PDL 665

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 665

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato FRANCESCO SILVESTRI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

Presentata il 1° dicembre 2022

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge prevede l'istituzione, per la durata della XIX legislatura, di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione.
Già nella scorsa legislatura era stata presentata analoga proposta di legge nella forte convinzione che non solo la famiglia Orlandi ma tutto il Paese abbia il diritto di conoscere la verità sulla scomparsa di una giovane ragazza su cui sono state fatte, nel corso del tempo, numerose ipotesi.
Ancora oggi il caso presenta nuovi elementi di indagine, secondo quanto ha sostenuto di recente lo stesso fratello di Emanuela Orlandi che, dalle pagine del quotidiano la Repubblica, chiede ancora una volta al Parlamento di occuparsi del caso, in quanto i nuovi elementi acquisiti hanno un fortissimo rilievo per l'indagine, avendo come protagonisti i rapporti intercorsi a quel tempo tra il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) e la procura della Repubblica di Roma.
Si ritiene dunque che il caso Orlandi debba essere oggetto di inchiesta da parte di una Commissione parlamentare, per verificare se la verità su questa sparizione non sia stata deliberatamente celata, al fine di proteggere personalità di vario livello e ambito. È necessario che quest'organo individui le responsabilità di chi doveva o poteva pervenire almeno ad una verità processuale. Tale necessità di giustizia non è solo della famiglia Orlandi e dell'Associazione Penelope, interessata direttamente a come vengano svolte le indagini su tali casi, ma di tutta la comunità, che necessita di risposte anche dallo Stato della Città del Vaticano, deputato a proteggere i propri cittadini, soprattutto quando vi siano forti elementi, come in questo caso, per supporre che siano intercorsi tentativi di soggetti interessati a occultare la verità.
Il caso di Emanuela Orlandi passa alla storia come uno dei casi mediatici e giudiziari insoluti, o almeno ancora insoluti, in cui tanti elementi fanno presumere, con pochi margini di dubbio, che il percorso della giustizia si sia inceppato, non abbia funzionato a dovere, al punto da giungere ad un nulla di fatto. L'attività investigativa è iniziata in ritardo rispetto all'evento della sparizione e il lungo fascicolo della magistratura racconta fatti, vicende e intrecci la cui natura rimane indecifrata, nonostante i tre decenni trascorsi: rimane dubbio, infatti, se si sia trattato di tentativi di depistaggio o della degenerazione di un caso iniziato con la tragica scomparsa di una minore, poi allargatosi fino a coinvolgere sfere e ambiti inaspettati. Infatti, questo caso sembra diventato terreno fertile per strumentalizzazioni e sospetti di coinvolgimento (mai accertato con sicurezza) di personalità religiose e politiche, dei servizi segreti italiani e stranieri, di cellule terroristiche straniere, della malavita organizzata romana, tutti coinvolti, a torto o a ragione, come in una trama infinita, in un labirinto articolato in cui la famiglia Orlandi ha tentato inutilmente di districarsi, offrendo agli inquirenti anch'essa, a più riprese nel tempo, canali di indagini, affinché il caso non fosse chiuso condannando la ragazza all'oblio.
La triste storia di Emanuela Orlandi ha assunto subito rilevanza internazionale e grande risonanza mediatica. Infatti, a meno di due mesi dalla denuncia di scomparsa, si profilava l'ipotesi di un sequestro di matrice terroristica. Un appartenente, forse, ad un'organizzazione terroristica mediorientale sollecitava il Pontefice a liberare entro pochi giorni il responsabile dell'attentato contro la sua persona, in cambio della restituzione dell'adolescente. La trattativa, che non ebbe buon fine, sarebbe dovuta avvenire presso il Segretario di Stato della Città del Vaticano tramite un numero telefonico riservato, al quale andava aggiunto il codice 158 (codice stabilito segretamente tra le parti). Si sottolinea che il contenuto delle chiamate non fu mai comunicato agli inquirenti italiani e che la magistratura non fece domanda per via diplomatica al fine di ottenerlo.
Da quel momento si concludeva una fase che era sembrata assumere connotati di autenticità e se ne apriva un'altra, complicata e di difficile comprensione. Infatti, il quadro degli eventi risulta frantumato in una spesso contraddittoria pluralità di voci, riconducibile a gruppi eterogenei, dai fini indecifrabili, il cui fattore comune sembra rappresentato dall'uso strumentale delle notizie divulgate dagli organi di informazione, che, mantenendo sul caso un'attenzione mediatica sempre alta, hanno stimolato, forse, soggetti interessati per le ragioni più diverse ad affacciarsi sullo scenario della vicenda.
