PDL 1434

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1434

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
PITTALIS, MULÈ, CALDERONE, PATRIARCA

Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di misure di prevenzione patrimoniali

Presentata il 28 settembre 2023

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Onorevoli Colleghi! – La legge 13 agosto 2010, n. 136, recante piano straordinario contro le mafie nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia, il 6 settembre 2011 ha introdotto nel nostro ordinamento il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, cosiddetto «codice antimafia».
Tale codice costituisce per gli operatori del diritto sostanzialmente un «codice delle misure di prevenzione», disciplinate nel libro I.
Sostrato comune di tale corpus normativo può essere ravvisato in un modello disancorato dal paradigma penalistico legato alla commissione di un reato, ove non vale più il concetto di pericolosità, bensì il binomio colpevolezza per il fatto-pena.
Non si può più parlare delle misure di prevenzione quali sanzioni amministrative, ma di vere e proprie sanzioni penali, fondate sul diritto penale della pericolosità, cioè, appunto, quello riguardante le misure di prevenzione praeter delictum.
Eppure, tradizionalmente, tanto la Corte costituzionale, quanto le sedi europee hanno collocato il modello sottostante alle misure di prevenzione in ambito amministrativo, anziché in ambito penale. Tale collocazione ha consentito e consente la violazione di fondamentali princìpi costituzionali in materia penale e processual-penalistica, tramite l'utilizzo di «scorciatoie», incompatibili con un sistema gravemente afflittivo dei diritti fondamentali della persona, dando luogo a quella indicata dalla più attenta dottrina quale palese «truffa delle etichette».
In particolare, in relazione alle misure di prevenzione patrimoniali, le riforme degli anni 2008 e 2009, di cui al decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, e alla legge 15 luglio 2009, n. 94, cosiddetti «pacchetti sicurezza», hanno reso la confisca ai sensi dell'articolo 24 del codice antimafia, pensata quale principale strumento di lotta alla criminalità organizzata, un potente strumento di ablazione dei patrimoni, a prescindere dalla loro origine lecita o illecita.
La peculiarità della disciplina delle misure di prevenzione, giustificata in chiave di politica criminale, dalla necessità di strumenti straordinari per contrastare il crimine organizzato, ha compromesso in maniera significativa il sistema delle garanzie e delle tutele delle persone. Nella pratica giudiziaria sono sempre più frequenti e numerosi i casi in cui le misure di prevenzione vengono applicate nei confronti di soggetti che, per gli stessi fatti, vengono assolti in sede penale.
La prassi dimostra, inoltre, che la maggior parte delle aziende colpite dalle misure di prevenzione viene posta in liquidazione nel corso delle complesse more procedurali. Ciò produce effetti macroeconomici devastanti nei territori in cui le misure vengono applicate: perdita di posti di lavoro, calo del gettito fiscale, compromissione dell'intero tessuto economico in cui le aziende in sequestro o in confisca operano, caratterizzato da un sempre crescente clima di incertezza. La minaccia sempre costante dell'applicazione di sequestri e confische, specie nel Meridione d'Italia, sommata al rischio di impresa e alla crisi economica, costituisce un potente deterrente a investire in questi territori, incrementando la povertà e il degrado sociale che costituiscono proprio gli elementi di cui si alimentano le mafie storiche, intese come fenomeni sociali e criminali.
La confisca di prevenzione, malgrado quanto sancito dalla giurisprudenza nazionale, alla luce dei princìpi fissati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Grande Camera) nella nota sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, ha un contenuto fortemente punitivo-afflittivo. Dal momento che prescinde dall'attuale pericolosità sociale della persona, non previene alcunché mentre affligge, guardando al passato (ovvero all'origine dei beni), il soggetto che la subisce. Togliere a una persona tutto il patrimonio, finanche la casa familiare, significa privare il soggetto interessato e il suo nucleo familiare di ogni mezzo di sostentamento; significa travolgere il suo passato e distruggere il suo futuro.
La tesi della natura non penale delle misure di prevenzione – che muove dal concetto metafisico della pericolosità intrinseca del bene – costituisce una vera e propria ancora di salvataggio dell'intero sistema preventivo, altrimenti non conciliabile con i princìpi e le garanzie espresse dalla Costituzione. Infatti, nel nostro ordinamento giuridico, in forza del principio di legalità penale, le pene possono essere applicate solo nei confronti di chi ha commesso un reato accertato con sentenza definitiva, all'esito di un giusto procedimento svoltosi innanzi ad un giudice terzo ed imparziale.
