PDL 1152

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1152

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
PRETTO, MOLINARI, CRIPPA, STEFANI, ANDREUZZA, BARABOTTI, CAVANDOLI, LOIZZO

Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e all'articolo 240-bis del codice penale, in materia di applicazione e impugnazione delle misure di prevenzione e dei provvedimenti di sequestro e confisca, nonché di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali

Presentata il 12 maggio 2023

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Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge si propone di apportare al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, cosiddetto «codice antimafia», puntuali modifiche utili a rendere più efficienti e celeri nonché garantite le procedure per la confisca e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
Lo strumento dell'indagine di tipo economico con la conseguente aggressione dei patrimoni illeciti disciplinati nel codice antimafia assume oramai un irrinunciabile valore strategico di fronte agli interessi delle organizzazioni criminali che non operano più soltanto nei territori dove erano tradizionalmente presenti e radicate, ma estendono le loro capacità di infiltrazione e di condizionamento dei mercati ormai nell'intero Paese.
È anzi soprattutto nelle aree in cui esiste un più importante e sviluppato tessuto economico e produttivo che i sodalizi criminali hanno via via manifestato una maggiore capacità di penetrazione e radicamento.
Il settore immobiliare, ad esempio, continua a costituire un settore di grande interesse per le associazioni mafiose ed è ormai considerato, anche dalle istituzioni dell'Unione europea, come un veicolo ad alto rischio di utilizzo per fini di riciclaggio di proventi illeciti. Un recente rapporto della Commissione europea sulla «valutazione dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo che gravano sul mercato interno e relativi alle attività transfrontaliere» (COM (2022) 554) pone gli investimenti immobiliari tra le attività più esposte al rischio di riciclaggio, fornendo al riguardo alcuni dati particolarmente significativi: l'80 per cento dell'economia criminale è riciclata attraverso il settore immobiliare; il 68 per cento delle reti e delle organizzazioni criminali operanti nell'Unione europea utilizza il canale immobiliare come metodo di riciclaggio; dal 15 al 30 per cento dei fondi stranieri di origine dubbia sono riciclati in Germania attraverso operazioni immobiliari.
Anche il settore delle imprese produttive è considerato a rischio. Il citato rapporto di valutazione segnala al riguardo che circa l'80 per cento delle organizzazioni criminali operanti in Europa utilizza le strutture societarie per finalità illecite, soprattutto quando si tratta di piccole e medie imprese considerate maggiormente vulnerabili all'infiltrazione criminale.
La reazione dello Stato a queste forme di arricchimento illecito non può mantenersi nella limitata ottica sanzionatoria e depauperativa in danno degli attori dell'impresa illecita ma deve perseguire, secondo le linee tracciate dall'evoluzione legislativa che ha portato all'emanazione del codice antimafia, la finalità di trasformare le ricchezze accumulate dalla criminalità in reali opportunità di lavoro per i cittadini, di crescita sociale ed economica, di riscatto dei territori, di stimolo al cambiamento attraverso il sequestro e la confisca dei beni e la loro successiva destinazione.
Il codice antimafia italiano è un riferimento normativo studiato e preso ad esempio a livello internazionale, che ha già permesso, nonostante le pur numerose disfunzioni e criticità, di riconsegnare ai cittadini molte delle ingenti fortune acquisite dai poteri mafiosi in maniera illegale e di rafforzare l'immagine e la presenza dello Stato soprattutto nei territori dove le mafie avevano contribuito a rimuovere concreti punti di riferimento, instaurando nelle comunità un sentimento di rassegnazione e di assoluta sfiducia.
Nella precedente legislatura, nell'ambito delle attività della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il IX Comitato istituito per l'analisi delle procedure di gestione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie ha svolto un'articolata indagine sull'applicazione concreta della normativa di contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata e ha individuato i numerosi profili critici che rallentano o possono vanificare le funzioni di garanzia e gli obiettivi perseguiti dalla legislazione contenuta nel codice antimafia e che richiedono una pronta risposta della politica.
Tale risposta può avvenire anzitutto sul fronte del miglioramento e dell'adeguamento della disciplina vigente che regola le attività giurisdizionali e amministrative volte a realizzare forme efficienti di riutilizzo delle risorse economiche sottratte alle mafie, e successivamente anche con la sollecitazione dell'esercizio dei poteri da parte degli altri organi costituzionali interessati, quali il Governo, il Consiglio superiore della magistratura, gli enti locali, le pubbliche amministrazioni e tra queste, in particolare, l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), di seguito denominata «Agenzia».
A questo scopo occorrerà avere cura, anche nei prossimi interventi legislativi autonomi o correlati all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di inserire i soggetti, quali gli amministratori giudiziari o l'Agenzia, che gestiscono i beni sequestrati e confiscati nelle categorie destinatarie di agevolazioni fiscali o di incentivi, a prescindere dal consenso di terzi che vogliano vantare diritti su quegli stessi beni.
Fondamentale sarà il coinvolgimento di regioni, province, città metropolitane e comuni per un utilizzo efficiente dei beni sequestrati e confiscati affinché possano diventare risorse a vantaggio del territorio e delle comunità. Per questo motivo si è voluto creare un valido supporto alle amministrazioni pubbliche che intendano intraprendere il percorso per l'individuazione e successiva destinazione dei beni sottratti alla criminalità presenti nel territorio di loro competenza, allo scopo di indirizzarli a fini di utilità pubblica o sociale, garantendo così anche un forte messaggio di presenza delle istituzioni a discapito del condizionamento mafioso. In altri termini, occorre restituire efficientemente al territorio la ricchezza sottratta dalla criminalità organizzata attraverso l'agire mafioso. Proprio al fine di agevolare gli amministratori locali, anche dei piccoli comuni spesso in affanno quando cercano di orientarsi nel complesso meccanismo che dà nuova vita ai beni sequestrati e confiscati, il IX Comitato ha adottato uno strumento innovativo di grande valore pratico, denominato «Vademecum per gli enti locali» allegato alla relazione conclusiva del IX Comitato della Commissione antimafia costituita nella XVIII legislatura, approvata all'unanimità nella seduta del 5 agosto 2021 (Doc. XXIII, n. 15). Tale strumento potrà agevolare anche i più opportuni percorsi formativi del personale degli enti locali nell'ambito di un'auspicabile programmazione volta all'approfondimento delle tematiche applicative delle regole sulla destinazione dei beni.
Con questa proposta di legge si vuole adempiere, quindi, agli obblighi del Parlamento di dare la risposta di propria competenza alle criticità evidenziate nella predetta relazione, che peraltro già offriva un'articolata serie di proposte che possono ora essere tradotte in una compiuta riforma.
L'articolato della presente proposta di legge incide su diversi punti nevralgici del codice antimafia con disposizioni mirate al conseguimento dei seguenti obiettivi e al superamento delle criticità che li ostacolano:

