PDL 295

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 295

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato CIRIELLI

Modifiche all'articolo 274 del codice di procedura penale, in materia di condizioni per l'adozione delle misure cautelari

Presentata il 13 ottobre 2022

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Onorevoli Colleghi! — Da quando è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale del 1989, le carceri italiane sono colme di persone ingiustamente detenute, e su questo dato incidono non solo i molti stranieri presenti nelle nostre carceri, ma i moltissimi, troppi cittadini «in attesa di giudizio».
Il nostro Paese avrebbe un impellente bisogno di nuove carceri, di stringere accordi con gli Stati di origine dei detenuti stranieri, per consentire loro di scontare la pena nei rispettivi Paesi, di limitare gli errori giudiziari e, non da ultimo, di impedire l'uso distorto della custodia cautelare, e, invece, preferisce usare una maggiore clemenza nei confronti di chi è colpevole, piuttosto che aumentare le garanzie per gli innocenti.
Alcuni anni fa è stata approvata la legge 14 aprile 2015, n. 47 (in vigore dall'8 maggio 2015) che, sulla scia dei precedenti interventi normativi, tra cui innumerevoli decreti cosiddetti «svuota carceri», ha introdotto alcune modifiche agli articoli 274 e 275 del codice di procedura penale, volte principalmente a rafforzare il principio del ricorso alla custodia cautelare in carcere quale extrema ratio e a imporre al giudice procedente una valutazione più approfondita, in termini di attualità e concretezza delle esigenze cautelari.
Tuttavia, nonostante le modifiche introdotte, che avrebbero dovuto adeguare le condizioni di vita dei detenuti italiani a un livello degno di un Paese civile come esige non solo la legge, ma prima ancora un criterio di semplice umanità, si continua ad assistere a un uso smodato della carcerazione preventiva, vera causa del sovraffollamento carcerario.
La carcerazione preventiva, infatti, incide per circa un terzo sulla popolazione carceraria, in una situazione già di grave sovraffollamento, motivo per cui siamo già stati condannati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
Sono numeri impressionanti: nelle prigioni italiane sono «ristretti» quasi 30.000 persone presunte innocenti, e di loro, statisticamente, circa un terzo si rivelerà innocente oltre ogni ragionevole dubbio dopo i tre gradi di giudizio e verrà liberato, dopo mesi o anni di carcere, con le scuse del nostro sistema giudiziario e un indennizzo proporzionato alla durata dell'ingiusta carcerazione (il rimborso, ovviamente, è a carico della collettività).
Per rimborsare il danno provocato da queste ingiuste detenzioni, lo Stato italiano ha già dovuto corrispondere quasi 600 milioni di euro.
Non fare entrare i delinquenti in carcere, o peggio ancora, farli uscire da condannati, anche come recidivi, però, non è lo strumento idoneo. Il fenomeno dell'ingiusta detenzione va limitato, perché anche una sola persona detenuta ingiustamente è una vergogna.
Nel frattempo, colpevoli accertati e presunti innocenti condividono la stessa – disumana in Italia – esistenza, e dal momento che i posti letto disponibili sono circa 46.000 (con un tasso di affollamento carcerario del 157,1 per cento contro una media europea del 95,9 per cento), i 21.000 detenuti in eccesso vengono stipati nelle celle senza alcun riguardo alla loro capienza.
Sebbene il nostro Paese registri un tasso di criminalità inferiore a quello delle grandi nazioni europee, il tasso di detenuti in custodia cautelare è decisamente più alto della media.
Si potrebbe credere che il nostro ordinamento sia particolarmente incline alla sospensione delle libertà personali, ma non è così. La Costituzione italiana ha fra i suoi capisaldi – come ogni altra grande democrazia – il principio di non colpevolezza (articolo 27, comma 2): «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». In altri termini il nostro sistema, che viene pertanto definito garantista, preferisce assumersi il rischio che un colpevole sfugga alla pena piuttosto che incarcerare un innocente.
L'articolo 27 può essere superato solo in casi specifici, giuridicamente definiti dal codice di procedura penale (parte I, libro IV, titolo I): nessun indagato o imputato può essere limitato nella sua libertà personale, a meno che non sussistano a suo carico gravi indizi di colpevolezza e non ricorra uno dei seguenti presupposti:

1) pericolo di inquinamento delle prove;

2) pericolo di fuga;

3) pericolosità sociale del soggetto.

