PDL 79

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                        Articolo 13
                        Articolo 14
                        Articolo 15
                        Articolo 16

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 79

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
SCHULLIAN, GEBHARD, PLANGGER

Disposizioni in materia di produzione e vendita del pane

Presentata il 23 marzo 2018

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Onorevoli Colleghi! Con la presente proposta di legge si intende ripresentare il testo approvato dalla Camera dei deputati nella XVII legislatura (atto Camera n. 3265) relativo alla produzione e alla vendita di pane. In data 6 dicembre 2017 il provvedimento è stato approvato dall'Assemblea e inviato al Senato che, purtroppo, non è riuscito a tramutarlo in legge prima della fine della legislatura (atto Senato n. 2996).
Si tratta di un provvedimento atteso da anni dal mondo della produzione artigianale del pane e dalle associazioni dei consumatori. Rappresenta l'esito di un approfondito confronto tra i proponenti, la Commissione agricoltura che lo ha istruito, e le associazioni dei produttori, dei distributori e dei consumatori. Un testo di legge che si è inserito nel solco delle iniziative tese a tutelare e a promuovere le produzioni tipiche e tradizionali, disseminate in tutte le regioni del nostro Paese e che la XIII Commissione, nel corso della XVII legislatura, ha intrapreso con fermezza e condivisione.
L'Italia ha un patrimonio inestimabile che conta circa 200 specialità, di cui 95 già iscritte nell'elenco del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Si tratta di un settore del valore di 7 miliardi di euro, con 400.000 addetti, operanti in 25.000 imprese, in gran parte di dimensioni familiari, che sfornano in media 100 chilogrammi di pane al giorno ciascuna.
Il testo fornisce una risposta normativa ad alcune problematiche particolarmente sentite nel settore della produzione e della commercializzazione del pane relative, in particolare, ad una regolamentazione chiara di cosa debba intendersi per pane fresco rispetto al pane conservato, al fine di meglio garantire la necessaria informazione che deve essere fornita al consumatore.
Nella finalità dell'articolo 1 del provvedimento, il pane è considerato uno degli elementi fondamentali della nostra nutrizione e rappresenta il territorio italiano e gli antichi saperi legati alla sua lavorazione. Per questi motivi il pane fresco italiano viene riconosciuto come rappresentativo del patrimonio culturale nazionale. Ma bisogna tenere in considerazione la realtà attuale, ovvero l'evoluzione tecnologica e il mutare delle abitudini di vita che hanno portato a numerosi cambiamenti nelle modalità di produzione e di vendita del pane. Oggi, infatti, è possibile scegliere tra pane fresco, pane confezionato, pane presurgelato e altri prodotti da forno simili. Il consumatore, di fronte a tali trasformazioni, si trova spaesato, addirittura privo delle informazioni corrette sulla qualità del pane in vendita e quindi su quello che compra. In sostanza ad oggi la legge non garantisce il consumatore nel riconoscimento del pane fresco artigianale rispetto al pane conservato: tale distinzione è estremamente necessaria non solo per i panificatori ma anche per gli acquirenti a cui la legge ha promesso, fin dal 2007, di fornire gli elementi utili per compiere un acquisto oculato, riuscendo a comprendere se il pane che si compra è fresco artigianale o, ad esempio, sfornato ma prodotto con base surgelata o prodotto altrove anche fuori dall'Unione europea. La legge rinviava a un decreto ministeriale per l'adozione delle disposizioni di dettaglio, decreto che poi non è mai stato emanato.
Si tratta di prodotti con sostanziali differenze: per il pane artigianale servono acqua, farina, sale e lunga lievitazione; per il pane industriale si possono avere tempi di preparazione più ridotti e ingredienti aggiuntivi tra cui conservanti utili per una più lunga resistenza all'invecchiamento.
Risulta pertanto non più procrastinabile un'informazione completa ed esaustiva del consumatore sul pane che compra, mettendolo nelle condizioni di sapere se sta acquistando un prodotto fresco presso un panificio tradizionale, che fa pane nell'arco della giornata, con un procedimento produttivo unico e continuo oppure no. Pertanto il quadro legislativo deve essere aggiornato, nuove norme devono essere pensate per rendere, da un lato, le informazioni più efficaci e veritiere, dall'altro, per consentire alle imprese di panificazione di aumentare e di valorizzare le peculiarità artigianali delle loro attività e dei loro prodotti.
Questo provvedimento, dunque, si occupa di rilanciare, valorizzandolo, il settore del pane fresco artigianale, restituendo competitività a un comparto di estrema importanza per l'economia del Paese, tutelando la tipicità e la specificità del pane artigianale italiano.
