PDL 676

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 676

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CROSETTO, MELONI, RAMPELLI, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, DEIDDA, DONZELLI, FERRO, MOLLICONE, PRISCO, RIZZETTO, SILVESTRONI, VARCHI, ZUCCONI

Modifiche all'articolo 560 e introduzione dell'articolo 560-bis del codice di procedura civile, in materia di custodia e liberazione dell'immobile pignorato, nonché istituzione di un fondo per la tutela della casa di abitazione

Presentata il 31 maggio 2018

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Onorevoli Colleghi! — Il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione», ha riformato in parte il processo di esecuzione.
La riforma attuata, se da un lato tutela e favorisce alcune categorie di creditori, in particolar modo coloro che hanno investito nelle banche in liquidazione, dall'altro ha notevolmente aggravato la posizione dei debitori: il nuovo articolo 560 del codice di procedura civile, in particolare, agevola la vendita dei beni immobili pignorati disattivando, di fatto, le garanzie di cui agli articoli 605 e seguenti del medesimo codice e disattendendo i diritti che eventuali terzi possono vantare sul bene.
Il novellato articolo 560, infatti, recependo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale, ha previsto che il giudice dell'esecuzione possa disporre la liberazione dell'immobile pignorato, anche prima dell'aggiudicazione, con la precisazione che tale provvedimento è opponibile dal debitore esecutato ai sensi dell'articolo 617.
Il legislatore non ha, però, precisato alcuni aspetti fondamentali che, tra le altre cose, garantirebbero un'effettiva tutela del debitore: non è chiaro, infatti, se tale provvedimento possa essere emanato su istanza di parte o anche d'ufficio; se debba essere adottato solo a seguito di contraddittorio con il debitore esecutato o meno e se debba essere notificato al debitore, né quali siano le conseguenze del mancato ottemperamento di tale notifica; e ciò rappresenta una grave lacuna in quanto, in forza del suddetto provvedimento, il debitore esecutato può perdere l'abitabilità dell'immobile.
Proseguendo nell'analisi della normativa novellata, l'articolo 615, secondo comma, del codice di procedura civile reca un ulteriore pregiudizio ai danni del debitore nella parte in cui dispone che «(...) Nell'esecuzione per espropriazione l'opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile».
Anche qui non è chiaro se il debitore possa sollevare eccezioni formali o entrare nel merito o sollevare questioni di opportunità, tanto più che il provvedimento emesso a fronte dell'opposizione ex articolo 617 del codice di procedura civile non è impugnabile.
I diritti del debitore, dunque, subiscono una notevole compressione a favore degli interessi creditizi, molte volte discutibili o sostanzialmente incerti, come i crediti bancari.
Tale quadro normativo presenta seri profili di pregiudizio per i debitori in crisi, soprattutto quando ad essere oggetto del pignoramento sono le prime case o, comunque, le case destinate ad abitazione. Spesso, infatti, i cittadini pongono a garanzia dei propri investimenti e prestiti il loro patrimonio immobiliare che, sovente, è rappresentato dall'unico immobile abitativo di cui il singolo, o il suo nucleo familiare, dispone.
La tragica conseguenza è che la «proprietà dell'abitazione», riconosciuta ed elevata a rango costituzionale dall'articolo 47 della Costituzione e che la Repubblica dovrebbe promuovere ed incentivare, paradossalmente risulta pregiudicata.
La posizione del debitore, già fortemente compromessa dal delineato quadro normativo, risulta ulteriormente aggravata alla luce della lettura del paragrafo 16 delle linee guida in materia di buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari (delibera dell'11 ottobre 2017 del Consiglio superiore della magistratura) nella parte in cui dispone che «La pratica del processo esecutivo, peraltro, dimostra che può sicuramente sortire effetti benefici l'anticipazione (dell'emissione e anche dell'attuazione) dell'ordine di liberazione, posto che un bene libero è certamente più appetibile sul mercato. È dunque buona prassi che il giudice dell'esecuzione emetta detto ordine di liberazione contestualmente all'ordinanza di delega quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare l'immobile ai sensi del 3° c. dell'art. 560 c.p.c. La declinazione oramai self-executing di tale provvedimento – attraverso l'opera del custode giudiziario supportato eventualmente dalla forza pubblica (art. 68 c.p.c. e art. 14 Ordinamento Giudiziario) – esclude che dalla procedura immobiliare germini un'autonoma esecuzione per rilascio secondo le forme ordinarie e ne garantisce pertanto una pronta attuazione. Merita anche osservare che il provvedimento di antieconomicità, ex art. 164-bis disp. att. c.p.c., non potrebbe ritenersi correttamente emesso senza aver prima tentato di alienare il bene in assenza di occupanti ancorché sine titulo».