1) certezza del diritto sui destinatari dell'azione di prevenzione e maggiori garanzie nell'accertamento dei presupposti per il sequestro e la confisca;

2) tutele più ampie per chi subisce il sequestro, introducendo un sistema coordinato ed efficiente di impugnazione;

3) efficienza e rapidità nelle scelte gestionali dopo il sequestro;

4) un'amministrazione giudiziaria meglio proiettata sulla destinazione;

5) maggiori e più tempestive tutele per i lavoratori e per i creditori di buona fede grazie alla prosecuzione dell'attività aziendale;

6) sostegno economico alle imprese in sequestro e potenziamento effettivo dell'Agenzia;

7) ampliamento dell'ambito applicativo delle misure di prevenzione alternative alla confisca e rimedi alle «morti bianche» delle aziende colpite da provvedimenti interdittivi in materia di antimafia;

8) specializzazione effettiva delle sezioni misure di prevenzione dei tribunali e disciplina unitaria dei procedimenti di sequestro e di confisca, evitando vuoti di gestione;

9) superamento delle contraddizioni di una disciplina formalistica e solo apparentemente severa in materia di scelta, controllo e compensi dell'amministratore giudiziario;

10) utilizzo del Fondo unico giustizia per riqualificare i beni e risanare le imprese sottratte alla criminalità organizzata.

