PDL 645

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 645

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
PITTALIS, CATTANEO, CALDERONE, PATRIARCA, PELLA

Abrogazione dell'articolo 323 e modifiche all'articolo 346-bis del codice penale, in materia di reati contro la pubblica amministrazione

Presentata il 29 novembre 2022

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Onorevoli Colleghi! – L'articolo 323 del codice penale recita: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità».
Si tratta di una fattispecie di reato la cui struttura nel tempo ha evidenziato concrete frizioni con il rispetto del principio di legalità di cui all'articolo 25 della Costituzione, nel suo corollario della necessaria tassatività o determinatezza della norma incriminatrice. La norma penale cioè, deve individuare gli estremi del fatto-reato in essa contenuti in modo che si possa desumere con precisione ciò che è lecito e ciò che è vietato.
Tale principio non è dettato in modo esplicito dal legislatore, ma è una conseguenza implicita del principio di legalità, perché esso sarebbe sostanzialmente svuotato di contenuto se la legge indicasse gli estremi dei reati con tanta genericità da far sì che la loro individuazione sia di fatto lasciata al giudice.
Molti delitti contro la pubblica amministrazione – e tra questi proprio l'abuso in atti di ufficio – scontano significativi difetti di tecnica normativa, alla luce delle accresciute esigenze di determinatezza nel quadro di una moderna lettura del principio di legalità. A ciò si aggiunga che, anche per tali problemi, l'inefficienza della nostra pubblica amministrazione aveva dato luogo a un ampio intervento della magistratura penale, con ruoli di vera e propria supplenza, tramite il cosiddetto controllo di legalità.
Tutto ciò ha però fatto nascere e progredire la «burocrazia del non fare» o «burocrazia difensiva», alimentata soprattutto dall'abuso di ufficio, avvertito come un rischio reale, effettivo, che terrorizza chi deve firmare e gli blocca la mano.
Come emerso nel dibattito ormai acceso da tempo, sono note le critiche rivolte alla fattispecie di cui all'articolo 323 del codice penale o, per meglio dire, alla sua applicazione giurisprudenziale e, più in generale, alla sua utilizzazione giudiziaria quale (asserita) intromissione nella sfera di attività riservata alla pubblica amministrazione. La difficoltà applicativa della norma e la statistica insoddisfazione dei suoi esiti processuali impongono, quindi, un'ampia riflessione sul punto. Allo stato attuale, risulta essere un fatto che nelle fasi del giudizio di merito – e vieppiù di quelle d'indagine – i capi di imputazione per tale reato sono spesso articolati in modo sapientemente generico, sicuramente esplorativo e quindi conveniente ai fini dell'attività investigativa, in modo da garantire un ampio accertamento ricognitivo, ma così lati da trovarne poi prescritto l'esito in Cassazione.
L'abuso d'ufficio è divenuto «grimaldello delle procure», alle quali indagando sulla pubblica amministrazione, al venir meno dell'imputazione per i reati di corruzione o di concussione, resta sempre il jolly dell'articolo 323 del codice penale. L'effetto di questa distorsione è che oltre il 90 per cento dei casi di procedimenti penali per abuso d'ufficio contro i pubblici amministratori si concludono con assoluzioni.
Si tratta di una norma, dunque, dai contorni ancora troppo indeterminati. Quindi la sua interpretazione si presta ad abusi e, in particolare, ad ampliamenti eccessivi.
L'ipotesi di una descrizione della fattispecie che – esplicandosi in modo più tassativo – possa superare le criticità è francamente di difficile formulazione: le numerose riscritture e i tentativi di riscrittura dell'articolo 323 del codice penale paiono piuttosto chiari al riguardo.
Inoltre, va riconosciuto che il vuoto di tutela conseguente a un'eventuale abrogazione della disposizione sembra rivelarsi – alla luce di quanto sopra detto – non particolarmente significativo e, soprattutto, ben poco comparabile con gli inconvenienti che la previsione penale in esame porta con sé.
Infine, una corretta applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di extrema ratio, che debbono governare l'impiego del diritto penale, pare indurre a riservare alle sanzioni extra-penali la copertura di quegli spazi di tutela o di gran parte di essi.
Per tali ragioni, la presente proposta di legge intende, dunque, abrogare l'articolo 323 del codice penale.
L'ulteriore intervento recato dalla presente proposta di legge concerne il delitto di traffico di influenze illecite e soggiace alla medesima ratio del precedente.