Analizziamo nello specifico il testo del provvedimento: l'articolo 1 intende garantire meglio il diritto all'informazione dei consumatori, valorizzando con apposite norme il pane fresco (comma 1); il pane fresco italiano è definito patrimonio culturale nazionale (comma 2).
All'articolo 2 è data la definizione di pane: questo è il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano o di altri cereali, acqua e lievito, con o senza aggiunta di cloruro di sodio o sale comune, spezie o erbe aromatiche (comma 1). Vi è poi l'indicazione delle seguenti possibili integrazioni di denominazioni aggiuntive (comma 2): pane fresco, riservata esclusivamente al pane preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione di impasti, e ad altri trattamenti con effetto conservante, ad eccezione delle tecniche mirate al solo rallentamento del processo di lievitazione senza additivi conservanti (la norma definisce per processo di produzione continuo quello per il quale non intercorre un intervallo di tempo superiore a 72 ore dall'inizio della lavorazione fino al momento della messa in vendita del prodotto); pane di pasta madre, riservata al pane prodotto mediante l'utilizzo esclusivo, ai fini della fermentazione dell'impasto, di pasta madre e senza ulteriori aggiunte di altri agenti lievitanti (si specifica che anche il pane fresco può essere denominato pane fresco di pasta madre); pane con pasta madre, riservata al pane prodotto mediante l'utilizzo contestuale del lievito, in proporzioni variabili tra loro (la disposizione prevede che anche il pane fresco può essere denominato pane fresco con pasta madre). È previsto il divieto di utilizzare la denominazione di pane fresco (comma 3): per il pane destinato ad essere posto in vendita oltre le 24 ore successive al momento in cui è stato completato il processo produttivo, indipendentemente dalle modalità di conservazione adottate; per il pane posto in vendita successivamente al completamento della cottura di pane parzialmente cotto, comunque conservato; per il pane ottenuto dalla cottura di prodotti intermedi di panificazione, comunque conservati. È previsto, altresì, il divieto di utilizzare denominazioni quali pane di giornata, pane appena sfornato e pane caldo nonché di qualsiasi altra denominazione che possa indurre in inganno il consumatore (comma 4). In caso di pane ottenuto da una cottura parziale destinato al consumatore finale (comma 5), è prescritto che: deve essere contenuto in imballaggi singolarmente preconfezionati recanti in etichetta le indicazioni previste dalle disposizioni vigenti; deve usare la denominazione evidente di pane completata dalla dicitura «parzialmente cotto» o altra equivalente; deve recare l'avvertenza che il prodotto deve essere consumato previa ulteriore cottura e l'indicazione delle relative modalità della stessa. In caso di prodotto surgelato, l'etichetta deve riportare le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari surgelati, nonché la dicitura «surgelato» (comma 6). In tema di sanzioni, salvo che il fatto costituisca reato, per la violazione degli obblighi si dispone: il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di una somma da 500 a 3.000 euro in caso di particolare gravità o recidiva, la sospensione dell'attività per un periodo non superiore a venti giorni (comma 7). I prodotti ottenuti dalla cottura di impasti preparati con farine alimentari, anche se miscelati con sfarinati di grano, devono essere posti in vendita con l'aggiunta alla denominazione di pane della specificazione del vegetale da cui proviene la farina impiegata (comma 8). Qualora nella produzione di pane siano utilizzati altri ingredienti, oltre agli sfarinati di grano o di cereali, la denominazione di vendita deve essere completata dalla menzione dell'ingrediente utilizzato, e, nel caso di più ingredienti, di quello o di quelli caratterizzanti (comma 9).
L'articolo 3 contiene la definizione di prodotto intermedio di panificazione come l'impasto, preformato o no, lievitato o no, destinato alla conservazione prolungata e alla successiva cottura per l'ottenimento del prodotto finale pane. È considerato tale l'impasto congelato, surgelato o conservato con metodi che mantengono inalterate le caratteristiche del prodotto intermedio per prolungati periodi di tempo, determinando un'effettiva interruzione del ciclo produttivo (comma 1). Si impone l'obbligo per un'impresa che provveda alla lievitazione e alla cottura ovvero alla sola cottura di un prodotto intermedio di panificazione, di commercializzare il pane così ottenuto in scaffali distinti e separati dal pane fresco, recanti sia le indicazioni previste dalle norme in materia di etichettatura che la dicitura «pane ottenuto da cottura di impasti», seguita dall'indicazione del metodo di conservazione utilizzato (comma 2).
