PDL 654

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 654

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ENRICO COSTA

Introduzione dell'articolo 54-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di abuso d'ufficio, e abrogazione dell'articolo 323 del codice penale

Presentata il 29 novembre 2022

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Onorevoli Colleghi! – Secondo gli ultimi dati disponibili dell'Istituto nazionale di statistica, nel 2017 sono stati avviati 6.500 procedimenti per il reato di abuso d'ufficio, di cui solo 57 si sono conclusi con condanne definitive; nel 2018 i procedimenti definiti dal giudice per le indagini preliminari e dal giudice dell'udienza preliminare sono stati 7.133, di cui 6.142 sono stati archiviati; dunque i procedimenti penali avviati per abuso d'ufficio sfociano in condanne definitive in meno di un caso su cento.
Con decreto del 15 marzo 2017, in qualità di Ministro per gli affari regionali, l'attuale proponente ha istituito, sollecitato sul tema dai vertici dell'Associazione dei comuni italiani, una commissione di studio sullo status degli amministratori locali incaricata di effettuare analisi, in particolare sull'applicabilità del reato di abuso d'ufficio, presieduta dall'attuale Ministro della giustizia, Carlo Nordio. Tra i lavori della commissione è interessante analizzare il documento prodotto dal professore Luigi Stortoni, autorevole componente della commissione medesima, che conteneva un serie di considerazioni che mantengono intatta la loro validità e attualità e che si ritiene utile richiamare nella presente relazione.
In proposito, si sottolineava che «sono troppo note, per doverci qui dilungare sul punto, le critiche rivolte alla fattispecie di cui all'articolo 323 codice penale o, per meglio dire, alla sua applicazione giurisprudenziale e, più in generale alla sua "utilizzazione" giudiziaria quale (asserita) intromissione nella sfera di attività riservata alla Pubblica Amministrazione. E di qui gli effetti inibenti che si riversano su questa ultima fino al profilarsi di un fenomeno che – parafrasando la materia medica – potrebbe etichettarsi come "amministrazione difensiva". Si è volutamente parlato di "utilizzazione" per evidenziare il dato – forse scontato, ma non di meno meritevole di essere rammentato ed evidenziato – costituito dal fatto che la lamentata "intromissione" del "penale" nella attività amministrativa è rappresentata più dalle iniziative dei Pubblici Ministeri e/o dalle incriminazioni, che non da pronunce giurisprudenziali».
Il documento citato analizzava la lunga e travagliata evoluzione normativa dell'articolo 323 del codice penale «che può sintetizzarsi come ricerca di una tassatività mai compiutamente raggiunta». Si parte dalla fattispecie che, nel codice Rocco, era coniata sul modello del reato di mera condotta con dolo specifico ed era concepita come norma penale di chiusura: cosa all'epoca comprensibile non vigendo un principio di tassatività di rango costituzionale.
Con l'avvento della Costituzione si denunciò l'incostituzionalità della disposizione per indeterminatezza ma la Corte costituzionale, con la sentenza n. 7 del 14 febbraio 1965, dichiarò l'infondatezza della questione. Nel 1990 ci fu il primo intervento che, da un lato, estendeva la realizzabilità soggettiva del reato anche all'incaricato di un pubblico servizio, dall'altro ne riscriveva il testo in termini non molto diversi dal precedente.
La norma fu di nuovo impugnata dinanzi alla Corte costituzionale per la sua indeterminatezza ma – nelle more della pronuncia – interveniva la nuova riforma ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234, che rende molto più tassativa la fattispecie. Tuttavia al radicale cambiamento normativo non corrispose un eguale mutamento giurisprudenziale, con l'impiego di strumenti ermeneutici volti – al contrario – a vanificare la tipicità del reato. Il documento soprarichiamato ricorda a tal proposito «la ricomprensione – di dubbia ammissibilità e certo contraria alla volontà espressa dal legislatore – dell'eccesso di potere nella "violazione di legge" prevista dalla norma», il ricorso all'articolo 97 della Costituzione e all'imparzialità ivi sancita come «norma di legge la cui violazione realizzerebbe, di per sé stessa, la condotta» e la sostituzione del «bene giuridico» al «fatto tipico».