In sintesi: si ritiene «buona prassi» che il giudice emetta l'ordine di liberazione contestualmente all'ordinanza di delega, sostenendo altresì che il provvedimento di antieconomicità, ex articolo 164-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, non potrebbe ritenersi correttamente emesso senza aver prima tentato di alienare il bene in assenza di occupanti, ancorché sine titulo.
L'originaria formulazione dell'articolo 560, terzo comma, del codice di procedura civile, invece, prevedeva, previa autorizzazione del giudice, che il debitore potesse continuare ad abitare l'immobile pignorato, ossia i locali strettamente necessari. Il provvedimento autorizzativo del giudice, peraltro, non era sottoposto alla sua discrezionalità ma doveva essere fondato sul giusto contemperamento tra le esigenze di spendita della procedura esecutiva, dei diritti creditizi e del fondamentale diritto all'abitazione del debitore esecutato.
Le considerazioni finora effettuate non possono prescindere, poi, da un'analisi della ratio della legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 1942) ed in particolare dell'articolo 47. Tali norme, per pacifica dottrina, appartengono al gruppo delle regole che, in sede di espropriazione, assicurano al debitore un certo beneficium competentiae: il citato articolo 47, secondo comma, infatti, disponendo che «La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività», riconosce un vero e proprio diritto soggettivo alla conservazione dell'abitazione per il fallito e la sua famiglia nella casa di sua proprietà.
La stessa Cassazione penale (sentenza n. 51458 del 19 dicembre 2013) ha ricostruito la voluntas legis della norma fallimentare, con una interpretazione costituzionalmente orientata, statuendo che: «Quanto al tema abitativo, una ormai più che risalente pronuncia (sent. n. 2070/1959), che affermava il diritto soggettivo del fallito alla conservazione del godimento dell'alloggio di sua proprietà fino alla vendita, è parsa superata dalla dottrina e dalla prassi che, a proposito del contenimento del vincolo di destinazione dell'abitazione al fallito nei limiti della “necessità” di costui e della sua famiglia, legittimano provvedimenti del Giudice delegato volti ad alienare o locare la parte esuberante e, in via generale, giustificano il potere dell'Ufficio fallimentare di liquidare la casa di proprietà del fallito anche prima della fase terminale della procedura, ove sia presente un preciso interesse in tal senso e si provveda in altro modo a carico della massa all'abitazione del fallito, fino al momento in cui il rilascio sarebbe stato legittimo. Giurisprudenza, dottrina e prassi accreditano, dunque, un'interpretazione della L.Fall., art. 47, nel senso di subordinare la concessione del sussidio alimentare e dell'autorizzazione ad abitare la casa di proprietà, oltre che a un provvedimento di natura discrezionale, a condizioni e limiti nei termini sopra precisati. (...) “Trattandosi di norma di favore, l'interpretazione sistematica porta a ritenere, unitamente alla interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata, che il proposto/fallito abbia il diritto, unitamente alla sua famiglia, di abitare l'immobile di sua proprietà, senza la corresponsione di alcun canone. Il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e nelle sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra diritto interno e diritto sovranazionale ... Alla luce di tali considerazioni deve escludersi che il proposto debba corrispondere il canone di locazione relativamente alla propria abitazione, ancorché bene infruttifero, indipendentemente se sia in grado di far fronte con il suo patrimonio o con il suo reddito a tale spesa, non potendo, L.Fall., ex art. 47, comma 2, essere privato della propria abitazione, senza che possa essere imposto allo stesso il pagamento di un canone locativo, indipendentemente dalla sua solvibilità ...”».
La Cassazione, pertanto, ha ritenuto applicabile l'articolo 47 della legge fallimentare nel solo caso in cui il proposto/terzo intestatario non si trovi in condizioni di emergenza abitativa, in quanto disponga di redditi adeguati o di altri immobili di proprietà; in tali casi dovrà escludersi l'assimilabilità della sua situazione a quella del fallito e, dunque, l'applicabilità dei provvedimenti di cui alla legge fallimentare.
