durante la fase in cui era in corso una serie di studi che hanno interessato maggiormente gli approcci sociologici, alcuni dei quali indirizzati ad accusare il sistema della migrazione temporanea come modello di sfruttamento del sottoproletariato, che poi durante le crisi petrolifere degli anni Settanta generò realmente un processo di espulsione, di disoccupazione a livello europeo.
Al 31 dicembre 2021 risultavano censiti – iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero – 5.806.068 italiani e italiane nel mondo; di questi 3.189.905 in Europa, 1.804.291 in America meridionale, 505.567 in quella settentrionale, mentre quelli sparsi tra Africa, Asia, Oceania e Antartide erano 306.305. Se da un lato questo dato ci conferma la portata del fenomeno verso l'Europa, conseguenza di una stratificazione che deve molto all'emigrazione del secondo dopoguerra, dall'altro occorre ribadire come fino agli inizi degli anni Novanta, anno della nuova legge italiana sulla cittadinanza (legge 5 febbraio 1992, n. 91), che consentì per la prima volta la doppia cittadinanza, molti che si recavano al di fuori dell'Europa dovettero o rinunciare per ragioni varie alla cittadinanza italiana per acquisire quella del posto (Argentina, Canada e Stati Uniti), oppure vennero assimilati (Francia), o più in generale, come nel caso degli Stati Uniti e del Canada, dove il sistema dello ius soli conferiva automaticamente la cittadinanza americana, nascevano cittadini di un Paese diverso dei propri genitori. Gli effetti della legge del 1992 furono, da un lato, l'aumento dei doppi cittadini (in particolar modo in Svizzera, dove oggi più della metà ha la doppia cittadinanza) e, dall'altro, la crescita vertiginosa delle richieste di acquisizione provenienti da Paesi dell'America Latina (Argentina, Brasile, Venezuela) nel primo decennio degli anni Duemila. Infine, va sottolineato che negli ultimi quindici anni le partenze dall'Italia hanno assunto dimensioni che superano in media le 100.000 unità all'anno, tanto che in occasione del quindicesimo Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes è stato certificato un incremento complessivo, dal 2006 al 2020, del 76,6 per cento, mostrando come la crescita di questi numeri sia il risultato di una nuova mobilità verso l'Europa – in maniera minore verso gli altri continenti – e delle richieste di acquisizione di cittadinanza italiana, che in realtà significa acquisizione della cittadinanza europea. Quanto questo fenomeno abbia impattato sul dato complessivo andrebbe verificato ad esempio analizzando i flussi di arrivo di cittadini italiani in un Paese come la Spagna.
Nonostante i contributi sull'emigrazione italiana in Europa non siano mai mancati, soprattutto nei Paesi di arrivo, sul versante italiano, dopo la prima grande sintesi storiografica agli inizi del 2000, si diede inizio a una serie di lavori storici sull'emigrazione italiana nell'Europa del secondo dopoguerra. Alcuni esempi: dall'analisi sulle strategie organizzative poste in essere dall'Italia nell'immediato secondo dopoguerra al ruolo che svolsero alcuni centri di emigrazione, dall'emigrazione di genere, fino al contribuito dedicato ai rispettivi Paesi d'arrivo e ai lavori di sintesi che hanno ampliato il dibattito storiografico. Parallelamente, nello stesso periodo si è anche sviluppata una nuova attenzione verso la migrazione interna. Tuttavia, ancora oggi manca probabilmente una sintesi che riesca a mettere in correlazione la migrazione verso l'Europa del secondo dopoguerra e la migrazione interna, individuando i punti in comune tra i due processi.
Un ultimo aspetto riguarda il contributo dell'emigrazione italiana, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, alla costruzione dello spazio europeo. «Se l'europeismo dell'Italia era direttamente funzionale alla realizzazione della sua strategia per la crescita e il consolidamento nazionale», dall'altro canto, le esigenze dei Paesi che hanno accolto questa migrazione sono decisive per comprendere lentezze e processi di accelerazione, soprattutto nei primi anni Cinquanta, per arrivare a quella che sarebbe divenuta poi la libera circolazione della manodopera nello spazio europeo. Da un lato, l'impostazione italiana al tema fu quella di definirla «un'espansione internazionale degli interessi economici e politici dei singoli Stati», mentre negli ultimi anni si ritiene questo processo frutto delle strategie tedesche. In realtà, non ci fu chi primeggiò nella liberalizzazione del movimento delle persone in Europa; piuttosto, ci fu la convergenza di interessi che sembravano contrapposti, tra Paesi fornitori e Paesi richiedenti manodopera, ma che in realtà condividevano la stessa necessità di creare e rafforzare uno spazio economico comune, sul quale innestare poi un processo di unificazione sociale e politica.
In questo quadro, si pone la tragedia di Marcinelle.
Negli ultimi anni, in più scuole dell'obbligo, nonostante la ricorrenza cada in un periodo di vacanze scolastiche, Marcinelle e il suo significato sono divenuti in molte realtà oggetto di approfondimento e analisi per gli studenti.
Per queste ragioni, riteniamo che l'8 agosto sia la data più opportuna per celebrare la storia e la presenza degli italiani nel mondo, ieri come oggi. D'altronde, la scelta di una data commemorativa deve tener conto di eventi che storicamente hanno segnato un momento di cesura nel contesto storico dato. Marcinelle fu un momento di cesura, non solo della presenza italiana in Belgio, ma più in generale per quanto concerne sia il processo di integrazione europea sia la gestione delle politiche migratorie in Italia e nel resto degli altri Paesi europei.
Per concludere, la scelta di una data commemorativa di un fenomeno plurisecolare e ancora pienamente in corso necessita di attenta riflessione e soprattutto di un processo storico il più ampio e il più condiviso possibile. Altrimenti, si corre il rischio di non interpretare il senso profondo di una ricorrenza del genere. La migrazione italiana, come sottolineato, nasce prima della nazione o, meglio, essa stessa è stimolo a creare la nazione. Per questa ragione, non esiste dal punto di vista storico nessun ancoraggio possibile prima dell'unità stessa dell'Italia.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione della Giornata nazionale degli italiani nel mondo e delle migrazioni italiane)

1. La Repubblica riconosce l'8 agosto quale Giornata nazionale degli italiani nel mondo e delle migrazioni italiane, al fine di fare conoscere l'apporto dato dagli italiani emigrati all'estero alla modernizzazione e allo sviluppo della società nazionale e di valorizzare le esperienze, le attività e il contributo sociale degli italiani all'estero nei campi della cultura e della lingua italiane, della ricerca scientifica e delle attività imprenditoriali e professionali.
2. La Giornata nazionale di cui al comma 1 non determina gli effetti civili di cui alla legge 27 maggio 1949, n. 260.

Art. 2.
(Iniziative culturali e celebrazioni)

1. In occasione della Giornata nazionale di cui all'articolo 1 sono promossi, in Italia e all'estero, cerimonie, iniziative e incontri volti a promuovere e a divulgare la conoscenza delle attività, della storia, delle esperienze e delle professionalità acquisite in contesti internazionali dagli italiani all'estero nei campi di cui al comma 1 del medesimo articolo 1.

Art. 3.
(Clausola di invarianza finanziaria)

1. All'attuazione della presente legge si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

torna su