L'articolo 346-bis del codice penale, rubricato «Traffico di influenze illecite», è stato introdotto con la legge 6 novembre 2012, n. 190, con lo scopo di contrastare i fenomeni corruttivi che orbitano intorno alla pubblica amministrazione, punendo l'insieme delle condotte prodromiche all'atto corruttivo vero e proprio; successivamente, nel 2019, con la legge cosiddetta «spazza-corrotti» (legge 9 gennaio 2019, n. 3), si è voluta ampliare la tutela della fattispecie esaminata, facendovi confluire la fattispecie del millantato credito, contestualmente abrogata.
Il delitto in esame, allo scopo di tutelare il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione, nell'attuale formulazione, ne anticipa la tutela. Invero, il reato de quo è volto a individuare e sanzionare tutte le condotte preparatorie; esso si struttura come illecito plurisoggettivo o a concorso necessario; l'attività sanzionata è quella della mediazione del soggetto attivo che intende approfittare di relazioni esistenti o fittizie con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.
Al pari del delitto di abuso d'ufficio questa fattispecie contiene una norma di difficile interpretazione e configurazione. Si tratta di un reato di pericolo astratto che si fonda sul compimento di determinate azioni e sul fatto che queste, a loro volta, facciano insorgere uno o più pericoli secondo regole di esperienza, essendo quindi, caratterizzato da un elevato tasso di relatività a fronte del quale tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno avvertito l'esigenza di fissare dei criteri, seppur incerti, di individuazione.
La norma, invero, suscita perplessità sotto molteplici profili: da un lato, per l'anticipazione della tutela avvertita come «eccessiva», ovvero per il concentrarsi della norma sulla «mera mediazione» più che sull'«effettivo risultato lobbistico». Dall'altro, e ancor più, per l'uso nella descrizione della condotta penalmente rilevante di formule vaghe quanto ambigue, con i corollari di un'abdicazione del legislatore al proprio ruolo e di una consegna di questo alla magistratura.
Tale figura delittuosa si pone, infatti, in netta antitesi con i valori costituzionali in materia penale che, viceversa, dovrebbero costituire la vera e propria «bussola» delle scelte legislative sul piano politico-criminale; d'altronde, la riscrittura dell'articolo 346-bis codice penale – come del resto l'intero impianto tratteggiato dell'intervento riformatore del 2019 – è il frutto di un uso esasperatamente simbolico del diritto penale, orientato al soddisfacimento delle «pulsioni emotive» delle grandi masse, più che alla costruzione di un sistema coerente e rispettoso degli irrinunciabili presìdi garantistici.
La legge spazza-corrotti, muovendo dall'accoglimento di una nozione sociologica dei fenomeni corruttivi, segna l'inesorabile declino verso una tendenziale atipicità: in effetti, quello dei reati contro la pubblica amministrazione sembra un ambito ormai affidato a fattispecie ubiquitarie, a tipicità sintomatica; dove la linea di intervento penale propende pericolosamente dal fatto all'autore (o al «tipo criminologico d'autore»), polarizzando persino il fuoco del disvalore sul solo corpus delicti, come nella fattispecie in esame, costituito dal denaro o – più pericolosamente – dalla «utilità indebita» che qualifica ogni transazione corruttiva, accompagnato da contrassegni di tipicità sempre più diafani e inespressivi.
È evidente come il commiato dalla tipicità legale in questo particolare ambito corrisponde all'ampliamento di forme di controllo più o meno pervasive delegate alla magistratura; forme di controllo talvolta esasperate, che penetrano anche attraverso l'impiego di fattispecie tradizionali sino a raggiungere una vera e propria presunzione di criminosità dell'attività politica.
La presente proposta di legge, con l'obiettivo di tipizzare la fattispecie penale de qua, modifica il reato di cui all'articolo 346-bis del codice penale, limitando la rilevanza penale della condotta tramite la specificazione, in relazione all'intermediazione verso altra utilità, della natura patrimoniale di quest'ultima e, al contempo, mediante l'indicazione dell'illiceità dell'agere del pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio o degli altri soggetti individuati dall'articolo 322-bis del codice penale avvicinato dall'extraneus. Ciò in ossequio al principio di legalità e al fine di evitare un'artificiosa caccia difensiva a relazioni «giuste».

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. L'articolo 323 del codice penale è abrogato.

Art. 2.

1. All'articolo 346-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo le parole: «o altra utilità», ovunque ricorrono, è inserita la seguente: «patrimoniale»;

b) al primo comma, dopo le parole: «all'esercizio» è inserita la seguente: «illecito».

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