L'articolo 4 prevede che il pane sottoposto a trattamenti che ne aumentano la durabilità è posto in vendita con una dicitura aggiuntiva che ne evidenzi il metodo di conservazione e di consumo (comma 1). Al momento della vendita tale tipologia di pane deve essere esposta in scomparti riservati (comma 2).
Sui lieviti utilizzabili nella panificazione, l'articolo 5 definisce il lievito come l'organismo unicellulare, tassonomicamente appartenente, ma non limitante, alla specie Saccharomyces cerevisiae, avente la capacità di convertire gli zuccheri derivanti dalla degradazione dell'amido in alcool e in anidride carbonica, assicurando la formazione della pasta convenientemente lievitata. La norma impone che la produzione di lievito deve essere ottenuta da microrganismi presenti in natura, appartenenti, ma non limitanti, alla specie Saccharomyces cerevisia, coltivati su substrati provenienti da prodotti di origine agricola (comma 1). La disposizione contiene poi alcune prescrizioni: il lievito impiegabile nella panificazione (lievito fresco o lievito compresso) deve essere costituito da cellule in massima parte vive e vitali con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore al 75 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca; la crema di lievito (lievito liquido) impiegabile nella panificazione deve essere costituita da cellule in massima parte vive e con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore all'83 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca; il lievito secco impiegabile nella panificazione deve essere costituito da cellule in massima parte viventi, con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore all'8 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca e può esistere sia nella forma attiva, da reidratare nell'acqua prima dell'uso, o istantanea, da aggiungere direttamente all'impasto (commi 2, 3 e 4). È considerato pasta madre l'impasto ottenuto esclusivamente con farina e con acqua, sottoposto a una lunga fermentazione naturale acidificante utilizzando la tecnica dei successivi rinfreschi al fine di consentire la lievitazione dell'impasto. La norma, inoltre, prescrive che la fermentazione deve avvenire esclusivamente a opera di microrganismi endogeni della farina o di origine ambientale, mentre si ammette l'utilizzo di colture di avviamento costituite da batteri lattici, senza materiale di supporto ed esenti da contaminanti (comma 5).
L'articolo 6 consente l'utilizzazione delle paste acide essiccate purché prodotte esclusivamente con gli ingredienti previsti dall'articolo 2, comma 1. Oltre alla versione essiccata, possono essere utilizzate le paste acide liquide e le paste acide in pasta, purché rispondenti alle stesse prescrizioni. Le paste acide essiccate sono descritte al comma 2 come non dotate di adeguato potere fermentativo e, ai fini della denominazione di pane (articolo 2, comma 1), devono essere integrate con il lievito, visto che la loro funzione primaria è l'apporto di acidità e di componenti aromatici caratteristici della lievitazione condotta con pasta madre.
L'articolo 7 contiene la definizione di panificio e norme sulle modalità di vendita. Il panificio è definito come l'impianto di produzione del pane, degli impasti da pane e dei prodotti da forno assimilati, dolci e salati, che svolge l'intero ciclo di produzione a partire dalla lavorazione delle materie prime sino alla cottura finale (comma 1). Secondo quanto prescrive il comma 2, l'avvio di un nuovo panificio e il trasferimento o la trasformazione di panifici esistenti sono subordinati alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). La norma in esame riconosce al titolare del panificio la facoltà di vendere allo stato sfuso i prodotti di propria produzione per il consumo immediato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie (comma 3). Per la vendita, il pane fresco deve essere posto in scaffali distinti e separati rispetto al pane ottenuto dal prodotto intermedio di panificazione e al pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto, surgelato o no, previ confezionamento ed etichettatura riportanti le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari e con le necessarie indicazioni per informare il consumatore sulla natura del prodotto (comma 5).
L'articolo 8 prevede che la denominazione di forno di qualità è riservata esclusivamente al panificio che produce e commercializza pane fresco.
