PDL 142

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                Capo I
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                Capo II
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                Capo III
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                        Articolo 13
                        Articolo 14
                        Articolo 15
                        Articolo 16
                Capo IV
                        Articolo 17
                        Articolo 18
                        Articolo 19
                        Articolo 20
                Capo V
                        Articolo 21
                Capo VI
                        Articolo 22

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 142

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
FRATOIANNI, MARI

Disposizioni per favorire la riduzione dell'orario di lavoro

Presentata il 13 ottobre 2022

torna su

Onorevoli Colleghi! — Tutta la vicenda contemporanea del tempo di lavoro è legata a doppio filo alla storia delle innovazioni tecnologiche, che hanno comportato soprattutto modifiche dell'organizzazione del lavoro (dal mondo artigiano alla manifattura, dalla manifattura alla fabbrica Taylor-fordista, dal fordismo all'organizzazione flessibile e agli «algoritmi»).
Come ha osservato Domenico De Masi nel suo libro «Il lavoro nel XXI secolo» pubblicato nel 2018: «Siamo presi dal pessimismo perché il progresso tecnologico elimina più manodopera di quanta riusciamo a riassorbirne. Quelli di cui soffriamo sono disturbi di una crescita fatta di mutamenti troppo rapidi. In pochissimi anni le operazioni dei settori agricolo, minerario, manifatturiero sono state realizzabili con un quarto di quell'energia umana che eravamo abituati a impegnarvi. E quella curva non si è ancora conclusa, continuerà a crescere molto velocemente, riducendo la domanda di lavoro».
A ben guardare, l'uomo ha sempre cercato strumenti per ridurre i suoi sforzi: dalle mani, agli animali, agli schiavi, agli utensili, alla meccanica, all'elettronica, al digitale e all'intelligenza artificiale. Da sempre, lo scopo principale è lavorare meno. Tuttavia, spesso le innovazioni tecnologiche causano, da un lato, fasi di disoccupazione e, dall'altro, fasi caratterizzate da un incremento del lavoro derivante dall'obiettivo di chi possiede le nuove tecnologie di produrre di più. Ogni passo in avanti per la riduzione del lavoro è stato il frutto della mobilitazione dei lavoratori e si può dire che, dalla fine dell'ottocento agli anni '80 del novecento, si sia fatta strada una sorta di scambio tacito fra il movimento operaio e in generale di tutti i lavoratori, che chiedono una riduzione dell'orario e un aumento del salario, e le imprese, che vogliono la libertà di sperimentare e di applicare le innovazioni tecnologiche, promettendo che la modernizzazione porterà con sé maggiore benessere, più ricchezza e minore fatica per tutti.
Il 1° maggio 1886, a Chicago, i sindacati organizzarono uno sciopero per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore. Il 3 maggio, di fronte alla fabbrica McCormick, gli scioperanti furono attaccati senza preavviso dalla polizia, che lasciò a terra due morti e molti feriti. Al presidio del giorno dopo un ordigno uccise un agente e la polizia aprì il fuoco sulla folla, ferendo dozzine di persone e uccidendone undici. Sette persone collegate direttamente o indirettamente con la protesta furono accusate della morte dell'agente e condannate alla pena capitale. Dopo questi fatti, la data del 1° maggio diventò la ricorrenza più significativa del movimento operaio internazionale e fu inserita tra le festività celebrate in tutto il pianeta.
Adam Smith fu il primo grande economista a mettere in evidenza come l'aumento dell'efficienza e della produttività del lavoro siano alla base dell'aumento della «ricchezza delle nazioni». L'aumento della produttività permette di produrre la stessa quantità di prodotto con una minore quantità di mano d'opera. Tale evoluzione ha permesso di porre le basi materiali per la riduzione dell'orario di lavoro e per l'aumento dei salari reali.
Ciò è quanto successo, seppur con oscillazioni significative, fino agli anni '70 e in particolare nel breve periodo che va dal secondo dopoguerra alla crisi del petrolio del 1973. A partire da questo momento la relazione fra incremento del prodotto per occupato e aumenti salariali entra in crisi. Se ci concentriamo sull'aumento dei salari osserviamo che in Italia dal 1990 al 2017 il prodotto per lavoratore è aumentato del 18 per cento, mentre le retribuzioni reali medie sono aumentate meno del 3 per cento. Senza considerare che il dato aggiornato dal 1990 al 2020 evidenzia una diminuzione del 2,9 per cento delle retribuzioni reali e senza considerare altresì l'elevato tasso inflattivo già riscontrato nel 2021 e 2022, il quale proseguirà nel breve e medio periodo. Le somme derivanti da questa enorme differenza sono finite «nelle tasche» di chi non vive del proprio salario, cioè i capitalisti. In altre parole, i lavoratori percepiscono, sotto forma di salario, meno del valore di quanto producono.
In questo contesto assistiamo a una polarizzazione marcata dei tempi di lavoro. Da un lato, lavoratori a tempo pieno il cui orario di lavoro spesso si allunga al di là delle 40 ore settimanali. Dall'altro, abbiamo l'esercito crescente dei lavoratori part-time. La retorica dominante associa agli impieghi part-time la possibilità di disporre di una maggiore quantità di tempo libero. Tuttavia, questa interpretazione si scontra con la realtà di un tessuto lavorativo a bassi salari. Più del 60 per cento dei lavoratori part-time italiani preferirebbe un impiego a tempo pieno, ma non ha un'altra alternativa (la media europea è del 25 per cento).
A questo aspetto va aggiunto il dato sul totale delle ore lavorate in Italia, che è ben al di sopra di quello dei Paesi con il PIL pro capite più alto. Mentre in Germania si lavora, in media, 1.356 ore all'anno, in Italia questa cifra è di 1.723 ore. Una fotografia che mostra una situazione ben diversa da quella spesso descritta dalla retorica dominante, che descrive i lavoratori del sud Europa come «scansafatiche».
Ma vediamo più da vicino la storia dell'orario di lavoro nel nostro Paese.
In Italia, alla fine dell'ottocento nelle filande le operaie lavorano in media 16 ore al giorno. Ci vorrà una legge del 1899 per fissare un massimo di 12 ore e per l'interdizione dal lavoro notturno per le donne e per i ragazzi dai 13 ai 15 anni di età.
Nel 1906, alla fine di maggio, la rivendicazione delle 8 ore di lavoro diventa il punto centrale delle agitazioni contadine, in particolare delle «mondine», mentre alla FIAT il movimento operaio ottiene un accordo che fissa l'orario a 10 ore e a 2 ore di lavoro straordinario pagato.
Nel 1919 viene siglato dalla FIOM l'accordo sindacale per le 48 ore di lavoro settimanale, in cui è accolta la storica rivendicazione del movimento operaio della giornata lavorativa di 8 ore. Nel 1923, con un decreto, le 48 ore diventano «l'orario legale» per tutti.
