PDL 3298

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

RELAZIONE TECNICA

DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE
                        Articolo 1

DECRETO-LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 3298

DISEGNO DI LEGGE

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
( DRAGHI )

dal ministro della giustizia
( CARTABIA )

dal ministro della difesa
( GUERINI )

dal ministro dell'economia e delle finanze
( FRANCO )

e dal ministro per le pari opportunità e la famiglia
( BONETTI )

Conversione in legge del decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132, recante misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP

Presentato il 30 settembre 2021

torna su

Onorevoli Deputati! – Con il presente disegno di legge il Governo sottopone alle Camere, per la conversione in legge, il decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132, recante misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP.

Articolo 1. (Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale).

A. La Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza della Grande sezione, 2 marzo 2021, nella causa C-746/18, H.K., investita di una questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell'Unione in materia di conservazione dei dati connessi alle comunicazioni elettroniche e di acquisizione nel processo, è pervenuta a due conclusioni di rilievo.
In primo luogo, essa ha dichiarato che l'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di regolamentazione del settore delle comunicazioni elettroniche, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, deve essere interpretato nel senso che «esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l'accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l'accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo».
In secondo luogo, la Corte di giustizia ha sancito che il medesimo articolo 15, paragrafo 1, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso «che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito è di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l'azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l'accesso di un'autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all'ubicazione ai fini di un'istruttoria penale».
Le conseguenze di questa decisione sull'ordinamento nazionale, nel quale la normativa vigente, adottata in esecuzione della medesima direttiva 2002/58/CE, consente al pubblico ministero l'acquisizione dei dati e non pone limitazioni legate alla tipologia dei reati da accertare, sono state immediatamente oggetto di un acceso e ampio dibattito, sia in sede dottrinale che in sede giurisprudenziale, i cui esiti si sono caratterizzati per numerosi profili di incertezza circa l'idoneità della decisione a imporre un'interpretazione conseguente e diretta del diritto nazionale, ma anche circa gli effettivi esiti cui quell'interpretazione dovrebbe condurre, oltre che con riferimento alle attività di acquisizione già compiute.
La giurisprudenza nazionale, infatti, nel consesso di legittimità (cfr. Cass., sez. V, n. 33851 del 24 aprile 2018, Monti, ma anche Cass., sez. III, n. 36380 del 19 aprile 2019, D'Addiego, e, soprattutto, Cass., sez. III, n. 48737 del 25 settembre 2019, Riccio), aveva ritenuto che la normativa nazionale fosse compatibile con l'articolo 15 della direttiva del 2002, come interpretato dalla Corte di giustizia.
In particolare, la Corte di cassazione aveva osservato, rispetto ai due profili qui di rilievo, che non fosse possibile escludere il pubblico ministero dal novero dei soggetti dotati del potere di acquisizione dei dati, in forza dell'osservazione che la norma legittima addirittura l'acquisizione da parte di autorità amministrative indipendenti, per cui tanto più deve consentirlo al pubblico ministero italiano, e che, quanto alla necessaria proporzione tra la gravità dell'ingerenza nel diritto fondamentale alla vita privata e la gravità del reato oggetto di investigazione, essa non potesse che essere valutata in base ad una decisione in concreto, anche perché si tratta di un elemento la cui valutazione non si presta ad una rigida codificazione e non può che essere rimessa al prudente apprezzamento dell'autorità giudiziaria.
In forza di quelle stesse valutazioni, pur dopo la pronuncia resa nella citata causa C-746/18, H.K., continuano a permanere decisioni di giudici di merito che applicano la norma vigente, ritenendola del tutto conforme al diritto dell'Unione, a differenza di altri i quali, invece, accedono a soluzioni che disapplicano la normativa vigente.
D'altro canto, in ragione di questi profili di incertezza risulta anche già proposto da un giudice nazionale un rinvio pregiudiziale alla stessa Corte di giustizia, con ordinanza del tribunale di Rieti del 4 maggio 2021, diretto esattamente ad avere contezza dalla Corte circa i seguenti punti:

1) l'idoneità del pubblico ministero italiano, alla luce della sua collocazione ordinamentale, a rappresentare almeno un'autorità indipendente idonea a compiere le valutazioni pertinenti all'accesso ai dati;

2) la possibilità di individuare nel provvedimento di ammissione delle prove ex articolo 495 del codice di procedura penale una garanzia idonea a tutelare il contraddittorio (cui accenna la stessa Corte nella sentenza 2 marzo 2021, H.K.);

3) l'idoneità della pronuncia della Corte di giustizia a produrre «effetti retroattivi», rispetto a dati già acquisiti in precedenza.

In questa situazione di incertezza, quindi, si impone un intervento urgente del legislatore, che chiarisca gli aspetti più controversi ed eviti di lasciare i singoli processi esposti alla variabilità degli indirizzi giurisprudenziali.
Di recente, anche la Corte di cassazione ha ritenuto che l'attuazione nell'ordinamento dei princìpi espressi dalla Corte di giustizia richieda un intervento legislativo che dia contenuto positivo ad alcuni aspetti che la Corte ha esposto in termini passibili di diverse modalità di attuazione (Cass., sent. n. 28523 del 22 luglio 2021, ric. Lordi).