«La enunciata soluzione ermeneutica si appalesa, per quanto detto sopra, coerente con la lettera, la ratio e l'inquadramento sistematico della normativa esaminata, né può suscitare dubbi di costituzionalità o di conformità ai principi comunitari e internazionali quanto alla tutela del diritto all'abitazione, ormai annoverato (...) tra i diritti fondamentali dell'uomo come consacrati nell'art. 2 Cost. (Cfr. sent. C. cost. nn. 217 e 404/88, n. 209/09 e n. 61/11, nelle quali si è, tra l'altro, affermato che “il diritto all'abitazione rientra tra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione”), nell'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948) e nell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16.12.1966 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ratificato dall'Italia il 15.9.1978» (Cassazione penale, citata sentenza n. 51458 del 2013).
Sotto questo profilo e alla luce del dettato costituzionale, il legislatore non può accettare l'idea che le gravi distorsioni del circuito economico-finanziario portino alla perdita dell'unica abitazione di cui una singola persona o un nucleo familiare dispone tradendo, altresì, il monito della Corte costituzionale che, ricollegandosi alle fondamentali regole della civile convivenza, ha ribadito il dovere «(...) da parte della collettività intera di impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 49 dell'11 febbraio 1987).
Nel suo successivo iter esplicativo, la Corte costituzionale (sentenza n. 217 dell'11 febbraio 1988) ricorda che «L'art. 47, secondo comma, Cost., nel disporre che la Repubblica “favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione”, individua nelle misure volte ad agevolare e, quindi, a render effettivo il diritto delle persone più bisognose ad avere un alloggio in proprietà una forma di garanzia privilegiata dell'interesse primario ad avere un'abitazione. E, inoltre, nell'addossare il compito di predisporre tale garanzia alla Repubblica, precisa che la soddisfazione di un interesse così imperativo come quello in questione non può adeguatamente realizzarsi senza un concorrente impegno del complesso dei poteri pubblici (Stato, Regioni o Province autonome, enti locali) facenti parte della Repubblica».
Auspicano, quindi, i giudici costituzionali che non venga mai meno una pronta e immediata «risposta complessiva dei poteri pubblici di fronte alla acuta tensione tra il riconoscimento di un diritto sociale fondamentale, quello dell'abitazione, e la situazione reale, caratterizzata da una preoccupante carenza di effettività dello stesso diritto» e tutto ciò per «creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all'abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso» (Corte costituzionale, citata sentenza n. 217 del 1988).
Anche la Cassazione, intervenuta più volte sull'argomento in questione, ha segnato un consolidato orientamento, perfettamente coerente ed allineato con le posizioni della Corte costituzionale.
Il diritto all'abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale. Il diritto all'abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, dovendosi ricomprendere tra quelli individuabili ex articolo 2 della Costituzione, la cui tutela «non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'articolo 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana (Cass., SS. UU civ., 11.11. 2008 n. 26972/75 cit.). Il diritto all'abitazione è, quindi, protetto dalla Costituzione entro l'alveo dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost. (Corte cost. 28 luglio 1983, n. 252; Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 217; Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404; Corte cost. 14 dicembre 2001, n. 410; Corte cost. 21 novembre 2000, n. 520; Corte cost. 25 luglio 1996, n. 309)» (Cassazione civile, sentenza n. 9908 dell'11 marzo 2011).
La prassi, nella sostanza, sconfina però dall'alveo della giusta comparazione dei diritti, disattendendo la naturale gerarchia dei diritti fondamentali rispetto a quelli relativi (come i diritti di credito) in quanto la citata delibera dell'11 ottobre 2017, di fatto, privilegia il mero diritto del creditore rispetto al fondamentale diritto all'abitazione del debitore esecutato, al fine di garantire all'aggiudicatario una consegna dell'immobile libero da persone e cose.
Rispetto al terzo comma dell'articolo 560 del codice di procedura civile, ancora più dirompenti sono, poi, le modifiche apportate al quarto comma dello stesso articolo, che disciplina l'attuazione del provvedimento del giudice dell'esecuzione che dispone la liberazione dell'immobile pignorato da persone e cose.