Nello stesso periodo il movimento sindacale ottiene il medesimo risultato negli Stati Uniti d'America (USA). L'aumento del tempo libero a disposizione delle masse lavoratrici è una leva della crescita economica che caratterizza il decennio successivo, tanto che Henry Ford, nel 1926, introduce la settimana lavorativa di cinque giorni affinché gli operai abbiano un motivo in più per acquistare automobili. D'altra parte è già molto chiaro l'effetto degli orari di lavoro sulla produttività: in Inghilterra nel 1914, in nome dello sforzo bellico, viene aumentato l'orario di lavoro, salvo poi fare marcia indietro quando si vede che l'effetto è un calo della produzione. E noto è il caso degli stabilimenti Zeiss a Jena in Germania, dove alla fine dell'ottocento la riduzione dell'orario giornaliero da 9 a 8 ore (-11 per cento) fa aumentare la produttività del 16 per cento.
Negli anni trenta, con la disoccupazione di massa figlia della crisi del 1929, vi sono spinte anche da parte imprenditoriale per ridurre ulteriormente gli orari di lavoro, tanto che il Senato degli USA approva una legge per la settimana lavorativa di 30 ore (che non viene però ratificata), mentre in Italia l'allora senatore del Regno Giovanni Agnelli propone la settimana di 32 o di 36 ore.
I rinnovi contrattuali del biennio 1962-1963 segnano in Italia il culmine della ripresa delle lotte operaie negli anni del «miracolo economico» e siglano una riduzione dell'orario settimanale a 44 ore in quasi tutte le categorie.
Successivamente, con l'espansione degli anni sessanta e le lotte dei lavoratori, fra il 1967 e il 1970 vengono riconosciuti quasi in tutta Europa il sabato festivo, un aumento delle ferie retribuite e le 40 ore di lavoro settimanale. Il monte lavorativo annuo passa da 2.400 a 1.800 ore pro capite.
In seguito, la situazione comincia a cambiare: la tristemente nota «marcia dei quarantamila» quadri e impiegati della FIAT del 14 ottobre 1980 segna la frattura dell'unità fra i salariati del ceto medio e gli operai, in sciopero da trentacinque giorni contro la messa in cassa integrazione guadagni di 24.000 unità.
Per tutti gli anni ottanta e novanta gli orari contrattuali rimangono stabili (nel «pacchetto Treu» del 1997 l'orario è fissato a 40 ore settimanali), tuttavia si avvia un processo regressivo. Aumentano gli orari di fatto, i tempi di lavoro si intensificano e molte attività vengono esternalizzate, finché si avvia una riorganizzazione complessiva degli orari, con la famosa «flessibilità»: i turni si diversificano ed estendono, si diffondono il lavoro festivo e notturno e le imprese cominciano a gestire unilateralmente l'orario di lavoro individuale.
La storia dei diritti dei lavoratori in Italia diventa una parabola discendente. Dal culmine raggiunto con il cosiddetto «statuto dei lavoratori» (legge n. 300 del 1970) si è andati man mano perdendo diritti. L'Italia da decenni insegue il miraggio della flessibilità che ha portato a una quasi stagnazione dell'economia: la cosiddetta «legge Biagi» (legge n. 30 del 2003), gli interventi sull'IRAP, la discussione sull'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, solo per citare alcune misure, fino al culmine rappresentato dal jobs act, che precarizza il lavoro. E queste misure sono state prese da un Governo che si diceva di sinistra.
Ecco dunque che arriviamo alla situazione attuale: in Italia (come e più che altrove) corrono in parallelo la parabola della riduzione dei salari, invocata per aumentare la competitività, e quella dell'aumento degli orari. Inoltre, con l'innalzamento dell'età pensionabile aumentano le ore lavorate nell'arco della vita. Aumenta anche l'intensità delle prestazioni richieste nella stessa unità di tempo. L'innovazione tecnologica nei processi produttivi riduce il tempo di lavoro necessario per unità di prodotto, ma non determina il calo dell'orario individuale: ne conseguono solo esuberi di personale, quindi un aumento della disoccupazione.
Per dare un lavoro ai disoccupati basterebbe ridurre di poco l'orario di lavoro degli occupati. Noi lavoriamo in media 400 ore in più dei tedeschi e loro producono molto di più di noi. Dipende dalla tipologia dei nostri datori di lavoro e dalla poca innovazione, anche culturale, e dai mezzi di produzione. Ridurre l'orario di lavoro almeno del 10 per cento potrebbe eliminare in parte le ingiustizie.
In anni recenti si è addirittura giunti a incentivare gli straordinari (il decreto-legge n. 93 del 2008 li ha tassati ad aliquota fissa del 10 per cento) o a firmare accordi che prevedevano aumenti dell'orario, alimentando in piena crisi occupazionale un'ulteriore concentrazione del lavoro nelle mani di pochi. Nel nostro Paese c'è chi lavora troppo e chi lavora troppo poco. In un contesto di estrema frammentazione del potere di intervento dei lavoratori sulle condizioni di lavoro, si acuiscono fenomeni di sfruttamento intensivo, con il ricorso agli straordinari e la diffusione del cottimo in comparti produttivi in espansione, come l'esempio della logistica e della grande distribuzione dimostrano.
Inoltre, l'iniqua distribuzione del lavoro assume caratteristiche generazionali: la quota dei NEET (not in education, employment or training) nella fascia di età 15-34 anni in Italia è la più alta d'Europa, superiore anche a quella della Grecia, circa quattro volte superiore a quella della Svezia, mentre i lavoratori anziani sono l'unica categoria in costante crescita occupazionale.
Oggi in Italia continuiamo a lavorare mediamente 40 ore alla settimana e abbiamo 6 milioni di disoccupati, fra cui 2 milioni di giovani. Lavoriamo 1.800 ore l'anno pro capite, mentre in Germania sono circa 1.371. Se lavorassimo 36 ore alla settimana 3 milioni di disoccupati potrebbero avere un posto di lavoro.
Inoltre, il contenimento del costo del lavoro ha avuto l'effetto di ridurre gli investimenti e di accentuare il ricorso al lavoro precario e poco qualificato, anziché rilanciare l'economia nazionale. Risultato: aumento del lavoro «povero», abbassamento dei salari, segmentazione del mercato del lavoro, fenomeni di sfruttamento intensivo e alto tasso di disoccupazione. Con il jobs act la decontribuzione a pioggia alle imprese ha vaporizzato i soldi pubblici senza cambiare il modello di lavoro.
Si richiedono, dunque, interventi legislativi volti a disincentivare il ricorso agli straordinari, inasprendo il carico fiscale per le imprese e allo stesso tempo favorendo la contrattazione di un orario di lavoro che risponda al bisogno di flessibilità dei lavoratori e delle lavoratrici, anziché a quello delle imprese. Un discorso analogo va fatto rispetto al ruolo esercitato dai grandi oligopoli dell'economia delle piattaforme. Da Amazon ad Airbnb a Uber, l'uso dell'innovazione tecnologica nel campo dell'economia digitale non è una materia che può restare lontana dal dibattito politico.
Una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario favorirebbe, invece, un aumento dell'occupazione in alcuni comparti produttivi, con un impatto positivo sui salari più ampio.
Ecco quindi che tornare a ridurre gli orari e redistribuire il lavoro sarebbero buone idee, per molte ragioni:

a) perché esiste una correlazione tra diminuzione dell'orario di lavoro e aumento della qualità del lavoro e della produttività, in particolar modo quando la diminuzione di orario è giornaliera e consente di lavorare meno ore ogni giorno, eliminando le ore in cui si è maggiormente stanchi e quindi meno produttivi;

b) perché c'è un rapporto chiaro fra orari ridotti e tassi di occupazione più elevati. Gli occupati italiani lavorano più di quelli tedeschi, eppure un tasso di occupazione come quello tedesco comporterebbe in Italia 6 milioni di lavoratori in più. A quanto risulta da vari studi, il lavoro reso disponibile dalla riduzione degli orari si tradurrebbe per almeno il 50 per cento in nuova occupazione;

c) perché la riduzione dell'orario di lavoro e l'aumento dell'occupazione sono entrambi fattori che comporterebbero una riduzione dello stress lavoro-correlato, a oggi la causa del 50-60 per cento delle giornate lavorative perse per malattia secondo l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro;

d) perché avrebbe un impatto positivo sull'esistenza individuale e sociale delle persone, liberando tempo ed energie per la vita privata, la partecipazione sociale e le relazioni;

e) perché potrebbe implicare una maggiore partecipazione dei lavoratori alle decisioni dell'impresa, affidando alla contrattazione collettiva uno spazio di iniziativa nell'organizzazione del lavoro a partire dal controllo sui tempi;

f) perché, soprattutto con l'impostazione prevista dalla presente proposta di legge, la riduzione degli orari a parità di salario e l'aumento dei posti di lavoro potrebbero portare a una concorrenza fra imprese maggiormente fondata sulla piena e buona occupazione, anziché sul contenimento dei costi produttivi;

g) perché la previsione di norme per la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro porrebbe vincoli alla domanda di lavoro delle imprese e limiterebbe la piena disponibilità sulla gestione del tempo di lavoro o il ricorso a processi di outsourcing;

h) perché l'aumento del tempo libero per lavoratrici e lavoratori porterebbe, come dimostrano i dati empirici, a un aumento di consumi legato ai settori della cultura e dell'intrattenimento, generando crescita e lavoro;

i) perché un aumento del numero delle persone occupate determinerebbe un aumento della domanda di beni e di servizi, con conseguente crescita dell'economia e creazione di ulteriori posti di lavoro;

l) perché la crescita di produttività potrebbe riequilibrare il rapporto fra profitti e salari, ossia fra capitale e lavoro. Questo significa, ovviamente, che la riduzione dell'orario deve avvenire a parità di salario o almeno con riduzioni meno che proporzionali;

m) perché giornate di lavoro più brevi per uomini e donne e la diffusione di una diversa concezione del lavoro potrebbero produrre un riequilibrio di genere, tramite una maggiore assunzione di responsabilità lavorative da parte delle donne e, viceversa, familiari da parte degli uomini.

Alcuni sostengono che la riduzione dell'orario avrebbe un impatto negativo sul costo del lavoro: se le imprese assumono più lavoratori aumentano i costi a parità di prodotto e ciò renderebbe meno competitive le imprese e la stessa economia nazionale. In merito, però, non esistono stime e prove empiriche, mentre esiste una controprova: statistiche ufficiali dimostrano che nel nostro Paese vi è stata la riduzione più significativa del costo del lavoro tra i Paesi dell'eurozona, senza alcun beneficio sulla competitività delle imprese, in assenza di politiche della domanda che favorissero la crescita dei consumi e degli investimenti.
Certo, ridurre la prestazione a parità di salario aumenta i costi variabili (salari e contributi) e quelli fissi (di assunzione, addestramento, licenziamento, per immobili e strumenti). Ma i primi possono essere mitigati con aumenti di produttività, incentivi pubblici, rinuncia ad aumenti salariali, nuove misure organizzative; i secondi hanno un'incidenza bassa sul totale. In sostanza, l'aumento del costo del lavoro sarebbe compensato e superato da un aumento della sua produttività.
D'altra parte diminuirebbero i costi per trattenere i dipendenti, e abbassare il turnover migliorerebbe il clima lavorativo riducendo probabilmente i licenziamenti; si contrarrebbero i costi indiretti dell'assenteismo, migliorando la salute individuale, e del presenzialismo, limitando i costi improduttivi legati all'allungamento dell'orario.
Ecco perché presentiamo una proposta di legge che porti a una riduzione dell'orario settimanale di lavoro a 34 ore effettive a parità di retribuzione a decorrere dal 1° gennaio 2023, con l'istituzione di un Fondo di incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro destinato ai datori che adottino una diminuzione di almeno il 10 per cento dell'orario settimanale, con la previsione di un corrispettivo di aumento dell'occupazione o di una sua salvaguardia nelle situazioni di crisi.
Per noi, comunque, come sottolinea Simone Fana nel suo libro «Tempo rubato» pubblicato nel 2018: «la riduzione dell'orario di lavoro non è una conseguenza naturale del progresso tecnologico (...). Non è mai stato così, non lo sarà in futuro. La riduzione dell'orario di lavoro è una rivendicazione politica, una battaglia di parte, da conquistare organizzando una parte contro l'altra».
Entrando nel dettaglio della presente proposta di legge, l'articolo 1 enuncia le finalità della legge e sottolinea come la stessa intenda favorire, con agevolazioni fiscali e contributive, una modulazione e una riduzione dell'orario di lavoro, in modo da fissare, a decorrere dal 1° gennaio 2023, l'orario settimanale di lavoro dei lavoratori subordinati in 34 ore effettive a parità di retribuzione.
L'articolo 2 definisce l'ambito di applicazione della legge che si applica a tutti i settori di attività pubblici e privati con alcune eccezioni.
Allo scopo di incentivare la riduzione dell'orario di lavoro viene istituito (articolo 3) presso l'INPS il Fondo di incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro, con lo scopo di erogare, nel triennio 2023-2025, contributi a favore dei datori di lavoro, pubblici e privati, che riducono di almeno il 10 per cento l'orario settimanale di lavoro vigente, ovvero che adottano orari ridotti con la previsione di un corrispettivo di aumento dell'occupazione o di una sua salvaguardia nelle situazioni di crisi.
Il Fondo viene alimentato dalle somme pari al 15 per cento delle maggiorazioni retributive relative alle ore di lavoro straordinario effettuate, dalle sanzioni comminate ai datori di lavoro che non rispettino le normative relative agli straordinari, ai limiti massimi degli orari di lavoro e al lavoro notturno e dai proventi dell'imposta patrimoniale di cui all'articolo 4, la cui base imponibile è costituita dalla ricchezza netta di un contribuente superiore a 3 milioni di euro, risultante dalla somma delle attività finanziarie e delle attività non finanziarie al netto delle passività finanziarie e compreso il patrimonio non strumentale delle società. L'aliquota è pari allo 0,8 per cento. Il Fondo eroga, nel triennio 2023-2025, contributi di incentivazione (articolo 5) alla riduzione dell'orario di lavoro ai datori di lavoro che, d'intesa con le organizzazioni sindacali, adottano regimi di orario di lavoro ridotto rispetto a quello applicato prima della data di entrata in vigore della legge. Il contributo è commisurato all'entità della riduzione di orario e all'incremento di occupazione che essa consente ovvero alla salvaguardia dei posti di lavoro nelle situazioni di crisi. Sono altresì previste riduzioni delle aliquote contributive con oneri a carico del Fondo (articolo 6) in funzione dell'entità della riduzione dell'orario di lavoro determinata attraverso la contrattazione collettiva.
Sono poi previste, al capo III, disposizioni per la modulazione e organizzazione dell'orario di lavoro concernenti l'orario settimanale di lavoro (articolo 7), che dal 1° gennaio 2023 diventa di 34 ore, le pause di lavoro e il riposo settimanale (articolo 8), le ferie annuali (articolo 9), le attività usuranti (articolo 10), il lavoro straordinario (articolo 11), il lavoro notturno (articoli 12-14), la salute e la sicurezza dei lavoratori notturni (articolo 15).
Al capo IV sono previsti strumenti di flessibilità degli orari di lavoro, stabilendo criteri per la modulazione degli orari mensili, semestrali e annuali (articolo 17), la gestione negoziale della flessibilità dell'orario (articolo 18), la programmazione degli orari e la formazione (articolo 19), le modalità per la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo ridotto (articolo 20). Si prevedono sanzioni (articolo 21) per le violazioni dei limiti massimi di orario e delle norme sul lavoro notturno e gli straordinari. Si specifica (articolo 22) che per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e delle imprese esercenti servizi pubblici nonché per il personale navigante si applicano le disposizioni della legge, salvo che la materia sia diversamente disciplinata da apposite norme di legge o di regolamento o di contratto collettivo nazionale.
Per quanto non previsto nella legge si fa riferimento, in quanto compatibili, alle disposizioni del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66.
Si dispone, infine, che, qualora i contratti collettivi di un settore prevedano limiti di orario superiori rispetto a quelli previsti dalla legge, la predetta disciplina collettiva deve essere adeguata alle disposizioni della legge alla prima scadenza contrattuale e, comunque, non oltre dodici mesi dalla data della sua entrata in vigore.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1.
(Finalità)

