PDL 1113

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                Capo I
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                Capo II
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                Capo III
                        Articolo 13
                        Articolo 14
                        Articolo 15
                        Articolo 16
                Capo IV
                        Articolo 17

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1113

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
SERRACCHIANI, SCARPA, CUPERLO, LACARRA

Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all'attuazione e allo sviluppo dei princìpi di cui alla legge 13 maggio 1978, n. 180

Presentata il 21 aprile 2023

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Onorevoli Colleghi! — La legge 13 maggio 1978, n. 180, poi confluita nella legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, ha rappresentato un tornante decisivo per la storia della legislazione sociale in Italia. Quell'impianto normativo, più noto con la denominazione vulgata di «legge Basaglia», non si è limitato solo a sopprimere l'ospedale psichiatrico sancendone l'inadeguatezza quale istituto di cura per chi soffre di disturbi mentali, ma ha delineato pionieristicamente il sistema dei servizi di assistenza psichiatrica senza e oltre il manicomio. La legge n. 180 del 1978 radica nell'ordinamento italiano un sistema di assistenza reticolare su base territoriale. Vi si rinviene, infatti, il fondamento per la struttura amministrativa dei dipartimenti di salute mentale quali pilastri organizzativi dell'assistenza psichiatrica e, quindi, di un ambito assai rilevante del sistema italiano di benessere sociale.
Eppure, la legge n. 180 del 1978 portò ulteriori e rilevanti novità riuscendo a varcare una soglia oltre la quale nessun altro ordinamento democratico si è spinto. Il superamento dell'architrave della legislazione giolittiana, che accostava la malattia mentale alla pericolosità sociale, per sé o per altri, e all'essere di pubblico scandalo, determinò un radicale mutamento del sistema dei trattamenti sanitari obbligatori, attualmente disciplinati dagli articoli 33, 34 e 35 della citata legge n. 833 del 1978. Dunque, l'abolizione per via legislativa della falsa equazione tra disturbo mentale e pericolosità sposta il tema dell'assistenza psichiatrica sul fronte dei diritti sociali, della fruizione delle prestazioni assistenziali volte a garantire il diritto fondamentale alla salute mentale, tutelato dall'articolo 32 della Costituzione. Anche oltre il declino dell'anacronistica istituzione custodialistica, il legislatore della primavera del 1978 proiettò definitivamente la tutela della salute mentale nell'alveo di protezione offerto dai diritti a una prestazione, depurandolo di improprie implicazioni di sicurezza pubblica. Eppure un'opera tanto valida, uno dei capitoli della nostra migliore progettazione legislativa, ha visto un'applicazione sofferta, lungo l'articolato snodarsi di quarant'anni di storia. Ardui ostacoli e talune incognite interpretative – queste ultime, non di rado, pretestuose – ne hanno incrinato l'effettività e rallentato l'attuazione, almeno fino alla definitiva adozione dei progetti-obiettivo per la salute mentale della seconda metà degli anni novanta, cui si devono il totale completamento delle dimissioni dagli ospedali psichiatrici e una maggiore attenzione agli istituti previsti dalla riforma del 1978, con le indicazioni del secondo progetto-obiettivo «Tutela salute mentale (1998-2000)».
Da tempo si coglie, tuttavia, nel nostro Paese una diffusa e profonda preoccupazione per lo stato della rete dei servizi di salute mentale. Sono le associazioni dei familiari e delle persone che vivono l'esperienza del disturbo mentale a denunciare inadeguatezza, a chiedere attenzioni maggiori e diverse, risposte concrete, più certe e durature. Operatori professionali, cooperatori sociali, cittadini attivi si aggregano e convergono nella denuncia rilevando l'urgenza del cambiamento.
Non è raro che i mezzi di comunicazione di massa segnalino la qualità frammentaria dei percorsi di cura, le pratiche segreganti e contenitive, il ritorno prepotente di servizi fondati sul modello bio-farmacologico. Ancora, non di rado, si scoprono, nelle regioni del nord come in quelle del sud, luoghi di abbandono e violenza che diventano oggetto dell'intervento della magistratura. Si registra da tempo una diffusa disattenzione alle necessarie politiche innovative. L'impoverimento progressivo dei servizi e dei sistemi di benessere sociale espone ormai a grave rischio la possibilità di cura, ripresa, guarigione di tante persone, che oggi sarebbe alla nostra portata. Parliamo qui non più, come spesso si finisce per lasciare intendere, del vecchio internato, del grigiore di immagini, risalenti agli anni sessanta e settanta, che pure siamo riusciti a lasciarci alle spalle. Stiamo pensando, e non senza una tormentata partecipazione, alle ragazze e ai ragazzi, ai giovani adulti che per la prima volta si trovano a vivere l'esperienza del disturbo mentale severo. Un'esperienza, questa, di per sé drammaticissima, che rischia di subire l'impatto con interventi inadeguati, spesso violenti e disabilitanti con la conseguenza di costringere il giovane e la sua famiglia a entrare in un labirinto senza vie d'uscita.
Possibilità di accoglienza gentile, di buona cura, di prospettive ottimistiche e di ripresa più efficaci sono realizzabili ovunque, ma è con estrema disomogeneità che vengono praticate. Nella maggior parte delle regioni il rischio di cattive pratiche resta ancora molto elevato.
Malgrado tutto, continua ancora lunga l'onda dei percorsi di inclusione, di allargamento della democrazia partecipata dei servizi e dei diritti, avviata dalla legge n. 180 del 1978; questa ha messo fine allo stato degradato e ghettizzante per le persone con problemi di salute mentale, che sempre più entrano in gioco come protagonisti nel rivendicare i loro diritti di cittadinanza piena, intervenendo con consapevolezza nel dibattito sulla malattia, sulla guarigione, sui percorsi di ripresa, sulla qualità delle risposte dei servizi. Decine di migliaia di operatori di ogni profilo professionale s'impegnano quotidianamente con generosità e partecipazione. I «servizi per le persone» fondano la loro buona pratica sulla centralità degli individui, sulla motivazione, sul senso di appartenenza. Non sfugga la sintonia di queste pratiche con lo spirito e il testo dell'articolo 2 della Costituzione italiana che – occorre ancora una volta ribadirlo – pone la persona al centro dell'ordito della Carta fondamentale.
Spesso i dispositivi organizzativi e le inerzie amministrative rendono problematica la crescita della risorsa umana, dei giovani operatori in particolare, preziosissima e unica per un efficace affiancamento nel non facile lavoro terapeutico e riabilitativo. Da queste consapevolezze discende l'urgenza di una proposta di legge per la promozione e la garanzia della salute mentale nel nostro ordinamento.
Il rapporto del febbraio 2013 della Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale su «alcuni aspetti della medicina territoriale, con particolare riguardo al funzionamento dei Servizi pubblici per le tossicodipendenze e dei Dipartimenti di salute mentale», approvato all'unanimità, costituisce il frutto di un attento lavoro di indagine, analisi e dibattito parlamentare.
Al lavoro della Commissione occorre fare costante riferimento. Essa operò nella «consapevolezza che le conoscenze scientifiche e le pratiche cliniche della psichiatria di oggi, in continua evoluzione a livello internazionale» richiedono aggiornamenti continui nelle organizzazioni, nelle politiche sociali di prevenzione, negli interventi a sostegno delle famiglie.
Quasi mezzo secolo di esperienze con intensità e tensioni diverse ha toccato tutte le regioni italiane. Le normative nazionali e regionali sulla tutela della salute mentale, le linee di indirizzo, i progetti-obiettivo che si sono susseguiti hanno creato ovunque uno scenario nuovo e una prospettiva ricca di possibilità. Gli strumenti normativi in mano ai governi locali avrebbero potuto offrire sufficienti possibilità di più ampia attuazione e organizzazione dei servizi nella direzione della salute mentale comunitaria e delle pratiche di integrazione, in quella visione centrata sulla persona, di cui si diceva. Accade invece che le indicazioni governative ricevano applicazione incompleta e troppo difforme tra le diverse regioni, con deroghe di fatto non sempre correlabili a impedimenti di carattere economico o a elementi di differenziazione che, purtroppo, non realizzano modelli virtuosi di regionalismo cooperativo, ma aumentano la forbice della diseguaglianza: ove si è verificata la disapplicazione delle norme, per disimpegno politico e incapacità amministrativa o ancora per scelte di modelli di cura superati e insufficienti, ne sono derivate carenze e diseguaglianze a livello regionale e locale.
Dove invece il riferimento alla legge di riforma del 1978 è stato costante e le regioni hanno scritto e messo in atto, con sollecitudine, i piani per la salute mentale e disegnato reti di servizi coerenti e aderenti ai princìpi della legge stessa, i servizi hanno cominciato a prendere forma, sono diventati visibili e veramente alternativi agli istituti e alle culture che si riteneva con convinzione di voler abbandonare. I risultati sono evidenti, tanto che gli stessi sono stati valutati dall'organizzazione mondiale della sanità (OMS) come modelli di eccellenza internazionale; ove ciò non è avvenuto, si sono prodotte lacune, anche gravi, nella rete globale dell'assistenza sanitaria, fino a situazioni di vero e proprio degrado.
Il faticoso cambiamento che si avviò con le prime timide esperienze di comunità terapeutica e di «liberazione» degli internati nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, negli ormai lontani anni sessanta, ha arricchito il nostro Paese di culture, di esperienze e di pratiche della deistituzionalizzazione sicuramente innovative; si è diffuso un esteso interesse che, nel corso del tempo, ha attraversato ambiti istituzionali molto ampi: dalla medicina alla scuola, alle carceri, ai ricoveri per gli anziani, agli istituti per i minori e per le persone con disabilità e, più in generale, all'intero ambito delle politiche di benessere sociale.
Le pratiche del cambiamento in Italia hanno influenzato i programmi di molti altri Paesi e sono state assunte come esemplari in numerosi documenti dell'Organizzazione mondiale della sanità. Con molta più fatica vengono fatte proprie dalle programmazioni e dalle politiche locali e ancora, con ritardi e distrazioni non più giustificabili, dalle università e nei programmi di formazione di tutte le figure professionali impegnate nei diversi ambiti della salute mentale comunitaria. Non si può non prendere atto delle diverse declinazioni regionali delle normative nazionali, che «anche quando legittimamente congrue agli indirizzi generali» – annota la Commissione parlamentare – «hanno comunque prodotto una difformità di servizi sul territorio nazionale, con differenze, anche sostanziali, nelle possibilità di cura del cittadino nel luogo di vita».
