PDL 1596

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1596

PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE

Introduzione del comma 1-bis dell'articolo 14 della legge
22 maggio 1978, n. 194

Presentata il 5 dicembre 2023

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Onorevoli Deputati! – La presente proposta di legge d'iniziativa popolare «Un Cuore che Batte», promossa dall'Associazione Ora et Labora in Difesa della Vita e da altri 13 organismi promotori (comitati, associazioni e movimenti) e sostenuta da un cospicuo numero di realtà attive nella promozione dei valori a difesa della vita, mira a introdurre nell'articolo 14 della legge 22 maggio 1978, n. 194, un nuovo comma che così dispone: «Il medico che effettua la visita che precede l'interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».

Analisi della proposta di legge

Al cuore dell'iniziativa, ispirata alla legge dello stato americano del Texas denominata Texas Heartbeat Act, vi è la ferma consapevolezza che l'evento abortivo, sebbene coinvolga direttamente o indirettamente numerosi soggetti, agisce principalmente su due esseri umani in senso fisico, psichico, emotivo e spirituale: il concepito e la madre. Purtroppo il dramma dell'interruzione volontaria di gravidanza è oggetto di un processo di normalizzazione e banalizzazione che ne acuisce la sofferenza individuale (vissuta dalle donne e dalla famiglia del nascituro) e sociale (una cultura dello scarto ha effetti sia sulla considerazione etica e biopolitica del valore della persona, della sua dignità e della sua accettazione comunitaria, sia per quanto riguarda il problema della denatalità), poiché consolida una forma mentis diffusa nella quale il figlio è il grande e silenzioso invisibile di un atto, quello abortivo, che, in quanto consentito dalla legge, è allora necessariamente buono sotto il profilo etico. Al contrario, il bene oggetto del diritto precede la sua formulazione positiva; pertanto, se la legge non riconosce né tutela quel bene naturale di riferimento, discostandosi da esso, ecco che quella legge non ricalca un bene morale oggettivo. In questo caso, ad esempio, il bene oggettivo è il diritto umano inalienabile alla vita, diritto proprio di ciascun membro della specie umana. Obiettivo della presente proposta di legge, quindi, è rendere visibile l'invisibile e dare voce al silenzio, la voce di un battito cardiaco udibile già dalla quinta settimana di gravidanza.
La proposta di legge agisce sulla presa di coscienza di un dato di fatto: l'evidenza scientifica dell'umanità del concepito, contro ogni tentativo di attribuire a esso una presunta entità altra rispetto all'appartenenza alla specie umana e alla «personeità». Da questo dato oggettivo discendono le accortezze, la cura e il riguardo che di norma la società tiene nei confronti della gestante: dai più semplici gesti di cortesia alle misure agevolative nei luoghi pubblici o negli esercizi commerciali, nei luoghi di lavoro, eccetera, in cui la gestazione viene considerata una condizione naturale di valore inestimabile per la vita custodita, per la madre, cui spetta questo privilegio di accompagnarla fino alla nascita, per la società, che di fronte alla gestazione riconosce un dovere di cura verso il proprio futuro. Questo fatto interiormente accertato dalla ragione e dalla coscienza di ognuno riconosce il «valore vita» in gioco, e questo valore non subisce alterazioni di sostanza sulla base dell'autodeterminazione femminile. Voluto oppure no, un figlio resta tale per natura.
L'introduzione del nuovo comma nell'articolo 14 della legge n. 194 del 1978 agisce perciò in continuità con la tutela della maternità, con il riconoscimento del suo «valore sociale» e con la «tutela della vita umana fin dal suo inizio», come recita l'articolo 1 della legge n. 194 del 1978, dal momento che l'introduzione di tale comma prevede che, in una situazione critica tale per cui la donna-madre pone se stessa al centro di una scelta tra garantire il diritto alla vita del figlio oppure negarglielo, ella sia adeguatamente informata orientando la sua decisione ad accogliere la vita che porta nel grembo. Al fine di evitare interpretazioni erronee occorre ribadire con chiarezza la contrarietà etica all'aborto da parte delle associazioni promotrici, che si limitano in questa sede ad agire dove lo Stato ha legiferato aprendo la via alla sconfitta sociale dell'aborto. Non si tratta di adeguarsi tollerando un male morale, bensì di offrire un bene: conoscere l'umanità di quella vita intrauterina che la stessa legge n. 194 del 1978 dichiara un bene da tutelare. Il nuovo comma si pone, inoltre, a favore del concepito per il quale è evidente la speranza di proseguire la propria esistenza in atto.
Il metodo con cui la presente proposta di legge intende offrire un'alternativa consapevole per la vita alla gestante intenzionata ad abortire entra nell'ordine dei doveri deontologici del medico, i quali, all'articolo 20 (Relazione di cura) del codice di deontologia medica, sanciscono che «La relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull'individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. Il medico nella relazione persegue l'alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un'informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura». In tal senso e in virtù dell'alleanza medico-paziente, quale preziosa struttura relazionale fondata sull'incontro tra una fiducia e una coscienza, la proposta di legge richiede che il medico, in conformità ai suoi doveri professionali e deontologici, fornisca tutte le informazioni necessarie