PDL 1000

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1000

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CONTE, CAROTENUTO, AIELLO, BARZOTTI, TUCCI

Disposizioni sperimentali concernenti la riduzione dell'orario di lavoro mediante accordi definiti nell'ambito della contrattazione collettiva

Presentata il 15 marzo 2023

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Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge si prefigge di consentire una nuova, diversa e più flessibile organizzazione del lavoro, affinché chi lo richieda possa ridurre l'orario di lavoro giornaliero o settimanale, a parità di retribuzione. Si tratta di riconoscere una tendenza in atto, che, sulla scia di una svolta culturale e di approccio al lavoro, coinvolge e impegna lavoratori e lavoratrici, così come organizzazioni sindacali e aziende, verso la sperimentazione di nuove regole di organizzazione del lavoro, suscettibili di rappresentare il futuro della produttività sostenibile (nella sua accezione più ampia, ossia economica, sociale e ambientale). Ciò è tanto più vero se si considera che oggi, secondo gli ultimi dati elaborati dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, risulta che l'Italia, subito dopo la Grecia e l'Estonia, è il Paese dell'area euro dove si lavora per il più elevato numero di ore settimanali, ossia 33, tre ore in più rispetto alla media dell'area, che è di 30 ore, e addirittura sette ore in più rispetto alla Germania. L'orario è infatti già attualmente ridotto ai minimi termini in Germania: 26 ore per settimana. Seguono i Paesi Bassi (28 ore) e il Granducato del Lussemburgo, l'Austria e la Francia (tutti con 29 ore di lavoro settimanali). In perfetta corrispondenza con la media – con 30 ore di lavoro settimanali – sono la Finlandia e il Belgio.
Attualmente, alcuni contratti aziendali, in Italia e non soltanto, stanno già prevedendo la possibilità di articolare la prestazione lavorativa su soli quattro giorni settimanali: è una prassi ancora limitata, ma che si rispecchia nella tendenza a lasciare ai lavoratori più tempo per sé, nel rispetto della conciliazione tra vita e lavoro e soprattutto nella consapevolezza della condivisione di progetti e della valorizzazione di risultati per il benessere delle persone, per cui la responsabilità, la fiducia e l'organizzazione sono riconosciute, al pari della paga oraria, come valori economici e professionali della prestazione lavorativa stessa. Se durante e dopo la pandemia di COVID-19 si è reso evidente, con il maggiore ricorso a forme di lavoro agile, come la sincronicità e la compresenza siano elementi non sempre essenziali alla prestazione lavorativa, allo stesso tempo nuovi sistemi organizzativi e tecnologici stanno consentendo incrementi di produttività e riduzione della fatica del lavoro, nonché l'indubbia possibilità di rimodulare gli orari della prestazione lavorativa. È constatato infatti ormai come la pandemia abbia cambiato per sempre i ritmi lavorativi e la percezione stessa del lavoro: i lunghi periodi di lockdown, che molti hanno trascorso lavorando da casa, hanno dimostrato che è possibile essere produttivi e creativi in situazioni difficili e hanno portato a un ripensamento della struttura del lavoro. Come ha affermato Joe O'Connor, direttore dell'organizzazione 4 Day Week Global, per molte persone la settimana lavorativa di cinque giorni è ormai un retaggio del ventesimo secolo, che va ripensato perché «i lavoratori sono usciti dalla pandemia con un'idea molto diversa di qualità della vita», mentre «sempre più imprese si rendono conto che un lavoro a orario ridotto, ma concentrato sugli obiettivi da raggiungere, è il modo migliore per avere un vantaggio competitivo».