1. Le disposizioni della presente legge sono dirette a regolamentare, in modo uniforme nel territorio nazionale e nel pieno rispetto del ruolo dell'autonomia negoziale collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi all'organizzazione dell'orario di lavoro.
2. Al fine di riorganizzare e di ridurre gli orari di lavoro in modo da conciliarli con gli altri tempi di vita, di promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e di rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, nonché di favorire lo sviluppo dell'occupazione e l'incremento della competitività delle imprese, la presente legge favorisce una modulazione e una riduzione degli orari di lavoro, in modo da giungere, a decorrere dal 1° gennaio 2023, a stabilire la durata settimanale legale dell'orario normale dei contratti di lavoro subordinati dei lavoratori pubblici e privati, nonché dei collaboratori di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in trentaquattro ore effettive a parità di retribuzione, fatti salvi gli aumenti salariali previsti dai contratti collettivi e individuali di lavoro.
3. Decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo procede a una verifica, con le parti sociali, degli effetti delle disposizioni della medesima legge sui livelli occupazionali e riferisce in merito alle Camere anche al fine di rideterminare l'impegno finanziario di cui al capo II.

Art. 2.
(Ambito di applicazione)

1. Le disposizioni della presente legge si applicano a tutti i settori di attività pubblici e privati, fatta eccezione per la gente di mare di cui alla direttiva 1999/63/CE del Consiglio, del 21 giugno 1999, per il personale di volo nell'aviazione civile di cui alla direttiva 2000/79/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, e per i lavoratori mobili per quanto attiene ai profili di cui alla direttiva 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002.
2. Nei riguardi dei servizi di protezione civile, compresi quelli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato, le disposizioni della presente legge non si applicano in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio svolto o di ragioni connesse ai servizi di protezione civile, nonché degli altri servizi svolti dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, individuate con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Le disposizioni della presente legge non si applicano al personale della scuola disciplinato dal testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Non si applicano, altresì, al personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, nonché agli addetti al servizio di polizia municipale e provinciale, in relazione alle attività operative specificamente istituzionali, e agli addetti ai servizi di vigilanza privata.
4. Le disposizioni della presente legge si applicano anche agli apprendisti maggiorenni.

Capo II
INCENTIVI ALLA RIORGANIZZAZIONE E ALLA RIDUZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO

Art. 3.
(Fondo di incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro)

1. È istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) il Fondo di incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro, di seguito denominato «Fondo», con lo scopo di erogare contributi a favore dei datori di lavoro, pubblici e privati, che nell'organizzazione degli orari di lavoro adottano il regime orario di cui all'articolo 1, comma 2, qualora l'adozione di tale regime orario comporti una riduzione di almeno il 10 per cento dell'orario settimanale di lavoro vigente previsto da disposizioni di legge o contrattuali, ovvero che adottano orari ridotti con la previsione di un corrispettivo di aumento dell'occupazione o di una sua salvaguardia nelle situazioni di crisi.
2. Il Fondo, per le cui entrate ed uscite è tenuta una contabilità separata nella gestione dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, è alimentato:

a) dal versamento da parte dell'impresa di una somma pari al 15 per cento delle maggiorazioni retributive relative alle ore di lavoro straordinario effettuate;

b) da tutte le somme corrisposte dal datore di lavoro ai sensi dell'articolo 21;

c) dalle maggiori entrate derivanti dalle disposizioni dell'articolo 4.

3. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, a trasferire al Fondo la quota delle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, appositamente destinate a incentivare la riduzione e la rimodulazione degli orari di lavoro, ai sensi di quanto stabilito dall'articolo 13, comma 6, della legge 24 giugno 1997, n. 196.
4. Per i due anni successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, una quota annuale pari al 5 per cento delle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, è trasferita, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, al Fondo.
5. Le somme del Fondo non impegnate nell'esercizio finanziario di competenza possono esserlo in quello successivo.

Art. 4.
(Disposizioni per un ulteriore finanziamento del Fondo di incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro tramite l'istituzione di un'imposta patrimoniale)

1. Le maggiori entrate derivanti dalle disposizioni del presente articolo, accertate annualmente dal Ministro dell'economia e delle finanze con proprio decreto, sono riversate al Fondo.
2. A decorrere dal 1° gennaio 2023 è istituita un'imposta patrimoniale determinata e percepita dallo Stato a carico di chi possiede grandi patrimoni mobiliari e immobiliari ai sensi dei commi da 3 a 5.
3. La base imponibile dell'imposta patrimoniale di cui al presente articolo è costituita dalla ricchezza netta di un contribuente superiore a 3 milioni di euro, costituita dalla somma delle attività finanziarie e delle attività non finanziarie al netto delle passività finanziarie e comprensiva del patrimonio non strumentale delle società.
4. Per patrimoni mobiliari si intendono:

a) le automobili, le imbarcazioni e gli aeromobili di valore;

b) i titoli mobiliari, esclusi i titoli emessi dallo Stato italiano.

