PDL 1487

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1487

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
BOLDRINI, FRATOIANNI, RICCARDO RICCIARDI, DE MARIA

Istituzione del Giorno della memoria delle vittime
del colonialismo italiano

Presentata il 16 ottobre 2023

torna su

Onorevoli Colleghi e Colleghe! – La presente proposta di legge intende istituire un «Giorno della memoria» in ricordo delle vittime africane in Libia, Eritrea, Etiopia, Somalia, nei settant'anni di occupazione coloniale italiana. Secondo le stime dello storico Ian Campbell, che rivede al rialzo quelle di Angelo Del Boca, tali vittime furono circa settecentomila.
Sul colonialismo italiano pesa il torto di una rimozione storica, culturale e politica ancora inspiegabile: un buco nel registro delle morti del Novecento, pagine bianche nei libri di storia e nella coscienza storica nazionale. Nato relativamente tardi, ma durato il tempo necessario per spargere sangue e dolore nelle terre e tra i popoli d'Oltremare, poco conosciuto nelle sue reali dimensioni. I settant'anni dell'occupazione coloniale sono così articolati: dal 1882 in Eritrea, dal 1889 in Somalia, dal 1911 in Libia, dal 1935 in Etiopia, fino alla caduta del fascismo, nel 1943. In Somalia, poi, l'Amministrazione Fiduciaria Italiana ha proseguito dal 1950 al 1960.
Nulla a che vedere con l'idea degli «italiani brava gente», colonizzatori buoni, andati nei Paesi africani per costruire ospedali, scuole e infrastrutture, aiutare le popolazioni locali e civilizzarne i costumi.
In realtà, il comportamento delle istituzioni italiane – anche durante i governi Giolitti e Crispi, ma soprattutto durante il periodo fascista – non si differenziò molto da quello delle altre potenze coloniali in quanto a ferocia.
Le espropriazioni di terreni alle popolazioni locali, l'imposizione di norme sociali ed economiche che ne hanno stravolto le vite, hanno costituito la base sulla quale è stata costruita la presenza degli italiani nelle colonie. Le atrocità commesse dagli italiani, sia militari sia civili, sono state numerose e ampiamente documentate, così come l'uso massivo delle armi chimiche sulle popolazioni civili, le deportazioni di massa in Cirenaica e le stragi indiscriminate in Etiopia.
Tra i crimini più efferati si ricorda quello di cui è protagonista Rodolfo Graziani, che a partire dal 1930 organizza la deportazione di circa centomila abitanti della Cirenaica, quasi la metà della popolazione, in grande maggioranza vecchi, donne e bambini. Li fa marciare lungo la Sirte per oltre mille chilometri, li abbatte durante i trasferimenti quando si ammalano, deperiscono per la fame o cercano di fuggire e li fa languire in campi di concentramento. In questi vasti attendamenti circondati da reticolati di filo spinato, dove le razioni di cibo sono misere e le condizioni igienico-sanitarie drammatiche, le internate e gli internati sono sottoposti a torture, forzati alla prostituzione, subiscono furti e violenze da parte dei soldati di guardia. Fucilazioni e impiccagioni sono frequenti. Gli stenti e le violenze costano la vita a un numero stimato tra quarantamila e sessantamila persone, circa il 40 per cento della popolazione del Gebel.
I crimini del colonialismo italiano avvengono ovunque, e in Etiopia, in particolare, con l'uso dei gas. Mussolini, ormai nessuno lo può negare, invia a Graziani e a Badoglio, a partire dal 27 ottobre 1935, ventisette telegrammi, in cui ordina di impiegare gas asfissianti e vescicanti contro le popolazioni civili. Il 22 e il 23 dicembre tre squadriglie aeree rovesciano sull'Etiopia tonnellate di bombe esplosive e quarantadue bombe C500 T caricate a iprite; tra il 23 dicembre e il 29 gennaio 1936 i bombardamenti con l'iprite sono trentuno: esplodono trecentottanta bombe, ognuna delle quali contiene 212 chilogrammi di gas. Lo scoppio avviene a 250 metri dal suolo e sparge, in un'area di circa un chilometro, gocce che provocano ustioni sanguinanti e uccidono.
Il Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925, che il regime fascista sottoscrisse il 3 aprile 1928, in verità proibiva l'uso di un'arma tanto micidiale.
Le popolazioni vengono gasate, con atti terroristici puntualmente documentati dall'aviazione in Africa Orientale, che annota data, luogo, tipo di bomba e reparto: in tutto sessantacinque bombardamenti sul fronte Nord, quarantacinque sul fronte Sud dell'Etiopia. Vengono sganciati oltre 2.000 quintali di bombe e 500 tonnellate di gas tossici, sulle armate etiopiche ma anche sui villaggi, sul bestiame, sui pascoli, sulle colture, sui fiumi e sui laghi.
Le stragi, drammaticamente numerose, sono ormai documentate nei testi specialistici, ma raramente vengono citate nei manuali di storia. Un elenco delle più significative aiuta a comprendere le dimensioni di una tragedia nazionale mai riconosciuta:

1888-1890: viene istituita una Commissione d'inchiesta sui fatti d'Eritrea con l'arresto dei funzionari Eteocle Cagnassi e Dario Livraghi, accusati di ricorso a fucilazioni sommarie, sevizie e all'eccidio di ottocento persone;

1888-1890: sull'isola di Nocra, a 55 km al largo di Massaua, si costruisce un carcere speciale in cui moriranno migliaia di detenuti;

1911: durante la guerra italo-turca viene istituita, in Libia, la «politica della forca»; a Tripoli e nel Paese saranno impiccate quattromila persone e altrettante saranno deportate in Italia;

dal 1° ottobre 1925: Cesare Maria De Vecchi invade il sultanato di Obbia, in Migiurtinia; alla ricerca di Ali Mohamed Nur, massacra duecento somali inermi, donne e bambini, nella moschea di Merca;

10 febbraio 1936: a quattro mesi dall'occupazione dell'Etiopia, sull'Amba Aradam, un massiccio montuoso lungo 8 km, Badoglio uccide ventimila etiopi. Contribuiscono all'operazione gli aerei dell'aviazione fascista, che gettano gas asfissianti su militari e civili. Un crimine analogo verrà compiuto, con modalità ancora più agghiaccianti, nell'aprile del 1936 sul lago Ascianghi;

19 febbraio 1937: come rappresaglia per l'attentato a Graziani, bande di squadristi con lanciafiamme, armi automatiche, coltelli e bastoni incendiano quattromila case di Addis Abeba e scatenano la caccia all'uomo contro gli etiopi, che moriranno in ventimila;

21-29 maggio 1937: addossando la responsabilità dell'attentato a Graziani ai monaci del monastero di Debra Libanòs, le truppe coloniali occupano la chiesa, catturano i religiosi, li trasportano con ventuno camion nella Piana di Laga Wolde e li fucilano. Nell'eccidio moriranno 2.030 persone;

30 marzo-11 aprile 1939: a Caià Zeret, centro della resistenza etiope, migliaia di persone vengono spinte nella grotta che si apre su un dirupo (sarà poi l'Amazegna Washa, «la grotta dei ribelli») e lì sono attaccate con mitragliatrici, lanciafiamme, granate e gas tossici. Costrette a uscire, saranno fucilate a gruppi di cinquanta sull'orlo del burrone.