La storia della Orlandi si intreccia, poi, con quella di un'altra minorenne italiana, scomparsa nello stesso periodo né mai ritrovata. Le due vicende per un momento si sovrappongono e sembrano accomunate da una stessa sorte. La madre della ragazza viene contattata da un uomo che si qualifica come appartenente allo stesso gruppo di sequestratori di Emanuela e che, dopo un po' di tempo, le comunica testualmente: «Non abbiamo nulla da fare».
I messaggi di richieste e di ultimatum raggiungono addirittura la stampa americana, la CBC, e ancora quella italiana con sigle di organizzazioni terroristiche diverse, tutte riassumibili, con il linguaggio investigativo, nella «pista turca».
Nelle more, la famiglia chiedeva al Presidente della Repubblica di rivolgere un appello agli autori del sequestro.
In questo periodo la procura della Repubblica provvedeva al primo proscioglimento per le prime persone indagate, per non aver commesso il fatto. Ciò che si rileva in questa parte della vicenda giudiziaria è l'estrema incertezza dei risultati e i continui mutamenti del quadro processuale; la stessa procura della Repubblica, a distanza di quattordici anni dall'inizio dell'inchiesta, faceva presente che non vi erano elementi per fondare pienamente l'ipotesi del sequestro di persona per finalità terroristica. Ma in realtà, nel tempo, non era pervenuta neanche a fondate certezze su ipotesi di sequestro a scopo di estorsione, per quanto è dato desumere dal proscioglimento degli indagati.
Un'altra circostanza che desta molta perplessità riguarda un'audiocassetta, lasciata dai presunti rapitori il 17 luglio 1983 in via della Dataria a Roma. Analizzato il contenuto dai servizi segreti – il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE) e il SISMI – e dagli organi di polizia, l'audiocassetta risultava contenere, su un lato, la voce di una persona che ribadiva le richieste per il rilascio di Emanuela; sull'altro lato erano incise le voci di una o più ragazze che subivano sevizie o torture, presumibilmente (come riportato nelle dichiarazioni a seguito delle analisi) con strumenti elettrici, per opera di almeno tre uomini di nazionalità italiana, le cui voci erano incise nel nastro.
Quando il nastro fu consegnato agli inquirenti erano inspiegabilmente scomparse le voci maschili. Tuttora, dopo tanti anni, la procura della Repubblica disconosce quest'elemento, affermando di avere solo la registrazione delle voci femminili. Per quale motivo gli inquirenti, avendo a disposizione le relazioni dei servizi segreti in cui si faceva riferimento alle voci maschili, non si erano adoperati per recuperare l'audiocassetta originale e per effettuare una nuova analisi con strumenti tecnologici più avanzati, oggi a disposizione?
La storia della Orlandi, ormai un «giallo», prosegue caratterizzandosi per telefonate anonime a trasmissioni televisive, messaggi di dubbia attendibilità all'agenzia ANSA e approfondimenti istruttori su figure, forse importanti sul piano investigativo, come il Sovrastante presso l'Ufficio centrale di vigilanza della Città del Vaticano, che non hanno portato però a stabilire alcun punto fermo.
Controversi, nella vicenda, sono i rapporti di collaborazione tra la magistratura italiana e lo Stato della Città del Vaticano; diverse richieste di rogatoria alle autorità vaticane sono rimaste senza riscontro. In particolare, non è mai giunto alla procura della Repubblica un importante rapporto redatto sul caso dalle autorità vaticane. Infatti, uno dei tanti punti di criticità della vicenda riguarda proprio il «rapporto Emanuela Orlandi», che sembra fosse sulla scrivania del Segretario del Pontefice. Si sostiene da alcuni che nel 2012 il documento stava per essere consegnato ad un magistrato che seguiva l'inchiesta Orlandi, ma ciò non avvenne. Il rappresentante della Santa Sede, nell'incontro con il magistrato, avrebbe affermato che il dossier conteneva indicazioni sulla responsabilità relativamente alla scomparsa della ragazza fino ad un certo livello, perché oltre non si poteva andare.
Ove ciò fosse vero, la domanda che dovrebbe essere posta, e a cui l'organo, di cui chiediamo l'istituzione, dovrebbe cercare una risposta, è proprio su quali livelli non si possa indagare. Perché il rapporto non si trova negli atti processuali? Perché la procura della Repubblica non lo ha più richiesto alle autorità della Città del Vaticano?