Merita qui ricordare il tenore del citato articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Malgrado la frammentarietà e la scarsità di studi valutativi, l'insufficienza di strumenti di verifica e di vigilanza e la disattenzione dei Ministeri, delle regioni e delle aziende che si sono succeduti, una descrizione qualitativa e quantitativa del sistema di salute mentale è oggi comunque possibile. Bisogna riferirsi a quanto prodotto dal Ministero della salute (certo, occorre ripeterlo, in maniera discontinua e talvolta asistematica), alle ricerche dell'Istituto superiore di sanità e delle società scientifiche (segnatamente dalla Società italiana di epidemiologia psichiatrica) e, ancora, ai rapporti descrittivi annuali delle singole regioni relativi all'allocazione delle risorse, alla quantità degli operatori impegnati, ai profili professionali, alla sensata distribuzione nel territorio, alla disposizione strategica dei servizi, alla presenza del privato sociale e del privato mercantile.
Un contributo empirico, che viene dall'esperienza immediata e dalla pratica, giunge dall'ascolto attento (e non strumentale) delle persone che sperimentano direttamente il disagio mentale e dei loro familiari. Non di rado, le associazioni hanno prodotto rapporti preziosissimi. Non trascurabile, e anzi fondamentale per ricostruire una piattaforma basata sul riconoscimento della singolarità, della dignità e del diritto delle persone è la risoluzione del febbraio 2000, adottata dal Comitato nazionale per la bioetica. Essa insiste sulla presenza sempre unica della persona in tutti i passaggi del processo di cura. Non si deve omettere di citare, peraltro, la più recente risoluzione del maggio 2015, relativa alla questione giuridica della contenzione biomeccanica, di cui finalmente si comincia a cogliere il profilo di illiceità assoluta. Il rapporto finale della Commissione parlamentare già citata, adottato nel 2013, fu frutto di numerose visite ai dipartimenti di salute mentale, di audizioni di operatori, di familiari, di amministratori; non a caso permette, con migliore ordine, di entrare nel merito di una valutazione critica dello stato dell'intera rete dei servizi.
I dipartimenti di salute mentale (DSM) presenti nelle regioni vanno diminuendo di numero, in ragione di accorpamenti di più aree territoriali conseguenti a programmi di «razionalizzazione» e di contenimento delle risorse, peraltro già al limite della sufficienza. L'estensione talvolta spropositata del bacino di utenza (in alcune regioni fino a 2 milioni di abitanti) crea vere e proprie impossibilità di governo, tradendo la dimensione della «piccola scala», uno dei princìpi fondativi della riforma del 1978 e del lavoro territoriale.
Questo «gigantismo istituzionale», come lo si è chiamato, molto sottrae alle opportunità di cura e la presenza di programmi riabilitativi ben strutturati spesso diviene miraggio. Talora, i dipartimenti non riescono efficacemente a uniformare l'offerta di cure e di servizi all'interno del loro bacino di riferimento. La recente chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari ha ribadito l'esclusività e la centralità della presenza strategica dei DSM; ha però evidenziato drammaticamente le differenze: la presa in carico delle persone in uscita dall'internamento ha sopportato ritardi e spesso soluzioni che attendono di essere ulteriormente riconsiderate.
In questo speciale frangente, la presenza di una struttura organizzativa forte, ben motivata e strategicamente presente sul territorio ha fatto la differenza, dimostrando quanto siano aggredibili anche le scommesse più ardue e quanto la cura, la ripresa e una vita dignitosa siano possibili per tutte le persone che vivono le diverse condizioni del disagio mentale e tanto più per la vasta popolazione affetta da disturbi mentali severi sempre soggetti al rischio di cronicizzazione e di deriva sociale.
Più di una persona su 100 è affetta da un disturbo mentale severo comportante rischio di disabilità e di marginalità sociale. Dunque, quasi un milione di persone, un numero che triplica se si considerano i familiari e le persone più vicine coinvolte.
I centri di salute mentale (Csm), presenti mediamente in numero adeguato in tutto il territorio nazionale (1 ogni 80-100.000 abitanti), non sono equamente distribuiti. In alcune regioni, per via delle razionalizzazioni e degli accorpamenti, vanno ulteriormente riducendosi di numero, insistendo su aree estese e popolazioni sempre più numerose. Sono aperti per fasce orarie ridotte. Ad eccezione di alcune realtà regionali, i Csm sono aperti per 8-12 ore al giorno per 5 giorni alla settimana. Gli interventi di gestione della crisi, di presa in carico individuale, di sostegno alle famiglie e all'abitare, di integrazione sociale finiscono per essere insufficienti o del tutto assenti. Frequente è la riduzione alle sole visite ambulatoriali (con il ricorso a sterminate liste di attesa) per prevalenti prescrizioni farmacologiche.
L'effetto di scarico sulle altre stazioni del sistema sanitario territoriale e ospedaliero è facilmente intuibile. La risposta all'emergenza, alla crisi e al bisogno di percorsi riabilitativi diventa frammentaria e incerta, provocando una domanda mai esauribile di posti letto nei servizi psichiatrici ospedalieri, nelle case di cura private, nelle strutture residenziali.
«Come conseguenza» – annota la Commissione parlamentare di inchiesta – «le tipologie delle prestazioni risultano poco o per nulla declinate sulle necessità della persona, a partire dalla disponibilità all'ascolto, mancano il sostegno integrato con il sociale presso il domicilio, la risposta all'emergenza e alla crisi nelle 24 ore, la mediazione familiare in situazione di allarme». L'esiguità di tali opportunità di intervento, personalizzato e domiciliare, risulta essere tanto più rilevante se va a scapito delle famiglie più bisognose per problemi psicopatologici gravi e complessi.
Il ricorso frequente e reiterato al trattamento sanitario obbligatorio (TSO) è sintomo di carenza di offerta e di incapacità di intercettare il disagio mentale sul nascere, di assenza di azioni di tipo preventivo dell'acuzie. Considerazioni analoghe vanno svolte nel constatare le difficoltà dei Csm di occuparsi della salute mentale della popolazione detenuta, considerato anche i nuovi contesti e le nuove domande derivanti dalla totale e definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura rappresenta, drammaticamente, l'unico servizio all'interno del territorio che risponde nell'arco delle 24 ore. Il suo buon funzionamento è strettamente dipendente dalla coerente organizzazione dipartimentale e da un investimento rilevante sul Csm. La fragilità del servizio territoriale e spesso la totale mancanza di coordinamento e di comunicazione producono sovraffollamento, pratiche di contenzione, porte chiuse. È questo il luogo del trattamento sanitario volontario e del TSO, che divengono in sostanza risposte totalizzanti offerte in organizzazioni sezionali dell'ordinamento.
I servizi psichiatrici di diagnosi e cura rimangono per la maggior parte (8 su 10) luoghi chiusi non solo per i ricoverati, ma anche, dall'esterno all'interno, per le associazioni di familiari e utenti, per il volontariato formalizzato e informale, a scapito di un «sapere esperienziale» prezioso che viene perduto. È largamente diffusa la pratica della contenzione meccanica. Il trattamento è ovunque prevalentemente farmacologico. In ragione del pregiudizio della pericolosità, spesso le porte sono blindate, appaiono i videocitofoni, le telecamere chiamate a proteggere una preoccupante inaccessibilità e a produrre un forte impatto stigmatizzante. Le salette per i visitatori impediscono, il più delle volte, di entrare materialmente nelle stanze dei ricoverati. La qualità della vita delle persone sottoposte a trattamento è spesso misera e in nome della sicurezza è fatto divieto ai pazienti di possedere gli effetti personali usati comunemente nella vita quotidiana. Il TSO, ossia la sua regolamentazione, nucleo sensibile – ma certo non dominante – della legge di riforma del 1978, rappresenta il punto di massimo equilibrio tra il bisogno di cura oggettivamente riconosciuto e la mancanza di consenso, fino al limite estremo del rifiuto ostinato; nella pratica subisce, all'atto della sua applicazione, distorsioni e disattenzioni tali da renderlo strumento di repressione e di mortificazione.
Le modalità di esecuzione del TSO sono variegate da una regione all'altra e talvolta anche nell'ambito della stessa regione. Queste differenze espongono i cittadini a cattive pratiche e a lesioni dei loro diritti fondamentali, solo in ragione della loro appartenenza territoriale. Anche nelle statistiche il ricorso a questa pratica trova differenze molto significative (da un tasso di 6/100.000 TSO per anno in alcune regioni a 30/100.000 in altre) mostrando ancora di più, e drammaticamente, le differenze delle politiche territoriali. Le «strutture residenziali» sono presenti in tutte le regioni e ormai consumano più della metà delle risorse regionali per la salute mentale. La tendenza a ricorrere al «posto letto residenziale» sembra in crescita inarrestabile e riduce irrimediabilmente la consistenza e la capacità di intervento dei servizi territoriali. Occorre dunque ripensare alla presenza della cooperazione sociale, costretta ad appiattirsi su infelici politiche regionali. Rischia di diventare dominante la diffusione di luoghi che assomigliano a cronicari. Le ingenti risorse, passivamente dedicate alla «residenzialità», sarebbero sufficienti per ripensare a forme diverse dell'abitare, dell'inserimento lavorativo, del vivere sociale. I progetti riabilitativi individuali, dove attivati, producono risultati tanto evidenti quanto inaspettati.
Gli aggettivi che si trovano per coprire il fallimento delle pratiche residenziali e per qualificare questi luoghi come rassicuranti e necessari evocano la certezza della cura e dell'accoglienza: «terapeutico», «riabilitativo», «residenziale», «familiare», «sociale», «comunitario».
Da molto tempo, ormai, è evidente che il guasto maggiore nell'assetto dei servizi di salute mentale è il ricorso illimitato, confuso e costosissimo a queste strutture e ancora peggiore la delega totale della gestione, della cura, delle risorse al privato, sociale o mercantile che sia.
Le strutture residenziali hanno avuto in questi ultimi anni, in particolare dopo il 1998, a seguito della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici, una notevole crescita numerica: dalla ricerca «Progres – progetto residenze» (Istituto superiore di sanità, 2001), i posti-residenza nelle regioni risultavano essere circa 17.000. Da allora l'espansione si è rivelata inarrestabile.
Il numero, anche se non verificato, è comunque rilevantissimo. Oltre 20.000 (forse 30.000) sono le persone che, a vario titolo, sono ospitate in strutture residenziali. I tempi di permanenza, meglio si direbbe di ricovero se non di internamento, diventano sempre più consistenti. Vi sono persone, e non sono poche, che in queste strutture permangono inerti da più di trent'anni. In tutte le regioni questa scelta, la scelta della comunità, che originariamente è stata perfino affascinante per molti giovani operatori, attratti dalla suggestione della «comunità», dell'accoglienza, della convivenza, è diventata un affare di dimensioni spesso mal gestibili proprio dagli stessi dipartimenti e dalle amministrazioni che le hanno fatte nascere. Un numero rilevante di operatori – accompagnatori, tecnici, psicologi, psichiatri, infermieri – è impegnato in questo esteso arcipelago. Come isole lontane, queste strutture hanno perduto il contatto con la terra ferma, col servizio pubblico, col DSM, con una qualsivoglia razionale attenzione a un progetto articolato e condiviso.