A tal fine la presente proposta di legge consta di due articoli: il primo reca modifiche alle disposizioni del codice antimafia, il secondo interviene sul codice penale.
Più precisamente, l'articolo 1 modifica le disposizioni del codice antimafia che attengono ai presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione, ai poteri di iniziativa degli organi inquirenti, alle garanzie difensive da assicurare ai soggetti coinvolti nel corso dello svolgimento del procedimento e in pendenza del sequestro, alla gestione dei beni nella fase del sequestro e alla destinazione dei beni confiscati.
L'articolo 2 interviene sui presupposti per il sequestro penale ordinario.
La presente proposta di legge si propone, dunque, come prima tappa di un percorso riformatore che, dando attuazione alle acquisizioni già raggiunte in sede di inchiesta parlamentare nella precedente legislatura, stimoli ogni ulteriore intervento divenuto necessario alla luce delle esperienze frattanto maturate e delle esigenze che il nuovo contesto economico imporrà.
Di seguito, si illustrano nel dettaglio le modifiche alle disposizioni del codice antimafia sui presupposti applicativi delle misure di prevenzione.
Viene modificato l'articolo 1, comma 1, lettera a), del codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011 per adeguare il dettato normativo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 27 febbraio 2019.
Questa sentenza ha riaffermato i princìpi di legalità e di determinatezza anche nel sistema delle misure di prevenzione; essa è intervenuta dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso, e dopo i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità, anche a sezioni unite, e ha dichiarato l'incostituzionalità della lettera a) dell'articolo 1 del codice antimafia perché ha ritenuto generica e imprecisa la definizione di soggetti «dediti a traffici delittuosi» che il testo normativo indicava come soggetti socialmente pericolosi.
La condotta dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione deve essere pertanto definita in maniera più precisa e determinata, specificando che possono considerarsi pericolosi solo coloro che abitualmente commettano delitti determinati da finalità di lucro e aggiungendo una formula che sottolinei la necessità di desumere la pericolosità del soggetto da «attività delittuose a fine di lucro» o al fine di avere un vantaggio economico.
L'articolo 1, comma 1, lettera a), del codice antimafia dovrebbe conseguentemente essere riformulato in tal senso e tale modifica si ripercuoterebbe positivamente sugli articoli 4 e 16 del medesimo codice che lo richiamano per indicare i soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, che avrebbero un ambito di applicazione più limitato ad ipotesi tassativamente predeterminate.
Sempre al fine di adeguare il testo normativo ai princìpi di legalità e di prevedibilità della sanzione penale, si propone di modificare l'articolo 8 del codice antimafia.
Con la sentenza n. 25 del 27 febbraio 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 75, commi 1 e 2, del codice antimafia, di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011, nella parte in cui prevede come reato, sia delitto sia contravvenzione, la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale ove consistente nell'inosservanza delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».
La Corte ha sottolineato che tali prescrizioni avrebbero l'effetto di sanzionare come reato qualsiasi violazione amministrativa e che l'articolo 71 del codice antimafia già prevede un'aggravante per una serie di delitti ove commessi da persona sottoposta a misura di prevenzione personale, con provvedimento definitivo.
Conseguentemente, all'articolo 8, comma 4, dopo le parole: «In ogni caso, prescrive» devono essere soppresse le parole: «di vivere onestamente, di rispettare le leggi e».
Per evitare il sovrapporsi di iniziative dei diversi titolari del potere di proporre l'applicazione delle misure di prevenzione a carico dello stesso soggetto, occorre un maggior coordinamento tra loro: sia tra le procure circondariali e la procura distrettuale sia tra le procure della Repubblica, la direzione investigativa antimafia e il questore. Il cittadino non può essere costretto a difendersi da plurime ed estemporanee iniziative a suo carico magari trovandosi dinanzi a una molteplicità di procedimenti a suo carico per gli stessi fatti.
D'altro canto la duplicazione delle iniziative può creare pregiudizio all'azione di prevenzione con un deposito di atti, cosiddetta «discovery», che per ragioni note ad altre autorità devono ancora rimanere riservati.
Appare opportuno che le procure circondariali, prima di trasmettere le proposte avanzate da soggetti non legittimati alla proposta, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza, le facciano proprie, anche con l'indicazione della durata e delle modalità, ossia l'obbligo o il divieto di soggiorno e l'obbligo di presentazione.
Il codice antimafia deve disciplinare il coordinamento della procura distrettuale e nel caso in cui la proposta del direttore della direzione investigativa antimafia, del questore o del procuratore circondariale sia depositata direttamente presso la cancelleria della sezione distrettuale, deve altresì prevedere che il presidente della sezione ne trasmetta copia al procuratore distrettuale affinché formuli un parere, integri gli atti o segnali la pendenza di procedimenti connessi o ancora in fase di indagine.
Per consentire questa più fluida regolamentazione, pertanto, si propone la sostituzione del comma 2 dell'articolo 5 del codice antimafia al quale vengono aggiunti i commi 5, 6 e 7.
Nel testo vigente del comma 3 dell'articolo 18 del codice antimafia i termini della disciplina della prevenzione patrimoniale e quella delle successioni in caso di morte del proposto non risultano coordinati; la norma stabilisce che può essere richiesta la misura di prevenzione nei confronti degli eredi entro il termine di cinque anni, mentre l'articolo 480 del codice civile prescrive in dieci anni il diritto di accettare l'eredità. Tale termine così lungo potrebbe consentire, ad esempio, nei casi di eredità giacenti che non richiedono atti di gestione che si traducano in accettazione tacita, una ritardata accettazione per evitare l'azione di prevenzione. Per tali ragioni al citato comma 3 dell'articolo 18, dopo le parole: «entro il termine di cinque anni dal decesso» sono aggiunte le seguenti: «e, se è intervenuta accettazione di eredità oltre detto termine, entro un anno dall'accettazione ai sensi dell'articolo 480 del codice civile».
Per quanto concerne il regime delle impugnazioni e le garanzie, si ricorda che la legge 17 ottobre 2017, n. 161, ha modificato l'articolo 27 del codice antimafia per prevedere il ricorso in appello avverso il decreto di applicazione del sequestro, provvedimento che sino ad allora non era impugnabile.
Il comma 2 del citato articolo 27 prevede che per le impugnazioni contro i provvedimenti di cui al comma 1 si applicano le disposizioni previste dall'articolo 10 del medesimo codice che prevede il ricorso alla corte di appello, anche per il merito, e il ricorso in cassazione.
Tuttavia, la competenza per l'impugnazione presso la corte di appello ha causato e può determinare possibili incompatibilità funzionali: il collegio della corte che deciderà sul sequestro emesso nel corso del procedimento, confermandolo ovvero riformandolo in tutto o in parte, non potrà decidere sulla confisca, ove disposta a conclusione del procedimento, in quanto avrà già formulato un giudizio e conosciuto gli atti, quantomeno quelli relativi alle indagini patrimoniali svolte.
Quindi o dovrà valutare di astenersi dalla trattazione dell'impugnazione della confisca o comunque potrà essere ricusato con conseguente sostituzione, con ritardo nella trattazione del procedimento e con notevoli disfunzioni nei non pochi uffici con organici insufficienti o non sufficientemente coperti, in deroga alle regole di specializzazione dei magistrati che devono occuparsi di misure di prevenzione. Evidenti le ricadute sui termini di efficacia del sequestro, previsti dall'articolo 24 del codice antimafia per la fase di appello, e quindi anche sul principio costituzionale di ragionevole durata del processo, applicabile com'è noto anche al giudizio di prevenzione.
Va altresì evidenziato che il codice antimafia, come novellato dalla legge n. 161 del 2017, non prevede alcun criterio per individuare, in caso di astensioni o ricusazioni, nelle sedi in cui vi sia un numero esiguo di consiglieri o di sezioni penali, la corte di appello territorialmente competente.
Per tali ragioni, al fine di assicurare le più ampie garanzie alle parti e la ragionevole durata del procedimento, si introduce una disciplina che devolve l'impugnazione al tribunale del riesame. In tal modo si potranno rendere omogenee e sistematicamente coordinate le disposizioni in tema di impugnazioni, superando l'attuale differente trattamento nell'impugnazione dei provvedimenti in materia di sequestro nel procedimento penale ordinario e nel procedimento di prevenzione.
Viene, quindi, disciplinata in maniera più puntuale la fase dell'impugnazione del provvedimento di sequestro, precisando che la disciplina delle impugnazioni contenuta nel comma 1 dell'articolo 27 del codice antimafia, compreso il rinvio alle disposizioni dell'articolo 10, riguarda solo i provvedimenti conclusivi del primo grado di giudizio, da impugnare in corte di appello (e poi in Cassazione).
Viene inserito un nuovo articolo che prevede un sistema di impugnazione dei provvedimenti di sequestro parallelo a quello previsto dall'articolo 324 del codice di procedura penale per il procedimento penale di cognizione. Ciò al fine di ottenere, con effetto devolutivo pieno e termini certi, una pronuncia da parte di un collegio diverso da quello che lo ha emesso sul riesame del provvedimento cautelare ablativo, nonché sul sequestro previsto dall'articolo 34, comma 7, del codice antimafia e sul diniego del controllo giudiziario volontario.
Peraltro, non può non tenersi conto che sulla possibilità di impugnare il provvedimento del tribunale che respinga l'istanza di applicazione del controllo giudiziario volontario è intervenuta la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 46898 del 19 novembre 2019 che ha sancito, quale principio di diritto, che il decreto è impugnabile davanti alla corte di appello, anche per il merito.
Va, quindi, colmata la lacuna normativa non essendo prevista, allo stato, alcuna impugnazione per il controllo giudiziario volontario, ma solo l'impugnazione del controllo giudiziario disposto all'esito dell'amministrazione giudiziaria ex articolo 34, comma 6, del codice antimafia. Deve anche essere disciplinato normativamente il caso in cui la corte di appello, in riforma del decreto del tribunale, disponga il controllo giudiziario non essendo previsto a quale autorità giudiziaria spetterà l'attività di vigilanza e di controllo.
In tale caso, poiché il controllo è affidato alla competenza funzionale del tribunale e, all'esito, potrebbe portare all'emissione di più grave ed incisiva misura patrimoniale, per ragioni sistematiche si ritiene che ove la corte di appello decida per l'ammissione al controllo debba trasmettere gli atti al tribunale, trattandosi di appello solo rescindente; ed in tal senso si è espressa la Corte di cassazione nella sentenza n. 17818 dell'11 marzo 2021.
È quindi necessario modificare l'articolo 34-bis del codice antimafia e prevedere altresì la possibilità di impugnare anche il provvedimento che applica, ai sensi dell'articolo 34 del medesimo codice, l'amministrazione giudiziaria ora non disciplinato, così rendendo organico il regime delle impugnazioni.