alla paziente (la madre) in merito alla gravidanza e allo stato di salute e vita del concepito, accertandone la presenza (esame ecografico) e la vitalità (battito cardiaco), come informazioni minime da comunicare in ambito diagnostico, così come accade quando, a parità di condizioni, la gestante si rivolge al medico curante per accertare lo stato di gravidanza e di salute del feto che intende accogliere. L'obbligatorietà, per il professionista, corrisponde prima di tutto al dovere deontologico di fornire tutte le informazioni necessarie per costruire con la gestante una comprensione del dato di realtà oggettiva al centro dell'iter clinico previsto per la conferma ecografica della gestazione con datazione e condizioni di salute del feto, in modo tale che il consenso a procedere all'interruzione sia espresso o negato in piena scienza e coscienza dalla paziente. Il dovere a carico del medico di procedere con gli accertamenti diagnostici fornendo tutte le informazioni necessarie alla madre, indipendentemente dall'intenzionalità abortiva espressa, fa parte non solo di una buona comunicazione tra il medico e il paziente, alla base di qualunque rapporto di fiducia professionale e umana, bensì della cooperazione tra il paziente, il consultorio e la struttura socio-sanitaria, come è configurata dalla stessa legge n. 194 del 1978, in particolare all'articolo 5, ove è previsto lo svolgimento di un colloquio preliminare, a seguito degli accertamenti medici, finalizzato all'ascolto della donna, con il fine di individuare le motivazioni della scelta abortiva e, una volta accertata quest'ultima, di «esaminare (...) le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza». In tal senso, allora, rendere la madre partecipe attiva della visita ecografica e dell'ascolto del battito cardiaco non solo muove in questa direzione di informazione e sostegno verso scelte a favore della vita, con interventi di supporto e accompagnamento in base alle problematiche evidenziate dalla gestante, ma è un dovere del curante, tenuto a compiere almeno un tentativo per rimuovere le cause che porterebbero all'interruzione. È questa una parte essenziale della legge n. 194 del 1978 che di rado viene applicata. Dimostrare l'essere in atto della vita nel grembo della madre rientra nel diritto di quest'ultima di sapere qual è il bene maggiore in gioco, al centro dell'azione che si accinge a compiere. Senza dimenticare che nei Paesi in cui leggi simili sono entrate in vigore il numero degli aborti è drasticamente crollato(1) e questa è la prova tangibile che un'informazione esaustiva, una maggiore consapevolezza e una partecipazione attiva della madre aiutano quest'ultima nella rimozione delle cause abortive. Con l'applicazione della norma contenuta nella presente proposta di legge, la libertà della donna rimane garantita, dal momento che l'obbligatorietà riguarda il dovere medico, mentre la paziente può scegliere se dare il consenso o meno; può scegliere se guardare l'esito ecografico o meno e se ascoltare o meno il battito cardiaco. Non si tratta di una «coercizione lieve» e nemmeno di un «ricatto morale», quanto piuttosto dell'offerta di un'opportunità per una profonda presa di coscienza, mediante una corretta informazione clinica, di ciò che affermano anche i difensori più irremovibili di un presunto «diritto all'aborto»: che interrompere la vita di un figlio nel grembo materno, a prescindere dall'età gestazionale, è e resta un evento «drammatico» e una «sconfitta sociale». Questo perché? Riprendendo la riflessione del giurista Mario Palmaro: «molti dicono che l'aborto è sempre un dramma per la donna. Per cui, siccome la donna soffre tantissimo, come nessuno intorno a lei può capire, allora la legge non deve fare altro che prendere atto di questa sofferenza e rispettarla in silenzio. Altri aggiungono con mestizia che l'aborto è una sconfitta per la società. Per cui, sarebbe bene che il volontariato e i consultori facessero del loro meglio per ridurre il più possibile questa sconfitta. Che certo non spetta alle leggi contrastare. Tuttavia per essere coerenti con queste affermazioni, bisognerebbe rispondere a una semplice domanda: perché? Voglio dire: per quale motivo l'aborto è un “dramma” per la donna e una “sconfitta per la società”? La risposta è semplice, ma non la si può e non la si vuole dare: l'aborto è un dramma perché implica la soppressione intenzionale di un figlio. Se così non fosse, se si trattasse davvero della interruzione di un processo potenziale, della espulsione di un grumo di cellule, della eliminazione di un fastidioso imprevisto che non è ancora un uomo; beh, se fosse così, per quale motivo parlare di “dramma e sconfitta”? Quando uno va a togliersi l'appendicite, oppure a farsi cavare il dente del giudizio, non si parla di “dramma”»(2).
Questa riflessione molto diretta di Palmaro suggerisce alla coscienza di ciascuno che quel fenomeno, denunciato inizialmente, di progressiva banalizzazione dell'aborto lo riveste – sia nella condotta personale sia culturalmente e, in seconda istanza, nella prassi quotidiana – di una leggerezza disarmante e offensiva per la dignità intrinseca dell'essere umano, già gravemente compromessa quando viene meno l'ottemperanza verso il diritto alla vita. Condividendo le riflessioni di monsignor Suetta in merito alla presente proposta di legge: «l'arma peggiore della mentalità abortista è quella di favorire l'indifferenza e la privatizzazione della vicenda e, di conseguenza, il migliore antidoto è l'informazione corretta e la sollecitazione costante all'approfondimento e all'iniziativa di prevenzione»(3).