Alcune strutture residenziali appaiono sovradimensionate nel numero, lontane dalla quotidianità dei paesi e dei quartieri, anonime, prive di oggetti, regolate ancora da logiche manicomiali. Spesso separate dal Csm, con équipe del tutto distinte e con profili professionali inadeguati, presentano un volto totalmente autoreferenziale. Sono dunque luoghi che non danno sbocco a forme di abitazione o convivenza più autonome e integrate nella comunità. In conseguenza dell'espansione residenziale sanitaria e delle scarse possibilità di dimissione dei pazienti accolti, le aziende sanitarie locali finiscono per attuare deroghe di fatto alle normative nazionali e regionali sui tempi di ricovero e sulle dotazioni strutturali e di personale; anche i controlli in quest'ambito sono, in alcuni casi, divenuti superficiali o addirittura inesistenti. Molte strutture rischiano di diventare contenitori di emarginazione sociale della disabilità psichica, contrariamente alle finalità dichiarate, con conseguenti fenomeni di vagabondaggio tra luoghi di ricovero. L'offerta di ricoveri in cliniche private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, in alcune regioni al limite dello scandalo, accessibili anche senza coordinamento da parte dei Csm, completano il quadro della residenzialità e rappresentano l'espansione di modelli di assistenza ospedaliera al di fuori della cultura territoriale dei progetti-obiettivo e dei piani per la salute mentale successivi alla legge n. 180 del 1978.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, cui la presente proposta di legge fa esplicito e reiterato richiamo, all'articolo 1 dichiara «che lo scopo della Convenzione è promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità».
In questo quadro le azioni di difesa dei diritti delle persone con disabilità, e qui segnatamente di quanti vivono l'esperienza del disturbo mentale, assumono un valore assoluto e segnano il cammino di ogni uomo e di ogni donna verso la totale eguaglianza.
Il diritto alla cura è coniugato nel contesto universalistico degli altri diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, recepita dall'Italia nel 2009. Tale importante documento ha confermato le anticipazioni della legge di riforma italiana del 1978, ampliandone la portata e specificandole a livello del singolo soggetto, cui vengono riconosciute libertà fondamentali e la titolarità di ogni decisione sulla propria vita. Nel contrastare ogni forma di discriminazione legata a disabilità o a diagnosi, essa rimanda a un concetto di assistenza sociale d'inclusione e non solo di protezione. Non a caso l'Organizzazione mondiale della sanità lo ha assunto a documento-base per il piano d'azione 2013-2020.
La conseguenza autentica della scelta che ha compiuto il nostro Paese nel sottoscrivere e fare proprio il dettato della Convenzione non può non comportare azioni attente di vigilanza e promozione, nella concretezza della vita e del governo quotidiano, dispositivi organizzativi, campagne culturali, risorse umane qualificate per affermare e rendere esigibili i diritti delle persone con disabilità, per sostenere le famiglie, per rendere visibili i gruppi sociali esposti a maggiore rischio di discriminazione, esclusione e stigmatizzazione. La presente proposta di legge intende conferire ulteriore efficacia ai princìpi della «legge Basaglia», rilanciando l'attualità delle linee di fondo e ulteriormente valorizzandole nell'attuale contesto costituzionale, normativo e sociale. Dunque, non un'iniziativa legislativa di modifica o revisione, si badi. Nessuna delle disposizioni introdotte con questa proposta di legge novella o integra il testo della legge n. 180 del 1978, fatta eccezione per la previsione di un'ulteriore garanzia sostanziale e processuale contro la disumana pratica della contenzione meccanica nei servizi psichiatrici.
L'obiettivo che ci si propone di perseguire è, invece, quello di rilanciare l'applicazione della legge n. 180 del 1978, rafforzarne i contenuti di assistenza effettiva e universale nel territorio nazionale, confermare la portata di definizioni e princìpi che non meritano di mutare ma, al contrario, di essere sviluppati ed estesi. Viene pertanto garantita l'effettività del diritto alla salute, il quale, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità non è – conviene ricordarlo sin da questa relazione illustrativa – «assenza di malattia», ma si definisce come «stato psicofisico di benessere».
La proposta di legge si compone di quattro capi.
Il capo I (articoli da 1 a 4) contiene una nuova disciplina puntuale volta a svolgere e applicare i princìpi che sono alla base della riforma del 1978, adeguandoli al mutato sistema di competenze amministrative tra lo Stato e gli enti pubblici territoriali; definisce, inoltre, l'orizzonte di sviluppo dell'assistenza psichiatrica italiana, nel quadro dei più rilevanti atti di indirizzo in ambito sovranazionale e, in particolare, le risoluzioni adottate in seno all'Organizzazione mondiale della sanità e le fonti pattizie internazionali.
L'articolo 1 della proposta di legge fissa il quadro normativo e le finalità fondamentali della legge delineandone, tra l'altro, la natura primigenia di provvedimento di diretto sviluppo dei contenuti normativi che già furono alla base della legge n. 180 del 1978.
L'articolo 2 reca i princìpi generali secondo i quali sviluppare l'offerta di salute mentale sul territorio nazionale. All'articolo 3 è affidata la disciplina e la regolazione dei livelli essenziali dell'assistenza per le persone con disagio e disturbo mentale. Si tratta di una disposizione di portata assai rilevante poiché costituisce, forse, il più forte strumento di garanzia e definizione del nucleo indefettibile di assistenza psichiatrica che deve essere garantito ovunque, sul territorio nazionale.
Complementare a tale istituto è quanto disciplinato dall'articolo 4, che ha riguardo al piano nazionale per la salute mentale. Si richiama il valore fondamentale delle politiche di prevenzione integrate, le quali rappresentano, anche secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, la frontiera per abbattere l'incidenza del disturbo mentale e costituiscono la chiave per offrire risposte adeguate oltre che per decisivi risparmi di risorse.
Nel capo II (articoli da 5 a 12) viene analiticamente delineato il sistema dei servizi di tutela e assistenza psichiatrica sul territorio.
Con l'articolo 6 si disciplinano e favoriscono le forme di partecipazione. Seguono, quindi, le analitiche previsioni delle strutture amministrative che afferiscono al dipartimento di salute mentale: i centri di salute mentale; le strutture residenziali; i centri diurni. Esplicite disposizioni (articoli 10 e 11) sono inoltre dedicate al trattamento della crisi e dell'urgenza nonché ai servizi psichiatrici di diagnosi e cura sui quali, pure, già la legge n. 180 del 1978 era tutt'altro che priva di indicazioni.
Proprio l'articolo 10 si occupa di esplicitare e rendere ancora più nitido, anche a livello di disciplina di legge ordinaria, il divieto di praticare la contenzione meccanica nelle cure psichiatriche. Si tratta di attività illegittime e illecite cui si fa troppo sovente ricorso, talvolta in forma sommersa, silenziosa e strisciante, nella rete dei servizi per l'assistenza psichiatrica. Appare innanzitutto opportuno rammentare i casi, drammaticamente assurti all'attenzione delle cronache, di decessi verificatisi dopo l'illegittimo ricorso alla contenzione nel servizio di diagnosi e cura di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno, nell'agosto 2009, e dopo un prolungato stato di contenzione nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura nell'ospedale di Cagliari nel giugno 2006.
Ma ben oltre i clamorosi e drammatici fatti connessi a tali tragiche vicende, la produzione scientifica e il dibattito culturale nel Paese (e, da ultimo, anche la rilevante pronuncia del Comitato nazionale per la bioetica, dianzi citata) evidenziano la necessità di porre un freno normativo alle pratiche di contenzione delle persone affette da disturbo mentale, che cagionano danni spesso irreversibili alle coloro che le subiscono e gettano una luce sinistra su un intero ordinamento giuridico. Invero, l'illiceità delle contenzioni biomeccaniche in ambito medico-psichiatrico dovrebbe dirsi già direttamente sancita alla luce della Costituzione del 1948, soprattutto se si tiene a mente il chiaro dettato dell'articolo 13, quarto comma, della Carta fondamentale, il quale dispone: «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Dunque l'articolo 10 della proposta di legge che qui si illustra interviene introducendo un limite normativo espresso nel tessuto dell'articolo 33 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, per poi corredarlo di una specifica disposizione di garanzia processuale, innestata sul complesso di norme recate dal successivo articolo 35 della medesima legge.
L'articolo 11 regola l'integrazione socio-sanitaria e l'istituto del budget individuale di salute.
L'articolo 12 reca disposizioni volte a incrementare le relazioni e i rapporti istituzionali integrati tra i dipartimenti di salute mentale, gli istituti di pena e le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, che hanno di recente sostituito ruolo e funzione degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle case di cura e custodia. L'obiettivo risiede nel consentire a ciascun magistrato della cognizione e di sorveglianza di poter disporre di un ventaglio di opzioni di assistenza psichiatrica per le persone affette da disturbo mentale che abbiano commesso un reato, adeguate e in grado di rispondere alle esigenze del singolo individuo. Solo così potrà realizzarsi l'obiettivo più alto perseguito dal decreto-legge n. 52 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 81 del 2014: quello di far ricorso alle misure di sicurezza detentive, per l'infermo di mente autore di reato, solo come soluzione estrema e residuale.
Il capo III (articoli da 13 a 16) disciplina le tecniche, i mezzi di promozione della salute psichica e, in definitiva, assegna la giusta preminenza al tema della prevenzione dei disturbi mentali come direttrice guida dell'operato dei servizi territoriali e dell'indirizzo politico governativo. Regola inoltre i rapporti del sistema di tutela della salute mentale con le università e i centri di alta formazione. Le disposizioni contenute negli articoli compresi nel capo III dettano altresì i princìpi in materia di formazione permanente del personale e istituiscono il sistema degli osservatori per la salute mentale a livello nazionale e territoriale.
Da ultimo, il capo IV (articolo 17) reca la disciplina relativa al finanziamento dei dipartimenti di salute mentale.
La presente proposta di legge è stata predisposta grazie al fondamentale contributo di numerosi esperti, professionisti, associazioni e persone che con impegno e competenza si prodigano quotidianamente per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone affette da disturbo mentale e confidano nella concreta attuazione, in tutto il territorio nazionale, di misure adeguate a garantire alle persone l'effettivo accesso a un'assistenza sanitaria e socio-sanitaria che tenga conto delle loro specifiche esigenze.