Vanno quindi inserite negli articoli 34 e 34-bis disposizioni di rinvio all'articolo 27 del codice antimafia e aggiunte disposizioni che disciplinano l'ipotesi di applicazione dell'amministrazione giudiziaria o del controllo giudiziario da parte della corte di appello.
Sotto il profilo delle interferenze tra il controllo giudiziario e l'interdittiva prefettizia va segnalato che il decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233, recante disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose ha introdotto l'articolo 94-bis del codice antimafia, cioè la nuova misura della «prevenzione collaborativa» e ha apportato alcune modifiche all'articolo 34-bis; in particolare, ai fini che qui rilevano, modificando il comma 6 è stato disposto un contraddittorio procedimentale pieno, sentendo anche il prefetto che ha adottato l'informazione antimafia interdittiva.
Il comma 6 dell'articolo 34-bis del codice antimafia prevede che il tribunale, all'esito dell'udienza camerale, possa revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali.
Il testo vigente non prevede tuttavia con quali modalità e con quali garanzie un provvedimento diverso dal controllo giudiziario volontario già applicato nel contraddittorio possa essere adottato.
Appare necessario coordinare la previsione dell'aggravamento della misura con le regole generali sull'applicazione delle altre misure di prevenzione patrimoniali da osservare qualora sopravvengano elementi allarmanti tali da rendere insufficiente o inidoneo il controllo giudiziario volontario, e soprattutto occorre mantenere nell'alveo del contraddittorio tutte le ulteriori fasi del percorso del controllo giudiziario, che oramai già dal momento dell'interdittiva è subordinato a questa modalità garantita. Per le ragioni sin qui esposte la previsione attualmente vigente va sostituita.
Al riguardo, va apprezzata la prassi seguita da alcuni tribunali che emettono un provvedimento conclusivo del controllo giudiziario con il quale si dà atto dei risultati dell'attività di controllo e della avvenuta bonifica, rebus sic stantibus, dell'azienda, anche al fine di consentire al prefetto una rivalutazione dell'interdittiva sulla base di elementi concreti, fattuali e giuridici.
Alla luce dell'autonomia tra procedimento dinanzi al tribunale e procedimento dinanzi al prefetto può determinarsi una situazione di incertezza in capo al soggetto colpito da interdittiva che, frattanto, si sia sottoposto con esito positivo al controllo giudiziario.
Per questo si prevede che al prefetto, che potrà partecipare all'udienza conclusiva, venga comunicato il provvedimento che ne consegue, affinché ne possa tenere conto al fine di aggiornare l'informazione interdittiva.
In tema di regole sulla limitazione degli incarichi agli amministratori giudiziari, si rileva che il limite numerico imposto per gli amministratori giudiziari dall'articolo 35, comma 2, del codice antimafia «degli incarichi aziendali in corso, comunque non superiore a tre», nonostante la modifica successiva e la precisazione operata dal decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, cosiddetto «decreto sicurezza», che ha escluso dal numero gli «incarichi già in corso quale coadiutore», non ha risolto il problema della rotazione tra i professionisti e, anzi, ha ingenerato tra gli attori del procedimento ulteriori interpretazioni differenziate.
Non è chiaro se nel numero «non superiore a tre degli incarichi aziendali» vadano ricomprese anche le nomine, quali amministratori giudiziari, nelle procedure di amministrazione giudiziaria e di controllo giudiziario di cui agli articoli 34 e 34-bis del codice antimafia. Non è chiaro se vi rientrino le nomine degli esperti da parte dei prefetti che dispongano la misura di prevenzione collaborativa. Non è chiaro se per coadiutore si debba intendere il coadiutore dell'amministratore giudiziario ovvero il coadiutore dell'Agenzia.
Peraltro, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 35, comma 2, del codice antimafia non è stato ancora emanato e le interpretazioni dei tribunali non sono omogenee, come emerso dalla già richiamata inchiesta svolta dalla Commissione parlamentare antimafia nella precedente legislatura; alcuni ritengono che il limite sia riferito agli incarichi conferiti a livello nazionale, altri a livello distrettuale; alcuni lo ritengono operante solo per gli incarichi dati dalle sezioni misure di prevenzione, altri anche per gli amministratori nominati nell'ufficio giudiziario.
Sicché è necessario l'intervento del legislatore, tenendo conto che il limite numerico rigido non distingue tra compendi aziendali di semplice gestione e di valore modesto e altri di notevole complessità e valore da assorbire totalmente l'attività del professionista nominato. Va chiarita la terminologia imprecisa atteso che «incarichi aziendali» è una locuzione mai utilizzata nel codice antimafia e sarebbe più chiara la previsione di «incarichi di gestione delle aziende sequestrate».
Va inoltre evidenziato che già il tribunale ha l'obbligo, con provvedimento collegiale, di motivare la scelta dell'amministratore «secondo criteri di trasparenza che assicurano la rotazione degli incarichi tra gli amministratori, tenuto conto della natura e dell'entità dei beni in stato di sequestro, delle caratteristiche dell'attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione» e «all'atto della nomina, l'amministratore giudiziario comunica al tribunale se e quali incarichi analoghi egli abbia in corso, anche se conferiti da altra autorità giudiziaria o dall'agenzia» (articolo 35, comma 2, del codice antimafia).
Tale previsione rende superflua la fissazione di un rigido limite numerico, in considerazione degli ulteriori parametri introdotti dalla norma, tenuto altresì conto che detto limite è un unicum non trovando riscontro per gli incarichi di custode nelle procedure esecutive immobiliari, di curatore fallimentare, di commissario giudiziale e di amministratore straordinario di grandi imprese in crisi.
È necessario che, rispetto al numero degli incarichi, maggiore rilevanza sia attribuita al valore del patrimonio, in quanto anche un solo compendio aziendale potrebbe determinare il divieto di cumulo.
Le modifiche proposte risolvono questo problema, eliminando il mero riferimento numerico, dando prevalenza alla consistenza ed onerosità dell'incarico e prevedendo anche una specifica vigilanza sulla rotazione degli incarichi.
Ulteriori modifiche hanno ad oggetto la disciplina della gestione dei beni immobili e delle aziende, al fine di superare le criticità emerse dall'inchiesta svolta dal IX Comitato della Commissione parlamentare antimafia nella precedente legislatura.
Invero, come noto, il sequestro delle aziende determina la sospensione o la revoca da parte degli istituti bancari delle linee di credito non scadute con conseguente venir meno dei requisiti di merito creditizio e la necessità, nella maggior parte dei casi, di affrontare il cosiddetto «costo di legalità», atteso che l'amministratore giudiziario al momento dell'immissione in possesso spesso si trova ad affrontare situazioni di lavoro sommerso, di illegalità, di endemica inosservanza delle regole in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, di evasione fiscale, di false fatturazioni, ossia di situazioni da sanare e da regolarizzare con un costo economico non indifferente; tali difficoltà hanno portato, a volte, alla liquidazione delle società, soprattutto delle imprese individuali o a conduzione familiare.
È necessario modificare gli articoli 41, 54 e 56 del codice antimafia per i motivi che saranno partitamente esaminati.
Nell'articolo 41 si propone di inserire disposizioni utili a superare i vincoli normativi che rendono pressoché impossibile garantire la continuità aziendale nel caso di sequestro di imprese individuali e di società di persone: tra questi vincoli vi sono le regole sul «patentino» per le tabaccherie legato alla persona del titolare dell'impresa individuale; la disciplina delle società in accomandita semplice o delle società in nome collettivo per le quali, ove venga a mancare la pluralità dei soci, ex articolo 2272 del codice civile vi è una causa di scioglimento della società che, quindi, in caso di sequestro e subentro dell'amministratore giudiziario dovrebbe essere liquidata; le regole che mantengono la legale rappresentanza dell'impresa o della società oggetto di sequestro in capo al proposto.
La presente proposta di legge introduce specifiche norme di eccezione per consentire la prosecuzione dell'attività aziendale anche durante il sequestro, modificando, con riguardo alle problematiche delle tabaccherie, anche l'articolo 56 del codice antimafia.
Inoltre, nel caso di affitto o comodato di azienda o ramo di azienda, gli articoli 2112 e 2560 del codice civile prevedono, in materia di regime dei debiti e dei crediti risultanti dalle scritture contabili, la responsabilità solidale tra affittante e affittuario e tra comodante e comodatario, con conseguente difficoltà a gestire le aziende.
Anche per questo problema occorre prevedere una disciplina di eccezione nel citato articolo 41 del codice antimafia.
Inoltre l'articolo 54 del codice antimafia non consente di porre provvisoriamente a carico dell'erario le spese relative alle aziende se queste siano prive di liquidità sufficienti, anche se si tratti di debiti prededucibili sorti in costanza di sequestro o di spese necessarie per la prosecuzione dell'attività aziendale; anche questo limite costituisce spesso un impedimento alla prosecuzione e crea il rischio che l'impresa in sequestro debba essere liquidata o se ne debba richiedere il fallimento anche quando nel compendio vi siano dei crediti ancora non riscossi.
Si prevedono pertanto eccezioni limitate nei casi in cui l'impossibilità di sostenere altrimenti le spese assolutamente necessarie possa arrecare un pregiudizio irreparabile.
Un'ulteriore modifica va apportata all'articolo 51-bis del codice antimafia, introdotto dal citato decreto-legge n. 113 del 2018, che prevede l'iscrizione dei decreti di sequestro, di confisca, dei provvedimenti di cui agli articoli 34 e 34-bis, nonché dei provvedimenti del codice antimafia relativi a imprese, società o quote delle stesse, nel «registro delle imprese, su istanza della cancelleria, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria». Tale adempimento previsto per evitare l'eventualità di altre iscrizioni può, tuttavia, determinare che il sequestro possa essere iscritto addirittura prima della esecuzione e materiale apprensione dei beni con possibile vanificazione dell'effetto sorpresa. E anche questa criticità può incidere sulla concreta possibilità di attivare tempestivamente le dinamiche utili alla prosecuzione.
Si modifica pertanto la disposizione in modo che l'adempimento venga effettuato solo il giorno successivo all'esecuzione del provvedimento.
Sono inoltre introdotte le modifiche necessarie per ovviare a difetti di coordinamento insorti dopo la novella apportata al codice antimafia dalla citata legge n. 161 del 2017.
Con la riforma del 2017, l'Agenzia subentra nella gestione dei beni dopo la cosiddetta «doppia conforme» mentre, nel testo previgente del decreto legislativo n. 159 del 2011, la gestione veniva assunta dopo il decreto di confisca di primo grado e, per i sequestri penali, all'esito dell'udienza preliminare.
Alcune norme del codice antimafia, tuttavia, non sono state coordinate con tale nuova competenza della Agenzia e prevedono una serie di adempimenti a carico del tribunale non più coerenti con il sistema. Tra questi:

l'articolo 43 prevede che, «all'esito della procedura e comunque dopo il provvedimento di confisca di primo e di secondo grado, entro sessanta giorni dal deposito di ciascuno dei medesimi provvedimenti, l'amministratore giudiziario presenta al giudice delegato il conto della gestione», il successivo comma 5-bis recita che sia l'Agenzia a provvedere al rendiconto qualora la confisca sia revocata nella fase successiva. Si ritiene, pertanto, che il rendiconto di gestione debba essere presentato solo dopo il provvedimento di confisca di secondo grado per evitare un doppio rendiconto, dopo il giudizio di primo grado e di secondo grado, con inutile dispendio di attività; conseguentemente, si propone di sopprimere il riferimento al provvedimento di primo grado dal comma 1 dell'articolo 43;

l'articolo 57, comma 2, prevede che il giudice delegato, dopo il deposito del decreto di confisca di primo grado, assegna ai creditori un termine perentorio, non superiore a sessanta giorni, per il deposito delle istanze e fissa l'udienza di verifica dei crediti entro i sessanta giorni successivi. Anche in questo caso la norma non è coordinata con la competenza dell'Agenzia, come modificata dalla novella del 2017. Appare più logico svolgere l'udienza di verifica dei crediti all'esito del procedimento di secondo grado, quando si è cristallizzato il dato effettivo dell'indebitamento, della sua origine e del suo ammontare nonché dei beni di cui sia confermata la confisca. Nel comma 2 dell'articolo 57 del codice antimafia si propone la sostituzione delle parole: «dopo il decreto di confisca di primo grado» con le seguenti: «dopo il decreto di confisca di secondo grado»;

l'articolo 57, comma 3, contiene un refuso formale in quanto la novella del 2017 non ha modificato il comma 3 che recita: «il giudice delegato fissa per l'esame delle domande tardive di cui all'articolo 58, comma 6, un'udienza ogni sei mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza»; tuttavia, le modifiche apportate all'articolo 58, con l'introduzione dei nuovi commi 5-bis e 5-ter, hanno causato l'abrogazione del comma 6 e pertanto il citato comma 3 dell'articolo 57 dovrebbe essere formalmente modificato, dovendo fare riferimento al comma 5 dell'articolo 58;