Il dato che quindi emerge da studi comparati della disciplina sull'orario di lavoro nei diversi Paesi, soprattutto europei, attiene proprio alla riduzione dell'orario di lavoro a parità di retribuzione. Così, ad esempio, dal dicembre 2022, in Spagna si sperimenta la settimana lavorativa di quattro giorni, secondo un progetto che si svilupperà in un arco di tre anni e coinvolgerà circa 200 imprese di media grandezza, per un numero di lavoratori che oscilla tra 3.000 e 6.000. Lo Stato si farà carico del 100 per cento dei costi della transizione durante il primo anno, del 50 per cento durante il secondo e del 33 per cento durante il terzo.
Altro importante esperimento ha preso avvio nel mese di giugno 2022 in Gran Bretagna: migliaia di dipendenti di settanta imprese di diverse dimensioni e settori hanno lavorato quattro giorni alla settimana, pur mantenendo lo stesso stipendio, per verificare l'effetto sulla produttività. Il progetto pilota, organizzato dal centro di studi Autonomy e dall'organizzazione non governativa 4 Day Week Global, è durato per sei mesi e sarà valutato dagli esperti delle università britanniche di Oxford e Cambridge e del Boston College negli Stati Uniti d'America: in cambio del 100 per cento dello stipendio, i 3.300 lavoratori coinvolti si impegnano a mantenere il 100 per cento della produttività pur lavorando per l'80 per cento delle ore previste. I datori di lavoro che hanno deciso di partecipare volontariamente al progetto pilota vanno da società di informatica a studi legali, da società di consulenza commerciale a imprese edili e da grandi banche a piccoli negozi o ristoranti. I lavoratori verranno sottoposti a controlli per verificare l'impatto dei nuovi ritmi lavorativi sulla loro salute e sulla qualità della loro vita, mentre la qualità e la quantità del loro lavoro saranno valutate per stabilire se sono invariate o, addirittura, migliorate, rispetto alla tradizionale settimana di cinque giorni lavorativi. Come ha spiegato Juliet Schor, docente di sociologia al Boston College e coordinatrice degli esperti che monitoreranno il progetto, l'aspettativa è che lavorare meno giorni possa produrre un «triplo dividendo», portando benefìci ai lavoratori, che avrebbero più entusiasmo e più energia, alle imprese, che avrebbero una forza lavoro più produttiva e più motivata, e anche all'ambiente, riducendo il pendolarismo.
L'idea della settimana lavorativa di quattro giorni è nata prima del COVID-19 in Gran Bretagna: l'ispirazione era venuta, infatti, da un primo esperimento condotto nel 2015 e 2016 a Reykjavik, capitale dell'Islanda, con il coinvolgimento di 2.500 lavoratori, che avevano lavorato per quattro giorni invece di cinque, con un esito definito «successo travolgente» secondo gli organizzatori, i quali avevano altresì riscontrato una riduzione dei livelli di affaticamento dei lavoratori, senza alcun impatto negativo sulla produttività. Da allora, l'86 per cento dei lavoratori islandesi ha optato per la settimana corta.
Esperimenti simili si stanno altresì conducendo in molti altri Paesi. In Belgio, ad esempio, all'inizio del 2022, sono state accolte le richieste dei lavoratori, introducendo per gradi la settimana lavorativa corta, ma a parità di ore, che vengono concentrate in quattro giorni invece che in cinque. Si prevede che l'accordo debba essere stipulato tra il dipendente e il datore di lavoro, il quale, tra l'altro, dovrà fornire solide ragioni per poter rifiutare la richiesta. Dopo un periodo di prova di sei mesi, entrambi decideranno se proseguire o meno. Il Primo Ministro belga Alexander De Croo spera che il cambiamento contribuirà a rendere più flessibile il mercato del lavoro, notoriamente rigido in Belgio, e più facile per le persone la conciliazione tra la vita familiare e la carriera lavorativa. Similmente, sperimentazioni di settimana lavorativa corta sono in corso in Giappone dove, nel 2019, la società Microsoft ha concesso un giorno libero settimanale in più ai propri dipendenti, con il risultato che la produttività è aumentata del 40 per cento. L'organizzazione del lavoro a orario ridotto si sta poi diffondendo in Francia, in Germania, nei Paesi Bassi, in Danimarca, in Norvegia e in Svizzera.