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
PRINCÌPI GENERALI E FINALITÀ

Art. 1.
(Finalità)

1. La presente legge ha lo scopo di promuovere e proteggere il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone con disagio e disturbo mentali nonché di prevedere misure adeguate a garantire alle persone stesse e alle comunità l'effettivo accesso a un'assistenza sanitaria e socio-sanitaria che tenga conto delle loro specifiche esigenze.
2. Le finalità previste dalla presente legge sono perseguite attraverso azioni volte alla realizzazione dei seguenti obiettivi:

a) rimuovere qualsiasi forma di discriminazione, stigmatizzazione ed esclusione nei confronti delle persone con disagio e disturbo mentali nonché promuovere l'esercizio attivo dei diritti costituzionali e delle libertà fondamentali da parte delle stesse;

b) garantire la piena applicazione delle disposizioni previste dagli articoli 34, 35, 36 e 64 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con particolare riguardo alle modalità di attivazione ed esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio, al fine di evitare ogni forma di coercizione;

c) valorizzare le attività e le iniziative volte a promuovere la prevenzione del disagio e del disturbo mentali, con particolare riferimento allo stile di vita, all'ambito familiare, al lavoro, alla scuola, agli ambienti di lavoro e alla comunità;

d) garantire, con continuità ed efficacia, l'attuazione di percorsi personalizzati mediante l'erogazione di prestazioni integrate e appropriate, centrate sulla persona e sul suo complessivo ambito relazionale, nonché riconoscere il valore fondamentale della promozione dei percorsi di cura nel contesto di vita;

e) attivare e valorizzare programmi di reinserimento abitativo, lavorativo e sociale;

f) definire i principali strumenti deputati al governo dei servizi per la salute mentale;

g) ridefinire gli indirizzi in materia di profili professionali e formazione nel settore della salute mentale.

3. Le disposizioni previste dalla presente legge costituiscono attuazione dell'articolo 32 della Costituzione e dei princìpi previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva dalla legge 3 marzo 2009, n. 18, e dagli articoli 33, 34, 35 e 64 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.

Art. 2.
(Princìpi generali)

1. Ogni cittadino ha diritto di beneficiare di programmi di promozione della salute mentale rivolti all'individuo e alla comunità nonché di ricevere interventi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione volti alla tutela della propria salute mentale.
2. È compito del Servizio sanitario nazionale garantire percorsi di promozione della salute mentale, di prevenzione e assistenza diagnostico-terapeutica-riabilitativa del disagio e del disturbo mentali e delle disabilità psicosociali in tutte le fasi e a ciascun livello di cura, attraverso la realizzazione di politiche orientate al rispetto dei seguenti princìpi:

a) effettivo accesso a servizi sanitari e socio-sanitari in grado di arginare il rischio di deriva sociale, avviare percorsi di ripresa e di raggiungimento della migliore condizione di salute possibile e promuovere un'appropriata qualità della vita;

b) rispetto del principio della massima prossimità e adeguatezza degli interventi assistenziali, attraverso percorsi di norma attuati nell'ambiente di vita della persona, anche durante le fasi critiche e di acuzie;

c) previsione e attuazione di strategie, azioni e interventi basati sulle evidenze scientifiche e sulle pratiche che hanno dimostrato il raggiungimento dei migliori risultati per la persona e per la collettività;

d) progettazione e realizzazione delle politiche secondo un approccio interdisciplinare e intersettoriale;

e) responsabilizzazione delle persone con disagio e disturbo mentali, dei nuclei familiari e delle comunità di appartenenza, con il coinvolgimento degli stessi nella definizione, nell'attuazione e nel monitoraggio delle politiche nonché nella coprogettazione degli interventi a loro destinati;

f) prevenzione del disturbo psichiatrico severo, del suicidio e delle dipendenze in quanto priorità di salute pubblica;

g) previsione dell'adozione di strategie e interventi finalizzati a ridurre il logorio psicosociale e lavorativo, ad accrescere il benessere nel luogo di lavoro, a migliorare l'organizzazione e gli orari lavorativi per meglio conciliare l'attività lavorativa e la vita privata, a partire dalla pubblica amministrazione.

