PDL 1660

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

RELAZIONE TECNICA

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

PROGETTO DI LEGGE
                Capo I
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                Capo II
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                        Articolo 13
                Capo III
                        Articolo 14
                        Articolo 15
                        Articolo 16
                        Articolo 17
                        Articolo 18
                        Articolo 19
                        Articolo 20
                        Articolo 21
                        Articolo 22
                        Articolo 23
                Capo IV
                        Articolo 24
                Capo V
                        Articolo 25
                        Articolo 26
                        Articolo 27
                        Articolo 28
                Capo VI
                        Articolo 29

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1660

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal ministro dell'interno
( PIANTEDOSI )

dal ministro della giustizia
( NORDIO )

e dal ministro della difesa
( CROSETTO )

Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario

Presentato il 22 gennaio 2024

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Onorevoli Deputati! – Il presente disegno di legge reca disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario.

CAPO I – DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO DEL TERRORISMO E DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NONCHÉ IN MATERIA DI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI E DI CONTROLLI DI POLIZIA

Articolo 1 (Introduzione dell'articolo 270-quinquies.3 e modifica all'articolo 435 del codice penale in materia di delitti con finalità di terrorismo e contro l'incolumità pubblica).
L'intervento di cui al comma 1, lettera a), si rende necessario per colmare un vuoto normativo sulla detenzione di documentazione propedeutica al compimento di attentati e sabotaggi con finalità di terrorismo.
Nella prassi operativa, infatti, l'ipotesi della detenzione di materiale informativo concernente l'implementazione di metodi e l'approntamento e l'utilizzo di strumenti terroristici non è agevolmente riconducibile alle fattispecie di cui agli articoli 302 o 414 del codice penale, relativi all'apologia o all'istigazione di reati con finalità di terrorismo, o all'articolo 270-quinquies, nella parte in cui punisce l'auto-addestramento ad attività terroristiche.
L'esperienza investigativa e giudiziaria mostra come siano stati numerosi i soggetti trovati in possesso di documentazione ascrivibile a gruppi terroristici internazionalmente riconosciuti, nei confronti dei quali, tuttavia, il giudice penale non ha potuto fare a meno di assolverli, per la parte relativa alla mera detenzione documentale, dalle fattispecie loro contestate.
Tuttavia, il procacciamento di materiale idoneo a facilitare la commissione delle suddette attività sovversive costituisce condotta di per sé allarmante e pericolosa, a livello sociale, indipendentemente dalla effettiva realizzazione di atti terroristici, in quanto sintomatica di una progressione capace di portare repentinamente alla commissione di atti violenza con finalità di terrorismo.
È nota, al riguardo, l'abilità e la rapidità delle organizzazioni terroristiche di trascendere dalla dimensione concettuale a quella reale, soprattutto grazie alla pervicace diffusione di un'azione propagandistica confezionata appositamente non solo per condizionare ideologicamente e psicologicamente il potenziale affiliato o seguace ma, finanche, per insinuarsi e fornirgli «a domicilio» le motivazioni e gli spunti operativi per passare – anche isolatamente – all'azione.
Si parla, a tal proposito, di «terrorismo della parola», in grado di alimentare, in forma sia orale che scritta, la macchina del terrore internazionale, come pure capace di innescare la radicalizzazione violenta che conduce al compimento di attività terroristiche.
Sul terreno di questo conflitto asimmetrico, combattuto con le parole, gli scritti, la retorica e il proselitismo, sono allora fondamentali le politiche generali di prevenzione della radicalizzazione, nel cui solco questo intervento si inserisce, a integrazione dell'attuale sistema normativo antiterrorismo, per incriminare la condotta di chi coscientemente si procura o detiene materiale avente contenuti idonei a commettere o preparare atti violenti con finalità di terrorismo. La disposizione, infatti, punisce chiunque consapevolmente si procuri o detenga materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull'uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo, ovvero di sabotaggio di uffici e servizi pubblici o servizi di pubblica necessità, sempre con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale.
Il riferimento alla finalità di terrorismo consente di circoscrivere l'ambito di punibilità definito dalla norma alla raccolta delle sole informazioni dirette in modo non equivoco alla pianificazione o alla commissione di atti terroristici.
Le citate condotte sono sanzionate con la reclusione da due a sei anni.
L'articolo 1, comma 1, lettera b), modifica l'articolo 435 del codice penale con l'aggiunta di un comma, che introduce un nuovo delitto contro l'incolumità pubblica, costituito dalla distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione, con qualsiasi mezzo, di materiale contenente le istruzioni sulla preparazione o sull'uso di materie o sostanze esplodenti nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di taluno dei reati contro la pubblica incolumità.
L'elemento soggettivo del reato è costruito con la previsione del dolo specifico: la condotta dev'essere proiettata verso la finalità della consumazione di taluno dei delitti non colposi puniti nel titolo sesto del libro secondo del codice penale, concernente i reati contro la pubblica incolumità.

Articolo 2 (Modifiche all'articolo 17 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, concernente le prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per finalità di prevenzione del terrorismo).
Con l'articolo 17 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, al fine di far fronte alle crescenti esigenze di prevenzione del terrorismo, è stata prevista la comunicazione, da parte degli esercenti dell'attività di autonoleggio, dei dati identificativi del soggetto richiedente il servizio per il successivo raffronto effettuato dal Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121.
Per consentire la comunicazione dei dati identificativi del soggetto che richiede il noleggio di un autoveicolo è stata istituita la piattaforma informatica denominata «CaRGOS».
Tale previsione mira a perfezionare il sistema di prevenzione antiterrorismo, tenuto conto dell'esperienza maturata a seguito degli attacchi verificatisi negli scorsi anni in varie città europee, che hanno evidenziato come una delle tattiche preferite dai gruppi o anche dai cosiddetti «lupi solitari» sia quella di utilizzare veicoli per colpire indiscriminatamente pedoni in luoghi affollati.
La disposizione prevede, altresì, che la summenzionata comunicazione sia contestuale alla stipula del contratto di noleggio e avvenga, comunque, con un congruo anticipo rispetto alla consegna del veicolo, senza prevedere, tuttavia, una sanzione in caso di omissione della comunicazione stessa.
Ciò premesso, l'intervento normativo che si propone è finalizzato, da un lato, ad ampliare le finalità per le quali è possibile inserire le predette segnalazioni, comprendendovi altresì la prevenzione dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Tale innovazione muove dall'esigenza di agevolare le attività di polizia giudiziaria inerenti alla criminalità di tipo mafioso e al traffico di stupefacenti [comma 1, lettera a), numero 1)].
Dall'altro lato, la misura è volta a colmare la lacuna sopra descritta, introducendo una sanzione a carico degli esercenti dell'attività di noleggio di veicoli senza conducenti, correlata all'omessa comunicazione di cui al comma 1 del citato articolo 17 del decreto-legge n. 113 del 2018. Più nel dettaglio, viene stabilito che il contravventore venga punito con l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino ad euro 206 [comma 1, lettera a), numero 2)].
Ai fini della determinazione dell'entità della pena si è tenuto conto di quanto previsto per l'omessa comunicazione degli alloggiati all'autorità di pubblica sicurezza, ai sensi del combinato disposto degli articoli 109 e 17 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.
Si provvede infine alla modifica della rubrica dell'articolo 17 del decreto-legge n. 113 del 2018 [comma 1, lettera b)].

Articolo 3 (Modifiche agli articoli 85 e 94 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di documentazione antimafia).
La lettera a) del comma 1 modifica l'articolo 85 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al fine di inserire nel novero dei soggetti sottoposti a verifica antimafia le imprese aderenti al cosiddetto «contratto di rete», in ragione della sua progressiva diffusione nel tessuto economico-imprenditoriale.
Il contratto di rete nasce dall'esigenza di stare al passo con un mercato globalizzato e di competere in tema di qualità e innovazione, mediante la condivisione di conoscenze e risorse. Invero, il predetto strumento si presta ad essere utile sia per le piccole-medie imprese (PMI) le quali, attraverso la cooperazione e integrazione di ricchezza, hanno la possibilità di raggiungere obiettivi di sviluppo superiori a quelli che riuscirebbero a perseguire agendo uti singuli, sia per le grandi imprese, le quali possono avvalersi della sinergia della rete per rafforzare il proprio business o per svilupparne uno nuovo, operando eventualmente anche in contesti internazionali.
L'istituto del contratto di rete è stato introdotto nel nostro ordinamento con l'articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e il suo ambito di applicazione è stato esteso ad opera del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
Come previsto dal citato articolo 3, comma 4-ter, «lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato» può essere perseguito dagli imprenditori partecipanti «sulla base di un programma comune di rete», finalizzato non soltanto ad «esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa», ma anche «a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica».
Il contratto di rete, come novellato nel 2010, oltre a prevede la possibilità di istituire un fondo patrimoniale comune e di nominare un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso, contempla una duplice tipologia di contratto di rete: «a rilevanza meramente interna» e «a rilevanza esterna».
Con il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e, successivamente, con il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, si è giunti ad una possibile «entificazione» della rete con attività esterna, riconoscendo al contratto di rete la possibilità, nel caso in cui venga costituito un fondo patrimoniale comune e un organo comune destinato a svolgere attività con i terzi, di iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede, acquisendo la soggettività giuridica. Per le obbligazioni contratte dall'organo comune i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune.
La rete nasce, dunque, come strumento meramente contrattuale, ma le parti possono decidere di creare un autonomo soggetto giuridico, diverso rispetto alle imprese contraenti, attribuendole la soggettività giuridica. Dal quadro normativo sopra delineato scaturisce una fattispecie negoziale dai contorni non nitidi.
In definitiva, il contratto di rete può dare vita ad un'organizzazione più o meno complessa, che va dalla semplice creazione di rapporti obbligatori fra i partecipanti, alla costituzione di una comunione incidentale su alcune risorse comuni (senza creazione di un nuovo soggetto giuridico), alla costituzione di un nuovo soggetto giuridico, risultando solo parzialmente sovrapponibile alle diverse tipologie di consorzi ovvero ai raggruppamenti temporanei di imprese.
Il citato decreto-legge n. 179 del 2012, oltre a novellare la disciplina dell'istituto nei termini sopra illustrati, ha provveduto altresì a modificare il codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, consentendo la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici anche alle «aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33», e accogliendo in tal modo anche l'auspicio formulato al riguardo dall'Autorità nazionale anticorruzione.
Anche il nuovo codice degli appalti, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, ha compreso le «reti di imprese» tra gli operatori economici ammessi alle procedure di affidamenti pubblici i quali, pertanto, devono presentare i medesimi requisiti previsti per gli altri partecipanti. Tuttavia l'articolo 85 del codice antimafia, attualmente vigente, non prevede espressamente tra i soggetti da sottoporre a verifica antimafia le imprese aderenti al «contratto di rete».
Per colmare l'evidente lacuna, la disposizione in esame, con una previsione non dissimile da quelle vigenti per i consorzi e i raggruppamenti temporanei di imprese, estende le verifiche antimafia di cui all'articolo 85 citato a tutte le imprese partecipanti al contratto di rete, senza distinzione tra «contratto di rete a rilevanza esterna» e «contratto di rete a rilevanza interna» – peraltro non codificata sul piano del diritto positivo – nonché all'organo comune, laddove previsto.
In questo modo la disposizione realizza un maggiore livello di integrazione tra i due corpi normativi interessati (il codice dei contratti pubblici e il codice antimafia), superando eventuali impasse interpretative, a tutela della legalità e dell'ordine pubblico economico.
La lettera b) del comma 1 dell'articolo in esame introduce un nuovo comma 1-bis all'articolo 94 del codice antimafia, relativo agli effetti delle informazioni del prefetto.
L'intervento trova la sua ratio nella necessità di dare attuazione a quanto disposto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 180 del 19 luglio 2022 in subiecta materia.
Ai sensi della nuova disposizione, viene in parte richiamato e in parte replicato il meccanismo flessibile, previsto dall'articolo 67, comma 5, del citato codice, di esclusione delle decadenze, delle sospensioni e dei divieti conseguenti all'applicazione definitiva di una misura di prevenzione personale, giacché anche il prefetto, nell'ambito del procedimento di rilascio dell'informazione antimafia, può escludere, d'ufficio o su istanza di parte, l'operatività dei predetti divieti ove accerti che verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla sua famiglia.
In questo caso, è prevista l'applicazione, ove compatibili, delle disposizioni di cui al nuovo articolo 94-bis del codice antimafia.
La verifica di tale compatibilità richiede uno scrutinio di conciliabilità tra le caratteristiche strutturali e funzionali dell'impresa o società interessata e le misure di controllo attivabili dal prefetto in questa ipotesi e nei casi di agevolazione soltanto occasionale di interessi o attività imputabili a sodalizi mafiosi.

Articolo 4 (Modifiche all'articolo 13 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e all'articolo 5 della legge 11 gennaio 2018, n. 6, in materia di speciali misure di protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia).
L'articolo in esame è finalizzato a preservare e a rafforzare la funzionalità e la riservatezza delle speciali misure di protezione e di tutela previste dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e dalla legge 11 gennaio 2018, n. 6, rispettivamente, per i collaboratori e per i testimoni di giustizia, e attuate dal Servizio centrale di protezione del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
La ratio dell'intervento, in particolare, muove dall'intento di elevare ulteriormente il livello di protezione assicurato ai soggetti che collaborano con la giustizia, incidendo su quei profili che possono rappresentare delle criticità per la consistenza e l'efficienza del «sistema di protezione».
Rispondono a tale fine le diverse modifiche normative proposte nel presente articolo.
Al comma 1, lettera a), viene novellato il comma 10 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 8 del 1991, mediante l'aggiunta di tre periodi ulteriori a modifica della disciplina di rilascio dei documenti di copertura dei collaboratori e dei testimoni di giustizia alla luce, in particolare, delle esperienze maturate in questi ultimi anni nell'applicazione delle diverse misure che compongono il quadro dei programmi di protezione e di assistenza.
Più in dettaglio, aggiungendo un secondo periodo al citato comma 10, la disposizione declina in modo più puntuale i presupposti in presenza dei quali il citato Servizio centrale di protezione può autorizzare il collaboratore di giustizia (e i suoi familiari) ad utilizzare i documenti di copertura.
A ordinamento vigente, il comma 10 in discorso stabilisce che tale utilizzazione – destinata a garantire la sicurezza, la riservatezza e il reinserimento sociale dell'interessato – è preclusa alle persone «detenute o internate».
L'ambito di applicazione del divieto era evidentemente del tutto chiaro nell'epoca in cui la disposizione fu varata. Esso, infatti, si inseriva in un quadro processuale in cui la misura «tipica» limitativa della libertà personale era costituita dalla custodia in carcere. In questo senso, la previsione veniva a riferirsi ai soggetti che erano ristretti in istituti di pena, con una scelta del tutto coerente con il fatto che:

a) la sicurezza del detenuto o internato nei medesimi istituti era garantita direttamente dall'amministrazione penitenziaria;

b) il detenuto o l'internato non poteva comunque essere ristretto nelle strutture penitenziarie, anche solo in via cautelare, con generalità diverse da quelle reali.