Approfondimento: la nozione di «persona» e la dignità di essa

La peculiarità della bioetica personalista è di fondarsi su di una visione antropologica forte, che è quella pienamente espressa nella formula con la quale Boezio definisce la nozione di «persona» come «sostanza individuale di natura razionale». Come ben spiega Francesco D'Agostino, la persona si definisce come «individuo concreto, incarnato biologicamente in un corpo, che ha una propria natura ontologica, che si manifesta in capacità e comportamenti (in particolare la razionalità), ma non è riducibile ad essi. La teoria ontologica della persona o il personalismo ontologico tematizza la priorità della natura sulle funzioni (siano esse sensitive, razionali, autocoscienti, volitive), ritenendo che l'essere persona appartenga alla natura stessa di ogni organismo biologicamente umano, in qualsiasi fase di sviluppo, a prescindere dalla manifestazione esteriore di determinate operazioni o delle condizioni di possibilità della loro espressione. La persona è distinta dalle sue funzioni, non coincide con esse, le trascende. Secondo la bioetica personalista l'alternativa ontologica è radicale: o si è persona o non si è persona». Questo concetto, in breve sintesi, sostiene che l'essere umano, quindi la persona, si esprime con i suoi accidenti, le sue caratteristiche particolari, ma non è ciò che è in funzione di essi. La persona è distinta dalle sue funzioni, non coincide con esse, le trascende. La persona ha una sua dignità intrinseca che deve esserle riconosciuta per il solo fatto di appartenere alla specie umana e che fa riferimento alla sua natura umana. Secondo la bioetica personalista, l'alternativa ontologica è radicale: o si è persona o non si è persona. Non sono le capacità, una mancanza di patologie, disabilità, debolezze, l'età, la fase di sviluppo della propria vita a rendere la persona degna oppure, peggio ancora, a discriminare tra persone e non-persone. I modelli che aderiscono a questa logica finiscono per legittimare logiche e politiche che pretendono di conferire dignità ad alcuni esseri umani ed escluderla per altri, prevaricando sul principio di eguaglianza sostanziale. Livio Melina ribadisce efficacemente questo concetto essenziale, affermando che «riconoscere le persone come persone si rivela così il primo e fondamentale dovere e anzi come il fondamento radicale di ogni altro successivo dovere», sicché proclamare e tutelare la dignità della persona e il carattere inviolabile e indisponibile della sua vita è un dovere in quanto si tratta dei suoi beni fondamentali, delle radici dei diritti umani nella loro accezione originaria.