Altro punto molto allarmante di quella che, a prima vista, sembrava solo la tragica sottrazione di un minore è l'asserito coinvolgimento della «banda della Magliana» nel rapimento della ragazza. La banda della Magliana, come è noto ai più, è stata un'organizzazione criminosa attiva negli anni '70 nel traffico di droga, nell'usura, nei sequestri di persona, nelle rapine e nel traffico delle armi, con forti legami con la camorra, con Cosa Nostra, con la massoneria e con componenti deviati dei servizi segreti.
Un'ipotesi investigativa si riferiva al tentativo della banda di ricattare esponenti della Città del Vaticano per ottenere la restituzione di soldi che questa stessa associazione criminale e la mafia avrebbero investito presso l'Istituto per le opere di religione (IOR). A tale ipotesi faceva anche riferimento la notizia anonima, fornita in una telefonata pervenuta, nel 2005, alla nota trasmissione «Chi l'ha visto?», secondo cui si affermava che, per risolvere il caso Orlandi, sarebbe stato necessario verificare chi fosse sepolto nella cripta della basilica romana di Sant'Apollinare e investigare sul «favore» che «Renatino» (Renato De Pedis, uno dei componenti della banda, sepolto nella citata cripta) avrebbe fatto a un cardinale.
In concomitanza con l'apertura della tomba, effettuata nel 2012, emerse un fatto abbastanza controverso. Dall'intercettazione di una conversazione telefonica tra la moglie di De Pedis e il rettore della basilica in questione, indagato e poi prosciolto per concorso in sequestro, si apprende che il nuovo procuratore della Repubblica di Roma avrebbe preannunziato agli avvocati della parte indagata l'intenzione di archiviare l'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela.
In questo filone investigativo, assumeva un ruolo chiave la compagna di Renato De Pedis all'epoca dei fatti. Dalle deposizioni della donna emergeva che ella stessa sarebbe stata presente alla presa in carico dell'Orlandi da parte della banda della Magliana, cui sarebbe stata consegnata da un prete all'interno di un cancello da cui si accedeva al Vaticano. Nelle prime testimonianze si affermava che, dopo la permanenza della ragazza in una casa nella zona gianicolense, Emanuela sarebbe stata uccisa e – secondo una sua ipotesi – i suoi resti sarebbero stati radunati in sacchi e gettati nei pressi di Torvaianica. La testimone asseriva che le motivazioni del coinvolgimento di questa organizzazione sarebbero state da ricercare in pretesi rapporti con un arcivescovo della Chiesa cattolica e Presidente dell'IOR dal 1981 al 1989, coinvolto nello scandalo del dissesto del Banco ambrosiano. Tali rapporti avrebbero comportato l'accompagnamento di ragazze presso alcuni appartamenti in cui sarebbe stato solito intrattenersi l'arcivescovo.
A seguito di tali dichiarazioni, vennero iscritti nel registro degli indagati nuovi personaggi, ma questa pista non portò a risultati credibili, forse anche a causa di fughe di notizie che avrebbero consentito agli indagati di negare il loro coinvolgimento nei fatti. Ove ciò fosse vero, sarebbe da presumere l'esistenza di un forte interesse a ostacolare la ricerca della verità.
Dopo questa fuga di notizie, le stesse dichiarazioni della donna (non sottoposta a un programma di protezione) sono diventate fumose e soggette a tante variazioni e contraddizioni da inficiarne l'attendibilità.
Altra circostanza degna di considerazione sono le parole rivolte dal Pontefice al fratello e alla madre di Emanuela Orlandi nel marzo 2013, ad inchiesta aperta e in assenza di prove ufficiali della morte della ragazza: «Emanuela sta in cielo».
Il racconto di questa indagine è ancora lungo e comprende non solo ulteriori personaggi e situazioni, ma soprattutto tanti punti controversi, lontani spesso da ogni logica investigativa. Unica certezza vera è che, a circa quarant'anni dalla scomparsa, manca qualunque fondata ipotesi sulle circostanze e ragioni della scomparsa e sull'individuazione di eventuali responsabili.
Una Commissione parlamentare di inchiesta potrebbe dunque essere opportuna per comprendere dove il sistema sia fallito e dove si sia bloccato l'ingranaggio. La necessità di portare in Parlamento il caso attraverso una Commissione di inchiesta appare ancor più doverosa a fronte della notizia secondo cui la magistratura dello Stato della Città del Vaticano avrebbe recentemente riaperto la indagini per scandagliare di nuovo tutti i fascicoli, i documenti, le segnalazioni, le informative e interrogare testimoni dell'epoca ancora in vita, che possano fornire elementi utili. Ciò appare fondamentale non solo per Emanuela Orlandi, ma per quella «piccola città» di persone scomparse, che – come ci ricorda l'Associazione Penelope – non può essersi volatilizzata e che è dovere dello Stato rintracciare.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e compiti della Commissione parlamentare di inchiesta)