Nel tempo, tuttavia, il quadro delle misure cautelari applicabili si è fatto più composito e l'ambito di applicazione della misura restrittiva in carcere è divenuto più limitato. Un'analoga evoluzione si è registrata anche per quel che riguarda il regime di espiazione della pena, che conosce oggi diverse forme alternative al carcere.
In questo contesto, è divenuta più frequente la situazione per cui un collaboratore di giustizia – anche per effetto degli specifici benefìci previsti dalla legge – o i suoi familiari vengano ammessi al programma di protezione, in una fase in cui sono ristretti (in via cautelare o definitiva) presso il proprio domicilio.
In queste situazioni, un'interpretazione rigida del comma 10, tesa a precludere la possibilità di concedere il documento di copertura anche ai soggetti sottoposti a forme di detenzione extramuraria, sarebbe estranea alla ratio ispiratrice della norma e finirebbe per impedire la possibilità di garantire le condizioni di riservatezza e anonimato, indispensabili per assicurare un'adeguata cornice di sicurezza al collaboratore di giustizia e al suo nucleo familiare.
Alla luce di ciò, l'intervento qui proposto mira a realizzare un chiarimento circa l'esatta portata dell'articolo 13, comma 10, del decreto-legge n. 8 del 1991, specificando che l'utilizzazione del documento di copertura può essere consentita dal predetto Servizio centrale di protezione anche ai collaboratori e ai loro familiari che siano sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari ai sensi dell'articolo 284 del codice di procedura penale. La novella, inoltre, precisa che il beneficio del documento di copertura può essere autorizzato nei confronti dei collaboratori condannati in via definitiva e che siano stati ammessi ai benefìci penitenziari di cui all'articolo 16-nonies del medesimo decreto-legge, tra i quali vi è anche la detenzione domiciliare.
L'aggiunta di un terzo e di un quarto periodo al ripetuto comma 10 dell'articolo 13 mira, altresì, a risolvere una delicata criticità che investe il tema delle unità immobiliari che il Servizio centrale di protezione prende in locazione per garantire una domiciliazione sicura ai soggetti inseriti nei piani e nei programmi di protezione.
Attualmente, risultano locate, in tutto il territorio nazionale, più di 1.500 abitazioni, i cui contratti sono stati stipulati mediante intestazione al Ministero dell'interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, e apposizione di una partita IVA unica, riconducibile al medesimo Dipartimento e non oscurabile per ragioni di condivisione.
In tale meccanismo, si annida un potenziale vulnus alla riservatezza e alla sicurezza delle locazioni immobiliari protette, atteso che un numero imprecisato di operatori di agenzie ed enti pubblici, abilitati per ragioni di servizio ad accedere a determinati archivi e applicativi informatici, potrebbe in ipotesi ricostruire, sulla base della formale intestazione e dell'univoca identificazione fiscale anzidette, la «mappa» dei domicili protetti, e con ciò determinare un'indesiderata esposizione del dispositivo tutelare e una connessa, pericolosa riduzione del livello di protezione delle persone sottopostevi.
Inoltre, le medesime – irrinunciabili – esigenze di tutela di tali persone impongono la loro mimetizzazione e l'intestazione delle relative utenze a carico dei proprietari degli immobili locati, con possibili iscrizioni di questi ultimi nei registri dei «cattivi pagatori» e conseguente difficoltà nel reperire domicili protetti.
Un secondo elemento di criticità attiene alla riconduzione alla sola partita IVA del Dipartimento della pubblica sicurezza di tutte le attività di gestione, con particolare riguardo a quelle onerose, svolte dal Servizio centrale di protezione per attuare le speciali misure protettive, considerato che ciò espone anche le risorse economiche destinate al finanziamento dei piani e programmi di protezione a possibili azioni di pignoramento, con pesanti ricadute sull'intero sistema tutorio e connessi riverberi negativi sull'ordine e la sicurezza pubblica.
Per risolvere tali criticità, la disposizione in commento consente al predetto Servizio, al fine di assicurare l'incolumità delle persone tutelate (collaboratori, testimoni di giustizia e altri protetti) e di garantire la funzionalità, la riservatezza e la sicurezza delle speciali misure di protezione, di utilizzare documenti e di creare identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, quando ciò sia necessario per compiere particolari atti o per svolgere specifiche attività che richiedono un peculiare, rafforzato livello di riservatezza, come ad esempio:

la gestione mascherata (cioè non individuabile neppure da altri operatori pubblici o privati autorizzati alla consultazione di determinate banche dati) dei domicili protetti;

l'intestazione delle utenze a persone diverse dalle parti locatrici;

la protezione delle somme imputate ai capitoli di spesa assegnati al Servizio centrale di protezione per l'organizzazione e il funzionamento del sistema tutorio da pignoramenti effettuati per motivi non riconducibili alle attività istituzionali del Servizio anzidetto.

Più in dettaglio, viene consentito al Servizio centrale di protezione, laddove necessario per compiere particolari atti o svolgere specifiche attività di natura altamente riservata nel quadro delle speciali misure di protezione previste dal suddetto articolo, di utilizzare documenti di copertura anche per i propri funzionari e addetti e di creare identità fiscali, anche costituenti soggetti giuridici di tipo societario, cui imputare formalmente le surriferite attività gestionali correlate all'attuazione del complesso sistema tutorio disegnato dal decreto-legge n. 8 del 1991.
A tale scopo, nella lettera b) del comma 1 dell'articolo in esame viene previsto che l'autorizzazione alla creazione delle predette identità fiscali fittizie sia data dal Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza, con facoltà di delega ai Vice Direttori generali del Dipartimento della pubblica sicurezza, e sia rivolta alle autorità e agli altri soggetti competenti al rilascio dei documenti o alla costituzione delle figure fiscali, anche di tipo societario, che non possono opporre rifiuto e che procedono alla predisposizione dei documenti, alle registrazioni e a porre in essere ogni adempimento necessario [numero 1)]; si prevede, altresì, che presso il surriferito Servizio centrale di protezione sia tenuto un registro riservato destinato a tracciare i diversi passaggi procedurali e ogni documentazione relativa ai documenti e alle identità fiscali in parola [numero 2)].
Il comma 2, in simmetria con l'intervento effettuato con il comma 1, modifica l'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge n. 8 del 2016, che reca disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia, al fine di annoverare, tra le speciali misure di tutela che possono essere previste in base alla gravità e attualità del pericolo che incombe sui testimoni, sugli altri protetti e sui loro beni, la creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, necessarie per le esigenze di funzionalità e di riservatezza del sistema di protezione e di sicurezza delle persone che vi sono ammesse.

Articolo 5 (Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di amministrazione di beni sequestrati e confiscati).
L'articolo compendia misure finalizzate ad incidere su alcuni aspetti afferenti alla gestione dei beni sequestrati e confiscati, in un'ottica di razionalizzazione e implementazione delle relative disposizioni previste dal codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011.
In particolare, si interviene in materia di beni immobili abusivi e per la miglior gestione delle aziende; viene, inoltre, previsto un apposito strumento attuativo per la definizione dei compensi dei coadiutori dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC).
Sotto il primo aspetto, va preliminarmente rilevato che la conoscenza delle caratteristiche tecnico-urbanistiche dei beni confiscati è condizione imprescindibile per lo sviluppo e il successo delle relative politiche di destinazione.
Lo stato di abusività, talora radicalmente insanabile, di alcuni cespiti emerge spesso in un tempo largamente successivo a quello del sequestro, di tale che, nell'intervallo temporale fino alla confisca e alla destinazione, l'Erario sostiene gli oneri conseguenti alla custodia e al mantenimento di un bene per il quale non sussiste alcuna prospettiva di concreto riutilizzo.
Appare a questo scopo essenziale il coinvolgimento attivo degli enti locali che, nell'ambito delle politiche di governo del territorio, avranno così l'occasione di utilizzare, anche attraverso l'intervento diretto del giudice nella fase giudiziaria, strumenti di semplificazione e accelerazione dei provvedimenti di disciplina urbanistica che dovrebbero comunque (o avrebbero dovuto comunque) essere adottati secondo la normativa vigente.
Viene dunque in risalto l'assoluta necessità che la «diagnosi» circa l'utilizzabilità del bene – e la conseguente definizione dei possibili ambiti di reimpiego – sia svolta in una fase il più possibile precoce, al fine di attivare, di volta in volta, gli strumenti più idonei per l'efficacia dell'azione amministrativa.
Al riguardo, si interviene con le disposizioni di cui al comma 1, lettere a), c) e g).
Il comma 1, lettera a), introduce nell'articolo 36 del codice, rubricato «Relazione dell'amministratore giudiziario», un nuovo comma ed integra il comma 3.
Con il nuovo comma 2-bis [lettera a), numero 1)] si dispone che la relazione dell'amministratore giudiziario evidenzi gli eventuali abusi, prevedendo una rapida interlocuzione con gli uffici comunali competenti e reca disposizioni per i casi di particolare complessità o in cui si renda necessario il coinvolgimento di altre amministrazioni o di enti terzi.
La lettera a), numero 2), integra l'attuale comma 3 del medesimo articolo 36, prevedendo che detta specifica attività debba proseguire sino al suo perfezionamento anche dopo il deposito della relazione.
La lettera c) introduce nell'articolo 40 del codice, rubricato «Gestione dei beni sequestrati», il nuovo comma 1-bis, nel quale si stabilisce che, qualora nell'ambito dell'accertamento previsto dall'articolo 36, comma 2-bis, sia accertata la sussistenza di abusi non sanabili, con il provvedimento di confisca ne venga ordinata la demolizione in danno del soggetto destinatario del provvedimento; si stabilisce, inoltre, che il bene non venga acquisito al patrimonio dell'Erario e che l'area di sedime sia acquisita al patrimonio indisponibile del comune territorialmente competente.
Il comma 1, lettera g), integra e completa la disciplina di cui alle precedenti lettere a) e c).
Infatti, lo stato di abusività di alcuni cespiti viene in rilievo non di rado durante l'amministrazione da parte dell'ANBSC, minando le possibilità di destinazione dei beni confiscati alla platea dei potenziali destinatari.
La lettera g), nel novellare l'articolo 48 del codice, prevede quindi che, qualora nel procedimento finalizzato alla destinazione del bene sia accertata la sussistenza di abusi non sanabili, l'Agenzia promuova incidente di esecuzione, ai sensi dell'articolo 666 del codice di procedura penale per avviare il procedimento di cui all'articolo 40, comma 1-bis.
In diverso ambito, il comma 1, lettera b), mira a colmare una lacuna sopravvenuta a seguito dell'approvazione della legge 1° dicembre 2018, n. 132.
Infatti, mentre l'originaria formulazione del codice stabiliva che i coadiutori dell'Agenzia venissero retribuiti con i criteri di calcolo utilizzati per gli amministratori giudiziari (successivamente definiti con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n. 177), la novella del 2018 ha eliminato tale aggancio normativo, nulla disponendo in merito, con la conseguenza che ad oggi non esiste alcun riferimento certo per determinare il compenso dei coadiutori dell'ANBSC.
Al fine di individuare comunque una soluzione operativa che potesse consentire la corresponsione di quanto dovuto, il consiglio direttivo dell'ANBSC ha adottato nel 2018 apposite linee guida che hanno mutuato i criteri fissati dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 2015, introducendo tuttavia alcune modificazioni in senso riduttivo, in considerazione del diverso grado di responsabilità conseguente alle attività svolte dai coadiutori rispetto a quelle degli amministratori nella fase giudiziaria.
Tale intervento ha determinato molte critiche da parte dei professionisti nominati e si è registrato un incremento del contenzioso civile in merito alla liquidazione dei compensi riconosciuti dall'ANBSC sulla base delle predette linee guida.
Con la citata lettera b) si prevede che le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi dei coadiutori siano individuate con decreto, di natura regolamentare, del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia.
Le rimanenti disposizioni [comma 1, lettere d), e), f), h) e i)] intervengono tutte su profili di gestione delle aziende sequestrate e confiscate.
Il comma 1, lettera d), mira a rendere tempestiva la cancellazione delle aziende inattive, intervenendo sull'articolo 41 del codice che già prevede un meccanismo di valutazione della prosecuzione o ripresa dell'attività aziendale da parte del giudice delegato.
Con la disposizione di cui alla lettera d), numero 1), al fine di scongiurare la mancata rilevazione del venir meno delle condizioni in base alle quali il giudice delegato ha autorizzato la prosecuzione o la ripresa dell'attività, si prevede che la suddetta valutazione venga aggiornata con cadenza almeno annuale.
Con la disposizione di cui alla lettera d), numero 2), si integra quanto già disposto dal comma 5 del medesimo articolo 48, introducendo un meccanismo che consente l'automatica cancellazione dell'impresa priva di patrimonio utilmente liquidabile.
Il comma 1, lettera e), completa l'intervento di cui alla lettera d), numero 2), rendendo la relativa semplificazione applicabile, a cura dell'Agenzia, anche nella fase di amministrazione di competenza della medesima.
Il comma 1, lettera f), introduce, novellando l'articolo 45-bis del codice, rubricato «Liberazione degli immobili e delle aziende», un'espressa statuizione che prevede che, dopo la confisca definitiva, non possono prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze di un'azienda confiscata i soggetti che sono parenti, coniugi, affini o conviventi con il destinatario della confisca, o coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale. La norma è tesa ad impedire che, dopo la confisca definitiva, soggetti vicini al prevenuto possano infiltrare il tessuto dell'azienda impedendone, di fatto, la ricollocazione sul mercato legale.
Il comma 1, lettera h), novella l'articolo 51-bis del codice, rubricato «Iscrizione di provvedimenti al registro delle imprese», modificando il comma 1 e introducendo il nuovo comma 1-bis.
La necessità del primo intervento è emersa nell'ambito delle interlocuzioni che l'Agenzia svolge con l'autorità giudiziaria nella fase di ausilio prevista dal codice. Al fine di scongiurare che il sequestro possa venire iscritto nei pubblici registri prima della sua esecuzione, determinando la disclosure della predetta misura cautelare, la disposizione modifica l'attuale previsione che impone l'iscrizione dei provvedimenti giudiziari entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, stabilendo invece che l'iscrizione avvenga entro il giorno successivo all'esecuzione del provvedimento da iscrivere.
Con il secondo intervento, si prevede che il tribunale e l'ANBSC richiedano l'iscrizione gratuita delle modifiche riguardanti le imprese sequestrate e confiscate derivanti dalla loro amministrazione. L'esigenza consegue alla circostanza che in dette fasi gestionali, disciplinate dal codice, le richieste di registrazione possono essere particolarmente serrate; basti pensare, ad esempio, alla nomina dei legali rappresentanti o dei liquidatori, al deposito dei bilanci di esercizio, che possono riferirsi anche a plurime annualità, eccetera. La disposizione è tesa quindi a garantire l'aggiornamento costante delle informazioni societarie con evidente finalità pubblicistica. La previsione dell'assenza di oneri mutua il regime applicabile alle iscrizioni dei provvedimenti giudiziari cui direttamente consegue la citata amministrazione e si pone in linea con quanto previsto dall'articolo 51 del codice, rubricato «Regime fiscale e degli oneri economici».
Il comma 1, lettera i), prevede un minuto intervento sull'articolo 54, comma 2, del codice.
Il comma citato, nel disciplinare il pagamento dei crediti prededucibili sorti dopo il sequestro (che pertanto non devono essere accertati dal giudice), prevede al terzo periodo che, se la confisca ha ad oggetto beni organizzati in azienda e il tribunale ha autorizzato la prosecuzione dell'attività, «la distribuzione avviene mediante prelievo delle somme disponibili secondo criteri di graduazione e proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge», nulla dicendo in merito al caso di mancanza di disponibilità finanziaria.
In ragione del tenore di tale disposizione, non di rado i creditori aziendali insoddisfatti intraprendono azioni giudiziarie direttamente in capo all'ANBSC (quale soggetto gestore per conto dell'Erario dei patrimoni aziendali confiscati o delle relative quote di partecipazione), con il rischio che tale dinamica possa determinare – si pensi al caso di credito contratto nell'esercizio dell'attività di una società di capitali confiscata – un ampliamento della garanzia dei predetti soggetti che va ben oltre a quella prevista dal codice civile (attivo patrimoniale).
Al fine di scongiurare tali effetti e ridurre il pertinente contenzioso, con la citata lettera i) viene esplicitato che i creditori prededucibili aziendali sono soddisfatti mediante prelievo delle somme disponibili nel relativo patrimonio aziendale.

