PDL 550

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 550

PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE

Misure a sostegno della maternità e della paternità

Presentata il 19 aprile 2018

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Onorevoli Deputati! — La presente proposta di legge d'iniziativa popolare nasce dalla consapevolezza del fatto che le mamme e i papà che lavorano hanno sempre più bisogno di aiuto nella gestione della vita familiare e che il welfare pubblico non riesce, per com'è oggi strutturato, a sopperire adeguatamente ai loro bisogni. Questa situazione contribuisce, da un lato, alla scelta di un numero sempre crescente di donne di rinunciare al lavoro e, dall'altro, al calo drammatico delle nascite: da sei anni la popolazione italiana è in continua riduzione; nel 2015 le nascite sono state circa 486.000, già 17.000 in meno rispetto al 2014 (in media 1,35 figli per donna), ma nel 2016 è stato ancora peggio: sono nati 474.000 bambini e il 21,4 per cento della popolazione ha oltre 65 anni di età. D'altronde, la decisione di avere un figlio necessita anche di una sicurezza economica che, tra precarietà e crisi, è molto difficile raggiungere (soprattutto se in famiglia c'è un solo stipendio). Allo stesso modo, se non ci sono i nonni o se essi sono lontani, la gestione dei bambini, oltre che costosa, diventa anche molto complicata.
Il Paese sembra non sperare più nel proprio futuro e per ridare fiducia bisogna promuovere il valore sociale di una genitorialità condivisa, rafforzando le misure a sostegno dell'occupazione femminile, sostenendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sanando lo squilibrio e la disuguaglianza tra sessi nell'accesso al mercato del lavoro e nelle retribuzioni. Il Centro per lo sviluppo dell'OCSE ha calcolato, infatti, che le disparità di genere nella società e nel mondo del lavoro hanno un impatto importante sull'economia globale, con un costo in termini di reddito di circa 12.000 miliardi di dollari, pari al 16 per cento del PIL mondiale, mentre se si riuscisse a eliminarle nel 2030 il reddito pro capite medio mondiale arriverebbe a 9.142 dollari, ben 764 dollari in più di quello che si potrebbe ottenere se i livelli di discriminazione restassero quelli odierni. Non solo, il Fondo monetario internazionale sostiene che se il gender gap venisse colmato, il PIL aumenterebbe in Italia del 15 per cento.
Da tutto questo risulta evidente che politiche per le famiglie correttamente progettate possono favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e aumentare la produttività complessiva. Le politiche per l'occupazione femminile non possono più prescindere, infatti, dalla costruzione delle condizioni per conciliare strutturalmente il lavoro con la libertà di scelta di mettere al mondo dei figli. Questo è spesso il più grande ostacolo per le donne all'ingresso, alla permanenza e alla possibilità di fare carriera nel mercato del lavoro in una competizione alla pari con i colleghi uomini. Un congedo parentale utilizzato quasi esclusivamente dalle donne, ad esempio, può favorire fenomeni di discriminazione e segregazione orizzontale in contrasto a quello che costituirebbe il suo obiettivo. Ciò implica che le politiche volte a incoraggiare un riequilibrio nei carichi genitoriali possono favorire, da una parte, un più rapido ritorno al lavoro delle madri e, dall'altra, incidere sulle differenze di genere citate. Oltretutto, sono sempre di più i padri che vorrebbero avere un ruolo maggiore nella crescita dei propri figli ma si scontrano con una cultura e una legislazione antiquate.
Sono, poi, troppo scarsi gli interventi a favore della conciliazione e troppo pochi gli investimenti nei servizi integrativi a sostegno delle famiglie, soprattutto di quelli per la prima infanzia (0-3 anni): nidi, spazi educativi, spazi gioco con flessibilità oraria che siano accessibili a tutti, in ogni parte d'Italia, con un'attenzione particolare al sud, dove purtroppo la copertura di questi servizi ha percentuali bassissime.
Con questa proposta di legge d'iniziativa popolare vogliamo puntare i riflettori su tutto ciò che coinvolge, dal punto di vista culturale, previdenziale e di tutela dell'occupazione, i genitori e il loro ruolo nel mercato del lavoro e nelle attività di cura della famiglia. Per questo l'articolo 1 innalza dall'80 al 100 per cento della retribuzione l'indennità riconosciuta dall'INPS alle lavoratrici per tutto il periodo di congedo di maternità obbligatorio. La copertura economica integrale dei cinque mesi di maternità obbligatoria è da anni riconosciuta da molti contratti collettivi di lavoro, ma, com'è noto, ci sono moltissime lavoratrici che non godono di questa opportunità e un Paese all'avanguardia non può fare la spending review sul ricambio generazionale e su coloro che saranno gli uomini e le donne di domani.
L'articolo 2 aumenta da quattro (nel 2018) a trenta i giorni di congedo obbligatorio del padre, da usufruire nei primi mesi di vita del bambino in aggiunta al congedo obbligatorio della mamma, indennizzati dall'INPS al 100 per cento della retribuzione. Questa norma va nella direzione auspicata di incentivare i padri a farsi maggiore carico del lavoro di cura, cambiando approccio culturale nelle politiche pubbliche volte a sostenere la genitorialità, che hanno visto finora la mamma come principale figura di riferimento per la crescita dei figli, e promuovendo maggiormente – a livello normativo oltre che culturale – la condivisione delle responsabilità genitoriali. L'Unione europea ha formalmente riconosciuto (con la direttiva 2010/18/UE, accordo quadro in materia di congedo parentale, entrata in vigore l'8 marzo 2012) il ruolo del congedo del padre per conciliare vita professionale e responsabilità familiari e promuovere la parità di trattamento tra gli uomini e le donne. La citata normativa europea definisce il congedo parentale come un diritto individuale, e, pur non essendo prevista una definizione comune, il Parlamento europeo, con una risoluzione del 20 ottobre 2010, ha invitato gli Stati membri a valutare la possibilità di riconoscere ai lavoratori padri un congedo di paternità pari a due settimane. La presente proposta di legge recepisce e migliora l'esortazione europea, nell'ottica di un Paese moderno e al passo con gli altri Stati dell'Unione europea.
L'articolo 3 introduce la possibilità, per entrambi i genitori, di utilizzare il congedo parentale facoltativo (sei mesi complessivi entro i 6 anni di età del bambino), incrementando l'indennità corrisposta dall'INPS per tale periodo dal 30 al 50 per cento della retribuzione. Come già sottolineato, i genitori che scelgono di astenersi dal lavoro per stare con i figli sono sempre di più perché il welfare pubblico non è in grado di sopperire alle loro esigenze: i posti negli asili nido non sono mai sufficienti e le istituzioni private sono molto costose, come pure baby-sitter o educatori a domicilio. Scegliere il congedo parentale vuol dire, però, rinunciare a una grossa fetta della propria retribuzione, proprio nel momento di maggiori spese per una famiglia, i primi mesi di vita di un bambino. Innalzare l'indennità dell'INPS dal 30 al 50 per cento della retribuzione non risolve, certo, tutti i problemi delle famiglie meno abbienti, ma costituisce senz'altro un enorme passo in avanti per un Paese che punta alla crescita demografica e allo svecchiamento della popolazione.
Infine, per valorizzare maggiormente il contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, all'articolo 4 è prevista la possibilità, al termine del congedo obbligatorio di maternità, di lavorare part-time fino al compimento del primo anno di età del bambino, con integrazione salariale del 100 per cento della retribuzione (sempre a carico dell'INPS). Il jobs act ha già fatto un primo passo in avanti in questa direzione, consentendo di scegliere il part-time in alternativa al congedo parentale, con l'obbligo di accogliere la richiesta da parte del datore di lavoro; l'articolo 4 migliora la norma di legge, consentendo l'opzione del part-time dalla fine della maternità obbligatoria fino al compimento del primo anno di età del bambino (quindi anche oltre i sei mesi attualmente previsti) e senza la corrispondente riduzione della retribuzione. L'opzione è da intendersi sostitutiva dei riposi giornalieri previsti dagli articoli 39 e 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (permessi per l'allattamento).