La confisca di prevenzione, in particolare, al di là delle fraudolente etichettature, è una sanzione, motivo per il quale non potrebbe essere applicata in assenza di una condanna penale. La prevenzione, allora, costituisce una scorciatoia attraverso la quale si perseguono, con elusione dei princìpi garantistici propri della materia penale, intenti punitivi e afflittivi.
Non a caso, essa appartiene al più ampio genus delle confische «per sproporzione», per tali intendendosi, appunto, la confisca di prevenzione di cui al citato articolo 24 del codice antimafia e quella allargata ex articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356: quest'ultima inserita, altresì, nell'articolo 240-bis del codice penale con il decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21, recante disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale. I due istituti presentano evidenti profili di comunanza e si distinguono per il solo fatto di essere la prima – la confisca ex articolo 24 – misura praeter delictum che, in quanto tale, prescinde da qualsivoglia accertamento di reati a carico del proposto, a differenza della confisca «misura di sicurezza» che, invece, presuppone l'accertamento di taluno dei reati indicati dallo stesso legislatore. Solo la confisca di cui all'articolo 240-bis del codice penale soggiace ai princìpi costituzionali in materia penalistica, ponendo evidenti criticità circa la costituzionalità della limitrofa confisca di prevenzione.
La persona che subisce una misura, qualora sia un imprenditore, subisce non solo la violazione del diritto di proprietà o di iniziativa economica, dotate di guarentigie costituzionali più attenuate rispetto alla libertà personale, ma anche la violazione del diritto al lavoro, considerato, a mente dell'articolo 1 della Costituzione, il fondamento della Repubblica italiana. Nel momento stesso della applicazione del sequestro la persona, con i suoi familiari, viene allontanata dalla sua azienda. Difficile, inoltre, che il proposto possa trovare un qualunque tipo di occupazione a causa degli effetti dello stigma sociale conseguente l'applicazione di un provvedimento antimafia.
La presente proposta di legge parte dalle criticità registrate in sede di applicazione delle norme sottese alla confisca di prevenzione e si innesta nel solco del processo di giurisdizionalizzazione che le ha interessate, un processo virtuoso, ma non ancora sufficiente, recentemente avviato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e seguito da alcune pronunce in sede di giurisdizione domestica.
Essa consta di due articoli.
L'articolo 1, comma 1, reca numerose modifiche al libro I, titoli I e II, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di misure di prevenzione.
La lettera a), ridefinendo i destinatari delle misure di prevenzione, abroga la lettera a) del comma 1 dell'articolo 1 vigente che identifica i suddetti destinatari in «coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi», norma, peraltro, già colpita dalla declaratoria di incostituzionalità dalla Corte costituzionale, con la sentenza 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 24, dunque già inapplicabile.
La lettera b) modifica l'articolo 4, incidendo ancora sui soggetti destinatari delle misure di prevenzione che fungono da presupposto applicativo non solo delle misure personali, ma anche delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca.
In particolare, la disposizione sopprime il concetto di «appartenenza» ad associazioni mafiose che non coincide con quello di partecipazione delineato dall'articolo 416-bis del codice penale. Infatti, a differenza delle altre categorie contemplate dall'articolo 4 del codice antimafia, in cui si fa riferimento agli indiziati di specifici reati, nell'ipotesi della lettera a) il legislatore non ha fatto riferimento ad una fattispecie del codice penale, già tipizzata, ma ha creato una nuova categoria giuridica, quella, appunto, dell'appartenenza. Si prevede, inoltre, quale presupposto per l'applicazione della misura di prevenzione la sussistenza di indizi gravi precisi e concordanti.
La lettera c) estende i motivi di ricorso in Cassazione, attualmente limitati dall'articolo 10 alla sola violazione di legge e introduce il vizio motivazionale.
La lettera d) affronta una ulteriore criticità del codice antimafia, laddove è stata introdotta una misura di prevenzione nuova: la vigilanza prescrittiva di cui all'articolo 34-bis, ideata già nel 2013 nella relazione conclusiva della Commissione per elaborare una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata del Ministero della giustizia, presieduta dal professore Giovanni Fiandaca, cosiddetta «Commissione Fiandaca». Brevemente, nel caso di contatto episodico tra imprenditore e associazione criminale di stampo mafioso l'autorità giudiziaria interviene nominando un commissario che non si sostituisce all'imprenditore ma lo affianca e lo controlla per risolvere le criticità riscontrate. Nel caso della risoluzione delle problematiche, l'imprenditore può procedere da solo nella conduzione della sua attività; se così non è, si passa al sequestro e alla confisca.