B. Il tessuto normativo vigente, frutto di successivi interventi sovrapposti, determinati in parte anche dall'adeguamento ad una direttiva successivamente annullata dalla stessa Corte di giustizia, merita effettivamente una rivisitazione.
L'espansione della tutela del diritto alla riservatezza della vita privata, quale bene in sé, è un fenomeno che ha trovato un forte elemento propulsivo nell'elaborazione estremamente avanzata, maturata in ambito eurounitario, del concetto di diritto alla privacy, come insieme di aspetti della vita delle persone che include e trascende gli aspetti tradizionali della riservatezza delle comunicazioni o del domicilio, della libera manifestazione del pensiero e, in generale, della libertà da ingerenze coattive pubbliche.
Peraltro, la crescita dell'attenzione verso le esigenze di tutela della vita privata è avvenuta anche in ragione dello sviluppo tecnologico degli ultimi decenni, che ha consentito l'impiego su larga scala di strumenti capaci di determinare forme di compressione di quei diritti in passato non concepibili.
In questa prospettiva, la diffusione di reti e mezzi di comunicazione sempre più raffinati, anche nella capacità di raccolta, conservazione ed elaborazione dei dati, e l'ampio utilizzo di questi mezzi da parte della generalità dei cittadini hanno posto all'attenzione il fatto che attraverso essi sia possibile raccogliere informazioni, anche dettagliate, sulla vita privata delle persone che ne fanno uso: un aspetto che si è amplificato in ragione del fatto che l'accesso a quei dati e, prima ancora, la loro conservazione, proprio per l'idoneità conoscitiva che garantiscono, è diventato prezioso, in vista delle ordinarie e legittime attività di prevenzione e repressione dei reati, anche per gli Stati, i quali, quindi, hanno effettuato interventi diretti a consentirne la più ampia e diffusa conservazione.
Per questa stessa ragione si è immediatamente posto un primo problema, rilevante, relativo alla necessità di apposizione di limiti alla conservazione di quei dati, proprio in relazione a quella specifica finalità di utilizzo strumentale alle attività di prevenzione e repressione dei reati, nella consapevolezza che anche rispetto a questo aspetto si verifica la tradizionale tensione fra la tutela del diritto dei singoli e la tutela del dovere dello Stato di garantire gli individui e la collettività dai pericoli e dai danni connessi alla commissione di reati.
Una più ampia conservazione, senza limiti di tempo, dei dati raccolti attraverso le reti e i mezzi di comunicazione rende, infatti, estremamente più elevato il rischio che attraverso essa si possa realizzare una più diffusa e grave intromissione nella vita delle persone.
Ma, soprattutto, ove quella conservazione sia imposta per finalità di prevenzione e repressione dei reati, essa realizza un intervento autoritativo dello Stato, che si caratterizza, però, in modo assai significativo, per il fatto di essere diretto indistintamente alla generalità dei cittadini, con compressione, quindi, del diritto alla riservatezza dei dati dai quali si possono ricavare informazioni sulla vita privata potenzialmente di tutti i cittadini, anche non coinvolti in procedimenti penali.
In ragione di ciò, nell'ambito della disciplina delle telecomunicazioni si è subito ravvisata l'esigenza di dettare un'apposita regolamentazione che, da un lato, consentisse e, anzi, imponesse agli operatori la conservazione dei dati in loro possesso in funzione del potenziale utilizzo per finalità di prevenzione e repressione dei reati, ma che, dall'altro lato, stabilisse seri limiti a quella conservazione, proprio per la sua natura evidentemente invasiva del diritto dei cittadini (di tutti i cittadini) alla riservatezza circa molti aspetti della loro vita privata.
La tensione fra queste due esigenze ha prodotto una copiosa elaborazione giurisprudenziale, soprattutto nell'ambito dell'Unione europea, ma non solo, se si considera che sul tema sono intervenute più volte, fin da epoca risalente, sia la Corte costituzionale, con la sentenza n. 81 del 1993 e la sentenza n. 281 del 1998, sia le sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 21 del 13 luglio 1998, ric. Gallieri, e la sentenza n. 6 del 23 febbraio 2000, ric. D'Amuri. Essa ha parimenti dato luogo ad una significativa produzione normativa, lungo le linee di un confronto che si è mosso, principalmente e per quel che qui più interessa, attorno a due direttrici: la prima diretta a definire l'ambito temporale e le modalità di imposizione dell'obbligo di conservazione dei dati e l'altra diretta a disciplinare i casi e i modi per la successiva acquisizione di quei dati nell'ambito di un processo penale.