Articolo 6 (Modifica all'articolo 2 del decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123, di attuazione della direttiva 2013/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici).
La disposizione trova il suo fondamento nella necessità di adeguare l'ordinamento interno alla normativa europea che, con la rettifica della direttiva 2013/29/UE, ha coniato una nuova definizione di articolo pirotecnico.
In virtù di quest'ultima gli effetti calorifici, luminosi, sonori, gassosi e fumogeni, o una combinazione di tali effetti, sono riferiti non più alle sostanze esplosive contenute nel prodotto, ma al prodotto medesimo.
La novella, pertanto, in analogia a quanto avvenuto in ambito unionale, consente il recepimento, nell'ordinamento interno, di tale nuova specifica definizione, apportando la correzione alla definizione di «articolo pirotecnico» contenuta all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123, in modo da assicurare controlli di polizia più mirati e coerenti.

Articolo 7 (Modifiche all'articolo 10-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di revoca della cittadinanza).
La disposizione modifica l'articolo 10-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, che disciplina la revoca della cittadinanza.
L'attuale formulazione del citato articolo prevede un'ipotesi di revoca della cittadinanza in caso di condanna definitiva per taluni gravi reati:

delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a cinque anni o, nel massimo, a dieci anni [articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4), del codice di procedura penale];

ricostituzione, anche sotto falso nome o in forma simulata, di associazioni sovversive delle quali sia stato ordinato lo scioglimento [articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4), del codice di procedura penale, nella parte in cui rinvia all'articolo 270, terzo comma, del codice penale];

partecipazione a banda armata [articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4), del codice di procedura penale, nella parte in cui rinvia all'articolo 306, secondo comma, del codice penale];

assistenza agli appartenenti ad associazioni sovversive o associazioni con finalità di terrorismo, anche internazionale (articolo 270-ter del codice penale);

sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento del terrorismo (articolo 270-quinquies.2 del codice penale).

La revoca della cittadinanza è adottata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
In particolare, l'intervento proposto con la lettera a) del comma 1 dell'articolo in esame integra la previsione del citato articolo 10-bis, inserendo la clausola secondo la quale non si può procedere al provvedimento di revoca laddove l'interessato non possieda un'altra cittadinanza ovvero non ne possa acquisire altra.
La ratio della proposta è da rinvenire nella necessità di prevenire situazioni di apolidia, che, invece, verrebbero a crearsi laddove, in caso di revoca della cittadinanza italiana, l'interessato non possieda o non possa acquisire altra cittadinanza, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui casi di apolidia, fatta a New York il 30 agosto 1961, ratificata dall'Italia ai sensi della legge 29 settembre 2015, n. 162.
L'intervento di cui alla lettera b) del comma 1 estende a dieci anni il termine entro il quale poter esercitare la revoca della cittadinanza concessa allo straniero in presenza di condanne definitive per i reati sopra richiamati.
La ratio dell'estensione di tale termine è quella di rafforzare l'operatività dell'istituto, in un'ottica di maggiore tutela della sicurezza nazionale.

CAPO II – DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA URBANA

Articolo 8 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, per il contrasto dell'occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio altrui).
L'articolo in esame interviene in materia di occupazione arbitraria di immobili, da un lato introducendo una nuova fattispecie di reato nel codice penale, dall'altro prevedendo una specifica procedura per la reintegrazione nel possesso dell'immobile occupato.
In particolare, il comma 1 introduce l'articolo 634-bis del codice penale, rubricato «Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui».
Si tratta di un delitto – perseguibile a querela della persona offesa – volto a punire le condotte di quei soggetti che, mediante violenza o minaccia, occupano o detengono senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui, ovvero impediscono il rientro nel medesimo immobile da parte del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente.
La pena prevista è quella della reclusione da due a sette anni.
Alla stessa pena soggiace chi si appropria di un immobile altrui, con artifizi o raggiri, o cede ad altri l'immobile occupato, nonché colui che – fuori dei casi di concorso nel reato – si intromette o coopera nell'occupazione dell'immobile, riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l'occupazione.
Invece, non è punibile l'occupante che collabora all'accertamento dei fatti e ottempera volontariamente all'ordine di rilascio dell'immobile.
Con tale misura, si potenziano gli strumenti di contrasto delle occupazioni abusive degli immobili previsti dal quadro normativo vigente, secondo il quale, infatti, il fenomeno delle predette occupazioni si configura quale illecito civile (che obbliga l'autore alla restituzione e al risarcimento del danno) oltre che come reato, punibile – ai sensi dell'articolo 633 del codice penale – con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.
Il comma 2 inserisce il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui tra i reati procedibili d'ufficio se commessi su immobili pubblici o a destinazione pubblica.
Il presente intervento non si limita a prevedere la delineata nuova fattispecie delittuosa, ma al comma 3 si occupa altresì di riconnettere alla stessa una specifica e apposita azione di tutela, introducendo nel codice di procedura penale una procedura volta alla reintegrazione nel possesso dell'immobile «oggetto di occupazione arbitraria ai sensi dell'articolo 634-bis del codice penale».
Più in dettaglio, nel citato comma 3 si prevede, con l'introduzione del nuovo articolo 321-bis del codice di procedura penale, che il giudice competente – su richiesta del pubblico ministero – disponga con decreto motivato la reintegrazione nel possesso dell'immobile. Nella fase antecedente all'esercizio dell'azione penale, provvede il giudice per le indagini preliminari.
Se l'immobile occupato corrisponde all'unica abitazione effettiva del denunciante, gli ufficiali di polizia giudiziaria che ricevono la denuncia, espletati i primi accertamenti tesi a verificare la sussistenza dell'arbitrarietà dell'occupazione, si recano – senza ritardo – presso l'immobile del quale il denunciante dichiara di essere stato spossessato, al fine di svolgere le consuete attività di polizia giudiziaria.
Qualora dovessero sussistere fondati motivi per ritenere l'arbitrarietà dell'occupazione, gli ufficiali di polizia giudiziaria ordinano all'occupante l'immediato rilascio dell'immobile e contestualmente reintegrano il denunciante nel possesso.
In caso di diniego all'accesso, resistenza, rifiuto di eseguire l'ordine di rilascio o assenza dell'occupante, i predetti ufficiali di polizia giudiziaria, ove sussistano fondati motivi per ritenere l'arbitrarietà dell'occupazione, dispongono coattivamente il rilascio dell'immobile e reintegrano il denunciante nel possesso, previa autorizzazione del pubblico ministero.
Tale autorizzazione deve essere scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, ovvero resa per via telematica.
Inoltre, ai medesimi ufficiali spetta l'onere di redigere il verbale delle attività svolte – dal quale devono risultare i motivi che hanno portato al provvedimento di rilascio – e di consegnarne copia alla persona destinataria dell'ordine di rilascio.
Il verbale deve essere poi trasmesso, nelle quarantotto ore successive, al pubblico ministero del luogo in cui la reintegrazione del possesso è avvenuta.
Se il pubblico ministero non dispone la restituzione dell'immobile al destinatario dell'ordine di rilascio, chiede al giudice la convalida e l'emissione di un decreto di reintegrazione nel possesso entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale.
Nel caso di inosservanza dei termini previsti, ovvero nei casi in cui il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta, la reintegrazione nel possesso perde efficacia.
Infine, si prevede che copia dell'ordinanza e del decreto di reintegrazione nel possesso debba essere immediatamente notificata all'occupante.

Articolo 9 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di truffa).
Con l'articolo in esame si intende reprimere in maniera più incisiva il crescente fenomeno delle truffe agli anziani, rafforzando gli strumenti di deterrenza e di repressione di tali allarmanti comportamenti.
Dall'esame dei dati relativi alle vittime di truffe commesse ai danni di persone di età pari o superiore a sessantacinque anni forniti dalla Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno emerge che, negli ultimi anni, i soggetti passivi di tali condotte hanno subìto un decisivo incremento, passando dai 21.480 del 2020, ai 24.338 del 2021, ai 26.630 del 2022. Nell'anno in corso, alla data del 31 agosto 2023, gli anziani vittime di tali comportamenti ammontavano a 21.924, con una variazione percentuale in aumento del +28,9 per cento rispetto al dato relativo al medesimo periodo del 2022, quando gli anziani truffati erano stati 17.008.
Più nel dettaglio, l'ipotesi normativa in commento prevede, innanzitutto, al comma 1, lettera a), la soppressione dell'aggravante di cui all'articolo 640, secondo comma, numero 2-bis, del codice penale e la contestuale introduzione di un nuovo terzo comma recante una specifica ipotesi di truffa aggravata sanzionata più gravemente delle altre ipotesi di cui al secondo comma del medesimo articolo [comma 1, lettera b)].
Tale ipotesi si sostanzia nella condotta già prevista dal soppresso numero 2-bis – ovvero l'aver commesso il fatto in presenza dell'aggravante di cui all'articolo 61, numero 5), del codice penale (concernente l'aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa) – alla quale viene attribuito autonomo rilievo, nonché nell'inasprimento del relativo trattamento sanzionatorio.
Ad oggi, l'aggravante di cui al numero 2-bis comporta l'applicazione della pena da uno a cinque anni di reclusione. Con l'intervento in argomento si mira ad innalzare i predetti limiti edittali a due e a sei anni e ad introdurre la multa da euro 700 a euro 3.000, consentendo così l'applicazione della misura cautelare in carcere, secondo quanto stabilito dal comma 2 dell'articolo 280 del codice di procedura penale.
L'intervento normativo di cui si tratta prevede altresì, al comma 2, l'introduzione nell'articolo 380, comma 2, del codice di procedura penale della lettera f.1) che inserisce la nuova fattispecie di truffa aggravata nel novero dei reati per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.

Articolo 10 (Modifiche all'articolo 10 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, in materia di divieto di accesso alle aree e alle pertinenze delle infrastrutture di trasporto, e all'articolo 165 del codice penale, in materia di sospensione condizionale della pena).
L'articolo in esame, al comma 1, estende l'ambito della misura di prevenzione del DACUR (cosiddetto DASPO urbano).
Va premesso che l'articolo 9 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, prevede che il sindaco possa irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro e impartire un ordine di allontanamento (dal luogo della condotta illecita), valido quarantotto ore, nei confronti di chiunque:

in violazione di divieti di stazionamento o di occupazione di spazi, limiti la libera accessibilità e fruizione di infrastrutture (fisse e mobili) ferroviarie, aeroportuali marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze (comma 1): vi rientrano condotte come la «prostituzione con modalità ostentate» o «l'accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti» che, in senso più ampio, limitano o comunque recano disturbo alla libera fruizione di tali spazi da parte dei cittadini;

chi – nei suddetti spazi – viene trovato in stato di ubriachezza, compie atti contrari alla pubblica decenza ovvero esercita il commercio abusivo (comma 2).

Il successivo articolo 10 del decreto-legge 14 del 2017 prevede che nei casi di reiterazione delle condotte di cui all'articolo 9, commi 1 e 2, il questore possa disporre il divieto di accesso alle aree sopra indicate per un periodo non superiore a dodici mesi.
A tale articolo, viene aggiunta l'ulteriore ipotesi oggetto della presente modifica legislativa. Pertanto, il questore potrà disporre il divieto di accesso alle aree di infrastrutture e pertinenze del trasporto pubblico anche a soggetti denunciati o condannati per reati contro la persona o il patrimonio.
A prescindere dalla scarsa dissuasività della sanzione penale prevista, poco afflittiva ma comunque proporzionata alla gravità dei fatti (il reato contravvenzionale per chi non ottempera al suddetto divieto prevede l'arresto da sei mesi ad un anno e, nella forma aggravata, da uno a due anni), la disposizione che si intende introdurre avrebbe il pregio di consentire alle forze di polizia di intervenire immediatamente per «espellere» dalle suddette aree le persone destinatarie del divieto di accesso, svolgendo così una funzione di prevenzione di possibili reati che costoro potrebbero ivi commettere.
Con riguardo al comma 2, va premesso che l'articolo 165 del codice penale stabilisce che la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata ad alcuni obblighi del condannato.
Con la disposizione che si propone di introdurre, si dispone che, in caso di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree e nelle pertinenze dei trasporti pubblici, la concessione della sospensione condizionale della pena debba essere subordinata all'osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere ai luoghi in argomento. A ciò consegue il fatto che, se il divieto di accesso non è osservato, il giudice deve revocare la sospensione condizionale della pena.
Infine, a seguito dell'introduzione al comma 2 della previsione della sospensione condizionale con osservanza del divieto, si dispone che è abrogata la norma di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 14 del 2017, che prevede la mera possibilità (e non l'obbligo) di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'osservanza del divieto di accesso alle aree di trasporto.