Tale istituto si espone, in parte, a riserve critiche perché lascia sempre un ampissimo spazio di discrezionalità al magistrato per decidere se intervenire con il sequestro o con la vigilanza prescrittiva. È inoltre difficile stabilire ex ante se nel caso di specie si tratti di contatto continuo oppure occasionale. Il rischio è che la magistratura possa, con amplissimo margine di discrezionalità, intervenire con le misure più invasive.
Così la presente proposta di legge introduce il nuovo articolo 19-bis che fa scattare il controllo giudiziario, attualmente previsto dall'articolo 34-bis, in presenza dei presupposti disciplinati dall'attuale articolo 20 del codice antimafia che si riferiscono: all'iscrizione della persona in una delle categorie di pericolosità sociale tipizzate dall'articolo 4; all'incongruenza tra il valore dei beni in rapporto o ai redditi dichiarati ai fini delle imposte sul reddito o alla attività economica svolta; agli indizi «sufficienti» che fanno ritenere che i beni siano il frutto o il reimpiego di attività illecite. È conseguentemente disposta, alla lettera m), l'abrogazione del citato articolo 34-bis.
Si tratta di una proposta equilibrata, rispettosa dei diritti individuali delle persone e delle esigenze di prevenire la criminalità mafiosa. Peraltro, la presenza dell'imprenditore nella sua azienda permetterebbe di risolvere anche i problemi della tutela dei terzi creditori e della continuità aziendale con la importantissima conservazione dei posti di lavoro e della conservazione del patrimonio oggetto della misura.
La lettera e) modifica l'articolo 20 prevedendo che la violazione di una o più prescrizioni indicate all'articolo 19-bis consenta al giudice di disporre il sequestro dei beni sottoposti a controllo giudiziario. Analogo provvedimento è adottato, ove i beni oggetto del controllo giudiziario siano, sulla base di indizi precisi e concordanti, frutto di attività delittuose o ne costituiscano il reimpiego.
Sulla scorta della medesima ratio, la lettera f) modifica la confisca di prevenzione di cui all'articolo 24.
La lettera g) modifica l'articolo 26 in materia di intestazione fittizia di beni, precisando che la natura fittizia delle intestazioni, al di fuori dei casi di cui comma al 2, debba essere provata ai sensi dell'articolo 192 del codice di procedura penale. Invero, il disposto normativo di cui all'articolo 26 ritiene fittizie le intestazioni o gli acquisiti dei conviventi, coniugi e figli del proposto acquisite nei due anni antecedenti la proposta; si tratta di una presunzione legale. La prassi ha tuttavia esteso questa presunzione anche alle intestazioni o agli acquisti dei conviventi oltre i due anni antecedenti la proposta, legittimando lo statuto probatorio, ben più mite, che vale nei confronti del proposto, anche per i terzi estranei alla proposta, nei confronti dei quali più volte la Corte di cassazione ha ribadito la necessità che la prova sia piena.
La lettera h) introduce il mezzo di impugnazione del riesame contro i decreti che dispongono il sequestro ai sensi dell'articolo 20, la confisca ex articolo 24, ovvero la confisca allargata di cui all'articolo 26.
La lettera i) al numero 1) modifica l'articolo 28 in materia di revocazione della confisca introducendo tra i casi di revocazione, oltre le prove sopravvenute al giudicato anche quelle preesistenti, acquisite al procedimento di prevenzione, ma non valutate. È inoltre soppresso il riferimento all'esclusione in modo assoluto dei presupposti legittimanti la misura di prevenzione, atteso che il giudicato penale può escluderne anche uno, dirimente per l'applicazione della misura, ma non necessariamente tutti.
La lettera l), inoltre, introduce l'articolo 28-bis che attribuisce a tutti i destinatari di misure di prevenzione comunque riconosciute illegittime il diritto al risarcimento del danno.
La lettera n), infine, modifica il regime della responsabilità civile degli amministratori dei beni confiscati.
Attualmente circoscritta ai casi di dolo o colpa grave, limitatamente al periodo gestorio, la responsabilità degli amministratori viene plasmata sul modello della responsabilità aquiliana, sulla base della quale essi rispondono di tutti i danni ingiusti, quindi non connessi alla fisiologica dannosità per il proposto del provvedimento ablatorio, cagionati con colpa o dolo.
L'articolo 2 contiene disposizioni relative all'applicabilità delle disposizioni contenute nella legge.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159)