Decisivo a questo scopo è stato l'intervento effettuato con la direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di regolamentazione del settore delle comunicazioni elettroniche, che all'articolo 15, primo paragrafo, ha previsto che «Gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative volte a limitare i diritti e gli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, all'articolo 8, paragrafi da 1 a 4, e all'articolo 9 della presente direttiva, qualora tale restrizione costituisca, ai sensi dell'articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 95/46/CE, una misura necessaria, opportuna e proporzionata all'interno di una società democratica per la salvaguardia della sicurezza nazionale (cioè della sicurezza dello Stato), della difesa, della sicurezza pubblica; e la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, ovvero dell'uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica. A tal fine gli Stati membri possono tra l'altro adottare misure legislative le quali prevedano che i dati siano conservati per un periodo di tempo limitato per i motivi enunciati nel presente paragrafo. Tutte le misure di cui al presente paragrafo sono conformi ai principi generali del diritto comunitario, compresi quelli di cui all'articolo 6, paragrafi 1 e 2, del trattato sull'Unione europea».
In ambito nazionale, anche per dare seguito a quelle indicazioni, è stato introdotto l'articolo 132 del codice in materia di protezione dei dati nazionali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (rubricato: «Conservazione di dati di traffico per altre finalità»), che, per l'appunto, a sua volta, nel testo vigente, per prima cosa, fissa il termine di conservazione dei dati per esigenze di «prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati» e, in modo connesso, detta una specifica disciplina per la loro acquisizione nell'ambito del procedimento penale.
Soluzioni che, per ambedue gli aspetti, nel corso del tempo, hanno subito numerose e sostanziali modifiche.
Il tenore attuale dell'articolo 132, per gli aspetti indicati, si deve principalmente al decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), e al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 109 (recante attuazione della direttiva 2006/24/CE riguardante la conservazione dei dati generati o trattati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE), dai quali sono conseguite due modifiche estremamente rilevanti del medesimo articolo 132: la prima, in forza della quale è stato fissato il tempo di conservazione obbligatoria dei dati in ventiquattro mesi, senza alcuna distinzione in relazione ai reati per la cui prevenzione o per il cui accertamento la conservazione è imposta e l'acquisizione possibile; la seconda, in forza della quale è stata attribuita al solo pubblico ministero la competenza a disporre l'acquisizione dei dati.
Una precedente formulazione, invece, distingueva l'estensione temporale dell'obbligo di conservazione a seconda della tipologia dei reati da accertare e rimetteva al giudice la competenza a disporne l'acquisizione.
A fronte di ciò, peraltro, si deve ricordare che proprio la direttiva 2006/24/CE è stata annullata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la sentenza dell'8 aprile 2014, nelle cause C-293/12 e C-594/12, e, in generale, che la stessa Corte, chiamata più volte ad esprimersi sulla materia, ha adottato numerose decisioni che, a volte, sono intervenute sulla materia in relazione all'aspetto concernente la durata dell'obbligo di conservazione, all'oggetto della conservazione e alle sue finalità (di particolare rilievo è a questo proposito la sentenza del 21 dicembre 2016, nelle cause C-203/15 e C-698/15) e, altre volte, sono intervenute, in misura principale, in relazione all'aspetto delle garanzie necessarie per l'acquisizione dei dati nell'ambito del processo penale (sotto questo riguardo è significativa la sentenza del 2 ottobre 2018, nella causa C-207/16).
Certo, le soluzioni via via adottate, se considerate complessivamente, non sempre appaiono del tutto lineari e coerenti, in ragione del fatto che la lettura diacronica fa probabilmente emergere un contrasto di fondo.