La figura del responsabile dell'attività produttiva è disciplinata all'articolo 9: è identificato nel titolare dell'impresa o in un suo collaboratore familiare, socio o lavoratore dipendente dell'impresa di panificazione designato dal legale rappresentante dell'impresa all'atto della presentazione della SCIA (comma 1). A tale figura è affidato il compito di assicurare l'utilizzo di materie prime in conformità alle norme vigenti, l'osservanza delle norme igienico-sanitarie e la qualità del prodotto finito (comma 2). La figura del responsabile dell'attività produttiva deve essere individuata per ogni panificio e per ogni unità locale di un impianto di produzione presso il quale è installato un laboratorio di panificazione (comma 3); tale figura gode di completa autonomia nella propria attività relativamente alla gestione, all'organizzazione e all'attuazione della produzione (comma 6). In tema di formazione, il responsabile è tenuto a frequentare un corso di formazione professionale, accreditato dalla regione o dalla provincia autonoma competente per territorio, il cui contenuto e la cui durata sono deliberati dalla giunta regionale o della provincia autonoma con apposito provvedimento (comma 4). Si prevede l'esonero dal corso formativo (comma 5) del responsabile dell'attività produttiva già in possesso di uno dei seguenti requisiti: a) aver prestato la propria opera per almeno tre anni presso un'impresa di panificazione, con la qualifica di operaio panettiere o superiore secondo la disciplina dei vigenti contratti collettivi di lavoro; b) aver esercitato per almeno tre anni l'attività di panificazione in qualità di titolare, collaboratore familiare o socio prestatore d'opera con mansioni di carattere produttivo; c) aver conseguito un diploma in materie attinenti all'attività di panificazione, incluso in un apposito elenco individuato dalla giunta regionale o della provincia autonoma; d) aver ottenuto un diploma di qualifica di istruzione professionale in materie attinenti all'attività di panificazione, conseguito nell'ambito del sistema di istruzione professionale, unitamente a un periodo di attività lavorativa di panificazione di almeno un anno presso imprese del settore, di due anni qualora il diploma sia ottenuto prima del compimento della maggiore età; e) aver conseguito un attestato di qualifica in materie attinenti all'attività di panificazione o il profilo di panificatore, in base agli standard professionali della regione o della provincia autonoma, rilasciato a seguito di un corso di formazione professionale, unitamente a un periodo di attività lavorativa di panificazione della durata di almeno un anno svolta presso imprese del settore; f) essere affiancato dal responsabile dell'attività produttiva nella quale è subentrato.
In tema di mutuo riconoscimento l'articolo 10 prevede che le disposizioni della legge non si applicano ai prodotti legalmente fabbricati o commercializzati negli altri Stati membri dell'Unione europea o in Turchia ovvero fabbricati in uno Stato membro dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), Parte contraente dell'Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE).
L'articolo 11 definisce i vari tipi di pane tradizionale di alta qualità come: il pane tradizionale tipico locale identificato dalle regioni ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 173 del 1998 e del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole n. 350 del 1999, riportato negli elenchi regionali inseriti nell'elenco nazionale istituito dal citato regolamento, purché non contenga ingredienti finalizzati alla conservazione o alla durabilità prolungata né sia sottoposto ad altri trattamenti di tipo conservante; il pane riconosciuto ai sensi della normativa dell'Unione europea in materia di denominazione di origine protetta, di indicazione geografica protetta e di specialità tradizionale garantita. Le regioni, su proposta delle associazioni territoriali di rappresentanza della categoria della panificazione, riconoscono i disciplinari di produzione del pane tradizionale tipico locale.
L'articolo 12 attribuisce la vigilanza sull'attuazione della legge alle aziende sanitarie locali e ai comuni competenti per territorio, cui spettano i proventi derivanti dall'applicazione di eventuali sanzioni amministrative per la violazione delle disposizioni della medesima legge. La norma rinvia la definizione di tali sanzioni alla competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
L'articolo 13 prevede che le regioni si adeguino alle disposizioni in esame entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge; per le regioni a statuto speciale e le province autonome d Trento e di Bolzano è prevista la clausola di salvaguardia, nel senso che l'obbligo è subordinato alla conformità delle disposizioni ivi contenute alle norme contenute nei rispettivi statuti e nelle relative norme di attuazione. L'articolo 14 prevede che il Governo è autorizzato ad apportare nell'esercizio del potere regolamentare ed entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento le modifiche che si rendono necessarie al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502, recante norme per la revisione della normativa in materia di lavorazione e commercio del pane (articolo 14).
L'articolo 15 abroga gli articoli 14 e 21 della legge 4 luglio 1967, n. 580, l'articolo 8 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502, e l'articolo 4 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità).