Articolo 11 (Modifiche all'articolo 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, relativo all'impedimento della libera circolazione su strada).
L'articolo in esame interviene sul decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, recante «Norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione».
In particolare, viene modificato l'articolo 1-bis, che sanziona amministrativamente colui che impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo; l'illecito amministrativo viene elevato a delitto ed esteso, nell'applicazione, anche ai casi di blocco di strada ferrata.
In sostituzione del secondo periodo, viene inserita un'aggravante speciale ad effetto speciale per l'ipotesi di consumazione del reato da parte di più persone riunite, graduando il trattamento sanzionatorio (da sei mesi a due anni di reclusione) in rapporto a quello previsto per l'ipotesi base, punita con pena alternativa della reclusione fino a un mese o della multa fino a 300 euro.

Articolo 12 (Modifiche agli articoli 146 e 147 del codice penale in materia di esecuzione penale in caso di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti).
L'articolo in esame modifica gli articoli 146 e 147 del codice penale in materia di esecuzione della pena.
In particolare, il rinvio della pena per donne incinte e madri di prole fino a un anno viene reso facoltativo (attualmente è previsto come obbligatorio, salva la possibilità di disporre, in alternativa al differimento, la detenzione domiciliare ai sensi del comma 1-ter dell'articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354). In tal modo tale ipotesi viene allineata a quella – già prevista in termini di rinvio facoltativo – della madre di prole di età superiore a un anno e inferiore a tre anni. Tra le due fattispecie viene conservata comunque una rilevante differenza: ove infatti l'esecuzione della pena non possa essere in concreto differita dall'autorità giudiziaria competente – fattispecie che può verificarsi solo se dal rinvio derivi una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti – per l'ipotesi della madre con figlio tra uno e tre anni viene disposto che l'esecuzione «possa» avvenire, in alternativa rispetto all'istituto penitenziario «ordinario» (come è attualmente previsto), anche presso gli istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM). Si prevede che invece, nell'ipotesi di donne incinte e madri di prole fino a un anno, ove l'esecuzione della pena non possa essere differita per le eccezionali ragioni sopra richiamate, l'esecuzione «debba» sempre e comunque avvenire presso gli istituti a custodia attenuata, restando quindi fermo il divieto di esecuzione della pena negli istituti penitenziari (case di arresto e di reclusione).

Articolo 13 (Modifiche all'articolo 600-octies del codice penale in materia di accattonaggio).
Con l'articolo in esame sono apportate modifiche al delitto previsto dall'articolo 600-octies del codice penale (impiego di minori nell'accattonaggio, organizzazione dell'accattonaggio).
In particolare, si prevede che:

al comma 1, lettera a): sia punito l'impiego di minori sino a sedici anni (età sino a cui vige l'obbligo scolastico), anziché sino a quattordici anni, e sia innalzata la pena per tale condotta;

al comma 1, lettera b): sia introdotta la condotta di induzione all'accattonaggio, che si aggiunge a quelle già previste di avvalersi, permettere, organizzare o favorire l'accattonaggio. Inoltre, se il fatto è commesso con violenza o minaccia o nei confronti di persona minore degli anni sedici o comunque non imputabile, è prevista un'aggravante ad effetto speciale;

al comma 1, lettera c): sia modificata la rubrica dell'articolo, a seguito dell'introduzione della nuova condotta di induzione all'accattonaggio di cui alla lettera b).

CAPO III – MISURE IN MATERIA DI TUTELA DEL PERSONALE DELLE FORZE DI POLIZIA, DELLE FORZE ARMATE E DEL CORPO NAZIONALE DEI VIGILI DEL FUOCO, NONCHÉ DEGLI ORGANISMI DI CUI ALLA LEGGE 3 AGOSTO 2007, N. 124

Articolo 14 (Modifiche agli articoli 336 e 337 del codice penale in materia di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e di resistenza a pubblico ufficiale).
L'articolo in esame è volto a rafforzare la tutela dell'attività espletata dagli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, al fine di garantire, di conseguenza, un più efficace dispiegamento dei servizi di ordine e sicurezza pubblica.
Nel dettaglio, al comma 1, lettera a), si introduce un'aggravante per le ipotesi in cui le condotte previste dall'articolo 336 del codice penale (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) siano poste in essere proprio nei confronti dei predetti ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. In tali casi, infatti, è previsto un aumentato di pena di un terzo.
Inoltre, nell'ottica di attribuire particolare rilievo all'aggravante di nuovo conio, la stessa viene configurata quale aggravante privilegiata, non soggetta al meccanismo di bilanciamento delle circostanze del reato previsto dall'articolo 69 del codice penale.
Con il comma 1, lettera b), per omogeneità di materia e per finalità di coerenza sistematica, le innovazioni che il comma 1 apporta all'articolo 336 del codice penale vengono riprodotte, parallelamente, anche con riferimento all'articolo 337 del codice penale (resistenza a un pubblico ufficiale).

Articolo 15 (Modifiche all'articolo 583-quater del codice penale in materia di lesioni personali ai danni di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio).
L'articolo in esame è volto a potenziare gli strumenti di tutela dei pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni.
Il comma 1, lettera a), in primo luogo, estende l'ambito di applicazione della disposizione che – nella versione vigente dell'articolo 583-quater del codice penale – è circoscritto alle sole lesioni personali cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive.
Infatti, vengono comprese nella fattispecie di reato tutte le condotte di lesioni cagionate in danno di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria «nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni».
Non solo; a differenza della formulazione vigente, che, con specifico riferimento ai pubblici ufficiali, disciplinava le sole ipotesi di lesioni gravi e gravissime (facendo ricadere le lesioni lievi o lievissime nell'articolo 582 del codice penale, lesione personale), la novella introduce una specifica sanzione anche per le lesioni lievi o lievissime compiute in danno di un operatore della sicurezza (agente o ufficiale di polizia giudiziaria o pubblica sicurezza), in analogia a quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 583-quater per gli esercenti una professione sanitaria e garantendo, quindi, l'omogeneità di trattamento rispetto agli stessi.
Il comma 1, lettera b), reca una modifica di coordinamento al secondo comma dell'articolo 583-quater.
Si sostituisce inoltre la rubrica dell'articolo integrandola con il riferimento alle nuove previsioni [comma 1, lettera c)].

Articolo 16 (Modifiche all'articolo 639 del codice penale per la tutela dei beni mobili e immobili adibiti all'esercizio di funzioni pubbliche).
L'articolo in esame interviene sul titolo XIII del libro secondo del codice penale, dedicato ai delitti contro il patrimonio, aggiungendo al secondo comma dell'articolo 639 (deturpamento e imbrattamento di cose altrui), che già contempla un aggravamento di pena ove il deturpamento o imbrattamento abbia ad oggetto beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati (ovvero strutture adibite alla conservazione di beni culturali, a seguito della modifica introdotta dalla legge recante disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518-duodecies, 635 e 639 del codice penale, recentemente approvata dalle Camere), un'ulteriore circostanza aggravante per il caso in cui il fatto sia commesso su beni mobili o immobili adibiti all'esercizio di funzioni pubbliche, con la finalità di ledere l'onore, il prestigio o il decoro dell'istituzione cui il bene appartiene.
La circostanza speciale ad effetto speciale prevede la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro.
Un'ulteriore circostanza aggravante della stessa natura è inserita al terzo comma dell'articolo 639 nei casi di recidiva per l'ipotesi di nuova introduzione, che determina l'applicazione della reclusione da sei mesi a tre anni e la multa fino a 12.000 euro.

Articolo 17 (Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di inosservanza delle prescrizioni impartite dal personale che svolge servizi di polizia stradale).
L'articolo in esame reca un inasprimento sanzionatorio delle previsioni dell'articolo 192 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con particolare riguardo ai casi di inosservanza dell'obbligo di fermarsi intimato dal personale che svolge servizi di polizia stradale, nonché delle altre prescrizioni impartite dal personale medesimo ai sensi dei commi 1, 2, 3, 4 e 5 del suddetto articolo 192.
In particolare, al comma 1, lettera a), numero 1), nelle ipotesi di violazione degli obblighi di cui ai commi 2, 3 e 5 del medesimo articolo 192 (violazione integrata, ad esempio, dal rifiuto di esibire documenti di guida o di far ispezionare il veicolo al personale di polizia stradale), si prevede la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 a 400 euro (attualmente, è da 87 a 344 euro).
Al comma 1, lettera a), numero 2), nel caso di inosservanza dell'invito a fermarsi di cui all'articolo 192, comma 1, viene prevista, ove il fatto non costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 200 ad euro 600 (a fronte della medesima sanzione pecuniaria sopra indicata). Si prevede altresì che, in caso di reiterazione della violazione nel biennio, si applichi anche la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida fino a un mese.
Invece, al comma 1, lettera a), numero 3), per l'inosservanza delle previsioni di cui al comma 4 dello stesso articolo 192 (che disciplina i cosiddetti «posti di blocco», con i quali viene imposto, per finalità di controllo, il graduale arresto di tutti i veicoli che transitano lungo una strada), si prevede, ove il fatto non costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.500 ad euro 6.000. In questa ipotesi, oggettivamente più grave delle precedenti, si stabilisce che all'accertamento della violazione consegua la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre mesi a un anno.
Con il comma 1, lettera b), invece, in conseguenza delle descritte novelle apportate all'articolo 192, viene ritoccata la tabella dei punteggi prevista dall'articolo 126-bis dello stesso codice della strada, al duplice scopo di adeguarla alla nuova articolazione delle condotte e di graduare la decurtazione alla nuova valutazione di gravità delle stesse.

Articolo 18 (Modifica all'articolo 415 e introduzione dell'articolo 415-bis del codice penale, per il rafforzamento della sicurezza degli istituti penitenziari).
La tutela dell'ordine pubblico nel contesto degli istituti di pena viene rafforzata con un duplice intervento, che introduce un'aggravante speciale a effetto comune per il reato di istigazione a disobbedire alle leggi (inserita con l'aggiunta di un nuovo comma all'articolo 415 del codice penale), ove la condotta sia consumata all'interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni dirette a persone detenute [comma 1, lettera a)], e il nuovo reato di rivolta all'interno di un istituto penitenziario, inserito all'articolo 415-bis del codice penale [comma 1, lettera b)].
Il reato prefigurato punisce le condotte di promozione, organizzazione o direzione (primo comma) e partecipazione (secondo comma) a una rivolta consumata all'interno di un istituto penitenziario da tre o più persone riunite, mediante atti di violenza o minaccia, tentativi di evasione o atti di resistenza anche passiva all'esecuzione degli ordini impartiti.
La descrizione delle modalità della condotta tipizza azioni già previste dall'articolo 41 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354), a giustificazione dell'impiego della forza fisica e dell'uso dei mezzi di coercizione da parte del personale degli istituti penitenziari.
Sono articolate, ai commi seguenti, circostanze aggravanti per il caso dell'uso di armi (terzo comma) e di eventi di lesione o morte quale conseguenza della rivolta (quarto comma) e nei casi in cui tali eventi avvengano immediatamente dopo la rivolta in conseguenza di essa (quinto comma).

Articolo 19 (Modifiche all'articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per il rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti).
La novella introdotta dalla lettera a) del comma 1 dell'articolo in esame introduce, nell'ambito del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, all'articolo 14, un nuovo comma (7.1) in cui è punito (con la reclusione da uno a sei anni) lo straniero o il cittadino dell'Unione europea (nei casi di trattenimento previsti dall'articolo 20-ter del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30) che – durante il trattenimento o la permanenza in una delle strutture di cui all'articolo 10-ter o in uno dei centri di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero in una delle strutture di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39 – mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva all'esecuzione degli ordini impartiti, posti in essere in tre o più persone riunite, promuove, organizza o dirige una rivolta.
La novella prevede inoltre una specifica sanzione (reclusione da uno a quattro anni) per colui che partecipa alla rivolta. Se, invece, il fatto è commesso con l'uso di armi la pena prevista è della reclusione da due a otto anni.
La novella prevede infine la pena della reclusione da dieci a venti anni nelle ipotesi in cui, nel corso della rivolta, taluno rimanga ucciso o riporti lesioni personali gravi o gravissime e anche nel caso in cui la lesione personale o la morte avvengano immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di essa.
La lettera b) del medesimo comma, infine, reca una disposizione di mero coordinamento normativo.

Articolo 20 (Disposizioni in materia di licenza, porto e detenzione di armi per gli agenti di pubblica sicurezza).
La finalità dell'articolo in esame è di consentire l'impiego di arma diversa da quella d'ordinanza a soggetti che, senza licenza, comunque possono detenerla.
A tal fine viene estesa agli agenti di pubblica sicurezza quanto previsto dall'articolo 73, primo comma, del regolamento di cui al regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, il quale stabilisce che «il Capo della polizia, i Prefetti, i vice-prefetti, gli ispettori provinciali amministrativi, gli Ufficiali di pubblica sicurezza, i Pretori e i magistrati addetti al pubblico Ministero o all'ufficio di istruzione, sono autorizzati a portare senza licenza le armi di cui all'articolo 42» del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e quindi di usare rivoltelle o pistole di qualunque misura.
Gli agenti di pubblica sicurezza, che possono portare, senza licenza, solamente le armi di ordinanza, hanno spesso evidenziato la necessità di poter acquistare, detenere e portare, senza licenza, un'arma privata in luogo di quella d'ordinanza quando operano in borghese o non sono in servizio.
L'intervento legislativo proposto è necessario anche per evitare gli effetti negativi derivanti dal detenere un'arma diversa da quella d'ordinanza quando non si è in servizio. Si rammenta infatti che in tutti i casi di porto abusivo di armi si applica l'articolo 699 del codice penale («Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, quando la licenza è richiesta porta un'arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, è punito con l'arresto fino a diciotto mesi. Soggiace all'arresto da diciotto mesi a tre anni chi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un'arma per cui non è ammessa licenza») che espressamente punisce con l'arresto sino a diciotto mesi chiunque, senza la licenza dell'Autorità, quando la licenza è richiesta (circostanza quest'ultima che esclude di diritto tutti coloro che rivestono la qualifica di «ufficiale di pubblica sicurezza»), porta un'arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa e, per quel che riguarda quanto in esame, diversa da quella d'ordinanza. La licenza del questore o del prefetto, di cui all'articolo 42 del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, è richiesta se l'arma non è quella di ordinanza.
Si consideri, inoltre, che l'articolo 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, recante disposizioni per il controllo delle armi, punisce con «la reclusione da due a dieci anni e con la multa da 4.000 euro a 40.000 euro» la condotta di chi illegalmente porta in luogo pubblico o aperto al pubblico le armi.
La normativa proposta pertanto prevede che gli agenti di pubblica sicurezza siano autorizzati a portare senza licenza le armi previste dall'articolo 42 del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931 quando non sono in servizio (comma 1); pertanto, il comma 2 dell'articolo in esame prevede che, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, siano apportate le modifiche necessarie all'articolo 73 del regolamento di cui al regio decreto n. 635 del 1940, al fine di adeguare le norme da esso recate alle disposizioni del comma 1.