Infatti, se osservata solo dal lato relativo alla durata dell'obbligo di conservazione dei dati, all'oggetto della conservazione (in relazione al contenuto e all'ampiezza dei dati da conservare) e alle sue finalità (in relazione all'individuazione dei reati per la cui prevenzione o per il cui accertamento la conservazione è legittima), una disciplina generale e astratta non sembra realisticamente possibile, in quanto ex ante, cioè nel momento in cui si impone l'obbligo di conservazione, non è dato sapere rispetto alla prevenzione o all'accertamento di quali reati l'accesso sarà utile o necessario, per cui è del tutto irragionevole pensare (guardando al fenomeno da questo unico lato prospettico) che si possa disporre un obbligo di conservazione di dati solo in relazione a determinati reati.
Ciò non appare possibile, a meno di non ritenere che l'obbligo di conservazione possa essere imposto solo con interventi ad hoc, successivi al reato da prevenire o accertare o, quanto meno, successivi al verificarsi di eventi che possono far insorgere il timore della commissione di determinati reati.
Tuttavia questa soluzione, se è in astratto praticabile per la seconda delle ipotesi indicate, non lo è altrettanto per la prima, atteso che, nel momento in cui sorgesse l'esigenza di imporre la conservazione in un momento successivo alla commissione di un reato, non si porrebbe alcun problema di conservazione, ma solo, direttamente, di acquisizione, perché ove i dati fossero ancora disponibili (in quanto già conservati) sarebbero semplicemente da acquisire, mentre ove non fossero più disponibili (in quanto già cancellati) non sarebbe più possibile ordinarne la conservazione.
Pertanto, fermo il fatto che è da escludere che la normativa unionale, così come posta dalla norma sopra riportata e ricostruita dalla Corte di giustizia, consenta solo interventi del secondo tipo ora descritto, per i quali cioè l'imposizione di un obbligo di conservazione potrebbe avvenire solo con interventi specifici, successivi al verificarsi di eventi che possono far insorgere il timore della commissione di determinati reati, quel che ne deriva è che, nel momento in cui viene posto l'obbligo di conservazione, esso non può essere imposto esclusivamente rispetto ad alcuni reati, mentre sarà solo nel momento in cui viene in considerazione il momento acquisitivo dei dati che diventerà rilevante la delimitazione dei reati per i quali l'acquisizione è possibile, rispetto a quelli per cui non lo è.
Quindi, un obbligo di conservazione non può che essere formulato a prescindere dalla tipologia dei reati per la cui prevenzione o per il cui accertamento l'obbligo è imposto, in quanto è solo nella fase dell'acquisizione che può divenire possibile l'individuazione dei reati per la cui prevenzione o per il cui accertamento l'acquisizione è utile.
D'altro canto, è esattamente la combinazione di questi due elementi, quello dell'imposizione di un obbligo generalizzato di conservazione (sia quanto al complesso dei dati che quanto alle persone interessate) e quello dell'acquisizione di quei dati nel processo penale, ad imporre una speciale disciplina di garanzia per il cittadino, e ciò proprio in ragione del fatto che è il complessivo esercizio di quel potere pubblico, nei due momenti connessi indicati, a realizzare un più elevato grado di rischio di compromissione del diritto dei cittadini al rispetto della loro vita privata.
In assenza di un intervento autoritativo di imposizione di un obbligo di conservazione, le conclusioni ben potrebbero, infatti, essere diverse, sia quanto ai presupposti per l'acquisizione sia rispetto alle procedure di garanzia, proprio perché non vi sarebbe l'esigenza di contenere l'esercizio di un potere coercitivo di imposizione di un obbligo di conservazione generalizzato di dati attinenti alla vita privata di tutti i cittadini o di tutti gli utenti del servizio di telecomunicazione, ma vi sarebbe solo l'esigenza di disciplinare l'ordinario potere autoritativo di acquisizione di dati attinenti alla vita privata di soggetti coinvolti in un processo, che è un'esigenza che si manifesta sempre nel processo penale.
Per questo, infatti, correttamente l'articolo 132 del codice in materia di protezione dei dati personali già ora si occupa dell'acquisizione dei dati rispetto ai quali è stata imposta una conservazione prolungata e generalizzata.