5. L'imposta patrimoniale è dovuta dai soggetti proprietari o titolari di altro diritto reale, persone fisiche o persone giuridiche, ed è determinata applicando l'aliquota dello 0,8 per cento ai patrimoni superiori a 3 milioni di euro.
6. Dall'applicazione dell'imposta patrimoniale sono esclusi i fondi immobiliari e le società di costruzioni.
7. Dall'ammontare dell'imposta patrimoniale sono detratte le somme versate come imposte a carattere patrimoniale derivanti da disposizioni vigenti.
8. L'imposta patrimoniale è versata in un'unica soluzione entro il 30 novembre di ciascun anno. La somma da versare può essere rateizzata in rate trimestrali, previa autorizzazione dell'Agenzia delle entrate.
9. A decorrere dal 1° gennaio 2023, qualora in seguito alla verifica di cui all'articolo 1, comma 3, l'impegno finanziario di cui al presente capo non sia rinnovato o sia confermato solo parzialmente, le maggiori entrate derivanti dalle disposizioni del presente articolo non utilizzate per tale impegno sono destinate al Fondo di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2020, n. 178.
10. Il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, adotta il regolamento per l'attuazione delle disposizioni del presente articolo.

Art. 5.
(Modalità di erogazione dei contributi di incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro nel triennio 2023-2025)

1. Il Fondo eroga contributi di incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro ai datori di lavoro che, d'intesa con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, adottano, nel triennio 2023-2025, regimi di orario di lavoro ridotto rispetto a quello applicato prima della data di entrata in vigore della presente legge ai sensi di quanto previsto dall'articolo 3, comma 1.
2. Il contributo di cui al comma 1 è commisurato all'entità della riduzione di orario e all'incremento di occupazione che essa consente ovvero alla salvaguardia dei posti di lavoro nelle situazioni di crisi; per ogni impresa, considerati il numero dei dipendenti effettivo dopo la riduzione di orario e la retribuzione oraria effettiva, si calcola il monte retributivo che si sarebbe rilevato per quella occupazione e per quella retribuzione sulla base del precedente orario contrattuale e si calcola la differenza rispetto al monte retributivo rilevato con il nuovo orario contrattuale. Il contributo è erogato in misura decrescente per ciascun anno del triennio 2023-2025 nella misura pari, rispettivamente, al 50 per cento, al 45 per cento e al 40 per cento della differenza calcolata ai sensi del presente comma.
3. La riduzione di orario operata in attuazione della presente legge deve avvenire in modo da non comportare una riduzione dei livelli retributivi mensili goduti dai lavoratori interessati.
4. Al fine di cui al comma 3, le agevolazioni previste dal presente articolo possono essere cumulate con l'assegno di solidarietà di cui all'articolo 31 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148.
5. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta il regolamento per l'attuazione del presente articolo e dell'articolo 6.

Art. 6.
(Rimodulazione delle aliquote contributive per fasce di orario)

1. Al fine di favorire, anche attraverso processi concordati, una generale riduzione dell'orario di lavoro e il conseguente aumento dell'occupazione, è stabilita una riduzione delle aliquote contributive, con oneri a carico del Fondo e nei limiti della dotazione del Fondo stesso, in funzione dell'entità della riduzione dell'orario di lavoro determinata attraverso la contrattazione collettiva anche aziendale.
2. Al fine di cui al comma 1, ferma restando la quota contributiva a carico del lavoratore, il contributo posto a carico del datore di lavoro è soggetto a uno sgravio parziale, con oneri a carico del Fondo, nelle seguenti forme:

a) nella fascia a orario ridotto con orario settimanale da diciotto a ventiquattro ore, ovvero con corrispondente orario mensile o annuale, mediante una riduzione contributiva del 15 per cento, elevata al 20 per cento per le imprese con meno di quindici dipendenti;

b) nella fascia a orario ridotto con orario settimanale superiore a ventiquattro ore e fino a trenta ore, ovvero con corrispondente orario mensile o annuale, mediante una riduzione contributiva del 12 per cento, elevata al 17 per cento per le imprese con meno di quindici dipendenti;

c) nella fascia a orario ridotto con orario settimanale superiore a trenta ore e fino a trentadue ore, ovvero con corrispondente orario mensile o annuale, mediante una riduzione contributiva del 10 per cento, elevata al 15 per cento per le imprese con meno di quindici dipendenti.

3. Un'ulteriore riduzione degli oneri contributivi a carico dei datori di lavoro, nella misura del 5 per cento, con oneri a carico del Fondo, è dovuta a favore delle imprese operanti nei territori delle regioni Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna.
4. Al fine di massimizzare gli effetti occupazionali del sistema di incentivi di cui al presente articolo, essi sono formulati in termini capitari e assegnati in riferimento ai dipendenti coinvolti dalla riduzione di orario di lavoro e si applicano solo alle aziende che hanno stipulato accordi sindacali di riduzione dell'orario di lavoro e aumentato l'occupazione aziendale in misura corrispondente ad almeno il 50 per cento della riduzione percentuale dell'orario di lavoro, ovvero che hanno provveduto a preservare posti di lavoro in caso di situazioni di crisi aziendale.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano fino al 31 dicembre 2025. Successivamente al 30 giugno 2025, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le parti sociali, provvede, con proprio decreto, a una rimodulazione, a decorrere dal 1° gennaio 2026, delle aliquote contributive in funzione della durata dell'orario di lavoro.

Capo III
MODULAZIONE E ORGANIZZAZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO

Art. 7.
(Orario settimanale di lavoro)