Art. 3.
(Livelli essenziali di assistenza)

1. Al fine di garantire l'effettiva tutela della salute mentale quale componente essenziale del diritto alla salute, il Ministro della salute, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvede, con la procedura prevista dall'articolo 1, comma 554, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017, privilegiando percorsi di cura in una prospettiva di presa in carico della persona nel complesso dei suoi bisogni e sulla base di un processo partecipato.
2. L'aggiornamento di cui al comma 1 è volto in particolare a:

a) assicurare percorsi di cura aventi complessità crescente, modulati in base ai bisogni della persona;

b) garantire l'integrazione tra le attività e le prestazioni erogate dai dipartimenti di salute mentale e quelle erogate dagli altri servizi sanitari, specialmente nelle situazioni di confine e di transizione relative a fasce di età o tipi di patologia;

c) prevedere l'integrazione dei percorsi di cura con i supporti offerti dai servizi sociali, dal Terzo settore e dai soggetti operanti nella cooperazione sociale e nei programmi di formazione e inserimento al lavoro;

d) sviluppare i programmi terapeutici riabilitativi individuali, quali percorsi esigibili a intensità variabile in rapporto ai bisogni della persona;

e) adottare il budget individuale di salute quale strumento ordinario volto a realizzare progetti di vita personalizzati attraverso l'attivazione e l'integrazione di interventi sanitari e socio-sanitari e di tutte le risorse disponibili nella comunità.

3. I percorsi di cura aventi complessità crescente, di cui al comma 2, lettera a), sono modulati su quattro livelli:

a) il primo livello, su invio del medico curante o mediante accesso diretto, garantisce un contatto a scopo di consultazione e valutazione, compresi gli interventi precoci e le situazioni di confine riguardanti l'età evolutiva, le disabilità complesse, le demenze e le comorbidità;

b) il secondo livello prevede l'avvio di un rapporto di cura attraverso l'attivazione di un programma terapeutico riabilitativo individuale comprendente trattamenti psichiatrici, psicologici e multidisciplinari, ambulatoriali e domiciliari, psicoterapie individuali, familiari o di gruppo, con il coinvolgimento informato dei familiari, qualora accettato dalla persona, e l'individuazione di un operatore di riferimento, prevedendo il possibile rinvio al medico curante al termine del percorso;

c) il terzo livello è costituito dal percorso terapeutico di riabilitazione e reintegrazione sociale, integrato con componenti socio-sanitarie e l'eventuale impiego del budget individuale di salute; esso comprende trattamenti territoriali intensivi, specialmente nelle situazioni di basso livello di consenso alle cure, e programmi di prevenzione dei rischi di sanzione penale o di misure di sicurezza e di continuità di assistenza in condizioni di restrizione di libertà; l'intervento multidisciplinare è integrato da interventi sul nucleo familiare, di promozione dell'auto-mutuo-aiuto e di partecipazione a programmi di inclusione sociale attiva;

d) il quarto livello prevede la presa in carico, con alta integrazione socio-sanitaria, a favore di persone che presentano bisogni complessi ed elevata disabilità, che necessitano di assistenza nella vita quotidiana mediante percorsi terapeutico-riabilitativi residenziali, integrati da altre iniziative per l'inclusione sociale.

Art. 4.
(Piano nazionale per la salute mentale)

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della salute, avvalendosi della collaborazione della Consulta nazionale di cui all'articolo 16, comma 2, della presente legge, il Governo adotta, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, un Piano nazionale per la salute mentale. Il Piano prevede interventi, azioni e strategie finalizzati alla promozione della salute mentale, alla prevenzione del disagio e dei disturbi mentali, alla riduzione dello stigma e al contrasto della discriminazione e delle violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
2. Il Piano individua specifici obiettivi e interventi volti in particolare a:

a) salvaguardare e promuovere il benessere psichico di tutti i cittadini, tenendo conto dei fattori di rischio e di quelli protettivi in ogni fase della vita, anche intervenendo in maniera integrata sui fattori sociali determinanti della salute, in particolare la condizione socio-economica, il livello di istruzione, l'abitazione e l'esposizione a eventi di vita sfavorevoli quali le violenze e le migrazioni;

b) definire le strategie di promozione della salute mentale e di prevenzione del disagio e del disturbo mentali, con particolare riferimento alle persone e ai gruppi di popolazione con maggiori difficoltà ad accedere ai servizi;

c) sviluppare le capacità dell'assistenza sanitaria primaria di tutelare la salute mentale, riconoscere precocemente i disturbi, intervenire con programmi di assistenza psicologica a bassa soglia e favorire il reinserimento sociale e lavorativo;

d) promuovere misure di supporto per la salute mentale a favore delle donne e dei nuclei familiari, in particolare a sostegno della genitorialità, in fase prenatale e postnatale, e per il contrasto della violenza domestica;

e) promuovere la salute mentale nei minori e nei giovani adulti, nelle scuole e nei contesti familiari, anche allo scopo di rilevare precocemente i problemi nei bambini, intervenire contro il bullismo e ogni altra forma di disagio e violenza e contrastare gli abusi;

f) favorire la realizzazione di campagne di informazione contro lo stigma e per la tutela della dignità delle persone e la difesa dei diritti umani;

g) individuare modalità per il monitoraggio delle condizioni di salute e dei fattori di rischio, anche con riguardo all'impiego di psicofarmaci e alle situazioni a maggior rischio di discriminazione;

h) promuovere strumenti e modalità per la presa in carico delle persone con disturbi mentali, in particolare severi, garantendo la risposta alle situazioni complesse, caratterizzate da scarsa adesione alle cure e da un più alto rischio di deriva sociale e di esclusione;

i) definire strategie per la prevenzione del suicidio, in particolare nei gruppi esposti a maggiore rischio, comprese le tendenze suicidarie correlate alle dipendenze, e per il monitoraggio degli stessi;

l) formulare indirizzi volti a rafforzare la capacità degli operatori a erogare trattamenti rispettosi, sicuri ed efficaci;

m) formulare indirizzi per la qualificazione dei luoghi e degli ambienti in cui sono accolte le persone in cura e in cui operano i professionisti e per la ristrutturazione e la qualificazione degli spazi dedicati alla salute mentale che versano in condizioni di degrado.

3. Il Piano definisce una strategia nazionale di promozione e prevenzione specifica per la salute mentale, coordinata dal Ministero della salute e realizzata attraverso i piani regionali di prevenzione, integrata con le strategie di prevenzione generale e di promozione della salute, volta a perseguire gli obiettivi di cui al comma 2 combinando interventi universali e attività selettive in grado di rispondere ai bisogni delle singole persone, dei settori sociali vulnerabili e delle comunità.
4. All'interno del modello organizzativo e dei servizi dipartimentali previsti nel capo II, il Piano individua requisiti minimi di qualità della presa in carico e dei luoghi delle cure, con particolare riferimento ai seguenti aspetti:

a) prima accoglienza;

b) sostegno dei familiari;

c) condivisione dei percorsi di cura;

d) risposta nelle situazioni di urgenza, emergenza e crisi;

e) continuità dell'assistenza;

f) integrazione socio-sanitaria;

g) problematiche relative alla situazione abitativa e lavorativa;

h) strumenti e modalità per la valutazione della qualità delle cure e relativi indicatori.

5. Per le finalità di cui al comma 2, lettera m), è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2023, di 10 milioni di euro per l'anno 2024 e di 15 milioni di euro per l'anno 2025. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
6. Le risorse di cui al comma 5 sono assegnate alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano per la ristrutturazione e la qualificazione delle strutture pubbliche dei dipartimenti di salute mentale, compresi le attrezzature e gli arredi, escludendo la costruzione o l'acquisizione di nuovi immobili, mediante le procedure di attuazione del programma pluriennale di interventi di cui all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67.

Capo II
ARTICOLAZIONE DEI SERVIZI
SU BASE DIPARTIMENTALE

Art. 5.
(Dipartimento di salute mentale)

1. Il dipartimento di salute mentale cura la promozione e la tutela della salute mentale dell'area di riferimento nel territorio dell'azienda sanitaria competente, definita tenendo conto delle caratteristiche culturali, orografiche e di percorribilità per una popolazione di norma non superiore a 500.000 abitanti. È dotato di autonomia tecnico-gestionale, organizzativa e contabile ed è organizzato in centri di costo e di responsabilità.
2. Afferiscono al dipartimento di salute mentale le seguenti strutture organizzative:

a) centro di salute mentale;

b) servizio psichiatrico di diagnosi e cura;

c) servizi e programmi per la residenzialità e la semiresidenzialità.