C. Nel contesto così ricostruito e alla luce di quel che si è detto circa la delicatezza dei contrapposti valori in gioco, l'intervento che si è ritenuto urgente e imprescindibile effettuare, anche per offrire una soluzione chiara, non passibile di equivocità e coerente con la citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 2 marzo 2021, H.K., è stato, in primo luogo, il ritorno ad una disciplina nella quale la legittimazione all'acquisizione dei dati conservati appositamente per finalità di accertamento o di prevenzione di reati sia sempre attribuita al giudice che procede, salva la possibilità di un intervento nei casi di urgenza da parte del pubblico ministero, con successiva convalida da parte del giudice [articolo 1, lettera a)].
A prescindere da ogni profilo di qualificazione del pubblico ministero (da cui peraltro la Corte di giustizia prescinde, focalizzando l'attenzione sulla posizione di parte che esso riveste nel processo), l'accesso ai dati esterni alle comunicazioni conservati appositamente per un ampio lasso di tempo per finalità di accertamento o di prevenzione di reati, seppure aggredisca in modo meno invasivo dell'attività di intercettazione il diritto alla riservatezza, tuttavia, non si può certo ritenere parificabile ad un mero provvedimento di sequestro probatorio di beni di cui un indagato abbia la disponibilità (di competenza del solo pubblico ministero), proprio perché, prima di tutto, con l'atto qui in valutazione si acquisisce materiale che in se stesso presenta profili di particolare delicatezza e sensibilità (trattandosi di dati idonei a rivelare profili rilevanti della vita privata), ma, soprattutto, la cui conservazione deriva da un obbligo imposto con un atto autoritativo in danno della generalità dei cittadini.
Per questa stessa ragione, si è anche ritenuto che le esigenze di tutela e garanzia che emergono dalla direttiva, così come interpretata dalla Corte di giustizia, imponessero di dare contenuto precettivo anche ad un profilo che nel testo vigente è, invece, solo implicito [articolo 1, lettera a)].
Infatti, benché la norma vigente richieda che il decreto del pubblico ministero sia motivato, non è precisato il contenuto minimo richiesto per quella motivazione, il quale, invece, proprio in ragione del tenore della norma di riferimento e dell'interpretazione che ne ha dato la Corte di giustizia, non può che essere agganciato ad una valutazione di sussistenza di un pregresso quadro indiziario di peso non minimale circa la sussistenza di un reato da accertare.
L'acquisizione di dati con provvedimento sganciato da ogni valutazione di pregressa e autonoma sussistenza di elementi almeno sufficienti a far ravvisare la sussistenza del reato vanificherebbe in radice la funzione di garanzia del mezzo, ledendo il principio di proporzionalità imposto dalla direttiva.
Quanto alla scelta del presupposto, nella possibile gradazione conosciuta dalla codificazione processuale penale, si è ritenuto corretto individuarlo in un livello indiziario almeno «sufficiente», anche in relazione all'opportunità che il livello di accertamento richiesto debba essere di peso inferiore a quello richiesto per l'autorizzazione al diverso e ben più invasivo mezzo di ricerca della prova delle intercettazioni («di gravità indiziaria»).
In modo connesso, è sembrato del pari necessario precisare che l'acquisizione deve essere «rilevant[e] ai fini della prosecuzione delle indagini» [articolo 1, lettera a)].
In questo modo, di nuovo, imponendo al giudice (nell'ottica della proporzionalità richiesta dalla normativa unionale) la verifica in concreto dell'effettiva necessità di un intervento acquisitorio, da escludere ove il materiale cercato non appaia «rilevant[e] ai fini della prosecuzione delle indagini».
Anche in questo caso si è ritenuto corretto fissare un livello di verifica della pertinenza alle indagini (la rilevanza) che si colloca in una scala di gradazione inferiore rispetto a quello previsto per l'accesso alle intercettazioni telefoniche (di indispensabilità del mezzo), ma, tuttavia, utile ad offrire un ulteriore contenuto concreto all'esigenza di limitare l'accesso ai dati ai soli casi in cui ciò sia giustificato da una valutazione di positiva utilità di quell'acquisizione per le indagini.
Per altro aspetto, invece, un ulteriore intervento parimenti urgente e imprescindibile riguarda l'articolazione del profilo pertinente ai casi nei quali l'acquisizione dei dati può essere ammessa [articolo 1, lettera a)].
A questo proposito, la radicale assenza, nel testo vigente, di ogni riferimento ad un qualche profilo di gravità dei reati non sembra possa essere mantenuta, in quanto l'affermazione, che si trova in giurisprudenza, per cui il pubblico ministero (oggi) o il giudice (domani) sarebbe tenuto a compiere quella valutazione in concreto non sembra soddisfacente.
In ordine a questo aspetto si è, quindi, ritenuto opportuno fissare un riferimento edittale generale di gravità, individuato, in via principale, con riguardo alla misura della pena massima, indicata nella reclusione non inferiore «a tre anni», determinata, in modo conforme a quanto previsto dall'articolo 266 del codice di procedura penale, a norma dell'articolo 4 del medesimo codice, oltre che nella pena dell'ergastolo. Una scelta che, di nuovo, si muove in coerenza con il fatto che per il più invasivo mezzo costituito dalle intercettazioni telefoniche il limite edittale di gravità dei reati che ne consente l'attivazione è individuato nell'articolo 266 del codice di procedura penale nella misura di cinque anni di reclusione. Limite edittale, peraltro, indicato, a titolo di esempio, anche dalla disciplina in materia di mandato di arresto europeo per individuare le condanne rispetto alle quali lo strumento si applica (in conformità alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002).
Accanto a questa previsione si è, tuttavia, tenuto conto del fatto che vi sono specifici reati, la cui pena edittale è inferiore, per i quali, però, la principale, se non unica, modalità di accertamento è da rinvenire esattamente nei dati del traffico telefonico (oltre che, quando la condotta è in atto, nelle intercettazioni telefoniche): reati che, al di là del dato sanzionatorio, possono, però, in concreto manifestarsi come particolarmente gravi per beni primari della persona, soprattutto allorché prodromici a condotte estremamente più serie (di aggressione fisica), che spesso ne costituiscono lo sviluppo concreto, prevenibili solo a mezzo di mirati e tempestivi accertamenti.
Per questo, per i reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone posti in essere col mezzo del telefono, si è derogato al limite di pena edittale indicato; tuttavia, anche in questo caso, come ulteriore limite, si è imposta una valutazione, in concreto questa volta, della gravità delle condotte di minaccia, molestia o disturbo, allo scopo di confermare l'esigenza di un rapporto di proporzionalità tra l'atto di indagine e i diritti compressi con esso.
Il nuovo riferimento, nel comma 3 dell'articolo 132 modificato, all'acquisibilità dei dati nel termine di conservazione imposto dalla legge, rispetto al tenore del testo vigente, che fa riferimento all'acquisibilità nel termine previsto dal comma 1, deriva dall'esigenza di chiarire che il termine entro il quale i dati sono acquisiti con le procedure previste è quello che la legge fissa per la conservazione obbligatoria dei dati, che è certamente quello previsto dal comma 1 dell'articolo 132, ma che può essere anche quello fissato da leggi speciali, come l'articolo 24, comma 1, della legge 20 novembre 2017, n. 167.