1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, per la durata della XIX legislatura, una Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, di seguito denominata «Commissione», con il compito di:

a) verificare, attraverso l'analisi degli atti processuali e del materiale investigativo raccolto, quali criticità e circostanze abbiano determinato il mancato accertamento giudiziario dei fatti e delle eventuali responsabilità;

b) accertare lo svolgimento dei fatti attraverso la raccolta e la valutazione dei documenti e degli elementi di prova utili per la ricostruzione della vicenda.

2. La Commissione, al termine dei propri lavori, presenta alle Camere una relazione sulle risultanze dell'inchiesta. Sono ammesse relazioni di minoranza.

Art. 2.
(Composizione della Commissione)

1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati, scelti rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.
2. Non possono essere nominati componenti della Commissione coloro che abbiano ricoperto ruoli processuali in relazioni ai fatti di cui all'articolo 1. A questo fine, i componenti della Commissione, prima della nomina, rendono dichiarazione alla Presidenza della Camera di appartenenza.
3. Il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati, d'intesa tra loro, convocano la Commissione, entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, per la costituzione dell'ufficio di presidenza.
4. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione tra i suoi componenti. Per l'elezione del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti della Commissione. Se nessuno riporta tale maggioranza, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti; è eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
5. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente della Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti si procede ai sensi del comma 4.
6. Le disposizioni dei commi 4 e 5 si applicano anche per le elezioni suppletive.

Art. 3.
(Audizioni a testimonianza)

1. Per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale.
2. Per i fatti oggetto dell'inchiesta parlamentare non è opponibile alla Commissione il segreto d'ufficio, professionale o bancario. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato. Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124.

Art. 4.
(Poteri e limiti della Commissione)

1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
2. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
3. La Commissione ha facoltà di ottenere, nelle materie attinenti alle finalità della presente legge, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e di documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e di documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari. L'autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e di documenti anche di propria iniziativa.
4. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare la trasmissione di copia degli atti e dei documenti richiesti, con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria. Il decreto ha efficacia per sei mesi e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto. Il decreto non può essere rinnovato o avere efficacia oltre la chiusura delle indagini preliminari.
5. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia ai sensi del comma 3 sono coperti da segreto. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
6. La Commissione ha facoltà di acquisire da organi e uffici della pubblica amministrazione copie di atti e di documenti da essi custoditi, prodotti o comunque acquisiti nelle materie attinenti alle finalità della presente legge.
7. Quando gli atti o i documenti siano stati assoggettati al vincolo di segreto funzionale da parte delle competenti Commissioni parlamentari di inchiesta, tale segreto non può essere opposto alla Commissione.
8. Fermo restando quanto previsto dal comma 5, la Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso.
9. Ove occorra chiedere lo svolgimento di accertamenti o l'acquisizione di documenti fuori del territorio dello Stato, si applicano le pertinenti disposizioni del capo II del titolo III del libro XI del codice di procedura penale e dei trattati internazionali.

Art. 5.
(Obbligo del segreto)

1. I componenti della Commissione, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla Commissione stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 4, commi 5 e 8.
2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto è punita ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.
3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, le pene di cui al comma 2 si applicano a chiunque diffonde in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione.

Art. 6.
(Organizzazione dei lavori)

1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei suoi lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
2. Le sedute della Commissione sono pubbliche. Tuttavia, la Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta tutte le volte che lo ritenga opportuno.
3. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritiene necessarie. Con il regolamento interno di cui al comma 1 è stabilito il numero massimo di collaborazioni di cui può avvalersi la Commissione.
4. Per l'adempimento delle sue funzioni, la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, d'intesa tra loro.
5. La Commissione cura l'informatizzazione dei documenti acquisiti e prodotti nel corso della propria attività.
6. Le spese per il funzionamento della Commissione, stabilite nel limite massimo di 50.000 euro annui, sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.

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