Tutte queste esperienze dimostrano come non sia sempre vero che lavorare di più equivale ad essere più produttivi. I dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sulle ore lavorate smentiscono molti luoghi comuni e danno riscontro di come, oltre un certo limite, lavorare molte ore comporti invece una drastica riduzione della produttività, dovuta ad una mancata programmazione e organizzazione condivisa del lavoro che, provocando una sorta di stanchezza fisiologica, si ripercuote inevitabilmente sul profitto aziendale. Verosimilmente, quindi, i Paesi con la più alta produttività del lavoro tendono a coincidere con quelli in cui gli orari di lavoro sono più brevi, perché si investe di più nelle dotazioni aziendali e nell'organizzazione condivisa del lavoro.
Un'altra considerazione circa la riduzione dell'orario normale di lavoro attiene al coinvolgimento dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali, dei datori di lavoro e delle imprese, anche attraverso la contrattazione di prossimità, sì da addivenire ad una nuova e diversa organizzazione del lavoro, in grado di rendere compatibili le esigenze dei lavoratori con quelle della produttività in modo cooperativo e innovativo. Come nei servizi sociali e sanitari – servizi essenziali in cui è necessario assicurare la prestazione lavorativa in presenza – una diversa e più flessibile organizzazione del lavoro potrebbe facilmente contribuire a rendere più sostenibili i turni lavorativi, così lo stesso potrebbe avvenire in settori, quali quelli della ristorazione, alberghiero o della metalmeccanica, dove adottare una settimana lavorativa corta significherebbe necessariamente conciliare gli orari dei vari gruppi di lavoro con quelli dei singoli dipendenti nonché elaborare ogni volta una formula di organizzazione oraria del lavoro su misura, in grado di tener conto dei picchi di produzione delle imprese, degli investimenti in attività di formazione e sviluppo, della tecnologia utilizzata e di ogni altra variabile suscettibile di incidere sulla qualità e sulla produttività del lavoro.
Viviamo e lavoriamo in un ambiente di lavoro estremamente competitivo e impegnativo, in cui i carichi e le aspettative sono sempre in crescita, in ogni settore. La riduzione della settimana lavorativa e un fine di settimana più lungo possono influire positivamente sulla salute mentale e fisica dei lavoratori, facendo diminuire i casi di esaurimento o altre malattie correlate all'attività lavorativa nonché migliorando l'equilibrio tra la vita professionale e quella privata, contribuendo così a ridurre la pressione e l'affaticamento che spesso accompagnano i lavoratori dipendenti quando si recano al lavoro, con conseguente incremento della motivazione e della dedizione della forza lavoro. Inoltre, secondo uno studio condotto nel 2012 dalla Henley Business School, grazie alla settimana lavorativa di quattro giorni, i lavoratori dipendenti percorrerebbero circa 560 milioni di miglia (900 milioni di chilometri) in meno ogni settimana. È chiaro infatti che, ove non sia possibile l'adozione di modalità agili di lavoro, la riduzione dell'orario normale a quattro giorni settimanali anziché cinque costituirebbe per moltissimi lavoratori dipendenti un valido aiuto al risparmio sui costi del carburante e del pendolarismo, oltreché un miglioramento della relativa impronta di carbonio (il già citato esperimento giapponese, portato avanti dalla società Microsoft nel 2019, ad esempio, ha consentito di diminuire di quasi un quarto i costi dell'energia elettrica).
Il tema di una riduzione oraria di lavoro a parità di retribuzione merita inoltre una considerazione specifica in prospettiva di genere. Le ragioni soggiacenti alla presente proposta di legge sono infatti rafforzate dagli argomenti discussi nel dibattito sulla parità di genere nel mercato del lavoro – che ci si augura occupi nuovamente e sempre più l'agenda sociale e pubblica – nel quale si sono distinti i contributi di Claudia Goldin sul divario retributivo tra i sessi. Nel tempo di lavoro si individua, infatti, una delle ragioni principali di una persistente disparità salariale uomo-donna. La migrazione del lavoro delle donne da settori un tempo ritenuti «femminili» verso realtà produttive a forte caratterizzazione maschile ha generato una disparità retributiva collegata al tempo dedicato al lavoro. Il maggior attaccamento degli uomini alla realtà produttiva, «senza orario» soprattutto nel settore legale e finanziario, penalizza, sul piano economico, le donne che rinunciano a ore lavorate per dedicarsi alla dimensione familiare.