Per facilitare la vendita degli immobili pignorati è stata organizzata una liberazione dell'immobile «singolare» con riferimento alla necessità di liberarlo sia dalle persone che dalle cose. Si è, infatti, disposto che sia direttamente il custode a porre in attuazione i provvedimenti di liberazione degli immobili pignorati: questi procederà alla liberazione dell'immobile «senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti» e solo «secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione immobiliare», avvalendosi, se del caso, della forza pubblica e – quanto alla liberazione dell'immobile dalle cose – intimando alla parte tenuta al rilascio di asportare i beni mobili che occupano l'immobile in trenta giorni; in mancanza di ciò essi si considereranno abbandonati e il custode ne potrà disporre lo smaltimento o la distruzione.
La liberazione del bene secondo queste modalità, se da una parte certamente favorisce l'immediata liberazione dell'immobile pignorato, dall'altra sottrae al debitore che abita l'immobile la possibilità di avanzare opposizione all'esecuzione, che non sembra più esperibile in assenza di un vero e proprio processo di esecuzione.
Allo stato dell'arte, o si riterrà che il debitore niente possa opporre avverso questa attuazione di liberazione dell'immobile, con ogni conseguenza immaginabile sia da un punto di vista prettamente giuridico che sociale; oppure si dovrà assimilare il provvedimento di liberazione dell'immobile ai provvedimenti cautelari ex articolo 669-duodecies del codice di procedura civile, con la conseguenza che il debitore esecutato potrà tutelarsi nelle forme e nei limiti di cui può usufruire chi subisce l'attuazione di una misura cautelare.
In un modo o nell'altro, gli spazi di tutela sono fortemente ridotti, perché le istanze avverso soprusi o irregolarità dell'attuazione devono oggi essere presentate allo stesso giudice che ha assunto il provvedimento, mentre in precedenza l'opposizione ex articolo 605 del codice di procedura civile poteva essere assegnata a un diverso soggetto giudicante, con diversi sensibilità e modus operandi.
L'ordinamento italiano difetta, pertanto, di opportuni strumenti legislativi a difesa del cittadino; anzi, le disposizioni di legge ad oggi sono palesemente sbilanciate a favore del creditore, tanto da privilegiare il diritto di credito rispetto a quel diritto alla «proprietà dell'abitazione» che, a norma della disposizione costituzionale, dovrebbe essere promosso e tutelato dalla Repubblica.
La situazione sin qui delineata assume connotati particolari e ancora più preoccupanti alla luce del recente trend delle banche di disfarsi dei crediti deteriorati, i «no performing loans», universalmente noti sotto la sigla NPL, ossia i prestiti concessi dalle banche i quali però presentano notevoli difficoltà, se non impossibilità, nella restituzione e rappresentano un serio problema per i bilanci degli istituti di credito, costretti a coprire le perdite a bilancio.
È ormai noto come i NPL sono il risultato di anni e anni di gestione spregiudicata e incosciente da parte dei vertici dei più noti istituti bancari: le banche cartolarizzano il diritto «a recuperare» i crediti in sofferenza e li cedono a soggetti specializzati ricevendo, come controvalore, una frazione dell'importo prestato, ma beneficiando anche dell'accantonamento della perdita con ripercussioni favorevoli da un punto di vista fiscale.
I cessionari del credito rivendono a loro volta quel diritto o procedono al pignoramento del bene.
Come se non bastasse una legislazione già schierata a favore del creditore, le banche riscontrano il favore della Banca centrale europea (BCE) che, con la pubblicazione dell’«Addendum alle linee guida della BCE per le banche sui crediti deteriorati (NPL): livelli minimi di accantonamento prudenziale per le esposizioni deteriorate», ha ulteriormente sollecitato le banche ad operare grandi cessioni in blocco dei NPL, a prezzi altamente convenienti, a fondi esteri specializzati che gestiscono i crediti come società di liquidazione.
I debitori italiani in crisi si trovano, pertanto, gestiti da fondi esteri o, meglio, da speculatori pronti a guadagnare impunemente e a sottrarre le case degli italiani, agevolati anche da una legislazione che, come sopra osservato, si pone in netto favore del creditore, a scapito del debitore esecutato che non ha validi strumenti per opporsi e difendere il suo costituzionalmente garantito diritto all'abitazione.
In altre parole, si ammette che spregiudicate procedure di recupero dei crediti (NPL) calpestino quel doveroso senso di solidarietà sociale che deve animare l'intera società e, soprattutto, lo Stato in tutte le sue articolazioni.
Il diritto alla casa non può essere declassato a mero interesse destinato a soccombere ad un diritto di credito che, da un lato, viene ceduto con notevoli vantaggi anche di ordine fiscale per le banche (i cui bilanci, di fatto, in questo modo vengono «puliti») e, dall'altro, consente a fondi anche esteri di speculare sul dolore del soggetto per la perdita della casa.