1. A decorrere dal 1° gennaio 2023, l'orario settimanale di lavoro dei dipendenti da datori di lavoro privati e pubblici e dei prestatori d'opera coordinata e continuativa è stabilita in trentaquattro ore effettive. I contratti collettivi devono prevedere una riduzione dell'orario legale di lavoro fino a un orario medio settimanale di trentaquattro ore, fermi restando i vigenti limiti legali e contrattuali inferiori.
2. La riduzione di orario operata in attuazione della presente legge deve avvenire in modo da non comportare una riduzione dei livelli retributivi mensili goduti dai lavoratori interessati.
3. Si considera tempo di lavoro effettivo, anche per mansioni di controllo di processi organizzativi o produttivi, quello compreso tra l'inizio e il termine della giornata lavorativa, compresi in ogni caso i periodi di vigile attesa determinati dalla natura della prestazione, nonché le ore retribuite di assemblea, i permessi sindacali e per allattamento e altri congedi parentali.
4. Nell'arco dell'anno la distribuzione dell'orario di lavoro settimanale e giornaliero è stabilita in sede contrattuale ed è comunicata al lavoratore all'atto dell'assunzione. Variazioni successive nella distribuzione dell'orario sono consentite previo confronto con le rappresentanze sindacali, anche aziendali, con il consenso del lavoratore interessato.
5. In nessun caso l'orario settimanale di lavoro comprensivo delle ore di lavoro straordinario può superare il limite massimo di quaranta ore e l'orario giornaliero quello di otto ore, fatti salvi i casi previsti dagli articoli 10 e 11 del regolamento di cui al regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955. Il primo periodo si applica anche ai lavoratori impegnati al servizio continuativo di un'azienda con modalità diverse dal lavoro dipendente, che, allorché sia possibile, devono poter scegliere le fasce d'orario funzionali alla loro attività, e comunque nell'ambito di quanto stabilito nei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni dai datori di lavoro e dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.
6. Per i lavoratori addetti a mansioni che richiedono forme di reperibilità, questa non può essere stabilita in misura superiore a otto ore giornaliere, fatte salve le disposizioni contrarie delle leggi speciali e le migliori condizioni previste dai contratti collettivi. La disposizione del primo periodo non si applica agli addetti alle attività di assistenza medica o paramedica.
7. I lavoratori hanno diritto, per motivate esigenze, a regimi di flessibilità rispetto all'inizio e al termine della prestazione giornaliera, compatibilmente con le esigenze aziendali.

Art. 8.
(Pause di lavoro e riposo giornaliero)

1. Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda le sei ore, il lavoratore ha diritto a una pausa, le cui modalità, durata e condizioni di concessione sono stabilite dai contratti collettivi, anche aziendali.
2. Ove non siano prescritte pause di lavoro, il lavoratore ha comunque diritto, per ogni periodo giornaliero di lavoro eccedente le sei ore, a una sosta di durata non inferiore a quindici minuti per ogni ora aggiuntiva.
3. Il lavoratore e il collaboratore hanno diritto ad almeno dodici ore consecutive di riposo nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, salvo deroghe previste dalla contrattazione collettiva, anche aziendale, per prestazioni di pronto intervento o di attesa nei servizi pubblici.

Art. 9.
(Ferie annuali)

1. Fatto salvo quanto prescritto all'articolo 2109 del codice civile, i prestatori di lavoro, compresi i lavoratori impegnati con modalità diverse dal lavoro dipendente e collegati funzionalmente all'organizzazione aziendale, hanno diritto a un periodo annuale di ferie, retribuito nella misura e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi nazionali di lavoro, compatibile con la modalità lavorativa utilizzata e, comunque, non inferiore a quattro settimane lavorative.
2. Fatto salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o da leggi speciali, il periodo di ferie deve essere goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei diciotto mesi successivi al termine dell'anno di maturazione.
3. Il periodo annuale di ferie retribuite non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, fatto salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

Art. 10.
(Attività usuranti)

1. Per le attività usuranti, individuate dalla tabella A allegata al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, è demandata alla contrattazione collettiva la definizione di un'ulteriore riduzione, pari ad almeno altre cinque ore settimanali, dell'orario normale di lavoro di cui all'articolo 1, comma 2, della presente legge.
2. Ulteriori attività particolarmente pericolose, insalubri e usuranti possono essere individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, in aggiunta a quelle individuate dalla tabella A allegata al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374, in relazione a un'ulteriore riduzione dell'orario di lavoro in sede di contrattazione collettiva.

Art. 11.
(Lavoro straordinario)

1. Si considera lavoro straordinario la prestazione lavorativa aggiuntiva rispetto all'orario giornaliero e settimanale definiti dai contratti collettivi nazionali o, in mancanza, dell'orario di cui all'articolo 7, comma 1, e con carattere non continuativo o ricorrente. Il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto.
2. Non può essere richiesto al lavoratore lavoro straordinario eccedente il limite di due ore giornaliere e di sei ore settimanali, fatti salvi comunque i limiti annuali stabiliti dai contratti collettivi nazionali.
3. Fermi restando i limiti di cui all'articolo 7, l'eventuale prestazione di lavoro straordinario è stabilita in sede contrattuale.
4. Il lavoro straordinario non può essere normalmente richiesto nelle imprese o unità produttive:

a) che sono interessate da riduzione o sospensione dal lavoro di personale, o che lo sono state nei sei mesi precedenti, ovvero che usufruiscono di altre forme di riduzione di orario, quali quelle definite da contratti di solidarietà;

b) nelle quali vi sono dipendenti che fruiscono di trattamento di integrazione salariale, fatto salvo l'accertamento da parte della direzione provinciale del lavoro dell'impossibilità tecnico-organizzativa di riutilizzo dei lavoratori posti in cassa integrazione guadagni o di riassunzione dei lavoratori licenziati.

5. Fatta salva diversa disposizione dei contratti collettivi, il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario è inoltre ammesso in relazione a:

a) casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l'assunzione di altri lavoratori;

b) casi di forza maggiore o casi in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario può dare luogo a un pericolo grave e immediato ovvero a un danno alle persone o alla produzione;

c) eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate all'attività produttiva, nonché allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse, preventivamente comunicati agli uffici competenti ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e in tempo utile alle rappresentanze sindacali aziendali.

6. Il ricorso al lavoro straordinario può essere attivato secondo le maggiorazioni e le procedure previste dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali. In difetto di una disciplina collettiva applicabile, il ricorso al lavoro straordinario è ammesso solo previo accordo tra datore e prestatore di lavoro per un periodo non superiore a duecentocinquanta ore settimanali.
7. In caso di eventi eccezionali e imprevedibili ovvero che comportano rischi di danno grave alle persone o agli impianti, l'effettuazione di lavoro straordinario può essere disposta unilateralmente dal datore di lavoro, per un periodo non superiore a tre giornate lavorative. In tale caso possono essere consensualmente superati i limiti di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 5 dell'articolo 7.
8. Alla contrattazione collettiva nazionale è demandata la funzione di stabilire i criteri per la maggiorazione retributiva, in misura comunque non inferiore al 40 per cento rispetto alla retribuzione di fatto del lavoro ordinario e non inferiore al 50 per cento nel caso di lavoro festivo o notturno, fatte salve le migliori condizioni previste dai contratti collettivi, anche aziendali, nonché la contestuale riduzione compensativa dell'orario e il versamento di una quota pari al 15 per cento al Fondo, ai sensi di quanto previsto dalla lettera a) del comma 2 dell'articolo 3.
9. La retribuzione corrispondente al lavoro straordinario costituisce base imponibile per il calcolo dei contributi sociali obbligatori dovuti all'INPS.
10. Alla retribuzione per lavoro straordinario non si applicano le agevolazioni contributive per sgravi fiscali e fiscalizzazioni.
11. I contratti collettivi possono in ogni caso prevedere che, in aggiunta alle maggiorazioni retributive per il lavoro straordinario, i lavoratori usufruiscano di riposi compensativi.