Così, in Career and family: women's century-long journey toward equity, pubblicato nel 2021 dalla Princeton University Press, Claudia Goldin si ricollega allo studio del 2014 rivolgendosi a un pubblico più vasto, anche attraverso il racconto di aneddoti e storie. Ivi l'economista evidenzia come l'aumento delle ore lavorate costituisca il criterio privilegiato per la scelta dei lavoratori e delle lavoratrici, anche a discapito del livello di istruzione e dell'esperienza dei candidati e delle candidate. Questo atteggiamento produce diversi riflessi negativi. Incide sui tassi di natalità per via dell'aumento dei costi e dei rischi legati alla crescita della prole per le donne. Indebolisce il potere contrattuale delle donne che, diversamente, hanno scelto di dedicarsi ai minori, soprattutto in caso di separazione dal coniuge. Ora, se gli effetti delle analisi di Claudia Goldin sono già ben visibili nella direttiva (UE) 2019/1558 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che, al fine di contenere la riduzione della presenza delle donne nel mercato del lavoro, rafforza i meccanismi volti a riallocare i compiti di cura e domestici, in realtà l'economista dice qualcosa di più. Spostando infatti l'attenzione sul tempo di lavoro, sul cambiamento nella cultura aziendale, sul rovesciamento del paradigma che contrappone tempo di lavoro e tempo di vita, Claudia Goldin prospetta soluzioni di estremo interesse e ispirazione, per cui intervenire sulla distribuzione dei carichi familiari per incentivare la presenza femminile nel mercato appare una soluzione parziale. È in tal senso che la presente proposta di legge, partendo da un'innovativa e diversa organizzazione oraria del tempo di lavoro, ambisce a tener conto dell'evoluzione della dimensione familiare, spesso disgregata e monogenitoriale, nonché delle relazioni affettive che, anche ove potenzialmente paritarie, inducono a scelte condizionate da ciò che Claudia Goldin ha definito «lavoro avido» (greedy work). Quando i salari sono connessi essenzialmente al tempo impiegato nel lavoro, la rinuncia di entrambi i genitori produrrebbe un impoverimento generale sul piano economico. Di conseguenza, tendono a reiterarsi comportamenti sociali diffusi che consentono al mercato di rimanere efficiente: sarà, pertanto, la donna lavoratrice a rinunciare a un maggior numero di ore di lavoro.
Quando ciò non accade, come ad esempio per le lavoratrici più istruite ad alta professionalità, la redistribuzione dei compiti familiari replica lo schema di genere, riversando i compiti di cura su altre donne a basso salario.
Per tutte le ragioni fin qui esposte e, quindi, per adeguare la disciplina dell'orario di lavoro alle attuali dinamiche sociali ed economiche e alle conseguenze dello sviluppo tecnologico nel mercato del lavoro, incrementando la produttività e migliorando la possibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori, la presente proposta di legge promuove un'organizzazione dell'orario di lavoro che, assicurando parità di retribuzione, garantisca una riduzione del totale delle ore lavorate senza comprometterne la produttività (articolo 1).
A tal fine, l'articolo 2 della proposta riconosce alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale nonché alle loro articolazioni territoriali o aziendali la facoltà di stipulare specifici contratti per la riduzione dell'orario di lavoro, fino alla misura minima di 32 ore settimanali, a parità di retribuzione. Si precisa che la riduzione dell'orario normale di lavoro può riguardare sia l'orario giornaliero sia il numero delle giornate lavorative settimanali, fino a 4 giornate. In quest'ultimo caso, le ore di lavoro giornaliere eccedenti le 8 ore ordinarie non sono computate come lavoro straordinario.