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PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE

Art. 1.
(Copertura integrale dell'indennità
giornaliera di maternità).

1. All'articolo 22 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, di seguito denominato «testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001», il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità, anche in attuazione degli articoli 7, comma 6, e 12, comma 2».

Art. 2.
(Introduzione del congedo retribuito obbligatorio per il padre lavoratore).

1. All'articolo 28 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«2-bis. Fatti salvi i casi espressamente previsti dal comma 1, il padre lavoratore è tenuto ad astenersi obbligatoriamente dal lavoro per un periodo non inferiore a trenta giorni, da fruire, anche non continuativamente, entro cinque mesi dalla nascita del figlio, previa comunicazione al datore di lavoro. Per tale periodo è prevista un'indennità giornaliera a carico dell'INPS, pari al 100 per cento della retribuzione.
2-ter. Ai fini di cui al comma 2-bis, il padre lavoratore è tenuto a presentare al datore di lavoro, entro venti giorni dalla data del parto, il certificato di nascita del figlio, ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell'articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».

Art. 3.
(Incremento dell'indennità per i periodi
di congedo parentale).

1. All'articolo 34 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta, fino al sesto anno di vita del bambino, un'indennità pari al 50 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L'indennità è calcolata secondo quanto previsto all'articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso».

Art. 4.
(Diritto della madre al lavoro a tempo parziale entro il primo anno di età del bambino).

1. Al capo III del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001 è aggiunto, in fine, il seguente articolo:

«Art. 27-bis. – (Diritto della madre al lavoro a tempo parziale entro il primo anno di età del bambino).1. La madre lavoratrice dipendente a tempo pieno, al termine del congedo obbligatorio di maternità, ha diritto, su sua richiesta, a lavorare a tempo parziale fino al compimento del primo anno di età del bambino. La riduzione di orario non può essere superiore al 50 per cento del normale orario giornaliero o settimanale. La madre lavoratrice ha diritto, per il periodo di lavoro a tempo parziale, a ricevere un'indennità integrativa a carico dell'INPS, fino al 100 per cento della retribuzione media giornaliera percepita nell'anno precedente l'inizio dell'astensione dal lavoro.
2. L'esercizio del diritto di cui al comma 1 deve intendersi comprensivo dei riposi giornalieri previsti agli articoli 39 e 41».

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