Articolo 21 (Disposizioni per la tutela delle funzioni istituzionali del Corpo della guardia di finanza svolte in mare e modifiche agli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione).
La legge 13 dicembre 1956, n. 1409 (Norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi), prevede, agli articoli 5 e 6, che «il capitano della nave nazionale» che:

«non obbedisce alla intimazione di fermo di una unità del naviglio della Guardia di finanza è punito con le pene stabilite dall'articolo 1099 del Codice della navigazione» (articolo 5);

«commette atti di resistenza o di violenza contro una unità di naviglio della Guardia di finanza è punito con le pene stabilite dall'articolo 1100 del Codice della navigazione» (articolo 6).

Alle citate condotte, pertanto, sono applicate le medesime pene stabilite dal richiamato codice della navigazione quando tali atti illeciti sono commessi ai danni di una nave da guerra nazionale.
Le fattispecie penali in parola, essendo collocate in un provvedimento normativo dedicato al contrasto del contrabbando di tabacchi, risultano, tuttavia, applicabili solo quando le unità navali della guardia di finanza sono impegnate in attività di vigilanza nello specifico settore.
Al riguardo, occorre evidenziare che i compiti istituzionali del Corpo hanno una rilevantissima proiezione nell'ambiente marino anche in altri comparti. Infatti, il quadro giuridico vigente demanda al Corpo della guardia di finanza le funzioni di:

vigilanza in mare per fini di polizia finanziaria e concorso ai servizi di polizia marittima, assistenza e segnalazione (articolo 1 della legge 23 aprile 1959, n. 189);

concorso, anche con il proprio naviglio, alla difesa politico-militare delle frontiere e, in caso di guerra, alle operazioni militari (articoli 1 e 4, terzo comma, della legge n. 189 del 1959 e articolo 98 del testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90);

sicurezza del mare in via esclusiva – in relazione ai compiti di polizia, garantendo il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica in tale ambiente geografico – ivi compresa l'attività di prevenzione e contrasto dell'immigrazione irregolare (decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, e conseguente direttiva sui comparti di specialità delle forze di polizia, di cui al decreto del Ministro dell'interno 15 agosto 2017). In proposito, si rileva che specifiche competenze nel settore del contrasto del traffico illecito di migranti via mare vengono, altresì, demandate al Corpo dal decreto del Ministro dell'interno 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina) e dal relativo accordo tecnico-operativo del 14 settembre 2005, i quali assegnano al medesimo Corpo – nelle acque territoriali e nella zona contigua – anche compiti di coordinamento dei mezzi appartenenti a diverse amministrazioni;

polizia economica e finanziaria in mare, in via esclusiva, nonché di contrasto dei traffici illeciti (articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68).

Pertanto, l'estensione dell'equiparazione quoad poenam del rifiuto di obbedienza e degli atti di resistenza o violenza contro unità di naviglio del Corpo della guardia di finanza «impiegate nell'esercizio delle funzioni istituzionali a esse attribuite dalla normativa vigente» assicurerebbe al personale del citato Corpo una maggiore tutela penale contro atti illeciti commessi a loro danno, quando impegnati nelle proprie attività istituzionali.
Per le medesime finalità, tale tutela penale viene contemplata anche quando le condotte oggetto della norma punitiva in rassegna sono poste in essere da navi straniere.
Infine, per motivi di ordine sistematico, viene proposto un intervento modificativo degli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione, allo scopo di prevedere che le sanzioni ivi contenute siano applicabili anche quando i fatti siano commessi da navi straniere a danno di navi da guerra nazionali.
Tali modifiche sono state orientate a garantire la piena salvaguardia delle previsioni contenute dalle norme internazionali nella specifica materia.

Articolo 22 (Modifica all'articolo 19, comma 3, della legge 21 luglio 2016, n. 145, per la tutela del personale delle Forze armate che partecipa a in missioni internazionali).
L'articolo 19 della legge 21 luglio 2016, n. 145, statuisce che, anche nell'ipotesi in cui le missioni internazionali prevedano l'invio di corpi di spedizione all'estero per operazioni militari armate, non si fa luogo all'operatività della legge penale militare di guerra – codice penale militare di guerra compreso – bensì si applica la legge penale militare di pace a partire, per l'appunto, dal codice penale militare di pace.
In particolare il comma 3 della citata disposizione disciplina la scriminante dell'uso della forza per le necessità delle operazioni militari in conformità alle regole di ingaggio prevedendo che «non è punibile il personale di cui al comma 1 che, nel corso delle missioni internazionali, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle operazioni militari».
Nel solco di tali premesse, l'intervento normativo si prefigge lo scopo di estendere l'applicazione di tale causa di giustificazione anche ai casi in cui il personale delle Forze armate che partecipa alle missioni internazionali «in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di fare uso» di apparecchiature, dispositivi, programmi, apparati, strumenti informatici o altri mezzi idonei a commettere taluno dei delitti di cui alla sezione IV (delitti contro la inviolabilità del domicilio) e alla sezione V (delitti contro la inviolabilità dei segreti) del capo III (delitti contro la libertà individuale) del titolo XII (delitti contro la persona) del libro secondo del codice penale.

Articolo 23 (Disposizioni per il potenziamento dell'attività di informazione per la sicurezza).
L'articolo in esame ha un duplice obiettivo:

mettere a regime le disposizioni introdotte, in via transitoria, dall'articolo 8, comma 2, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7 (cosiddetto decreto antiterrorismo), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, già oggetto di numerose proroghe e in scadenza al 31 gennaio 2024;

introdurre ulteriori disposizioni per potenziare l'attività informativa degli organismi di informazione per la sicurezza per il contrasto del terrorismo internazionale.

L'intervento di messa a regime delle predette disposizioni, alla luce della ormai pluriennale esperienza applicativa delle stesse, appare necessario in quanto tali previsioni si sono rivelate utili, efficaci e incisive nello svolgimento delle attività istituzionali di prevenzione e contrasto del terrorismo.
Al comma 1 si apportano alcune modifiche alla legge 3 agosto 2007, n. 124. In particolare:

alla lettera a), al fine di rafforzare alcune delle prerogative già conferite al comparto dei servizi di informazione per la sicurezza nel 2007, si interviene sull'articolo 13 della citata legge, definendo più incisivamente il potere già conferito nel 2007 agli organismi di informazione e sicurezza di richiedere la collaborazione delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità, rendendone cogente la collaborazione. Inoltre, viene ampliato il novero dei soggetti tenuti a prestarla, estendendo tale obbligo alle società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico. È previsto che le modalità di tale collaborazione siano definite con convenzioni tra i soggetti tenuti a prestarla e gli organismi di informazione per la sicurezza e che tali convenzioni possano prevedere anche la trasmissione agli organismi in deroga a vincoli di riservatezza previsti dalla normativa di settore;

alla lettera b), al fine di mettere a regime la disposizione in materia di garanzie funzionali, di cui all'articolo 8, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 7 del 2015, si novella l'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, estendendo le condotte scriminabili ad ulteriori fattispecie di reato, riferibili agli attuali contesti in cui si sviluppa la minaccia terroristica. L'articolo 17, infatti, nel disciplinare l'istituto delle garanzie funzionali, ne preclude l'applicazione ad alcune fattispecie delittuose, tra cui le condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato a norma dell'articolo 39, comma 11, della medesima legge, ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270-bis, secondo comma, e 416-bis, primo comma, del codice penale e, nello specifico, quelle in materia di terrorismo.

Pertanto, come eccezione di tale limitazione, la norma del 2015 aveva consentito le condotte di partecipazione ad associazioni sovversive, assistenza agli associati, arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo, addestramento ad attività e finanziamento di condotte con finalità di terrorismo, istigazione a commettere delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato, partecipazione a banda armata, istigazione a delinquere per delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità, anche con strumenti informatici o telematici. Tale eccezione è stata prorogata di anno in anno.
Per altro verso, la modifica dell'articolo 17 attende all'obiettivo di potenziare l'impiego della speciale causa di giustificazione, estendendone l'applicabilità alla direzione e all'organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico, nella considerazione che anche tali attività risultano necessarie ai fini di intelligence.
Ciò posto, al predetto articolo 17, comma 4, della legge n. 124 del 2007, è inserita una disposizione che estende l'ambito di applicazione delle garanzie funzionali alle condotte integrative delle fattispecie di reato di cui al primo comma dell'articolo 270-bis del codice penale, consistenti nel dirigere e organizzare le associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico. Sempre nell'ambito del comma 1, lettera b), a seguito dell'introduzione di nuove fattispecie di reato in materia di «detenzione di materiale con finalità di terrorismo», previste dal presente disegno di legge (nuovi articoli 270-quinquies.3 e 435, secondo comma, del codice penale, introdotti dall'articolo 1 del disegno di legge), sono incluse tali nuove fattispecie incriminatrici tra le condotte di reato scriminabili che possono essere chiamati a compiere gli operatori di intelligence per lo svolgimento delle attività informative istituzionali nei contesti terroristici. Per la necessaria omogeneità di materia, la scriminante è estesa anche al già vigente primo comma dell'articolo 435 del codice penale.
Al comma 2, lettera a), si apportano modifiche all'articolo 8 del citato decreto-legge n. 7 del 2015, introducendo a regime le seguenti disposizioni, attualmente previste, in via transitoria, dal comma 2, lettere b), c) e d), del medesimo articolo 8:

comma 1-bis: si prevede la possibilità di attribuire la qualifica di agente di pubblica sicurezza, con le modalità di cui all'articolo 23, comma 2, della legge n. 124 del 2007, al personale delle Forze armate adibito al concorso alla tutela delle strutture e del personale degli organismi di informazione per la sicurezza;

comma 1-ter: si consente, contestualmente all'opposizione della causa di giustificazione di cui all'articolo 17 della legge n. 124 del 2007, di dare comunicazione riservata dell'identità di copertura degli appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza all'autorità giudiziaria che procede nei loro confronti, in caso di reati commessi nel corso delle operazioni di istituto;

comma 1-quater, si consente agli appartenenti agli organismi di informazione per la sicurezza di deporre in sede testimoniale utilizzando generalità di copertura, sia laddove gli stessi abbiano operato sotto copertura, sia quando risulti comunque necessario mantenerne segreta la reale identità a fini di tutela, anche personale.

Al comma 2, lettera b), è conseguentemente abrogato il comma 2 dell'articolo 8 del decreto-legge n. 7 del 2015, recante le medesime disposizioni in via transitoria.
Al comma 3, si introducono in modo permanente le disposizioni di cui all'articolo 4, comma 2-bis e seguenti, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, anch'esse in scadenza al 31 gennaio 2024, concernenti la possibilità per il personale dei servizi di informazione per la sicurezza di effettuare colloqui personali con detenuti e internati al fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale.
Le disposizioni che vengono messe a regime prevedono che l'autorizzazione allo svolgimento di tali colloqui sia concessa dal procuratore generale presso la corte di appello di Roma, quando sussistono specifici e concreti elementi informativi che rendono assolutamente indispensabile l'attività di prevenzione. Dello svolgimento dei colloqui è data comunicazione scritta al medesimo procuratore generale e al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
È inoltre previsto che dello svolgimento dei colloqui sia data informazione al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica a conclusione delle operazioni, secondo i termini e le modalità di cui all'articolo 33, comma 4, della legge n. 124 del 2007.
Sono poi apportate modifiche di coordinamento rivolte a sostituire i richiami all'articolo 226 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale con i riferimenti relativi alla nuova disciplina delle intercettazioni di cui agli articoli 4 e 4-bis del decreto-legge n. 144 del 2005, che non fa più rinvio alla disciplina di cui al citato articolo 226.
Il comma 4 interviene sull'articolo 14 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 186, prevedendo la possibilità per le Agenzie di cui agli articoli 6 e 7 della legge n. 124 del 2007 di richiedere alle autorità nazionali competenti di cui all'articolo 5 del citato decreto legislativo (Corpo della guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia) le informazioni e le analisi finanziarie previste all'articolo 2, comma 1, lettere c) e d), del medesimo decreto legislativo n. 186 del 2021, concernenti, come noto, «[...] qualsiasi tipo di informazioni o dati, quali dati su attività finanziarie, movimenti di fondi o relazioni finanziarie commerciali, già detenuti dalle unità di informazione finanziaria (FIU) [...], nonché [...] i risultati delle analisi operative e strategiche già condotte dalle FIU».
La novella si propone di colmare un deficit informativo in relazione a esigenze riconducibili a obiettivi selettivi, inserendo l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna e l'Agenzia informazioni e sicurezza interna all'interno del circuito di cooperazione già esistente tra le forze di polizia di cui all'articolo 14 del citato decreto legislativo n. 186 del 2021.
Il medesimo decreto legislativo n. 186 del 2021 ha attuato nell'ordinamento italiano la direttiva (UE) 2019/1153, con la quale sono state introdotte disposizioni tese ad agevolare, in ciascuno Stato membro, l'uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati. In particolare, tale direttiva ha espressamente riconosciuto alle autorità e agli organismi pubblici che svolgono attività di prevenzione di reati gravi, tra cui il terrorismo, la possibilità di essere annoverati, nelle norme di attuazione nazionali, tra le autorità competenti cui è consentito l'accesso alle informazioni o analisi finanziarie detenute dalle FIU e al registro nazionale centralizzato dei conti bancari.
Il legislatore europeo, nell'ottica di estendere lo scambio informativo tra le autorità competenti degli Stati membri, con la direttiva (UE) 2018/843, in materia di antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo, ha inteso, fra l'altro, descrivere in maniera puntuale le strutture deputate alla prevenzione e al contrasto dei citati reati. È infatti previsto che le differenze in termini di funzioni, competenze e poteri ancora esistenti, tra le differenti FIU europee, «non dovrebbero [...] incidere [...] sulla loro capacità di effettuare analisi preventive a sostegno di tutte le Autorità responsabili delle attività di carattere informativo, investigativo e giudiziario e della cooperazione internazionale», riconoscendo pertanto esplicitamente la possibilità di prevedere l'accesso alle informazioni delle FIU anche per quelle strutture che hanno compiti di ricerca informativa in materia di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, quali sono i servizi di informazione per la sicurezza.
Le informazioni e le analisi in parola consentirebbero, pertanto, di avere un quadro storico e aggiornato sui circuiti di finanziamento internazionale del terrorismo e in particolare sulla rete dei soggetti che hanno posto in essere le transazioni finanziarie destinate a sovvenzionare la logistica e l'attività di soggetti sospettati di far parte di organizzazioni terroristiche. In tal modo, sarà possibile ricostruire sia l'aspetto militare che finanziario di tali fenomeni favorendo un'attività di contrasto immediata e completa.