3. Il dipartimento di salute mentale svolge le sue funzioni attraverso l'offerta di attività e risorse volte:

a) alla promozione dell'integrazione professionale, organizzativa e disciplinare, a livello aziendale o interaziendale, di tutti i soggetti che si occupano della salute mentale;

b) alla predisposizione di linee di indirizzo assistenziale per specifici programmi di intervento relativi a settori critici della popolazione, al fine di conferire omogeneità ai percorsi sviluppati dai centri di salute mentale;

c) alla promozione dell'integrazione tra i servizi sanitari, i servizi sociali, pubblici e del privato sociale, e le associazioni, favorendo iniziative volte a contrastare la marginalità sociale e a promuovere l'inclusione sociale;

d) alla formazione e alla valorizzazione degli operatori e allo sviluppo delle competenze professionali;

e) alla raccolta, elaborazione e trasmissione delle informazioni definite a livello statale e regionale e al monitoraggio delle risposte ai bisogni di salute mentale;

f) al riconoscimento del ruolo fondamentale dell'ascolto e del sostegno dei familiari nonché del loro coinvolgimento nel programma terapeutico riabilitativo individuale e nel percorso di cura e riabilitazione della persona;

g) alla promozione di modalità di accoglienza che facilitino rapporti di fiducia e di accettazione delle cure garantendo la centralità della persona nei percorsi di cura e riabilitazione;

h) alla presa in carico delle persone affette da disturbo mentale che hanno commesso un reato o che sono suscettibili di incorrere in condanne penali o misure di sicurezza o vi sono sottoposte, attraverso programmi terapeutico-riabilitativi individuali, di intensità modulata in rapporto ai bisogni della persona, evitando in prima istanza l'invio alle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza e assicurando la prestazione dei servizi di tutela della salute mentale e di presa in carico dei detenuti e degli internati negli istituti di pena di competenza territoriale.

4. Il responsabile del dipartimento di salute mentale si raccorda, per lo svolgimento delle funzioni di programmazione e pianificazione strategica, coordinamento e monitoraggio dei risultati raggiunti, con il responsabile del distretto sanitario e, per quanto di competenza, con i responsabili dei servizi di assistenza ospedaliera. L'integrazione con le strutture distrettuali nonché le sinergie con l'ospedale sono assicurate dal distretto sanitario.
5. Per le finalità di cui al comma 3, le regioni e le province autonome, comprese quelle che hanno sottoscritto i piani di rientro dai disavanzi sanitari, previa valutazione e autorizzazione rilasciata dal Ministero della salute, di concerto con il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e con il Ministero dell'economia e delle finanze, possono bandire concorsi per l'assunzione, in deroga alle disposizioni vigenti, delle figure professionali di cui all'articolo 14, comma 1.
6. Per i fini di cui al comma 5 è autorizzata la spesa di 80 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

Art. 6.
(Forme di partecipazione)

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano predispongono linee di indirizzo sulla base delle quali i dipartimenti di salute mentale programmano con continuità incontri e attività con le persone seguite e i loro familiari; adottano iniziative atte a favorire la conoscenza e la comprensione dei percorsi di cura, a fornire adeguate informazioni sull'organizzazione e sul funzionamento dei servizi e ad accrescere la consapevolezza e la partecipazione di tutte le persone interessate; facilitano e incoraggiano la costituzione di gruppi di protagonismo e di auto-mutuo-aiuto. I dipartimenti di salute mentale promuovono altresì iniziative volte ad accrescere le competenze delle associazioni senza fini di lucro costituite da familiari e da persone con esperienza di disagio e disturbo mentale a svolgere in maniera costruttiva e indipendente il ruolo di interlocutori con le istituzioni, le professioni, i mezzi d'informazione e i soggetti erogatori delle prestazioni sanitarie.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano le modalità attraverso le quali i dipartimenti di salute mentale si dotano di strumenti finalizzati a promuovere l'adozione del programma terapeutico riabilitativo individuale, predisposto sulla base del principio della negoziazione e della massima condivisione, con la partecipazione attiva della persona interessata e tenendo conto delle sue preferenze e delle sue aspettative. In tale processo la persona interessata può avvalersi di figure di aiuto che ritiene significative, compresi familiari, persone di fiducia, pari, associazioni e figure di garanzia. Nell'ambito della definizione dei profili professionali degli operatori addetti ai servizi sociali, socio-assistenziali e socio-educativi è definito l'inserimento di figure dotate di specifica formazione per il supporto e la valutazione tra pari.
3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano le modalità attraverso le quali ogni dipartimento di salute mentale istituisce un comitato di partecipazione comprendente rappresentanti delle figure professionali, delle persone seguite, dei loro familiari e delle associazioni accreditate.

Art. 7.
(Centro di salute mentale e servizio psichiatrico di diagnosi e cura)

1. Il centro di salute mentale è la struttura complessa polifunzionale che afferisce al dipartimento di salute mentale. Essa è deputata all'organizzazione e al coordinamento degli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale nel territorio di competenza, tramite l'integrazione funzionale con le attività dei distretti sanitari. Il territorio di competenza è definito su scala distrettuale, per una popolazione di norma pari a 60.000 abitanti e comunque non superiore a 100.000 abitanti, in modo tale da favorire la conoscenza, l'accessibilità e la massima prossimità alla popolazione servita.
2. Il centro di salute mentale fornisce interventi ambulatoriali, domiciliari, di risposta alle crisi e di accoglienza della domanda di urgenza ed emergenza, almeno dodici ore al giorno per sette giorni alla settimana, provvedendo a forme di ospitalità diurna e notturna per i casi che non necessitano di degenza ospedaliera. Per tali scopi è dotato di ambienti a carattere semiresidenziale e residenziale rispondenti ai requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi per l'esercizio delle attività sanitarie, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997.
3. Il centro di salute mentale è dotato di un'équipe multidisciplinare capace di fornire risposte integrate nei luoghi di vita delle persone, anche in situazioni di crisi e acuzie. L'équipe del centro di salute mentale individua al proprio interno, nella formulazione del programma terapeutico riabilitativo individuale, un operatore di riferimento che, sulla base di un rapporto fiduciario con la persona, svolge funzioni specifiche in merito alla personalizzazione del programma medesimo e degli interventi in sua attuazione, gestisce i rapporti con altri servizi socio-sanitari o soggetti coinvolti nel percorso attuativo e ne informa la persona interessata e i familiari.
4. Competono al centro di salute mentale le attività di:

a) accoglienza, valutazione della domanda e attività diagnostiche;

b) definizione e attuazione della presa in carico, con le modalità proprie dell'approccio integrato, tramite interventi ambulatoriali, domiciliari, di rete secondo il principio della continuità terapeutica;

c) raccordo con i medici di medicina generale, per fornire consulenza psichiatrica e per condurre, in collaborazione, progetti terapeutici e attività formativa;

d) promozione di programmi atti a garantire ai soggetti affetti da gravi patologie organiche l'offerta di un appropriato e competente trattamento psicologico e psichiatrico, anche presso i presìdi ospedalieri;

e) autorizzazione, filtro dei ricoveri e controllo della degenza nelle case di cura neuropsichiatriche private, al fine di assicurare l'appropriatezza del ricovero e la continuità dell'attività terapeutica.

5. Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura è una struttura organizzativa del dipartimento di salute mentale situata in una struttura ospedaliera. Presso il servizio psichiatrico di diagnosi e cura sono attuati trattamenti psichiatrici volontari e obbligatori in regime di ricovero. Esso svolge attività di consulenza a favore degli altri servizi ospedalieri e può svolgere funzioni interaziendali sulla base di convenzioni o protocolli. Nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 6, quarto comma, della legge 13 maggio 1978, n. 180, ciascun servizio psichiatrico di diagnosi e cura dispone di un numero di posti letto in nessun caso superiore a quindici. Il dipartimento di salute mentale è comunque tenuto a garantire soluzioni alternative al ricovero nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura, in regime di ospitalità diurna e diurno-notturna, in situazioni di crisi, pre-crisi e post-crisi, sia nelle sedi dei centri di salute mentale sia utilizzando idonee soluzioni residenziali transitorie.

Art. 8.
(Centro diurno, strutture residenziali e percorsi di residenzialità)

1. Nel rispetto dell'articolo 26 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, le persone affette da disturbo mentale hanno diritto all'abilitazione e alla riabilitazione, in particolare nei settori della sanità, dell'occupazione, dell'istruzione e dei servizi sociali. Tale diritto deve trovare piena effettività sin dalle fasi precoci del disturbo, sulla base di una valutazione multidisciplinare delle abilità e dei bisogni di ciascuno. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, attraverso i dipartimenti di salute mentale, organizzano processi e percorsi abilitativi in collaborazione con le realtà del territorio attraverso servizi e strutture.
2. Il centro diurno è una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative, collocata in una o più sedi nel territorio o all'interno del centro di salute mentale. È aperto almeno otto ore al giorno per sei giorni alla settimana. Dispone di locali idonei adeguatamente attrezzati in conformità ai requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997. Nell'ambito di progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati, consente di sperimentare e apprendere abilità nella cura di sé, nelle attività della vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali individuali e di gruppo, anche ai fini dell'inserimento lavorativo. Il centro diurno può essere gestito direttamente dal dipartimento di salute mentale oppure, sulla base di convenzioni, da soggetti privati senza fini di lucro, assicurando la continuità della presa in carico dei pazienti.
3. La struttura residenziale è una struttura extra-ospedaliera in cui si svolge una parte del programma terapeutico-riabilitativo e socio-riabilitativo per persone di esclusiva competenza psichiatrica. Persegue lo scopo di offrire una rete di rapporti e di opportunità emancipative, all'interno di specifiche attività riabilitative. Si differenzia in base all'intensità dell'offerta sanitaria, che può essere di ventiquattro ore, di dodici ore o per fasce orarie, e dispone al massimo di dieci posti. È soggetta ai requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997. È fatto divieto di istituire più moduli residenziali nello stesso edificio.
4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, tramite i dipartimenti di salute mentale, promuovono percorsi di residenzialità che privilegiano soluzioni abitative atte a promuovere nelle persone autonomia e responsabilità, a prescindere dal grado di disabilità. È favorito il ricorso ad appartamenti a bassa protezione, libere convivenze e accoglienze da parte di nuclei familiari e individui idonei all'offerta di contesti relazionali appropriati. Nell'ambito del diritto alla vita indipendente e all'inclusione nella società, previsto dall'articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, è reso possibile l'abitare assistito al di fuori di strutture socio-assistenziali e secondo adeguati livelli di vita, in conformità all'articolo 28 della medesima Convenzione, in forma individuale o in piccoli nuclei di convivenza muniti di adeguato supporto.
5. Nell'ambito dei percorsi di residenzialità di cui al comma 4, il dipartimento di salute mentale promuove e realizza in particolare:

a) soluzioni residenziali in piccoli appartamenti con le caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, per ospitalità temporanea nell'arco delle ventiquattro ore, gestiti da personale assistenziale ed educativo professionalmente formato in ambito psichiatrico;

b) case-famiglia, senza vincoli temporali di permanenza, con le caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, dotate di non più di sei posti letto, gestite da figure professionali con competenze socio-assistenziali;

c) gruppi-appartamento, con le caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, dotati di non più di sei posti letto, la cui gestione può essere totalmente affidata a pazienti e familiari organizzati in ambito associativo o secondo modelli di mutuo aiuto, purché idonei alla prestazione di tale servizio. Nei gruppi-appartamento è garantito un supporto socio-assistenziale alle attività della vita quotidiana.

6. Gli alloggi di cui al comma 5 devono essere ubicati nei centri urbani; è vietata la collocazione di più moduli abitativi, anche di tipo diverso, nello stesso edificio.
7. I percorsi di residenzialità e di abitare assistito sono posti sotto il governo clinico e il monitoraggio costante dei centri di salute mentale, i quali programmano e verificano l'attività terapeutica, riabilitativa e di inclusione.

Art. 9.
(Interventi di urgenza, emergenza e crisi a livello territoriale)

1. Nelle situazioni di emergenza, urgenza e crisi, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, attraverso i dipartimenti di salute mentale, assicurano, con la massima tempestività in caso di urgenze ed emergenze ed entro ventiquattro ore dalla segnalazione in caso di situazione di crisi, l'intervento, anche a domicilio, degli operatori del centro di salute mentale competente per territorio, con il coinvolgimento attivo della rete relazionale e familiare e del medico di medicina generale del paziente nonché degli altri servizi sanitari eventualmente necessari. Il costante raccordo operativo tra i dipartimenti di salute mentale e i servizi di emergenza e urgenza sanitaria è garantito mediante appositi protocolli. L'intervento prevede decisioni di trattamento assicurando prioritariamente le cure nel luogo di vita delle persone ed evitando, ove possibile, il ricorso al ricovero ospedaliero.
2. In caso di mancata collaborazione della persona, gli operatori valutano le sue condizioni psichiche, utilizzando ogni mezzo ritenuto opportuno per tenere attivi il dialogo e la negoziazione con il fine ultimo di ottenere il consenso al trattamento da parte dell'interessato. Qualora gli operatori medici, esperito ogni possibile tentativo, non siano in condizione di entrare in contatto con la persona e di valutare le sue condizioni e ritengano, in base alle informazioni in loro possesso, che vi sia la necessità urgente di una valutazione psichiatrica, propongono l'accertamento sanitario obbligatorio ai sensi dell'articolo 33, terzo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, Qualora nell'esecuzione dell'accertamento sanitario obbligatorio gli operatori medici accertino la sussistenza dei presupposti previsti dall'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, per il trattamento sanitario obbligatorio, soltanto dopo che siano stati esperiti senza successo tutti i possibili tentativi per acquisire il consenso volontario del paziente, avanzano la proposta di trattamento sanitario obbligatorio.
3. Il trattamento sanitario obbligatorio è attivato presso il competente servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell'azienda sanitaria di riferimento qualora sia necessario il ricorso alla struttura ospedaliera. Qualora sia possibile adottare tempestive e idonee misure extra-ospedaliere, il trattamento sanitario obbligatorio è eseguito presso il centro di salute mentale o presso il domicilio del paziente.
4. Contestualmente alla convalida del provvedimento del sindaco ai sensi dell'articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il giudice tutelare nomina un garante. Il garante è scelto nell'ambito di un albo predisposto presso l'ufficio del giudice tutelare e verifica il pieno rispetto dei diritti della persona sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio e la sostiene nella negoziazione del programma di cura con il centro di salute mentale competente, favorendo la formazione del consenso al trattamento.
5. Fermo restando quanto disposto dagli articoli 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura è vietato il ricorso ad ogni forma di contenzione meccanica e sono promosse attività di formazione, aggiornamento e monitoraggio continuo della qualità degli interventi terapeutici svolti nel corso dei trattamenti sanitari volontari e obbligatori effettuati in regime di degenza ospedaliera.

Art. 10.
(Modifiche alla legge 23 dicembre 1978, n. 833, in materia di tutela contro l'illegittimo ricorso a forme di restrizione della libertà personale nei riguardi delle persone affette da disturbo mentale)

1. All'articolo 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«È punita ogni violenza fisica e morale nei confronti delle persone sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio e non è ammessa nei loro confronti alcuna forma di misura coercitiva che si configuri quale ulteriore restrizione della libertà personale».

2. All'articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il terzo comma è inserito il seguente:

«Al momento dell'esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico dell'azienda sanitaria locale è tenuto ad avvisare la persona che ogni misura di coazione adottata nei suoi confronti può essere oggetto di immediato esposto al giudice tutelare»;

b) dopo il sesto comma è inserito il seguente:

«Nel caso in cui la persona sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio o un suo parente, affine o comunque una persona di sua fiducia lamenti che sia stata attuata una pratica di ulteriore limitazione della libertà personale, può chiedere che il medico curante rediga una relazione sulle modalità e sull'andamento del trattamento, da trasmettere al giudice tutelare. Qualora il giudice tutelare ravvisi gli estremi della violazione di quanto disposto dall'articolo 33, nono comma, trasmette gli atti al tribunale competente per territorio per l'accertamento delle conseguenti responsabilità penali»;

c) al settimo comma, le parole: «quarto e quinto comma» sono sostituite dalle seguenti: «quinto e sesto comma, nonché dell'avviso di cui al quarto comma,».

Art. 11.
(Integrazione socio-sanitaria)

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito della programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, assicurano la risposta ai bisogni di cura, di salute e di integrazione sociale attraverso un approccio multisettoriale e intersettoriale.
2. Al fine di cui al comma 1, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano programmano l'integrazione dei servizi di salute mentale con gli altri servizi, i percorsi socio-sanitari, il supporto sociale di base, gli interventi sociali per l'abitazione, i percorsi di formazione e inserimento lavorativo e il relativo diritto all'accesso, con la partecipazione delle associazioni, del privato sociale e di altri soggetti idonei.
3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano il budget individuale di salute. Esso costituisce lo strumento principale di integrazione socio-sanitaria per la realizzazione del programma terapeutico riabilitativo individuale, in particolare a favore di persone con bisogni complessi, e per la realizzazione di percorsi riabilitativi, ove necessario aventi temporaneamente carattere residenziale, fermo restando l'obiettivo di ripristinare l'autonomia abitativa del soggetto. Il budget individuale di salute è predisposto previo accertamento della sua necessità per finalità socio-sanitarie, eseguito mediante una valutazione multidisciplinare basata sulla complessità delle condizioni e dei bisogni, con il concorso dei servizi sociali e di altri servizi competenti, con risorse definite ed eventuali forme di compartecipazione dei beneficiari o dei loro familiari. Esso è realizzato in partenariato, co-progettazione e cogestione con soggetti del settore privato sociale e prevede un'adeguata articolazione degli interventi e dei supporti e una durata definita in relazione ai bisogni.