Basti pensare che nel 2016 sono stati posti all'asta 270.000 immobili di famiglie indebitate e in pochissimi anni si arriverà a 450.000 immobili. Nel solo 2017 sono stati ceduti NPL per un valore che si aggira intorno agli 80 miliardi di euro.
La proposta di legge in esame, composta da quattro articoli, si pone, nel suo complesso, a tutela e garanzia del diritto di proprietà dell'abitazione quale fondamentale diritto riconosciuto dall'articolo 47 della Costituzione, consapevoli della necessità di riequilibrare una situazione pregiudicata dalla recente riforma del processo dell'esecuzione, nella quale gli strumenti giudiziari approntati per garantire i diritti di credito di una determinata categoria di soggetti perdono i loro connotati di giustizia quando finiscono per pregiudicare un diritto fondamentale: il diritto alla prima casa e il dovere della società di impedire che un soggetto non abbia più la possibilità di avere un'abitazione.
La proposta di legge, poi, si pone il fine ulteriore di tutelare i debitori esecutati i cui debiti siano stati cartolarizzati e ceduti dal creditore (gli istituti di credito), specie se la cessione è a favore di fondi specializzati.
Al fine di conseguire questi obiettivi viene introdotto il nuovo articolo 560-bis del codice di procedura civile, che consente al debitore esecutato di preservare l'immobile adibito a prima casa, di fatto l'unico immobile abitativo di cui il debitore dispone.
In aggiunta, il debitore dovrà depositare una somma (comunque non inferiore a 10.000 euro) pari al valore a cui è avvenuta la cartolarizzazione; in questo modo si avrà la possibilità di incentivare anche la tanto richiesta trasparenza nell'attività di cartolarizzazione dei NPL.
È sembrato anche fondamentale incentivare l'imprescindibile contraddittorio tra le parti da svolgere nell'apposita udienza che il giudice fisserà una volta accertate la completezza e la giustezza dei depositi di valore e documentali eseguiti dal debitore esecutato.
Le pretese creditizie considerate saranno solo quelle supportate da privilegio o ipoteca sull'immobile adibito ad abitazione e altre diverse pretese creditizie dovranno trovare altre vie di realizzo che, comunque, non riguardino l'immobile adibito ad abitazione: si è cercato in tal modo di dare un giusto equilibrio a due diverse categorie di diritti (all'abitazione e al credito) senza, però, non far rilevare una maggiore attenzione al diritto di cui all'articolo 47 della Costituzione che, come rilevato anche dalla copiosa giurisprudenza richiamata, assurge a corollario della dignità umana ed è necessariamente posto al centro delle espressioni solidaristiche della società.
La proposta di legge prevede, anche, la creazione di un apposito Fondo che dovrebbe completare la tutela del debitore esecutato (in procinto di perdere l'unica casa) per mezzo di una misura finanziaria.
L'istituzione di un Fondo che aiuti e soccorra coloro che sono nella pericolosissima condizione di vedersi sottrarre l'unico immobile abitativo di cui dispongono (e si pensi alla delicatezza della situazione quando a rischio vi siano nuclei familiari con minori a carico) ben si allinea a quelle imprescindibili istanze di solidarietà sociale che l'ordinamento e l'intera società sono chiamati non solo a garantire ma anche a porre come fondamentale criterio di intervento sia legislativo che sociale ed economico.
Sono previste, infine, le forme di finanziamento poste a sostegno del Fondo. Una parte viene dal gettito dell'IRAP (che si è calcolato in misura più che sostenibile per le finanze regionali), limitatamente al gettito realizzato applicando l'imposta alle banche e alle assicurazioni, in perfetta coerenza con la sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001 (nella quale la Corte, respingendo diverse questioni di legittimità sull'IRAP, ha individuato il presupposto dell'imposta nel valore aggiunto prodotto da attività autonomamente organizzate) e la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 3 ottobre 2006 (causa C-475/03), che ha riconosciuto la compatibilità dell'IRAP con il diritto europeo.
L'altra fonte di finanziamento è rappresentata dall'intervento della Cassa depositi e prestiti Spa e, anche sotto questo profilo, la partecipazione della Cassa appare coerente con la funzione e la finalità della stessa.
Con la presente proposta di legge si prospetta, quindi, la creazione di un sistema di finanziamento (o, meglio, di credito) per consentire al debitore esecutato di poter accedere, anche parzialmente, alle risorse necessarie per conservare e mantenere la prima casa.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità)