il comma 5 dell'articolo 63 va soppresso; invero, con la riforma del 2017 erano stati modificati gli articoli 63 e 64 che concentravano in capo al giudice delegato del tribunale di prevenzione il compito di svolgere la verifica dei crediti nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 52 e seguenti, al fine di evitare sdoppiamenti delle procedure quando i beni della massa attiva della procedura fallimentare siano stati separati e affidati all'amministratore giudiziario, cosa che accadeva in forza della precedente disciplina. A tal fine nel comma 4 dell'articolo 63 è stata introdotta la disposizione in base alla quale «Quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati al sequestro o a confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare. La verifica dei crediti e dei diritti inerenti ai rapporti relativi ai suddetti beni viene svolta dal giudice delegato del tribunale di prevenzione nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 52 e seguenti». Nell'originaria proposta organica di revisione del codice antimafia contenuta nella relazione della Commissione parlamentare antimafia costituita nella XVII legislatura (Doc. XXIII, n. 5) era stata indicata la conseguente necessità di sopprimere il successivo comma 5 dell'articolo 63, che contemplava invece la competenza del giudice delegato al fallimento a provvedere sull'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi; tuttavia, nel corso dei lavori parlamentari l'emendamento soppressivo non è stato inserito nel testo definitivo. Ciò comporta che, a legislazione vigente, nel solo caso della dichiarazione di fallimento successiva al sequestro, ossia il caso disciplinato dall'articolo 63, potrebbero svolgersi due procedimenti di verifica dei crediti in parallelo, uno dinanzi al giudice delegato del tribunale di prevenzione, l'altro dinanzi al giudice delegato al fallimento, entrambi aventi ad oggetto i medesimi accertamenti e crediti. Si tratta di una duplicazione superflua e dispendiosa che potrebbe anche rivelarsi dannosa visto che le due autorità potrebbero avere a disposizione, per la diversa natura dei procedimenti, elementi di valutazione diversi e potrebbero quindi giungere a decisioni contrastanti.

La presente proposta di legge reca inoltre modifiche alla disciplina del funzionamento dell'Agenzia.
Dall'inchiesta svolta dalla Commissione parlamentare antimafia nella precedente legislatura sono emerse alcune criticità, evidenziate dalla Corte dei conti, dagli stessi direttori dell'Agenzia e da alcuni presidenti delle sezioni misure di prevenzione dei tribunali, tuttora, in parte, sussistenti nonostante le modifiche legislative già intervenute per migliorare l'efficienza e la tempestività degli atti di competenza dell'Agenzia.
Appare, quindi, opportuno formulare ulteriori modifiche per superare alcune criticità e fornire sostegno all'Agenzia, il cui organico è tuttora carente.
In considerazione dei ritardi nella nomina dei coadiutori dell'Agenzia è necessario che l'amministratore giudiziario continui a gestire i beni e in particolare le aziende sotto il controllo dell'Agenzia e fino alla effettiva nomina del coadiutore.
A tal fine va introdotta al comma 4 dell'articolo 38 del codice antimafia una disposizione che lo preveda.
Va altresì modificato l'articolo 111 del codice antimafia e previsto che, analogamente a quanto accade per la magistratura, in base all'articolo 35 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, per evitare la discontinuità e l'avvicendamento dei direttori (ben sette in dodici anni) debba essere nominato direttore un soggetto che possa assicurare almeno quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo.
Appare infatti opportuno che il direttore dell'Agenzia, istituzione nata come cabina di regia per i beni sequestrati e confiscati, disponga di un congruo lasso temporale per programmare e dare attuazione a una legge che appare strategico in quanto finalizzato all'abbattimento dell'arretrato nella destinazione dei beni, nella liquidazione, ove necessaria, delle aziende e nella tempestiva risposta alle istanze dei coadiutori per la gestione delle aziende, alla formazione mirata del personale, alla emissione dei decreti previsti dal codice antimafia, all'effettivo funzionamento della piattaforma informatica ReGIO, Open ReGIO, Copernico per renderla compatibile con i sistemi SIPPI e SIT-MP del Ministero della giustizia. Questo lasso di tempo deve essere pari almeno a quattro anni precedenti il collocamento a riposo.
Ulteriori criticità attengono alla fase della destinazione dei beni definitivamente confiscati in quanto è emerso che, di frequente, i sindaci non sono a conoscenza dell'esistenza di beni confiscati nel loro territorio né hanno contezza della necessità di dover accedere alla piattaforma Open ReGIO dell'Agenzia, non essendo prevista un'adeguata informazione sul punto.
Inoltre i comuni lamentano la carenza di personale formato e in grado di formulare un regolamento comunale, una manifestazione di interesse, un bando di concessione di uso, che unita alla mancanza di risorse economiche comunali e alla difficoltà di accedere ai fondi dell'Unione europea, regionali e statali, impedisce loro, sostanzialmente, di chiedere la destinazione dei beni confiscati o l'assegnazione provvisoria degli stessi.
È necessario quindi introdurre l'obbligo di comunicazione da parte dell'Agenzia agli enti locali di cui all'articolo 48, comma 3, lettera c), ai quali in via prioritaria vanno trasferiti i beni, in modo da acquisire con tempestività e priorità le richieste di assegnazione.
Per facilitare la destinazione a fini sociali dei beni confiscati, va altresì modificato l'articolo 46 del codice antimafia che prevede, al comma 1, la possibilità di restituzione per equivalente all'avente diritto quando i beni siano stati assegnati per finalità «sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo 48, comma 3 del presente decreto e la restituzione possa pregiudicare l'interesse pubblico». La riforma del 2017 ha riscritto il comma 2 del citato articolo 46 prevedendo l'applicazione della restituzione anche per equivalente «altresì quando il bene sia stato venduto». L'attuale comma 3 prevede che, nei casi di restituzione o vendita, il tribunale determina il valore del bene e ordina il pagamento della somma ponendola a carico:

a) «del Fondo Unico Giustizia, nel caso in cui il bene sia stato venduto»;

b) «dell'amministrazione assegnataria, in tutti gli altri casi».

