PDL 1197

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5

ALLEGATO

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1197

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
ONORI, AMATO, CARAMIELLO, CHERCHI, FEDE, PAVANELLI, PENZA, SCERRA

Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003, nonché modifica all'articolo 604-bis del codice penale

Presentata il 1° giugno 2023

torna su

Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge è volta a consentire la ratifica e l'esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003, nonché a modificare l'articolo 604-bis del codice penale.
Si evidenzia che, su iniziativa dell'allora Governo Conte II, era iniziato l'iter parlamentare del disegno di legge per l'autorizzazione alla ratifica del menzionato Protocollo senza, purtroppo, riuscire a concluderne l'esame nel corso della precedente legislatura.
Data la rilevanza dell'atto in questione si ritiene necessario profondere ogni sforzo al fine di portare a termine quanto più velocemente possibile il relativo percorso di ratifica.
Il menzionato Protocollo, infatti, integra e migliora la portata normativa della citata Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardando la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici.
Il contesto complessivo si riferisce, pertanto, a fattispecie di condotte criminose particolarmente odiose che necessitano di essere perseguite con la massima serietà, utilizzando tutti gli strumenti giuridici a disposizione della comunità internazionale.
Come sottolineato nel contesto della recente Conferenza del Consiglio d'Europa su xenofobia e razzismo commessi a mezzo di sistemi informatici, svoltasi a Strasburgo nel gennaio 2023, la crescente diffusione di fenomeni quali xenofobia e razzismo perpetrati attraverso i sistemi informatici è divenuta una delle più serie problematiche per governi, organizzazioni della società civile e industria tecnologica a livello globale.
Infatti, i discorsi d'odio diffusi online possono alimentare violenza e discriminazione così come avere un impatto nocivo e distruttivo su vittime e comunità nel loro complesso minando i valori dell'inclusione e del rispetto. I forti legami riscontrati con varie forme di violenza – tra cui cyberviolenza e terrorismo – suggeriscono che i discorsi d'odio diffusi online possano contribuire a creare una cultura della prevaricazione e dell'intolleranza che può poi anche arrivare a degenerare in manifestazioni di vera e propria violenza e abusi anche fuori dalla rete, nell'ambiente reale. In alcuni casi, i discorsi d'odio possono addirittura facilitare il percorso che porta verso il compimento di fattispecie criminose di straordinaria gravità quali genocidi, crimini contro l'umanità o crimini di guerra. Le piattaforme online e i social media rappresentano, dunque, una sfida concreta nella loro peculiarità. Ad esempio, il loro uso improprio può essere un fattore chiave nell'ambito dei processi di radicalizzazione e reclutamento di terroristi, nonché nella diffusione della relativa propaganda.
Pertanto, affrontare compiutamente la problematica rappresentata dagli atti di xenofobia e razzismo commessi attraverso i sistemi informatici è una componente essenziale nel contesto degli sforzi finalizzati a contrastare tali forme di violenza e, al contempo, creare un ambiente online e offline maggiormente sicuro e inclusivo.
Il primo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione sulla criminalità informatica è, dunque, uno strumento fondamentale per affrontare le menzionate sfide. Si tratta di un trattato internazionale che mira, infatti, a contrastare l'uso dei sistemi informatici per commettere crimini legati a xenofobia e razzismo.
Tra i vantaggi del Protocollo si annoverano: il rafforzamento del quadro giuridico complessivo volto al contrasto dei descritti crimini; il rafforzamento della cooperazione internazionale nel contesto delle indagini e del perseguimento dei crimini legati alla xenofobia e al razzismo perpetrati online (elemento particolarmente importante data la natura transfrontaliera di molti di questi reati); una accresciuta protezione delle vittime di tali reati connessi a xenofobia e razzismo.
Il Protocollo addizionale – aperto alla firma a Strasburgo, nell'ambito del Consiglio d'Europa, il 28 gennaio 2003, ed entrato in vigore a livello internazionale il 1° marzo 2006 – è relativo alla Convenzione sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, e comporta un'estensione di tale Convenzione al fine di includere nella sua portata i reati legati alla propaganda a sfondo razzistico e xenofobo, consentendo in tal modo alle Parti di poter utilizzare gli strumenti della cooperazione internazionale stabiliti nella Convenzione anche per il contrasto a detti reati.
Tale Protocollo addizionale, firmato dall'Italia il 9 novembre 2011, è strutturato in sedici articoli, preceduti da un ampio preambolo.
L'articolo 1 fissa lo scopo del Protocollo addizionale, ovvero il completamento delle disposizioni della Convenzione sulla criminalità informatica in ordine alla criminalizzazione dei comportamenti di natura razzista e xenofoba diffusi tramite l'utilizzo di sistemi informatici. L'articolo 2 riporta alcune definizioni dei termini essenziali per il Protocollo in esame, la cui interpretazione è analoga a quella dei termini della Convenzione sulla criminalità informatica; in particolare, la definizione di materiale razzista e xenofobo indica qualsiasi materiale scritto, di immagine o di altra rappresentazione relativa a idee o teorie che incitino all'odio, alla discriminazione o alla violenza contro una o più persone, con la motivazione della razza, del colore, dell'origine nazionale o etnica, della religione. Gli articoli da 3 a 7 riguardano i provvedimenti da adottare a livello nazionale. L'articolo 3 concerne la diffusione di materiale razzista e xenofobo per il tramite dei sistemi informatici, e prevede (paragrafo 1) che ogni Parte del Protocollo adotta le misure legislative e di altra natura necessarie nel proprio ordinamento per la definizione di detti comportamenti quali reati, se commessi intenzionalmente e senza autorizzazione. Il paragrafo 2 stabilisce peraltro che ciascuna delle Parti può riservarsi il