Statuto dell'embrione umano

Oggi la scienza ci informa di quattro fatti fondamentali: 1) lo zigote è un organismo umano nuovo: quando lo spermatozoo paterno si fonde con l'ovulo materno inizia una nuova storia che si chiama embrione; 2) la scienza dice che questo nuovo organismo appartiene alla specie biologica dell'uomo; 3) la scienza dice che lo zigote e un organismo programmato: il genoma è iscritto nei 46 cromosomi del suo DNA. È proprio questo singolarissimo DNA che compone il patrimonio genetico del nuovo individuo umano. È un essere con un progetto e un programma nuovi, mai esistito prima e che mai si ripeterà e che da essi continuerà a svilupparsi; 4) la scienza dice che nell'embrione la crescita e lo sviluppo avvengono in modo coordinato, continuo, graduale(4). Non solo: rispetto al passato, quando le tecniche di diagnostica prenatale e l'embriologia non permettevano di toccare con mano l'evidenza dell'esperienza materna vissuta dalla gestante durante la gravidanza e con essa perciò la prova scientifica – per così dire – dell'umanità del concepito, oggi ciò è innegabile. A sfatare un luogo comune per cui sarebbe la religione, cattolica nella fattispecie, a conferire questa umanità a ciò che per la medicina risulta un «prodotto del concepimento» o un «grumo di cellule», sono gli sviluppi più moderni dell'embriologia e delle neuroscienze (interessanti gli studi sulla neurosensorialità del feto, ad esempio) a dimostrare oggi in modo granitico che quel figlio è soggetto e non oggetto. Fin dai primi giorni di vita (6°/8° giorno) si instaura il cosiddetto «cross-talk» materno-fetale: un dialogo incessante fatto di scambio di segnali immunologici, biochimici e ormonali, che consente alla madre di riconoscere il figlio e di poterlo accettare nell'impianto. Ecco qualche nozione tratta dalla letteratura in merito a ciò che la tecno-scienza ha da dirci sulla vita prenatale: 1) a sei settimane sono verificabili i primi movimenti di allungamento, rotazione del capo, braccia e gambe; a dieci settimane le mani vengono portate al capo, al viso e alla bocca, che sa già chiudersi, aprirsi e inghiottire; a quindici settimane si visualizzano movimenti mandibolari e coordinamento tra arti e parti del corpo come il cordone ombelicale con il quale interagisce; dalla dodicesima e tredicesima settimana il feto ha il singhiozzo, deglutisce; 2) la vita intrauterina è la prima parte dell'esperienza esistenziale del bambino, che qui inizia a formare la propria personalità mediante la coesistenza con la madre e apprendendo suoni, gusti, stimoli neuro-psicologici che garantiscono lo sviluppo cerebrale; 3) gli studi più recenti accertano la presenza di un evidente sviluppo psico-emotivo fin dalle prime settimane, constatando l'aumento di volontarietà e creatività, in particolare nell'interscambio tra mondo intra ed extra-uterino; 4) molti studi parlano di sincronizzazione e correlazione tra la frequenza cardiaca della madre e quella del feto; 5) sono dimostrate esperienze di ricordo remoto della vita intrauterina e l'influenza dello stato emotivo materno su quello fetale.
Anche il «British Medical Journal» ci informa che «l'embrione non è passivo, ma orchestra attivamente il suo destino»(5) e così il neonatologo di fama internazionale Carlo Bellieni, membro della European Society for Paediatric Research, del direttivo nazionale del Gruppo di studio sul dolore della Società italiana di neonatologia, della Pontificia Accademia pro Vita e del Comité scientifique des Journées francophones de récherche en néonatologie, in molteplici interventi e ancor più nel suo testo «Sento dunque sono. Sensi e sensazioni del feto»(6), illustra con accuratezza quanto avviene nella cavità endouterina in qualità di «apprendimento prenatale»: già alla terza settimana gestazionale, dopo soli 22 giorni, l'organo cardiaco è presente e pronto per avviare il suo funzionamento (dalla settimana successiva batterà 80 volte al minuto), nonostante le dimensioni del concepito, pari a una «capocchia di spillo»; tra la sesta e l'undicesima settimana cresce di circa 7 centimetri e si apre una finestra vitale in cui si delinea come destrimano o mancino e porta il pollice alla bocca, come spesso si vede in sede ecografica; la dodicesima settimana è altrettanto significativa, poiché il sesso cromosomico inizia lo sviluppo genitale a seconda della definizione genetica maschile o femminile e, incredibilmente, gli organi riproduttivi «compiono però già la loro funzione: infatti le ovaie fanno scorta di ovuli e i testicoli producono testosterone». Addirittura, nell'ultimo periodo della gravidanza, l'ecografia 4D constata attività REM nel sonno del bambino («sappiamo che questa è la fase in cui si sogna»), registrata grazie all'osservazione del moto oculare. Tutta la disamina sulla crescita intrauterina è formidabile, lascia estasiati, ma un'informazione tra molte continua