È necessario quindi disporre la soppressione dell'inciso: «nel caso in cui il bene sia stato venduto» e della lettera b) del comma 3, per favorire l'assegnazione provvisoria dei beni confiscati agli enti locali, a volte restii a manifestare il proprio interesse per il timore di dover far fronte ad oneri economici ulteriori rispetto alle spese già eventualmente sostenute per utilizzare a fini sociali il bene. Il comma 3 dell'articolo 46 del codice antimafia sarebbe così riformulato: «Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il tribunale determina il valore dei beni e ordina il pagamento della somma, ponendola a carico del Fondo Unico Giustizia». Invero, non vi è alcuna plausibile ratio nel penalizzare gli enti locali ponendo a loro carico il pagamento della somma determinata dal tribunale, atteso che nel Fondo Unico Giustizia confluiscono tutte le somme sequestrate nei procedimenti penali e di prevenzione di talché appare ben possibile utilizzare le stesse anche per far fronte ad una eventuale revoca della confisca, purché il bene sia effettivamente utilizzato e, così, consentire una maggiore velocità nella assegnazione dei beni confiscati.
L'articolo 2 della presente proposta di legge dispone la modifica del secondo periodo dell'articolo 240-bis del codice penale in materia di confisca in casi particolari, prevedendo che dopo le parole: «In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale» sia soppresso l'inciso: «salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge». L'intervento si rende necessario perché il testo vigente comporta un'evidente disparità di trattamento tra i soggetti sottoposti a misura di prevenzione patrimoniale, ai quali tale disposizione non è applicabile e i condannati, o coloro che hanno patteggiato, per i gravi delitti di cui all'articolo 240-bis del codice penale che eviteranno la confisca nonostante l'evasione fiscale sia, per le soglie previste, comunque, un reato.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche al codice delle leggi antimafia, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159)

1. Al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la lettera a) dell'articolo 1 è sostituita dalla seguente:

«a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti ad attività delittuose, consumate o tentate, con fine di lucro»;

b) all'articolo 5:

1) il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Nei casi previsti dall'articolo 4, comma 1, lettere c), i), i-bis) e i-ter), le funzioni e le competenze spettanti al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono attribuite anche al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario la persona risulta dimorare, previo coordinamento con il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto. Nei medesimi casi, nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica proponente»;

2) dopo il comma 4 sono aggiunti, in fine, i seguenti:

«4-bis. Il procuratore della Repubblica circondariale, il questore e il direttore della Direzione investigativa antimafia, titolari della proposta ai sensi dei commi 1 e 2, quando non formulano la proposta congiuntamente al procuratore distrettuale, la depositano presso la cancelleria della sezione o del collegio del tribunale del distretto cui al comma 4.
4-ter. Il presidente trasmette copia della sola proposta al procuratore distrettuale perché formuli il proprio parere entro dieci giorni dalla comunicazione. Il procuratore distrettuale entro il suddetto termine può integrare gli atti già depositati dal diverso organo proponente, può formulare ulteriori richieste o proposte al tribunale, può segnalare la pendenza di altri procedimenti connessi e chiederne la riunione ai sensi dell'articolo 17 del codice di procedura penale.
4-quater. Il presidente fissa l'udienza solo dopo avere acquisito il parere del procuratore distrettuale o comunque dopo che sia decorso il termine indicato al comma 4-ter»;

c) al comma 4 dell'articolo 8, le parole: «di vivere onestamente, di rispettare le leggi e» sono soppresse;

d) al comma 3 dell'articolo 18, dopo le parole: «entro il termine di cinque anni dal decesso» sono aggiunte le seguenti: «e, se è intervenuta accettazione di eredità oltre detto termine, entro un anno dall'accettazione ai sensi dell'articolo 480 del codice civile»;

e) il comma 1 dell'articolo 27 è sostituito dal seguente:

«1. I provvedimenti con i quali, a conclusione del procedimento, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati, la revoca del sequestro, il rigetto della confisca anche qualora il sequestro non sia stato disposto o sia già stato revocato, la restituzione della cauzione o la liberazione delle garanzie o la confisca della cauzione o la esecuzione sui beni costituiti in garanzia, sono comunicati senza indugio al procuratore generale presso la corte di appello, al procuratore della Repubblica e agli interessati»;

f) nel capo II, dopo l'articolo 27 è aggiunto il seguente:

«Art. 27-bis.
(Impugnazioni del sequestro)

1. Avverso il decreto di applicazione, diniego o revoca del sequestro emesso dal tribunale ai sensi dell'articolo 20, i decreti di cui all'articolo 34, commi 2 e 7, e di diniego dell'applicazione del controllo giudiziario di cui all'articolo 34-bis, comma 6, e il decreto di convalida del sequestro emesso dal tribunale ai sensi dell'articolo 22, la persona nei cui confronti è stata avanzata la proposta, le persone alle quali i beni sono stati sequestrati, i soggetti indicati all'articolo 23, commi 2 e 4, e il curatore fallimentare nelle ipotesi previste dagli articoli 63 e 64 possono proporre richiesta di riesame anche nel merito a norma dell'articolo 324 del codice di procedura penale.
2. Sulle impugnazioni previste dal comma 1 provvede il collegio designato per la trattazione dei procedimenti di cui agli articoli 309 e seguenti del codice di procedura penale nel capoluogo del distretto di corte di appello.
3. Contro le ordinanze emesse ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo le parti possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge. Si applica l'articolo 325 del codice di procedura penale.
4. I soggetti indicati al comma 1 possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro emesso dal tribunale sezione di prevenzione. Si applica l'articolo 322-bis, commi 1-bis e 2, del codice di procedura penale»;

g) dopo il comma 4 dell'articolo 34 è inserito il seguente:

«4-bis. Avverso il provvedimento di applicazione o di rigetto della richiesta di applicazione dell'amministrazione giudiziaria dei beni può essere proposta impugnazione e si applicano le disposizioni dell'articolo 27. Se la corte di appello in riforma del provvedimento del tribunale dispone l'amministrazione giudiziaria dei beni restituisce senza ritardo gli atti al tribunale che provvede ai sensi del comma 3 e a tutti i successivi adempimenti»;

h) all'articolo 34-bis:

1) al comma 6, le parole: «successivamente, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali» sono sostituite dalle seguenti: «se durante l'applicazione del controllo giudiziario emergono, anche sulla base delle relazioni bimestrali dell'amministratore giudiziario, i presupposti per l'applicazione di altre misure di prevenzione patrimoniali, si procede nelle forme e con le garanzie previste dalle disposizioni di cui al presente titolo per ciascuna delle misure, anche diverse dalla confisca, che dovranno essere disposte»;

2) dopo il comma 6 è inserito il seguente:

«6-bis. Avverso i provvedimenti di applicazione o di rigetto della richiesta di applicazione del controllo giudiziario ai sensi dei commi 1 e 6 del presente articolo può essere proposta impugnazione e si applicano le disposizioni dell'articolo 27. Se la corte di appello in riforma del provvedimento del tribunale dispone il controllo giudiziario ai sensi dei commi 1 o 6 del presente articolo restituisce senza ritardo gli atti al tribunale che provvede ai sensi del comma 2, lettera b), del medesimo articolo e a tutti i successivi adempimenti»;

3) dopo il comma 7 sono aggiunti, in fine, i seguenti:

«7-bis. Al termine del periodo di applicazione del controllo giudiziario imposto ai sensi del comma 6 ed eventualmente prorogato ai sensi del comma 2, l'amministratore giudiziario deposita in cancelleria una relazione attestante gli esiti dell'attività di controllo. Entro dieci giorni dal deposito della relazione, il tribunale dispone che sia fissata udienza in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 127 del codice di procedura penale, dandone avviso all'interessato, al suo difensore, al pubblico ministero, all'amministratore giudiziario e al prefetto; esaminati gli atti e sentite le parti, se compaiono, il tribunale emette decreto motivato con il quale, se l'esito dell'attività di controllo è positivo, dichiara che non vi sono i presupposti per l'applicazione di altre misure oppure, se ritiene che siano ancora sussistente il pericolo concreto di cui al comma 1 o altro più grave pericolo, dispone la trasmissione gli atti al pubblico ministero. Avverso il decreto può essere proposta impugnazione e si applicano le disposizioni dell'articolo 27.
7-ter. Il decreto di cui al comma 7-bis deve essere comunicato al prefetto, che ne tiene conto ai fini dell'aggiornamento dell'informazione prevista dall'articolo 91, comma 5»;

i) all'articolo 35:

1) al secondo periodo del comma 2, le parole: «incarichi aziendali» sono sostituite dalle seguenti: «incarichi di gestione delle aziende sequestrate» e le parole: «in corso, comunque non superiore a tre, con esclusione degli incarichi già in corso quale coadiutore» sono soppresse;

2) il terzo periodo del comma 2 è sostituito dal seguente: «Con lo stesso decreto sono altresì stabiliti i limiti di valore degli incarichi, per i quali la particolare complessità dell'amministrazione o l'eccezionalità del valore del patrimonio da amministrare determinano il divieto di cumulo con altri incarichi in numero superiore a tre»;

3) dopo il comma 2-ter è inserito il seguente:

«2-quater: Con riguardo al conferimento e all'attuazione degli incarichi di amministratori giudiziari si applicano in quanto compatibili gli articoli 19 e 23 delle disposizioni per l'attuazione delle norme del codice di procedura civile e disposizioni transitorie»;

l) dopo il primo periodo del comma 4 dell'articolo 38 è inserito il seguente: «Fino alla nomina del coadiutore dell'Agenzia ai sensi del comma 3, l'amministrazione dei beni è proseguita dall'amministratore giudiziario nominato ai sensi dell'articolo 35 sotto le direttive del giudice delegato»;

m) all'articolo 41:

1) dopo il comma 2-ter è inserito il seguente:

«2-quater. Nelle ipotesi di cui ai commi 2-bis e 2-ter non si applicano gli articoli 2112 e 2560 del codice civile»;

2) dopo il comma 1-octies è inserito il seguente:

«1-novies. Per le società sottoposte a sequestro fino alla confisca definitiva non opera comunque la causa di scioglimento prevista dall'articolo 2272, n. 4, del codice civile»;

3) al comma 6 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «In ogni caso dopo l'esecuzione del sequestro e fino alla convocazione dell'assemblea, il tribunale dispone che siano sospesi dall'esercizio di ogni potere gli organi sociali. Fino alla convocazione dell'assemblea e alla deliberazione sul rinnovo degli organi sociali o all'adozione del provvedimento del tribunale che stabilisce le modalità di controllo e di esercizio dei poteri da parte dell'amministratore giudiziario, l'amministratore sospeso mantiene la legale rappresentanza della società»;

4) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«6-ter. Nel caso di sequestro di impresa individuale e fino alla confisca definitiva l'amministratore giudiziario assume la legale rappresentanza dell'azienda»;

n) il comma 1 dell'articolo 43 è sostituito dal seguente:

«1. All'esito della procedura, e comunque dopo il provvedimento di confisca di secondo grado, entro sessanta giorni dal deposito del medesimo provvedimento, l'amministratore giudiziario presenta al giudice delegato il conto della gestione, tenuto conto dei criteri fissati dall'articolo 37, comma 5»;

o) all'articolo 46, il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il tribunale determina il valore dei beni e ordina il pagamento della somma, ponendola a carico del Fondo Unico Giustizia»;

p) dopo il comma 3 dell'articolo 48 è inserito il seguente:

«3-bis. L'Agenzia, entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento di confisca definitiva, ove non debba procedersi a liquidazione, notifica a mezzo di posta elettronica certificata ogni informazione utile sul bene agli enti di cui al comma 3, lettere c) e d). Entro centottanta giorni gli enti di cui al comma 3, lettere c) e d), notificano a mezzo di posta elettronica certificata all'Agenzia la propria dichiarazione di interesse al trasferimento del bene, indicandone le finalità. L'Agenzia emette motivato provvedimento sulla richiesta dell'ente»;

q) all'articolo 51-bis le parole: «entro il giorno successivo al deposito in cancelleria» sono sostituite dalle seguenti: «entro il giorno successivo all'esecuzione del provvedimento»;

r) all'articolo 54 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«3-bis. Su richiesta dell'amministratore giudiziario, il giudice delegato può autorizzare il pagamento anticipato da parte dello Stato dei crediti prededucibili di cui al comma 1, anche quando l'attivo è insufficiente, se hanno ad oggetto spese assolutamente necessarie per evitare un pregiudizio irreparabile ai beni in sequestro»;

s) all'articolo 56, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Nel caso di sequestro di rivendita di tabacchi l'amministratore giudiziario può, previa autorizzazione del giudice delegato, rendere dichiarazione all'Agenzia delle dogane e dei monopoli di subentrare nella autorizzazione alla vendita di tabacchi lavorati in deroga all'articolo 28, comma 1, della legge 22 dicembre 1957, n. 1293; in tal caso assume la posizione di assegnatario per tutta la durata del sequestro e concorda con l'Agenzia delle dogane e dei monopoli la presenza presso la rivendita di coadiutori e assistenti, diversi dal proposto o dai suoi familiari»;

t) all'articolo 57:

1) al comma 2, le parole: «dopo il deposito del decreto di confisca di primo grado» sono sostituite dalle seguenti: «dopo il deposito del decreto di confisca di secondo grado»;

2) al comma 3, le parole: «comma 6» sono sostituite dalle seguenti: «comma 5»;

u) il comma 5 dell'articolo 63 è soppresso;

v) al primo periodo del comma 2 dell'articolo 111 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e che, al momento della nomina, assicuri almeno quattro anni di servizio prima della data di ordinario collocamento a riposo».

Art. 2.
(Modifica all'articolo 240-bis del codice penale)

1. Al secondo periodo del primo comma dell'articolo 240-bis del codice penale, le parole: «, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge» sono soppresse.

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