Art. 12.
(Durata del lavoro notturno)

1. Fermo restando il limite assoluto di cui all'articolo 7, comma 3, l'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, fatta salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite.
2. L'orario notturno determina una riduzione della durata del tempo di lavoro settimanale e mensile e una maggiorazione retributiva i cui criteri e modalità sono definiti dai contratti collettivi, anche aziendali.
3. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, individuati dalla vigente disciplina speciale, il cui limite è di otto ore nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore.
4. Il periodo minimo di riposo settimanale non è considerato per il computo della media quando coincida con il periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi di cui al comma 1.
5. Con riferimento al settore della panificazione non industriale, la media di cui al comma 1 è riferita alla settimana lavorativa.
6. Nelle unità produttive e amministrative che prevedono il ricorso al lavoro notturno in via stabile e continuativa o per un periodo superiore a trenta giorni, fatte salve le esenzioni per gli impianti a ciclo continuo e per i servizi pubblici essenziali, individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, l'introduzione di turni di lavoro notturno deve essere preceduta dalla consultazione dei rappresentanti dei lavoratori interessati.
7. Fatti salvi i casi che possono comportare rischi di grave danno alle persone e agli impianti, è fatto divieto di prevedere prestazioni di turni immediatamente successivi in capo allo stesso lavoratore notturno. L'eventuale introduzione di turni di lavoro notturno è negoziata in sede contrattuale.

Art. 13.
(Limitazioni al lavoro notturno)

1. L'inidoneità al lavoro notturno può essere accertata attraverso le competenti strutture sanitarie pubbliche ai sensi dell'articolo 15.
2. I contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno:

a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;

b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore con almeno un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;

c) la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o, in alternativa e alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa; la lavoratrice o il lavoratore che hanno ottenuto il minore in affidamento preadottivo, sempreché in ogni caso il bambino non abbia superato al momento dell'adozione o dell'affidamento i sei anni di età, durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria;

d) la lavoratrice o il lavoratore che hanno nel proprio nucleo familiare un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104;

e) gli aderenti a confessioni religiose per le quali sussiste il divieto di lavoro notturno e gli altri soggetti individuati dalla contrattazione collettiva di categoria.

3. Per quanto stabilito dal presente articolo, sono fatte salve le migliori condizioni previste dai contratti collettivi.

Art. 14.
(Modalità di organizzazione del lavoro notturno e obblighi di comunicazione)

1. L'introduzione del lavoro notturno deve essere preceduta, secondo i criteri e con le modalità previsti dai contratti collettivi, dalla consultazione delle rappresentanze sindacali in azienda, se costituite, aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo applicato dall'impresa. In mancanza, tale consultazione deve essere effettuata con le organizzazioni territoriali dei lavoratori di cui al primo periodo per il tramite dell'associazione cui l'azienda aderisca o conferisca mandato. La consultazione deve essere effettuata e conclusa entro un periodo di sette giorni.
2. Dell'esecuzione di lavoro notturno continuativo o compreso in regolari turni periodici deve essere informata per scritto la direzione provinciale del lavoro competente per territorio, salvo che essa sia disposta da un contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Art. 15.
(Salute e sicurezza delle prestazioni di lavoro notturno)

1. I lavoratori adibiti al lavoro notturno devono essere sottoposti, a cura e a spese del datore di lavoro, per il tramite del medico competente o delle competenti strutture sanitarie pubbliche:

a) ad accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno cui sono adibiti;

b) ad accertamenti periodici almeno annuali per controllare il loro stato di salute.

2. Durante il lavoro notturno il datore di lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali di cui all'articolo 14, un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno.
3. Il lavoratore notturno ha diritto di essere informato, anche tramite suoi rappresentanti, circa i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dallo svolgimento del lavoro notturno, prima di esservi adibito, nonché circa le misure necessarie per la prevenzione di eventuali danni alla salute.
4. Il datore di lavoro, previa consultazione con le rappresentanze sindacali di cui all'articolo 14 della presente legge, dispone, ai sensi degli articoli 74 e seguenti del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per i lavoratori notturni che effettuano le lavorazioni che comportano rischi particolari, appropriate misure di protezione personale e collettiva.
5. I contratti collettivi di lavoro possono prevedere modalità e specifiche misure di prevenzione relativamente alla prestazione di lavoro notturno di particolari categorie di lavoratori.
6. Le aziende che organizzano non occasionalmente la propria attività con lavoro notturno devono informare le rappresentanze sindacali aziendali competenti, se costituite, in merito alle misure idonee di prevenzione. Analoga informativa deve essere effettuata dalle aziende che intendono introdurre il lavoro notturno.
7. Nell'ambito della vigente disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a garantire ai lavoratori notturni adeguate misure di pronto soccorso, comprese quelle che ne consentono il trasporto rapido in luoghi in cui possono ricevere cure appropriate.

Art. 16.
(Trasferimento al lavoro diurno)

1. Qualora sopraggiungano condizioni di salute che comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno, accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche, il lavoratore è assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili.
2. I lavoratori notturni che hanno subìto menomazioni, con effetti invalidanti per più di venti giorni, in ragione dello svolgimento di lavoro notturno, hanno diritto a essere assegnati a turni diurni vacanti e conformi alla qualificazione professionale dei medesimi.
3. La contrattazione collettiva definisce le modalità di applicazione del comma 2 e individua le soluzioni nel caso in cui l'assegnazione prevista dal medesimo comma non risulti applicabile.

Capo IV
STRUMENTI DI FLESSIBILITÀ DEGLI ORARI DI LAVORO

Art. 17.
(Modulazione mensile, semestrale e annuale dell'orario di lavoro)

1. Al fine di armonizzare i tempi individuali e familiari con quelli sociali, del lavoro, della formazione, della cultura e dell'erogazione dei servizi, i contratti collettivi possono prevedere, con le procedure stabilite dall'articolo 14, orari individuali, collettivi, di gruppo e personalizzati in modo da diversificare la durata lavorativa, anche al fine di adattarla ai cicli produttivi e di sfruttare sia le fasi alte di produzione sia quelle basse, secondo una modulazione mensile, semestrale o annuale.
2. In sede di contrattazione collettiva, anche aziendale, possono essere adottati, con le procedure stabilite dall'articolo 14, sistemi di banche di ore volti a recuperare in termini compensativi le ore di lavoro prestate in eccedenza nel corso del periodo di riferimento, con modalità che corrispondano alle esigenze dei lavoratori, anche attraverso la contrattazione di moduli flessibili della settimana lavorativa di quattro giorni.
3. La ripartizione irregolare della durata quotidiana e settimanale dell'orario di lavoro su tutto o parte dell'anno può avvenire a condizione che siano rispettati i limiti della durata massima quotidiana e settimanale di lavoro di cui all'articolo 7, comma 5.