Il comma 3 dell'articolo 2 della proposta di legge, al fine di consentire la massima diffusione di forme ridotte dell'orario di lavoro e in considerazione della diversità che caratterizza il mondo del lavoro nel nostro Paese, prevede che, qualora manchi un contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, almeno il 20 per cento dei lavoratori dipendenti della medesima impresa o unità produttiva o il datore di lavoro possono proporre un'ipotesi di accordo per la riduzione dell'orario di lavoro, fino a 32 ore settimanali, a parità di retribuzione, specificandone le modalità di attuazione. Entro novanta giorni dalla pubblicazione della proposta di riduzione mediante una comunicazione aziendale portata a conoscenza di tutto il personale dipendente, la proposta è sottoposta a referendum con la supervisione di un delegato dell'ente bilaterale competente per territorio, ove esistente, anche in un settore affine a quello in cui opera l'azienda interessata dall'accordo. L'ipotesi di accordo s'intende approvata, all'esito del referendum, se si è espressa favorevolmente la maggioranza dei dipendenti dell'impresa o dell'unità produttiva e, nel solo caso in cui la proposta di riduzione sia stata presentata dai lavoratori, se il datore di lavoro dichiara il proprio assenso entro trenta giorni dal voto. Nel caso di esito referendario negativo, la richiesta può essere riproposta non prima di centottanta giorni.
Per quanto non specificamente disciplinato dalla presente proposta di legge, l'articolo 5 fa salva la possibilità che ulteriori modalità di attuazione siano stabilite dai contratti collettivi di lavoro nazionali e di secondo livello, aziendali e integrativi, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o dalle loro articolazioni territoriali o aziendali.
All'articolo 3, al fine di incentivare il ricorso alla riduzione dell'orario normale di lavoro a parità di retribuzione e sostenere le imprese che decidano di ricorrervi, in via sperimentale per il primo triennio di applicazione della nuova normativa, si prevede che ai datori di lavoro sia concesso l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assicurativi a loro carico, nel limite massimo di 8.000 euro su base annua, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche. Lo stesso esonero è altresì concesso, anche in via cumulativa rispetto ad altri e diversi benefìci, ai datori di lavoro che procedano a nuove assunzioni correlate alla riduzione dell'orario di lavoro; in caso di assunzione con contratto a tempo indeterminato, l'esonero ha la durata massima di ventiquattro mesi; in caso di assunzione con contratto a tempo determinato ha invece la durata massima di diciotto mesi. A tale riguardo, la proposta di legge, prevedendo un limite massimo di spesa pari a 250 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026, incarica l'Istituto nazionale della previdenza sociale di monitorare l'andamento della spesa prevedendo che, qualora emerga, anche in via prospettica, il raggiungimento del predetto limite, l'Istituto non prenda in considerazione ulteriori domande. Inoltre, entro il 31 dicembre 2026 – ovverosia al termine del previsto triennio di sperimentazione – ai fini della verifica circa i risultati della sperimentazione stessa, il Governo dovrà presentare una relazione alle Camere.
Proprio al fine di valutare l'impatto della regolamentazione che si ambisce ad introdurre con la presente proposta di legge, l'articolo 3 istituisce, per il triennio 2024-2026, un Osservatorio nazionale sull'orario di lavoro, con sede presso l'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche. L'Osservatorio avrà il compito di raccogliere e di elaborare dati statistici e socio-economici utili per una futura migliore qualità della normazione in materia, relativi in particolare:

a) alle modalità e agli strumenti con i quali le imprese e i lavoratori gestiscono e organizzano l'attività lavorativa e gli orari di lavoro;

b) all'attuazione delle disposizioni della presente proposta di legge, al fine di verificarne i risultati;

c) alle dinamiche del mercato del lavoro e all'andamento dei sistemi formativi e di riqualificazione professionale, con riferimento allo sviluppo e all'applicazione di nuove tecnologie, nonché al numero di ore di lavoro svolte, al numero dei lavoratori impiegati, al tasso di produttività e alla ricchezza prodotta;

d) all'impiego dei contratti di solidarietà previsti dalla normativa vigente, al fine di verificare l'effettiva misura del ricorso a tali strumenti;

e) alle specifiche intese raggiunte in sede di contrattazione collettiva di prossimità in riferimento alla disciplina dell'orario di lavoro.

Si prevede quindi che l'Osservatorio predisponga una relazione annuale sulla propria attività, da trasmettere alle Camere entro il 31 dicembre di ciascuno degli anni di riferimento, e che le modalità di costituzione e funzionamento di esso – senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica – siano disciplinate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Si auspica un celere esame della presente proposta di legge.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Oggetto e finalità)

1. La presente legge regola l'adozione di forme flessibili di organizzazione del lavoro volte ad adeguare la disciplina dell'orario di lavoro alle attuali dinamiche sociali ed economiche e alle conseguenze dirette e indirette dello sviluppo tecnologico sul mercato del lavoro, nonché a promuovere l'occupazione, incrementare la produttività del lavoro e migliorare la possibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per i lavoratori.

Art. 2.
(Contratti per la riduzione dell'orario di lavoro)

1. Ai fini di cui all'articolo 1, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, nonché le loro articolazioni territoriali o aziendali, possono stipulare specifici contratti per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di retribuzione.
2. Mediante i contratti di cui al comma 1 del presente articolo, l'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, può essere ridotto fino a 32 ore settimanali. La riduzione può riguardare l'orario giornaliero o il numero delle giornate lavorative settimanali, fino a 4 giornate. In tale ultimo caso, le ore lavorative giornaliere che superano le 8 ore ordinarie non sono considerate lavoro straordinario. I medesimi contratti stabiliscono criteri e modalità di individuazione dei lavoratori interessati all'applicazione, anche su base volontaria, coerentemente con le finalità di cui all'articolo 1 della presente legge.
3. In mancanza di contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali di cui al comma 1, almeno il 20 per cento dei lavoratori dipendenti dell'impresa o dell'unità produttiva o il datore di lavoro possono presentare una proposta di contratto per la riduzione dell'orario di lavoro, fino a 32 ore, a parità di retribuzione, recante la determinazione delle modalità di applicazione nel rispetto di quanto previsto dai commi 1 e 2. Entro novanta giorni dalla pubblicazione della proposta mediante una comunicazione aziendale portata a conoscenza di tutto il personale dipendente dell'impresa o dell'unità produttiva, la proposta è sottoposta all'approvazione del medesimo personale mediante referendum. Il referendum è svolto con la supervisione di un delegato dell'ente bilaterale competente per territorio, ove esistente, anche in un settore affine a quello in cui opera l'impresa interessata. La proposta di contratto si intende approvata se, all'esito del referendum, si è espressa favorevolmente la maggioranza dei dipendenti dell'impresa o dell'unità produttiva e, nel solo caso in cui la proposta sia stata presentata dal prescritto numero di lavoratori, se il datore di lavoro dichiara il proprio assenso entro trenta giorni dalla data di svolgimento del referendum. Nel caso di esito negativo del referendum, la proposta può essere ripresentata non prima di centottanta giorni.