D. Come già anticipato, il trasferimento (o, meglio, il ritorno) del potere autorizzatorio in capo al giudice ha imposto di riproporre anche lo strumento, parimenti previsto per le intercettazioni telefoniche (e dalla pregressa disciplina dell'articolo 1), dell'intervento d'urgenza, da sottoporre a tempestiva convalida [articolo 1, lettera b)].

E. In conformità anche all'utile indicazione proveniente dal Garante per la protezione dei dati personali nel parere, per altri aspetti adesivo, reso sulla bozza di provvedimento, si è introdotto l'ulteriore comma 3-ter dell'articolo 132 del codice in materia di protezione dei dati personali, con il quale si chiarisce, conformemente al testo oggi vigente, che l'esercizio dei diritti di cui agli articoli da 12 a 22 del regolamento (UE) 2016/679 resta possibile da parte dell'interessato anche rispetto ai dati la cui conservazione è imposta dalla legge, ma con la precisazione che quei diritti sono esercitati solo con le modalità di cui all'articolo 2-undecies, comma 3, periodi da terzo a quinto, dello stesso codice in materia di protezione dei dati personali, ossia tramite il Garante.

Articolo 2. (Disposizioni urgenti in materia di difesa).

La norma riguarda esclusivamente l'incarico di Capo di stato maggiore della difesa e risulta pienamente coerente con il quadro delle vigenti disposizioni in tema di vertici militari, a suo tempo introdotte dalla legge n. 25 del 1997, che a tale figura (l'unica che riveste il grado di «generale/ammiraglio») attribuiscono competenze gerarchicamente sovraordinate a quelle conferite alle altre figure apicali delle Forze armate, competenze il cui esercizio presuppone pertanto un'autorevolezza derivante non solo dalle attitudini e dalle capacità, ma anche dalle pregresse esperienze professionali. Del resto fin qui, nella prassi, la scelta per la nomina a Capo di stato maggiore della difesa è sempre ricaduta, tenendo conto anche dell'opportunità di assicurare una rotazione in prospettiva interforze, su ufficiali che già ricoprivano cariche militari di vertice, proprio in quanto certamente dotati della necessaria autorevolezza per assolvere alla delicata funzione.
Con la nuova disposizione s'intende dunque ampliare la platea dei possibili destinatari della nomina, consentendo con ciò di superare eventuali criticità nel processo selettivo, introducendo la possibilità, per l'Autorità politica, di individuare il Capo di stato maggiore della difesa, oltre che – come oggi – tra tutti i generali di corpo d'armata o equivalenti in servizio permanente, anche tra quelli che, già ricoprendo la carica di vertice nell'ambito della rispettiva Forza armata, legittimamente si trovano a svolgere le loro funzioni di comando nella posizione di richiamo in servizio «automatico» previsto a normativa vigente.

Articolo 3. (Proroga di termini in materia di referendum).