Le condizioni devono essere accertate dal giudice in concreto, vale a dire tenendo conto di tutte le risultanze probatorie emerse fino a quel momento circa la personalità dell'imputato e le circostanze utili, all'interno di una valutazione complessiva che implica una prognosi circa il comportamento futuro dell'imputato.
Pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga e pericolo di reiterazione del reato sono dunque i soli casi in cui possono essere disposte misure restrittive della libertà personale. E la legge non si riferisce all'eventualità in astratto che questi comportamenti vengano messi in atto, ma a un rischio concreto e dimostrabile.
Purtroppo, nella realtà, tali criteri orientativi, fondamentali per attrarre le misure lesive della libertà personale entro l'alveo costituzionale, sono liquidati con leggerezza dalla magistratura o dallo stesso legislatore che per prassi, la prima, o per scelte di ordine pubblico, il secondo, omettono di valutarli adeguatamente.
Il risultato è che un gran numero di detenuti presenti nelle nostre carceri vi è perché sottoposta a custodia cautelare, quindi in attesa della sentenza definitiva. Il tema della custodia cautelare è, pertanto, tristemente e inevitabilmente collegato con il problema del sovraffollamento dei nostri istituti di pena. A causa della superficialità nella valutazione dei presupposti, troppo spesso la magistratura cade in una sorta di automatismo nell'applicazione della custodia cautelare, tralasciando di riflettere adeguatamente sulla possibilità di applicare, nei casi specifici, altre misure restrittive meno lesive della libertà personale.
Tra i nodi fondamentali da sciogliere per tentare di risolvere il problema del sovraffollamento figurano proprio l'abuso della custodia cautelare e la conseguente necessità di eliminare gli automatismi punitivi o, al contrario, prevederli quando la persona viene colta in flagranza di reato.
La presente proposta di legge (che riproduce l'atto Camera n. 127 della XVIII legislatura) mira, dunque, a rafforzare i presupposti per l'applicazione delle misure cautelari, richiedendo, in particolare, alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 274 del codice di procedura penale, che le «specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova» si fondino, non solo sulle circostanze di fatto, ma anche su condotte concrete della persona indagata o imputata.
Il presupposto del pericolo di inquinamento delle prove verrebbe, così, sottratto alla valutazione discrezionale del magistrato, che dovrà accertare la condotta concretamente tenuta dall'indagato o imputato.
In relazione al presupposto di cui alla lettera b), poi, si richiede che l'imputato non solo si sia dato alla fuga, ma abbia tentato o tenti di darsi alla fuga, eliminando il riferimento al generico e opinabile «pericolo di fuga», mentre con riferimento al presupposto della pericolosità sociale del soggetto si richiede l'ulteriore requisito dell'esistenza di elementi di prova, che, unitamente al concreto e attuale pericolo, possano portare il magistrato a ritenere con sufficiente certezza che questi commetterà i gravi delitti di cui alla lettera c) dell'articolo in esame.
Con l'aggiunta di un ulteriore comma all'articolo 274 del codice di procedura penale si prevede, infine, l'applicazione delle misure cautelari con riferimento ai casi di flagranza per delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 274 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera a), dopo le parole: «fondate su circostanze di fatto» sono inserite le seguenti: «e su condotte concrete della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato,»;

b) al comma 1, lettera b), le parole: «sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga» sono sostituite dalle seguenti: «tenta di darsi alla fuga o ha tentato di darsi alla fuga»;

c) al comma 1, lettera c), le parole: «sussiste il concreto e attuale pericolo» sono sostituite dalle seguenti: «sussistono il concreto e attuale pericolo ed elementi di prova»;

d) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Al di fuori dei casi di cui al comma 1, le misure cautelari sono disposte nei confronti di chi sia stato colto in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 se si tratta di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni».

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