1. La presente legge è volta a garantire e tutelare il diritto alla proprietà dell'abitazione riconosciuto dall'articolo 47 della Costituzione, assicurando un equilibrio equo e solidale tra il diritto all'abitazione, le esigenze di celerità delle procedure esecutive e i diritti dei creditori nonché, tramite l'istituzione del Fondo di cui all'articolo 3 della presente legge, un adeguato sostegno finanziario ai debitori in caso di pignoramento dell'immobile adibito ad abitazione principale.

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 560 e introduzione dell'articolo 560-bis del codice di procedura civile)

1. All'articolo 560 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il terzo comma è sostituito dal seguente:

«Fermo restando quanto disposto dall'articolo 560-bis, il giudice dell'esecuzione dispone, con provvedimento impugnabile per opposizione ai sensi dell'articolo 617, la liberazione dell'immobile pignorato senza oneri per l'aggiudicatario o l'assegnatario o l'acquirente, quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, ovvero quando revoca l'autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero quando provvede all'aggiudicazione o all'assegnazione dell'immobile. Il termine per presentare l'opposizione decorre dal giorno in cui si è perfezionata la notifica del provvedimento al debitore. Per il terzo che vanta la titolarità di un diritto di godimento del bene opponibile alla procedura, il termine per l'opposizione decorre dal giorno in cui si è perfezionata nei confronti del terzo la notificazione del provvedimento»;

b) dopo il terzo comma è inserito il seguente:

«Fermo restando quanto disposto dall'articolo 560-bis, il giudice dell'esecuzione, ai fini dell'emanazione del provvedimento di cui al terzo comma, deve valutare le esigenze connesse al rispetto e alla garanzia del diritto alla proprietà dell'abitazione riconosciuto dall'articolo 47 della Costituzione. Il provvedimento deve essere espressamente motivato in relazione alla valutazione delle predette esigenze».