diritto di non procedere alla criminalizzazione di una determinata condotta, quando il materiale razzista e xenofobo sia volto a incitare a una discriminazione tuttavia non associata all'odio o alla violenza, purché rimedi alternativi alla legge penale siano effettivamente disponibili. Il paragrafo 3 contiene un'ulteriore attenuazione della portata della disposizione di cui al paragrafo 1, prevedendo che una Parte può evitare di applicare il medesimo paragrafo 1 nei casi di discriminazione per i quali i princìpi del proprio ordinamento riguardanti la libertà di espressione escludano i rimedi alternativi alla criminalizzazione. L'articolo 4 riguarda le minacce con motivazioni razziste e xenofobe e prevede che ciascuna delle Parti al proprio interno definisca come reato, se commesso intenzionalmente e senza autorizzazione, la minaccia, tramite sistema informatico, di dar luogo alla commissione di un reato grave in base al diritto nazionale, nei confronti di una o più persone, in ragione della loro appartenenza a un gruppo caratterizzato in base alla razza, al colore, all'origine nazionale o etnica, alla religione, ma solo se la religione venga utilizzata quale pretesto per attribuire l'uno all'altro dei precedenti elementi distintivi. L'articolo 5 concerne gli insulti con motivazione razzista e xenofoba e prevede (paragrafo 1) che ciascuna delle Parti proceda nel proprio diritto interno alla criminalizzazione della fattispecie dell'insulto pubblico – se commessa intenzionalmente e senza autorizzazione – per il tramite di un mezzo informatico, nei confronti di una a più persone, in ragione della loro appartenenza a un gruppo caratterizzato in base alla razza, al colore, all'origine nazionale o etnica, alla religione ma, nuovamente, solo se la religione venga utilizzata quale pretesto per attribuire l'uno all'altro dei precedenti elementi distintivi. In base al paragrafo 2, peraltro, ciascuna delle Parti, per procedere alla criminalizzazione del comportamento, può esigere che esso abbia come effetto di esporre la persona o il gruppo di persone interessate all'odio, al disprezzo e al ridicolo; inoltre ciascuna delle Parti può anche riservarsi il diritto alla non applicazione totale o parziale del paragrafo 1 dell'articolo 5. L'articolo 6 riguarda la negazione, la palese minimizzazione, l'approvazione o la giustificazione del genocidio o dei crimini contro l'umanità. In particolare il paragrafo 1 prevede che ciascuna delle Parti proceda nel proprio diritto interno alla criminalizzazione della diffusione per via informatica – se commessa intenzionalmente e senza autorizzazione – di materiali che neghino, minimizzino palesemente, approvino o giustifichino atti inquadrabili nelle fattispecie di genocidio o di crimine contro l'umanità in base al diritto internazionale, e in particolare riconosciuti come tali dalla giurisprudenza del Tribunale militare internazionale istituito con l'accordo di Londra dell'8 agosto 1945, ovvero di ogni altra Corte internazionale della quale la Parte interessata riconosca la giurisdizione. Anche in questo caso tuttavia (paragrafo 2) ciascuna delle Parti, prima di procedere alla qualificazione penale di un comportamento ai sensi del paragrafo 1, può subordinarla al fatto che la negazione o la minimizzazione palese siano state commesse con l'intenzione di incitare all'odio, alla discriminazione o alla violenza nei confronti di una a più persone, in ragione della loro appartenenza a un gruppo caratterizzato in base alla razza, al colore, all'origine nazionale o etnica, alla religione, ma, ancora una volta, solo se la religione venga utilizzata quale pretesto per attribuire l'uno all'altro dei precedenti elementi distintivi. Analogamente al precedente articolo, inoltre, ciascuna delle Parti potrà riservarsi di non applicare totalmente o parzialmente il paragrafo 1 dell'articolo 6. Infine (articolo 7) ciascuna delle Parti adotta altresì misure legislative ed altre misure necessarie per la criminalizzazione nel proprio ordinamento della collaborazione – intenzionale e senza autorizzazione – nella commissione di uno dei reati di cui al Protocollo in esame, come anche della complicità con l'intenzione di far commettere uno di tali reati. L'articolo 8 riguarda le relazioni tra la Convenzione sulla criminalità informatica e il Protocollo addizionale ad essa: è stabilita (paragrafo 1) l'applicazione mutatis mutandis al Protocollo degli articoli 1, 12, 13, 22, 41, 44, 45 e 46 della Convenzione. D'altronde le Parti (paragrafo 2) estendono il campo di applicazione degli articoli da 4 a 21 e da 23 a 35 della Convenzione nella portata prevista dagli articoli da 2 a 7 del Protocollo addizionale. I rimanenti articoli (9-16) del Protocollo opzionale contengono le disposizioni finali: in particolare, il Protocollo è aperto alla firma degli Stati già Parti della Convenzione, che possono vincolarsi al Protocollo mediante firma con o senza riserva di ratifica. Il depositario del Protocollo (articolo 16) è il Segretario generale del Consiglio d'Europa, presso il quale sono depositati gli strumenti di ratifica, accettazione o approvazione. Per quanto concerne la successiva adesione al Protocollo, è previsto che ogni Stato che abbia aderito alla Convenzione potrà aderire al Protocollo dopo l'entrata in vigore del medesimo, mediante il deposito di uno strumento di adesione (articoli 9-11). Sono previste precise procedure in ordine alle riserve e alle dichiarazioni concernenti il campo di applicazione del Protocollo da parte di ciascuna delle Parti, specialmente con riferimento agli articoli 3, 5 e 6 del Protocollo addizionale, nonché all'applicazione territoriale del Protocollo medesimo (articoli 12-14). In base all'articolo 15 ciascuna delle Parti può denunciare in ogni momento il Protocollo con notifica al Segretario generale del Consiglio d'Europa e con effetto dal primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento di tale notifica.
Il Protocollo presenta elementi di contatto con la disciplina della decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2008, volta a fornire una impostazione penale comune agli Stati membri nel contrasto ai fenomeni di razzismo e xenofobia. I reati cui fa riferimento la decisione quadro sono, infatti:

a) l'istigazione pubblica alla violenza o all'odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all'ascendenza o all'origine nazionale o etnica;


b) la perpetrazione di uno degli atti di cui alla lettera a) mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale;


c) l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all'ascendenza o all'origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all'odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro;


d) l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini definiti all'articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all'accordo di Londra dell'8 agosto 1945, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all'ascendenza o all'origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all'odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.

Per quanto riguarda l'ordinamento giuridico italiano la legge 13 aprile 1975, n. 654, ha dato esecuzione alla Convenzione internazionale aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, relativa all'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, entrata in vigore per l'Italia il 4 febbraio 1976. Nella citata Convenzione per «discriminazione razziale» si intende «ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica» (articolo 1 della Convenzione). L'articolo 3, comma 1, della legge n. 654 del 1975 puniva «salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione dell'articolo 4 della convenzione»: alla lettera a), «chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»; alla lettera b), «chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». L'originario articolo 3 è stato così sostituito dall'articolo 1 del decreto-legge n. 122 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 205 del 1993, che ha soppresso il comma 2 della precedente formulazione della disposizione. La lettera a) del comma 1 della disposizione è stata successivamente sostituita dall'articolo 13 della legge n. 85 del 2006, che ha modificato anche la successiva lettera b). In particolare quest'ultima legge, alla lettera a) del citato articolo 3, ha modificato i termini definitori della condotta penalmente rilevante: è punito non più chi «diffonde in qualsiasi modo», ma chi «propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico»; non più chi «incita» ma chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione». A proposito della sostituzione del concetto di «diffusione» con quello di «propaganda» e del concetto di «incitamento» con quello di «istigazione», la giurisprudenza della Suprema Corte tende ad escludere una discontinuità contenutistica tra le due fattispecie (Cassazione, sezione III, 7 maggio 2008, n. 37581). Si tratta, pertanto, di condotte sostanzialmente equivalenti. Riguardo alla nozione penalistica di propaganda, sulla quale la giurisprudenza si è pronunciata anche con riferimento ad altre fattispecie delittuose (si pensi all'associazione sovversiva punita dall'articolo 272 del codice penale), è stato, altresì, ritenuto che essa si concreta nell'azione di colui che, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo di diffusione, ponga a conoscenza di un numero indeterminato di persone, idee, propositi ed apprezzamenti, idonei a provocare un effettivo e concreto pericolo di adesione alle idee propagandate (Cassazione, sezione I, 12 maggio 1986, n. 10779). Così intesa la nozione penalistica di «propaganda», si rileva che, già a legislazione vigente, essa può essere realizzata anche con il ricorso a mezzi informatici o telematici; ne discende che l'intervento normativo in esame, volto a puntualizzare al primo comma, lettera a), del nuovo articolo 604-bis del codice penale, che la propaganda può essere realizzata con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico, non ha carattere innovativo dell'ordinamento giuridico, ma una funzione meramente chiarificatrice del precetto penalistico. Successivamente si segnalano le modifiche apportate al più volte menzionato articolo 3 della legge n. 654 del 1975 dalla legge 16 giugno 2016, n. 115, con la quale si è attribuita rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah, dei fatti di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti rispettivamente dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale. L'articolo 3, comma 1, della legge n. 654 del 1975 è stato da ultimo abrogato dall'articolo 7, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21 (Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale) ed il suo contenuto è confluito nel nuovo articolo 604-bis del codice penale, che punisce la propaganda e l'istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
La proposta di legge di autorizzazione alla ratifica del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica si compone di cinque articoli: l'articolo 1 e l'articolo 2 contengono, come di consueto, rispettivamente, la clausola di autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione del Protocollo addizionale, mentre l'articolo 5 prevede l'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
L'articolo 3 della legge n. 654 del 1975 – come modificato dalla citata legge Mancino e dalla legge 24 febbraio 2006, n. 85, di riforma dei reati di opinione – nella formulazione anteriore al 2016 sanzionava:

lettera a): con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;


lettera b): con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Mancava alla lettera a) (come manca anche nella attuale formulazione dell'articolo 604-bis del codice penale) qualsiasi riferimento alle modalità di commissione degli illeciti (come previste, in particolare, dall'articolo 3 del Protocollo) così come alla rilevanza penale della distribuzione di pubblicazioni che negano o minimizzano grossolanamente, giustificano o approvano il genocidio e i crimini di guerra e contro l'umanità (previsti dall'articolo 6 del Protocollo). Diversamente, risultava recepito dall'ordinamento (si veda l'articolo 3 della legge Mancino) il contenuto dell'articolo 4 della decisione quadro, che prevedeva un'aggravante per tutti i reati (diversi da quelli contemplati dalla stessa decisione-quadro) a motivazione razzista e xenofoba. Per quanto concerne poi l'apologia di reato (definito concordemente dalla giurisprudenza come un giudizio di valore positivo, di correttezza o di giustificabilità dato pubblicamente di un'attività delittuosa tale da far sorgere il pericolo di ulteriori reati e disturbare l'ordine pubblico), attualmente il codice penale punisce l'illecito (con la reclusione da 1 a 5 anni) ai sensi dell'articolo 414 (istigazione a delinquere) senza tuttavia prevedere una fattispecie specifica che punisca l'apologia condotta con modalità tali da istigare alla violenza e all'odio razziale e xenofobo (come, invece, previsto dall'articolo 1 della decisione). Il terzo comma dell'articolo 414 del codice penale prevede un'aggravante se l'apologia di reato è commessa attraverso strumenti informatici o telematici. Con la legge 16 giugno 2016, n. 115, si è attribuita rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah, dei fatti di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti rispettivamente dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, con l'introduzione di una specifica circostanza aggravante (precedente comma 3-bis dell'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, che corrisponde al terzo comma dei vigente articolo 604-bis del codice penale). A seguito dell'introduzione della suddetta circostanza aggravante, la disciplina nazionale risulta allineata con quanto previsto dal Protocollo in merito alla incriminazione delle condotte di distribuzione e diffusione di materiale razzista o xenofobo o di materiale che nega, minimizza in modo grave, approva o giustifica i crimini di genocidio o contro l'umanità, con la conseguenza che non sono necessarie specifiche norme di adattamento. L'articolo 3 della presente proposta di legge, pertanto, si limita semplicemente a chiarire l'ambito operativo del precetto penale contenuto alla lettera a) del primo comma dell'articolo 604-bis codice penale, senza introdurre nuove fattispecie criminose, prevedendo che i fatti ivi previsti possano essere commessi con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico. L'articolo 4 reca la clausola d'invarianza finanziaria.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica)

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003.

Art. 2.
(Ordine di esecuzione)

1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all'articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 10 del Protocollo stesso.

Art. 3.
(Modifica al codice penale)

1. All'articolo 604-bis, primo comma, lettera a), del codice penale, dopo le parole: «fino a 6.000 euro chi» sono inserite le seguenti: «, con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico,».

Art. 4.
(Clausola di invarianza finanziaria)

1. Le amministrazioni pubbliche competenti provvedono all'attuazione della presente legge nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 5.
(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

torna su

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

torna su