Art. 3.
(Esonero contributivo per la riduzione dell'orario di lavoro)

1. In via sperimentale, per gli anni 2024, 2025 e 2026, per la quota di retribuzione corrispondente alla riduzione dell'orario normale di lavoro dei lavoratori ai quali si applica il contratto stipulato ai sensi dell'articolo 2, è concesso ai datori di lavoro l'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali e assicurativi a loro carico, nel limite massimo di 8.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. Resta ferma l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
2. Ai datori di lavoro che, nel periodo indicato al comma 1 del presente articolo, assumono lavoratori in relazione alla quota di riduzione dell'orario di lavoro applicata ai sensi dell'articolo 2 è concesso l'esonero contributivo di cui al comma 1 del presente articolo, anche cumulativamente con altri incentivi riconosciuti per le assunzioni entro l'importo della contribuzione effettivamente dovuta per ciascun lavoratore assunto, per una durata non superiore a:

a) ventiquattro mesi, per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

b) diciotto mesi, per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato; qualora, nel corso della sua esecuzione, il predetto contratto sia trasformato in contratto di lavoro a tempo indeterminato, il beneficio è esteso fino alla durata complessiva prevista dalla lettera a).

3. L'esonero contributivo di cui ai commi 1 e 2 è riconosciuto nel limite massimo di spesa di 250 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.
4. L'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa di cui al comma 3. Qualora dal monitoraggio emerga, anche in via prospettica, il raggiungimento del predetto limite di spesa, l'INPS non prende in considerazione ulteriori domande.
5. Entro il 31 dicembre 2026, sulla base dell'attività svolta dall'Osservatorio di cui all'articolo 3, il Governo verifica i risultati della sperimentazione degli istituti di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo e presenta una relazione alle Camere.

Art. 4.
(Istituzione dell'Osservatorio nazionale sull'orario di lavoro)

1. In via sperimentale, per gli anni 2024, 2025 e 2026, è istituito l'Osservatorio nazionale sull'orario di lavoro, con sede presso l'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche.
2. L'Osservatorio ha il compito di raccogliere e di elaborare dati statistici e socio-economici relativi:

a) alle modalità e agli strumenti con i quali le imprese e i lavoratori gestiscono e organizzano l'attività lavorativa e gli orari di lavoro;

b) all'attuazione delle disposizioni della presente legge, al fine di verificarne i risultati;

c) alle dinamiche del mercato del lavoro e all'andamento dei sistemi formativi e di riqualificazione professionale, con riferimento allo sviluppo e all'applicazione di nuove tecnologie, nonché al numero di ore di lavoro svolto, al numero dei lavoratori impiegati, al tasso di produttività e alla ricchezza prodotta;

d) all'impiego dei contratti di solidarietà previsti dalla normativa vigente, al fine di verificare l'effettiva misura del ricorso a tali strumenti;

e) alle specifiche intese raggiunte in sede di contrattazione collettiva di prossimità in riferimento alla disciplina dell'orario di lavoro, di cui all'articolo 8, comma 2, lettera d), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.

3. L'Osservatorio predispone una relazione annuale sulla propria attività e la trasmette alle Camere entro il 31 dicembre di ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.
4. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono stabilite le modalità di costituzione e di funzionamento dell'Osservatorio.
5. L'Osservatorio si avvale delle strutture e delle risorse umane, strumentali e finanziarie del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e degli enti strumentali vigilati dal medesimo Ministero, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 5.
(Rinvio alla contrattazione collettiva)

1. I contratti collettivi di lavoro nazionali e di secondo livello, aziendali e integrativi, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, nonché dalle loro articolazioni territoriali o aziendali, possono disciplinare ulteriori modalità di attuazione dei contratti per la riduzione dell'orario di lavoro di cui all'articolo 2, per quanto non specificamente previsto dalla presente legge.

Art. 6.
(Disposizioni finanziarie)

1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, pari a 250 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

Art. 7.
(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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