a penetrare le coscienze di chiunque ne venga a conoscenza, così com'è accaduto nel momento in cui la scoperta giunse al mondo medico-scientifico: il dolore fetale, captato secondo la metodologia sensoriale e la sperimentazione osservativa diretta. Fino a non troppi anni fa – già prima degli anni Ottanta – la medicina era ignara di questo fattore, anzi supponeva che il feto non potesse provare dolore in alcuna misura. Quando si insinuò il dubbio scientifico sulla percezione del dolore del bambino prematuro non ancora nato, le ricerche mostrarono notevoli risposte del nascituro allo stress accusato ogniqualvolta si inseriva un agente esterno (ago) nell'addome materno per ragioni prettamente terapeutiche: egli subiva «una reazione lenta del cortisolo e delle endorfine. 10-20 minuti, e una risposta molto rapida della noradrenalina, esattamente come nell'adulto. Questa situazione appariva con chiarezza sin dalla 18a settimana di gestazione ed era indipendente dalla risposta allo stress della madre». Questi brevi cenni medici (l'elenco potrebbe proseguire accumulandone molti altri ancora) non esauriscono la problematicità nello storico e, purtroppo, sempre più acceso scontro tra anti-abortisti e fautori della libertà di scelta abortiva, ma costruiscono innegabilmente un ponte che supera l'asserito divario tra scienza e fede o tra medicina ed etica per coloro i quali, da un lato, tendono a provarne l'inconciliabilità e, dall'altro, sistematizzano questa prospettiva accusando di a-scientificità le posizioni morali contrarie alla legittimità dell'aborto procurato volontario e a qualsiasi sperimentazione, commercializzazione e manipolazione dell'embrione. La scienza ci dimostra non solo l'umanità del concepito, bensì anche l'esistenza in esso di un «io prenatale», cioè di una soggettività relazionale. Nota infatti Bellieni: «dal momento del concepimento non esiste nessun momento magico: lo sviluppo neurologico continuerà per anni. Da quando due cellule si sono unite per formarne una nuova, con un DNA diverso da quello di padre e madre, siamo di fronte ad un individuo. La coscienza apparirà: per ora è solo potenziale; ma altrettanto si può dire di ognuno di noi quando dorme. Si dirà: ma chi dorme poi si sveglierà, basta aspettare. Giusto: per l'embrione vale lo stesso criterio: basta aspettare e la coscienza appare. Diceva Anna Arendt: “l'uomo non è fatto per morire, ma per iniziare”. Lo stupore verso l'alba della vita apre enormi porte alla ricerca scientifica. Negarlo è un triste oscurantismo»(7). Lo stesso concetto, ossia che non esiste alcun salto ontologico e nemmeno biologico in grado di trasformare un'entità astratta, impersonale, in un essere umano, viene espresso, paradossalmente, da coloro che sostengono la legittimità etica, quindi biogiuridica, dell'aborto al nono mese di gravidanza (oggetto di dibattito e in alcuni Paesi di tentata legalizzazione) e l'aborto post-nascita (infanticidio), per una sorta di correttezza logico-argomentativa: non esiste – lo afferma uno dei più grandi bioeticisti e sostenitori dell'aborto post-nascita, Peter Singer – alcun salto biologico che produca un cambiamento di stato ontologico dal non essere uomo all'essere persona. Pertanto, ciò che si elimina a sei settimane di vita, ad esempio, non è ontologicamente diverso da ciò che si eliminerebbe un minuto dopo la nascita.
Come spiega il Centro di bioetica dell'Università cattolica del Sacro Cuore nel documento Identità e statuto dell'embrione umano, «il primo ordine di dati deriva dallo studio dello zigote e della sua formazione. Da questi dati risulta che, durante il processo di fertilizzazione, appena l'ovulo e lo spermatozoo – due sistemi cellulari teleologicamente programmati – interagiscono tra loro, immediatamente prende inizio un nuovo sistema, che ha due caratteristiche fondamentali: 1) è un sistema nuovo, non una semplice somma di due sottoinsiemi, ma un sistema combinato, il quale, a seguito della perdita dei due sottoinsiemi, inizia ad operare come una nuova unità, intrinsecamente determinata, poste tutte le condizioni necessarie, a raggiungere la sua specifica forma terminale (embrione unicellulare); 2) il centro biologico o struttura coordinante questa nuova unità è il nuovo genoma di cui l'embrione unicellulare è dotato (...) progetto ben definito con l'informazione essenziale e permanente per la graduale ed autonoma realizzazione di tale progetto. È questo genoma che identifica l'embrione come biologicamente umano e ne specifica l'individualità».