1. La presente legge reca disposizioni in materia di produzione e di vendita del pane al fine di garantire il diritto all'informazione dei consumatori e di valorizzare il pane fresco.
2. Il pane fresco italiano, quale frutto del lavoro e dell'insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni, costituisce un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale.

Art. 2.
(Definizioni).

1. È denominato «pane» il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta, convenientemente lievitata utilizzando il lievito di cui all'articolo 5, comma 1, preparata con sfarinati di grano o di altri cereali e acqua, con o senza aggiunta di cloruro di sodio o sale comune, spezie o erbe aromatiche.
2. La denominazione di pane di cui al comma 1 può essere integrata dalle seguenti denominazioni aggiuntive:

a) la denominazione di «pane fresco» è riservata in via esclusiva al pane che è stato preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione di impasti e ad altri trattamenti con effetto conservante, ad eccezione delle tecniche mirate al solo rallentamento del processo di lievitazione, senza additivi conservanti. È ritenuto continuo il processo di produzione per il quale non intercorre un intervallo di tempo superiore a settantadue ore dall'inizio della lavorazione fino al momento della messa in vendita del prodotto;

b) la denominazione di «pane di pasta madre» è riservata al pane che è stato prodotto mediante l'utilizzo esclusivo, ai fini della fermentazione dell'impasto, di pasta madre di cui all'articolo 5, comma 5, e senza ulteriori aggiunte di altri agenti lievitanti. Il pane che rientra anche nelle condizioni previste dalla lettera a) può essere denominato «pane fresco di pasta madre»;

c) la denominazione di «pane con pasta madre» è riservata al pane che è stato prodotto mediante l'utilizzo contestuale dei lieviti di cui all'articolo 5, commi 2, 3 e 4, in proporzioni variabili tra loro. Il pane che rientra anche nelle condizioni previste dalla lettera a) può essere denominato «pane fresco con pasta madre».

3. È vietato utilizzare in commercio la denominazione di «pane fresco»:

a) per designare il pane destinato ad essere posto in vendita oltre le ventiquattro ore successive al momento in cui è stato completato il processo produttivo, indipendentemente dalle modalità di conservazione adottate;

b) per il pane posto in vendita successivamente al completamento della cottura di pane parzialmente cotto, comunque conservato;

c) per il pane ottenuto dalla cottura di prodotti intermedi di panificazione, comunque conservati.