Con l'articolo 11, comma 1-bis, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, per le richieste di referendum previsto dall'articolo 75 della Costituzione, annunciate nella Gazzetta Ufficiale entro il 15 giugno 2021, il termine previsto dall'articolo 28 della legge n. 352 del 1970 per la raccolta delle sottoscrizioni è stato prorogato di un mese (e fissato quindi in quattro mesi); in modo consequenziale, il termine per il deposito delle sottoscrizioni dei sostenitori del quesito presso la Corte di cassazione è stato differito al 31 ottobre e sono stati differiti di un mese anche gli altri termini previsti dall'articolo 32 e dal successivo articolo 33, commi primo e quarto, della medesima legge n. 352 del 1970, per le connesse verifiche di regolarità delle sottoscrizioni e di ammissibilità del quesito referendario.
Questa disposizione è intervenuta in ragione del fatto che i promotori delle iniziative referendarie già presentate nel corso del 2021 (prima dell'adozione della norma) erano certamente incorsi in inaspettate difficoltà oggettive nell'attività di raccolta delle firme necessarie, a causa dei vari provvedimenti limitativi della libertà di movimento degli elettori conseguenti alla pandemia, intervenuti nei primi mesi dell'anno 2021, che rischiavano di essere ripetuti a causa dell'ulteriore proroga dello stato di emergenza deliberata con decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 settembre 2021, n. 126.
Benché rispetto alle proposte presentate dopo il 15 giugno 2021 non si possa dire sussistente una necessità analoga, in quanto si tratta di proposte presentate nella piena consapevolezza del limitato periodo di tempo disponibile per il deposito delle sottoscrizioni presso la Corte di cassazione (fissato dalla legge al 30 settembre) e, inoltre, in quanto la proroga dello stato di emergenza non è stata accompagnata dall'adozione di provvedimenti limitativi della libertà di movimento degli elettori, sussistono tuttavia nuove e diverse ragioni di urgenza che giustificano il presente intervento.
Si deve, infatti, prendere atto del fatto che il deposito delle sottoscrizioni presso la Corte di cassazione, ai sensi dell'articolo 28 della citata legge n. 352 del 1970, deve essere accompagnato dal deposito dei certificati elettorali dei sottoscrittori e che in questo momento molte amministrazioni sono fortemente impegnate nelle attività connesse alle competizioni elettorali per il rinnovo degli consigli comunali e l'elezione dei sindaci, e, inoltre, sono ancora oggi interessate da difficoltà connesse all'organizzazione del lavoro conseguente all'emergenza sanitaria.
In questo contesto, le attività relative al tempestivo rilascio dei certificati elettorali dei sottoscrittori dei referendum sono estremamente complesse per le amministrazioni coinvolte, con il rischio (già emerso in numerosi casi) che esse non riescano a concluderle in termini utili per consentire ai promotori il deposito di firme e certificati presso la Corte di cassazione e ciò, in particolare, proprio per le richieste successive al 15 giugno 2021, il cui termine per il deposito resta attualmente fissato al 30 settembre 2021.
Per questo motivo, è indifferibile un intervento urgente che consenta anche ai promotori delle richieste di referendum annunciate dopo il 15 giugno 2021 di depositare le sottoscrizioni e i certificati elettorali oltre la data del 30 settembre ed entro il 31 ottobre 2021, in questo modo alleviando, per le amministrazioni comunali interessate, il compito di far fronte al rilascio dei certificati in termini utili per il deposito delle sottoscrizioni entro il 30 settembre ed evitando il rischio che le difficoltà indicate possano impedire ai promotori il tempestivo deposito delle sottoscrizioni e dei certificati relativi.
D'altro canto, in ragione del fatto che, come detto, già l'articolo 11, comma 1-bis, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, per le richieste di referendum previsto dall'articolo 75 della Costituzione, annunciate nella Gazzetta Ufficiale entro il 15 giugno 2021, ha differito fino al 31 ottobre il termine per il deposito delle sottoscrizioni dei sostenitori dei quesiti presso la Corte di cassazione e ha differito di un mese anche i termini previsti, rispettivamente, dallo stesso articolo 32 e dall'articolo 33, commi primo e quarto, della citata legge n. 352 del 1970 per le connesse verifiche di regolarità delle sottoscrizioni e di ammissibilità del quesito referendario, è certamente possibile differire questi termini anche per le richieste presentate dopo la data del 15 giugno 2021, senza creare disfunzioni organizzative.

Articolo 4. (Proroga di termini in materia di assegno temporaneo per figli minori).

L'articolo 4 reca la proroga di un termine in materia di assegno temporaneo per figli minori: nelle more dell'attuazione della legge 1° aprile 2021, n. 46, recante delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e universale, il decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2021, n. 112, ha istituito l'assegno temporaneo destinato alle famiglie con figli minori che non abbiano diritto agli assegni per il nucleo familiare, disponendone l'erogazione a decorrere dal 1° luglio 2021 fino al 31 dicembre 2021. In particolare, l'articolo 3 del predetto decreto-legge n. 79 del 2021 disciplina le modalità di presentazione della domanda per il riconoscimento dell'assegno temporaneo per i figli minori, prevedendo che lo stesso è corrisposto con decorrenza dal mese di presentazione della domanda, salvo che per le domande presentate entro il 30 settembre 2021, per le quali sono corrisposte le mensilità arretrate a partire dal mese di luglio 2021. Il presente decreto-legge proroga il predetto termine dal 30 settembre 2021 al 31 ottobre 2021.
Si dispone, pertanto, che per le domande presentate entro il 31 ottobre 2021 siano corrisposte le mensilità arretrate a partire dal mese di luglio 2021.

Articolo 5. (Proroga di termini in materia di versamenti IRAP).

L'articolo 24 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, concernente disposizioni in materia di versamento dell'IRAP, al comma 1 ha previsto che non sono dovuti i versamenti del saldo dell'IRAP relativo al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2019 e della prima rata dell'acconto della medesima imposta relativa al periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019. Il comma 3 del medesimo articolo 24 stabilisce che «Le disposizioni del presente articolo si applicano nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19”, e successive modifiche».
Il vigente articolo 42-bis, comma 5, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, dispone che, in caso di errata applicazione delle disposizioni del comma 3 dell'articolo 24 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in relazione alla determinazione dei limiti e delle condizioni previsti dalla comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19», e successive modificazioni, l'importo dell'imposta non versata è dovuto entro il 30 settembre 2021 senza applicazioni di sanzioni né interessi.
L'articolo 5 del presente decreto-legge proroga dal 30 settembre 2021 al 30 novembre 2021 il termine di versamento di cui all'articolo 42-bis, comma 5, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126.
Tale intervento si rende necessario in quanto sono ancora in corso interlocuzioni con i competenti Servizi della Commissione europea in riferimento ad alcuni aspetti concernenti la determinazione dei limiti e delle condizioni previsti dalla citata comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19», compresa la nozione di impresa beneficiaria da utilizzare ai fini del computo degli aiuti quando questa è parte di un gruppo.