Ma la violenza del colonialismo non si è scatenata solo nei campi di concentramento, nelle stragi e nelle deportazioni di massa che alcuni storici definiscono genocidi: è stata anche apartheid razzista e sessista, costruita con norme, atti amministrativi e sentenze che prendono avvio dal 1937.
Le sanzioni per i rapporti d'indole coniugale fra cittadini e sudditi di cui al regio decreto-legge 19 aprile 1937, n. 880, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1937, n. 2590, prevedono la reclusione da uno a cinque anni per «Il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle Colonie tiene relazione d'indole coniugale con persona suddita dell'Africa Orientale Italiana o straniera appartenente a popolazione che abbia tradizioni, costumi o concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei sudditi dell'Africa Orientale Italiana».
Nel giugno dello stesso anno, il governatore d'Eritrea, Vincenzo De Feo, vieta la coabitazione di cittadini italiani e sudditi autoctoni negli stessi quartieri e stabilisce che vengano comminate pene in caso di trasporti promiscui. In Somalia, il governatore Ruggero Santini impedisce che gli esercizi commerciali degli autoctoni siano frequentati da italiani.
Con le sanzioni penali per la difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell'Africa italiana di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1004, si vieta il matrimonio con individui di origine camitica, semitica e di altre origini non «ariane», la frequentazione dei quartieri e dei pubblici esercizi indigeni e si espropriano i fabbricati contigui alle abitazioni dei colonizzatori. La cosiddetta «lesione del prestigio di razza» diviene un reato inscritto nel codice.
Intendiamoci, nessuno vuole davvero impedire lo sfruttamento sessuale del maschio bianco rispetto alle donne africane: obiettivo delle politiche segregazioniste era quello di mantenere la società coloniale razzialmente «pura».
L'irrigidimento dei confini razziali della nazione, successivo alla proclamazione dell'impero, fa sì che i sudditi africani non possano acquisire la cittadinanza, in nessun caso, anche quando prestano servizio militare per gli italiani. Ancora più gravi sono le norme della legge 13 maggio 1940, n. 822, relative ai meticci, che vietano agli uomini italiani il già raro riconoscimento di paternità per le bambine e i bambini avuti da donne africane, dunque negando ogni diritto alla cittadinanza italiana. Ancora oggi, in Eritrea ad esempio, ci sono decine di famiglie discendenti da uomini italiani: quei figli e quei nipoti però non possono dimostrare la propria discendenza, proprio a causa delle leggi contro il meticciato del 1940, vere e proprie leggi razziali.
Il colonialismo spiega, più di quel che si è portati a credere, il pregiudizio razzista che ancora oggi pervade le pieghe più nascoste della società italiana; un razzismo ordinario che può esplodere, a certe condizioni, in episodi terribili oppure continuare a covare sotto la cenere.
Ce lo ricorda anche il Parlamento europeo, che ha approvato, il 26 marzo 2019, una risoluzione sui diritti fondamentali delle popolazioni di origine africana in Europa e che imputa le cause delle discriminazioni razziali al mancato riconoscimento di fenomeni come «la riduzione in schiavitù, i lavori forzati, l'apartheid razziale, i massacri e i genocidi nel quadro del colonialismo europeo».
Secondo il Piano d'azione dell'Unione europea contro il razzismo 2020-2025, di cui alla comunicazione della Commissione europea COM (2020) 565 final, del 18 settembre 2020, «I pregiudizi e gli stereotipi possono essere innanzitutto affrontati riconoscendo le radici storiche del razzismo. Il colonialismo, la schiavitù e l'Olocausto sono parte della nostra storia e hanno profonde conseguenze per la società di oggi. Salvaguardare la memoria è fondamentale per incoraggiare l'inclusione e la comprensione».
Alcuni Paesi europei, come la Francia e il Belgio, hanno già da tempo avviato un dibattito pubblico sulle responsabilità e sull'eredità coloniale. In Belgio, in particolare, dal mese di giugno 2020 è al lavoro una Commissione parlamentare che indaga sul tragico passato coloniale in Congo, Ruanda e Burundi.
La leggenda degli «italiani brava gente» è però più forte dei fatti, anzi, li silenzia. Su questo importante pezzo della nostra storia ancora non è stata avviata una efficace riflessione collettiva. Di tale lungo silenzio, e non di altro, dovrebbe parlare chi oggi discute di cultura della cancellazione.
Perché una cancellazione, è vero, c'è stata, ma di segno opposto e non sembra cessare. Basti pensare che molte città italiane custodiscono, ancora oggi, migliaia di tracce del feroce colonialismo italiano a cui sono intitolate piazze, vie, viali, larghi, ponti, lapidi, busti e palazzi la cui presenza muta ancora celebra un senso di superiorità mai spento. Una vera e propria odonomastica coloniale che andrebbe ridiscussa e non fatta passare sotto silenzio.
È sorto ovunque, nel nostro Paese e fuori, un movimento di «de-colonizzazione dello sguardo» che nelle città chiede di assegnare un significato nuovo, veritiero e più giusto a quelle tracce, perché oggi è impossibile continuare a vedere statue, vie o monumenti intrisi di storia coloniale in modo inconsapevole e acritico. Forse è venuto il momento di discuterne, con un percorso di riflessione collettiva, coinvolgendo storici, studiosi, istituzioni, scuole, educatori, comunità e persone afrodiscendenti, senza continuare a sperare nell'oblio.
Ecco perché abbiamo ritenuto di presentare la presente proposta di legge: per contribuire ad avviare un processo di riflessione collettiva sui crimini del colonialismo italiano. Si tratta di una proposta che recepisce l'indicazione originaria proveniente da Angelo Del Boca e da numerose mozioni approvate da consigli comunali, tra cui quello di Roma Capitale (mozione n. 156 del 2022, approvata in aula il 6 ottobre 2022), in seguito a un appello promosso e sottoscritto dai principali storici del colonialismo italiano, da studiosi, da associazioni e comunità afrodiscendenti.
La «Giornata della Memoria», istituita proprio il giorno 19 febbraio (Yekatit 12 nel calendario etiope) in ricordo della strage avvenuta nel 1937 ad Addis Abeba, seguita all'attentato a Graziani (articolo 1), vuole essere l'occasione per avviare un processo di studio e di riflessione che coinvolga soprattutto le giovani generazioni nelle scuole e le comunità afrodiscendenti (articolo 2).
Di questo sentiamo l'urgenza, perché lo studio di una pagina oscura della nostra storia possa contribuire a far sì che simili eventi non debbano più accadere.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione del Giorno della memoria delle vittime del colonialismo italiano)