CAPO IV – DISPOSIZIONI IN MATERIA DI VITTIME DELL'USURA

Articolo 24 (Disposizioni in materia di sostegno agli operatori economici vittime di usura).
L'articolo in esame risponde ad esigenze integrative rispetto alla legislazione vigente al fine di renderla più efficace nel favorire il reinserimento delle vittime di usura nell'attività economica legale.
Si rende particolarmente necessario, mediante l'introduzione di un articolo 14-bis nella legge 7 marzo 1996, n. 108, attribuire un incarico di consulenza in favore della vittima ad esperti (cosiddetti tutor). Ciò al fine di attenuare l'alta morosità riscontrata, soprattutto negli ultimi anni, nella restituzione dei mutui stessi, come evidenziato anche dalla Corte dei conti, nelle deliberazioni di competenza, in esito alle indagini sulla gestione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle vittime estorsive e dell'usura.
Si ritiene che la elevata morosità possa essere definitivamente contrastata con l'introduzione di disposizioni che prevedano, in particolare, che la vittima di usura, alla quale viene erogato il mutuo, ai sensi dall'articolo 14, possa avvalersi di un esperto, nominato dal prefetto della provincia nel cui ambito ha sede l'ufficio giudiziario che procede per il reato di usura ovvero della provincia dove ha sede legale o la residenza il beneficiario.
Il tutor, che ha funzioni di consulenza e di assistenza, è iscritto, a richiesta, in un albo ad hoc, sul modello di quello previsto dalla disciplina in materia di revisori dei conti degli enti locali, da istituire presso il Ministero dell'interno – Ufficio del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura.
È previsto, inoltre, che la somma, erogata ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 108 del 1996, entri a far parte di un patrimonio autonomo e separato, finalizzato esclusivamente al rilancio dell'attività economica del beneficiario vittima, più facilmente oggetto di controllo nel caso di utilizzo distorto.
Il tutor, pertanto, ha l'obbligo di segnalare tempestivamente al prefetto tale eventuale criticità, con la possibilità di revoca del mutuo stesso.
Il beneficiario del mutuo in parola riceve, pertanto, un efficace supporto sia in occasione della presentazione dei piani di investimento sia nel successivo utilizzo della somma a disposizione.
Vengono esplicitate le attività di competenza del tutor, che includono quelle di supporto già ricordate, nonché quelle di presentazione del rendiconto dell'attività di gestione e della relazione annuale sul proprio operato.
Le stesse disposizioni richiamano, altresì, come cause di incompatibilità le ipotesi di cui all'articolo 2399 del codice civile e stabiliscono i princìpi ai quali il tutor deve ispirarsi nello svolgimento del munus assegnatogli.
La durata dell'incarico è quinquennale – con la possibilità di una sola proroga – ma è revocabile, ai sensi dell'articolo 1723, comma 1, del codice civile, qualora emergano azioni ovvero omissioni contrarie al corretto esercizio dei compiti previsti in materia di supporto alla vittima di usura e di rendicontazione sopra riferite.
Con regolamento, da adottare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'economia e finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, si provvederà alla definizione dei requisiti per l'iscrizione all'albo, del limite numerico degli incarichi che possono essere svolti, delle modalità di nomina con i relativi criteri di trasparenza, che assicurino la rotazione degli incarichi, delle modalità per la tenuta e la gestione del medesimo albo, nonché del compenso base spettante all'esperto.

CAPO V – NORME SULL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Articolo 25 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione dei benefìci ai detenuti e agli internati).
Con l'articolo in esame viene esteso il catalogo dei reati «ostativi» di cui all'articolo 4-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (divieto di concessione dei benefìci e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti), con l'inserimento al comma 1-ter dell'ipotesi aggravata di istigazione a disobbedire alle leggi (articolo 415 del codice penale) e del reato rivolta (articolo 415-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 18 del disegno di legge). L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione potranno essere concessi solo a condizione che non sussistano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Si interviene anche sull'articolo 20 della stessa legge n. 354 del 1975, dedicato al lavoro dei detenuti e internati, prevedendo al comma 8 un termine di sessanta giorni per l'amministrazione penitenziaria al fine di pronunciarsi sulle proposte di convenzione con soggetti pubblici o privati o cooperative tesi a favorire le opportunità di lavoro e fornire l'indicazione delle condizioni e prescrizioni necessarie.

Articolo 26 (Modifiche all'articolo 2 della legge 22 giugno 2000, n. 193, in materia di attività lavorativa dei detenuti).
L'articolo in esame interviene modificando l'articolo 2, comma 1, primo periodo, della legge 22 giugno 2000, n. 193 (Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti), estendendo le agevolazioni già previste per le aziende pubbliche e private che organizzino attività produttive o di servizi, all'interno degli istituti penitenziari, con l'impiego di persone detenute o internate, anche alle attività svolte dalle stesse aziende all'esterno del circuito carcerario, impiegando persone ammesse al lavoro esterno.

Articolo 27 (Modifica all'articolo 47 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di apprendistato professionalizzante).
L'articolo in esame interviene sull'articolo 47 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni), che prevede le disposizioni finali in materia di apprendistato, estendendo, al comma 4, la possibilità di assumere in apprendistato professionalizzante anche i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e i detenuti assegnati al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 354 del 1975.

Articolo 28 (Modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in materia di organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario).
L'articolo in esame prevede che, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge proposta, il Governo provvede, ai sensi dei commi 1 e 4 dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, ad apportare modifiche alle norme disciplinanti l'organizzazione del lavoro, contenute nel regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, sulla base dei seguenti criteri:

a) valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale mediante iniziative di promozione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario;

b) semplificazione delle relazioni tra imprese e strutture carcerarie;

c) previsione della possibilità per l'amministrazione penitenziaria di apprestare modelli organizzativi di co-gestione per attività di valenza sociale;

d) riconoscimento ai fini curriculari e della formazione professionale delle prestazioni lavorative svolte dai soggetti detenuti o internati;

e) incentivazione delle commesse di lavoro a privati;

f) valorizzazione della collaborazione con i Consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei consulenti del lavoro, con il Consiglio nazionale forense, con il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e con il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, al fine di diffondere la conoscenza delle iniziative legislative e amministrative sul reinserimento lavorativo dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario.

CAPO VI – DISPOSIZIONI FINALI

Articolo 29 (Clausola di invarianza finanziaria).
L'articolo in esame prevede, infine, la neutralità finanziaria del provvedimento, salvo quanto previsto dall'articolo 27.

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RELAZIONE TECNICA
(Articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196).

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ANALISI TECNICO-NORMATIVA

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DISEGNO DI LEGGE

Capo I
DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO DEL TERRORISMO E DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NONCHÉ IN MATERIA DI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI E DI CONTROLLI DI POLIZIA

Art. 1.
(Introduzione dell'articolo 270-quinquies.3 e modifica all'articolo 435 del codice penale in materia di delitti con finalità di terrorismo e contro l'incolumità pubblica)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo l'articolo 270-quinquies.2 è inserito il seguente:

«Art. 270-quinquies.3. – (Detenzione di materiale con finalità di terrorismo) – Chiunque, fuori dei casi di cui agli articoli 270-bis e 270-quinquies, consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull'uso di congegni bellici micidiali di cui all'articolo 1, primo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, di armi da fuoco o di altre armi o di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da due a sei anni»;

b) all'articolo 435 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Fuori dei casi di concorso nel reato di cui al primo comma, chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull'uso delle materie o sostanze indicate al medesimo comma, o su qualunque altra tecnica o metodo per il compimento di taluno dei delitti non colposi di cui al presente titolo puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni».

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 17 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, concernente le prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per finalità di prevenzione del terrorismo)

1. All'articolo 17 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1:

1) al primo periodo, dopo le parole: «prevenzione del terrorismo» sono inserite le seguenti: «nonché per la prevenzione dei reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;

2) dopo il terzo periodo è aggiunto il seguente: «Il contravventore è punito con l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a euro 206»;

b) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per la prevenzione di reati di particolare gravità».

Art. 3.
(Modifiche agli articoli 85 e 94 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di documentazione antimafia)

1. Al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 85, comma 2:

1) all'alinea, le parole: «consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese» sono sostituite dalle seguenti: «consorzi, raggruppamenti temporanei di imprese e contratti di rete»;

2) dopo la lettera h) è inserita la seguente:

«h-bis) per i contratti di rete, alle imprese aderenti al contratto, secondo le modalità indicate nelle lettere precedenti, e, ove presente, all'organo comune»;

b) all'articolo 94, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. I divieti di cui al comma 1 non si applicano, oltre che nelle ipotesi di cui all'articolo 67, comma 5, anche nel caso in cui il prefetto, d'ufficio o su istanza di parte, accerti che per effetto dei predetti divieti verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla sua famiglia. In tale caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 94-bis».

Art. 4.
(Modifiche all'articolo 13 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e all'articolo 5 della legge 11 gennaio 2018, n. 6, in materia di speciali misure di protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia)

1. All'articolo 13 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 10 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Per le medesime finalità di cui al primo periodo, l'utilizzazione del documento di copertura può essere consentita anche ai collaboratori e ai rispettivi familiari che siano sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari di cui all'articolo 284 del codice di procedura penale o che fruiscano della detenzione domiciliare ai sensi dell'articolo 16-nonies del presente decreto. Quando si rende necessario, nell'ambito dei compiti affidati al Servizio centrale di protezione ai sensi dell'articolo 14 del presente decreto, compiere particolari atti o svolgere specifiche attività di natura riservata, per il perseguimento delle finalità di cui al primo periodo e per la funzionalità, la riservatezza e la sicurezza dell'applicazione delle speciali misure di protezione, sono consentiti al predetto Servizio centrale di protezione l'utilizzazione di documenti di copertura nonché la creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario. Per l'utilizzazione dei documenti e la creazione delle identità fiscali di cui al terzo periodo, il Servizio centrale di protezione si avvale della collaborazione delle autorità e degli altri soggetti competenti»;

b) al comma 11:

1) dopo il primo periodo è inserito il seguente: «L'autorizzazione alla creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, di cui al comma 10 è data dal Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza, con facoltà di delega a uno dei vice direttori generali del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, ed è diretta alle autorità e agli altri soggetti competenti, che non possono opporre rifiuto di predisporre i documenti, procedere alle registrazioni e porre in essere ogni adempimento necessario»;

2) il terzo periodo è sostituito dal seguente: «Presso il Servizio centrale di protezione sono tenuti un registro riservato, attestante i tempi, le procedure e i motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento, e ogni altra documentazione relativa alla creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario».

2. All'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge 11 gennaio 2018, n. 6, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché la creazione di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario, necessari per assicurare il conseguimento delle finalità di cui all'alinea e per garantire la funzionalità, la riservatezza e la sicurezza dell'applicazione delle speciali misure di tutela».

Art. 5.
(Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di amministrazione di beni sequestrati e confiscati)

1. Al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 36:

1) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Nella relazione di cui al comma 1, l'amministratore giudiziario illustra altresì in dettaglio le caratteristiche tecnico-urbanistiche dei beni immobili, evidenziando, in particolare, la sussistenza di eventuali abusi nonché i possibili impieghi dei cespiti in rapporto ai vigenti strumenti urbanistici generali, anche ai fini delle valutazioni preordinate alla destinazione dei beni. A tale scopo l'amministratore giudiziario formula, se necessario, apposita istanza ai competenti uffici comunali, che la riscontrano entro quarantacinque giorni dalla richiesta dando comunicazione dell'eventuale sussistenza di abusi e della natura degli stessi. Qualora la verifica risulti di particolare complessità o si renda necessario il coinvolgimento di altre amministrazioni o di enti terzi, i competenti uffici comunali forniscono all'amministratore giudiziario, entro il predetto termine di quarantacinque giorni, le risultanze dei primi accertamenti e le informazioni in merito alle ulteriori attività avviate e, successivamente, sono tenuti a comunicare gli esiti del procedimento»;

2) al comma 3, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «L'amministratore giudiziario, proseguendo, se necessario, l'interlocuzione con i competenti uffici comunali sino al termine del procedimento di verifica di cui al comma 2-bis, assicura comunque il completamento delle verifiche tecnico-urbanistiche anche dopo l'avvenuto deposito della relazione, provvedendo a comunicare i relativi esiti»;

b) all'articolo 38, dopo il comma 3 è inserito il seguente:

«3-bis. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, è adottato, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi dei coadiutori dell'Agenzia»;

c) all'articolo 40, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Se nell'ambito dell'accertamento tecnico-urbanistico di cui all'articolo 36, comma 2-bis, è accertata la sussistenza di abusi non sanabili, il giudice delegato, con il provvedimento di confisca, ne ordina la demolizione in danno del soggetto destinatario del provvedimento e il bene non è acquisito al patrimonio dell'Erario. L'area di sedime è acquisita al patrimonio indisponibile del comune territorialmente competente. Si applicano le disposizioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in materia di interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici»;

d) all'articolo 41:

1) dopo il comma 1-octies è inserito il seguente:

«1-novies. Nei casi di approvazione del programma di prosecuzione ai sensi del comma 1-sexies, il tribunale verifica con cadenza almeno annuale il perdurare delle prospettive di cui al secondo periodo del medesimo comma 1-sexies»;

2) dopo il comma 5 è inserito il seguente:

«5-bis. Nei casi di imprese mancanti di concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa dell'attività e prive di patrimonio utilmente liquidabile, il tribunale ne dà comunicazione all'ufficio del registro delle imprese, che dispone la loro cancellazione entro sessanta giorni dalla comunicazione»;

e) all'articolo 44, dopo il comma 2-bis è aggiunto il seguente:

«2-ter. L'Agenzia, dopo il decreto di confisca della corte di appello, provvede alla comunicazione di cui all'articolo 41, comma 5-bis, previo nulla osta del giudice delegato»;

f) all'articolo 45-bis, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Dopo la definitività del provvedimento di confisca non possono prestare lavoro presso l'impresa confiscata i soggetti che sono parenti, coniugi, affini o conviventi del destinatario della confisca né coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale. I relativi contratti sono risolti di diritto»;

g) all'articolo 48, dopo il comma 15-quater è inserito il seguente:

«15-quater.1. Qualora nel corso del procedimento finalizzato alla destinazione del bene sia accertata la sussistenza di abusi non sanabili, l'Agenzia promuove incidente di esecuzione, ai sensi dell'articolo 666 del codice di procedura penale, innanzi al giudice delegato competente, che avvia il procedimento di cui all'articolo 40, comma 1-bis, del presente codice»;

h) all'articolo 51-bis:

1) al comma 1, le parole: «al deposito in cancelleria» sono sostituite dalle seguenti: «a quello della loro esecuzione»;

2) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Il tribunale o l'Agenzia iscrivono nel registro delle imprese, senza oneri, ogni modifica riguardante le imprese sequestrate e confiscate derivante dalla loro amministrazione ai sensi del presente codice, comprese quelle relative alla loro destinazione»;

i) all'articolo 54, comma 2, terzo periodo, dopo la parola: «disponibili» sono inserite le seguenti: «nel patrimonio aziendale».