Da ultimo, il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha sostituito la violazione «di norme di legge o di regolamento» con la violazione «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità»; un ulteriore tentativo di rendere maggiormente tassativa la fattispecie che, tuttavia, come avvenuto in precedenza, è «in mano» alle iniziative incriminatrici dei pubblici ministeri.
Si riaffermano dunque in questa sede le riflessioni elaborate dal professore Stortoni nel suo documento a partire da alcuni dati empirici. Quanto al livello giuridico, «l'esperienza dimostra che le varie formule normative sperimentate dal legislatore nel tipicizzare il reato di "abuso" di potere e/o d'ufficio si sono dimostrate inidonee ad arginare il fenomeno della ingerenza del giudice penale nell'attività della Pubblica Amministrazione ed a porre rimedio alla "criticità" denunciata».
Sul piano, per così dire, criminologico, «lo sguardo alla giurisprudenza rivela che i fatti ritenuti integranti il reato di cui all'articolo 323 codice penale concernono episodi di modestissimo o comunque modesto rilievo. Le sentenze di condanna riguardano sotto il profilo oggettivo, per lo più irregolarità amministrative, comportamenti che si assumono "parziali" anche se non consistenti in espresse violazioni di una specifica norma (...), fatti il cui disvalore penale in nulla o ben poco obiettivamente si distingue da quello dell'illecito amministrativo e/o disciplinare. Considerazione questa che deve essere direttamente rapportata al principio – anche costituzionale – di sussidiarietà ed extrema ratio del diritto penale».
Sempre a livello empirico, si rilevava un grande divario quantitativo tra i tre stadi di svolgimento del procedimento, ossia le iniziative giudiziarie intraprese, i rinvii a giudizio e le condanne. In sintesi, come rilevava il documento, si tratta di una fattispecie che può – patologicamente – provocare accuse e incriminazioni che sovente si rivelano infondate, e a volte dovute al «sospetto» di altri reati non provati; una intromissione o comunque un pericolo che può avere effetto inibente e quindi dannoso per la pubblica amministrazione; condanne – poche – per fatti di poco conto.
Il documento concludeva dunque che «l'ipotesi di una descrizione della fattispecie che – esplicandosi in modo più tassativo – possa superare la criticità è francamente di difficile formulazione», come dimostra la storia delle diverse modifiche apportate all'articolo 323 del codice penale. A tali considerazioni si aggiungeva quella secondo cui il vuoto di tutela conseguente a una eventuale abrogazione della disposizione sarebbe non particolarmente significativo; soprattutto ben poco comparabile con gli inconvenienti che la previsione penale in esame porta con sé, proprio alla luce dei principi di sussidiarietà e di extrema ratio che debbono governare l'impiego del diritto penale e che «pare indurre a riservare alle sanzioni extrapenali la copertura di quegli spazi di tutela o di gran parte di essi». In conclusione, la proposta che il documento avanzava era quella dell'abrogazione dell'articolo 323 del codice penale.
La presente proposta di legge, nel rispetto del principio di sussidiarietà ed extrema ratio del diritto penale, dispone l'abrogazione dell'articolo 323 del codice penale e introduce l'abuso d'ufficio come fattispecie punita con sanzione amministrativa pecuniaria nella disciplina di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Dopo l'articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è inserito il seguente:

«Art. 54-ter.
(Abuso d'ufficio)

1. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 15.000 euro. La sanzione è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.
2. La sanzione di cui al comma 1 è applicata dall'ANAC, all'esito di un'istruttoria nell'ambito della quale è garantito il contraddittorio tra le parti».

Art. 2.

1. L'articolo 323 del codice penale è abrogato.

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