Il concepito, dalla fecondazione in poi, allora, procede nel proprio sviluppo seguendo i cosiddetti «princìpi epigenetici» non solo di gradualità, continuità ininterrotta (senza cesure né salti) e autonoma, coordinazione biologica di tutte le sue attività e sviluppo, ma anche come unità biologica. Egli, pertanto, incarna un nuovo individuo, biologicamente e geneticamente unico, distinto dagli altri esseri umani e irripetibile; un organismo umano e programmato, frutto (in linea di massima, a causa delle eccezioni derivanti dalle tecniche di fecondazione in vitro, di surrogazione, eccetera) della storia di due identità, un uomo e una donna, la cui unione feconda ha dato l'incipit ad un'inedita storia umana già inscritta nell'istante della fecondazione. Come ciascuno di noi, quel figlio, appartiene fin da principio alla storia dell'umanità in quanto parte della specie umana. Da quanto detto si deduce che non vi sono nel suo sviluppo salti di qualità per i quali sia possibile collocare in un determinato momento l'inizio del suo essere individuo. Si evince, inoltre, che ognuno di noi, nella propria fase embrionale, non è stato inerte né eseguito in modo passivo o per opera della madre, ma, essendo un progetto, orchestra autonomamente, in sinergia con l'ambiente uterino nel quale è ospitato, un suo progetto di cui è attore principale. Pertanto, l'affermazione tanto diffusa per cui «il corpo è mio e decido io» a supporto di un presunto «diritto all'aborto» è scientificamente errata, dal momento che la tecnica abortiva agisce sul corpo, sulla vita, sull'identità di una persona diversa dalla madre. Anche l'obiezione per cui si genererebbe un conflitto tra la collocazione del feto nel corpo della madre e l'autodeterminazione di quest'ultima a discapito di un altro individuo proviene dal fatto che, nella cultura femminista che ha prodotto l'assimilazione tra aborto e diritto (rientrerebbe nei cosiddetti «diritti riproduttivi negativi»), il concepito, prima di essere riconosciuto (quando lo è) nella sua umanità, viene considerato un problema di natura (giogo biologico della gravidanza) e sanitario (patologizzazione della gravidanza) da curare (quindi estirpare). Un passaggio fondamentale in questa prospettiva è il venir meno di una visione antropologica dell'essere umano unitotale, dotato e determinato (senza sconfinare in alcun biologismo riduzionista) anche dalla sua natura biologica che ne incide l'identità e l'esperienza sociale. La gravosità del dilemma che l'aborto comporta non riguarda unicamente le circostanze, bensì lo statuto dell'embrione umano in quanto persona, perciò è radicalmente una questione etica e profondamente connessa alla risposta che la società odierna decide di esprimere sul valore che essa attribuisce alla persona umana e sul tipo di uomo che vuole prefigurare. Non si fraintenda: dolore, sofferenza, timori e solitudine opprimenti sulla sorte della famiglia coinvolta hanno necessità di essere accolti e trasfigurati. Il fine che s'intende perseguire con fermezza non è smorzare i fattori scatenanti della scelta abortiva, ma evidenziare che nessuno di essi vale una vita umana, trascendente l'immanenza e irriducibile a criteri di proprietà.
Da quanto detto emerge spontaneamente il riconoscimento del carattere umano dell'embrione, prima ancora che dal punto di vista filosofico o giuridico, dal punto di vista scientifico e fenomenologico, osservando le indagini qualitative e quantitative sul suo organismo in evoluzione. Questi dati diagnosticano una realtà integrata, organica, che muove la sua esistenza secondo una finalità intrinseca e naturale, mentre i caratteri osservabili sono l'espressione tangibile di un principio interno di movimento: l'embrione tende al suo compimento, alla sua autorealizzazione in ordine al fine a cui è orientato (télos). In tal senso egli non è un essere in potenza, ma è persona in atto. La sua umanità non si acquisisce gradualmente, ma per istanti nel momento stesso in cui inizia questa sequenza di crescita (la fecondazione). La domanda sull'embrione è la domanda sull'uomo. Sostenendo l'inumanità – quindi l'assenza di dignità – del concepito in talune situazioni socialmente acquisite come consone e giuste (l'aborto, ad esempio) in base ad un principio di normalità, necessità o normo-funzionalità secondo cui è essere umano se vi è il consenso a proseguire la gestazione, ed è essere umano degno colui che detiene condizioni di sviluppo, efficienza, struttura, qualità, in definitiva di prestazione, tali da soddisfare dei canoni di perfettibilità o accettazione giuridica, viene reciso il principio di accoglienza sul quale si fondano la solidarietà e la sussidiarietà. In ciascun essere umano, infatti, permane lungo tutto il corso della sua esistenza, a causa proprio della sua condizione naturalmente precaria e deficitaria, una tensione fra ciò che egli è originariamente e ciò che egli non è ancora, sulla scia dello sviluppo. Questo ha da sempre garantito la misura di tollerabilità e il dovere di assistenza alla vulnerabilità perché tratto comune di ogni essere umano, seppur in forme e gradi differenti. Ciò implica, come per l'adulto, l'adolescente, l'anziano, il malato terminale, eccetera, che anche l'embrione detenga lo stesso