4. È comunque vietato l'utilizzo delle denominazioni «pane di giornata», «pane appena sfornato» e «pane caldo» nonché di qualsiasi altra denominazione che possa indurre in inganno il consumatore.
5. Il pane ottenuto da una cottura parziale, se è destinato al consumatore finale, deve essere contenuto in imballaggi singolarmente preconfezionati recanti nell'etichetta le indicazioni previste dalle disposizioni vigenti e, in modo evidente, la denominazione di «pane» completata dalla dicitura «parzialmente cotto» o altra equivalente, nonché l'avvertenza che il prodotto deve essere consumato previa ulteriore cottura e l'indicazione delle modalità della stessa.
6. Nel caso di prodotto surgelato, oltre a quanto previsto dal comma 5, l'etichetta deve riportare le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari surgelati, nonché la dicitura «surgelato».
7. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque viola gli obblighi di cui al presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 500 a euro 3.000. In caso di violazioni di particolare gravità o di reiterazione ai sensi dell'articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'autorità amministrativa dispone la sospensione dell'attività di vendita per un periodo non superiore a venti giorni.
8. I prodotti ottenuti dalla cottura di impasti preparati con farine alimentari, compresi quelli miscelati con sfarinati di grano, devono essere posti in vendita con l'aggiunta alla denominazione di pane della specificazione del vegetale da cui proviene la farina impiegata.
9. Qualora nella produzione del pane siano impiegati, oltre agli sfarinati di grano o di altri cereali, altri ingredienti alimentari, la denominazione di vendita deve essere completata dalla menzione dell'ingrediente utilizzato e, nel caso di più ingredienti, di quello o di quelli caratterizzanti.

Art. 3.
(Prodotto intermedio di panificazione).

1. È definito «prodotto intermedio di panificazione» l'impasto, preformato o no, lievitato o no, destinato alla conservazione prolungata e alla successiva cottura per l'ottenimento del prodotto finale pane. È da considerare tale l'impasto sottoposto a congelamento, surgelazione o ad altri metodi di conservazione che mantengono inalterate le caratteristiche del prodotto intermedio per prolungati periodi di tempo, determinando un'effettiva interruzione del ciclo produttivo.
2. Nel caso in cui un'impresa provveda alla lievitazione e alla cottura ovvero alla sola cottura di un prodotto intermedio di panificazione, il pane così ottenuto deve essere commercializzato in scaffali distinti e separati dal pane fresco, recanti sia le indicazioni previste dalle norme in materia di etichettatura sia la dicitura «pane ottenuto da cottura di impasti», seguita dall'indicazione del metodo di conservazione utilizzato.

Art. 4.
(Pane conservato o a durabilità prolungata).

1. Il pane sottoposto a trattamenti che ne aumentino la durabilità è posto in vendita con una dicitura aggiuntiva che ne evidenzi lo stato o il metodo di conservazione utilizzato nonché le eventuali modalità di conservazione e di consumo.
2. Al momento della vendita, i prodotti di cui al comma 1 devono essere esposti in scomparti ad essi appositamente riservati.

Art. 5.
(Prodotti utilizzabili per la lievitazione nella panificazione).

1. Ai fini della presente legge, per lievito si intende un organismo unicellulare, tassonomicamente appartenente, non limitatamente, alla specie Saccharomyces cerevisiae, avente la capacità di convertire gli zuccheri derivanti dalla degradazione dell'amido in alcool e in anidride carbonica, assicurando la formazione della pasta convenientemente lievitata. La produzione di lievito deve essere ottenuta a partire da microrganismi presenti in natura, appartenenti, non limitatamente, alla specie Saccharomyces cerevisiae, coltivati su substrati provenienti da prodotti di origine agricola.
2. Il lievito impiegabile nella panificazione, denominato anche «lievito fresco» o «lievito compresso», deve essere costituito da cellule in massima parte vive e vitali con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore al 75 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca.
3. La crema di lievito, denominata anche «lievito liquido», impiegabile nella panificazione deve essere costituita da cellule in massima parte vive e vitali con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore all'83 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca.
4. Il lievito secco impiegabile nella panificazione deve essere costituito da cellule in massima parte vive e con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore all'8 per cento e con ceneri non superiori all'8 per cento riferito alla sostanza secca. Può esistere sia nella forma attiva, da reidratare nell'acqua prima dell'uso, o istantanea, da aggiungere direttamente all'impasto.
5. È definito «pasta madre» l'impasto ottenuto con farina e acqua, sottoposto a una lunga fermentazione naturale acidificante utilizzando la tecnica dei rinfreschi successivi al fine di consentire la lievitazione dell'impasto. La fermentazione deve avvenire esclusivamente a opera di microrganismi endogeni della farina o di origine ambientale. È inoltre ammesso l'utilizzo di colture di avviamento (starter) costituite da batteri lattici, senza materiale di supporto ed esenti da contaminanti.