Art. 6.
(Modifica all'articolo 2 del decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123, di attuazione della direttiva 2013/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici)

1. All'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123, la parola: «destinate» è sostituita dalla seguente: «destinato».

Art. 7.
(Modifiche all'articolo 10-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di revoca della cittadinanza)

1. All'articolo 10-bis, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo, dopo le parole: «del codice penale» sono aggiunte le seguenti: «, a condizione che l'interessato possieda o possa acquisire un'altra cittadinanza»;

b) al secondo periodo, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «dieci».

Capo II
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA URBANA

Art. 8.
(Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, per il contrasto dell'occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio altrui)

1. Dopo l'articolo 634 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 634-bis. – (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui) – Chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa o detiene senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui, ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, è punito con la reclusione da due a sette anni. Alla stessa pena soggiace chiunque si appropria di un immobile altrui con artifizi o raggiri ovvero cede ad altri l'immobile occupato.
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque si intromette o coopera nell'occupazione dell'immobile, ovvero riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l'occupazione medesima, soggiace alla pena prevista dal primo comma.
Non è punibile l'occupante che collabori all'accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all'ordine di rilascio dell'immobile.
Il delitto è punito a querela della persona offesa».

2. All'articolo 639-bis del codice penale, dopo la parola: «633» è inserita la seguente: «, 634-bis».
3. Dopo l'articolo 321 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

«Art. 321-bis. – (Reintegrazione nel possesso dell'immobile) – 1. Su richiesta del pubblico ministero il giudice competente dispone con decreto motivato la reintegrazione nel possesso dell'immobile oggetto di occupazione arbitraria ai sensi dell'articolo 634-bis del codice penale. Prima dell'esercizio dell'azione penale, provvede il giudice per le indagini preliminari.
2. Nei casi in cui l'immobile occupato sia l'unica abitazione effettiva del denunciante, gli ufficiali di polizia giudiziaria che ricevono denuncia del reato di cui all'articolo 634-bis del codice penale, espletati i primi accertamenti volti a verificare la sussistenza dell'arbitrarietà dell'occupazione, si recano senza ritardo presso l'immobile del quale il denunziante dichiara di essere stato spossessato, al fine di svolgere le attività di cui all'articolo 55.
3. Gli ufficiali di polizia giudiziaria, ove sussistano fondati motivi per ritenere l'arbitrarietà dell'occupazione, ordinano all'occupante l'immediato rilascio dell'immobile e contestualmente reintegrano il denunciante nel possesso dell'immobile medesimo.
4. In caso di diniego dell'accesso, di resistenza, di rifiuto di eseguire l'ordine di rilascio o di assenza dell'occupante, gli ufficiali di polizia giudiziaria, ove sussistano fondati motivi per ritenere l'arbitrarietà dell'occupazione, dispongono coattivamente il rilascio dell'immobile e reintegrano il denunciante nel possesso del medesimo, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica.
5. Gli ufficiali di polizia giudiziaria redigono verbale delle attività svolte, enunciando i motivi del provvedimento di rilascio dell'immobile. Copia del verbale è consegnata alla persona destinataria dell'ordine di rilascio.
6. Nelle quarantotto ore successive gli ufficiali di polizia giudiziaria trasmettono il verbale al pubblico ministero competente per il luogo in cui la reintegrazione del possesso è avvenuta; questi, se non dispone la restituzione dell'immobile al destinatario dell'ordine di rilascio, richiede al giudice la convalida e l'emissione di un decreto di reintegrazione nel possesso entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale.
7. La reintegrazione nel possesso perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 6 ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta di cui al medesimo comma 6. Copia dell'ordinanza e del decreto di cui al comma 6 è immediatamente notificata all'occupante».

Art. 9.
(Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di truffa)

1. All'articolo 640 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al secondo comma, il numero 2-bis è abrogato;

b) dopo il secondo comma è inserito il seguente:

«Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 61, numero 5), la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 700 a euro 3.000»;

c) al terzo comma, le parole: «dal capoverso precedente» sono sostituite dalle seguenti: «dal secondo e dal terzo comma».

2. Al comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, dopo la lettera f) è inserita la seguente:

«f.1) delitto di truffa, quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 640, terzo comma, del codice penale».

Art. 10.
(Modifiche all'articolo 10 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, in materia di divieto di accesso alle aree delle infrastrutture di trasporto e alle loro pertinenze, nonché all'articolo 165 del codice penale in materia di sospensione condizionale della pena)

1. All'articolo 10 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Il questore può disporre il divieto di accesso di cui al primo periodo anche nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per alcuno dei delitti contro la persona o contro il patrimonio, di cui al libro secondo, titoli XII e XIII, del codice penale, commessi in uno dei luoghi indicati all'articolo 9, comma 1»;

b) il comma 5 è abrogato.

2. All'articolo 165 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Nei casi di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e nelle relative pertinenze, la concessione della sospensione condizionale della pena è comunque subordinata all'osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuati».

Art. 11.
(Modifiche all'articolo 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, relativo all'impedimento della libera circolazione su strada)

1. All'articolo 1-bis, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo, dopo la parola: «ordinaria» sono inserite le seguenti: «o ferrata» e le parole: «con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 4.000» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro»;

b) il secondo periodo è sostituito dal seguente: «La pena è della reclusione da sei mesi a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite».

Art. 12.
(Modifiche agli articoli 146 e 147 del codice penale in materia di esecuzione penale in caso di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 146, i numeri 1) e 2) del primo comma e il secondo comma sono abrogati;

b) all'articolo 147:

1) al primo comma:

1.1) il numero 3) è sostituito dal seguente:

«3. se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di donna incinta o di madre di prole di età inferiore a un anno»;

1.2) dopo il numero 3) è aggiunto il seguente:

«3-bis. se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età superiore a un anno e inferiore a tre anni»;

2) al terzo comma:

2.1) le parole: «Nel caso indicato nel numero 3)» sono sostituite dalle seguenti: «Nei casi indicati nei numeri 3 e 3-bis»;

2.2) le parole: «ovvero affidato ad altri che alla madre» sono sostituite dalle seguenti: «o affidato ad altri che alla madre, ovvero quando quest'ultima, durante il periodo di differimento, pone in essere comportamenti che causano un grave pregiudizio alla crescita del minore»;

3) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente:

«Nei casi indicati nei numeri 3 e 3-bis del primo comma, l'esecuzione della pena non può essere differita se dal rinvio derivi una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti. In tale caso, nell'ipotesi di cui al numero 3-bis, l'esecuzione può avere luogo presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze di eccezionale rilevanza lo consentano; nell'ipotesi di cui al numero 3, l'esecuzione deve comunque avere luogo presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri».

Art. 13.
(Modifiche all'articolo 600-octies del codice penale in materia di accattonaggio)

1. All'articolo 600-octies del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, la parola: «quattordici» è sostituita dalla seguente: «sedici» e le parole: «fino a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a cinque anni»;

b) il secondo comma è sostituito dal seguente:

«Chiunque induca un terzo all'accattonaggio, organizzi l'altrui accattonaggio, se ne avvalga o comunque lo favorisca a fini di profitto è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso con violenza o minaccia o nei confronti di persona minore degli anni sedici o comunque non imputabile»;

c) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Impiego di minori nell'accattonaggio. Organizzazione e favoreggiamento dell'accattonaggio. Induzione e costrizione all'accattonaggio».

Capo III
MISURE IN MATERIA DI TUTELA DEL PERSONALE DELLE FORZE DI POLIZIA, DELLE FORZE ARMATE E DEL CORPO NAZIONALE DEI VIGILI DEL FUOCO, NONCHÉ DEGLI ORGANISMI DI CUI ALLA LEGGE 3 AGOSTO 2007, N. 124

Art. 14.
(Modifiche agli articoli 336 e 337 del codice penale in materia di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e di resistenza a un pubblico ufficiale)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 336 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«Nelle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, la pena è aumentata di un terzo.
Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con l'aggravante di cui al terzo comma del presente articolo, non possono essere ritenute prevalenti rispetto a questa»;

b) all'articolo 337 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«Se la violenza o minaccia è posta in essere per opporsi a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza mentre compie un atto di ufficio, la pena è aumentata di un terzo.
Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con l'aggravante di cui al secondo comma del presente articolo, non possono essere ritenute prevalenti rispetto a questa».

Art. 15.
(Modifiche all'articolo 583-quater del codice penale in materia di lesioni personali ai danni di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio)

1. All'articolo 583-quater del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il primo comma è sostituito dal seguente:

«Nell'ipotesi di lesioni personali cagionate a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni, si applica la reclusione da due a cinque anni. In caso di lesioni gravi o gravissime, la pena è, rispettivamente, della reclusione da quattro a dieci anni e da otto a sedici anni»;

b) al secondo comma, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, secondo periodo»;

c) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni, nonché a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria e a chiunque svolga attività ausiliarie a essa funzionali».

Art. 16.
(Modifiche all'articolo 639 del codice penale per la tutela dei beni mobili e immobili adibiti all'esercizio di funzioni pubbliche)

1. All'articolo 639 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al secondo comma è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto è commesso su beni mobili o immobili adibiti all'esercizio di funzioni pubbliche, con la finalità di ledere l'onore, il prestigio o il decoro dell'istituzione cui il bene appartiene, si applicano la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro»;

b) al terzo comma, dopo le parole: «di cui al secondo comma» sono inserite le seguenti: «, primo e secondo periodo,» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei casi di recidiva per l'ipotesi di cui al secondo comma, terzo periodo, si applicano la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa fino a 12.000 euro».

Art. 17.
(Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di inosservanza delle prescrizioni impartite dal personale che svolge servizi di polizia stradale)

1. Al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 192:

1) il comma 6 è sostituito dal seguente:

«6. Chiunque viola gli obblighi di cui ai commi 2, 3 e 5 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 100 a euro 400»;

2) dopo il comma 6 è inserito il seguente:

«6-bis. Chiunque viola le disposizioni di cui al comma 1, ove il fatto non costituisca reato, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 200 a euro 600. Nell'ipotesi di recidiva nel biennio, si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida fino a un mese»;

3) il comma 7 è sostituito dal seguente:

«7. Chiunque viola le disposizioni di cui al comma 4, ove il fatto non costituisca reato, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.500 a euro 6.000. All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre mesi ad un anno»;

b) alla tabella dei punteggi previsti dall'articolo 126-bis, il capoverso Art. 192 è sostituito dal seguente:

«

Art. 192.

Comma 6

3

Comma 6-bis,
primo periodo

5

Comma 6-bis,
secondo periodo

10

Comma 7

10

».

Art. 18.
(Modifica all'articolo 415 e introduzione dell'articolo 415-bis del codice penale, per il rafforzamento della sicurezza degli istituti penitenziari)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 415 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«La pena è aumentata se il fatto è commesso all'interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute»;

b) dopo l'articolo 415 è inserito il seguente:

«Art. 415-bis. – (Rivolta all'interno di un istituto penitenziario) – Chiunque, all'interno di un istituto penitenziario, mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all'esecuzione degli ordini impartiti ovvero mediante tentativi di evasione, commessi in tre o più persone riunite, promuove, organizza o dirige una rivolta è punito con la reclusione da due a otto anni.
Per il solo fatto di partecipare alla rivolta, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
Se il fatto è commesso con l'uso di armi, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Se dalla rivolta deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è della reclusione da dieci a venti anni.
Le pene di cui al quarto comma si applicano anche se la lesione personale o la morte avvengono immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di essa».

Art. 19.
(Modifiche all'articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per il rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti)

1. All'articolo 14 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 7 è inserito il seguente:

«7.1. Chiunque, durante il trattenimento in uno dei centri di cui al presente articolo o durante la permanenza in una delle strutture di cui all'articolo 10-ter o in uno dei centri di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero in una delle strutture di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva all'esecuzione degli ordini impartiti, posti in essere da tre o più persone riunite, promuove, organizza o dirige una rivolta è punito con la reclusione da uno a sei anni. Per il solo fatto di partecipare alla rivolta, la pena è della reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto è commesso con l'uso di armi, la pena è della reclusione da due a otto anni. Se nella rivolta taluno rimane ucciso o riporta lesioni personali gravi o gravissime, la pena è della reclusione da dieci a venti anni. Le pene di cui al quarto periodo si applicano anche se la lesione personale o la morte avvengono immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di essa»;

b) al comma 7-bis, le parole: «di cui all'articolo 10-ter o in uno dei centri di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero in una delle strutture di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39» sono sostituite dalle seguenti: «indicate al primo periodo del comma 7.1».

Art. 20.
(Disposizioni in materia di licenza, porto e detenzione di armi per gli agenti di pubblica sicurezza)

1. Gli agenti di pubblica sicurezza di cui agli articoli 17 e 18 del testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 31 agosto 1907, n. 690, sono autorizzati a portare senza licenza le armi previste dall'articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, quando non sono in servizio.
2. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono apportate all'articolo 73 del regolamento di cui al regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, le modificazioni necessarie al fine di adeguare le norme ivi contenute alle disposizioni del comma 1 del presente articolo.

Art. 21.
(Disposizioni per la tutela delle funzioni istituzionali del Corpo della guardia di finanza svolte in mare e modifiche agli articoli 1099 e 1100 del codice della navigazione)

1. Le disposizioni degli articoli 5 e 6 della legge 13 dicembre 1956, n. 1409, si applicano anche quando le unità del naviglio ivi indicate sono impiegate nell'esercizio delle funzioni istituzionali a esse attribuite dalla normativa vigente. Le disposizioni di cui al primo periodo si applicano, nel rispetto delle norme internazionali, anche quando le condotte sono poste in essere dal comandante di una nave straniera.
2. Al codice della navigazione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1099 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Soggiace alla medesima pena il comandante della nave straniera che non obbedisce all'ordine di una nave da guerra nazionale, quando, nei casi consentiti dalle norme internazionali, quest'ultima procede a visita e a ispezione delle carte e dei documenti di bordo»;

b) all'articolo 1100, primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La disposizione di cui al primo periodo si applica anche alle navi straniere per gli atti compiuti contro una nave da guerra nazionale impiegata nello svolgimento, in conformità alle norme internazionali, dei relativi compiti».