2. Dopo l'articolo 560 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

«Art. 560-bis. – (Liberazione dal pignoramento) – Dal giorno della notifica del provvedimento di cui all'articolo 560, terzo comma, ed entro il termine per presentare l'opposizione prevista dal medesimo comma, il debitore ha facoltà di liberare dal pignoramento l'immobile oggetto di esecuzione tramite il deposito, presso la cancelleria del giudice dell'esecuzione:

a) di idonea certificazione, rilasciata dall'Agenzia delle entrate, che attesti che l'immobile oggetto del pignoramento è adibito ad abitazione principale del debitore o del suo nucleo familiare; in quest'ultima circostanza, deve essere depositata anche la certificazione dello stato di famiglia;

b) di idonea certificazione, rilasciata dai competenti uffici comunali, che attesti che il debitore o il suo nucleo familiare risiedono nell'immobile di cui alla lettera a);

c) di documentazione idonea ad attestare che il debitore e gli altri componenti del suo nucleo familiare non hanno la disponibilità di altri immobili da adibire ad abitazione principale;

d) di una somma di denaro pari a quella eventualmente individuata in sede di cartolarizzazione del credito, aumentata di un differenziale non superiore al 5 per cento rispetto al prezzo di cessione del credito, anche a titolo di rimborso forfetario per spese e commissioni, e in ogni caso non inferiore a euro 10.000.

A seguito del deposito dei documenti e della somma di cui al primo comma, la procedura esecutiva è sospesa di diritto. Il giudice dell'esecuzione, con proprio provvedimento, dichiara la sospensione dell'esecuzione e fissa un'apposita udienza nella quale compaiono il creditore procedente, i creditori intervenuti e il debitore. Nell'udienza, sono valutate le prove documentali idonee ad accertare il prezzo della cessione del credito cartolarizzato; in difetto di cifra certa è considerata comunque sufficiente la somma depositata ai sensi della lettera d) del primo comma. In caso di ulteriori creditori intervenuti, ad essi è riconosciuta la medesima somma da erogare al creditore procedente solo se titolari di privilegio o ipoteca sull'immobile adibito a casa di abitazione principale; in assenza di tali titoli, nulla è riconosciuto al creditore limitatamente alla procedura di cui al presente articolo».

Art. 3.
(Fondo nazionale per la tutela
della prima casa)

1. Ai fini dell'attuazione dei princìpi di cui agli articoli 2, 3, 10, 42 e 47 della Costituzione, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, il Fondo nazionale per la tutela della prima casa, le cui risorse, determinate ai sensi del comma 2 del presente articolo, sono destinate alla concessione di prestiti ai soggetti in possesso dei requisiti di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 560-bis del codice di procedura civile per il pagamento delle somme di cui alla lettera d) del medesimo primo comma.
2. Il Fondo di cui al comma 1 è alimentato:

a) dallo 0,2 per cento della quota del gettito dell'imposta regionale sulle attività produttive realizzato da ogni regione, limitatamente all'applicazione dell'imposta alle banche e alle assicurazioni;

b) dall'1 per cento delle risorse della Cassa depositi e prestiti Spa, limitatamente alle disponibilità liquide della medesima Cassa;

c) dall'1 per cento del risparmio postale gestito dalla Cassa depositi e prestiti Spa.

3. Le modalità di attuazione del presente articolo sono definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

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