Art. 6.
(Paste acide).

1. Le paste acide essiccate possono essere utilizzate purché prodotte esclusivamente con gli ingredienti previsti all'articolo 2, comma 1. Oltre alla versione essiccata, possono essere utilizzate le versioni liquide e in pasta, rispettivamente denominate «pasta acida liquida» e «pasta acida in pasta», purché rispondenti alle prescrizioni del presente comma.
2. Le paste acide essiccate non sono dotate di adeguato potere fermentativo e, ai fini di cui all'articolo 2, comma 1, necessitano di essere integrate con il lievito. La loro funzione primaria è l'apporto di acidità e di componenti aromatici caratteristici della lievitazione condotta con pasta madre.

Art. 7.
(Definizione di panificio e modalità di vendita).

1. È denominato «panificio» l'impianto di produzione del pane, degli impasti da pane e dei prodotti da forno assimilati, dolci e salati, che svolge l'intero ciclo di produzione a partire dalla lavorazione delle materie prime sino alla cottura finale.
2. L'avvio di un nuovo panificio e il trasferimento o la trasformazione di panifici esistenti sono subordinati alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), disciplinata dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222.
3. È comunque facoltà del titolare del panificio vendere allo stato sfuso i prodotti di propria produzione per il consumo immediato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda, con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.
4. Il pane fresco deve essere posto in vendita in scaffali distinti e separati rispetto al pane ottenuto dal prodotto intermedio di panificazione.
5. Il pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto, surgelato o no, deve essere messo in vendita, previ confezionamento ed etichettatura riportanti le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari, in comparti separati dal pane fresco e con le necessarie indicazioni per informare il consumatore sul luogo e sulla data del primo impasto e sulla natura del prodotto.

Art. 8.
(Forno di qualità).

1. La denominazione di «forno di qualità» è riservata in via esclusiva al panificio che produce e commercializza pane fresco.
2. La denominazione di «forno di qualità» può essere usata nella denominazione della ditta, dell'insegna o del marchio.

Art. 9.
(Responsabile dell'attività produttiva).

1. Il responsabile dell'attività produttiva di cui all'articolo 7 è il titolare dell'impresa ovvero un suo collaboratore familiare, socio o lavoratore dipendente dell'impresa di panificazione designato dal legale rappresentante dell'impresa stessa all'atto della presentazione della SCIA.
2. Al responsabile dell'attività produttiva è affidato il compito di assicurare l'utilizzo di materie prime in conformità alle norme vigenti, l'osservanza delle norme igienico-sanitarie e la qualità del prodotto finito.
3. Il responsabile dell'attività produttiva deve essere individuato per ogni panificio e per ogni unità locale di un impianto di produzione presso il quale è installato un laboratorio di panificazione.
4. Il responsabile dell'attività produttiva è tenuto a frequentare un corso di formazione professionale, accreditato dalla regione o dalla provincia autonoma competente per territorio, il cui contenuto e la cui durata sono deliberati, sentite le associazioni di rappresentanza e di categoria maggiormente rappresentative a livello territoriale, dalla giunta regionale o della provincia autonoma con apposito provvedimento.
5. È esonerato dal corso formativo di cui al comma 4 il responsabile dell'attività produttiva che risulta già in possesso di uno dei seguenti requisiti:

a) aver prestato la propria opera per almeno tre anni presso un'impresa di panificazione, con la qualifica di operaio panettiere o con una qualifica superiore secondo la disciplina dei vigenti contratti collettivi di lavoro;

b) aver esercitato per almeno tre anni l'attività di panificazione in qualità di titolare, collaboratore familiare o socio prestatore d'opera con mansioni di carattere produttivo;

c) aver conseguito un diploma in materie attinenti all'attività di panificazione, compreso in un apposito elenco individuato dalla giunta regionale o della provincia autonoma;

d) aver ottenuto un diploma di qualifica di istruzione professionale in materie attinenti all'attività di panificazione, conseguito nell'ambito del sistema di istruzione professionale, unitamente a un periodo di attività lavorativa di panificazione di almeno un anno presso imprese del settore, ovvero di due anni qualora il diploma sia ottenuto prima del compimento della maggiore età;

e) aver conseguito un attestato di qualifica in materie attinenti all'attività di panificazione o il profilo di panificatore, in base agli standard professionali della regione o della provincia autonoma, rilasciato a seguito di un corso di formazione professionale, unitamente a un periodo di attività lavorativa di panificazione della durata di almeno un anno svolta presso imprese del settore;

f) essere affiancato dal responsabile dell'attività produttiva nella quale è subentrato.

6. Il responsabile dell'attività produttiva svolge la propria attività in completa autonomia relativamente alla gestione, all'organizzazione e all'attuazione della produzione.

Art. 10.
(Mutuo riconoscimento).

1. Fermo restando quanto previsto dal regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull'igiene dei prodotti alimentari, le disposizioni della presente legge non si applicano ai prodotti legalmente fabbricati o commercializzati negli altri Stati membri dell'Unione europea o in Turchia ovvero fabbricati in uno Stato membro dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), Parte contraente dell'Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE).

Art. 11.
(Pane tradizionale di qualità).

1. Sono denominati «pane tradizionale di qualità» i tipi di pane tradizionali tipici locali identificati dalle regioni ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, e del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 8 settembre 1999, n. 350, riportati negli elenchi regionali e inseriti nell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari istituito dal citato regolamento, purché non contengano ingredienti finalizzati alla conservazione o alla durabilità prolungata né siano stati sottoposti ad altri trattamenti a effetto conservante. Possono altresì avvalersi della denominazione di «pane fresco tradizionale di qualità» i tipi di pane riconosciuti ai sensi della normativa dell'Unione europea in materia di denominazione di origine protetta, di indicazione geografica protetta e di specialità tradizionale garantita.
2. Le regioni, su proposta delle associazioni territoriali di rappresentanza della categoria della panificazione aderenti alle organizzazioni imprenditoriali più rappresentative a livello nazionale, riconoscono i disciplinari di produzione dei tipi di pane di cui al primo periodo del comma 1.

Art. 12.
(Vigilanza).

1. La vigilanza sull'attuazione della presente legge è esercitata dalle aziende sanitarie locali e dai comuni competenti per territorio, cui spettano i proventi derivanti dall'applicazione di eventuali sanzioni amministrative stabilite dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, per la violazione delle disposizioni della medesima legge, ad esclusione di quelle di cui all'articolo 2. Dall'attuazione delle disposizioni del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 13.
(Adeguamento della normativa regionale. Clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano).

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi in essa contenuti.
2. Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Art. 14.
(Adeguamento del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502).

1. Il Governo, nell'esercizio della potestà regolamentare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvede ad apportare le modifiche necessarie per adeguare il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502, alle disposizioni della presente legge.

Art. 15.
(Abrogazioni).

1. Sono abrogati:

a) gli articoli 14 e 21 della legge 4 luglio 1967, n. 580;

b) l'articolo 8 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502;

c) l'articolo 4 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

Art. 16.
(Entrata in vigore e disposizioni transitorie).

1. Le disposizioni della presente legge, notificate alla Commissione europea ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, si applicano a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla pubblicazione della medesima legge nella Gazzetta Ufficiale.

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