1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 19 febbraio, data di inizio dell'eccidio della popolazione civile di Addis Abeba compiuto nel 1937, «Giorno della memoria delle vittime del colonialismo italiano», al fine di ricordare le oltre settecentomila vittime africane uccise durante il periodo di occupazione coloniale italiana in Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia.
2. Il Giorno della memoria delle vittime del colonialismo italiano di cui al comma 1 è istituito al fine di ricordare gli eccidi, le campagne militari, le leggi razziali, le norme sessiste, l'impiego di aggressivi chimici, la deportazione, la prigionia e, in generale, la politica di occupazione cui sono state sottoposte le popolazioni dei Paesi africani dominati dall'Italia.

Art. 2.
(Iniziative di promozione)

1. In occasione del «Giorno della memoria delle vittime del colonialismo italiano» di cui all'articolo 1 sono organizzati incontri, iniziative e momenti di riflessione, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, sul periodo di occupazione coloniale italiana in Etiopia, Eritrea, Libia e Somalia e in ricordo delle settecentomila vittime africane del regime di occupazione, in modo da conservare la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia del nostro Paese e affinché simili eventi non possano più accadere.
2. Le iniziative di promozione del «Giorno della memoria delle vittime del colonialismo italiano» di cui all'articolo 1 sono organizzate, coinvolgendo anche le amministrazioni locali e regionali, in stretta condivisione con le comunità e le persone afrodiscendenti.

torna su