PDL 1131

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1131

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
RAMPELLI, ALMICI, ANTONIOZZI, CIABURRO, MARCHETTO ALIPRANDI, MILANI, PADOVANI, VINCI, ZURZOLO

Modifica all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di criteri di equilibrio attuariale nella gestione delle casse previdenziali private

Presentata il 2 maggio 2023

torna su

Onorevoli Colleghi! – Un dato oggettivo che caratterizza il presente periodo storico è la crisi sostanziale delle libere professioni.
La crisi economica, la pandemia di COVID-19, l'andamento demografico e altri eventi di particolare gravità a livello globale, come gli effetti inflazionistici indotti dal rimbalzo della domanda mondiale e il conflitto fra Russia e Ucraina, il cui impatto politico ed economico appare imprevedibile anche nel medio periodo, contribuiscono tutti ad «impoverire» i professionisti.
Prendiamo spunto dal Rapporto sull'avvocatura 2022, curato dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, in collaborazione con il Centro studi investimenti sociali (CENSIS), dal quale si evince che i richiamati fattori hanno riverberato i propri effetti sui redditi professionali, decisamente in calo in un contesto generale complesso, che sta ridisegnando lo scenario professionale, presente e futuro, degli avvocati e dei professionisti in genere.
Per l'avvocatura, in particolare, a tutto ciò si aggiunge un elemento di novità: per la prima volta il numero degli iscritti diminuisce in termini assoluti (-3.200 unità).
Alla riduzione degli iscritti ha anche contribuito il numero inedito di cancellazioni registrate nel corso del 2021. Sono state, in totale, 8.707.
La situazione è molto critica per la scarsità di lavoro e l'aumento del livello di difficoltà ed è caratterizzata da un generale senso di incertezza.
Il dato di sintesi sulla condizione professionale, in prospettiva, può essere desunto dalla quota di professionisti che sta prendendo in considerazione l'ipotesi di lasciare l'attività. Sarebbe di quest'avviso circa un terzo degli avvocati (32,8 per cento). A compendio di questa affermazione, chi intende lasciare la professione sarebbe spinto prevalentemente dai costi eccessivi che l'attività comporta e dal ridotto riscontro economico (63,7 per cento).
Il reddito e la sua evoluzione nel tempo rappresentano in maniera molto efficace lo «stato di salute» della professione. I dati elaborati dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, in una prospettiva di lungo periodo, confermano il declino del ritorno economico della professione.
La lunga stagnazione, che da oltre vent'anni ha condizionato l'attività di molti settori del terziario professionale in Italia, ha avuto ripercussioni rilevanti sull'avvocatura.
Nel 2020 la dimensione economica dell'avvocatura, misurata attraverso il reddito complessivo ai fini IRPEF, si è ridotta del 4,1 per cento rispetto all'anno precedente e si è attestata intorno agli 8,5 miliardi di euro. Il volume di affari, pari a 12,8 miliardi di euro, ha segnato una diminuzione del 4,6 per cento. Nell'anno della pandemia di COVID-19, il reddito medio annuo di un avvocato, iscritto alla cassa di previdenza, ha subìto una riduzione di sei punti percentuali, collocandosi su una soglia di poco inferiore a 38.000 euro; il volume d'affari medio è invece diminuito di 6,5 punti percentuali.
La crisi si fa più evidente se esaminiamo la distanza fra il reddito medio di un'avvocato donna e quella di un collega, tanto che occorre sommare il reddito di due avvocati donne per sfiorare, e non raggiungere, il livello medio di reddito percepito da un avvocato uomo: 23.576 euro contro quasi 51.000.
Il divario fra i redditi è ancora maggiore se si prende in considerazione l'età anagrafica degli avvocati. Chi ha meno di trent'anni supera di poco la soglia di 13.000 euro, mentre solo a partire da cinquant'anni è possibile raggiungere un livello superiore al valore medio: 35.905 euro nella classe d'età 45-49 anni, 45.943 euro nella classe d'età 50-54 anni.
Significativo appare, poi, il numero di domande di esonero parziale dai contributi previdenziali pervenute al 1° ottobre 2021, sicuro indice dell'impossibilità di far fronte al pagamento. Complessivamente le richieste sono state ben 66.851. Per non parlare, poi, del rilevante numero di morosità riscontrate attualmente.
Il contesto generale sta imponendo da oltre due anni una condizione di grande incertezza ed evidente è lo stato di disagio che stanno attraversando le professioni e, in particolare, l'avvocatura.
La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense si attende una profonda modifica nella composizione demografica della categoria dei propri iscritti, che vedrà presumibilmente una riduzione della platea, dovuta al maggior numero di cancellazioni dagli albi conseguenti anche alla migrazione di molti professionisti negli impieghi pubblici messi a disposizione a seguito dei numerosi concorsi banditi dallo Stato e dai principali enti pubblici. Sarà compito degli attuari, dunque, disegnare i nuovi scenari della professione e le nuove linee reddituali e di speranza di vita, con riferimento allo scenario post COVID-19 che, ovviamente, non potrà essere identico a quello analizzato nel periodo precedente.
A riprova delle difficoltà in cui versano i professionisti, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense ha avviato azioni di recupero crediti per circa 100.000 avvocati morosi.
V'è da aggiungere che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, (da ultimo Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza n. 544 del 26 giugno 2020 – 14 gennaio 2021) l'iscritto a una cassa di previdenza privata, nel caso in cui decida di cancellarsi senza aver acquisito il diritto alla pensione, non ha alcun diritto al rimborso dei contributi soggettivi versati. La Suprema Corte ha, infatti, confermato l'orientamento già espresso dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità secondo cui la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense è una persona giuridica di diritto privato, è un ente senza scopo di lucro e non fruisce di finanziamenti pubblici; pur essendo divenuto privato, resta soggetto a controlli pubblici, come la verifica ministeriale dei bilanci, il controllo della Corte dei conti e quello della Commissione parlamentare poiché permane inalterato il carattere pubblicistico dell'attività svolta; alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense è stata riconosciuta un'autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, a cui consegue il potere di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti. Il suddetto potere di deroga deriva dalla delegificazione.
In questo scenario a tinte fosche si inseriscono gli adempimenti richiesti dalla cosiddetta «legge Fornero» a carico delle casse di previdenza private, alle quali, ai sensi dell'articolo 24, comma 24, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è imposto di «assicurare l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni».
Il patrimonio della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense nel bilancio consolidato del 2021, ovvero il miglior bilancio consolidato della sua intera storia, ammonta a 15,2 miliardi di euro circa e, utilizzando le modalità di calcolo con cui la legge Fornero impone di assicurare l'equilibrio tra le entrate e la spesa pensionistica, nel 2049, benché si presuma che raggiungerà circa 50 miliardi di euro, secondo le previsioni attuariali potrebbe entrare in squilibrio.
Per questo, al fine di assicurare l'ipotetico equilibrio tra le entrate contributive e le spese per le prestazioni pensionistiche, così come individuate su calcoli del tutto empirici, il Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense ha recentemente approvato una riforma del regolamento unico della previdenza forense che comporterà:

a) l'aumento dei contributi per tutti (dal 15 per cento al 17 per cento), compresi i pensionati (contributo a fondo perduto dal 7,5 per cento al 10 per cento);

b) la diminuzione dell'ammontare delle future pensioni (coefficiente moltiplicatore ridotto da 1,40 per cento a 1,30 per cento), comprese quelle minime (da euro 923 a euro 692 mensili);

c) il mantenimento dell'attuale elevato importo delle sanzioni (fino al 50 per cento sul dovuto) e degli interessi (2,75 per cento) per i ritardati pagamenti.

Questi aumenti andrebbero a incidere fortemente sulla sostenibilità della professione, penalizzando soprattutto le fasce più deboli, ossia le donne e i giovani, già fortemente in crisi per la congiuntura economica negativa degli ultimi anni.
Da qui la necessità di fermare questa riforma riducendo l'arco temporale di riferimento dei bilanci, ai fini dell'equilibrio finanziario delle gestioni, al massimo a trentacinque anni, rispetto agli attuali cinquanta, con la facoltà inoltre di poter attingere, in caso di necessità, ad almeno una parte del consistente patrimonio dell'ente.
È opportuno sottolineare che tale riduzione non avrebbe alcuna incidenza sul bilancio dello Stato, poiché le casse di previdenza private sono persone giuridiche di diritto privato ed enti senza scopo di lucro che non fruiscono di finanziamenti pubblici.
Al riguardo, si rileva che l'intervento di modifica del citato comma 24 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, nel senso indicato dalla presente proposta di legge, è possibile tenuto conto che la richiamata riforma del regolamento unico della previdenza forense potrà entrare in vigore solo dopo che i Ministeri vigilanti, ossia il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della giustizia e il Ministero dell'economia e delle finanze, avranno dato il via libera.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Al primo periodo del comma 24 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le parole: «l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni» sono sostituite dalle seguenti: «l'equilibrio tra entrate contributive non inferiori all'80 per cento e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di trentacinque anni».

torna su