1. Al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, comma 1, la lettera a) è abrogata;

b) all'articolo 4:

1) al comma 1, la lettera a) è sostituita dalla seguente:

«a) agli indiziati del reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale»;

2) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Ai fini dell'applicazione del comma 1, gli indizi dei reati di cui al medesimo comma 1 devono essere gravi, precisi e concordanti»;

c) all'articolo 10, comma 3, le parole: «per violazione di legge» sono sostituite dalle seguenti: «per i motivi di cui all'articolo 606 del codice di procedura penale»;

d) dopo l'articolo 19 è inserito il seguente:

«Art. 19-bis. – (Controllo giudiziario) – 1. Il tribunale, anche d'ufficio, con decreto motivato, dispone il controllo giudiziario dei beni o delle aziende dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il valore dei citati beni o aziende risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, il tribunale medesimo ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività delittuose o ne costituiscano il reimpiego.
2. Il controllo giudiziario è adottato dal tribunale per un periodo non superiore a diciotto mesi. Con il provvedimento che lo dispone, il tribunale può:

a) imporre, nei confronti di chi ha la proprietà, l'uso o l'amministrazione dei beni e delle aziende di cui al comma 1, l'obbligo di comunicare al questore e al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, ovvero del luogo in cui si trovano i beni se si tratta di residenti all'estero, ovvero della sede legale se si tratta di un'impresa, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti e gli altri atti o contratti indicati dal tribunale, di valore non inferiore a euro 7.000 o del valore superiore stabilito dal tribunale in relazione al reddito della persona o al patrimonio e al volume d'affari dell'impresa. Tale obbligo deve essere assolto entro dieci giorni dal compimento dell'atto e comunque entro il 31 gennaio di ogni anno per gli atti posti in essere nell'anno precedente;

b) nominare un giudice delegato e un amministratore giudiziario, il quale riferisce periodicamente, almeno bimestralmente, gli esiti dell'attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero.

3. Con il provvedimento di cui alla lettera b) del comma 2, il tribunale stabilisce i compiti dell'amministratore giudiziario finalizzati alle attività di controllo e può imporre l'obbligo:

a) di non cambiare la sede, la denominazione e la ragione sociale, l'oggetto sociale e la composizione degli organi di amministrazione, di direzione e di vigilanza, nonché di non compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l'autorizzazione da parte del giudice delegato;

b) di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a) del comma 2 nei confronti dell'amministratore giudiziario;

c) di informare preventivamente l'amministratore giudiziario circa eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi;

d) di adottare ed attuare efficaci misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;

e) di assumere qualsiasi altra iniziativa finalizzata a prevenire specificamente il rischio di tentativi di infiltrazione o condizionamento mafiosi.

4. Per verificare il corretto adempimento degli obblighi di cui al comma 3, il tribunale può autorizzare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria ad accedere presso gli uffici dell'impresa nonché presso uffici pubblici, studi professionali, società, banche e intermediari mobiliari al fine di acquisire informazioni e copia della documentazione ritenute utili.
5. Il titolare dell'attività economica sottoposta al controllo giudiziario può proporre istanza di revoca. In tal caso il tribunale fissa l'udienza entro dieci giorni dal deposito dell'istanza e provvede nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale. All'udienza partecipano il giudice delegato, il pubblico ministero e, ove nominato, l'amministratore giudiziario.
6. Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo. Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali.
7. Il provvedimento che dispone il controllo giudiziario ai sensi del comma 6 del presente articolo sospende gli effetti di cui all'articolo 94.
8. Il tribunale, entro novanta giorni a decorrere dall'applicazione del controllo giudiziario, accerta che il soggetto nei cui confronti è stato disposto il controllo medesimo appartiene a una delle categorie di cui all'articolo 4 e, se ritiene che occorra svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, nomina il perito ai sensi degli articoli 220 e seguenti del codice di procedura penale. Gli accertamenti peritali si svolgono nel rispetto della normativa fiscale e tributaria.
9. Se il soggetto nei cui confronti è stato disposto il controllo giudiziario non appartiene a una delle categorie di cui all'articolo 4, il tribunale dispone la revoca del controllo medesimo senza disporre gli accertamenti peritali»;

e) all'articolo 20:

1) al comma 1, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Quando viene accertata la violazione di una o più prescrizioni di cui al comma 2 dell'articolo 19-bis, il tribunale dispone, senza indugio, il sequestro dei beni sottoposti a controllo giudiziario»;

2) dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Quando, sulla base di indizi precisi e concordanti, si ha motivo di ritenere che i beni oggetto del controllo giudiziario siano il frutto di attività delittuose o ne costituiscano il reimpiego, il tribunale ne dispone il sequestro. Si applica l'articolo 7»;

3) dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:

«5-bis. Si applicano i commi 8 e 9 dell'articolo 19-bis»;

f) l'articolo 24 è sostituito dal seguente:

«Art. 24. – (Confisca) –
1. Il tribunale dispone la confisca dei beni oggetto del controllo giudiziario o sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, anche per interposta persona fisica o giuridica, in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica e che risultino essere frutto di attività delittuose o ne costituiscano il reimpiego, sulla base di elementi certi, precisi e concordanti.
2. Il tribunale, quando dispone la confisca di partecipazioni sociali totalitarie, ordina la confisca anche dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile. Nel decreto di confisca avente ad oggetto partecipazioni sociali il tribunale indica in modo specifico i conti correnti e i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile ai quali si estende la confisca.
3. Il provvedimento che dispone il controllo giudiziario o il sequestro perde efficacia se il tribunale non deposita il decreto che pronuncia la confisca entro il termine perentorio non prorogabile di un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario. Ai fini del computo del termine di cui al primo periodo, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili. Il termine resta altresì sospeso per il tempo necessario per la decisione definitiva sull'istanza di ricusazione presentata dal difensore.
4. Con il provvedimento di revoca o di annullamento definitivi del decreto di confisca è ordinata la cancellazione di tutte le trascrizioni e le annotazioni.
5. Qualora la confisca del bene, limitatamente alle ipotesi in cui esso è destinato ai bisogni abitativi o ad altri bisogni primari del proposto e della sua famiglia, rappresenti per l'interessato una privazione eccessiva e idonea a determinare una situazione critica di sussistenza, il tribunale, sulla base delle circostanze del singolo caso, nell'ordinare la confisca fa salvo il diritto di usufrutto del titolare»;

g) all'articolo 26, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

«2-bis. Al di fuori dei casi di cui al comma 2, la natura fittizia delle intestazioni è provata ai sensi dell'articolo 192 del codice di procedura penale»;

h) nel libro I, titolo II, capo II, all'articolo 27 è premesso il seguente:

«Art. 26-bis. – (Riesame) – 1. Contro il decreto di sequestro emesso dal tribunale ai sensi dell'articolo 20 o il decreto di confisca di cui all'articolo 24 l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'articolo 324 del codice di procedura penale»;

i) all'articolo 28, comma 1:

1) alla lettera a), dopo la parola: «sopravvenute» sono inserite le seguenti: «, ovvero acquisite ma non valutate,»;

2) alla lettera b), le parole: «in modo assoluto» sono soppresse;

l) nel libro I, titolo II, capo III, dopo l'articolo 28 è inserito il seguente:

«Art. 28-bis. – (Risarcimento del danno) – 1. Nei casi di revocazione o annullamento definitivo a seguito di gravame dei provvedimenti di prevenzione di cui al presente titolo, al proposto è dovuto il risarcimento del danno subìto.
2. Si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 315 del codice di procedura penale»;

m) l'articolo 34-bis è abrogato;

n) all'articolo 35-bis, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. L'amministratore giudiziario, il coadiutore nominato ai sensi dell'articolo 35, comma 4, e l'amministratore nominato ai sensi dell'articolo 41, comma 6, sono civilmente responsabili per il danno ingiusto cagionato per dolo o colpa nell'attività di gestione compiuta nel periodo di efficacia del provvedimento di sequestro».

Art. 2.
(Disposizioni transitorie)

1. Le disposizioni di cui all'articolo 1 si applicano ai procedimenti di prevenzione per i quali la proposta sia stata formulata successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

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