PDL 553

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 553

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato BIGNAMI

Modifica alla legge 7 aprile 2014, n. 56, in materia di referendum confermativo della fusione di comuni

Presentata il 23 aprile 2018

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Onorevoli Colleghi! — La fusione tra comuni prevista dalla legge n. 56 del 2014 e disciplinata a livello regionale è considerata indubbiamente quale massimo livello raggiungibile di riorganizzazione amministrativa. La materia, negli anni, è stata profondamente modificata e innovata: la legge n. 142 del 1990, nella sua formulazione iniziale, prevedeva infatti un legame strettissimo tra l'unione comunale e la fusione considerando la prima propedeutica alla successiva creazione di un comune unico.
La legge n. 142 del 1990 è stata successivamente abrogata dall'articolo 274 del testo unico sugli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL). Oggi, in linea generale, le fusioni, disciplinate dall'articolo 15 del TUEL e dall'articolo 1, commi 117-134, della legge n. 56 del 2014, e con differenti declinazioni nelle varie regioni d'Italia per quanto attiene allo svolgimento della procedura referendaria, vengono intese come percorso volontario dei comuni verso un livello maggiormente ottimizzante della gestione delle pubbliche risorse, andando a rispondere a criteri di efficienza, efficacia ed efficientamento della macchina amministrativa. Tali obiettivi, tuttavia, non sempre risultano essere raggiunti e ciò è visibile già nei primi anni successivi alla conclusione del percorso di fusione.
Negli ultimi anni, c'è stata una regione in particolare, l'Emilia-Romagna, che sull'onda di un crescente entusiasmo ha incentivato, e ancora sta incentivando, tutta una serie di fusioni in nome di una razionalizzazione e di un efficientamento non sempre dimostrabili con certezza e anche in assenza di studi di fattibilità particolarmente significativi sotto il profilo del dimostrato ed effettivo risparmio.
Il primo «esperimento» di fusione in Emilia-Romagna è stato quello che, nel 2014, ha dato vita al comune di Valsamoggia, nato dalla fusione dei comuni di Savigno, Bazzano, Crespellano, Monteveglio e Castello di Serravalle nella città metropolitana di Bologna. L'esito complessivo della votazione, secondo il voto aggregato dei cittadini, risultò in lieve maggioranza a favore della fusione mentre in due comuni, Bazzano e Savigno, prevalse il voto contrario.
Nonostante questo, con una sorta di «forzatura», la giunta regionale deliberò ugualmente in favore della fusione senza ulteriori riflessioni rispetto al risultato referendario. A distanza di quattro anni, in questo territorio continuano a permanere criticità derivanti da quella stessa fusione. I municipi che avrebbero dovuto garantire la vicinanza dell'istituzione al cittadino non sono mai davvero decollati e gli investimenti sulle opere pubbliche vengono riproposti di anno in anno come in un bilancio assolutamente ordinario. Difficile, inoltre, è prevedere le ricadute, verosimilmente negative, sul bilancio comunale quando, tra cinque anni, verranno meno le risorse destinate dallo Stato quale contributo per le fusioni. A tal proposito, l'osservatorio sulle fusioni, che avrebbe dovuto rilevare anche lacune e criticità, sta funzionando poco o nulla, raccogliendo solo dati e informazioni messi a disposizione dagli stessi sindaci che avevano sostenuto la fusione, senza dunque alcuna forma di giudizio critico o anche solo volto all'apertura di riflessioni.
Anche nel comune di Alto Reno Terme, nato dalla fusione di Porretta Terme e Granaglione nel bolognese, si ravvisano criticità come la mancanza di un piano operativo sul lungo periodo, con i finanziamenti statali che sembrerebbero funzionali a risanare debiti anche fuori bilancio riconosciuti nel post fusione.
Le vicende riportate in questa sede a titolo esemplificativo dimostrano come, senza un'adeguata progettazione, le fusioni si riducano a una «somma» di entità distinte, con assenza di coesione sociale e aumento del divario tra capoluogo e frazioni con conseguente perdita di identità territoriale.
Anche la sensibilità delle popolazioni è parecchio mutata rispetto a tale tematica e il risultato positivo ai vari referendum da qualche anno non è più così scontato.
Il 16 ottobre 2016, ad esempio, si sono svolti in 16 comuni della regione Emilia-Romagna i referendum consultivi in tema di fusione per decidere se costituire o no sei nuovi comuni mediante fusione: il voto coinvolse oltre 60.000 cittadini. Il «sì», in quella occasione, prevalse chiaramente solo per i comuni di Mirabello e Sant'Agostino nel ferrarese; controverso fu l'esito nel riminese tra Mondaino, Montegridolfo e Saludecio (nei primi due prevalse il «sì», nel terzo il «no»); il «no» prevalse nel piacentino in tutti e cinque i comuni interessati dal referendum, i quali bocciarono la proposta di fusione che avrebbe dato vita a due distinti comuni; anche nel bolognese il referendum per la fusione tra Borgo Tossignano, Fontanelice e Casalfiumanese (contrari i primi due, favorevole il terzo) si concluse in modo negativo, così come nel reggiano dove erano coinvolti i comuni di Campegine, Gattatico e Sant'Ilario d'Enza («no» dai primi due, «sì» da Sant'Ilario).
Col tempo, anche nelle stesse amministrazioni comunali emiliano-romagnole sembra essersi consolidata l'abitudine di vincolare strettamente la fusione all'esito referendario, visto che pure la normativa regionale dell'Emilia-Romagna non sembra dare garanzie in tal senso, prevedendo casistiche che non sempre tutelano la volontà popolare dei comuni preesistenti la fusione.
È il caso, ad esempio, del già citato comune di Saludecio il quale, ben prima del referendum sulla fusione, aveva scelto di tutelarsi con apposita delibera del consiglio con la quale, in buona sostanza, si ribadiva il carattere vincolante dell'esito referendario, a tutela della volontà dei propri cittadini. Proprio in virtù di quella delibera, l'assemblea legislativa, attraverso la commissione competente, mise fine a quel progetto di fusione prendendo atto di quella delibera che riconosceva «la volontà popolare espressa dai cittadini», revocando dunque l'istanza precedentemente inviata alla regione per intraprendere il percorso di fusione.
Si sono dunque create situazioni ibride: nel caso di Saludecio, comprensibilmente, si è ritenuta vincolante una delibera del consiglio comunale mentre, per il caso di Valsamoggia, nessuna riflessione fu aperta, all'epoca, per i due comuni nei quali prevalse il voto contrario.
Alla luce di tali premesse e delle criticità che stanno emergendo per diversi casi di fusione, la presente proposta di legge interviene per modificare la legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», introducendo tre commi all'articolo 1 relativi alla possibilità di ripristino dei comuni preesistenti la fusione nei primi due anni dal completamento del percorso stesso di fusione o, per i percorsi già conclusi, nei primi due anni dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni. Si tratta di aprire una sorta di «finestra di salvaguardia» che possa costituire un «periodo di prova» volto a verificare l'effettiva economicità e convenienza della fusione rispetto al periodo ante-fusione. Il metodo introdotto è quello del referendum confermativo di carattere vincolante.
Disposizioni che appaiono in linea con i dettami della legge n. 56 del 2014 la quale, all'articolo 1, commi 132 e 133, istituisce «finestre temporali» entro le quali i nuovi comuni possono perseguire l'adeguamento tributario e tariffario (cinque anni di tempo durante i quali possono essere mantenuti tributi e tariffe differenziati), l'omogeneizzazione degli ambiti territoriali e la razionalizzazione delle partecipazioni societarie (tre anni).
Più nel dettaglio, l'articolo 1 della presente proposta di legge prevede l'introduzione dei commi 133-bis, 133-ter e 133-quater nell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014. Il comma 133-bis prevede la possibilità di convocazione di un referendum con esito vincolante, volto a confermare l'appartenenza al nuovo comune. Tale referendum può essere indetto entro due anni dall'istituzione del nuovo comune su richiesta di almeno il 10 per cento dei residenti aventi diritto al voto dei comuni nei quali la popolazione si sia espressa a maggioranza dei votanti contro il processo di fusione. Nel caso in cui la maggioranza si esprima contro la permanenza nel nuovo comune, si provvede al ripristino del comune preesistente la fusione con decreto del presidente della giunta regionale, con il quale vengono altresì assicurate le risorse necessarie al ripristino delle funzioni amministrative.
Il comma 133-ter prevede che il referendum confermativo possa essere indetto anche dal consiglio comunale con votazione favorevole di una maggioranza qualificata o dal 10 per cento della popolazione del comune di nuova istituzione. Il comma 133-quater disciplina la decorrenza dell'applicazione delle nuove disposizioni.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Dopo il comma 133 dell'articolo 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56, sono inseriti i seguenti:

«133-bis. Nei comuni preesistenti alla fusione, la cui popolazione si sia espressa a maggioranza dei votanti contro il processo medesimo in sede di referendum, può essere indetta una nuova consultazione finalizzata a confermare l'appartenenza al nuovo comune, entro due anni dall'istituzione dello stesso. La richiesta di indizione di referendum deve essere sottoscritta, con le modalità di sottoscrizione di cui alla legge 25 maggio 1970, n. 352, da almeno il 10 per cento dei residenti aventi diritto al voto nel comune preesistente alla fusione. Qualora la maggioranza della popolazione del comune preesistente alla fusione si sia espressa contro la permanenza nel nuovo comune, con decreto del presidente della giunta regionale si provvede, entro e non oltre sei mesi dall'esito del referendum confermativo, al ripristino del comune preesistente alla fusione. Con il medesimo decreto devono essere assicurate altresì le risorse necessarie al ripristino delle funzioni amministrative e normative proprie dell'ente locale secondo l'ordinamento vigente.
133-ter. Entro due anni dall'istituzione del nuovo comune per fusione, il consiglio comunale del comune di nuova istituzione può indire, con deliberazione adottata a maggioranza qualificata, un referendum confermativo del procedimento di fusione, il cui esito ha carattere vincolante. Tale referendum può essere indetto anche su richiesta del 10 per cento dell'elettorato attivo del comune di nuova istituzione con le medesime modalità di cui al comma 133-bis. Nel caso in cui la maggioranza dei votanti si esprima contro la conferma del procedimento di fusione, con decreto del presidente della giunta regionale si provvede, entro e non oltre sei mesi dall'esito del referendum confermativo, al ripristino dei comuni preesistenti alla fusione. Con il medesimo decreto devono essere assicurate le risorse altresì necessarie al ripristino delle funzioni amministrative e normative proprie dell'ente locale secondo l'ordinamento vigente.
133-quater. Le disposizioni dei commi 133-bis e 133-ter si applicano alle fusioni i cui progetti di legge regionale siano presentati dopo la data di entrata in vigore della presente disposizione. Per i comuni che abbiano già concluso il percorso di fusione, il periodo di due anni, di cui ai commi 133-bis e 133-ter, decorre a partire dalla medesima data di entrata in vigore».

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