valore-persona inalienabile, riconosciuto e da tutelarsi, a prescindere dall'impercettibilità delle dimensioni, della presenza o dell'incompiutezza di certe funzioni o sviluppo somato-organico (teoria funzionalista), oppure dalla comprovata capacità di provare piacere/dolore (utilitarismo etico/sensismo): egli, ontologicamente, per essenza, non subisce modifiche alla sua natura che è già e permane, a priori. La fase dello sviluppo non incide, non muta la sua natura umana. Come spiega Laura Palazzani, «in potenza non è la natura umana, ma semmai l'attuazione completa delle capacità che per esplicitarsi necessitano della maturazione biologica, psichica e sociale. Ne consegue che l'embrione è già umano a tutti gli effetti, in quanto, pur non essendo ancora manifestate in atto, tutte e al massimo grado le proprietà, sono presenti le condizioni che costituiscono il supporto necessario del processo dinamico ininterrotto e progressivo che passa attraverso fasi successive che consentiranno l'attuazione di tali caratteri (sensitività, razionalità, volontà, relazionalità)»(8). Poste l'umanità fenomenologica e quella ontologica, consegue un dovere globale di rispetto, beneficenza e non maleficenza nei confronti del nascituro, così come viene prescritto verso ogni altro essere umano in virtù della natura che possiede. Dovere di tutelare e dovere di non distruggere o utilizzare, consapevoli del discrimine ontologico tra cose, animali e persone. Ne consegue il diritto naturale del concepito ad esistere, che è anche per lui il primo e fondamentale di tutti i diritti. La dignità umana, identificazione universale alla base degli originari diritti dell'uomo, non è qualcosa che l'essere umano acquisisce o di cui attende il conferimento dall'esterno, bensì può essere unicamente riconosciuta in virtù di una concezione di sacralità legata all'appartenenza alla specie umana. Ecco perché l'uomo è degno e la sua vita inviolabile a prescindere dalle condizioni in cui versa. Questo sottostà al principio di eguaglianza. Usando le parole del filosofo Vittorio Possenti, «la persona è primitiva; non si deduce da nulla e non si può ridurre a oggetto» ed è questo assunto che richiama l'inviolabilità della vita umana e l'indisponibilità morale della persona. Possenti spiega che «al momento del concepimento accade una trasformazione sostanziale, ossia la formazione di una nuova realtà sostanziale (il concepito), e (...) da allora in avanti non appaiono ulteriori trasformazioni sostanziali, ma solo accidentali: accidentale comunque non vuol dire secondario. (...) Diventar persona è un atto, non un processo (...) la concezione gradualistica di persona include una concezione gradualistica dei diritti dell'embrione, di modo che l'embrione non possiede la stessa ampiezza dei diritti del nuovo nato (...). Il diritto fondamentale alla vita dell'embrione umano richiede la cura minima richiesta da un essere umano in ogni stadio di sviluppo: essere sostenuto in questo processo e non essere distrutto». Il personalismo ontologico rifiuta categorie come quelle adottate dal famoso Comitato Warnock di «pre-persona» (il feto), quasi-persona (il neonato), semi-persona (l'anziano provato dalle condizioni in cui versa o dallo stadio avanzato dell'età), non più persona (stati di coscienza alterati – tipo stato vegetativo), che, come è evidente, aprono il ragionamento etico a legittimare pratiche eutanasiche, eugenetiche, sperimentazioni e manipolazioni a seconda di come venga classificato il materiale biologico interessato, sia esso al primo giorno di vita intrauterina o al centesimo di vita extrauterina. Il principio tomista di riferimento insegna che operari sequitur esse, cioè che per agire, e se l'agire contribuisce ad affermare una personeità, è necessario dapprima esistere. Pertanto, riprendendo D'Agostino, affermiamo che «il diritto a nascere include in se stesso e fonda tutti i diritti costitutivi della persona, il diritto a essere rispettati nella propria identità, a non essere strumentalizzati per alcuna ragione, ad essere considerati come portatori di una specifica dignità». Ricorriamo ancora una volta all'analisi di Possenti: «la dignità dell'uomo è parola vana se non ha la sua radice nel fatto che ogni essere umano è persona, ossia una sostanza individuale di natura spirituale. Come non possiamo pensare che esista vita umana se non in esseri umani, così neanche che esistano esseri umani che non siano persone, perché non si conoscono modi di esistenza della natura umana che non siano personali». In sintesi: l'esser persona sembra l'unica modalità di esistenza che conviene alla natura umana. Forse alludendo a questo Tertulliano affermava: «È già uomo colui che lo sarà». Sulla scorta di tali elementi apparirebbe dunque appropriato parlare dell'embrione umano non come di persona potenziale, ma di persona attuale dotata di alta potenzialità di sviluppo.