Art. 18.
(Gestione negoziale della flessibilità dell'orario)

1. Regimi di orario speciali che prevedono una ripartizione irregolare della durata quotidiana e settimanale dell'orario su tutto o parte dell'anno, nonché l'applicazione di sistemi di banche di ore, di cui al comma 2 dell'articolo 17, possono essere stabiliti con accordi sindacali aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, costituite nell'impresa o unità produttiva e amministrativa, ovvero, in loro mancanza, dalle organizzazioni sindacali provinciali aderenti alle confederazioni stipulanti il contratto collettivo nazionale di categoria applicato nell'impresa o unità produttiva o l'accordo di comparto applicato nell'unità amministrativa.
2. Nell'ipotesi di dissenso, o di mancata sottoscrizione, da parte di uno o più dei soggetti collettivi di cui al comma 1, o di richiesta da parte del 20 per cento dei lavoratori interessati, l'efficacia dell'accordo è sospensivamente condizionata alla sua approvazione tramite referendum da parte della maggioranza dei lavoratori votanti facenti comunque parte dei lavoratori interessati.
3. La richiesta di consultazione referendaria di cui al comma 2 deve essere comunicata, entro dieci giorni dalla stipulazione dell'accordo, al datore di lavoro, all'amministrazione e alle rappresentanze od organizzazioni sindacali firmatarie e deve essere resa pubblica, mediante affissione in un luogo accessibile a tutti, a cura del datore di lavoro, che è altresì tenuto ad adottare le misure tecniche e organizzative che ne consentano il regolare svolgimento. La consultazione deve avere luogo entro quindici giorni dalla sua richiesta, durante l'orario di lavoro, nei locali dell'impresa o unità produttiva o amministrativa, e la direzione provinciale del lavoro competente per territorio sovrintende alla sua effettuazione e cura che essa avvenga con modalità tali da assicurare la segretezza del voto.
4. Il numero totale delle ore lavorate nel periodo temporaneo complessivo contemplato dall'accordo non può comunque eccedere quello risultante dai limiti di cui al comma 1 dell'articolo 7 o da quelli inferiori eventualmente previsti da contratti o accordi collettivi, anche aziendali.
5. Gli accordi di cui al presente articolo devono altresì prevedere:

a) i periodi entro i quali ottenere la compensazione;

b) per le ore prestate in eccedenza rispetto ai limiti orari giornalieri e settimanali, specifiche maggiorazioni retributive ovvero riduzioni di orario compensative più che proporzionali;

c) specifiche ipotesi di giustificato esonero dei singoli lavoratori dall'osservanza dei regimi di orario concordati.

6. Nel caso in cui siano stipulati accordi di flessibilità dell'orario non può essere richiesto, per il tempo della loro vigenza, lavoro straordinario.

Art. 19.
(Programmazione degli orari e formazione)

1. Nella definizione dei piani annuali di lavoro di cui all'articolo 17 la determinazione dei criteri di gestione e di programmazione degli orari deve tenere conto della promozione e della partecipazione ai corsi di formazione, aggiornamento professionale e istruzione scolastica. A tale fine le imprese e le pubbliche amministrazioni possono, previa concertazione con le rappresentanze sindacali aziendali, definire piani formativi aziendali combinati con i criteri di riduzione e distribuzione dell'orario di lavoro.
2. A ciascun lavoratore e alle rappresentanze sindacali, contestualmente alla determinazione del piano di orario, sono annualmente comunicate dalla direzione aziendale caratteristiche, modalità di attuazione e aspetti del progetto formativo aziendale e interaziendale definito ai sensi della normativa vigente e degli accordi tra le parti sociali.

Art. 20.
(Trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo ridotto)

1. Il lavoratore e il datore di lavoro possono pattuire la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno di cui all'articolo 7, comma 1, in rapporto di lavoro a tempo ridotto. Dopo aver svolto un periodo lavorativo di almeno due anni con orario a tempo ridotto, il lavoratore e il datore di lavoro possono pattuire di ripristinare il precedente orario di lavoro a tempo pieno. La pattuizione deve essere stipulata in forma scritta a pena di nullità, fatto salvo il caso che corrisponda a previsioni contenute in un contratto collettivo, anche aziendale. L'accordo scritto deve essere trasmesso in copia alla direzione provinciale del lavoro competente per territorio e alle rappresentanze sindacali aziendali, ove costituite. In mancanza delle rappresentanze sindacali aziendali l'accordo deve essere trasmesso alle rappresentanze sindacali di cui al comma 1 dell'articolo 14.
2. È data priorità alla trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo pieno in rapporti di lavoro a tempo ridotto ai soggetti che:

a) hanno figli, genitori o coniuge disabili, ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104;

b) svolgono un'attività documentata di assistenza e cura continuativa a soggetti disabili;

c) svolgono un'attività documentata di volontariato presso un'associazione registrata a livello regionale o presso un'organizzazione non lucrativa di utilità sociale;

d) hanno figli entro i sei anni di età;

e) sono iscritti a un corso continuativo di istruzione scolastica, formazione o riqualificazione professionale di durata superiore a tre mesi;

f) svolgono gli ultimi cinque anni di vita lavorativa utili al raggiungimento dell'accesso al pensionamento, a condizione che in seguito alla loro uscita progressiva dal lavoro siano sostituiti da giovani al primo inserimento lavorativo.

3. I soggetti di cui al comma 2 del presente articolo usufruiscono degli sgravi contributivi previsti dall'articolo 6, con le modalità ivi stabilite.

Capo V
SANZIONI

Art. 21.
(Violazione dei limiti massimi di orario)

1. L'inosservanza dei limiti massimi di orario di cui all'articolo 7 è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del datore di lavoro pari a 500 euro per ogni lavoratore interessato e per ogni ora di lavoro prestato oltre il limite massimo.
2. La violazione delle disposizioni dell'articolo 8 è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del datore di lavoro pari a 500 euro per ogni lavoratore e per ogni ora di lavoro sottratta al suo riposo oltre il limite minimo.
3. In caso di violazione delle norme previste da leggi e da contratti sulle modalità di svolgimento delle prestazioni di lavoro straordinario è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del datore di lavoro di 1.000 euro per ogni violazione riscontrata.
4. La violazione delle disposizioni dell'articolo 13, comma 2, è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del datore di lavoro pari a 1.000 euro per ogni lavoratore.
5. La vigilanza sull'adempimento degli obblighi prescritti dalle disposizioni della presente legge è affidata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che la esercita attraverso i propri organi periferici.

Capo VI
NORME FINALI E TRANSITORIE

Art. 22.
(Norme finali e transitorie)

1. Per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle imprese esercenti servizi pubblici anche in regime di concessione, nonché per il personale navigante si applicano le disposizioni della presente legge, salvo che la materia sia diversamente disciplinata da apposite norme di legge o di regolamento o di contratto collettivo nazionale.
2. Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66.
3. Qualora alla data di entrata in vigore della presente legge la disciplina disposta dai contratti collettivi di un settore preveda limiti di orario superiori rispetto a quelli previsti dal capo III della medesima legge, la predetta disciplina collettiva deve essere adeguata alle disposizioni della stessa legge alla prima scadenza contrattuale e, comunque, non oltre dodici mesi dalla data della sua entrata in vigore.

torna su