Art. 12.
(Raccordo tra i dipartimenti di salute mentale, gli istituti di pena, il sistema di esecuzione delle misure di sicurezza non detentive e le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza)

1. Ai sensi dell'articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, alle persone affette da disturbo mentale sono assicurati un trattamento giuridico paritario e un eguale riconoscimento dei diritti davanti alla legge. Essi hanno diritto a fruire del sostegno di servizi adeguati di sanità, attraverso l'attività diretta delle équipe dei dipartimenti di salute mentale presso gli istituti di prevenzione e pena, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 30 maggio 2008. Al fine di consentire all'autorità giudiziaria di limitare al massimo, ai sensi dell'articolo 3-ter, comma 4, del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, il ricorso alle misure di sicurezza detentive e al ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, il dipartimento di salute mentale propone programmi per l'attivazione di misure alternative.
2. Le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sono strutture afferenti al dipartimento di salute mentale. È favorita ogni forma di integrazione delle residenze con la rete dei servizi. Il funzionamento e l'organizzazione di esse sono improntati ai seguenti criteri:

a) inapplicabilità delle disposizioni dell'ordinamento penitenziario all'interno delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza;

b) limite massimo di capienza di venti posti letto, esaurita la quale è opponibile, da parte del sanitario responsabile, la causa di rinvio dell'esecuzione del ricovero;

c) inapplicabilità del trattamento sanitario obbligatorio di cui all'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, all'interno delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza e sua eventuale esecuzione presso i servizi psichiatrici di diagnosi e cura competenti per territorio;

d) centralità della dimensione terapeutica del lavoro volto al recupero della soggettività e alla responsabilizzazione della persona;

e) formulazione del programma terapeutico riabilitativo individuale da parte del centro di salute mentale territorialmente competente, secondo i princìpi della partecipazione responsabile della persona sottoposta a misura di sicurezza e attraverso procedure atte a pervenire al consenso informato ad ogni trattamento sanitario;

f) previsione di apposite disposizioni volte a garantire, nell'ambito del programma terapeutico riabilitativo individuale, la fruizione di ricoveri sanitari, accesso al lavoro esterno e percorsi di integrazione sociale anche ai fini della rivalutazione della pericolosità sociale attraverso l'attuazione del medesimo programma terapeutico riabilitativo individuale nei comuni contesti di esperienza quotidiana;

g) garanzia di continuità trattamentale nell'esecuzione di misure di sicurezza non detentive presso i centri di salute mentale e i servizi psichiatrici di diagnosi e cura, attraverso un regime di libertà vigilata con prescrizioni mediche;

h) divieto di realizzare più moduli di residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza in un solo edificio o comprensorio e divieto di istituire le medesime residenze presso i locali o gli istituti in precedenza adibiti a ospedale psichiatrico, ospedale psichiatrico giudiziario o istituto di pena ovvero a strutture private residenziali sanitarie, socio-sanitarie o sociali;

i) piena trasparenza delle prassi organizzative all'interno di ciascuna residenza, mediante la possibilità di fare accedere, previa autorizzazione, rappresentanti di associazioni di volontariato o di promozione dei diritti umani e personale degli uffici dei garanti nazionale e regionale delle persone private della libertà personale.

3. Al fine di adempiere all'obbligo di presa in carico, da parte delle aziende sanitarie locali, delle persone affette da disturbo mentale che abbiano commesso un reato, assicurando ad esse il diritto alle cure e al reinserimento sociale, i dipartimenti di salute mentale si dotano di dispositivi di accoglienza e di presa in carico intensiva territoriale e si organizzano per fornire interventi multidisciplinari all'interno delle strutture penitenziarie, attraverso l'uso delle risorse impiegate per il rafforzamento dell'attività dei servizi, ai sensi dell'articolo 3-ter, comma 6, del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9.
4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nell'ambito delle risorse destinate alla formazione, organizzano corsi di preparazione e formazione per gli operatori del settore finalizzati alla progettazione e all'organizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi e alle esigenze di mediazione culturale.
5. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano predispongono annualmente programmi volti all'integrazione tra il servizio sanitario e le esigenze di trattamento delle persone affette da disturbo mentale che abbiano commesso un reato, al fine di provvedere alla riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale, favorendo il contenimento del numero complessivo di posti letto da realizzare nelle strutture di cui al comma 2 e la destinazione delle risorse alla realizzazione o riqualificazione delle sole strutture pubbliche. I programmi sono trasmessi ai presidenti delle corti di appello, ai presidenti dei tribunali e ai presidenti dei tribunali di sorveglianza competenti per territorio.

Capo III
SISTEMI INFORMATIVI, FORMAZIONE E RAPPORTO CON LE UNIVERSITÀ

Art. 13.
(Sistema informativo, ricerca e formazione)

1. I sistemi informativi sanitari comprendono strumenti per identificare, raccogliere e riportare sistematicamente dati sulla salute mentale e sulle attività svolte dai servizi sanitari. I dati epidemiologici sulla salute mentale, compresi quelli sui suicidi e sui tentativi di suicidio, sono raccolti allo scopo di migliorare l'offerta di assistenza e le strategie di promozione e di prevenzione.
2. L'Osservatorio nazionale per la salute mentale, di cui all'articolo 16, comma 1, predispone strumenti per il controllo della qualità e della sicurezza delle cure, da effettuare tramite organismi indipendenti, con il coinvolgimento delle persone in cura presso i servizi sanitari e dei loro familiari.

Art. 14.
(Figure professionali e formazione)

1. Nell'ambito dei servizi per la salute mentale operano le seguenti figure professionali:

a) medici psichiatri;

b) psicologi;

c) infermieri professionali;

d) educatori professionali;

e) terapisti della riabilitazione psichiatrica;

f) terapisti occupazionali;

g) sociologi;

h) assistenti sociali;

i) operatori socio-sanitari;

l) personale amministrativo.

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano garantiscono al personale di tutte le figure professionali di cui al comma 1 l'aggiornamento e la formazione continua, compresa la formazione pratica, attraverso percorsi adeguati a migliorare la qualità dell'assistenza e a rafforzare la corretta gestione dei servizi, in coerenza con i princìpi e gli obiettivi della presente legge.
3. Per le finalità di cui al comma 2 è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025, da ripartire tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulla base della popolazione residente. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

Art. 15.
(Funzioni delle università)

1. Nell'ambito della programmazione regionale, tramite appositi protocolli d'intesa ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, sono individuate le modalità per l'affidamento alle cliniche universitarie e agli istituti universitari di psichiatria di funzioni assistenziali, da svolgere unitamente alle funzioni di didattica e ricerca, per un'area territoriale delimitata e all'interno dei dipartimenti di salute mentale.
2. Le scuole di specializzazione in psichiatria, nel rispetto delle normative vigenti, valorizzano e promuovono i contenuti della presente legge secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro della salute, da adottare, di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Le cliniche psichiatriche, nel rispetto delle normative vigenti, possono far parte dei dipartimenti di salute mentale secondo logiche e pratiche di integrazione e di collaborazione paritaria.

Art. 16.
(Osservatorio e Consulta per la salute mentale)

1. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il Ministro della salute, con proprio decreto, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, istituisce l'Osservatorio nazionale per la salute mentale, con il compito primario di monitorare l'attuazione della presente legge. L'Osservatorio, entro il 31 dicembre di ogni anno, predispone una relazione, che trasmette al Ministro della salute per la presentazione alle Camere.
2. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della salute, con proprio decreto, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, istituisce la Consulta nazionale per la salute mentale, comprendente, oltre a rappresentanti dell'Osservatorio di cui al comma 1 del presente articolo, le associazioni delle persone affette da disturbo mentale e assistite dai servizi per la salute mentale e le associazioni dei loro familiari maggiormente rappresentative al livello nazionale. Con il medesimo decreto di cui al primo periodo è istituita la rete delle consulte regionali per la salute mentale.
3. La Consulta nazionale ha i seguenti compiti:

a) coadiuvare il Ministro della salute nella definizione delle strategie nazionali e nella predisposizione del Piano nazionale per la salute mentale di cui all'articolo 4;

b) contribuire alla definizione degli strumenti per la verifica dei risultati;

c) contribuire alla definizione dei criteri e dei livelli di assistenza relativamente agli aspetti etici, organizzativi, logistici e procedurali;

d) contribuire alla verifica delle risorse impiegate e delle attività svolte;

e) contribuire allo sviluppo di nuovi modelli organizzativi, di trattamento e di prevenzione dei disturbi mentali, anche sulla base di proposte presentate dagli operatori pubblici e privati;

f) contribuire a indirizzare le attività di formazione sui disturbi mentali, le cure e l'organizzazione dei servizi, promuovendo l'attenzione all'ascolto e alle questioni bioetiche.

Capo IV
FINANZIAMENTO DEI DIPARTIMENTI DI SALUTE MENTALE

Art. 17.
(Finanziamento dei dipartimenti di salute mentale)

1. In sede di riparto della risorse finanziarie assegnate al Servizio sanitario nazionale, nell'ambito dei parametri e dei criteri fissati per i livelli essenziali di assistenza, il Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce le risorse da destinare alla tutela della salute mentale, in misura non inferiore al 5 per cento della dotazione del Fondo sanitario nazionale.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano, tenuto conto delle specifiche esigenze, le modalità per la ripartizione delle risorse destinate alla salute mentale tra i dipartimenti di salute mentale e ne verificano l'utilizzazione.
3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individuano obiettivi di razionalizzazione nell'impiego delle risorse destinate alla salute mentale, attribuendo priorità ai progetti, anche innovativi, volti a realizzare gli obiettivi di cui alla presente legge e perseguendo il graduale contenimento della spesa relativa alle strutture residenziali ad alta protezione, pubbliche o private.
4. I risparmi derivanti dall'applicazione delle misure di razionalizzazione di cui al comma 3 rimangono nella disponibilità delle singole regioni e province autonome per le finalità della tutela della salute mentale di cui alla presente legge.

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