Riflessione conclusiva

Se di custodia dell'umano vogliamo parlare, la questione dell'embrione è, su tutte le provocazioni dalle quali la bioetica viene sollecitata, il cuore del problema antropologico. Sebbene il dibattito solitamente tenda a ripiegarsi sulla questione politica soggiacente alla legalizzazione dell'aborto a determinate condizioni, l'aspetto più eclatante riguarda la legittimazione antropologica data dai modelli funzionalista e materialista. Nel diritto alla vita, ogni essere umano è assolutamente eguale a tutti gli altri. Tale eguaglianza è la base di ogni autentico rapporto sociale che, per essere veramente tale, non può non fondarsi sulla verità e sulla giustizia, riconoscendo e tutelando ogni uomo e ogni donna come persona e non come qualcosa di cui disporre, ossia riconoscendo senza esitazione la differenza tra soggetto e oggetto. Di fronte all'enormità di talune questioni, così radicate nell'umanità stessa, l'appello è universale: «non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l'ultimo “miserabile” sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali»(9).

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PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA POPOLARE

Art. 1.

1. Dopo il primo comma dell'articolo 14 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è inserito il seguente:

«Il medico che effettua la visita che precede l'interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».

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(1) Si vedano ad esempio le statistiche riportate da Texas Health and Human Services Commission (HHSC) consultabili all'indirizzo internet: https://www.hhs.texas.gov/about/records-statistics/data-statistics/itop-statistics.

(2) M. Palmaro, Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta, Sugarco, Milano, 2008, pp. 148-149.

(3) https://www.provitaefamiglia.it/blog/se-mons-suetta-a-proposito-della-proposta-di-legge-un-cuore-che-batte.

(4) Cfr. R. Lucas Lucas, Bioetica per tutti, San Paolo, Cinisello Balsamo, 20143, pp. 117-120.

(5) Cfr. H. Pearson, Developmental biology: Your destiny, from day one, in «Nature», 418, 4 luglio 2002, pp. 14-15; https://noiaprenatalis.it/2019/01/17/la-scienza-prenatale-ha-validato-inconfutabilmente-che-lembrione-e-vita-umana/.

(6) C.V. Bellieni. Sento dunque sono, Edizioni Cantagalli, Siena, 2011; si veda anche Id., Lo sviluppo psichico prenatale, «Medico e bambino», n. 6, 2003, pp. 404-407: https://www.medicoebambino.com/index.php?id=0306_404.pdf.

(7) C.V. Bellieni, Il feto è una persona? Un'evidenza clinica, in «Journal of Medicine & The Person», n. 1, gennaio 2004, pp. 26-33 (citazione a p. 32).

(8) L. Palazzani, Biogiuridica, Teorie, questioni, analisi, G. Giappichelli, Torino, 2021, p. 50.

(9) S. Giovanni Paolo II, lettera enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993), n. 96: Acta apostolicae Sedis, 85 (1993), p. 1209.

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