Art. 22.
(Modifica all'articolo 19, comma 3, della legge 21 luglio 2016, n. 145, per la tutela del personale delle Forze armate che partecipa a missioni internazionali)

1. All'articolo 19, comma 3, della legge 21 luglio 2016, n. 145, dopo le parole: «della forza o di altro mezzo di coazione fisica,» sono inserite le seguenti: «ovvero di apparecchiature, dispositivi, programmi, apparati, strumenti informatici o altri mezzi idonei a commettere taluno dei delitti di cui alle sezioni IV e V del capo III del titolo XII del libro secondo del codice penale,».

Art. 23.
(Disposizioni per il potenziamento dell'attività di informazione per la sicurezza)

1. Alla legge 3 agosto 2007, n. 124, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 13:

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, all'AISE e all'AISI la collaborazione e l'assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale. Il DIS, l'AISE e l'AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell'assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza»;

2) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Collaborazione delle pubbliche amministrazioni, delle società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e dei soggetti erogatori di servizi di pubblica utilità»;

b) all'articolo 17, il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Non possono essere autorizzate, ai sensi dell'articolo 18, condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato a norma dell'articolo 39, comma 11, ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270, secondo comma, 270-bis, primo comma, limitatamente alle ipotesi di direzione e organizzazione dell'associazione, nonché secondo comma, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1, 270-quinquies, 270-quinquies.1, 270-quinquies.3, 302, 306, secondo comma, 414, quarto comma, 416-bis, primo comma, e 435 del codice penale».

2. All'articolo 8 del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

«1-bis. Con le modalità di cui all'articolo 23, comma 2, della legge 3 agosto 2007, n. 124, la qualifica di agente di pubblica sicurezza, con funzione di polizia di prevenzione, può essere attribuita anche al personale delle Forze armate, che non ne sia già in possesso, il quale sia adibito, ai sensi dell'articolo 12 della medesima legge n. 124 del 2007, al concorso alla tutela delle strutture e del personale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) o dei servizi di informazione per la sicurezza.
1-ter. Le identità di copertura, di cui all'articolo 24, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 124, possono essere utilizzate negli atti dei procedimenti penali di cui all'articolo 19 della medesima legge n. 124 del 2007, dandone comunicazione con modalità riservate all'autorità giudiziaria procedente contestualmente all'opposizione della causa di giustificazione.
1-quater. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 497, comma 2-bis, del codice di procedura penale, l'autorità giudiziaria, su richiesta del direttore generale del DIS o dei direttori dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) o dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), quando sia necessario mantenerne segreta la reale identità nell'interesse della sicurezza della Repubblica o per tutelarne l'incolumità, autorizza gli addetti al DIS, all'AISE e all'AISI, a deporre in ogni stato e grado del procedimento con identità di copertura»;

b) il comma 2 è abrogato.

3. All'articolo 4 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2-bis, le parole: «Fino al 31 gennaio 2024, il» sono sostituite dalla seguente: «Il»;

b) al comma 2-quater, le parole: «nel termine di cui al comma 3 dell'articolo 226 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271» sono sostituite dalle seguenti: «entro il termine di cinque giorni decorrenti dalla conclusione del colloquio»;

c) al comma 2-quinquies, le parole: «di cui al comma 5 dell'articolo 226 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271» sono sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 5 dell'articolo 4-bis del presente decreto».

4. All'articolo 14 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 186, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Per le finalità della prevenzione di ogni forma di aggressione terroristica di matrice internazionale, i servizi di informazione per la sicurezza di cui agli articoli 6 e 7 della legge 3 agosto 2007, n. 124, possono chiedere alle autorità competenti di cui all'articolo 5 del presente decreto, secondo modalità definite d'intesa, le informazioni finanziarie e le analisi finanziarie connesse al terrorismo»;

b) alla rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e scambio informativo con i servizi di informazione per la sicurezza».

Capo IV
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI VITTIME DELL'USURA

Art. 24.
(Introduzione dell'articolo 14-bis della legge 7 marzo 1996, n. 108, in materia di sostegno agli operatori economici vittime dell'usura)

1. Dopo l'articolo 14 della legge 7 marzo 1996, n. 108, è inserito il seguente:

«Art. 14-bis. – 1. Al fine di assicurare un efficace sostegno al soggetto beneficiario, per garantirne il rilancio mediante un efficiente utilizzo delle risorse economiche assegnate e il reinserimento nel circuito economico legale, le vittime del delitto di usura di cui all'articolo 14, alle quali sono erogati i mutui previsti dal medesimo articolo, si avvalgono di un esperto, con funzioni di consulenza e di assistenza, iscritto, a richiesta, nell'albo di cui al comma 2 del presente articolo.
2. Ai fini di cui al comma 1 è istituito un albo, tenuto dall'Ufficio del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, di soggetti in possesso di specifica professionalità; possono fare richiesta di iscrizione nell'albo gli iscritti al registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nonché i soggetti che per la loro specifica attività professionale siano in possesso di particolare competenza nell'attività economica svolta dalla vittima del delitto di usura e nella gestione di impresa.
3. Ai fini dell'iscrizione all'albo di cui al comma 2, i soggetti devono dichiarare che nei loro confronti non sussistono le cause di divieto, sospensione o decadenza di cui all'articolo 67 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. La dichiarazione è sottoscritta con le modalità previste dall'articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
4. L'incarico di esperto di cui al comma 1 è conferito dal prefetto della provincia nel cui ambito ha sede l'ufficio giudiziario che procede per il reato di usura ovvero della provincia ove ha sede legale o residenza il beneficiario.
5. Il conferimento dell'incarico di cui al comma 4 è comunicato alla società CONSAP – Concessionaria servizi assicurativi pubblici Spa, concessionaria della gestione del Fondo di cui all'articolo 14 della presente legge ai sensi dell'articolo 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n. 60, per gli adempimenti conseguenti.
6. Le somme erogate ai sensi dell'articolo 14, all'atto di conferimento dell'incarico di cui al comma 4 del presente articolo, entrano a far parte di un patrimonio autonomo e separato finalizzato esclusivamente al rilancio dell'attività dell'operatore economico vittima del delitto di usura, secondo le modalità di cui al predetto articolo 14.
7. I provvedimenti di assegnazione dei benefìci di cui all'articolo 14 possono essere revocati, con recupero delle somme erogate, ove, anche su segnalazione dell'esperto di cui al comma 1 del presente articolo, emerga che l'attività svolta con l'utilizzo delle risorse assegnate non realizzi le finalità di reinserimento di cui all'articolo 14, comma 5.
8. L'esperto di cui al comma 1, all'atto del conferimento dell'incarico ai sensi del comma 4, deve attestare di non trovarsi in situazioni di incompatibilità o di conflitto di interessi, a pena di decadenza, ed è tenuto a svolgere con diligenza i seguenti compiti:

a) fornire adeguato supporto nella presentazione dei progetti di capitalizzazione nonché nella predisposizione e nella realizzazione di ogni attività relativa alla gestione del mutuo erogato ai sensi dell'articolo 14, secondo le finalità previste dalla presente legge;

b) sostenere la vittima del delitto di usura in ogni azione idonea alla normale ripresa dell'attività economica svolta o da svolgere;

c) presentare il rendiconto dell'attività di gestione con cadenza periodica e ogniqualvolta il prefetto lo richieda;

d) presentare una relazione annuale sul proprio operato al prefetto che ha conferito l'incarico nonché all'ufficio del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura e alla società CONSAP Spa, esibendo, ove richiesto, la documentazione giustificativa;

e) chiedere al prefetto che ha conferito l'incarico di essere autorizzato, ove necessario, a farsi coadiuvare, sotto la propria responsabilità, da altri soggetti qualificati, in relazione alle esigenze di supporto ulteriore prospettate, ai fini della ripresa dell'attività economica della vittima del delitto di usura.

9. All'esperto di cui al comma 1 si applicano le cause di incompatibilità di cui al primo comma dell'articolo 2399 del codice civile.
10. L'esperto di cui al comma 1 risponde della veridicità della relazione annuale di cui al comma 8, lettera d), e adempie ai suoi doveri con la diligenza del mandatario, ai sensi dell'articolo 1710 del codice civile, conservando la riservatezza sui fatti e sui documenti di cui ha conoscenza in ragione delle sue funzioni.
11. L'incarico dell'esperto di cui al comma 1 ha la durata di cinque anni ed è rinnovabile per una sola volta, fatta salva la possibilità di dimissioni volontarie, da comunicare al prefetto e alla società CONSAP Spa con preavviso di almeno quarantacinque giorni.
12. In caso di situazioni di particolare gravità e urgenza, di mancato rispetto degli impegni assunti con il piano di investimento o di dissenso tra il beneficiario e l'esperto, gli stessi, anche separatamente, possono chiedere di essere ascoltati dal prefetto o da un suo delegato.
13. L'incarico dell'esperto di cui al comma 1 è revocabile, ai sensi dell'articolo 1723, primo comma, del codice civile nonché, con atto motivato del prefetto, qualora emergano azioni od omissioni contrarie al corretto esercizio dei compiti di cui al comma 8, lettere a), b), c) e d), del presente articolo. Nel caso in cui siano accertate le azioni o le omissioni di cui al primo periodo, l'esperto è cancellato dall'albo di cui al comma 2 e il prefetto, anche al fine di garantire la continuità nello svolgimento dei compiti di cui al comma 8, nomina un altro esperto secondo le modalità previste dal regolamento di cui al comma 16.
14. Qualora la società CONSAP Spa abbia notizia delle violazioni di cui al comma 13, essa le segnala tempestivamente al prefetto e all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o agli altri ordini professionali ai quali risulti eventualmente iscritto il soggetto responsabile di cui al comma 2, primo periodo.
15. All'esperto di cui al comma 1 spetta un compenso da corrispondere annualmente, previa presentazione della relazione di cui al comma 8, lettera d), a valere sul Fondo di cui all'articolo 11, comma 4, della legge 11 gennaio 2018, n. 4, da non imputare alla somma complessiva erogata alla vittima del delitto di usura.
16. Con regolamento adottato, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia e dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabiliti i requisiti per l'iscrizione all'albo di cui al comma 2 del presente articolo, il limite numerico degli incarichi che possono essere svolti, le modalità di conferimento con i relativi criteri di trasparenza, che assicurino la rotazione degli incarichi, le modalità per la tenuta e la gestione del medesimo albo nonché le fattispecie di cui al comma 12. Con il medesimo regolamento è altresì determinato il compenso minimo spettante all'esperto di cui al comma 1, con la previsione dei limiti massimi del compenso stesso, in relazione all'ammontare complessivo del beneficio concesso ai sensi dell'articolo 14, da aggiornare ogni tre anni».

Capo V
NORME SULL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Art. 25.
(Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione dei benefìci ai detenuti e agli internati)

1. Alla legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 4-bis, comma 1-ter, dopo le parole: «per i delitti di cui agli articoli» sono inserite le seguenti: «415 e 415-bis,»;

b) all'articolo 20, comma 8, dopo il quinto periodo è inserito il seguente: «Entro sessanta giorni dal ricevimento della proposta di convenzione l'amministrazione penitenziaria si esprime nel merito, indicando subito le condizioni e le prescrizioni eventualmente necessarie ai fini dell'approvazione della proposta stessa».

Art. 26.
(Modifiche all'articolo 2 della legge 22 giugno 2000, n. 193, in materia di attività lavorativa dei detenuti)

1. All'articolo 2, comma 1, della legge 22 giugno 2000, n. 193, dopo le parole: «all'interno degli istituti penitenziari» sono inserite le seguenti: «o all'esterno» e dopo le parole: «persone detenute o internate» sono inserite le seguenti: «anche ammesse al lavoro esterno».
2. All'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 si provvede a valere sulle risorse disponibili a legislazione vigente di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 22 giugno 2000, n. 193.

Art. 27.
(Modifica all'articolo 47 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di apprendistato professionalizzante)

1. All'articolo 47, comma 4, primo periodo, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e i detenuti assegnati al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354».
2. Agli oneri derivanti dal comma 1, valutati in 0,2 milioni di euro per l'anno 2024, in 0,6 milioni di euro per l'anno 2025, in 1,1 milioni di euro per l'anno 2026, in 1,5 milioni di euro per l'anno 2027, in 1,9 milioni di euro per l'anno 2028, in 2,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2029 e 2030, in 2,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2031 e 2032 e in 2,4 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2033, si provvede, quanto a 0,1 milioni di euro per l'anno 2025, a 0,2 milioni di euro per l'anno 2026, a 0,3 milioni di euro per l'anno 2027, a 0,4 milioni di euro per l'anno 2028, a 0,5 milioni di euro per l'anno 2029, a 0,6 milioni per l'anno 2030 e a 0,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2031, mediante le maggiori entrate derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 e, quanto a 0,2 milioni di euro per l'anno 2024, a 0,5 milioni di euro per l'anno 2025, a 0,9 milioni di euro per l'anno 2026, a 1,2 milioni di euro per l'anno 2027, a 1,5 milioni di euro per l'anno 2028, a 1,7 milioni di euro per l'anno 2029, a 1,6 milioni di euro per l'anno 2030, a 1,8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2031 e 2032 e a 1,9 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2033, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 22 giugno 2000, n. 193.

Art. 28.
(Modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in materia di organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario)

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono apportate modifiche alle norme che disciplinano l'organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, sulla base dei seguenti criteri:

a) valorizzare, anche nell'ambito dell'esecuzione penale, il principio di sussidiarietà orizzontale, attuando iniziative di promozione del lavoro dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario e incoraggiando l'interazione con l'iniziativa economica privata, comprese le organizzazioni non lucrative che contribuiscono al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato;

b) semplificare le relazioni tra le imprese e le strutture carcerarie al fine, ove possibile, di favorire l'interazione tra i datori di lavoro privati e la direzione carceraria;

c) prevedere, in attuazione dei princìpi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, che l'amministrazione penitenziaria abbia la possibilità di apprestare, in relazione ad attività aventi spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di co-gestione, privi di rapporti sinallagmatici;

d) riconoscere ai fini curriculari e della relativa formazione professionale le prestazioni lavorative svolte dai soggetti detenuti o internati;

e) favorire l'accoglimento delle commesse di lavoro provenienti da soggetti privati;

f) valorizzare la collaborazione con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, con il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con il Consiglio nazionale forense, con il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e con il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, al fine di diffondere la conoscenza delle iniziative legislative e amministrative volte a incentivare il reinserimento lavorativo dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario.

Capo VI
DISPOSIZIONI FINANZIARIE

Art. 29.
(Clausola di invarianza finanziaria)

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 27, dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche competenti provvedono all'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

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