Articolo 6. (Clausola di invarianza finanziaria).

L'articolo reca la clausola di invarianza finanziaria.

Articolo 7. (Entrata in vigore).

L'articolo dispone in merito all'entrata in vigore del provvedimento.

torna su

RELAZIONE TECNICA
(Articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196).

.

.

.

.

torna su

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. È convertito in legge il decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132, recante misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP.
2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

torna su

Decreto-legge 30 settembre 2021, n. 132, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 234 del 30 settembre 2021.

Misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di garantire la possibilità di acquisire dati relativi al traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale nel rispetto dei princìpi enunciati dalla Grande sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 2 marzo 2021, causa C-746/18, e in particolare di circoscrivere le attività di acquisizione ai procedimenti penali aventi ad oggetto forme gravi di criminalità e di garantire che dette attività siano soggette al controllo di un'autorità giurisdizionale;

Acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi degli articoli 36, paragrafo 4 e 57, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, nonché dell'articolo 24, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51;

Ritenuta inoltre la straordinaria necessità ed urgenza di integrare le disposizioni sul procedimento di nomina del Capo di stato maggiore della difesa, anche in considerazione dell'imminente scadenza dell'attuale mandato, al fine di consentire una più ampia possibilità di scelta per il conferimento di tale carica di vertice delle Forze armate;

Ritenuta parimenti la straordinaria necessità ed urgenza di prorogare i termini per il deposito delle richieste di referendum annunciate dopo il 15 giugno 2021, per la concomitanza con le elezioni amministrative e il conseguente rischio che i promotori non possano depositare le richieste di referendum entro la data prevista del 30 settembre 2021, a causa del ritardo degli apparati amministrativi di numerosi Comuni nel rilascio dei prescritti certificati elettorali;

Ritenuta altresì la straordinaria necessità ed urgenza di prorogare i termini di cui all'articolo 3, comma 1, terzo periodo, del decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2021, n. 112, in materia di assegno temporaneo per figli minori e di cui all'articolo 42-bis, comma 5, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, in materia di versamenti IRAP;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 29 settembre 2021;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri della giustizia, della difesa, dell'economia e delle finanze e per le pari opportunità e la famiglia;

emana

il seguente decreto-legge:

Articolo 1.
(Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale)

1. All'articolo 132 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale, e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private.»;

b) dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:

«3-bis. Quando ricorrono ragioni di urgenza e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone la acquisizione dei dati con decreto motivato che è comunicato immediatamente, e comunque non oltre quarantotto ore, al giudice competente per il rilascio dell'autorizzazione in via ordinaria. Il giudice, nelle quarantotto ore successive, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non è convalidato nel termine stabilito, i dati acquisiti non possono essere utilizzati.
3-ter. Rispetto ai dati conservati per le finalità indicate al comma 1 i diritti di cui agli articoli da 12 a 22 del Regolamento possono essere esercitati con le modalità di cui all'articolo 2-undecies, comma 3, terzo, quarto e quinto periodo.».

Articolo 2.
(Disposizioni urgenti in materia di difesa)

1. All'articolo 25, comma 1, del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo le parole «tra gli ufficiali» sono soppresse le seguenti: «in servizio permanente»;

b) dopo le parole «dell'Aeronautica militare,» sono inserite le seguenti: «in servizio permanente ovvero richiamati ai sensi dell'articolo 1094, comma 4,».

Articolo 3.
(Proroga di termini in materia di referendum)

1. Per le richieste di referendum previsto dall'articolo 75 della Costituzione, annunciate nella Gazzetta Ufficiale ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970, n. 352, dopo il 15 giugno 2021 ed entro la data di entrata in vigore del presente decreto, i termini previsti dagli articoli 32 e 33, commi primo e quarto, della citata legge n. 352 del 1970 sono prorogati di un mese.

Articolo 4.
(Proroga di termini in materia di assegno temporaneo per figli minori)

1. All'articolo 3, comma 1, terzo periodo, del decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2021, n. 112, le parole «30 settembre 2021» sono sostituite dalle seguenti: «31 ottobre 2021».

Articolo 5.
(Proroga di termini in materia di versamenti IRAP)

1. All'articolo 42-bis, comma 5, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, le parole «30 settembre 2021» sono sostituite dalle seguenti: «30 novembre 2021».

Articolo 6.
(Clausola di invarianza finanziaria)

1. Dall'attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Agli adempimenti disposti dal presente decreto si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie già previste a legislazione vigente.

Articolo 7.
(Entrata in vigore)

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 30 settembre 2021

MATTARELLA

Draghi, Presidente del Consiglio dei ministri
Cartabia, Ministro della giustizia
Guerini, Ministro della difesa
Franco, Ministro dell'economia e delle finanze
Bonetti, Ministro per le pari opportunità e la famiglia

Visto, il Guardasigilli: Cartabia.

torna su